Istituto MEME: Le misure alternative alla detenzione

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Istituto MEME: Le misure alternative alla detenzione
Istituto MEME
associato a
Université Européenne
Jean Monnet A.I.S.B.L.
BRUXELLES
LE MISURE ALTERNATIVE ALLA
DETENZIONE
Scuola di specializzazione: Scienze Criminologiche
Relatore: Prof.re Ferdinando Porciani
Correlatore: Dott.ssa Roberta Frison
Tesista specializzando: Dott.ssa Virginia Pieri
Anno di corso: Primo
Modena, 7 giugno 2008
Anno accademico 2007-2008
ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES
Virginia Pieri - SST in Scienze Criminologiche (primo anno) A.A. 2007/2008
INDICE
PREMESSA
p.3
INTRODUZIONE
p.4
1- LE MISURE ALTERNATIVE ALLA DETENZIONE
p.6
1.1- Cenni storici delle misure alternative: dal Codice Rocco ad oggi
p.7
1.2- Il fine riabilitativo delle misure alternative
p.16
1.3- Affidamento in prova al servizio sociale
p.18
1.4-Affidamento in prova in casi particolari
p.28
1.5- Semilibertà
p.36
1.6- Detenzione domiciliare
p.42
1.7- Liberazione condizionale
p.50
1.8- L’osservazione e il trattamento nella misura alternativa
p.54
1.8.1- Il ruolo del criminologo clinico
p.58
2- DOPO LE MISURE ALTERNATIVE:
RISOCIALIZZAZIONE O RECIDIVA?
p.61
2.1- I dati nazionali
p.63
2.2- Le ricerche su base regionale: la Toscana
p.67
2.3- I numeri sul territorio fiorentino
p.72
2.4- Le variabili che possono indurre alla recidiva
p.75
1
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3- PER MIGLIORARE L’APPLICAZIONE DELLE MISURE
ALTERNATIVE
p.79
3.1- Confronto tra le diverse forme di misura alternativa
p.79
3.2- Le concessioni delle misure alternative
p.84
3.3- La detenzione sociale
p.86
3.4- Esempi di sostegno e controllo
p.89
3.4.1- “La Casa il Samaritano”
p.89
3.4.2- “L’O.A.S.I.”
p.93
3.4.3- “L’Associazione Pantagruel”
p.97
3.4.4- “La Casa di accoglienza di S. Caterina”
p.100
CONCLUSIONI
p.103
BIBLIOGRAFIA
p.105
2
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PREMESSA
Nel corso di questo primo anno di specializzazione in scienze
criminologiche mi sono soffermata a riflettere su quelle che sono
chiamate le misure alternative alla detenzione. Il primo sentimento che
hanno suscitato in me è stato quello di scetticismo. È stato per me
difficile riuscire ad accettare le concessioni di uno “sconto di pena” a
chi ha commesso un reato. È stato ancora più difficile, modificare il
giudizio negativo nei confronti di questi benefici, soprattutto dopo
aver letto fatti di cronaca riportati dalla stampa1: un condannato a tre
ergastoli che durante la semilibertà (una delle misure alternative alla
detenzione) è stato trovato a rapinare banche; un altro condannato a
trent’anni per duplice omicidio, è stato accusato di aver commesso 36
rapine in tre anni di permessi premio (non sono propriamente delle
misure alternative, ma comunque benefici che permettono di ridurre il
periodo di detenzione carceraria e aumentare il contatto con la
società); ancora un condannato a 6 anni e mezzo per aver ucciso, alla
guida della sua auto, quattro ragazzi, concessi gli arresti domiciliari,
firma un contratto da 40 mila euro per fare il testimonial pubblicitario.
Ritengo che sia lecito domandarsi quale è il vero significato della
misura alternativa alla detenzione, lo scopo per cui viene applicata e
ancora quali sono i requisiti per cui è possibile ottenere la
concessione.
Per non rischiare di rimanere ancorata ad un pregiudizio e visto il
percorso di studi intrapreso, ho deciso di approfondire il tema delle
misure alternative alla detenzione, con l’intento di creare una base di
conoscenza su cui formulare poi un’idea personale
1
I fatti sono riportati in un articolo di Antonio Marrese sul settimanale “Il Venerdì di Repubblica”,
del 7 dicembre 2007, p.34.
3
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INTRODUZIONE
L’obiettivo di questo lavoro è conoscere il significato delle misure
alternative alla detenzione, conoscere quali sono i termini che
permetto la concessione, con quale fine si procede alla loro
applicazione, i destinatari di tale beneficio.
Sarà riportata una breve descrizione degli eventi storici che hanno
portato a definire le misure alternative applicate oggi (affidamento in
prova al servizio sociale, semilibertà, detenzione domiciliare,
liberazione anticipata, liberazione condizionale). Successivamente
sarà descritto il significato, nella pratica, di ognuna delle misure,
insieme alle norme giuridiche che definiscono i requisiti e le
limitazioni per la loro concessione.
La condizione necessaria, affinché il detenuto ottenga l’approvazione
della sua richiesta di misura alternativa, è il vero scopo di
quest’ultima: la riabilitazione e la risocializzazione. Si vedrà come il
detenuto dovrà dimostrare prima, di avere un programma di
reinserimento sociale (con principale requisito un lavoro o un percorso
di formazione) e poi, dopo la concessione, di essere in grado di
rispettarlo.
Procedendo con il lavoro e chiarito lo scopo riabilitativo delle misure
alternative, ho cercato di verificare se, terminata la misura alternativa
è possibile ritenere completato con successo il programma di
risocializzazione: l’individuo ha modificato il suo percorso di vita e si
è allontanato da una condizione di tipo criminogenetica che lo ha
condotto alla commissione del reato.
Per rispondere a questo interrogativo mi sono servita dei dati statistici
di una ricerca effettuata a livello nazionale, insieme ad altre che si
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sono occupate più in particolare della regione Toscana e della realtà
fiorentina.
Ho ritenuto opportuno descrivere l’impegno di alcune associazioni e
strutture, che a Firenze offrono un supporto a soggetti in misura
alternativa.
Il lavoro si concluderà con delle osservazioni riguardanti le tematiche
che attualmente investono il dibattito sulle misure alternative alla
detenzione, quali per esempio la percentuale di concessioni,
suggerimenti per incrementare la probabilità di successo delle misure.
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1- LE MISURE ALTERNATIVE ALLA DETENZIONE
Le misure alternative alla detenzione sono forme alternative di
esecuzione della pena detentiva. L’art. 27, comma 3° della
Costituzione della Repubblica2 afferma: Le pene non possono
consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono
tendere alla rieducazione del condannato. Questo è il principio che ha
ispirato (come vedremo successivamente nei cenni storici) le norme e
gli articoli che regolano l’attuale trattamento penitenziario3.
Con il termine trattamento penitenziario, ci si riferisce all’insieme di
regole e di attività che guidano e concernono le persone private della
libertà personale in seguito ad una sanzione penale e si concretizza in
una sorta di offerta di interventi finalizzati alla predisposizione di un
programma
individualizzato,
i
cui
risultati
devono
essere
periodicamente valutati (Cassazione Sezione I, sentenza 24 giugno
1982, Cagliari; Cassazione Sezione I, sentenza 9 ottobre 1981,
Varone). Il programma riabilitativo è soltanto un’offerta di un
intervento teso verso la risocializzazione, che il detenuto può rifiutare.
Va ricordato che, nell’ambito delle misure alternative, ci troviamo già
all’interno della fase di esecuzione della pena, in quanto l’imputato
non può essere oggetto di trattamento rieducativo, stante la
presunzione di non colpevolezza, fino a sentenza di condanna
definitiva.
L’art. 15 dell’Ordinamento Penitenziario4 stabilisce che gli strumenti
da utilizzare durante il trattamento sono l’istruzione (corsi della scuola
dell’obbligo,
di
addestramento
professionale,
2
universitari
ed
La Costituzione della Repubblica entra in vigore il 1 gennaio 1948, dopo essere stata pubblicata
sulla G.U. 27/12/1947 (edizione straordinaria).
3
Zappa G., Massetti C., (2008) Codice penitenziario e della sorveglianza, Piacenza,Casa Editrice
La Tribuna.
4
Ibidem.
6
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equiparati, corsi scolastici per corrispondenza, per radio e per
televisione), il lavoro, la religione, le attività culturali, ricreative e
sportive, i contatti con il mondo esterno, i rapporti con la famiglia.
Rientrano all’interno della politica trattamentale, per le loro finalità
pedagogiche gratificanti, incentivanti e risocializzanti le misure
alternative alla detenzione (insieme alle sanzioni sostitutive della pena
detentiva ed estinzione della pena, permessi premio ecc…). Queste
agevolano il contatto del condannato con il mondo esterno, condizione
che tende a favorire e rendere più efficace l’opera di socializzazione
del soggetto, a concentrarsi maggiormente, attraverso un programma
individualizzato, sugli aspetti rieducativi esposti nel citato art.15
dell’Ordinamento Penitenziario.
Attraverso questa politica trattamentale e le forme alternative alla
detenzione, viene offerta all’individuo la possibilità di modificare il
suo percorso di vita, tentare l’allontanamento dalla condizione
personale che lo ha portato a commettere il reato evitando il più
possibile il contatto con l’ambiente criminogenetico del carcere.
1.1- Cenni storici delle misure alternative: dal Codice Rocco ad
oggi
Quando si parla di misure alternative alla detenzione, e della
prospettiva rieducativa a cui si ispirano, occorre accennare alle fasi
evolutive del nostro sistema sanzionatorio.
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All’inizio del secolo scorso (anni ’30) era in vigore il Codice Rocco5
che si basava su tre fondamentali idee-guida concernenti le sanzioni
penali: retribuzione, prevenzione generale, prevenzione speciale6. La
retribuzione concerne l’idea che la pena debba servire a compensare la
colpa per il male commesso, implicando anche, per sua natura, il
concetto di proporzione: la risposta sanzionatoria, se deve compensare
il male provocato dall’azione illecita, non può non essere
proporzionata alla gravità del reato medesimo. L’idea retributiva
implica quindi, il concetto di proporzione tra entità della sanzione e
gravità dell’offesa arrecata, tra misura della pena e grado della
colpevolezza.
La prevenzione generale si fonda sul presupposto che la minaccia
della pena serve a distogliere la generalità dei consociati dal compiere
fatti socialmente dannosi. Questa idea si basa sulla convinzione che la
minaccia della sanzione opererebbe, da un punto di vista psicologico,
come controspinta all’azione criminosa. Ancora la prevenzione
generale è affidata alla cosiddetta funzione satisfattoria della pena,
poiché la soddisfazione che il sentimento pubblico riceve dalla pena
evita le vendette e le rappresaglie della società. In questo senso il
principio di retribuzione e di prevenzione generale sono connessi,
essendo il primo strumentale del secondo. La punizione dello Stato nei
confronti della persona che si è spinto ad appagare i suoi impulsi
5
Il codice di procedura penale attualmente vigente è il quarto codice di questo tipo che l'Italia
unitaria abbia avuto. Il primo codice contenente una regolamentazione organica del processo
penale in Italia fu emanato nel 1865, fu sostituito da una nuova codificazione della materia nel
1913 e nuovamente nel 1930. Quest'ultimo codice è conosciuto anche come "codice Rocco", dal
nome del ministro della giustizia dell'epoca, Alfredo Rocco. Egli fu Presidente della Camera dei
Deputati (1924-1925) e Ministro di Grazia e Giustizia (1925-1932). Ebbe notevole influenza nella
legislazione fascista: legge del 24-12-1925 sulle attribuzioni del capo del governo e legge del 311-1926 sulla facoltà del potere esecutivo di emanare norme giuridiche Morì nel 1935. Il "codice
Rocco" è rimasto in vigore per molti anni dopo la caduta del fascismo.
6
Fiandaca, G., Musco, E., (2001) Diritto penale, parte generale, Bologna, Zanichelli Editore,
pp.646-656.
8
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delittuosi, da un lato tende ad alleviare l’aggressività che l’atto
criminale ha sollevato in loro, dall’altra conferma e rafforza la loro
fedeltà ai valori tutelati.
La prevenzione speciale è rivolta principalmente al soggetto, in quanto
si basa sul concetto che la pena serva ad evitare che l’individuo
compia in futuro altri reati. Il modo più semplice per ottenere questo
risultato è sicuramente neutralizzare il soggetto attraverso la
coercizione fisica; allo stesso tempo possono essere utilizzate le forme
della interdizione giuridica, che impediscono al reo di proseguire lo
svolgimento di quelle attività che hanno portato alla commissione del
reato7. Quando si parla di prevenzione speciale si parla anche di
misure di sicurezza, volte a neutralizzare la pericolosità del reo e ad
evitare che uno stesso soggetto commetta in futuro lo stesso o altri
reati. Le misure di sicurezza sono di diverse specie (personali
detentive e non detentive, patrimoniali), rapportate alle diverse
tipologie di delinquente (abituale, professionale, per tendenza, infermo
di mente, ecc.). Questo tipo di sistema sanzionatorio è detto sistema
del doppio binario in quanto, non solo esprime la compresenza
all’interno di uno stesso ordinamento di sanzioni penali diversificate,
ma anche la possibilità di applicare ad un medesimo soggetto (allo
stesso tempo imputabile e socialmente pericoloso) sia la pena che la
misura di sicurezza, la seconda è cumulabile alla prima.
Una nuova prospettiva, relativa alla funzione della pena, si è aperta
con l’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica. L’art. 27,
comma 3° afferma: le pene non possono consistere in trattamenti
contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del
condannato. Quest’ultima è stata una vera carica innovatrice per il
7
Fiandaca, G., Musco, E.; op. cit., pp.660-672.
9
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sistema sanzionatorio e per l’ordinamento penitenziario, in quanto,
mantenendo sempre e comunque lo scopo principale della pena, quale
la retribuzione e la prevenzione sociale, nasce l’idea della prevenzione
speciale attraverso rieducazione8. Come vedremo poi successivamente, oggi l’idea rieducativa svolge (o dovrebbe svolgere) un ruolo
decisivo fin dall’inflizione della pena, dalla sentenza: infatti il giudice,
nella fase della scelta del tipo e dell’entità della sanzione, dovrebbe
farsi guidare soprattutto dalla preoccupazione di incidere sulla
personalità del reo in modo da favorirne il recupero.
Successivamente a questo evento, si è dovuto aspettare fino agli anni
’70, per vedere applicato l’art. 27 della Costituzione in una riforma
penitenziaria. Infatti dopo una situazione sempre più difficile,
caratterizzata tensioni all’interno degli istituti penitenziari, nel 1973 il
Senato licenziava un testo della riforma penitenziaria che modificava
il regime carcerario aprendolo ai permessi di brevi uscite per i detenuti
e alle misure alternative. Successivamente la Camera approva la
riforma penitenziaria del Senato modificando alcune cose: viene
ristretto lo spazio delle misure alternative escludendole ai recidivi, la
grande massa dei detenuti, e viene affidata la decisione delle misure
alternative ad un organo collegiale, che ha competenza distrettuale, la
Sezione di sorveglianza, formata da due magistrati di sorveglianza e
da due esperti in materie pertinenti9.
Si arriva così all’approvazione della legge 26 luglio 1975 n. 354
(“Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle
misure privative e limitative della libertà”)10. Questa è una legge
8
Fiandaca, G., Musco, E.; op.cit., p. 701.
Margara, A., (2005) Ripensare l’ordinamento penitenziario, in AA. VV. La nuova città, rivista
fondata da Givanni Mchelucci, ottava serie, Edizioni Polystampa, Firenze, p.29.
10
Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 9 agosto 1975 n. 212, S.O.
9
10
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"rivoluzionaria", che riconosce alle persone detenute diritti azionabili
davanti ad un giudice (come visto istituisce la figura del magistrato di
sorveglianza con una funzione anche di garanzia della legalità della
esecuzione della pena) e che introduce quel principio di flessibilità
nella esecuzione penale che rappresenta la vera svolta nel passaggio
da un sistema repressivo, fondato su una concezione retributiva della
pena, ad un sistema punitivo di stampo democratico fondato sul
principio della finalità rieducativa e risocializzante della pena (articolo
27 della Costituzione: la pena deve tendere alla rieducazione del
condannato), nei confronti di quei gruppi con minori prospettive e
maggiore insofferenza. Le misure alternative entrate in vigore con
questa legge erano, affidamento in prova, semilibertà e riduzione della
pena attraverso la liberazione anticipata, in più cambiava, sotto alcuni
aspetti il regime carcerario abolendo per esempio la censura sulla
corrispondenza.
Nel 1977 si ha una prima modifica alla legge in cui, viene tolta la
recidiva come condizione di inammissibilità alle misure alternative, ed
estesa a tutti la riduzione di pena con la liberazione anticipata. Sempre
nello stesso anno (20 luglio 1977) viene emessa una legge che
riduceva i permessi ai detenuti a casi eccezionali e li legava, in
sostanza,
all’utilizzo
della
scorta.
Questa
chiamiamola
“controriforma” nasceva sicuramente in un momento difficile per
l’Italia nel quale si facevano sempre più frequenti gli episodi
terroristici e di lotta armata, in cui era nata l’”operazione carceri di
massima sicurezza” per contenere gli esponenti più pericolosi di
questi movimenti, ma allo stesso tempo andava a bloccare e far
passare in secondo piano tutti quei passi avanti che erano stati fatti,
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con le riforme dell’ordinamento penitenziario, e vedere applicato il
principio di rieducazione e risocializzazione contenuto nell.art 27
della Costituzione Italiana11.
Prima di arrivare ad una vera riforma dell’ordinamento penitenziario
ed una legge tendente ad ampliare ed estendere le misure alternative
alla pena carceraria, si è passati per una ugualmente significativa e
innovativa legge di “modifiche al sistema penale”, la legge n. 689 del
24 novembre 198112. Qui vanno annoverate le sanzioni sostitutive
delle pene detentive di breve durata: in sostanza il giudice può
decidere di convertire la pena della detenzione con una sostitutiva che
possa permettere alla persona di evitare l’ambiente criminogenetico
del carcere, ridurre i tempi di rieducazione e risocializzazione,
entrando subito in contatto con l’ambiente esterno. Le sanzioni
sostitutive previste dal nostro ordinamento penitenziario sono: la
semidetenzione, la libertà controllata, la pena pecuniaria (multa o
ammenda secondo la specie della pena detentiva sostituita). Le
sanzioni sostitutive si applicano in presenza di un triplice ordine di
condizioni:
- La prima riguarda la pena in concreto irrogata dal giudice: l’art.
531 l. 689/81 dispone che il giudice, nel pronunciare sentenza di
condanna, se ritiene di applicare in concreto una pena detentiva
entro il limite di un anno, può sostituire ad essa la
semidetenzione; se determina la pena da applicare nel limite di
sei mesi può sostituirla anche con la libertà controllata; infine se
la pena da irrogare non supera i tre mesi può essere sostituita
anche dalla pena pecuniaria della specie corrispondente;
11
12
Margara, A.; op. cit., p.30.
Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 329 del 30 novembre 1981.
12
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- La seconda condizione è di carattere obiettivo ed è fissata
all’art. 60 l. 689/81: la sostituzione non è, infatti, ammessa per
alcuni reati previsti dal codice penale o da talune leggi speciali
e che, in gran parte, corrispondono ai reati che vengono
normalmente esclusi dall’amnistia;
- La terza condizione è di natura soggettiva e di tipo negativa:
l’art. 59 l.689/81 stabilisce, infatti, che la sostituzione non è
ammessa nei confronti di coloro che siano già stati
complessivamente condannati a due anni di reclusione ed
abbiano commesso il reato nei cinque anni dalla condanna
precedente, sia nei confronti di coloro che siano stati condannati
due volte per reati della stessa indole, sia nei confronti di coloro
ai quali una pena sostitutiva inflitta in precedenza sia stata
convertita ovvero sia stato revocato il regime di semilibertà, sia
infine nei confronti di coloro che abbiano commesso il reato
mentre si trovavano sottoposti alle misure di sicurezza della
libertà vigilata ovvero alla misura di prevenzione della
sorveglianza speciale.
Sul finire dei cosiddetti “anni di piombo”, viene nuovamente spostata
l’attenzione su quella riforma del sistema penitenziario che era iniziata
nel 1973 con la proposta del Senato e si arriva così alla legge 10
ottobre 1986 n. 66313, quella che fu chiamata, e continua a chiamarsi,
Legge Gozzini. Mario Gozzini allora parlamentare della legislatura,
vedendo rotto il filo che conduceva ad una nuova riforma
dell’ordinamento penitenziario ed alla sua attuazione, le ridiede vita
riprendendo in pieno la linea della riforma del 1975 completandola ed
13
Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 16 ottobre 1986 n. 241- S.O..
13
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anche superandone le esitazioni e le limitazioni normative14. Le novità
della nuova legge erano molte: erano introdotti i permessi premio,
come
strumento
del
trattamento
penitenziario;
si
rendevano
ammissibili alle pene alternative tutti i detenuti; si portava a tre anni
(dai due anni e sei mesi precedenti) l’entità delle pene ammesse per
l’affidamento in prova; ancora erano ammissibili alla semilibertà i
condannati all’ergastolo; era portato da 20 a 45 giorni a semestre la
liberazione anticipata, estesa anche agli ergastolani, facendo valere i
periodi di riduzione pena come pena scontata ai fini della
ammissibilità alle misure alternative; erano previsti strumenti di
intervento rapido per il Magistrato di Sorveglianza sulle misure
alternative che presentavano aspetti particolari o nel caso in cui
sopraggiungessero nuove pene in esecuzione; infine si aggiungeva alle
misure alternative già esistenti (affidamento in prova, semilibertà,
liberazione anticipata) la detenzione domiciliare, ammessa in casi
particolari per pene fino a quattro anni, ed erano date regole più certe
all’affidamento in prova per tossicodipendenti ed alcooldipendenti,
una misura già entrata in vigore l’anno precedente per coloro che
erano disponibili a seguire programmi terapeutici. La Legge Gozzini
può essere considerata quella legge che veramente ha dato una spinta
notevole alle misure alternative alla detenzione ampliandone la
gamma e estendendo la possibilità di applicazione di quelle già
esistenti, nell’ottica di dare slancio ad una progressione del
trattamento penitenziario. Quelle che furono le sue innovazioni, salvo
modifiche apportate con successive leggi che vedremo più avanti,
14
Margara, A.; op. cit., p.31.
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sono le stesse che costituiscono ancora oggi le basi e le norme che
regolano le misure alternative.
Negli anni 1991 e 1992 si verifica una nuova variazione di rotta
relativa alla riforma penitenziaria, infatti, in seguito ad un alto livello
di attacco della criminalità organizzata, lo Stato si muove con una
dura risposta. Gli spazi delle misure alternative e dei permessi premio
si richiudono e si restringono per gli autori di una serie particolare di
reati con l’introduzione dell’art 4 bis dell’ordinamento penitenziario15
ad opera decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con
modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82 e ancora modificato
con il disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri nella
seduta del 24 maggio 2002: ai condannati appartenenti alla criminalità
organizzata od eversiva veniva preclusa e, se già concesse, revocate
l’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio e le misure
alternative alla detenzione, fatta eccezione per la liberazione
anticipata, salvo collaborazione con la giustizia e che non vi siano
presenti elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con
la criminalità organizzata o eversiva.
Nel 1998 si arriva alla cosiddetta “legge Simeone”16 la quale, dopo la
parentesi di inizio anni ’90, amplia ulteriormente le condizioni di
accesso alle misure alternative: l’affidamento in prova al servizio
sociale viene concesso senza che sia necessaria l’osservazione della
personalità17 in istituto; per facilitare l’accesso alla misura
dell’affidamento da parte dei condannati in libertà, viene introdotta
una nuova disciplina della sospensione della condanna alla pena
15
Zappa G., Massetti C., op. cit..
Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 30 maggio 1998 n. 124.
17
L’osservazione della personalità intesa come formulazione di una diagnosi strumentale volta a
rilevare le carenze fisiopsichiche, i fattori psicologici, familiari e ambientali che hanno portato ad
un comportamento deviante.
16
15
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detentiva (regola automatica della sospensione) attraverso cui il
soggetto, avvisato del decreto sospensivo, ha 30 giorni per presentare
al tribunale l’istanza di concessione della misura alternativa, in questo
modo il condannato, libero o non assoggettato a custodia cautelare,
quando diviene definitiva la sentenza di condanna, evita di andare in
carcere; ancora l’affidamento in prova è concesso anche a chi non ha
beneficiato della sospensione dei 30 giorni per la richiesta ovvero si
trovi comunque già in esecuzione penale esterna.
Ulteriori e successive leggi di segno positivo si sono succedute negli
anni: la legge 12 luglio 1999, n. 23118 che agevola l’ammissione alle
misure alternative dei malati di Aids; la legge 8 marzo 2001, n. 4019
che prevede una misura alternativa speciale per le detenute madri.
1.2- Il fine riabilitativo delle misure alternative
La prospettiva della risocializzazione e rieducazione del reo, ha la sua
sede naturale nella fase esecutiva della pena, infatti è durante
l’esecuzione della pena che si procede (o si dovrebbe procedere) al
trattamento individualizzato del soggetto al fine di favorirne il più
possibile il riadattamento. Rientrano in questa fase, quindi anche le
misure alternative. Al contempo l’idea rieducativa svolge un ruolo
predominante anche nella fase antecedente all’inflizione della pena: il
giudice, nella scelta sia del tipo che dell’entità della sanzione, deve
farsi guidare soprattutto dalla preoccupazione di incidere sulla
personalità del reo in modo da favorirne il recupero20.
18
Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 167 del 19 luglio 1999.
Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell'8 marzo 2001 n. 56.
20
Fiandaca F., Musco E., op. cit., pp. 668-669.
19
16
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Un processo di individualizzazione del percorso riabilitativo,
all’interno della misura alternativa, e in generale per ogni reo già
condannato, permetterà un successivo reinserimento sociale della
persona, un cambiamento del suo percorso di vita, rispetto a quello
che lo ha portato alla detenzione, e quindi una minore probabilità di
recidiva. L’obiettivo dell’azione rieducativa non consiste nel ricercare
una trasformazione del soggetto né di conformarsi a modelli
stereotipati di comportamento, ma di porre automaticamente il
soggetto, secondo le proprie esigenze, nell’ambito del contesto sociale
attraverso l’offerta e la promozione di opportunità di risocializzazione
(sistema di prova)21. Come afferma Fornari all’interno del trattamento
rieducativo è occorre proporre una sensibilizzazione del reo al
significato negativo ed autodistruttivo che hanno il suo stile di vita e
le compensazioni adottate fino a quel momento, per fargli
comprendere che egli ha la possibilità di usare se stesso in maniera
positiva e costruttiva, orientandosi verso nuovi obiettivi sostenuti dal
sentimento sociale22.
Affinché il processo di risocializzazione vada a buon fine è quindi
necessario che venga creato un programma per ogni singolo individuo
in misura alternativa, in modo da ritenere la stessa misura un’offerta
fatta al detenuto di un percorso che integri aspetti assistenziali,
rieducativi e riabilitativi con quelli psicologici attinenti alle sue
premesse di vita. In questo modo non si parlerà solo di misure
alternative alla carcerazione per svuotare le carceri e sedarle al loro
interno dalle tensioni conflittuali, ma anche di percorsi alternativi
21
Mastronardi V., (2001) Manuale per operatori criminologici e psicopatologi forensi, Milano,
Giuffrè Editore.
22
Fornari U., (1976/a) Alcune considerazioni sui compiti dello specialista nell’ambito
dell’istituzione carceraria. Esperienze di rieducazione. Anno XXIII, Fasc. 4, p.103.
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alla devianza [in generale] per poter incidere seriamente sulla
recidiva23. Per arrivare a questo obiettivo occorre una diagnosi
strumentale definita osservazione scientifica della personalità volta a
rilevare le carenze fisiopsichiche, gli elementi psicologici, familiari,
ambientali e le altre cause del disadattamento sociale, predisponenti
verso la devianza.
Per una visione globale del soggetto, come si è detto, si parte da
un’attività di osservazione diagnostica, in base alla quale si formulano
indicazioni in merito al trattamento rieducativo e si compila il
programma di trattamento contenente le modalità di esecuzione della
pena per raggiungere l’obiettivo risocializzante. Il programma verrà
poi modificato e integrato nel corso dell’esecuzione della pena24.
Affermato questo occorre soltanto appurare che il sostegno previsto
dal trattamento, all’interno delle misure alternative, sia veramente
offerto.
1.3- Affidamento in prova al servizio sociale
L’affidamento in prova al servizio sociale è considerata la misura
alternativa per eccellenza, in quanto si svolge totalmente nel territorio,
mirando ad evitare al massimo i danni derivanti dal contatto con
l’ambiente penitenziario e dalla condizione di privazione della libertà.
È regolamentato dall’art. 47 dell’Ordinamento Penitenziario25, così
come modificato della Legge n. 165 del 27 Maggio 199826 e consiste
23
Ferrario G., Campostrini F., Polli C., (2005) Psicologia e carcere. Le misure alternative tra
psicologia clinica e giuridica, Franco Angeli, Milano, p.79.
24
Vedi par. 1.8.
25
Zappa G., Massetti C., op. cit..
26
Ivi nota 15.
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nell’affidamento al servizio sociale del condannato fuori dall’istituto
di pena per un periodo uguale a quello della pena da scontare.
I requisiti per la concessione sono:
1. pena detentiva inflitta, o anche residuo pena, non superiore a tre
anni;
2. a. osservazione della personalità, condotta collegialmente in
istituto, nei casi in cui si può ritenere che il provvedimento,
anche attraverso le prescrizioni, contribuisca alla rieducazione
del reo e assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta
altri reati. Non è necessaria una completa revisione critica del
proprio passato, basta una prognosi favorevole circa l’esito
della prova, ovvero che l’affidamento contribuisca alla
rieducazione del condannato. La decisione per la concessione si
può basare su elementi quali la gravità del reato e i precedenti
penali, ma solo se inquadrati nell’ambito dell’osservazione della
personalità. In altre parole non si può negare la concessione
basandosi solo sui reati commessi, ove l’osservazione segnali
una positiva evoluzione della personalità.
b. aver tenuto un comportamento tale da consentire lo stesso
giudizio di cui sopra anche senza procedere all’osservazione in
istituto. Questa regola serve a favorire il più possibile l’accesso
alla misura e impedire l’ingresso necessario della persona in
carcere, in quanto possono richiedere la misura anche i
condannati liberi, poiché la sentenza definitiva di condanna può
intervenire anche dopo molto tempo dal fatto. Può presentarsi
anche il caso in cui vi sia stata una misura di custodia cautelare
o per tutto il processo o solo in parte e in questo caso i soggetto
19
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è comunque libero comunque al momento della sentenza. Per la
concessione in questi casi basta valutare il periodo trascorso
all’esterno, dopo il reato, in stato di libertà. Questa valutazione
del comportamento all’esterno è molto significativa, infatti
permette la verifica del grado di adattamento del soggetto e di
formulare una prognosi. Inoltre la carcerazione di un soggetto,
dopo parecchi anni dalla commissione del reato, quando questa
si sia reinserita nella società potrebbe avere effetti tremendi:
perdita del lavoro, degli affetti, della considerazione sociale.
Con la Legge n. 231 del 12 luglio 199927, che ha i introdotto l’art.
47quater, per i soggetti affetti da AIDS conclamata o da grave
deficienza immunitaria o da altra malattia particolarmente grave, è
previsto che l’affidamento in prova al servizio sociale può essere
concesso anche oltre i limiti di pena previsti.
I limiti alla concessione
I detenuti e gli internati per particolari delitti (artt. 416bis e 63028 c.p.)
possono ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale (ed anche
le altre misure alternative) solo se collaborano con la giustizia (artt.
4bis e 58ter L. 354/75)29.
I detenuti e gli internati per altri particolari delitti (commessi per
finalità di terrorismo, artt. 575, 628 3° c. c.p., 629 2° c. c.p., ecc.)30
27
Ivi nota 16.
Art. 416bis. Associazione di tipo mafioso- “Chiunque fa parte di un’associazione di tipo
mafioso formata da tre o più persone, è punito con la reclusione da tre a sei anni […]”. Art.630
Sequestro di persona a scopo di estorsione- “Chiunque sequestra una persona allo scopo di
conseguire per se o per altri, un giusto profitto come prezzo della liberazione, è punito con la
reclusione da venticinque a trenta anni […]”. Codice Penale e leggi complementari, (2008). A cura
di Marino R., Petrucci R., Edizioni giuridiche Simone, Napoli.
29
Ivi nota 9.
30
L’art. 575 si riferisce all’omicidio, l’art. 628 alla rapina e l’art. 629 all’estorsione.
28
20
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possono essere ammessi solo se non vi sono elementi tali da far
ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata o
eversiva.
Altri limiti e divieti relativi alla concessione delle misure alternative,
con l’aggiunta di nuovi commi all’art. 4bis ed all’art. 58quater
dell’Ordinamento Penitenziario, riguardano i casi di commissione di
un delitto doloso di una certa entità commesso durante un’evasione,
un permesso premio, il lavoro all’esterno o durante una misura
alternativa. La legge 231 del 12 luglio 1999 all’art. 5 ha disposto per i
soggetti affetti da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria
o da altra malattia particolarmente grave, la non applicazione del
divieto di concessione dei benefici previsto per gli internati e coloro
che sono detenuti per i reati dell’art. 4bis della 354/75.
L’istanza di affidamento
L’istanza per poter usufruire della misura dell’affidamento deve essere
inviata, corredata dalla documentazione necessaria:
- se il soggetto è in libertà, essa deve essere inviata al Pubblico
Ministero della Procura che ha disposto la sospensione
dell’esecuzione della pena, entro 30 giorni dalla notifica. Il
Pubblico Ministero trasmette l’istanza al Tribunale di
Sorveglianza competente che fissa l’udienza; in tal modo il
condannato evita di finire in carcere. In mancanza della
richiesta l’esecuzione della pena riprende efficacia e il soggetto
si ritrova in carcere.
- Se il soggetto è detenuto, la documentazione è inviata al
Magistrato di Sorveglianza competente in relazione al luogo
dell’esecuzione, il quale (art. 47, 4° c. Ordinamento
21
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Penitenziario) può sospendere l’esecuzione, ordinare la
liberazione del condannato e trasmettere immediatamente gli
atti al Tribunale di sorveglianza, nel caso in cui siano offerte
concrete indicazioni circa: l’esistenza dei presupposti necessari
per l’ammissione all’affidamento, l’esistenza di un grave
pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione,
l’assenza di un pericolo di fuga. Questa concessione della
sospensione dell’esecuzione della pena è stata introdotta dalla
Legge Simeone.
Se il soggetto è affetto da AIDS conclamata o da grave deficienza
immunitaria, o da altra malattia particolarmente grave, l’istanza deve
essere corredata da idonea certificazione come previsto nell’art. 5, 2°
c. della L. 231/99.
Se l’istanza non è accolta, si riprende o si dà inizio all’esecuzione
della pena.
Non può essere accordata altra sospensione dell’esecuzione per la
medesima pena, anche se vengono presentate altre istanze di diverse
misure alternative.
Requisiti necessari per la concessione dell’affidamento
Affinché sia promossa la concessione della misura in questione è
necessario che il limite di pena sia di 3 anni, il possesso di un lavoro
(non necessario come affermato dalla Cassazione nella sentenza 27
maggio 1987 e ribadito nella sentenza del 13 agosto 1988, 11 aprile
1991, ma è opportuno che vi sia), una dimora. Anche se non è
espressamente previsto, il lavoro è un elemento primario del processo
di risocializzazione. Alternative rispetto al requisito del lavoro
potranno essere rappresentate dallo studio o da attività di formazione
22
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professionale
o
anche
di
volontariato,
ferma
restando
la
documentazione di un idoneo e lecito modo di sostentamento
all’esterno che potrà provato anche con dichiarazioni di disponibilità a
provvedere ai bisogni del condannato provenienti da terze persone,
verosimilmente i familiari. Inoltre l’affidamento viene concesso anche
se il soggetto non è più inseribile nel mercato del lavoro, come nel
caso in cui sia persona malata o in età avanzata o titolare di una
pensione.
Anche la disponibilità di una dimora rappresenta un elemento
importante per la concessione della misura, anche dare una reperibilità
ed un’idea di stabilità. Tale elemento può essere individuato anche in
alloggi di cui altri abbiano la disponibilità, qualora queste persone
offrano di ospitare il condannato una volta libero. Il Tribunale
ovviamente valuterà la l’affidabilità della collocazione abitativa così
come dell’offerta lavorativa31.
Compiti dell’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (UEPE) prima
della concessione32
Se il soggetto è in libertà, l’UEPE svolge l’inchiesta di servizio sociale
richiesta dal Tribunale di Sorveglianza33; se il soggetto è detenuto,
partecipa al gruppo per l’osservazione scientifica della personalità e
dà il suo contributo di consulenza per elaborare collegialmente la
relazione di sintesi da inviare al Tribunale di Sorveglianza. In
entrambi i casi l’UEPE svolge un’inchiesta di servizio per fornire al
31
Pubblicazione a cura della Cooperativa San Pietro a Sollicciano, a seguito del progetto PON
Buone Prassi, PERCORSI DI TRANSIZIONE, Penitenziario, Firenze 2003.
32
L’UEPE è l’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna che ha in carico le pratiche dei soggetti in
misura alternativa e ne controlla l’andamento.
33
Il Tribunale di Sorveglianza è quel Tribunale che ha la facoltà di decidere la concessione della
misura al detenuto che ne ha fatto richiesta.
23
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Tribunale di Sorveglianza o all’Istituto di pena elementi, oggettivi e
soggettivi, relativi al condannato con particolare riferimento
all’ambiente sociale e familiare di appartenenza ed alle risorse
personali, familiari, relazionali ed ambientali su cui fondare un’ipotesi
d’intervento e di inserimento.
L’ordinanza
L’affidamento viene concesso con provvedimento di ordinanza se il
soggetto è in libertà, dal Tribunale di Sorveglianza del luogo in cui ha
sede il Pubblico Ministero competente dell’esecuzione, se il soggetto è
detenuto, dal Tribunale di Sorveglianza che ha giurisdizione
sull’Istituto penitenziario in cui è ristretto l’interessato al momento
della presentazione della domanda.
Inizio dell’affidamento
L’affidamento ha inizio dal momento in cui al soggetto, previa
notifica da parte degli organi competenti dell’ordinanza, sottoscrive il
verbale di determinazione delle prescrizioni, con l’impegno di
rispettarle, se il condannato è in libertà, davanti al Direttore
dell’UEPE, se il soggetto è detenuto, davanti al Direttore dell’Istituto
penitenziario. Da qui in poi l’affidato inizia un periodo di prova in cui
dovrà seguire le prescrizioni e dimostrare la sua volontà di reinserirsi
senza più commettere reati. Il contatto con il servizio sociale servirà
per aiutarlo a superare le carenze che, in passato, hanno impedito il
normale reinserimento sociale.
24
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Le prescrizioni
Il verbale delle prescrizioni viene disposto dal Tribunale di
Sorveglianza contestualmente all’ordinanza di concessione della
misura e detta le prescrizioni che il soggetto in affidamento dovrà
seguire. Le prescrizioni indispensabili sono quelle relative ai seguenti
aspetti:
- rapporti con l’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna;
- dimora;
- libertà di locomozione;
- divieto di frequentare determinati locali;
- lavoro;
- divieto di svolgere attività o di avere rapporti personali che
possono portare al compimento di altri reati.
Le prescrizioni possibili invece riguardano:
- divieto di soggiornare in tutto o in parte in uno o più Comuni;
- obbligo di soggiornare in un Comune determinato;
- adoperarsi, in quanto possibile, in favore della vittima del suo
reato;
- adempiere puntualmente agli obblighi di assistenza familiare;
Durante il periodo di affidamento le prescrizioni possono essere
modificate dal Magistrato di Sorveglianza, tenuto conto anche delle
informazioni dell’UEPE.
Compiti dell’UEPE nel corso della misura
Durante l’esecuzione della misura alternativa i compiti dell’UEPE
sono:
- aiutare il soggetto a superare le difficoltà di adattamento alla
vita sociale al fine di favorire il suo reinserimento;
25
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- controllare la condotta del soggetto in ordine alle prescrizioni;
- svolgere azione di tramite tra l’affidato, la sua famiglia, e gli
altri suoi ambienti di vita, in collaborazione con i servizi degli
Enti locali, delle ASL e del privato sociale;
- riferire periodicamente, con frequenza minima trimestrale, al
magistrato di Sorveglianza sull’andamento dell’affidamento ed
inviare allo stesso una relazione finale alla conclusione della
misura;
- fornire al Magistrato di Sorveglianza ogni informazione
rilevante sulla situazione di vita del soggetto e sull’andamento
della misura (ai fini di un’eventuale modifica delle prescrizioni,
ecc…).
La prosecuzione della misura
Se nel corso dell’affidamento sopraggiunge un nuovo titolo di
esecuzione di altra pena detentiva, il Direttore dell’UEPE informa il
Magistrato di Sorveglianza che dispone la prosecuzione provvisoria
della misura se il cumulo delle pene (in corso di espiazione e da
espiare) non supera i tre anni.
Il Magistrato di Sorveglianza trasmette poi gli atti al Tribunale di
Sorveglianza che decide entro enti giorni la prosecuzione (o la
cessazione) della misura.
La sospensione e conclusione della misura
Il Magistrato di Sorveglianza sospende l’affidamento e trasmette gli
atti al Magistrato di Sorveglianza per le decisioni di competenza nei
seguenti casi:
26
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- quando l’UEPE lo informa di un nuovo titolo di esecuzione di
altra pena detentiva che fa venir meno le condizioni per una
prosecuzione provvisoria della misura (residuo pena inferiore a
3 anni);
- quando l’affidato attua i comportamenti tali da determinare la
revoca della misura.
Al termine del periodo di affidamento, che corrisponde alla durata
della pena da espiare detratti 45 giorni per la concessione della
liberazione anticipata (di cui è spiegato oltre e che consiste in uno
sconto di pena per chi tiene una regolare condotta e, da poco, è
possibile applicare anche all’affidamento in prova), possiamo avere:
- un esito positivo del periodo di prova che estingue la pena ed
ogni altro effetto penale. In questo caso il Tribunale di
Sorveglianza che ha giurisdizione nel luogo in cui la misura ha
avuto termine emette l’ordinanza di estinzione della pena;
- un esito negativo che può avere due diverse forme: la revoca
della pena, che può essere possibile se il comportamento del
soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, è
ritenuto incompatibile con la prosecuzione della prova;
l’annullamento quando l’UEPE informa il Magistrato di
Sorveglianza di un nuovo titolo di esecuzione di pena detentiva
che determini un residuo di pena superiore a tre anni, in questo
caso il tempo comunque trascorso in affidamento deve essere
considerato come pena espiata, invece nell’altro caso in cui è
presente un atteggiamento colpevole dell’affidato, spetta al
Tribunale di Sorveglianza, al momento in cui revoca la misura,
stabilire quale parte di pena vada considerata come pena
espiata.
27
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In ogni caso la revoca non è automatica, ma oggetto di valutazione da
parte del Tribunale che potrà far venire meno l’affidamento,
riprendendo efficacia la pena detentiva, solo se il comportamento del
soggetto appaia incompatibile con la prosecuzione della prova. Quindi
se il soggetto, durante la prova commette un reato, il Magistrato di
Sorveglianza potrà sospendere l’affidamento, ma il Tribunale di
Sorveglianza potrà successivamente anche decidere di non revocare
l’affidamento se per esempio il reato, oggetto di denuncia, non è così
grave come si era prospettato inizialmente.
1.4- Affidamento in prova in casi particolari
L’affidamento in prova in casi particolari è una particolare forma di
affidamento in prova rivolta ai tossicodipendenti e alcooldipendenti
che intendano intraprendere o proseguire un programma terapeutico
(può essere anche chiamata affidamento terapeutico). La legge n. 297
del 21 giugno 1985 ha introdotto l'art. 47 bis dell'Ordinamento
Penitenziario34 (Affidamento in prova in casi particolari), che poi è
stato modificato dalla L. n. 663/86 (Legge Gozzini). Tale misura
alternativa è stata poi recepita dal Testo Unico in materia di
stupefacenti (D.P.R. n. 309/90) come art. 9435. Questa particolare
forma di affidamento è nata dalla drammatica questione della
tossicodipendenza che ha indotto il legislatore a formularla, in modo
da evitare il carcere a soggetti che delinquono soprattutto per poter
approvvigionarsi di stupefacenti, quindi qui ciò che va curato per
34
Zappa G., Massetti C., op. cit..
Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope,
prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenze. Pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale del 31 ottobre 1990, n. 255, S.O..
35
28
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estinguere l’atto criminale è la dipendenza da sostanza attraverso un
programma terapeutico.
I requisiti per la concessione della misura sono:
- pena detentiva inflitta, o anche residuo pena, non superiore a
quattro anni;
- il condannato deve essere persona tossicodipendente o
alcooldipendente che ha in corso o che intende sottoporsi ad un
programma di recupero;
- il
programma
terapeutico
deve
essere
concordato
dal
condannato con una A.S.L. o con altri enti, pubblici e privati,
espressamente indicati dalla legge (art.115 D.P.R. n. 309/90);
- una struttura sanitaria pubblica deve attestare lo stato di
tossicodipendenza o alcooldipendenza e la idoneità, ai fini del
recupero, del programma terapeutico concordato, non deve
trattarsi di uno stato di tossicodipendenza o alcooldipendenza
preordinato al fine di poter godere del beneficio.
Il beneficio dell'affidamento in prova in casi particolari non può essere
concesso più di due volte.
L’istanza di affidamento in casi particolari
L'istanza può essere presentata in ogni momento, corredata dalla
documentazione necessaria:
- se il soggetto è in libertà e l'ordine di esecuzione non è stato
ancora emesso o eseguito, al Pubblico Ministero della Procura
competente, che sospende l'emissione o l'esecuzione dell'ordine
29
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di carcerazione e trasmette gli atti al Tribunale di Sorveglianza
che fissa l'udienza;
- se il soggetto è in libertà in sospensione dell'esecuzione della
pena, al Pubblico Ministero che ha disposto la sospensione, che
trasmette gli atti al Tribunale di Sorveglianza che fissa
l'udienza;
- se il soggetto è detenuto, al Direttore dell'istituto che la
trasmette al Tribunale di Sorveglianza ed al Pubblico Ministero
che ha emesso l'ordine di esecuzione, che, se non supera il
limite di pena previsto, ordina la scarcerazione del condannato.
In ogni caso il soggetto ha trenta giorni per la richiesta della
concessione della misura, a partire dalla notifica della sentenza. La
sospensione dell'esecuzione della pena opera sino alla decisione del
Tribunale di Sorveglianza. Se l'istanza non è accolta, riprende
l'esecuzione della pena. Se non è possibile effettuare la notifica
dell'avviso al condannato al domicilio indicato nella richiesta e lo
stesso non compare all'udienza, il Tribunale di Sorveglianza dichiara
inammissibile la richiesta.
Compiti dell’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna
L'Ufficio di esecuzione penale esterna svolge l'inchiesta di servizio
sociale richiesta dal Tribunale di Sorveglianza, per fornire allo stesso,
sia gli elementi relativi al programma terapeutico (attraverso la
collaborazione con i servizi pubblici e privati competenti), sia quelli
relativi più complessivamente alla situazione di vita del condannato,
con particolare riferimento all'ambiente sociale e familiare di
appartenenza.
30
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L’ordinanza
L'affidamento viene concesso con provvedimento di ordinanza dal
Tribunale di Sorveglianza del luogo in cui ha sede il Pubblico
Ministero competente dell'esecuzione.
Le forme di attuazione della misura
Due possono essere le modalità di attuazione dell’affidamento per
tossicodipendenti e alcooldipendenti:
- l’affidamento che comporta l’obbligo di recarsi presso il Sert
per la terapia, per i colloqui con gli operatori, per la verifica
mediante analisi mediche, dell’astensione dall’uso di sostanze
stupefacenti;
- l’affidamento presso una comunità di recupero, con inserimento
stabile presso tale struttura che offre maggiori garanzie di
isolamento dal consumo delle sostanze. Di regola è la soluzione
preferita dai soggetti con problematiche di dipendenza non è
quella dell’affidamento in comunità, per le regole molto rigide
che dovrebbero osservare, tanto che quando viene indicato dal
Sert indispensabile l’ingresso in comunità, spesso, arrivano a
preferire la permanenza in regime detentivo.36
L’inizio dell’affidamento
L'affidamento ha inizio dal momento in cui il soggetto sottoscrive,
davanti al Direttore del UEPE, il verbale di determinazione delle
prescrizioni, con l'impegno a rispettarle.
36
Zappa G., Massetti C., op. cit..
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Le prescrizioni
Il verbale delle prescrizioni inerenti alla misura
- viene disposto dal Tribunale di Sorveglianza contestualmente
all'ordinanza di concessione della misura;
- detta le prescrizioni che il soggetto in affidamento dovrà
seguire.
Le prescrizioni indispensabili sono quelle relative alle modalità di
attuazione del programma terapeutico, insieme a quelle relative alle
forme di controllo per accertare che il soggetto prosegua lo stesso
programma.
Le altre prescrizioni sono quelle previste per l'affidamento in prova al
servizio sociale, e quindi quelle indispensabili relative ai seguenti
aspetti:
- rapporti con l'Ufficio di esecuzione penale esterna;
- dimora;
- libertà di locomozione;
- divieto di frequentare determinati locali;
- lavoro;
- divieto di svolgere attività o di avere rapporti personali che
possono portare al compimento di altri reati;
- divieto di soggiornare in tutto o in parte in uno o più Comuni;
- obbligo di soggiornare in un Comune determinato;
- adoperarsi, in quanto possibile, in favore della vittima del suo
reato;
- adempiere puntualmente agli obblighi di assistenza familiare.
Durante il periodo di affidamento le prescrizioni possono essere
modificate dal Magistrato di Sorveglianza, tenuto conto anche delle
informazioni del Sorveglianza di servizio sociale.
32
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Compiti dell’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna
- L'UEPE effettua i propri interventi con una particolare
attenzione alla collaborazione ed al coordinamento con i servizi
e le risorse del territorio responsabili del programma
riabilitativo. Per il resto svolge gli interventi di aiuto e di
controllo previsti per l'affidamento in prova al servizio sociale
che sono riportati;
- aiutare il soggetto a superare le difficoltà di adattamento alla
vita sociale al fine di favorire il suo reinserimento;
- controllare la condotta del soggetto in ordine alle prescrizioni;
- svolgere azione di tramite tra l'affidato, la sua famiglia e gli altri
suoi ambienti di vita, in collaborazione con i servizi degli Enti
Locali, delle A.S.L. e del privato sociale;
- riferire periodicamente, con frequenza minima trimestrale, al
Magistrato di Sorveglianza sull'andamento dell'affidamento ed
inviare allo stesso una relazione finale alla conclusione della
misura;
- fornire al Magistrato di Sorveglianza ogni informazione
rilevante sulla situazione di vita del soggetto e sull'andamento
della misura (ai fini di un'eventuale modifica delle prescrizioni,
ecc.).
La prosecuzione dell’affidamento
Se nel corso dell'affidamento sopraggiunge un nuovo titolo di
esecuzione di altra pena detentiva, il Direttore dell'Ufficio di
esecuzione penale esterna informa il Magistrato di Sorveglianza che
33
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dispone la prosecuzione provvisoria della misura se il cumulo delle
pene (in corso di espiazione e da espiare) non supera i quattro anni.
Il Magistrato di Sorveglianza trasmette poi gli atti al Tribunale di
Sorveglianza che decide entro venti giorni la prosecuzione (o la
cessazione) della misura.
La sospensione della misura alternativa
Il Magistrato di Sorveglianza sospende l'affidamento e trasmette gli
atti al Tribunale di Sorveglianza per le decisioni di competenza nei
seguenti casi:
- quando dell'Ufficio di esecuzione penale esterna lo informa di
un nuovo titolo di esecuzione di altra pena detentiva, che fa
venir meno le condizioni per una prosecuzione provvisoria della
misura (residuo pena inferiore a quattro anni);
- quando l'affidato attua comportamenti tali da determinare la
revoca della misura.
La conclusione dell’affidamento
L'affidamento si può concludere secondo diverse modalità:
- con l'esito positivo del periodo di prova che estingue la pena ed
ogni altro effetto penale. In questo caso il Tribunale di
Sorveglianza che ha giurisdizione nel luogo in cui la misura ha
avuto termine emette l'ordinanza di estinzione della pena;
- con la revoca della misura, che può avvenire nei seguenti casi:
- comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle
prescrizioni dettate, ritenuto incompatibile con la
prosecuzione della prova;
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- sopravvenienza di un altro titolo di esecuzione di pena
detentiva che determini un residuo pena superiore a
quattro anni.
In questi casi il Tribunale di Sorveglianza che ha giurisdizione nel
luogo in cui l'affidato ha la residenza o il domicilio emette l'ordinanza
di revoca e ridetermina la pena residua da espiare.
Il soggetto tossicodipendente (ma non alcooldipendente), condannato
ad una pena detentiva non superiore a 4 anni, può richiedere che
l’esecuzione della pena sia sospesa per 5 anni. È necessario che i reati,
per cui si chiede l’interruzione dell’operatività della condanna, siano
stati commessi in seguito allo stato di tossicodipendenza (come furti
per procurarsi il denaro per l’acquisto di stupefacenti) e che la persona
sia sottoposta o abbia in corso un programma terapeutico e socioriabilitativo.
Dopo i 5 anni, senza che il soggetto abbia commesso un delitto non
colposo punibile con la reclusione, e dove abbia attuato il programma
terapeutico, la pena si estingue.
La sospensione può essere concessa una sola volta.
Difficilmente la sospensione viene concessa dai Tribunali di
Sorveglianza, i quali preferiscono la misura dell’affidamento, in
quanto offre maggiori garanzie di controllo, essendo la ricaduta
nell’uso di sostanze molto facile. Inoltre con la sospensione, il
soggetto non sconta nessuna pena e nel caso di revoca, per la
commissione di un reato non colposo, punito con la reclusione, o per
essersi sottratto al programma terapeutico, si trova a scontare l’intera
pena. Generalmente, la sospensione verrà concessa al soggetto
completamente
disintossicato
e
35
reinserito
socialmente
a
cui
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sopraggiunga una condanna, in relazione a reati commessi al tempo in
cui era ancora dipendente37.
1.5- Semilibertà
La semilibertà è una misura alternativa alla detenzione che consente di
trascorrere la giornata fuori dal carcere per svolgere un’attività
lavorativa, di studio o di volontariato, in base ad un programma
terapeutico di inserimento, di cui è responsabile il Direttore
dell’Istituto in cui il soggetto è ospitato, rientrando in carcere la sera.
È previsto che un semilibero rientri in un istituto volto ad ospitare
appositamente i detenuti in semilibertà o anche in un’apposita sezione
di un Istituto penitenziario. Può essere considerata come una misura
alternativa impropria, in quanto, rimanendo il soggetto in stato di
detenzione, il suo reinserimento nell'ambiente libero è parziale. E'
regolamentata dall'art. 48 dell'Ordinamento Penitenziario.
Requisiti per la concessione
I requisiti per la concessione della misura possono dividersi in:
1. requisiti giuridici:
- pena dell'arresto e pena della reclusione non superiore a
sei mesi se il condannato non è affidato al servizio
sociale (comma 1 art. 50 o. p.);
- espiazione di almeno metà della pena o, se si tratta di
condannato per uno dei delitti indicati nel comma 1
dell'art. 4 bis o. p., di almeno due terzi della pena (comma
2 art. 50 o. p.);
37
Cooperativa San Pietro a Sollicciano, op. cit..
36
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- prima dell'espiazione di metà della pena nei casi previsti
dall'art. 47 o. p., se mancano i presupposti per
l'affidamento in prova al servizio sociale e la condanna è
per un reato diverso da quelli indicati nel comma 1
dell'art. 4 bis o. p.;
- espiazione di almeno venti anni di pena per i condannati
all'ergastolo;
- essere sottoposto ad una misura di sicurezza detentiva
(internato).
2. Requisiti soggettivi:
- aver dimostrato la propria volontà di reinserimento nella
vita sociale per i casi previsti dal comma 1 (pena non
superiore a sei mesi);
- aver compiuto dei progressi nel corso del trattamento,
quando vi sono le condizioni per un graduale
reinserimento del soggetto nella società, per tutti gli altri
casi (comma 4 art. 50 o. p.). Per la valutazione
dell’esistenza delle condizioni di reinserimento, occorre
una relazione dei servizi sociali per capire il contesto
ambientale in cui troverà ad operare il semilibero.
I limiti alla concessione
I detenuti e gli internati per particolari delitti (416bis e 630 c.p.)38
possono ottenere la semilibertà solo se collaborano con la giustizia
(artt. 4bis e 58ter o. p.). I detenuti e gli internati per altri particolari
delitti (commessi per finalità di terrorismo, artt. 575, 628 3° c. c.p.,
629 2° c. c.p., ecc.) possono essere ammessi alla semilibertà solo se
38
Art. 416 bis, associazione di tipo mafioso; art. 630, sequestro di persona a scopo di estorsione.
37
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non vi sono elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti
con la criminalità organizzata o eversiva. Altri limiti e divieti relativi
alla concessione delle misure alternative riguardano i casi di
commissione di un delitto doloso di una certa entità commesso
durante un'evasione, un permesso premio, il lavoro all'esterno o
durante una misura alternativa.
L’istanza di semilibertà
L'istanza deve essere inviata, corredata dalla documentazione
necessaria, secondo le seguenti norme:
1. Soggetti che devono scontare una pena, o anche un residuo
pena, non superiore a tre anni
- se il soggetto è in libertà, al Pubblico Ministero della
Procura che ha disposto la sospensione dell'esecuzione
della pena. Il Pubblico Ministero trasmette l'istanza al
Tribunale di Sorveglianza competente che fissa l'udienza;
- se il soggetto è detenuto, al Magistrato di Sorveglianza
competente in relazione al luogo dell'esecuzione, il quale
può sospendere l'esecuzione, ordinare la liberazione del
condannato e trasmettere immediatamente gli atti al
Tribunale di Sorveglianza. La sospensione opera sino alla
decisione del Tribunale di Sorveglianza. Non può essere
accordata altra sospensione dell'esecuzione per la
medesima pena, anche se vengono presentate altre istanze
di diverse misure alternative.
2. Per le altre categorie di soggetti (condannati con pena superiore
a tre anni, internati, ecc.) l'istanza viene presentata al Tribunale
di Sorveglianza.
38
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Compiti dell' Ufficio di esecuzione penale esterna prima della
concessione
L'Ufficio di esecuzione penale esterna svolge un'inchiesta di servizio
sociale per fornire al Tribunale di Sorveglianza o all'Istituto di pena
elementi, oggettivi e soggettivi, relativi al condannato con particolare
riferimento all'ambiente sociale e familiare di appartenenza ed alle
risorse personali, familiari, relazionali ed ambientali su cui fondare
un'ipotesi di intervento e di inserimento. Questo è previsto, sia quando
il soggetto è in libertà, svolgendo l'inchiesta di servizio sociale
richiesta dal Tribunale di Sorveglianza, sia quando il soggetto è
detenuto, partecipando al gruppo per l'osservazione scientifica della
personalità e dando il suo contributo di consulenza per elaborare
collegialmente la relazione di sintesi da inviare al Tribunale di
Sorveglianza.
L’ordinanza
La semilibertà viene concessa con provvedimento di ordinanza
- se il soggetto è in libertà, dal Tribunale di Sorveglianza del
luogo in cui ha sede il Pubblico Ministero competente
dell'esecuzione;
- se il soggetto è detenuto, dal Tribunale di Sorveglianza che ha
giurisdizione sull'Istituto di pena in cui è ristretto l'interessato al
momento della presentazione della domanda.
Esecuzione della semilibertà
La semilibertà ha inizio dal momento in cui il Magistrato di
Sorveglianza approva il piano di trattamento provvisorio che il
39
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Direttore dell'Istituto di pena deve predisporre entro cinque giorni
dall'arrivo dell'ordinanza.
Se l'ammissione alla semilibertà riguarda una detenuta madre di un
figlio di età inferiore a tre anni, essa ha diritto di usufruire della casa
per la semilibertà.
Nel programma di trattamento sono indicate le prescrizioni che il
soggetto dovrà sottoscrivere e rispettare in ordine alle attività cui
dovrà dedicarsi fuori dal carcere: il lavoro, i rapporti con la famiglia e
con il Centro di Servizio Sociale, altre attività utili al reinserimento,
ecc.
Durante la misura il programma di trattamento può essere modificato
dal Magistrato di Sorveglianza su segnalazione del Direttore
dell'Istituto di pena.
Al soggetto in semilibertà possono essere concessi i benefici previsti
dalla normativa per tutti i detenuti, e quindi in particolare la
liberazione anticipata (art. 54 o. p.).
Possono altresì essere concesse, a titolo di premio, una o più licenze,
di durata non superiore a complessivi 45 giorni annui (artt. 52 e 53 o.
p.), che vengono fruite in regime di libertà vigilata.
Compiti dell'Ufficio di esecuzione penale esterna nel corso della
misura
L' U.E.P.E. svolge nei confronti dei soggetti in semilibertà i seguenti
compiti ed interventi:
- cura la vigilanza e l'assistenza del soggetto nell'ambiente libero;
- collabora con la Direzione dell'Istituto di pena di pena che
rimane titolare della responsabilità del trattamento;
40
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- riferisce periodicamente al Direttore dell'Istituto di pena
sull'andamento della semilibertà e sulla situazione di vita del
soggetto;
-
fornisce al Direttore dell'Istituto di pena ogni informazione
rilevante ai fini di un'eventuale modifica del programma di
trattamento.
Prosecuzione della misura
Se nel corso della semilibertà sopraggiunge un nuovo titolo di
esecuzione di altra pena detentiva, il Direttore dell'Istituto di pena
informa il Magistrato di Sorveglianza che dispone la prosecuzione
provvisoria della misura se permangono le condizioni per cui era stata
concessa la misura.
Il Magistrato di Sorveglianza trasmette poi gli atti al Tribunale di
Sorveglianza che decide la prosecuzione (o la cessazione) della
misura.
Sospensione della misura
Il Magistrato di Sorveglianza sospende la semilibertà e trasmette gli
atti al Tribunale di Sorveglianza per le decisioni di competenza nei
seguenti casi:
- quando l'Istituto di pena di pena lo informa di un nuovo titolo di
esecuzione di altra pena detentiva che fa venir meno le
condizioni per una prosecuzione provvisoria della misura;
- quando il semilibero attua comportamenti tali da determinare la
revoca della misura.
41
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Revoca della misura
La semilibertà può essere revocata dal Tribunale di Sorveglianza
competente nei seguenti casi:
- in ogni tempo quando il soggetto non sia ritenuto idoneo al
trattamento;
- sopravvenienza di un altro titolo di esecuzione di pena detentiva
che faccia venir meno le condizioni per cui era stata concessa la
semilibertà.
Per il candidato:
- se si assenta per non più di dodici ore dall'Istituto di pena senza
giustificato motivo, è punito in via disciplinare e può essere
proposto per la revoca della misura;
- se si assenta per più di dodici ore è punibile in base al comma 1
dell'art. 385 del c.p. (evasione)39: la denuncia sospende il
beneficio, la condanna comporta la revoca della semilibertà.
Per l'internato:
- se si assenta per oltre tre ore dall'Istituto di pena senza
giustificato motivo è punito in via disciplinare e può subire la
revoca della semilibertà.
1.6- Detenzione domiciliare
La misura alternativa della detenzione domiciliare è stata introdotta
dalla Legge n. 663 del 10/10/198640. Con tale beneficio si è voluto
ampliare l'opportunità delle misure alternative, consentendo la
39
Art 385 –Evasione:”chiunque, essendo legalmente arrestato o detenuto per un reato, evade è
punito con la reclusione da sei mesi ad un anno”. Marino R., Petrucci R., op. cit..
40
Vedi paragrafo 1.1
42
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prosecuzione, per quanto possibile, delle attività di cura, di assistenza
familiare, di istruzione professionale, già in corso nella fase della
custodia cautelare nella propria abitazione (arresti domiciliari) anche
successivamente al passaggio in giudicato della sentenza, evitando
così la carcerazione e le relative conseguenze negative. Occorre
precisare che la detenzione non coincide con gli arresti domiciliari,
infatti questi sono disposti come misura cautelare, cioè hanno una
durata provvisoria e sono applicati prima della condanna definitiva per
esigenze particolari (pericolo di fuga, pericolo di manipolazione delle
prove o di reiterazione del reato). La detenzione domiciliare è
riportata nell’art. 47ter dell’Ordinamento Penitenziario.
La misura consiste nell'esecuzione della pena nella propria abitazione
o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura,
assistenza e accoglienza. Il concetto di privata dimora è molto lato, è
accettato qualsiasi luogo: per esempio è stato ritenuto dai giudici
anche la roulotte parcheggiata in un campo nomadi, purché sia
comunque possibile il controllo da parte dell’autorità di pubblica
sicurezza41.
Requisiti per la concessione della detenzione domiciliare prevista
dall'art. 47 ter comma 1° dell’o.p..
La pena detentiva inflitta, o anche residuo pena, non deve essere
superiore a quattro anni, nei seguenti casi:
- donna incinta o madre di prole di età inferiore ad anni dieci con
lei convivente;
41
Cooperativa San Pietro a Sollicciano, op. cit..
43
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- padre, esercente la potestà, di prole di età inferiore ad anni dieci
con lui convivente, quando la madre sia deceduta o altrimenti
assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole;
- persona in condizioni di salute particolarmente gravi, che
richiedano costanti contatti con i presidi sanitari territoriali;
- persona di età superiore a sessanta anni, se inabile anche
parzialmente;
- persona minore degli anni ventuno per comprovate esigenze di
salute, di studio, di lavoro e di famiglia.
Requisiti per la concessione della detenzione domiciliare prevista
dall'art. 47 ter comma 1° bis dell’o.p..
La pena detentiva inflitta, o anche il residuo di pena, non deve essere
superiore ai due anni, quando:
- non ricorrono i presupposti per l'affidamento in prova al
servizio sociale;
- l'applicazione della misura sia idonea ad evitare il pericolo che
il condannato commetta altri reati;
- non si tratti di condannati che hanno commesso i reati di
particolare gravità specificati nell'art. 4 bis o.p.;
- se tale misura viene revocata la pena residua non può essere
sostituita con altra misura.
Requisiti per la concessione della detenzione domiciliare prevista
dall'art. 47 ter comma 1° ter o.p..
La pena può essere anche superiore ai quattro anni, quando potrebbe
essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo della esecuzione
della pena. I casi di rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena
(art.146 c.p.) sono:
- donna incinta;
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- donna che ha partorito da meno di sei mesi;
- persona affetta da infezione da HIV nei casi di incompatibilità
con lo stato di detenzione.
I casi di rinvio facoltativo dell'esecuzione della pena (art. 147 c.p.)
sono:
- presentazione di una domanda di grazia;
- condizione di grave infermità fisica;
- donna che ha partorito da più di sei mesi, ma da meno di un
anno, e non vi è modo di affidare il figlio ad altri che alla
madre.
Il Tribunale di Sorveglianza dispone l'applicazione della detenzione
domiciliare, stabilendo un termine di durata di tale applicazione, che
può essere prorogato. L'esecuzione della pena prosegue durante
l'esecuzione della misura.
Requisiti per la concessione della detenzione domiciliare prevista
dall'art. 656 C.P.P. comma 10:
la pena detentiva non deve essere superiore a tre anni, anche se
costituisce il residuo di maggiore pena nel caso di soggetto agli arresti
domiciliari per il fatto oggetto della condanna da eseguire. Il Pubblico
Ministero sospende l'esecuzione dell'ordine di carcerazione e trasmette
gli atti senza ritardo al Tribunale di Sorveglianza affinché provveda
senza
formalità
all'eventuale
applicazione
della
detenzione
domiciliare. Fino alla decisione del Tribunale di Sorveglianza il
condannato rimane agli arresti domiciliari e il tempo corrispondente è
considerato come pena espiata a tutti gli effetti. Agli adempimenti
previsti dall'art. 47 ter o.p. provvede in ogni caso il Magistrato di
Sorveglianza.
45
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Con la Legge n. 231 del 12.07.99 che ha introdotto l'art.47 quater, per
i soggetti affetti da AIDS conclamata o da grave deficienza
immunitaria o da altra malattia particolarmente grave, la concessione
della misura alternativa può essere concessa anche oltre i limiti di
pena previsti.
I limiti alla concessione
I detenuti e gli internati per particolari delitti (416bis e 630 c.p.)
possono ottenere la detenzione domiciliare solo se collaborano con la
giustizia (artt. 4bis e 58ter o.p.). I detenuti e gli internati per altri
particolari delitti (commessi per finalità di terrorismo, artt. 575, 628 3°
c., 629 2° c. c.p., ecc.) possono essere ammessi alla detenzione
domiciliare solo se non vi sono elementi tali da far ritenere la
sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva.
Altri limiti e divieti relativi alla concessione delle misure alternative
riguardano i casi di commissione di un delitto doloso di una certa
entità commesso durante un'evasione, un permesso premio, il lavoro
all'esterno o durante una misura alternativa. La legge 231 del 12.07.99
all'art. 5 ha disposto per i soggetti affetti da AIDS conclamata o da
grave deficienza immunitaria o da altra malattia particolarmente
grave, la non applicazione del divieto di concessione dei benefici
previsto per gli internati e coloro che sono detenuti per i reati
dell'art.4-bis della 354/75.
46
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L’istanza di detenzione domiciliare
L'istanza per poter usufruire della detenzione domiciliare deve essere
inviata:
- se il soggetto è in libertà, al Pubblico Ministero della Procura
che ha disposto la sospensione dell'esecuzione della pena. Il
Pubblico
Ministero
trasmette
l'istanza
al
Tribunale
di
Sorveglianza competente che fissa l'udienza;
- se il soggetto è detenuto, al Magistrato di Sorveglianza che può
disporre l'applicazione provvisoria della misura quando sono
presenti i requisiti di cui all'art. 47 ter commi 1 e 1 bis sopra
indicati.
Il
immediatamente
Magistrato
gli
atti
di
al
Sorveglianza
Tribunale
di
trasmette
Sorveglianza
competente che fissa l'udienza.
Se il soggetto è affetto da AIDS conclamata o da grave deficienza
immunitaria o da altra malattia particolarmente grave, l'istanza deve
essere corredata da idonea certificazione. Se l'istanza non è accolta, si
da inizio o riprende l'esecuzione della pena.
Compiti dell' Ufficio di esecuzione penale esterna prima della
concessione
Se il soggetto è in libertà, l’UEPE svolge l'inchiesta di servizio sociale
richiesta dal Tribunale di Sorveglianza; se il soggetto è detenuto,
partecipa al gruppo per l'osservazione scientifica della personalità e dà
il suo contributo di consulenza per elaborare collegialmente la
relazione di sintesi da inviare al Tribunale di Sorveglianza.
In entrambi i casi l'Ufficio di esecuzione penale esterna svolge
un'inchiesta di servizio sociale per fornire al Tribunale di Sorveglianza
47
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o all'Istituto di pena elementi, oggettivi e soggettivi, relativi al
condannato con particolare riferimento all'ambiente sociale e familiare
di appartenenza ed alle risorse personali, familiari ed ambientali.
Ordinanza
La detenzione domiciliare viene concessa con un provvedimento di
ordinanza
•
se il soggetto è in libertà, dal Tribunale di Sorveglianza del
luogo in cui ha sede il pubblico ministero competente
dell'esecuzione;
•
se il soggetto è detenuto, dal Tribunale di Sorveglianza che ha
giurisdizione sull'istituto penitenziario in cui è ristretto
l'interessato al momento della presentazione della domanda.
Il Tribunale di Sorveglianza nel disporre l'applicazione della
detenzione domiciliare:
- stabilisce le prescrizioni per gli arresti domiciliari;
- determina e impartisce le disposizioni per gli interventi dell'
Ufficio di esecuzione penale esterna.
L’esecuzione della detenzione domiciliare
La detenzione domiciliare ha inizio dal momento in cui al soggetto è
notificata l'ordinanza di concessione della misura da parte degli organi
competenti.
Il Magistrato di sorveglianza, competente per il luogo in cui si svolge
la detenzione domiciliare, può modificare le prescrizioni e le
determinazioni impartite. Il soggetto in detenzione domiciliare non è
sottoposto al regime penitenziario previsto dall'o.p. e dal suo
regolamento di esecuzione. Ancora, al soggetto in detenzione
48
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domiciliare, possono essere concessi i benefici previsti dalla
normativa per tutti i detenuti, e quindi in particolare la liberazione
anticipata (art. 54 o.p.). Nessun onere grava sull'amministrazione
penitenziaria per il mantenimento, la cura e l'assistenza medica del
condannato che usufruisce di tale misura.
Compiti dell' Ufficio di esecuzione penale esterna nel corso della
misura
Gli interventi dell' U.E.P.E., nell'ambito dell'applicazione della misura
della detenzione domiciliare riguardano il sostegno, e non il controllo,
che invece è effettuato dagli organi di polizia. L' Ufficio di esecuzione
penale esterna, infatti, in base alle disposizioni impartite dal Tribunale
di Sorveglianza, ha il compito di stabilire validi collegamenti con i
servizi socio-assistenziali del territorio al fine di aiutare il condannato
a superare le difficoltà connesse all'applicazione di tale misura. Se il
beneficio è disposto in base all'art. 5 comma 4 della legge 231/99, gli
Uffici di esecuzione penale esterna debbono svolgere "attività di
sostegno e di controllo circa l'attuazione del programma".
Prosecuzione della misura
Se nel corso della detenzione domiciliare sopraggiunge un nuovo
titolo di esecuzione di altra pena detentiva il Direttore dell' Ufficio di
esecuzione penale esterna informa il Magistrato di Sorveglianza che
dispone la prosecuzione provvisoria della misura se il cumulo delle
pene (in corso di espiazione e da espiare) non supera i limiti di pena
previsti per la misura. Il Magistrato di Sorveglianza trasmette poi gli
atti al Tribunale di Sorveglianza che fissa l'udienza per decidere la
prosecuzione (o la cessazione) della misura.
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Sospensione e revoca della misura
Il Magistrato di Sorveglianza sospende la detenzione domiciliare e
trasmette gli atti al Tribunale di Sorveglianza nei seguenti casi:
- quando vengono a cessare i requisiti indispensabili per
beneficiare della misura;
- quando il soggetto attua comportamenti, contrari alla legge o
alle prescrizioni, ritenuti incompatibili con la prosecuzione della
misura;
- quando il soggetto viene denunciato per violazione dell'art. 385
c.p. (evasione);
- quando l'Ufficio di esecuzione penale esterna informa il
Magistrato di Sorveglianza di un nuovo titolo di esecuzione di
altra pena detentiva che fa venir meno le condizioni per una
prosecuzione provvisoria della misura (art. 51 bis o.p.).
Il Tribunale di Sorveglianza fissa l'udienza per il procedimento di
revoca e decide sull'accoglimento o il rigetto della proposta del
Magistrato di Sorveglianza.
1.7- Liberazione condizionale
La liberazione condizionale consiste nella possibilità di concludere la
pena all'esterno del carcere in regime di libertà vigilata che consiste in
una limitazione della libertà personale del soggetto. È pensata
soprattutto per le pene di lunga durata. Al soggetto che abbia scontato
parte della pena e che abbia tenuto un comportamento tale da far
ritenere sicuro il suo ravvedimento, viene concesso il beneficio di
trascorrere all’esterno del carcere la parte residua della pena, a
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condizione che non commetta nessun reato e rispetti alcune
prescrizioni (art 176 del c.p.).
I requisiti giuridici per la concessione sono:
- avere scontato almeno trenta mesi o comunque almeno metà
della pena, se la pena residua non superi i cinque anni;
- avere scontato almeno quattro anni di pena e non meno di tre
quarti della pena inflitta, in caso di recidiva aggravata o
reiterata;
- avere scontato almeno ventisei anni di pena in caso di condanna
all'ergastolo;
- aver scontato almeno due terzi della pena, fermi restando gli
ulteriori requisiti e limiti sanciti dall'art. 176 c.p., in caso di
condanna per i delitti di cui all'art. 4bis L. 354/75.
I requisiti soggettivi per la concessione sono:
- aver tenuto un comportamento tale da far ritenere sicuro il
proprio ravvedimento;
- avere assolto le obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che
il condannato dimostri di trovarsi nell'impossibilità di
adempierle;
- la liberazione condizionale può essere chiesta in qualunque
momento dell'esecuzione dai condannati che abbiano commesso
il delitto da minori di anni 18;
- Se la liberazione non è concessa per difetto del requisito del
ravvedimento, la richiesta non può essere riproposta prima che
siano decorsi sei mesi dal giorno in cui è divenuto irrevocabile
il provvedimento di rigetto.
51
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L’istanza di liberazione condizionale
L'istanza, per usufruire della liberazione condizionale deve essere
inviata, corredata dalla documentazione necessaria, al Direttore del
carcere. Il Direttore del carcere trasmette al Tribunale di Sorveglianza
la domanda o la proposta di liberazione condizionale.
Compiti dell’Ufficio di esecuzione penale esterna prima della
concessione della misura
L' Ufficio di esecuzione penale esterna partecipa al gruppo per
l'osservazione scientifica della personalità e dà il suo contributo per
elaborare collegialmente la relazione di sintesi da inviare al Tribunale
di Sorveglianza. In particolare l' Ufficio di esecuzione penale esterna
svolge un'inchiesta di servizio sociale per fornire all'istituto, e tramite
esso, al Tribunale di Sorveglianza, elementi, oggettivi e soggettivi,
relativi al condannato con particolare riferimento all'ambiente sociale
e familiare di appartenenza ed alle risorse personali, familiari,
relazionali ed ambientali su cui fondare un'ipotesi di intervento e di
inserimento.
L’ordinanza
La liberazione condizionale viene concessa con provvedimento di
ordinanza dal Tribunale di Sorveglianza che ha giurisdizione
sull'istituto penitenziario in cui è ristretto l'interessato al momento
della
L'ordinanza
presentazione
di
concessione
della
della
liberazione
domanda.
condizionale
è
comunicata al Magistrato di Sorveglianza ed all' Ufficio di esecuzione
penale esterna del luogo dove si esegue la libertà vigilata.
52
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Le prescrizioni
Nell’ordinanza che dispone la liberazione condizionale, è previsto un
termine entro il quale l’interessato, dopo la scarcerazione, dovrà
recarsi presso l’ufficio di sorveglianza perché il magistrato gli
comunichi le prescrizioni. Le prescrizioni non sono indicate
espressamente dalla legge, proprio per poter essere individualizzate in
relazione al caso concreto. Tuttavia è possibile individuarne alcune,
secondo la prassi del Magistrato di Sorveglianza (organo competente
per fissare le prescrizioni): l’obbligo di trovare un lavoro stabile,di
non ritirarsi dopo una certa ora e di non uscire la mattina prima di una
certa ora, di non accompagnarsi a pregiudicati, di tenere i contatti con
l’UEPE, di presentarsi al Magistrato di Sorveglianza quando richiesto.
Compiti dell’ufficio di esecuzione penale esterna nel corso della
misura
Nei confronti delle persone sottoposte al regime di libertà vigilata da
liberazione condizionale, l'U.E.P.E. svolge gli interventi previsti per la
libertà vigilata.
La revoca della misura
La liberazione condizionale può essere revocata dal Tribunale di
Sorveglianza, a seguito di proposta di revoca da parte del Magistrato
di Sorveglianza, nei seguenti casi:
- qualora la persona liberata commetta un reato o una
contravvenzione della stessa indole;
- qualora trasgredisca gli obblighi previsti dalla libertà vigilata.
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Conclusione della misura
La liberazione condizionale si conclude automaticamente una volta
decorso tutto il tempo della pena inflitta, ovvero dopo cinque anni
dalla data del provvedimento di liberazione condizionale, se si tratta di
condannato all'ergastolo, sempre che non sia intervenuta alcuna causa
di revoca42.
1.8- L’osservazione e il trattamento nella misura alternativa
L’osservazione del detenuto in carcere e la successiva stesura del
programma riabilitativo, è un approccio metodologico che investe più
campi d’indagine fra più operatori ed esperti del trattamento, i quali in
equipe, stendono il programma di trattamento, attraverso un
osservazione scientifica della personalità, analizzando le cause che lo
hanno condotto a commettere i reati in espiazione, e valutando le varie
tappe della vita personale e detentiva, per individuare così i processi
modificativi della sua personalità.
L’osservazione e la stesura del programma sono compito di un gruppo
detto G.O.T. (Gruppo di Osservazione e Trattamento), presieduto dal
direttore e composto dal personale penitenziario ed esperti. In
particolare il G.O.T. oltre che dal direttore è costituito dal personale di
amministrazione del penitenziario come glie educatori, gli assistenti
sociali, il medico, il comandante di reparto della polizia penitenziaria,
insieme ad esperti esterni all’amministrazione come lo psicologo e il
42
Non verrà trattata, per le poca rilevanza quantitativa delle concessioni, all’interno di questo
lavoro la misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale per i condannati militari,
che ha l’obiettivo di evitare il carcere ai soggetti che si rifiutano di prestare sia il servizio militare
di leva sia il servizio sostitutivo civile. La normativa (Legge n. 167/83) rimanda alla
regolamentazione prevista dall'art. 47della Legge 354 del 1975 per l'affidamento in prova al
servizio sociale.
54
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criminologo e tutti coloro che stabiliscono contatti con il detenuto
(volontari, insegnanti, ecc). Ognuna di queste figure fornisce un
contributo legato alla sua professionalità. Alla fine dell’osservazione il
G.O.T. stila una relazione di sintesi, frutto della collaborazione della
diverse figure, diretta ad individuare le cause del disadattamento,
permettendo così di stabilire il trattamento più indicato per quella
persona. Successivamente il Magistrato di Sorveglianza valuterà il
programma e in base a questo prenderà le decisioni in merito ad
eventuali benefici (misure alternative, permessi premio, ecc…).
L’importanza del lavoro svolto da questa equipe è emerso anche
durante un colloquio avuto con il presidente della Quarta
Commissione del Comune di Firenze, la Sig.ra Susanna Agostini43,
secondo la quale sarebbe opportuna una stretta collaborazione fra gli
operatori che fanno parte del GOT e lo stesso detenuto nella stesura
del programma di trattamento. In particolar modo è emersa, in questo
colloquio, l’importanza della figura del volontario all’interno del
carcere. Il volontario è colui che si impegna, nel limite delle sue
possibilità, a trovare un lavoro o un alloggio alla persona che ha fatto
richiesta per la misura alternativa, nel caso in cui questa non abbia
all’esterno alcun sostegno familiare o sociale. La Sig.ra Agostini
suggerisce una formazione e una preparazione proprio per la figura del
volontario affinché sia in grado di valutare le opportunità migliori da
offrire al detenuto e di valutare la comprensione e la consapevolezza,
di quest’ultimo, del significato della misura alternativa.
La figura del volontario è importante oggi all’interno dell’ambiente
carcerario, in quanto può offrire un supporto alla grande mole di
43
L’incontro è avvenuto presso l’ufficio della IV Commissione, politiche sociali e della salute, del
Comune di Firenze a Palazzo Vecchio il 13 marzo 2008.
55
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lavoro degli operatori che tendono ad essere sempre meno in
corrispondenza dell’elevato numero dei detenuti.
Come suggerisce lo stesso acronimo del G.O.T, il servizio che il
sistema giuridico e il sistema penitenziario offrono al detenuto si
riferisce all’osservazione e alla rieducazione. Lo stesso è chiaramente
descritto nella prima legge (26 luglio 1975, n.354) riguardante le
“norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure
privative e limitative della libertà” (già citata precedentemente)
attraverso i seguenti articoli:
“Art. 1 – Trattamento e rieducazione: Il trattamento penitenziario
deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della
dignità della persona (..) Nei confronti dei condannati e degli
internati deve essere attuato un trattamento rieducativi che tenda,
anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al reinserimento
sociale degli stessi. Il trattamento è attuato secondo un criterio di
individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti.
Art. 13 – Individualizzazione del trattamento: Il trattamento
penitenziario deve rispondere ai particolari bisogni della personalità
di ciascun soggetto. Nei confronti dei condannati e degli internati è
predisposta l’osservazione scientifica della personalità per rilevare le
carenze fisiopsichiche e le altre cause del disadattamento sociale.
L’osservazione è compiuta all’inizio dell’esecuzione e proseguita nel
corso di essa. Per ciascun condannato e internato, in base ai risultati
dell’osservazione, sono formulate indicazioni in merito al trattamento
rieducativo da effettuare ed è compilato il relativo programma, che è
integrato e modificato secondo le esigenze che si prospettano nel
corso dell’esecuzione (…) Deve essere favorita la collaborazione dei
condannati e degli internati alle attività di osservazione e trattamento.
56
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Art. 80 – (…) Per lo svolgimento delle attività di osservazione e di
trattamento, l’amministrazione penitenziaria può avvalersi di
professionisti esperti in psicologia, servizio sociale, pedagogia,
psichiatria e criminologia clinica (…)”.
Da sottolineare la dualità del servizio offerto al detenuto: osservazione
e trattamento.
Ogni misura alternativa, e dunque ogni programma terapeutico, va
costruita partendo dal contesto reale entro il quale si svilupperà e dal
grado di comprensione o, se è possibile, dal grado di consapevolezza
di bisogno di trattamento raggiunto dal detenuto beneficiario. La fase
di osservazione prevede (o dovrebbe prevedere) un lavoro anche di
riflessione e di preparazione alle misure alternative, di consapevolezza
dell’obiettivo della misura, delle aspettative, delle risorse disponibili
(sociali, familiari, personali) ed i rischi connessi. Affinché il
successivo programma di trattamento venga rispettato è necessario
quindi, oltre che sia individualizzato, che il detenuto ne concepisca il
significato. Si rischia altrimenti che la persona scarcerata si attenga
soltanto a quanto è stato stabilito frettolosamente dalle prescrizioni e
dal programma di risocializzazione, riuscendo a trascorrere fuori dal
carcere parte della sua pena, raggiungendo il solo obiettivo di aderire a
quanto prescritto, che sia stato più o meno capito e condiviso44.
Per quanto riguarda invece il trattamento, Fornari afferma che
un’autonomia viene riconosciuta allo specialista solo nell’ambito
dell’osservazione scientifica della personalità, con subordinazione
per quanto concerne il problema dell’intervento rieducativo. Lo
specialista […] viene relegato ad un mero compito tecnico –
consultivo, con funzione limitata alla esecuzione di mere competenze
44
Ferrario G., Campostrini F., Polli C.; op. cit., pp.78-79.
57
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scientifiche45. Oggi rischia di accadere che il concetto di trattamento
come intervento personalizzato, socioterapico o psicoterapico, mirato
alla risocializzazione, perda terreno e venga inteso invece come
applicazione o meno delle misure alternative, o come indicazione
delle modalità con cui scontare la pena. L’intervento degli esperti
menzionati sopra tende ad essere maggiormente indirizzato al
momento valutativo-prognostico che non a quello del trattamento
clinico46, nel paragrafo successivo sarà spiegato il ruolo del
criminologo clinico. Le misure alternative alla detenzione rischiano di
essere utilizzate come strumento rieducativo e non come mezzo
rieducativo che pone l’individuo in una condizione tale da permettere
l’attuazione del programma di trattamento per lui individualizzato,
fuori da un contesto criminogenetico quale è il carcere.
1.8.1 Il ruolo del criminologo clinico
Abbiamo visto come anche il criminologo prende parte all’attività del
G.O.T. L’operato del criminologo clinico può essere distinto in due
momenti: a) quello relativo al suo “ruolo terapeutico o trattamentale,
cioè quello di fornitore di un servizio, su richiesta del reo, per
soddisfare i suoi bisogni di aiuto psicologico, di chiarificazione
interiore, di programmazione o revisione dei progetti di vita, di
consiglio ed anche per effettuare attività programmate nell’ambito
dell’istituzione carceraria per finalità educative collettive, discussioni
o dibattiti; b) vi è poi, invece, il ruolo di osservazione, valutazione e
prognosi, su mandato dell’autorità carceraria o giudiziaria, e
45
Fornari U.; op.cit., p.101.
Merzagora I., Il colloquio criminologico.Il momento diagnostico e valutativo in criminologia
clinica, Edizioni Unicopli, 1987 Milano, pp.16-17.
46
58
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definibile quindi anche come ruolo tecnico-istituzionale.47 Anche
l’intervento del criminologo clinico è maggiormente indirizzato al
momento valutativo-prognostico e non a quello di tecnico del
trattamento clinico.
Lo strumento utilizzato dal criminologo clinico in questa fase è il
colloquio criminologico al quale può essere data la seguente
definizione: il colloquio crimnologico è una tecnica di comunicazione,
che si svolge in una situazione istituzionale, che ha come antecedente
il fatto che l’intervistato abbia commesso un reato, e che ha come
scopo di fornire ad altri che hanno su di lui autorità, informazioni
sulla sua personalità in relazione alla genesi e alla dinamica del
reato, alle indicazioni per il suo trattamento, ed alla previsione del
comportamento futuro.48
Il
colloquio
criminologico
non
ha
finalità
terapeutiche
o
principalmente terapeutiche. Se nei colloqui psichiatrici e psicologici,
lo scopo principale è quello di saturazione del bisogno o dei bisogni
del cliente49, nel colloquio criminologico, sia in ambito peritale che in
ambito carcerario, il mandato del criminologo non è principalmente
quello di essere di aiuto alla persona. Alla base di un colloquio
psicologico vi è la ricerca di aiuto da parte del paziente che si trova in
una situazione di bisogno e disagio psicologico. La persona rivelerà,
guidata dallo psicologo, tutto ciò che è necessario per arrivare a
comprendere
gli
eventi
passati
della
sua
vita
e
trarre
un’interpretazione di queste. Da qui poi vi è un’analisi e
47
Merzagora I., op. cit., p. 18.
Merzagora I., op cit., pp. 18-19.
49
Pandolfi, in: Quadrio A., Ugazio V., (a cura di), Il colloquio in psicologia clinica e sociale.
Prospettive teoriche e applicative, Franco Angeli Editore, 1983, Milano, p. 159.
48
59
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interpretazione delle problematiche presentate dal paziente, attraverso
una stretta collaborazione fra le due figure, lo psicologo e il paziente.
Il colloquio criminologico non è invece caratterizzato dalla richiesta di
aiuto da parte dell’autore di un reato e non ha la finalità di indurre dei
cambiamenti nel soggetto. Ha solo l’obiettivo di raccogliere le
informazioni necessarie per valutare le cause del suo comportamento
deviante. È opportuno che venga tenuto in mente, sia perché lo stesso
criminologo non venga meno nei confronti della committenza al suo
mandato sociale, sia per non ingannare chi sta di fronte, inducendolo a
confessioni inopportune o creargli delle aspettative che non possono
essere soddisfatte50.
50
Merzagora I.; op. cit., p. 24.
60
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2- DOPO LE MISURE ALTERNATIVE: RECIDIVA O
RIEDUCAZIONE?
È ormai chiaro che le misure alternative alla detenzione,
dall’affidamento in prova alla semidetenzione, vengono applicate al
fine di offrire al detenuto una possibilità di reinserimento sociale che
preveda un lavoro e un equilibrio, diversi da quelli che lo hanno
portato a compiere il reato. Questo è in linea generale quello che
dovrebbe accadere in seguito alle misure alternative, ma realmente
l’obiettivo della riabilitazione è raggiunto? Gli ex detenuti che
usufruiscono della misura alternativa intraprendono, poi, un percorso
di vita lontano da quello passato applicando le risorse del supporto
offerto dalla riabilitazione? Le misure alternative funzionano?
Partiamo introducendo il concetto di recidiva: aumento della pena per
chi, dopo essere stato condannato per un reato, ne commette un altro,
della stessa indole o di indole diversa rispetto al precedente51. Ma la
recidiva può essere definita anche secondo altri criteri. In ambito
penitenziario si può parlare di recidiva nel caso in cui un soggetto si
trova in carcere o in misura alternativa, dopo esservi già stato per
scontare una o più condanne. Possiamo interpretare il concetto di
recidiva quindi sia come un aspetto problematico dell’individuo che
ricade
nel
comportamento
criminale,
sia
come
un
aspetto
problematico della struttura penitenziaria che non ha portato a termine
l’obiettivo di reinserimento sociale del condannato52. Se un individuo
commette recidiva vuol dire che, durante l’esecuzione della sanzione
51
52
La definizione di recidiva è possibile trovarla negli artt. 99-101 del c.p..
Vedi appendice 1.
61
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penale applicatagli, non è stato raggiunto il fine del processo di
risocializzazione e riabilitazione a cui deve tendere la pena53.
All’interno di questo lavoro, il significato affidato alla recidiva è
quello espresso nell’art. 99 del c.p., e nel contempo essa verrà
utilizzata come metro di misura per valutare se, nel concreto, le
misure alternative alla detenzione abbiano un’efficacia preventiva e
risocializzante, se al loro termine i soggetti sono indotti ad evitare
ricadute in comportamenti devianti. In particolare sarà posta
l’attenzione a quelle ricerche che offrono percentuali di recidiva dopo
la fine della misura alternativa54, in particolare ricerche che
permettano di confrontare la percentuale dei recidivi fra i soggetti che
sono arrivati a fine pena dopo la misura alternativa, con la percentuale
di recidiva fra i soggetti che sono arrivati a fine pena con il carcere.
Saranno riportati i dati statistici di ricerche effettuate sia a livello
nazionale, sia nell’ambito della Regione Toscana e del territorio
fiorentino.
È importante prima di procedere, sottolineare il fatto che in genere le
ricerche ed i dati offerti sulle misure alternative alla detenzione
tendono a rilevare solo quelle cifre relative all’andamento quantitativo
delle misure alternative e della recidiva, centrando l’attenzione sul
tipo di misura, lo status del soggetto al momento della concessione
(libero o già detenuto), la suddivisione per regioni ecc…. Sarebbero
invece interessanti ricerche volte alla valutazione delle variabili che
influenzano (e quindi sono causa) della recidiva, uno studio che
sarebbe più di tipo qualitativo che quantitativo, più centrato
53
Art. 27 Costituzione della Repubblica.
In letteratura sono presenti anche ricerche che offrono informazioni riguardo alla recidiva
compiuta durante la misura alternativa, ma ho ritenuto più opportuno raccogliere i dati su recidive
in cui l’intero programma di trattamento per la risocializzazione fosse concluso.
54
62
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sull’individuo.
Sicuramente
un
tipo
di
ricerca
del
genere
necessiterebbe di elevate risorse economiche e di tempo, ma potrebbe
apportare suggerimenti utili proprio nella fase in cui viene steso il
programma di trattamento.
2.1- I dati nazionali
Prima di illustrare i dati sulla recidiva relativi alla ricerca riportata da
Fabrizio Leonardi55 (vedi appendice 1), che è riferita agli anni fra
1998 e 2005, ho ritenuto opportuno illustrare alcuni dati sulle misura
alternative a livello nazionale riferite all’anno 200756. I dati sono
raccolti dagli Uffici di esecuzione penale esterna e poi pubblicati sul
sito del Ministero di Grazia e Giustizia57.
Bisogna ricordare che a metà 2006 è stato applicato il provvedimento
dell’indulto58, che ha ridotto il numero delle misure alternative in
esecuzione59.
I dati percentuali riferiti alle misure alternative si riferiscono ai casi
pervenuti nell’arco del periodo di osservazione, più i casi in carico al
1 gennaio 2007. Inoltre in questi dati il metro di misura riportato per
valutare il fallimento della misura alternativa è la revoca. La revoca
può essere dovuta ad un andamento negativo della misura, al
55
Direttore dell’Osservatorio delle misure alternative alla detenzione presso la Direzione Generale
dell’esecuzione penale esterna.
56
Per un maggiore approfondimento dei dati sulle misure alternative, relativi alla loro
distribuzione ed al loro andamento negli anni precedenti (dal 1999 al 2006) vedi il lavoro “Misure
alternative e recidiva: il caso della Toscana” di Elena Garosi, presente all’interno della
pubblicazione “Ordine e disordine” a cura della Fondazione Michelacci, disponibile sul sito
internet della fondazione http://www.michelucci.it..
57
Vedi sezione pianeta carcere sezione statistiche su http://www.giustizia.it
58
Art. 174 c.p.. –Indulto e grazia- L’indulto o la grazia condona, in tutto o in parte, la pena
inflitta, o la commuta in un’altra specie di pena stabilita dalla legge. […]; Marino R., Petrucci R.;
op. cit..
59
Gli individui in misura alternativa come precedentemente descritto sono a fine pena, l’indulto
viene concesso a soggetti che sono a fine pena, quindi ne hanno usufruito sia coloro che erano in
misura alternativa, sia chi erano prossimi ad avere i requisiti giuridici per la concessione.
63
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sopraggiungere di una nuova posizione giuridica, per la commissione
di un nuovo reato, per irreperibilità, o per altri motivi.
Ancora i dati relativi alla revoca sono riferiti esclusivamente agli
affidamenti in prova, non sono presi in considerazione invece le altre
misure alternative (quali la detenzione domiciliare, la semidetenzione,
la liberazione anticipata).
Come riportato nella tabella n. 1, le misure alternative concesse sono
in
totale
10.389
(fra
affidamenti,
semilibertà
e
detenzione
domiciliare). Di questi 5.126 sono gli affidamenti in prova, 1.398 le
concessioni di semilibertà e 3.865 le detenzioni domiciliari. Nella
stessa tabella sono riportate le percentuali di revoche. Le revoche per
andamento negativo sono il 4,20%60
61
,
le revoche per il
sopraggiungere di una nuova posizione giuridica, e quindi per la
mancanza dei requisiti giuridico-penali previsti, sono il 2,10%, le
revoche per la commissione di reati durante la misura alternativa sono
lo 0,31%, le revoche per irreperibilità sono lo 0,18%, le revoche per
altri motivi sono dello 0,18%.
Analizzando questi dati si può osservare che la recidiva (intesa come
revoca della misura stessa) fra i soggetti in misura alternativa è molto
bassa, quindi stando a questi dati le misure alternative alla detenzione
raggiungerebbero il loro scopo preventivo e risocializzante.
60
Sul totale di 10.389 delle misure alternative pervenute nel periodo di osservazione, più le prese
in carico al 1 gennaio 2007, fra affidamenti in prova al servizio sociale, semilibertà, detenzione
domiciliare.
61
Da ricordare che la revoca per andamento negativo insorge per un comportamento che non
ottempera le prescrizioni e dipende dal fatto colpevole del soggetto, qui sarà la Magistratura di
Sorveglianza che deciderà se e come proseguire la misura, e quale parte della pena debba essere
considerata espiata.
64
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La ricerca illustrata da Fabrizio Leonardi (appendice 1) invece ha
come oggetto gli affidati in prova al servizio sociale con affidamento
ordinario, militare e in casi particolari, ed esamina i casi, fra questi,
archiviati nel 1998 e coloro che entro il 2005 hanno subito una nuova
condanna iscritta nel Casellario giudiziale.
Nel 1998 gli affidamenti in prova al servizio sociale erano il 78,23%
di tutti i casi di misure alternative seguiti dai CSSA (Centri di servizio
sociale per adulti, gli UEPE di oggi). Dei 27.651 casi seguiti nel 1998
dai CSSA, 15.711 erano stati presi in carico nel corso dell’anno, i
restanti 11.940 erano una prosecuzione di una misura che aveva avuto
inizio negli anni precedenti. Nel corso della ricerca sono stati
esaminati 8.817 casi e di questi sono risultati recidivi 1.677, pari al
19% del campione della ricerca. Importante è l’analisi effettuata nella
ricerca dell’intervallo temporale, cioè il numero di mesi trascorsi tra la
fine della misura e la data di commissione di un nuovo reato.
L’intervallo temporale era stabilito fra 0 e 81 mesi, già dopo 54 mesi il
90% dei recidivi62 aveva commesso un nuovo reato, in media i
soggetti in esame hanno commesso un nuovo reato dopo 25 mesi. Un
quarto dei recidivi aveva commesso un nuovo reato dopo un anno, la
metà dopo soli 21 mesi, e ben il 75% dopo 37 mesi. Come si può
osservare l’andamento la percentuale di recidivi mostra una
correlazione positiva con l’aumento dell’intervallo di tempo fra il
termine della misura alternativa e il nuovo reato63.
Valutiamo adesso la percentuale dei soggetti recidivi che sono arrivati
a fine pena attraverso il carcere. Nel 1998 sono stati scarcerati 5.772
62
Ricordiamo che questa percentuale è riferita ai 1.677 recidivi sugli 8.817 soggetti interessati
dalla ricerca.
63
Per esaminare il grafico relativo si veda appendice 1. L’appendice 1, poiché rappresentata da un
documento in pdf, non seguirà la numerazione delle pagine precedenti.
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condannati, 3951 di questi, cioè il 68, 45% hanno fatto rientro in
carcere una o più volte e hanno avuto una sentenza di condanna
definitiva per nuovi reati64 indipendentemente dall’applicazione
dell’art.99 c.p.. In questo caso Leonardi li considera i recidivi in senso
penitenziario.
Se confrontiamo i dati di questa ricerca possiamo vedere che tra gli
8.817 soggetti del campione della ricerca (soggetti in misura
alternativa al 1998), solo il 19% commette recidiva, mentre fra i
detenuti scarcerati il 68, 45%65. Stando a queste informazioni fino al
2005 la misura alternativa possiamo dire che raggiungeva il suo scopo
di strumento volto alla prevenzione e alla risocializzazione del
soggetto. Mentre sarebbe dimostrato che la semplice detenzione non
“tenderebbe alla rieducazione” del soggetto, ma a far commettere un
nuovo reato.
Questi dati riguardano il quadro nazionale, andiamo adesso a valutare
i dati pervenuti dalle ricerche a livello regionale, riguardanti un
territorio più ristretto.
2.2- Le ricerche su base regionale: la Toscana
I dati sulle misure alternative e la recidiva in Toscana sono stati
ricavati dalla ricerca effettuata da Elena Garosi e riportata
nell’Osservatorio della Fondazione Michelucci 2007.
Nel grafico 1 è riportato l’andamento delle misure alternative
concesse negli anni tra il 2001 e il 2006, i dati si riferiscono a dati
assoluti. I dati presi in esame si riferiscono agli ex CSSA, adesso
64
Vedi grafico in appendice 1
Non è chiaro se la recidiva è valutata nel corso degli anni dalla scarcerazione fino al 2005, come
per i soggetti in misura alternativa.
65
67
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UEPE, di Firenze (che comprende anche i casi di Prato, Pistoia,
Arezzo), Siena, Livorno, Pisa (che comprende anche i casi di Lucca),
non è stato preso in considerazione Massa, perché per alcuni anni i
dati sono stati riportati insieme a La Spezia. È possibile notare come
nel primo semestre del 2006 i casi di misura alternativa seguiti erano
98366, ma dopo l’indulto67 (agosto 2006, legge n. 241/06) arrivano ad
essere 18068, una riduzione molto elevata. Dallo stesso grafico 1 si può
osservare che la diminuzione significativa del numero di misure
alternative è dovuta in larga misura alla diminuzione dei casi di
affidamento in prova al servizio sociale, mentre il numero delle altre
misure diminuisce in modo più lieve. Questo è anche dovuto al fatto
che in generale l’affidamento in prova al servizio sociale è una delle
misure alternative alla detenzione più concessa in Toscana con una
percentuale del 70% nel primo semestre del 2006, sul totale dei casi di
misure alternative concesse nella regione (vedi tabella 2). Il ricorso
all’affidamento in Toscana risulta leggermente maggiore al rispetto al
dato nazionale che si attesta, per il 2006, su un valore del 65%.
Prima di procedere con la ricerca relativa all’andamento della recidiva
in Toscana è importante riflettere sulla brusca flessione che si è
verificata dopo l’indulto, e su cui si può porre un interrogativo: che
fine hanno avuto i programmi di risocializzazione dei soggetti in
misura alternativa toccati dall’indulto69? Il trattamento si è interrotto,
l’individuo non è stato, probabilmente, in grado di provvedere a
crearsi una condizione lavorativa, a procurarsi un domicilio (nel caso
in cui non ce l’avesse), insomma tutte quegli elementi necessari per
66
I dati si riferiscono al 30 giugno 2006.
Art. 174 c.p..
68
I dati si riferiscono al 1 gennaio 2007.
69
Ivi nota 58.
67
68
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ristabilire un determinato equilibrio, per mancanza di tempo. Questo
sostegno, durante la misura alternativa era concesso dagli UEPE, dagli
assistenti sociali e dalle associazioni di volontariato. Quindi non
sarebbe possibile per questi casi, anche avendo i dati a disposizione,
valutare l’efficacia preventiva delle misure alternative, visto che il
loro programma risocializzante è stato interrotto.
Dopo aver rilevato l’andamento delle misure alternative in carico
negli anni tra il 2001 e il 2006, presso i CSSA della regione Toscana,
verranno adesso riportati i dati della ricerca sulla recidiva nella
regione. Questa indagine è stata condotta prendendo in considerazione
la più diffusa fra le misure alternative alla detenzione, cioè
l’affidamento in prova al servizio sociale.
Grafico 1- Andamento casi di misure alternative seguite in Toscana70
70
I dati sono stati rilevati in momenti differenti di ciascun anno preso in considerazione. In
particolare, per gli anni 2001, 2002, 2003 e 2006-1° semestre i dati corrispondono ai casi in carico
al 30 giugno di ciascun anno; i dati per il 2004 e il 2006-2° semestre corrispondono ai casi in
carico al 1° gennaio dell’anno successivo (ovvero 2005 e 2007); per il 2005, infine, i dati
corrispondono ai casi in carico al 31 dicembre. Per gli affidamenti in prova, non sono stati
conteggiati i pochi casi di affidamenti militari.
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Tabella 2- Percentuali relative al grafico 2. *i dati sono relativi al 30/06 **dati relativi al
01/01 ***dati relativi al 31/12
Misure
2001*
2002*
2003*
2004** 2005***
alternative
2006 I
2006 II
semestre* semestre**
Affidamento
75%
69%
67%
77%
70%
70%
46%
in prova
N=946
N=946
N=1093
N=691
N=789
N=703
N=82
Semilibertà
9%
10%
10%
9%
10%
10%
26%
Detenzione
16%
21%
21%
18%
20%
20%
28%
N=983
N=180
domiciliare
Totale (N)
N=1.266 N=1.377 N=1.635 N=1.084 N=998
Le informazioni utilizzate nella ricerca, provengono da fonti
documentali71 e questo ha permesso di condurre un’indagine che
andasse per lo più a descrivere l’aspetto quantitativo della recidiva tra
gli affidati in prova al servizio sociale, tralasciando quelle variabili di
tipo sociale e individuale che possono influenzare l’andamento della
misura ed il percorso di vita della persona, portandolo eventualmente
alla ricaduta in un comportamento antisociale.
Inizialmente
i
protagonisti
della
ricerca
comprendevano
gli
affidamenti in prova dichiarati estinti dal nel 1999 (l’80% dei casi),
nel 2000 (l’1% dei casi) e (la restante percentuale) negli anni
precedenti al 199972. Il totale delle declaratorie di estinzione era di
1.022; tra queste 727 (71%) erano affidamenti ordinari e 295 (29%)
erano affidamenti terapeutici. Successivamente l’analisi si è ristretta
ad un sotto-gruppo di 250 soggetti (corrispondenti, all’incirca, ad ¼
71
Le informazioni sono state ricavate dal Tribuna di Sorveglianza di Firenze e dalle collezioni
delle declaratorie di estinzione e delle ordinanze di concessione degli affidamenti in prova, gestiti
dagli ex CSSA di Firenze (Arezzo, Prato, Pistoia), Livorno, Pisa (Lucca) e Siena.
72
Le fonti dei dati per questa prima fase della rilevazione, erano costituite dalle declaratorie di
estinzione degli affidamenti in prova, conclusisi con esito positivo e dalle corrispondenti ordinanze
di concessione dell’affidamento, che dovevano risalire al massimo al 1996.
70
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dell’intero
universo
di
riferimento),
che
avevano
concluso
l’affidamento in prova nel corso del primo trimestre del 2000.
In questo modo i ricercatori hanno avuto a disposizione almeno 6 anni
dopo la fine dell’affidamento, per individuare eventuali episodi di
recidiva.
Dall’analisi dei dati relativi a questo sotto-gruppo è risultato che: la
durata media della misura è di 11 mesi e mezzo. L’80% delle misure
si è concluso nel 1999, il 15% nel 1998, il 3% nel 1997, l’1% nel 2000
e il restante 1% in anni precedenti (1994 e 1996).
L’ex CSSA di Firenze risulta occuparsi di oltre l’80% degli
affidamenti in Toscana, seguito da Siena (7%), Pisa (6%) e Livorno
(5%).
Tra i 250 casi sono risultati validi 232, in quanto sono stati esclusi 13
casi di soggetti deceduti e 5 casi per cui il certificato penale risultava
come “scheda nulla”.
La recidiva è risultata pari al 27% (sui 232 casi risultati validi), un
valore di 8 punti percentuali superiore rispetto al dato nazionale
registrato da Leonardi (2006) e di 5 punti percentuali superiore
rispetto al dato rilevato da Santoro e Tucci73 per la regione Toscana,
nel periodo 1998-2004.
Importante ricordare che, nel caso della Toscana, non sono confrontati
i dati con le percentuali di recidivi fra i soggetti che sono arrivati a
fine pena in carcere.
I recidivi che hanno usufruito di un affidamento in prova sono risultati
tendenzialmente uomini, con un’età compresa tra i 30 e i 39 anni (in
73
La ricerca Progetto misura è descritta all’interno del documento scritto da Eleonora Garosi,
Misure alternative e recidiva: il caso della Toscana, p. 184, all’interno della pubblicazione del
2007 Ordine e disordine della Fondazione Michelucci, consultabile sul sito
http://www.michelucci.it.
71
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generale l’andamento della recidiva è inversamente proporzionale
all’aumento dell’età), stranieri74, con precedenti penali, con problemi
di alcool o tossicodipendenza, che commettono delitti contro il
patrimonio o in violazione della normativa sugli stupefacenti e che
hanno avuto almeno un’esperienza di carcerazione. Ancora è risultato
che tra gli affidati provenienti dalla libertà solo il 25% è risultato
recidivo; il valore sale al 38% per gli affidati provenienti dalla
detenzione, evidenziando il peso dell’esperienza della carcerazione
sulla ricaduta in comportamenti devianti.
Il profilo del recidivo che emerge dall’analisi dei dati sembra
confermare i risultati della ricerca effettuata da Leopardi a livello
nazionale e riportata nel paragrafo 2.1.
2.3- I numeri sul territorio fiorentino
I dati relativi alle misure alternative riguardanti il Tribunale di
Sorveglianza di Firenze, sono raccolti dalla relazione del Garante dei
diritti delle persone private della libertà personale del Comune di
Firenze, Franco Corleone75. In particolare questi dati sono stati forniti
direttamente dal Tribunale di Sorveglianza di Firenze e commentati
dal Presidente della Fondazione Michelucci, Alessandro Margara76.
I dati più recenti si riferiscono al primo semestre 2007. I dati su cui
sarà posta l’attenzione riguardano le revoche delle misure avute in
74
Su un totale di 63 persone recidive (su 232), il 43% sono stranieri e il 27% italiani.
F. Corleone è il Garante per i diritti delle persone private della libertà personale del Comune di
Firenze che ha il compito di valutare la veridicità delle contestazioni della persona privata della
libertà personale e valutare la violazione o meno dei suoi diritti, insieme ad una attività di
promozione degli stessi. Per un maggior approfondimento sulla figura del Garante vedi il sito
internet http://www.comune.fi.it. La relazione del Garante è consultabile al sito internet
http://www.comune.fi.it/opencms/export/sites/retecivica/amm/garanti/garante_detenuti/relazione/r
elaz2007.doc
76
A. Margara per molti anni è stato il presidente del Tribunale di Sorveglianza di Firenze,
sensibile alle problematiche della detenzione, si è impegnato molto nella sensibilizzazione sulle
misure alternative, insieme a Mario Gozzini, ed oggi Presidente della Fondazione Michelucci.
75
72
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questo primo semestre. La revoca si ha nel caso in cui l’andamento
della prova è negativo, cioè nel caso in cui il soggetto non rispetta le
prescrizioni o commette un nuovo reato. Come è possibile intuire, con
questi dati non abbiamo un informazione specifica relativa alla
recidiva77 dei soggetti durante o dopo la misura alternativa, ma
soltanto dati che si riferiscono all’interruzione della misura alternativa
in seguito ad un evento dipendente direttamente dal soggetto, che può
suggerire una mancata rieducazione e risocializzazione, in generale
comunque, un mancato allontanamento da quei comportamenti di tipo
deviante, ma che non concerne necessariamente la commissione di
nuovi reati. Sarebbe opportuna una ricerca che valutasse (come le
precedenti citate), negli anni la percentuale di recidiva di quei soggetti
che hanno ottenuto la misura alternativa dal Tribunale di Sorveglianza
di Firenze dopo l’estinzione della stessa.
Attraverso i dati che ho potuto raccogliere (riportati nella tabella 3) si
può osservare come gli affidamenti ordinari concessi nel primo
semestre del 2007 siano stati 70 e revocati 4, 26 concessioni e 3
revoche per l’affidamento in prova in casi particolari. Le revoche sono
poche rispetto alle concessioni, quindi si potrebbe affermare che i
programmi di risocializzazione applicati sul suolo fiorentino (e ricordo
nelle altre province che fanno capo al Tribunale di Sorveglianza di
Firenze) hanno una tendenza di esito positivo. Gli individui in misura
alternativa rispettano le prescrizioni del Tribunale e si avviano ad un
processo di reinserimento.
Occorre anche osservare che, la revoca o la prosecuzione della misura
in seguito ad un comportamento non conforme alle prescrizioni del
77
Così come è interpretata nell’art. 99 c.p.
73
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Tabella 3- Dati relativi all’attività del Tribunale di Sorveglianza di Firenze relativi al primo
semestre 2007
ANNO
OGGETTO
AFFIDAMENTO IN PROVA IN CASI
PARTICOLARI
1° semestre 2007
AFFIDAMENTO IN PROVA AL
SERVIZIO SOCIALE
DETENZIONE DOMICILIARE
LIBERAZIONE CONDIZIONALE
SEMILIBERTA'
74
NUMERO
PROCEDIMENTI
DECISIONE
CONCESSE
26
N.L.P.
17
ESTINTE
121
NON ESTINTE
2
INAMMISSIBILI
8
INCOMPETENZA
1
CESSATE
1
PROSEGUITE
1
REVOCATE
3
NON REVOCATE
1
RESPINTE
22
CONCESSE
70
N.L.P.
96
ESTINTE
338
NON ESTINTE
1
INAMMISSIBILI
35
INCOMPETENZA
8
INEFFICACIA
2
PROSEGUITE
2
REVOCATE
4
NON REVOCATE
2
RESPINTE
106
CONCESSE
35
N.L.P.
71
INAMMISSIBILI
36
INCOMPETENZA
9
CESSATE
1
PROSEGUITE
1
REVOCATE
2
NON REVOCATE
1
RESPINTE
70
CONCESSE
1
ESTINTE
1
INAMMISSIBILI
1
N.L.P.
1
RESPINTE
12
CONCESSE
35
N.L.P.
43
INAMMISSIBILI
18
INCOMPETENZA
5
REVOCATE
1
NON REVOCATE
4
RESPINTE
57
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soggetto, dipende dalla discrezionalità del Magistrato che può anche
decidere, nel caso, di modificare le prescrizioni, aumentando i limiti
alla persona, ma comunque concedere un’altra possibilità e far
proseguire la misura.
È importante osservare la tendenza ad una disponibilità della
Magistratura alla concessione delle misure, che fa presagire una
maggiore fiducia in esse e nei loro obiettivi.
2.4- Le variabili che possono indurre alla recidiva
Si è osservato, in base alle ricerche proposte sopra, che la recidiva
negli anni successivi alla fine della misura alternativa, coinvolge a
livello nazionale il 19% dei soggetti, mentre tra i soggetti che
terminano la pena con il carcere, commettono recidiva il 68,45%,
sempre a livello nazionale (vedi paragrafo 2.1). In Toscana invece
(vedi paragrafo 2.2) su un totale di 232 soggetti osservati nell’arco di
circa 6 anni dalla fine della misura alternativa, il 27% è risultato
recidivo.
Possiamo allora affermare che, utilizzando la recidiva come metro di
riferimento per valutare l’efficacia preventiva delle misure alternative,
le
stesse
misure
alternative
raggiungono
il
loro
obiettivo
risocializzante e rieducativo. È necessario però fare delle osservazioni
importanti.
Il merito di una bassa percentuale di recidiva dopo le misure
alternative è veramente riconducibile alla forma alternativa alla
detenzione? Non è invece riconducibile alla combinazione tra le
condizioni in cui il soggetto svolge la misura, quindi alle
caratteristiche qualitative della misura, e i fattori individuali come
75
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personalità, convinzioni, obiettivi che sono spinti dalle loro
aspettative?
Quando si parla di percorso rieducativo, come quello che dovrebbe
essere applicato all’interno della misura alternativa, credo occorra
tenere ben presente il soggetto a cui è destinato il trattamento. Come è
già stato riportato, il programma di risocializzazione deve essere
individualizzato per la persona destinata a quella specifica misura
alternativa. Ciò a cui è necessario prestare attenzione nella sua stesura
è quindi la personalità del soggetto, l’età, la cultura di provenienza, il
tipo di reato commesso per il quale è concessa la misura alternativa,
gli anni di detenzione. Importanti possono risultare le condizioni
carcerarie in cui ha vissuto precedentemente il soggetto78. Quindi il
percorso
rieducativo
stabilito
contiene
tutte
quelle
variabili
indipendenti che possono determinare la probabilità della recidiva.
La persona può essere così fortemente legata e radicata alla cultura,
all’ambiente di provenienza che lo ha portato a commettere il crimine,
da non considerare come modelli alternativi quelli che permettono di
vivere nella società legalmente. Questo porterà il soggetto ad
utilizzare l’alternativa alla detenzione, non come un’opportunità di
redenzione, ma come un’opportunità per evitare il carcere e tornare ad
una condizione precedente la pena detentiva.
L’età della persona che ottiene la misura alternativa è un fattore che
può determinare l’esito positivo o meno del reinserimento sociale. È
ovvio che sia più facile rieducare una persona più giovane, per la
78
Sul Sole 24 ore del 23 luglio 2007 sono riportati i risultati di un lavoro pubblicato dal center for
Economic Policy and Reaserch di Londra secondo il quale una più lunga permanenza in carcere
non rafforza, ma indebolisce la sensibilità dei condannati alla minaccia di pene future, esponendoli
maggiormente alla recidiva. Ancora in uno studio (scaricabile sul sito dell’IZA di Bonn
ftp.iza.org/dp3395.pdf, riportato sul Sole 24 Ore del 4 febbraio 2008, è stata riscontrata una
relazione positiva tra grado di isolamento e propensione alla recidiva (inteso l’isolamento come la
distanza del carcere dal capoluogo di Provincia più vicino).
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quale ancora è presente davanti un lungo percorso di vita, il quale
permette di credere nel realizzarsi di aspettative ed obiettivi, cosa che
è invece più difficile tra le persone adulte che non hanno mai avuto la
possibilità di alternativa e per le quali è difficile avere aspettative e
credere nella loro realizzazione. La giovane età favorisce anche
l’apprendimento di nuove abilità lavorative, tramite per esempio corsi
di formazione. Per un individuo adulto, invece, le potenzialità da
stimolare sono minori, quindi occorre prestare maggiore attenzione
alle abilità già presenti. Si associano all’età della persona anche gli
anni trascorsi all’interno dell’ambiente carcerario. Un periodo
prolungato in un contesto criminogenetico renderà più difficile
l’adattamento ad uno stile di vita basato sulla legalità, sul rispetto di
norme e sul rispetto delle regole.
Importante è anche tenere in considerazione come fattore che può
influenzare la probabilità di recidiva, l’ambiente e il luogo in cui viene
trascorso il periodo della misura alternativa, l’attività in cui è
impegnato il soggetto. Generalmente il Tribunale di Sorveglianza,
nelle prescrizioni, riporta il Comune, i luoghi e i posti cui al soggetto è
permesso
frequentare,
generalmente
lontani
dall’ambiente
criminogenetico di provenienza e nella provincia che fa capo allo
stesso Tribunale.
In un colloquio con il Garante dei Diritti delle Persone Private della
Libertà Personale del Comune di Firenze, Franco Corleone79, è emerso
come suo suggerimento per un più facile inserimento sociale e
riabilitativo dell’ex detenuto, o della persona in misura alternativa, le
piccole realtà di provincia intorno alle grandi città. Sicuramente in una
piccola comunità è più probabile l’integrazione di un individuo, è
79
Nel cap. 3 sarà fatto riferimento più approfonditamente al colloquio.
77
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maggiore il sostegno, ma anche il controllo sociale che possono
esercitare i suoi componenti su di una persona che deve seguire un
programma di riabilitazione e quindi seguire anche delle regole.
All’interno di una grande città probabilmente è minore la disponibilità
dei cittadini ad offrire il proprio sostegno ad un individuo con
precedenti penali. La persona non avendo un supporto si ritroverà,
quasi inevitabilmente, a cercarlo in quell’ambiente dove lo aveva
trovato in precedenza, ma che poi lo ha portato a commettere il reato.
In questo modo quindi è più facile ricadere in quella che può essere
chiamata emarginazione sociale. Qui mi riferisco principalmente a
quei soggetti che rappresentano quel consistente gruppo che è i 2/3
della
popolazione
carceraria
costituito
da
immigrati,
tossicodipendenti, persone con problemi psichiatrici ed in generale in
uno stato di criticità sociale, che Alessandro Margara chiama
detenzione sociale 80.
Assume importanza che il lavoro, i corsi di formazione e in generale
l’occupazione a cui sono destinate le persone in misura alternativa,
siano corrispondenti agli interessi di quest’ultimi, alle loro
potenzialità. In questo modo è più probabile che il soggetto mostri un
maggiore impegno all’interno del programma di riabilitazione.
Si può quindi affermare che in generale il programma rieducativo
individualizzato, è il rappresentante di tutti quei fattori che possono
ridurre o meno la probabilità di recidiva.
80
Questo tema sarà trattato più avanti.
78
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3- PER MIGLIORARE L’APPLICAZIONE DELLE
MISURE ALTERNATIVE
Nel corso della preparazione di questo lavoro, ho avuto l’opportunità
di avere un colloquio con Alessandro Margara81 e, successivamente,
con Franco Corleone82 con i quali ho affrontato tematiche legate alle
misure alternative e ad un possibile loro miglioramento.
3.1- Confronto tra le diverse forme di misura alternativa
Si è visto come la percentuale di concessioni per l’affidamento in
prova al servizio sociale, sia maggiore rispetto a alle percentuali di
concessioni delle altre misure alternative.
Margara afferma che si presentano nella pratica alcuni irrigidimenti
[nella
concessione
dell’affidamento]
della
magistratura
di
sorveglianza, persuasa, così, di rendere la misura più conforme alla
legge, mentre, a mio avviso, tali irrigidimenti rischiano di renderla
meno efficace. Il primo irrigidimento è l’ampio ricorso alla
prescrizione della permanenza notturna nella propria abitazione, che
ha, fra l’altro, il corollario del controllo domiciliare da parte degli
organi di polizia. A mio avviso questa non è una evoluzione, ma una
involuzione della misura, in quanto fa emergere, nella dialettica
controllo-sostegno – efficacemente descritta nella sentenza n. 343/87
della Corte costituzionale – un pericoloso rafforzamento del momento
del controllo e notevoli rischi per la efficacia del sostegno. Un
81
Il colloquio si è tenuto presso la sede della Fondazione Michelucci, di cui ricordo Margara ne è
il presidente, il giorno 7 aprile 2008.
82
Il colloquio si è tenuto presso l’ufficio del Garante, presso il distaccamento del Comune di
Firenze in P.za Parte Guelfa, il giorno 18 aprile 2008.
79
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processo di reinserimento sociale è tanto più produttivo in quanto si
svolge in un quadro di normalizzazione della vita propria e dei propri
familiari: e la imposizione di orari e il controllo di polizia,
fisiologicamente pesante, sono negativi per quel processo. Mentre è
indubbio che, come accadeva in passato, si ricorra all’obbligo di
permanenza notturna nella abitazione quando c’è alle spalle una vita
disordinata (casi dei tossici o degli alcoolisti) che si deve cercare di
regolarizzare, è improprio generalizzare questo obbligo, come,
invece, si sta facendo.83
Questa osservazione è condivisibile, tuttavia occorrono delle regole e
delle norme che l’individuo deve rispettare, vivere nella legalità
significa sicuramente vivere nel rispetto delle regole. I soggetti in
misura alternativa sono comunque autori di un reato, in quanto tali
non possono ottenere la libertà totale. È necessario che la libertà sia
concessa gradualmente, appunto attraverso la misura alternativa e le
regole che essa contiene, il cui rispetto è monitorato dalle autorità.
Questo graduale avvicinamento alla libertà ha l’obiettivo di eliminare
il controllo delle autorità, con la fiducia che il soggetto sia,
successivamente, in grado di automonitorare il suo rispetto delle
regole.
Sempre Margara afferma che il secondo irrigidimento è quello di
inserire tra le prescrizioni della misura anche quella di risarcire il
danno del reato: questo viene fatto con una interpretazione, più
arbitraria che estensiva del comma 7 dell’art.47 [dell’Ordinamento
Penitenziario], che richiede, invece, che “l’affidato si adoperi, in
quanto possibile, in favore della vittima del suo reato ed adempia
puntualmente agli obblighi di assistenza familiare”. Mi sembra che
83
Per la consultazione dell’intero documento vedi appendice 2.
80
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inserire un obbligo di risarcimento vada del tutto al di fuori delle
previsioni del citato comma 7, come mi sembra anche fuori tema
quello di generici impegni di giustizia riparativa che vadano al di là
dei rapporti con la vittima del reato84. Il risarcimento nei confronti
della vittima non coincide propriamente con il principio di
retribuzione della pena riportato nel paragrafo 1.1. Dovrebbe essere
inteso come incentivo per sviluppare quel sentimento di empatia nei
confronti della vittima, attraverso la comprensione del reato e delle
sue conseguenze. Se il soggetto in misura alternativa è in grado di
“mettersi nei panni” della vittima, svilupperà un sentimento negativo
nei confronti del reato stesso e quindi un allontanamento dal
comportamento deviante.
È necessario, all’interno delle prescrizioni della misura alternativa,
fare riferimento al risarcimento nei confronti della vittima, ma allo
stesso tempo occorre anche specificarne la natura e inserendolo nel
programma di trattamento. Comprendere la natura del reato e le sue
conseguenze
sulla
vittima,
fanno
parte
del
processo
di
risocializzazione e rieducazione.
Tra le altre forme di misura alternativa, la semilibertà negli anni
continua ad avere un’applicazione sempre più rara. Sicuramente è più
difficile pensare ad un esito positivo e ad un andamento fluido e
regolare del programma di rieducazione, in una condizione che alterna
libertà e detenzione nell’arco di un giorno.
La liberazione condizionale è la misura alternativa che c’era quando
non c’erano le misure alternative […] a qualche anno è di
applicazione sempre più rara. […] Cercare la ragione di questa
posizione della magistratura di sorveglianza non è facile. Fa parte
84
Vedi nota 83.
81
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probabilmente
del
più
generale
irrigidimento
della
stessa
magistratura, tanto più operante, specie se si coglie sullo sfondo delle
campagne mediatiche nei casi di insuccesso, nelle situazioni che
approdavano di norma alla liberazione condizionale, quelli, cioè,
delle pene più elevate85.
I soggetti che arrivano alla liberazione condizionale, avendo pene più
elevate, hanno alle spalle un maggior tempo di permanenza all’interno
del circuito carcerario. Per queste persone potrebbe essere più difficile
e tortuoso il percorso di reinserimento sociale, l’allontanamento dal
comportamento deviante e quindi potrebbe essere maggiore la
probabilità di recidiva dopo la concessione della stessa misura. In
questi termini sarebbe comprensibile la prudenza adottata dalla
Magistratura di Sorveglianza, tuttavia sarebbe opportuno muoversi
verso una sua incentivazione, ad esempio attraverso un programma di
reinserimento ben strutturato.
Infine Margara afferma che: Una misura alternativa che ha preso
notevole spazio è quella della detenzione domiciliare, che si presenta
con una serie di sottospecie sempre più numerose. Fra l’altro, va
ricordato che la detenzione domiciliare a termine può essere concessa
nei casi di differimento della esecuzione della pena per gravi
condizioni di salute o per gravidanza e puerperio (esteso fino a tre
anni di età del figlio): in tali casi, la pena viene espiata in detenzione
domiciliare, così che il differimento della esecuzione non si verifica.
La detenzione domiciliare è una misura alternativa sui generis:
alternativa, se si vuole, al carcere, ma non alla detenzione, perché si
esegue in stato detentivo, con la previsione della evasione. E’
possibile, però, che si caratterizzi di più come misura alternativa,
85
Vedi nota 83.
82
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quando il tribunale di sorveglianza o, dopo la concessione, il
magistrato di sorveglianza, prevedono un orario di uscita dalla sede
della detenzione (la “propria abitazione” o “altro luogo di privata
dimora” o “luogo pubblico di cura, assistenza e accoglienza”) per il
soddisfacimento delle “sue indispensabili esigenze di vita”,
comprensive del lavoro o di programmi terapeutici o di reinserimento.
Questi spazi, specie quando calcolati, nella concessione, in modo
molto rigido e ristretto, sono, però, la fonte di denuncie per evasione,
che non ne fanno una misura alternativa di facile gestione da parte
degli interessati86.
La detenzione domiciliare potrebbe essere considerata come una
misura alternativa che avvicina la persona alla risocializzazione
attraverso un percorso più lento e non diretto, come avviene per
esempio con l’affidamento in prova. Pur avendo l’obbligo di rimanere
in casa o nella struttura dichiarata come dimora, la persona può più
facilmente
intraprendere
un
processo
di
regolarizzazione
e
normalizzazione della propria vita, in un ambiente sicuramente
diverso rispetto a quello del carcere. Successivamente, attraverso la
concessione dei permessi di uscita per scopi lavorativi, la persona
compierà un ulteriore passo avanti nel percorso di inserimento sociolavorativo. A questo punto, per ovviare a alle eventuali evasioni, sarà
necessario ricorrere agli organi di Polizia, mantenendo quanto detto a
questo proposito all’inizio di questo paragrafo.
86
Vedi nota 83.
83
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3.2- Le concessioni delle misure alternative
Come afferma Margara87, a livello nazionale i rigetti (compresi i casi
di inammissibilità) da parte dei Tribunali di Sorveglianza, sono
decisamente più numerosi rispetto alle concessioni88. I rigetti o i casi
di inammissibilità si hanno nei casi in cui la domanda presentata dal
detenuto (attraverso il suo avvocato) non soddisfa i requisiti necessari
per ottenere la misura e riportati all’interno dei rispettivi articoli
dell’Ordinamento Penitenziario. Al Magistrato di Sorveglianza spetta
sempre la decisione ultima per ogni concessione, infatti in base a tutte
le informazioni raccolte dall’UEPE nell’inchiesta di servizio sociale,
insieme ai risultati dell’osservazione scientifica della personalità
svolta dal GOT, valuterà se è opportuna o meno la concessione della
misura.
Corleone, all’interno del colloquio, suggerisce che possa circolare una
sorta di scetticismo e paura nella concessione delle misure alternative
alla detenzione, qualsiasi esse siano. Ancora afferma che occorrerebbe
osare molto di più nelle concessioni, ed offrire l’opportunità di
rieducazione ad un numero maggiore di soggetti, escludendo
comunque soggetti che si sono segnati di un reato molto grave e che
comunque non mostrano alcuna intenzione, al momento, di modificare
il loro percorso di vita.
Margara aggiunge durante il colloquio, che invece di ricorrere subito
al rigetto della domanda, magari per la mancanza di quei requisiti
necessari per la concessione, si potrebbe ricorrere al rinvio della
sentenza, nell’attesa che vi siano le condizioni necessarie.
87
Vedi nota 83.
Presso il Tribunale di Firenze invece le concessioni sono ampiamente prevalenti rispetto ai
rigetti, confrontate con i dati a livello nazionale.
88
84
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Concordando con quanto appena riportato, aggiungerei la necessità di
intensificare il percorso di accompagnamento già all’interno del
carcere da parte di educatori e psicologi verso la misura alternativa,
verso la comprensione di essa, di intensificare l’impegno nella
conoscenza della personalità del detenuto nella stesura del programma
di trattamento, incrementare il monitoraggio di quest’ultimo nella sua
fase di esecuzione, consapevole anche della grande mole di lavoro che
devono svolgere i pochi operatori all’interno del carcere. In questo
modo si potrebbe far fronte allo scetticismo ed al timore delle
concessioni.
Brevi permessi premio potrebbero per esempio essere concessi in vista
di una futura misura alternativa, come “messa alla prova”, per valutare
il comportamento della persona fuori dal carcere, come questo
usufruisce la possibilità della libertà offerta, ai fini di una valutazione
per una futura concessione della misura alternativa. Anche questa
considerazione è stata fatta da Corleone, nel colloquio, ed è un metodo
applicato anche dal Tribunale di Sorveglianza di Firenze, come ho
potuto apprendere durante il colloquio avuto con gli operatori della
“Casa il Samaritano”89.
Credo, allo stesso tempo, che sia molto difficile passare dalla teoria
alla pratica, cioè applicare tutto ciò che è scritto sulle misure
alternative, dalle norme legislative, all’osservazione scientifica della
persona, ad un vero trattamento individualizzato, visto il grande
numero di detenuti presenti negli istituti penitenziari. Inoltre i
protagonisti sono comunque, fino a prova contraria, sempre autori di
un reato, quindi è comprensibile il timore da parte della Magistratura
di cadere nell’errore di ridurre la misura alternativa ad un semplice
89
La struttura “La Casa il Samaritano” sarà descritta nel par. 3.4.1.
85
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sconto di pena, per chi ne ha le possibilità, e avere in futuro sulla
coscienza un reato che poteva essere evitabile, nel caso in cui si
presenti un fatto di recidiva, sia durante che dopo la fine della misura.
3.3- La detenzione sociale
Margara, in un suo contributo, fa riferimento alla detenzione sociale90.
Di questo tema ho accennato nei paragrafi precedenti, qui verrà
trattato in maniera più approfondita.
Fanno parte della detenzione sociale quei soggetti che vivono in uno
stato di criticità sociale derivanti da una mancata presa in carico
delle criticità originarie, cui segue una situazione di abbandono
sociale completo o molto grave. In queste situazioni […] l’approdo al
reato
è
inevitabile
e
non
deriva
da
consapevoli
scelte
delinquenziali”.In particolare sono inclusi in questo gruppo
tossicodipendenti (circa il 27% della popolazione carceraria), gli
immigrati (30%), un’altra parte costituita da dipendenti dall’alcool,
soggetti con problemi psichiatrici e i “senza fissa dimora” (8-10%).
In totale rappresentano circa il 65-67%, cioè i 2/3, della popolazione
carceraria. Queste persone arrivano al reato, e vi ritornano dopo aver
scontato la prima pena, a causa di una mancata attenzione e di un
mancato interesse sociale.
Come abbiamo visto nella descrizione delle misure alternative, i
requisiti, chiamiamoli fondamentali, per ottenere la concessione delle
stesse sono un lavoro (o un corso di formazione), una dimora fissa
all’interno di un più generale programma rieducativo che comprende
le fasi del processo di reinserimento sociale dell’individuo. I soggetti
appartenenti all’area della detenzione sociale, arrivano a compiere i
90
Margara A.; op. cit., p. 36-37.
86
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loro reati proprio per la mancanza di quei requisiti necessari alla
concessione della misura, quindi si crea una situazione paragonabile
ad un cerchio chiuso dal quale la persona non può uscire. Dopo aver
scontato la pena per un reato, riconducibile alla condizione di
emarginazione sociale, e non avendo avuto la possibilità di conoscere
un’alternativa che possa indurre a prendere coscienza che esiste ed è
possibile un percorso di vita diverso e nella legalità, la persona si
ritroverà inevitabilmente a commettere un reato diverso, o della stessa
indole del precedente.
Durante il colloquio avuto, Margara ha espresso quella che potrebbe
essere una soluzione per avviare ad una riduzione di questa area di
detenzione, cioè incentivare gli strumenti normativi, potenziare le
risorse economiche e organizzative dell’accoglienza sociale. Sarebbe
opportuno promuovere quelle strutture esterne, site sul territorio
provinciale dei vari capoluoghi e province italiane che, sostenute a
livello economico dai comuni, dalle province e più in generale dallo
stato, possano prendere in carico la persona sostenendolo nel suo
percorso riabilitativo, all’interno della misura alternativa, avviarlo
verso un inserimento socio-lavorativo, monitorando nel contempo
l’applicazione del programma. In questo modo le strutture
applicherebbero quello che Margara chiama binomio sostegnocontrollo91.
Con il sostegno possiamo indicare l’accompagnamento dell’individuo
verso il suo ritorno alla socialità, basato su un principio di
responsabilizzazione e un rapporto di fiducia; il controllo inteso come
valutazione dell’effettivo inserimento, effettuato dalle agenzie sociali
volte alla regolarizzazione della persona, non agenzie istituzionali
91
Vedi appendice 2.
87
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come per esempio le forze dell’ordine volte per esempio in
determinate circostanze al controllo del rispetto degli orari,
dell’obbligo di dimora, degli spostamenti del soggetto in misura
alternativa.
Ho avuto modo di constatare che sul territorio fiorentino sono presenti
associazioni, cooperative e strutture impegnate nell’accoglienza di
soggetti in misura alternativa. Queste, grazie alle sovvenzioni
provenienti dai comuni, ma anche da altri enti finanziatori,
inseriscono le persone all’interno di progetti volti all’inserimento
socio-lavorativo di soggetti privi di una rete sociale e familiare
adeguata e non deviante, attraverso una stretta collaborazione con gli
operatori degli istituti penitenziari, con l’UEPE e con la Magistratura
di Sorveglianza. Sarà nei prossimi paragrafi riportata la descrizione
delle strutture che ho avuto la possibilità di visitare.
Ritornando sul tema della detenzione sociale, Margara suggerisce
anche come lo Stato potrebbe investire queste persone all’interno dei
lavori socialmente utili, come per esempio la manutenzione dei
boschi, con un dispendio minimo e inferiore alla spesa necessaria per
il mantenimento di un detenuto. Negli anni ‘90 era sorto un progetto
proprio di questo genere, il quale proponeva di impiegare i detenuti in
lavori socialmente utili, ma invece di dare loro una ricompensa in
denaro, venivano applicati sconti sulla pena detentiva che dovevano
scontare. Non è stato applicato questo progetto che avrebbe potuto
sensibilizzare in maniere diversa il detenuto sul concetto di
risarcimento alla società per il reato commesso. Sicuramente un
progetto di questo tipo necessita di requisiti necessari per la
concessione, come gli anni di pena da scontare, il tipo di reato, la
88
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disponibilità della persona ad impegnarsi in un’attività del genere e la
comprensione del suo significato.
3.4- Esempi di sostegno e controllo
Durante il percorso di approfondimento delle misure alternative sono
venuta a conoscenza della presenza di strutture che a Firenze offrono
il loro sostegno alle persone in misura alternativa. In particolare ho
avuto la possibilità di visitarne quattro di cui due hanno un’utenza
maschile e due femminile: le prime due sono la “Casa il Samaritano” e
l’”O.A.S.I.”, le altre due sono “l’Associazione Pantagruel” e la “Casa
di accoglienza di S. Caterina”.
Queste strutture offrono il loro sostegno sostenute da incentivi
provenienti da Comune di Firenze e da Ministero di Grazia e
Giustizia, insieme alla collaborazione con progetti finanziati da enti
come per esempio banche.
3.4.1- “Casa il Samaritano”
“Il Samaritano” è una casa di accoglienza gestita dall’associazione di
volontariato “Solidarietà Caritas-Onlus”. I destinatari dei servizi
offerti sono uomini in condizioni di disagio sociale con problematiche
legate al mondo del carcere in particolare: detenuti in permesso
premio, ex detenuti a fine pena, condannati affidati all’UEPE, persone
sottoposte a misura cautelare, persone sottoposte alla libertà
controllata e alla sorveglianza speciale, detenuti domiciliari, persone
in obbligo di dimora, parenti di detenuti. La casa può accogliere 14
uomini ed è aperta tutto l’anno. A coloro che si rivolgono al
Samaritano è offerto vitto e alloggio, indicazioni pratiche riguardo ai
centri per l’impiego, uffici per la gestione di pratiche burocratiche,
89
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corsi di formazione, un inserimento nella rete dei servizi competenti
nelle pratiche di accompagnamento e di inserimento socio-lavorativo,
orientamento e colloqui presso il carcere (per esempio prima della
concessione della misura alternativa), facilitazione al reinserimento
socio-lavorativo
attraverso
alcune
concrete
possibilità
offerte
individualmente all’ospite (formazione professionale e inserimenti
lavorativi attraverso Cooperative Sociali di tipo “B”92, facilitazione
alla ricerca abitativa e socio-relazionale).
L’obiettivo degli educatori della struttura, con cui ho avuto modo di
parlare, è quello di creare una relazione personale con i destinatari del
servizio, stabile, attenta alla sua storia, alle sue esperienze, alle ansie e
preoccupazioni basata principalmente sul dialogo al fine di creare,
attraverso una graduale apertura, un rapporto di fiducia e confidenza.
Attraverso un sostegno basato sulla fiducia è più facile per il soggetto
credere nella possibilità di un cambiamento del proprio stile di vita,
passando dalla devianza alla legalità attraverso un reinserimento nel
tessuto sociale e lavorativo. All’interno del sostegno offerto, gli
operatori cercano di accompagnare gli ospiti verso una futura
autonomia in ogni ambito della vita quotidiana: mantenimento del
lavoro, gestione economica, gestione delle pratiche burocratiche; in
questo modo la persona sarà in grado di affrontare i vari problemi che
potrà incontrare dopo la fine della sua permanenza nella struttura e nel
caso della misura alternativa.
Le persone accedono alla struttura tramite la segnalazione delle
Direzioni delle Carceri, delle direzioni dell’UEPE, della Magistratura
di Sorveglianza o dei Servizi Sociali Territoriali. Per gli inserimenti di
92
Le Cooperative di tipo “B”, sono impegnate nell’offrire un lavoro, a persone disagiate come per
esempio ex detenuti o soggetti in misura alternativa. Generalmente hanno la funzione di tramite fra
aziende che offrono l’occupazione e il lavoratore stesso.
90
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persone ex detenute o in attesa di giudizio definitivo occorre
l’autorizzazione scritta del Dirigente della Direzione Sicurezza
Sociale. Per i detenuti e per i soggetti che saranno poi ospiti in misura
alternativa, la prima fase di incontro e orientamento avviene
all’interno dell’istituto attraverso un’attività di ascolto secondo le
segnalazioni degli operatori penitenziari preposti e in risposta alle
lettere che i detenuti fanno recapitare al “Samaritano” (per es. nel
2007 sono state circa 60). In base a questi colloqui si valuta la
persona, il suo reale bisogno e la sa reale intenzione al reinserimento e
si inizia ad elaborare un possibile progetto di accoglienza nella casa.
Dopo l’ingrasso in casa, segue una fase di ambientamento di circa tre
mesi, in cui si inizia ad osservare la persona nella convivenza con gli
altri ospiti, nella collaborazione alla gestione della casa, nel rispetto
delle mansioni di pulizia, nel rispetto dei valori e delle norme che
concernono la struttura. Allo stesso tempo si procede a creare quel
rapporto di fiducia descritto ed a strutturare insieme alla persona il
programma individuale di attività e reinserimento socio-lavorativo.
Dopo aver dato vita al programma di reinserimento, si succedono una
serie di verifiche durante le quali la persona è invitata ad assumere le
proprie responsabilità verso se stessa, gli altri e il lavoro: questo
permette una presa di coscienza più approfondita di sé e di valutare,
da parte degli operatori, l’impegno che gli ospiti hanno nel modificare
il loro percorso di vita.
Periodicamente o quando richiesto direttamente dall’UEPE, gli
operatori stilano un resoconto sull’andamento del programma di
riabilitazione della persona interessata.
La fase finale della permanenza (che dovrebbe essere dopo 12 mesi)
concerne tutti i problemi inerenti il reinserimento e rappresenta la
91
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prima vera verifica del “cambiamento” finora conseguito, da qui ha
inizio l’accompagnamento della persona ad affrontare l’ambiente
sociale e lavorativo, la quotidianità da solo.
Durante il 2007 gli ospiti della struttura sono stati coinvolti anche in
passeggiate e in volontariato ambientale. Sono stati impegnati nella
raccolta di rifiuti abbandonati in boschi nella provincia di Firenze, con
l’intento di sensibilizzare le persone sottoposte a misura alternativa e
creare un valore aggiunto in un’ottica di reinserimento sociale dove il
risarcimento al sistema diviene strumento di inclusione ed
emancipazione. Hanno partecipato alla manifestazione organizzata dal
Comune di Firenze sulla raccolta differenziata, in collaborazione con
le associazioni che svolgono educazione allo sviluppo sostenibile e al
consumo critico. Questa si è mostrata un’opportunità per conoscere e
mettere in pratica nuovi stili di vita. Con l’obiettivo di far conoscere e
far riflettere gli ospiti, soprattutto quelli legati a reati di spaccio di
stupefacenti, sulle conseguenze dannose dei reati di spaccio è stata
organizzata una gita/visita presso una comunità per tossicodipendenti.
L’aiuto ed il sostegno che la struttura ed i suoi operatori offrono sono
molto importanti e sono principalmente destinati a quei soggetti a cui
manca quella rete sociale e familiare “sana” e non deviante, per poter
dare un percorso diverso alla propria vita. Il Samaritano concede in
particolare quel sostegno di cui necessitano le persone appartenenti
alla “detenzione sociale” per poter ottenere la misura alternativa
offrendo loro un alloggio, un occupazione (lavorativa o di
formazione).
92
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3.4.2-“L’O.A.S.I.”93
La seconda struttura che ho visitato appartiene all’O.A.S.I. il cui
acronimo sta per Opera Assistenza Scarcerati Italiani gestita
dall’Ordine dei Padri Mercedari.
I padri Mercedari arrivarono a
Firenze all’inizio degli anni Cinquanta per fondare una comunità per
ex detenuti appunto l’O.A.S.I.. Oggi la comunità ha assunto un
significato diverso, cioè quello di un luogo di refrigerio, di riposo che
si offre a persone che hanno vissuto l’esperienza del carcere o di altri
forti disagi per proporre loro un percorso di scoperta delle proprie
risorse, un cammino di riscatto umano, come afferma lo stesso
direttore Padre Antonio Pinna, cappellano anche del carcere minorile e
vice parroco.
In questi anni di presenza nel capoluogo toscano, si è formata attorno
alla comunità una rete di strutture e di servizi adatta all’accoglienza e
al reinserimento sociale. Per ognuna delle esigenze esiste una “casa”:
il “Centro Mercede” per la pronta accoglienza (uno dei due presenti a
Firenze) e l’ospitalità dei minori in stato d’abbandono; la “Comunità
dimensione familiare Don Zeno” (in un’altra zona di Firenze, a Badia
a Ripoli) per i minori provenienti dall’area penale; la “Casa Martino”
con appartamento autogestito. Ma in caso di necessità, i religiosi sono
pronti anche ad affittare appartamenti a loro nome da destinare ai
giovani ospiti dell’O.A.S.I. il cui centro nevralgico si trova in Via
Accursio. Qui vengono ospitate un massimo di 24 persone: la metà
sono adulti usciti dal carcere o con precedenti penali; l’altra metà sono
persone con problemi di carattere sociale (senza casa o stranieri). Per
tutti è previsto un progetto di inserimento lavorativo. Al “Centro
Mercede” i minori sono attualmente nove, quasi tutti stranieri in stato
93
http://www.oasifirenze.it; http://www.padrimercedari.it.
93
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d’abbandono. A “Casa Don Zeno” si lavora invece sull’inserimento
scolastico e i rapporti sociali. Lì i minori sono otto, mentre altri
quattro giovani maggiorenni vivono a “Casa Martino”. Nella maggior
parte dei casi, il percorso si chiude con successo, ovvero con il
reinserimento.
A fianco dei Mercedari lavorano 18 dipendenti, tutto personale
qualificato. Operano all’interno della comunità anche dei volontari,
ragazzi che sono stati precedentemente ospiti e che in questo modo
mantengono con gli operatori un rapporto familiare ed esprimono la
loro gratitudine.
Vicino alla comunità, al centro di Via Accursio a Firenze, è presente
anche la parrocchia di “San Leone” sempre affidata ai Padri
Mercedari. Se fino a pochi anni fa venivano raccolte firme per
allontanare la comunità e il rapporto con gli abitanti del quartiere non
è stato facile, adesso, grazie all’impegno degli operatori ed agli stessi
Padri (in totale tre) la situazione è migliorata tanto che lo scambio di
auguri Natalizi fra gli ospiti della comunità e i parrocchiani è
diventato una tradizione94.
Ho avuto la possibilità di visitare proprio la struttura in Via Accursio
ed ho avuto la possibilità di parlare con una delle operatrici della
struttura. Anche in questa struttura sono ospitati soggetti in misura
alternativa di sesso maschile. L’obiettivo principale è quello di
accogliere e prendere in carico le persone, offrendo loro un sostegno
morale insieme ad un sostegno più concreto e pratico. Lavorano nella
struttura due educatori diurni, la notte rimangono nella struttura i
Padri che la gestiscono. Gli educatori si impegnano nella costruzione
di un rapporto di fiducia e responsabilizzazione con gli ospiti (in
94
Riportato sul sito internet http://toscanaoggi.it.
94
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genere sono ragazzi minorenni o maggiorenni stranieri e con una rete
sociale e familiare assente), offrono colloqui anche giornalieri nel caso
la persona mostrasse la necessità e valutano il percorso di
riabilitazione.
Nell’ultimo progetto in cui sono state inseriti gli ospiti, il tempo
stabilito di permanenza nella struttura è stato di un anno. Dal
momento dell’ingresso e per i successivi tre mesi gli operatori
procedono ad una valutazione della persona, la sua capacità di
inserimento, le attività svolte all’interno della residenza, le sue
potenzialità, gli interessi per iniziare, in stretta collaborazione con la
stessa, a compilare il progetto di reinserimento socio-lavorativo. La
stesura del programma prevede un percorso personalizzato, costruito
attraverso degli obiettivi a breve e lungo termine, nel corso del quale
vengono aggiunti obiettivi intermedi e sono inserite delle regole da
rispettare,
oltre
alle
prescrizioni
imposte
dal
Tribunale
di
Sorveglianza. Durante i successivi sei mesi l’ospite della struttura
viene aiutato nella ricerca di un lavoro o di un corso formativo
attinente alle sue capacità, attraverso la collaborazione di cooperative
di tipo “B”95, il centro servizi, ditte disposte alla collaborazione,
l’utilizzo del progetto indultati, borse lavoro, fino alla consultazione di
annunci pubblicati su internet. Negli ultimi tre mesi viene affiancato
l’individuo nella preparazione ad uscire dalla casa e iniziare un
percorso in totale autonomia. La fase dell’uscita è sicuramente molto
difficile per i ragazzi che si trovano a dover cercare un eventuale
nuovo lavoro, una casa, senza il supporto di quella che per un anno è
stata per loro come una famiglia. In questo momento nasce la paura
della solitudine. Infatti tutti gli operatori cercano di creare all’interno
95
Vedi nota 91.
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della residenza quel calore, quella confidenza, quel sostegno che sono
propri di una vera famiglia. Altre volte può capitare che manchi
l’impegno da parte della persona di farsi carico delle proprie
responsabilità. Nel colloquio con una delle operatrici, è emerso che
l’integrazione all’interno di questa “famiglia” che si è creata
all’interno della residenza e in generale il reinserimento sociolavorativo è più facile per i ragazzi giovani piuttosto che per le
persone adulte. Quest’ultime hanno alle spalle una tempo vissuto nella
devianza e nell’emarginazione più lungo, un’esperienza detentiva più
lunga che rendono più difficile l’allontanamento dai vecchi stereotipi
comportamentali e mentali.
Durante i 12 mesi di permanenza, vengono fissati colloqui individuali
una volta alla settimana per valutare, di volta in volta, il
raggiungimento degli obiettivi pratici prefissati, insieme a colloqui
centrati più sulla persona per fornire un sostegno di tipo emotivo.
Mensilmente si tiene un’assemblea fra tutti gli ospiti della struttura dai
ragazzi più piccoli a quelli più grandi, per un confronto su quelli che
sono gli eventuali problemi nella residenza.
Vengono anche promossi ogni quindici giorni cicli di studio su
argomenti scelti dagli ospiti stessi, in modo da incoraggiare le
potenzialità della persona. Questi “corsi” sono di natura più ludica e
tematici per i minorenni.
All’interno del servizio offerto dall’O.A.S.I. è possibile a mio avviso
individuare in pratica il binomio sostegno-controllo.
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3.4.3-“L’Associazione Pantagruel”96
L’”Associazione Pantagruel”, sul territorio fiorentino, offre un
sostegno rivolto alle detenute o alle donne in misura alternativa,
inserendole all’interno di progetti promossi dalla stessa associazione.
L’impegno degli operatori di questa associazione nasce inizialmente a
Pistoia nel 1986 come Cooperativa Culturale. Nel 1991 la Cooperativa
viene affiancata da una associazione di volontariato il “Circolo Ora
d'Aria Pantagruel” che si occupava degli interventi nella Casa
Circondariale, che poi, nel 1995, cambiò il nome nell’attuale
“Associazione Pantagruel”. Segue da allora le problematiche del
carcere e del dopo carcere:
interviene con alcuni volontari nelle
carceri di Firenze e Pistoia e continua poi a seguire i detenuti nel
periodo del reinserimento nella società; dal 1999 ha sede a Firenze.
I principali progetti che l'Associazione adesso sta portando avanti
sono:
- Liberarsi dalla necessità del carcere;
- La poesia delle bambole;
- Informacarcere;
- “Il Panneggio”, giornale delle sezioni femminili di Sollicciano;
- Educare con gli asini;
- Solidarietà e carcere;
- Progetto Bruno Borghi;
- Informare per camminare insieme;
- Mai dire Mai - Campagna per l’abolizione dell’ergastolo.
Questi progetti hanno come caratteristica comune il fatto di partire dai
bisogni delle detenute e dei detenuti che da anni i volontari
dell’Associazione ascoltano nei colloqui individuali e di gruppo. Il
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Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito http://www.informacarcere.it.
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bisogno di esprimere la creatività, di farsi sentire, di trovare strumenti
terapeutici, di superare le mura del carcere. Non si limitano ad
intervenire nel carcere ma cercano di coinvolgere il più possibile la
città, creando fin dall’inizio una rete di appoggio (associazioni, realtà
varie, enti locali) e poi successivamente organizzando incontri,
mostre, dibattiti all’esterno. Ancora offrono formazione, crescita di
nuove capacità e talenti, posti di lavoro esterno. Si prefiggono
l’obiettivo di aumentare l’informazione sul carcere che è troppo
spesso un mondo separato, poco trasparente, mal conosciuto.
Ho avuto la possibilità di conoscere il progetto “La Poesia delle
Bambole”. Il progetto è nato dall’interesse di due dei volontari
dell’Associazione sulla situazione delle sezioni femminili del carcere
di Sollicciano. Ha avuto inizio nel 2001, con un corso di formazione
all’interno delle sezioni femminili di Sollicciano, come momento di
creatività ma anche come risposta ai bisogni economici e terapeutici di
chi lo frequenta. Le prime operatrici insegnavano ad un gruppo di
detenute a fare le bambole create nelle scuole Waldorf, le scuole che
mettono in pratica la pedagogia di Rudolf Steiner.
Le bambole della scuola Waldorf sono morbide, fatte con materiali
naturali, a mano e costruite molto semplicemente. Gli occhi e la bocca
sono dei semplici puntini. Sono caratterizzate da “un finale aperto” nel
senso che permettono al bambino di concretizzare la fisionomia vaga
della bambola in una rappresentazione personale. Agli occhi del
bambino la stessa bambola può modificare la sua espressione, in base
allo stato d’animo del bambino stesso. Il materiale con cui sono
composte è la lana di pecora che si scalda tenendola in mano, questo
la fa sembrare vera agli occhi del bambino.
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Steiner privilegia nella sua pedagogia lo sviluppo della creatività e
dell’immaginazione nel bambino attraverso stimoli semplici che lui
deve interpretare, reinventare97, fanno per esempio parte dei giochi
delle scuole Waldorf teli di seta colorata di diverse dimensioni che in
base alla fantasia del bambino possono diventare vestiti, cappelli,
mantelli….
Successivamente al 2001 il progetto è uscito anche dal carcere, nel
2003 è stato allestito un laboratorio in Via Tavanti n.20 a Firenze. Qui
tutt’ora sono impegnate ragazze e donne (adesso sono in totale 4) in
misura alternativa (semidetenzione o affidamento in prova), che con
un contratto di lavoro costruiscono bambole per poi venderle al
pubblico.
Prosegue anche il laboratorio all’interno del carcere in cui due volte a
settimana due operatrici dell’Associazione insegnano ad un gruppo di
10/12 detenute il processo di costruzione della bambola.
Con la costruzione di queste bambole, L’Associazione ha cercato di
offrire
un
momento
creativo
e
di
libertà,
che
stimolasse
l’immaginazione e la fantasia delle detenute. Sono state introdotte
come strumento terapeutico per chi le fa, insieme alla funzione
positiva che svolgeranno successivamente visto che i destinatari sono i
bambini e i loro giochi.
Ho avuto l’opportunità di visitare il laboratorio esterno, in cui
vengono prodotte le bambole, ed assistere al lavoro di due signore.
Una di loro mi ha spiegato il significato personale e il tipo di
emozione che la costruzione di una di queste bambole può suscitare,
soprattutto nelle donne detenute e soprattutto la prima volta. La
realizzazione di una bambola equivale ad una nascita ed è
97
Per un maggior approfondimento sulla pedagogia di Rudolf Steiner http://www.rudolfsteiner.it.
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necessariamente accompagnata da tutte quelle emozioni che un evento
simile può far suscitare. Non bisogna però dimenticare lo stato di
detenzione in cui sono le ragazze, lontane spesso dalla famiglia, dai
figli nel caso li abbiano, dall’affetto che questi possono darti. Alcune
di queste ragazze interrompono solo dopo pochi giorni l’esperienza,
giustificandosi con la mancanza di dimestichezza. Altre invece si
impegnano e costruiscono le bambole per se, per mandarle ai loro figli
e per regalarle a qualche bambino. L’impatto che suscita il veder
nascere la propria bambola dipende molto dalla personalità del
soggetto, dalla sua storia personale, dal suo stato d’animo, dal suo
impegno a voler costruire qualcosa, imparare qualcosa che potrà
magari sfruttare uscendo dal carcere.
Un’importante constatazione ha fatto la signora che ho conosciuto nel
laboratorio: il cambiare vita, attraverso la misura alternativa,
attraverso la realizzazione delle bambole, attraverso un corso di
formazione dipende soltanto dal tuo impegno e dalla tua volontà.
L’Associazione
Pantagruel
offre
quindi,
concretamente,
un’occupazione al di fuori del carcere che permette alle persone di
avere quel requisito necessario per ottenere una misura alternativa.
Allo stesso tempo offre un momento di svago per colmare l’inattività
che spesso caratterizza la vita all’interno del carcere.
3.4.4- “La Casa di accoglienza di S. Caterina”
Infine ho visitato la Casa di accoglienza di S. Caterina gestita dalle
Suore dell’ordine di S.Vincenzo de Paoli situata in Via S. Caterina a
Firenze. Le religiose offrono accoglienza a donne che escono dal
carcere in misura alternativa. Ho avuto modo di conoscere la Madre
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Superiora della casa Suor Cristina insieme a Suor Rosa che da molti
anni si occupa di volontariato all’interno del carcere, dove intrattiene
colloqui con le detenute e i detenuti della sezione maschile.
L’opera di accoglienza inizia già nel 1978, con Suor Rosa, presso la
Casa Famiglia situata in via C. Bini a Firenze (la Casa della
Madonnina del Grappa) in cui erano ospiti sia persone con problemi
familiari, sia persone uscite dal carcere. Dopo dieci anni la casa di
accoglienza viene spostata in un’altra struttura, sempre a Firenze a
Santa Maria a Cintoia. Dal 2002 la struttura si stabilisce nella sede
attuale di S. Caterina. Durante il 2007 la casa è stata ristrutturata per
creare più stanze ed incrementare il livello di accoglienza; adesso può
accogliere circa 10-12 persone.
Nel colloquio avuto con Suor Cristina e Suor Rosa, riguardante la
gestione della struttura e delle ospiti, ho potuto riscontrare anche
l’elevato impegno che dimostrano nel superare gli eventuali problemi
che è inevitabile incontrare operando in una struttura di questo tipo.
Offrono alle persone ospiti, spesso sole e lontane dagli affetti,
accoglienza, ricreando un clima ed un calore familiare. Allo stesso
tempo si adoperano per sbrigare le pratiche burocratiche, mantenere i
contatti con gli avvocati. Si impegnano a colmare il tempo delle
giornate delle ospiti, soprattutto quelle che arrivano con la detenzione
domiciliare, per esempio insegnano loro qualche lavoro manuale e
coinvolgendole anche nella gestione della casa. Un’insegnante
esterna, volontaria, impartisce loro lezioni di italiano (ricordo che
spesso le ospiti della struttura sono straniere) una volta alla settimana.
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L’impegno delle religiose prevede anche la collaborazione con alcune
delle cooperative di tipo “B”98 ed associazioni per offrire, quando
possibile, un lavoro.
Le religiose mostrano un impegno importante verso le donne in
misura alternativa, tendendo a voler migliorare e incrementare il loro
operato.
98
Vedi nota 91.
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CONCLUSIONI
A mio avviso occorre sottolineare l’importanza dell’ideologia
rieducativa in ambito carcerario e post-carcerario, ma allo stesso
tempo occorre anche prestare attenzione a non commettere l’errore di
utilizzare la concessione dei benefici extracarcerari, come le misure
alternative, in modo automatico e in sostanza “indulgenziale”, con il
solo obiettivo di sfoltire la popolazione carceraria. Bisogna
considerare la natura di questi strumenti, quale ausilio per fasce di
emarginati, autori di fatti di scarso allarme sociale, la cui precaria
condizione sociale, in molti casi, ha portato a commettere il reato. È
necessario porre l’attenzione a non estendere, troppo facilmente, le
misure alternative a coloro che, oltre ad essere pienamente inseriti
nella società, non bisognosi di sostegno da parte del servizio sociale,
non mostrano alcuna comprensione del significato della misura e sono
anche autori di reati particolarmente gravi. Inoltre non è possibile
concedere
la
misura
senza
prescindere
da
un
programma
individualizzato e frutto di un’osservazione scientifica della
personalità, adatto alla persona e che possa ridurre il rischio di
recidiva.
Dopo la concessione della misura è necessaria l’applicazione di quel
binomio sostegno-controllo da parte dello Stato, che si potrebbe
concretizzare con l’incentivazione di quelle strutture sociali che grazie
ad operatori specializzati e volontari possono farsi carico dei soggetti
avviati ad un percorso risocializzante, all’interno di una misura
alternativa.
La misura alternativa può essere ritenuta uno strumento volto alla
prevenzione criminale solo nel momento in cui diventa contenitore di
un programma rieducativo risocializzante individualizzato.
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Credo sia opportuno utilizzare questo criterio nell’applicazione delle
misure alternative alla detenzione per giungere ad un esito positivo
delle
stesse,
favorendo
l’incremento
sensibilizzando anche l’opinione pubblica.
104
delle
concessioni
e
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LINK
- http://www.michelucci.it.
- http://www.giustizia.it.
- http://www.oasifirenze.it.
- http://www.padrimercedari.it.
- http://www.informacarcere.it.
- http://www.comune.fi.it/opencms/export/sites/retecivica/amm/g
aranti/garante_detenuti/relazione/relaz2007.doc.
- http://www.rudolfsteiner.it.
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