Intervento prof. A. Pandolfo - La riforma degli ammortizzatori sociali

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Intervento prof. A. Pandolfo - La riforma degli ammortizzatori sociali
ANGELO PANDOLFO La riforma degli ammortizzatori sociali: passi in avanti e nella direzione giusta Sommario: 1. Una riforma impegnativa e connessa ad altre ‐ 2. Le soluzioni del Protocollo sono adeguate – 3. Condivise le linee guida della riforma, rimane molto da fare 1. Da molti anni la scena pubblica è interessata dal dibattito sulla riforma dei cosiddetti ammortizzatori sociali, riforma annunciata in decine di provvedimenti legislativi e mai realizzata con la dovuta organicità. L’insistenza sulla necessità di intervenire nella materia è giustificata da fatto che, ad oggi, il sistema degli ammortizzatori sociali presenta vistose lacune sotto diversi profili: i trattamenti di disoccupazione sono troppo bassi, la tutela non è universale ma risulta frammentata a seconda dei settori di attività e della dimensione delle aziende senza che sia facilmente riscontrabile una logica complessiva. Gli ammortizzatori sociali non costituiscono, anche dove sono presenti, uno strumento di stimolo al passaggio da una occupazione all’altra, assicurando una tutela meramente passiva e, nella gran parte dei casi, nemmeno adeguata sotto il profilo quantitativo. Di fronte a queste carenze del sistema, nel corso degli ultimi anni si sono sprecati gli auspici a favore della riforma; meno unanime è stata 1
l’individuazione delle soluzioni legislative da adottare per superare un assetto generale non soddisfacente, anche se non mancano preesistenti ed interessanti elaborazioni che hanno avuto il pregio di individuare in concreto possibili percorsi di intervento (si pensi, ad esempio, al disegno di legge sui “Diritti di sicurezza sociale in materia di tutela attiva del lavoro e del reddito”, presentato nella scorsa legislatura). Il Protocollo sul mercato del lavoro, il welfare e la competitività del 23 luglio 2007 prefigura una serie di interventi in materia. Un capitolo è dedicato proprio agli “Ammortizzatori sociali”. E questo è già un suo merito. Avendo consapevolezza delle tendenze in atto nel mercato del lavoro e dei problemi aperti, molti dei quali si trascinano da anni, la valutazione delle innovazioni prospettate deve liberarsi da un approccio “semplicistico/riduttivo”, secondo il quale tutto potrebbe risolversi con qualche incremento della misura e della durata del trattamento ordinario di disoccupazione. L’esigenza di passare da un sistema di welfare meramente risarcitorio ad un sistema di welfare promozionale è comunemente riconosciuta. La riforma degli ammortizzatori sociali ha un grande rilievo proprio perché riassume passaggi essenziali per dare attuazione a tale esigenza, da soddisfare senz’altro ove davvero si vogliano assicurare tutele efficaci del lavoro nell’era della globalizzazione e della flessibilità. 2
Come si intrecciano politiche attive e politiche passive costituisce la principale questione a cui dare adeguate soluzioni in funzione dello sviluppo di un sistema integrato di misure di sostegno. Proprio perché è questo il terreno su cui chiama ad impegnarsi, la riforma degli ammortizzatori sociali si pone al centro della ricostruzione (non del superamento e nemmeno del ridimensionamento) del sistema di protezione sociale. Se la riforma di questi strumenti di intervento non riuscisse ad inglobare soluzioni in grado, da una parte, di evitare trappole assistenzialistiche e, dall’altra, di favorire la rioccupazione, la partita del ridisegno del sistema di welfare, che si vuole più attivo e promozionale, sarebbe per ciò stesso persa. In presenza di un Protocollo che riceve apprezzamenti ma anche qualche critica, è utile interrogarsi su come le misure in esso prefigurate si rapportano ai principi/valori ricavabili dalla Carta costituzionale che per tutti ‐ anche per chi manifesta una maggior attitudine critica verso l’intesa ‐ costituisce un imprescindibile punto di riferimento. A stregua di tali principi/valori, il diritto al lavoro costituisce il diritto sociale stipite, alla cui effettività la realizzazione della persona e della sua dignità risulta ampiamente legata. Ancora oggi, del resto, è intorno al lavoro che continua a giocarsi il destino sociale della grande maggioranza della popolazione: come si è osservato, “la differenza rispetto al periodo precedente ‐ una differenza enorme ‐ è che se il lavoro non ha perso la sua importanza, ha perso molto 3
della sua consistenza, da cui deriva la parte più importante del suo potere di protezione” (Castell, 2004, 86). Ne derivano conseguenze anche per la regolamentazione degli ammortizzatori sociali, tenuta ad un dovere di coerenza rispetto alla finalità prioritaria. Anche gli ammortizzatori, in particolare nella forma del trattamento economico in caso di disoccupazione, costituiscono un diritto riconosciuto al livello costituzionale, come gli altri diritti previdenziali soggetto alla garanzia della adeguatezza. Nondimeno, in ragione della priorità fissata già a livello costituzionale, il sussidio economico, costituzionalmente necessitato e socialmente necessario ma anche artificiale in quanto sganciato da lavoro attuale, deve essere costruito in maniera da non creare ostacoli alla effettività del diritto al lavoro e anzi, nei limiti del possibile, in maniera da favorirne l’attuazione. La tutela previdenziale è sì prevista a livello costituzionale, ma riguarda il caso di disoccupazione “involontaria”. Pensando alla riforma e, in particolare, al modo di affrontare le eccedenze di personale in caso di crisi aziendale, si è prospettata la necessità di rafforzare l’impostazione risalente alla l. 223/1991, privilegiando tendenzialmente gli ammortizzatori sociali di tipo “conservativo”, come la cassa integrazione e i contratti di solidarietà, rispetto a quelli meramente “risarcitori”, come i trattamenti di disoccupazione (Alleva, 2005, 130). 4
Condividendo l’idea che sono da privilegiare le soluzioni che favoriscono il mantenimento dell’occupazione, senza però sottrarsi all’onere di riflettere su prassi che vedono impiegati impropriamente gli ammortizzatori “conservativi” in situazioni aziendali in cui è sostanzialmente consolidata l’eccedenza di personale, sussiste l’esigenza di essere ancora più innovativi. Occorre, infatti, darsi l’obiettivo di superare le misure meramente “risarcitorie”, nella consapevolezza che da solo il sussidio economico non garantisce la cittadinanza sociale. Integrazione salariale e trattamento di disoccupazione, a ben vedere, hanno in comune una funzione indennitaria, supplendo ambedue alla mancanza della retribuzione. L’integrazione salariale presuppone il mantenimento del rapporto di lavoro, ma non per questo non rileva l’esigenza di utilizzare la sospensione dell’attività come fase di manutenzione (anche straordinaria) dell’aggiornamento e della professionalità dei lavoratori interessati. Solo così l’impresa, al riavvio dell’attività, potrà fruire del valore aggiunto di una forza lavoro motivata e più preparata. A sua volta, il trattamento di disoccupazione presuppone l’estinzione del rapporto di lavoro. Ciò non toglie che può non essere meramente “risarcitorio” ove si ponga come misura di sostegno economico che accompagna e, in qualche modo, incentiva interventi volti alla rioccupazione e alla prevenzione della disoccupazione di lunga durata. L’opera da compiere, dunque, non è affatto banale. 5
Dati i punti di partenza, si tratta, da una parte, di irrobustire gli ammortizzatori sociali per gran parte della platea dei lavoratori, ben sapendo che quanto più gli ammortizzatori sono consistenti tanto più sono esposti al rischio di effetti non voluti, e, dall’altra, di rendere gli ammortizzatori funzionali all’attuazione del diritto al lavoro. La pregnanza dell’innovazioni da perseguire non si ferma a questi aspetti, fonti già di per sé di impegnative incombenze. Le relazioni fra le diverse forme di intervento, da curare con consapevolezza della natura delle sfide da affrontare, sono anche altre e sempre più complesse. La cosiddetta “flessicurezza”, di cui adeguati ammortizzatori sociali costituiscono strumento essenziale, deve sviluppare le capacità di fronteggiare il cambiamento nell’ambito di un sistema di protezione sociale che aiuti a cogliere le opportunità di un mercato del lavoro da orientare ad essere recettivo dell’offerta di lavoro nelle forme di impiego più in grado di dare stabilità all’occupazione ma che chiede, e continuerà a chiedere, flessibilità per riflesso delle trasformazioni di vario genere che interessano “… l’ impresa che nasce e muore, si fonde o si scinde, si integra o si smembra, più in fretta e più spesso di ieri” (Accornero, 2006, 489). La stessa “flessicurezza” ha, però, il limite di entrare in gioco solo quando è in atto la perdita del posto di lavoro. C’è bisogno, quindi, anche di misure che aiutino le persone ancor prima che perdano il posto di lavoro (Giddens, 2007, 30). 6
Senza la possibilità di agganciarsi a misure del genere, sarà sempre più difficile fronteggiare la sfida della rioccupazione. Per questa ragione, non si può non essere particolarmente esigenti nel valutare riforme che enunciano finalità di tutela anche nel mercato del lavoro. La definizione del giusto mix di politiche attive e passive del lavoro, il ridisegno delle forme di tutela economica all’insegna di una maggiore equità ed efficienza, la concreta organizzazione della funzione di attivazione dei beneficiari dei sussidi economici rappresentano misure che direttamente riguardano la riforma degli ammortizzatori sociali. Realizzarle è già tanto, ma non è sufficiente alla luce delle finalità che si enunciano. Dando seguito ad un nuovo principio‐guida per la sicurezza sociale in epoca post‐fordista, si tratta di garantire una continuità di tutela nella discontinuità dei tragitti lavorativi (Accornero, 2006, 491; in prospettiva analoga, da ultimo, Romagnoli, 2007, 130). Il punto è che, nel contesto dell’economia globale e flessibile, il necessario ridisegno delle tutele non può riguardare solo le fasi di non lavoro, accentuate dalla flessibilità e dalla conseguente discontinuità lavorativa, al cui interno soprattutto si collocano gli ammortizzatori sociali. La contrapposizione fra tutele nel rapporto e tutele nel mercato è davvero fasulla. Date le sfide da affrontare, c’è, infatti, bisogno di sinergie fra le une e le altre. 7
Ben oltre la generica enunciazione dell’esigenza della formazione permanente, si tratta in particolare di rendere esigibile un vero e proprio diritto alla formazione dei lavoratori, che li doti, lungo tutto il loro percorso lavorativo, dei saperi e delle qualifiche necessarie per far fronte alla mobilità (Castell, 2003, 90). Un diritto da articolare tenendo conto delle diverse situazioni in cui si può trovare il lavoratore ‐ quella di occupazione, che ha dalla sua la valenza formativa del lavoro ma che pone il problema di trovare spazi per altre modalità di formazione; quella di disoccupazione, che direttamente non può avvalersi del lavoro ma che può fruire del tempo non occupato dal lavoro ‐ senza che siano immaginabili fasi della complessiva vita lavorativa non permeabili da tale diritto. Anche pensando alla combinazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato con il regime della stabilità reale (nei termini in cui è in grado di assicurarla l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori), ossia allo schema contrattuale e alla forma di tutela che più promettono continuità lavorativa, non si può rinunciare a misure che assecondino la cura delle competenze e della professionalità già in costanza di rapporto di lavoro. Il dinamismo, talora erratico, dell’economia mette a dura prova la tenuta anche dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato nell’area della stabilità reale, come testimoniato dalla tendenza alla diminuzione della anzianità aziendale media. La rilevazione del comune interesse dei lavoratori stabili e dei lavoratori temporanei per le tutele attive, che il rapporto di lavoro sia in atto oppure sia cessato, non può far dimenticare la differenza legata al 8
maggior rischio di disoccupazione gravante sui lavoratori che non hanno un contratto a tempo indeterminato (Cnel, 2007, 207). Al di là di un formale rispetto del principio di non discriminazione, un di più di tutela dei lavoratori temporanei, con riferimento all’anzidetto diritto nel corso del rapporto di lavoro, sarebbe pertanto auspicabile. Le azioni formative, volte a favorire il ritorno all’impiego attraverso il miglioramento della qualificazione, ancor di più devono saldarsi con interventi attuati nel corso dei rapporti di lavoro che più espongono alla necessità della ricerca della rioccupazione. 2. Il Protocollo del 23 luglio scorso avvia un processo di adeguamento degli ammortizzatori sociali agli standard europei. Vengono definite le linee guida per una riforma organica della materia, che in primo luogo richiamano l’esigenza di procedere ad una progressiva armonizzazione degli attuali istituti di disoccupazione ordinaria e di mobilità. Questi dovrebbero essere sostituiti da uno strumento unico di tutela indirizzato al sostegno del reddito e al reinserimento lavorativo delle persone disoccupate. La modulazione dei trattamenti viene prevista in funzione dell’età anagrafica dei lavoratori e delle condizioni occupazionali più difficili presenti nelle Regioni del Mezzogiorno, con particolare riguardo alla condizione femminile. 9
Il Protocollo prevede, altresì, la progressiva estensione e unificazione dei trattamenti di integrazione del reddito (cassa integrazione ordinaria e straordinaria) che, come noto, hanno la finalità di integrare il reddito dei lavoratori in presenta di eventi congiunturali negativi o in occasione di problemi strutturali ed eventuali eccedenze di mano d’opera. Con riferimento a questo aspetto, si prevede anche l’attivazione di misure volte ad accrescere il coinvolgimento e la partecipazione attiva delle aziende nel processo di ricollocazione dei lavoratori. In questo processo viene previsto altresì il coinvolgimento degli Enti bilaterali, sia allo scopo di provvedere eventuali coperture supplementari, sia per esercitare un’azione di controllo sul funzionamento di questi strumenti in particolari settori produttivi. Viene poi prevista la realizzazione di interventi volti al miglioramento, in stretto raccordo con Regioni e Province, delle politiche attive del lavoro e soprattutto alla combinazione tra politiche attive e sostegni monetari; a tal fine, il Protocollo ribadisce l’esigenza di rendere effettiva la perdita della tutela in caso d’immotivata non partecipazione ai programmi di reinserimento al lavoro o di non accettazione di congrue opportunità lavorative, mediante una maggiore attenzione a questo legame nel “patto di servizio” stipulato tra i centri per l’impiego e le persone in cerca di lavoro. Inoltre, si prevede la destinazione di una quota delle risorse comunitarie della programmazione 2007‐2013 alla stabilizzazione dei rapporti di lavoro, al sostegno del l’occupazione femminile ed a 10
promuovere l’inserimento lavorativo delle fasce deboli e dei lavoratori in età più matura, per i quali si prevede il potenziamento delle politiche di invecchiamento attivo. ll Protocollo prevede, infine, il miglioramento delle procedure di coordinamento tra Ministero del Lavoro e Regioni, con particolare riguardo ai profili di sistema (definizione di standard nazionali, sistema informativo, formazione degli operatori, ecc.), e delle sinergie con gli enti previdenziali. Un secondo gruppo di interventi riguarda misure destinate a trovare applicazione immediata, come ad esempio il progressivo miglioramento delle tutele economiche in caso di disoccupazione non agricola per i soggetti più deboli. Con riferimento ai trattamenti di disoccupazione, si prevede l’innalzamento della durata della indennità di disoccupazione con requisiti pieni, che verrà portata a 8 mesi per gli infracinquantenni e a 12 mesi per gli over 50. Questa misura si accompagna anche ad un aumento dell’importo della indennità di disoccupazione con requisiti pieni, la quale sarà portata al 60% dell’ultima retribuzione per i primi 6 mesi, al 50% dal 7° all’8° mese, al 40% per gli eventuali mesi successivi, mantenendo in vigore gli attuali massimali. L’intervento sull’indennità con requisiti pieni viene accompagnato da un intervento di tenore analogo per l’indennità di disoccupazione con requisiti ridotti (calcolata sui redditi da lavoro dell’anno precedente). 11
Questa indennità passerà dall’attuale 30 al 35% per i primi 120 giorni e al 40% per i giorni successivi, per una durata massima di 180 giorni. Sempre a proposito dell’indennità a requisiti ridotti, è anche apprezzabile l’intenzione di ridefinirne il “disegno” allo scopo di favorire i rapporti di lavoro di durata più lunga. Inoltre, si prevede l’aumento della perequazione relativa ai tetti delle indennità dall’80% al 100% dell’inflazione, per agevolare il costante adeguamento di questi importi alle variazioni del costo della vita. Al fine di assicurare una maggiore continuità contributiva ai lavoratori interessati da fenomeni di intermittenza lavorativa, il Protocollo rafforza la garanzia della contribuzione figurativa, che viene assicurata per l’intero periodo di godimento dei trattamenti di disoccupazione e con riferimento alla retribuzione già percepita. In questo modo, si aumenta il livello di tutela anche sotto il profilo della tutela pensionistica. Il lavoratore discontinuo viene a fruire di una tutela piena, che non riguarda solo il reddito corrente ma anche le prospettive pensionistiche. Ciò si realizza, in primo luogo, legando la durata della contribuzione figurativa a tutto il periodo di percezione del trattamento di disoccupazione. Al contrario di provvedimenti legislativi, in particolare la legge n. 80/2005, che avevano allungato il periodo di erogazione del trattamento di disoccupazione senza aumentare il periodo di copertura figurativa, si fa corrispondere all’ampliamento 12
della durata del trattamento di disoccupazione la contribuzione figurativa “per l’intero periodo di godimento dell’indennità. In secondo luogo, viene cambiata la base di computo su cui calcolare la contribuzione figurativa. Nella disciplina precedente (art. 4, comma 2, legge n. 218/1952) la contribuzione figurativa è calcolata sulla media dei contributi versati nell’ultimo anno anteriore al periodo di disoccupazione. Nella nuova disciplina prospettata dal Protocollo, il calcolo della contribuzione figurativa dovrà essere riferito alla “retribuzione già percepita”. 3. Nel loro insieme, le misure prospettate appaiono all’altezza dei problemi esistenti e delle elaborazioni che nel corso degli anni hanno portato a riempire di contenuti la riforma degli ammortizzatori sociali (su cui v. Geroldi, 2005; Pandolfo, 2007). I problemi di equità e di efficienza, più volte riscontrate nell’analisi di questo settore del sistema di welfare, ricevono risposte positive, ma certamente molto dipenderà da quanto effettivamente si farà in attuazione del Protocollo. Alcuni degli interventi previsti, come gli incrementi delle prestazioni di disoccupazione, sono facilmente traducibili in norme legislative, verosimilmente della prossima legge finanziaria. Gli altri, di cui il Protocollo tratta in termini più programmatici, potrebbero essere oggetto di una delega legislativa, dando seguito all’impegno alla “concertazione” espresso dal Protocollo e comunque trasformando le 13
linee fornite dal Protocollo stesso in principi e criteri direttivi della delega. L’affidamento della riforma a strumenti legislativi diversi, soluzione che non ha facili alternative, non compromette necessariamente l’organicità della riforma se in fase attuativa si procederà con la dovuta attenzione ai legami e alle sinergie da valorizzare. Attenzione tanto più necessaria in quanto, a fronte di un’intesa di particolare ampiezza, si dovranno anche curare i raccordi con l’attuazione di altre parti del Protocollo, in primo luogo delle parti relative alla formazione e ai servizi per l’impiego ma anche alla “rimodulazione degli incentivi economici finalizzati all’inserimento lavorativo”. La capacità degli interventi previsti dal Protocollo di modernizzare il sistema degli ammortizzatori sociali dipenderà anche dalla qualità dell’azione amministrativa. Si pensi al legame fra politiche attive e ammortizzatori sociali che, pur potendo essere ancora migliorato sul piano della regolamentazione legislativa, necessita anche di una migliore gestione a livello amministrativo. Come parti principali, il Protocollo ha avuto soggetti nazionali: Governo e Confederazioni. Gli aspetti trattati sfiorano materie che, nel sistema di competenze a più livelli, sono di competenza regionale. Non c’è dubbio, pertanto, che in sede di attuazione vada rafforzato il confronto con il sistema delle Regioni, in modo che finalità condivise possano fruire di coerenti e sinergici interventi nazionali e regionali. 14
Bibliografia essenziale Accorsero Aris, I precari non sono tanti, ma la precarietà sì: come mai?, in il Mulino, 2006, 482 ss. Alleva Piergiovanni, Proposte di riforma della legislazione del lavoro, in RGL, 2005, 121 ss. Castell Robert, L’insicurezza sociale. Cosa significa essere protetti, Torino, 2004 Cnel, Rapporto sul mercato del lavoro 2006, Roma, luglio 2007 Geroldi Gianni, Il sistema degli ammortizzatori sociali in Italia: aspetti critici e ipotesi di riforma, in Per lo Sviluppo. Fisco e welfare a cura di S. Giannini e P. Onofri, Bologna, 2005, 45 ss. Giddens Anthony, L’europa nell’età globale, Roma‐Bari, 2007 Pandolfo Angelo, Per un sistema di misure integrate di sostegno nel mercato del lavoro (ovvero della riforma degli “ammortizzatori sociali”), in Il futuro del lavoro, Matelica, 2007, 105 ss. 15