Le tubolature di bordo
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Le tubolature di bordo
Le tubolature di bordo 1 Le tubolature di bordo 1.1 Introduzione, 1.2 Il percorso delle tubolature, 1.3 I materiali, 1.4 La corrosione e la scelta dei materiali, 1.5 I supporti e il dimensionamento strutturale, 1.6 Le giunzioni, 1.7 Le valvole, 1.8 Gli azionamenti delle valvole, 1.9 Le prese e gli scarichi a mare, 1.10 I filtri, 1.11 Le casse 1.1 – Introduzione I vari impianti che vengono predisposti a bordo della nave per il trasferimento dei liquidi sono usualmente indicati, quando non direttamente connessi con le operazioni delle macchine di propulsione principali, con il termine di tubolature per i servizi di scafo (hull piping systems). La suddivisione fra le tubolature di macchina e quelle per gli altri servizi della nave (ovvero di scafo) non è così netta come potrebbe apparire, infatti per esigenze di flessibilità e di economicità di installazione e manutenzione alcuni impianti sono interconnessi, inoltre esistono impianti funzionali a svolgere mansioni che riguardano sia il funzionamento dei motori, sia lo spostamento di liquidi per le esigenze di sicurezza della nave, quali per esempio l’impianto per l’olio combustibile. Una classificazione alternativa, ma meno utile a scopi didattici, è quella che propone di indicare come impianti di bordo tutti quelli che non fanno capo a macchinari collocati nella sala macchine. Si rammenta infine che con il termine tubolature o tubazioni si indicano gli impianti che convogliano liquidi, mentre con il termine condotte ci si riferisce usualmente ai sistemi di distribuzione dell’aria. Ciascuno di questi impianti è composto sommariamente da una condotta di aspirazione, una o più pompe ed una condotta di mandata, oltre naturalmente ai depositi o agli utenti che si trovano alle estremità. Tali impianti formano una complessa rete di tubazioni che percorrono l’intera nave convogliando vapore, acqua, olio combustibile per i più diversi servizi: 1 Corso di Allestimento Navale il raffreddamento o la lubrificazione di macchinari, la fornitura dell’acqua per le varie utenze di bordo e lo smaltimento degli scarichi, la fornitura d’acqua e di agenti estinguenti per lo spegnimento di incendi, il drenaggio dei locali allagati o delle sentine oleose, il trasferimento di masse per esigenze di assetto o di sbandamento, oltre ovviamente alla caricazione e scaricazione delle merci liquide trasportate alla rinfusa. L’insieme degli impianti costituiti dalle tubolature dedicate ai vari servizi di bordo è uno dei più complessi della nave, e partecipa in maniera significativa nel determinare il costo degli allestimenti. Il progetto funzionale di questi impianti richiede innanzitutto la conoscenza di alcuni parametri di base che si ricavano dalla destinazione d’uso della nave e dal suo profilo di missione: l’ambiente operativo fornisce le temperature di riferimento per il funzionamento dei macchinari, i tempi di permanenza in porto danno indicazioni per la definizione della capacità minima delle casse di stoccaggio degli scarichi o par la scelta delle portate delle pompe di caricazione e scaricazione delle cisterne del carico, la destinazione d’uso (e quindi il tipo di nave e di carico) permette poi di evidenziare quali sono, in seno alle vigenti normative di sicurezza (essenzialmente il Registro di classificazione e le Convenzioni internazionali SOLAS e MARPOL dell’IMO), le prescrizioni cui gli impianti devono sottostare. Considerando la funzione che ogni impianto dovrà espletare, ed assieme i vincoli di progetto cui sopra si è fatto riferimento, vengono definiti i requisiti dell’impianto, ovvero le modalità di trasferimento – in termini di pressione e quantità – del fluido fornito o prelevato dai diversi utilizzatori: un motore, un passeggero oppure una manichetta antincendio. Fissate le richieste progettuali, il lay–out dell’impianto viene tracciato partendo dalla definizione e localizzazione dei macchinari e dalla stesura dei percorsi delle condotte (spesso ricorrendo all’ausilio di software per la grafica tridimensionale). Come è noto, la conoscenza della lunghezza e delle deviazioni di una condotta, oltre che degli accessori su di essa presenti, è determinante per la valutazione delle perdite di carico dell’impianto. Ovviamente, per ridurre le perdite i macchinari devono trovare collocazione il più vicino possibile agli utilizzatori del servizio, compatibilmente con esigenze di sicurezza, di comfort, di spazi e di connessione con altri impianti o con elementi funzionali che non possono essere spostati (prese a mare). Inoltre i percorsi devono essere i più diretti possibile, compatibilmente con le esigenze di sicurezza e di accessibilità per le manutenzioni e per le ispezioni. Contestualmente vengono scelti i diametri delle condotte in modo da garantire il flusso richiesto con la massima velocità di trasferimento del 2 Le tubolature di bordo liquido trasportato, in modo da ottenere i minimi ingombri (ed i minimi costi delle forniture) nel rispetto della sicurezza e dell’economicità di esercizio e di manutenzione dell’impianto. Va osservato infatti che dalla velocità di flusso dipende il tasso di erosione e di corrosione delle condotte, che è funzione sia del tipo di liquido trasportato, sia del materiale scelto per l’impianto. Inoltre, il trasporto dei liquidi infiammabili deve avvenire senza il rischio di innesco di scintille per effetto dell’elettricità statica. Sulla base dei dati sopra illustrati è possibile infine determinare le perdite di carico totali dell’impianto e procedere alla scelta delle pompe che garantiscano la prevalenza e la portata volute nel quadro delle modalità di funzionamento richieste dallo specifico impianto. Può iniziare a questo punto la procedura di verifica del progetto, in cui ad una prima fase relativa del progetto idraulico viene fatta seguire il dimensionamento strutturale, infatti: • innanzitutto sono richieste valutazioni idrauliche riguardanti i processi funzionali che devono essere espletati dall’impianto tramite un complesso di casse, prese a mare, pompe, condotte, valvole ed accessori diversi; • in secondo luogo si passa alle considerazioni di robustezza dei singoli componenti, valutando le pressioni che si manifestano nel liquido ed i carichi trasmessi dalle strutture portanti. Va poi considerato che ai componenti meccanici principali si affiancano poi sistemi ausiliari complementari costituiti da reti elettro–idrauliche o pneumatiche per il monitoraggio a distanza dei parametri significativi di funzionamento dell’impianto (flussi e pressioni nelle condotte, posizione delle valvole, condizione delle pompe) e per il controllo e l’asservimento dei macchinari (accensione e spegnimento delle pompe, apertura e chiusura delle valvole). L’intero processo si concretizza alla fine nella stesura, per ogni impianto, di uno schema funzionale della tubolatura, che permette di verificare la compatibilità dell’impianto con la compartimentazione, con le destinazioni d’uso dei locali attraversati e con gli altri impianti con cui è interfacciato. Tale schema (piping–system diagram) riporta infatti, su uno schematico piano generale della nave, i componenti del sistema e le relative connessioni. Esso inoltre è corredato da indicazioni che permettono la comprensione del funzionamento dell’impianto, quali i versi dei flussi nelle condotte e l’identificazione dei componenti. Parte integrante dello schema funzionale è la documentazione che riporta notizie sui materiali, sul funzionamento delle pompe, sulle curve di carico delle pompe e del sistema, sui parametri del sistema (pressioni, portate, velocità, temperature), sulle dimensioni delle condotte, sulle caratteristiche degli strumenti di misura e di controllo (pressioni, portate, temperature, livelli) e sulle unità di potenza. A 3 Corso di Allestimento Navale queste si aggiungono poi le specifiche relative alle normative di riferimento soddisfatte. A questo punto non resta che definire le modalità di fabbricazione dei singoli elementi delle condotte – i tubi sono usualmente lavorati (piegatura a freddo e flangiatura) nelle cosiddette “officine tubi” dei cantieri navali –, le modalità di esecuzione delle prove per la “consegna” di ciascun elemento componente l’impianto, consegna che si espleta a seguito del buon esito delle prove di pressatura, ed infine le modalità di assemblaggio a bordo e di consegna dell’intero impianto. Per quanto riguarda la fabbricazione, i metodi adottati devono essere compatibili con le caratteristiche meccaniche del tubo, per questo motivo il materiale dei tubi da lavorare per piegatura a freddo in officina deve rispettare determinate caratteristiche di duttilità. Il Registro Italiano Navale indica nella Part D – “Materials and Weldings”, quali sono le prove meccaniche da effettuarsi sui campioni di tubo in funzione delle pressioni di esercizio della linea a cui è destinato, e precisamente richiede: • la prova di schiacciamento, che consiste nell’applicare un carico nella direzione dell’asse e schiacciare l’anello di tubo, • la prova di allargamento su mandrino, che consiste nello svasare un lembo dello spezzone di tubo tramite un mandrino conico, • la prova di bordatura, che consiste nel formare a collare un’estremità dello spezzone di tubo con apposito mandrino, • la prova di trazione anulare, che consiste nel far espandere radialmente lo spezzone di tubo con due mandrini simmetrici, • la prova di piega, che consiste infine nel piegare uno spezzone di tubo, o per tubi di grande diametro un provino estratto perpendicolarmente all’asse del tubo, su un mandrino di opportuno diametro (pari a circa dieci volte il diametro del tubo) fino a 180°. Per quanto riguarda la pressatura (detta anche prova idrostatica), si rammenta che essa consiste innanzitutto nel provare in officina la tenuta idraulica dei singoli elementi, e si effettua con acqua o con aria generando all’interno del tubo una pressione tale da indurre sulle pareti dello stesso una tensione membranale pari a quella ammissibile. In un secondo momento, una volta completata l’installazione dell’impianto, si procede ad una seconda pressatura per la valutazione della tenuta delle giunzioni. Questa prova viene condotta ad una pressione pari a quella di esercizio aumentata del 35%÷50%. Per poter affrontare il progetto di un impianto risulta evidente la necessità di conoscere, oltre alle caratteristiche dei fluidi da convogliare e dei materiali a disposizione, le caratteristiche di funzionamento dei principali elementi costituenti, ovvero: 4 Le tubolature di bordo • le condotte di trasferimento del fluido, sia di aspirazione, sia di mandata, che vanno intese complete di tutti gli accessori (valvole, filtri, pigne di aspirazione, etc.); • le pompe, che sono le macchine operatrici che cedono al fluido l’energia necessaria a generare nella condotta le caratteristiche di flusso e di pressione volute; esse sono mosse da un motore e sono corredate da una serie di accessori quali filtri, valvole di non ritorno e di sicurezza, circuiti di by–pass, polmoni, autoclavi, etc. Il passo successivo consiste nell’acquisire le conoscenze riguardanti i diversi processi funzionali che devono essere espletati dalle tubolature degli impianti di bordo. Ciò può essere fatto analizzando gli schemi funzionali tipici dei vari impianti di scafo, in modo da poter valutare quali sono le caratteristiche di funzionamento richieste ai diversi servizi. Nella trattazione che seguirà si prenderanno in considerazione gli impianti principali e quelli che più usualmente si possono incontrare a bordo di una nave: • l’impianto per il rifornimento ed il trasferimento di olio combustibile, studiato parzialmente con riferimento ai soli componenti che stanno, rispetto all’utente finale rappresentato dal motore principale, a monte delle casse di decantazione; • gli impianti di sentina e di zavorra, accomunati dal fatto che si servono di pompe interconnesse; • l’impianto di raccolta e trattamento delle sentine oleose, strettamente connesso a quello di sentina ed ai vari scarichi oleosi di bordo; • l’impianto di bilanciamento, utilizzato a bordo delle navi RO–RO per contrastare gli sbandamenti che si manifestano durante la caricazione; • l’impianto antincendio, per quanto riguarda le componenti relative all’approvvigionamento di acqua sia alle manichette, sia alle reti di spegnimento con sprinkler, sia all’eventuale impianto di estinzione a schiuma; • l’impianto di produzione, smistamento e smaltimento dell’acqua dolce, sia per le utenze che richiedono acqua potabile, sia per quelle che richiedono acqua distillata; • l’impianto di acqua di refrigerazione, che svolge un servizio ausiliario all’impianto di condizionamento e ai vari impianti o macchinari che necessitano di un liquido refrigerante; • l’impianto di carico e scarico delle navi cisterne, assieme a quello di stripping e di inertizzazione. Una trattazione a parte sarà infine riservata agli impianti oleodinamici utilizzati per i più diversi servizi scafo, oltre che per il controllo a distanza. 5 Corso di Allestimento Navale 1.2 – Il percorso delle tubolature Le linee di un impianto di tubolatura percorrono lo scafo della nave per effettuare un servizio che può essere di circolazione o di travaso: • il primo caso è per esempio quello degli impianti di raffreddamento (circuiti chiusi); • il secondo è quello più usuale concernente l’approvvigionamento di liquidi ad un utente, il drenaggio di locali o analogamente lo svuotamento di cisterne e ancora lo spostamento di liquidi per esigenze di sbandamento o assetto (circuiti aperti). In ogni caso, come accennato, il percorso delle condotte deve seguire la via più diretta possibile fra i punti da collegare, senza interferire con altri impianti o con elementi in movimento e senza ostruire zone di passaggio. A tale riguardo, è pure tollerato che possano essere poste in zone dove ostacolano l’accesso agli impianti, ma per le sole manutenzioni straordinarie, ed in tal caso deve essere prevista la possibilità di smontaggio della parte di condotta che ostruisce le operazioni. Ciò comporta la messa in opera di collegamenti flangiati alle estremità della parte amovile e di valvole sezionatrici sulla parte fissa dell’impianto. La stesura del percorso è un’operazione piuttosto complessa, in quanto si devono ridurre gli attraversamenti di paratie tagliafuoco o di paratie stagne per rispettare esigenze di sicurezza della nave, si deve minimizzare il rischio di contaminazioni del fluido convogliato evitando attraversamenti di casse, inoltre si deve ovviamente sottostare alle esigenze di funzionalità dei locali attraversati, allontanando le condotte che trasportano liquidi infiammabili da fonti di calore o anche allontanando dalle cabine dei passeggeri quelle che possono comportare la riduzione del comfort. I percorsi devono essere quanto più possibile rettilinei, soprattutto all’ingresso e all’uscita delle pompe, ove si mira con particolare attenzione a ridurre l’insorgere di turbolenze, che sono causa di erosione, effetto fortemente temuto nelle condotte in cui circolano acqua di mare o liquidi con particelle in sospensione. Per lo stesso motivo è conveniente prevedere ampie curve di raccordo, piuttosto che gomiti, e trivi avviati con forma ad “Y” nella direzione del flusso; quando poi si prevedono molti inserti su un tratto limitato di condotta, è preferibile utilizzare una cassa valvole conformata in modo da favorire l’afflusso nei diversi rami. Nella definizione dei percorsi vanno anche evitati sifoni ad “U” capovolta che causano la formazione di sacche d’aria (favorendo la corrosione) o di gas (con il pericolo di esplosioni nel caso di vapori infiammabili), così come sono da evitare i sifoni ad “U” che causano depositi (e possibili ostruzioni). Si rammentano infine anche i 6 Le tubolature di bordo raddrizzatori di flusso che possono essere inseriti in punti critici della linea, per esempio nelle bocche di aspirazione delle casse. 1.3 – I materiali I materiali delle linee (tubi, pompe e accessori) devono essere selezionati considerando diversi fattori, quali la robustezza nei confronti dei carichi trasmessi e dei carichi accidentali, ovvero la capacità di mantenere un’opportuna resistenza meccanica (tensione di rottura, allungamento percentuale, durezza, resistenza all’impatto) anche a basse o alte temperature (nei confronti della fragilità e del fenomeno del creep), il peso, la resistenza alla corrosione, all’erosione ed alla cavitazione, e non da ultime la compatibilità con le condizioni del processo elaborato dall’impianto e la predisposizione a rimanere inerte senza contaminare il fluido. Fattori sempre determinanti nella scelta del materiale sono poi la durata e la facilità di effettuare collegamenti per saldatura ossia, in una sola parola, i costi di installazione e di manutenzione. Si osservi infatti che la possibilità di operare interventi di manutenzione, anche di emergenza, con il personale di bordo è un fattore importante nella scelta di un materiale. I metalli associano ad una buona resistenza dei costi non elevati e per questo motivo vengono usualmente impiegati per i diversi tipi di tubolature di bordo: si tratta di acciai al carbonio o legati con cromo e nichel, di ghise, di leghe di rame e leghe di nichel. Alcuni particolari metalli sono usati solo per i componenti più preziosi di impianti per il trattamento di sostanze chimiche molto aggressive (titanio), altri invece per singoli elementi costruttivi di pompe o valvole. Infine, trovano applicazione anche i materiali plastici e quelli ceramici. L’acciaio al carbonio o al carbonio−manganese è il più utilizzato quando non intervengono esigenze particolari di resistenza meccanica o chimica, molto spesso la scelta cade sull’acciaio dolce (mild steel) ma si usano anche acciai ad elevata resistenza soprattutto quando è previsto l’impiego a temperature maggiori di quella ambiente. La produzione di tubi si effettua con diversi metodi, dalla trafilatura, all’estrusione, alla laminazione con laminatoi obliqui: dal metodo di produzione deriva una diversificazione delle caratteristiche meccaniche (in genere i migliori prodotti sono quelli di laminatoio). La ghisa è particolarmente adatta per la produzione in getto e si usa per le casse delle pompe e degli accessori di tubolatura, essa però si presta anche alla fabbricazione di tubi, soprattutto per la predisposizione alla lavorazione in colata ottenendo tubi, anche di grandi dimensioni, senza saldature. A confronto con l’acciaio, essa da un lato garantisce una migliore resistenza alla corrosione, in quanto sulla superficie si forma uno strato protettivo di 7 Corso di Allestimento Navale grafite, ma la resistenza a corrosione in flusso di fluido non è buona poiché il film protettivo è spesso e poroso e può essere trascinato dalla corrente. Dall’altro l’alto, il contenuto di carbonio fa si che si manifestino caratteristiche, sia meccaniche che di saldabilità, non altrettanto buone. Tra le ghise molto usata è la ghisa grigia (grey cast iron), nella quale la grafite compare in forma di lamelle, conferendo caratteristiche meccaniche inferiori a quelle dell’acciaio. Un prodotto migliore dal punto di vista meccanico è la ghisa duttile, cosiddetta ghisa sferoidale o nodulare (SG iron) in quanto il carbonio compare in forma di noduli. Essa può sostituire l’acciaio dolce in diverse applicazioni a basse pressioni, con caratteristiche meccaniche e di resistenza alla corrosione intermedie fra quelle della ghisa grigia e dell’acciaio dolce, con tensioni di rottura anche elevate ma accompagnate da allungamenti percentuali che possono arrivare addirittura al 2% (si veda per i confronti fra i materiali la Tab. 1.3.A). Un esempio di utilizzo è quello nelle condotte per il carico delle navi petroliere, ma se le condotte corrono vicine al fondo o alle murate (in zone a rischio nel caso di collisioni o di incagli) si preferisce utilizzare, in luogo della ghisa, materiali più resistenti (acciaio dolce). Si fa ricorso ad acciai legati quando si presentano situazioni particolari. A tale riguardo si osserva che al giorno d’oggi gli acciai debolmente legati (ove i leganti non superano il 4,5%) sono poco usati, preferendo ricorrere agli acciai inossidabili o alle leghe di rame per il loro buon rapporto fra costo e durata. Gli acciai bassolegati sono addizionati di nichel e cromo (ma anche molibdeno e vanadio) ottenendo un aumento della durezza e della resistenza all’abrasione e all’erosione; questi materiali vengono preferiti quando la temperatura del fluido è tale da impedire l’uso degli acciai al carbonio. In genere infatti fino ai 350 °C l’acciaio non legato mantiene invariate le sue caratteristiche meccaniche, ma a temperature superiori manifesta problemi di creep presentando una temperatura limite di esercizio prossima ai 500°C. Si rammenta che con l’espressione “elevata temperatura” ci si riferisce ad una temperatura alla quale la dilatazione e la capacità di resistere al carico cominciano a dipendere dal tempo di applicazione del carico stesso. Per questo motivo nel progetto strutturale e nella scelta del materiale bisogna considerare sia il tempo di permanenza nella condizione di carico, sia la corrispondente temperatura d’esposizione. Quando si incorre in situazioni di creep è usuale fare riferimento alla tensione di rottura in 100.000 ore (circa 11,4 anni) di esposizione al carico alla temperatura prevista. Ad esempio, per un acciaio dolce la tensione di rottura a 100.000 ore di esposizione sotto carico si riduce, rispetto a quella a 8 Le tubolature di bordo temperatura ambiente, ad 1/3 a 400°C e ad 1/6 a 450°C annullandosi a 500°C, mentre un acciaio bassolegato raggiunge il suo limite di capacità a 600°C. Anche le ghise vengono legate, in genere con nichel e cromo, ottenendo oltre ai vantaggi sopra elencati (con temperature d’uso superiori ai 500°C) anche migliori caratteristiche di resistenza alla corrosione nei confronti di specifici prodotti chimici (come nelle condotte di fluidi frigorigeni, oppure nelle linee di carico delle navi chimichiere). Per aggressivi particolari si usano ghise al silicio e al silicio e molibdeno, ma gli elementi così costruiti diventano particolarmente fragili. CARATTERISTICHE MATERIALE tensione di rottura [Mpa] temperatura massima [°C] resistenza alla corrosione acciai al carbonio 300÷500 450 bassa acciai bassolegati 450÷600 (900) 600 bassa ghisa grigia 200÷350 200÷350 buona ghisa sferoidale 350÷900 350 buona ghise legate 150÷400 650÷800 alta acciai inossidabili 450÷700 450÷800 molto alta acciai super inox 600÷800 300 molto alta cupronichel 300÷400 250÷350 molto alta cuprallumini 450÷700 300 alta leghe di nichel 400÷1000 600÷800 altissima leghe di titanio 400÷1250 300÷450 altissima TABELLA 1.3.A Caratteristiche dei materiali metallici. Gli acciai inossidabili contengono almeno il 15% di cromo e percentuali variabili di nichel (tipicamente si hanno acciai Cr/Ni 17÷19/9÷13): in presenza di ossigeno formano uno strato superficiale invisibile di ossidi di cromo (uno strato denso e sottile) che conferisce un’ottima resistenza chimica, tanto che il materiale viene detto in stato passivo nei confronti dell’ambiente. In generale, in atmosfera normale non si manifestano 9 Corso di Allestimento Navale problemi di corrosione, ma il film protettivo di ossidi può andare in soluzione più o meno velocemente a contatto con ambienti umidi aggressivi, perciò si usano leganti come il nichel, il rame e soprattutto il molibdeno. Esistono inoltre i cosiddetti acciai super inossidabili (per esempio Cr/Ni/Mo/Mn 25/5,5/3/1,5 indurito per nitrurazione), che hanno migliori caratteristiche di durezza e resistenza alla corrosione − in particolare quella indotta dall’acqua marina. A bordo l’uso di tubi e accessori in acciaio inox (a matrice austenitica e austenitico–ferritica) è diffuso per impianti che convogliano prodotti chimici, sia ad alte che a basse temperature (ossia temperature inferiori a −20°C e fino –170°C, come nelle linee del carico delle gasiere). L’alta resistenza alla corrosione per applicazioni particolari viene testata con prove standard che prevedono il contatto del materiale con diversi aggressivi chimici. Le leghe di rame costituiscono un vasto gruppo di materiali che associano alle buone caratteristiche meccaniche (ed alla saldabilità) anche una buona resistenza alla corrosione, soprattutto nei confronti dell’acqua di mare e in generale delle soluzioni di cloruri. È noto che le leghe di più ampio uso sono il bronzo (rame−stagno Cu/Sn) e l’ottone (rame−zinco Cu/Zn). Lo stagno, aggiunto in percentuale crescente fino a raggiungere il 9÷10%, dà origine a leghe che presentano buona resistenza alla corrosione e buone caratteristiche meccaniche. Queste leghe sono lavorabili plasticamente e si possono laminare, estrudere, forgiare, stampare e trafilare. Aumentando la percentuale di stagno, si ricavano leghe con durezza maggiore, quindi minore malleabilità. L’elevata resistenza alla corrosione dei bronzi spiega il larghissimo uso in costruzioni navali, o per materiali a contatto con liquidi o atmosfere corrosive. Tra i bronzi si ricordano il gunmetal (Cu/Sn/Zn 88/10/2), adatto per produzione in getti e caratterizzato da alta tenacità, elasticità e resistenza agli agenti chimici. L’ottone è caratterizzato da ottima lavorabilità, da un basso costo e da una buona resistenza alla corrosione. La presenza del piombo (Cu/Zn/Pb 58/39/3) migliora la lavorabilità (valvolame). L’ottone allo stagno (Cu/Zn/Sn 71/28/1), anche detto naval brass, viene addizionato di stagno in quanto questo componente migliora le caratteristiche meccaniche e la resistenza alla corrosione. L’alluminio migliora notevolmente le caratteristiche antierosive e anticorrosive (queste leghe sono usate per tubi condensatori e scambiatori di calore) e la lega viene indicata con il termine di “bronzo all’alluminio” (Cu/Zn/Al 76/22/2): questo materiale è ottimo per la sua resistenza alla cavitazione (migliore di quella degli acciai inossidabili) ma suscettibile alla corrosione ad alte velocità di flusso. 10 Le tubolature di bordo Esistono in realtà moltissime leghe commerciali a base di rame, tra le quali si ricordano ancora le leghe rame–alluminio quali il cupralluminio (Cu/Al 90/10) e il nichel−cupralluminio (Cu/Al/Ni/Fe 80/10/5/5), adatti per produzione in getti (casse delle pompe). Sono leghe caratterizzate da una durezza e resistenza meccanica elevata; in alcune applicazioni possono sostituire leghe più costose, come i bronzi allo stagno. Infine, molto importanti nelle applicazioni navali sono le leghe rame– nichel, le cosiddette leghe cupronichel (Cu/Ni 70/30 oppure 90/10), che tradizionalmente a bordo costituiscono una tipologia di riferimento quando si hanno problemi di corrosione (all’aumentare della percentuale di nichel si misurano resistenze via via migliori alla corrosione). Queste leghe sono caratterizzate da un’ottima resistenza alla corrosione in ambienti marini (si usano in impianti di dissalazione e condensatori marini); notevole è la resistenza meccanica, in particolare la resistenza all’erosione. La resistenza del rame alla corrosione si riconduce alla formazione di un film di ossidi protettivi che si formano in presenza di ossigeno (ma non in presenza di liquidi contaminati anche da piccole percentuali di inquinanti come lo zolfo, oppure nel caso di olii). Un’altra caratteristica del rame è quella di essere tossico per gli organismi marini, che quindi non rimangono fissati ad esso. In particolare, si preferisce utilizzare rame piuttosto di acciaio nel caso delle condotte di aria compressa e di acqua di mare, oppure negli impianti oleodinamici e ancora nelle condotte di acqua potabile (migliore resistenza dell’acciaio con liquidi debolmente clorati) o nei casi in cui sia richiesta elevata conducibilità termica. Ottime caratteristiche di resistenza meccanica ed alla corrosione anche alle alte temperature hanno in generale le leghe di nichel. Tra queste si ricordano le leghe al molibdeno e cromo (Hastelloy), nichel e cromo (Inconel), adatte al trattamento di prodotti chimici, e le leghe al rame (Monel), eccezionalmente resistenti alla corrosione soprattutto con acqua di mare ad elevata velocità di flusso. Infine, le leghe al titanio hanno elevate caratteristiche meccaniche e di resistenza alla corrosione e sono da considerarsi, dal punto di vista dei costi, un’alternativa agli acciai legati ed alle leghe di rame e nichel quando il peso assume un ruolo importante nel progetto (il peso specifico è di 4500 Kg/m3). Le leghe di alluminio (Serie 6000 per prodotti estrusi e Serie 5000 per laminati) vengono utilizzate molto raramente a causa del basso potenziale elettrochimico dell’alluminio, e quindi dell’alto tasso di corrosione che si manifesta per contatto con gli altri metalli presenti a bordo. Le materie plastiche ed i materiali compositi sono intrinsecamente meno resistenti ai carichi, offrono invece vantaggi in termini di peso e di resistenza alla corrosione, oltre che di costo. Tra i prodotti termoplastici si fa riferimento a qualche decina di tipi, ma usualmente si tratta di 11 Corso di Allestimento Navale polivinilcloruri (PVC), politetrafluoroetilene (PTFE), polipropilene, ABS e polietilene: sono materiali utilizzabili fino a temperature limite di –40°C e 140°C, ciascuno con specifiche indicazioni riguardo alla resistenza ai prodotti chimici, all’impatto ed all’abrasione. Molto usato per vari servizi e soprattutto per processi in cui il fluido deve mantenere elevata purezza è il PVC, mentre l’ABS e il polipropilene hanno buona resistenza all’abrasione e sono usati per applicazioni igieniche. Per quanto riguarda i prodotti termoindurenti, le plastiche epossidiche (tenaci e resistenti all’acqua), viniliche (come le epossidiche ma più facili da trattare) e fenoliche (per alte temperature) spesso rinforzate con fibre di vetro (GRP), fibre di carbonio o KEVLAR sono molto usate per fabbricare contenitori negli impianti di bordo. Questi materiali d’altro lato sono suscettibili a fusioni in caso d’incendio e, non essendo buoni conduttori elettrici, possono essere sede di cariche elettrostatiche indotte dallo sfregamento del fluido al loro interno, che possono diventare pericolose per fluidi infiammabili o che rilasciano vapori infiammabili. Inoltre, nonostante che tutte le connessioni debbano essere fatte con manicotti fissati col calore o con collanti e sia necessaria raccorderia per qualsiasi deviazione di percorso, la facilità di installazione rimane elevata. Si usano per servizi non vitali e comunque a basse pressioni. Un utilizzo comune è quello delle condotte di acqua dolce potabile o di lavanda e per quelle degli scarichi igienici. Il RINA nella Parte C – “Machinery, Systems and Fire Protection” ed in particolare nel Cap. 1 – App. 3 – “Plastic Pipes” riduce l’utilizzo dei materiali plastici a quelli che abbiano temperature di distorsione non inferiori ad 80 °C per temperature di esercizio comprese fra 0 °C e 60 °C e comunque nel rispetto delle norme antincendio contenute nella SOLAS, che limitano considerevolmente i campi d’uso di tali materiali a bordo delle navi. Nella stessa fonte sono riportate le prescrizioni riguardanti la compatibilità dei tubi in plastica con i diversi servizi di bordo in relazione alla loro resistenza al fuoco. È interessante notare che il Registro pone anche l’attenzione sulla conduttività elettrica dei tubi in plastica, con note riguardanti la resistenza minima al metro (fissata in 1,0 Ohm/m) di tubi che attraversano zone pericolose o che convogliano prodotti raffinati e distillati aventi conduttività inferiori a 1·10-6 S/m. 1.4 – La corrosione e la scelta dei materiali La corrosione dei metalli gioca un ruolo determinante nella scelta del materiale più adatto quando il liquido trasportato è un aggressivo chimico. Essa si manifesta essenzialmente in due forme: 12 Le tubolature di bordo • l’attacco chimico diretto, che si manifesta, in assenza di elettrolito, per effetto della reazione con prodotti chimici quali cloruri e solfuri, sia allo stato liquido (carico nelle cisterne delle chimichiere), sia allo stato gassoso (prodotti di combustione nelle caldaie o nelle turbine); • l’attacco elettrolitico, che si manifesta a causa della formazione di una cella elettrolitica in presenza di un elettrolita che a bordo è costituito quasi sempre da acqua di mare e sue miscele. La corrosione per attacco elettrolitico, ed il tipico esempio a bordo è offerto dagli effetti dell’acqua di mare – nella quale circa il 75% dei sali contenuti è costituito da NaCl – si manifesta in modi diversi. Sulle superfici esposte si può avere un attacco uniforme che può essere ridotto solo ricorrendo ad una attenta selezione del materiale, alla pitturazione o alla protezione catodica (ad anodi sacrificali o con correnti impresse), oppure si possono manifestare fenomeni di corrosione localizzata. Questi ultimi sono i più difficili da scongiurare perché si innescano in zone deboli alla corrosione − spesso difficili da prevedere − e procedono con alti tassi di corrosione. A tale riguardo si possono distinguere i seguenti meccanismi di corrosione localizzata: • la corrosione galvanica, • la corrosione per vaiolatura, • la corrosione interstiziale, • la corrosione per erosione • la corrosione intergranulare. La corrosione galvanica (galvanic corrosion) si verifica per contatto di due diversi metalli in presenza di un elettrolita come l’acqua di mare, in pratica si ha un effetto “batteria” con riduzione dell’anodo costituito dal materiale meno nobile. Per minimizzare gli effetti della corrosione galvanica bisogna isolare gli accoppiamenti bimetallici con l’interposizione di guarnizioni, rendere minima la quantità di materiale più nobile, che si comporta da catodo, o usare pitturazioni. Una soluzione efficace è quella che prevede di instaurare una corrente artificiale (corrente impressa) opposta a quella spontanea, ma in questo caso è necessario che tutti i componenti da difendere siano uniti fra loro da collegamenti a bassa resistenza – perciò, essendo presenti delle guarnizioni nelle flange, queste devono essere collegate con un pezzo di metallo buon conduttore elettrico. Un altro sistema di protezione catodica prevede l’utilizzo di anodi sacrificali, costituiti da masse di metalli meno nobili collegate all’elemento da preservare. La corrosione per vaiolatura (pitting corrosion) si basa sul meccanismo della cella galvanica e si manifesta quando viene meno la passivazione superficiale generata dal film di ossidi protettivi, comportando la formazione 13 Corso di Allestimento Navale di aree anodiche rispetto alle aree circostanti. I fattori che influenzano lo sviluppo del pitting sono essenzialmente le differenze localizzate di ossigeno, di temperatura, di pH, di concentrazione di ioni cloruri (ossia di soluzione elettrolitica), di velocità di flusso oppure infine le disomogeneità nel film protettivo. Un esempio di pitting è quello che si manifesta nelle leghe di alluminio, dove si formano celle elettrolitiche fra la matrice d’alluminio (anodo) ed i leganti metallici (catodi) come rame, nichel e ferro. Le migliori leghe di alluminio per uso in ambiente marino sono quelle che contengono magnesio, questo legante aumenta infatti la resistenza alla corrosione in ambiente alcalino e in mare (Serie 5000). Le leghe della Serie 6000 sono usate per getti e sono al magnesio e silicio ma non hanno altrettanta resistenza alla corrosione, è infatti necessario proteggerle con pitturazione. Anche gli acciai inossidabili sono soggetti al pitting, infatti gli ioni dei cloruri della soluzione sono molto efficaci nell’attaccare lo strato superficiale protettivo. La corrosione interstiziale (crevice corrosion) è una forma alquanto severa di pitting corrosion che nasce dalla formazione di zone confinate a diversa concentrazione di elettrolito, per esempio in interstizi geometrici o sul punto di contatto con altri materiali (ma anche con organismi viventi fissati alla superficie). In pratica la micro–cella elettrolitica funziona per diversa concentrazione sia di ossigeno, sia di cloruri. Tale fenomeno è accentuato nell’acciaio inossidabile – dove le zone interstiziali si comportano da anodi – e nelle leghe di rame – dove tali zone si comportano da catodi. Con il termine corrosione per erosione (erosion corrosion) si indica genericamente la corrosione che avviene in presenza di azioni erosive o abrasive sulla superficie del metallo: in tale situazione la pellicola superficiale corrosa viene continuamente asportata e viene messo a nudo il metallo ancora integro. Queste azioni possono essere causate dal martellamento dovuto alle pulsazioni di pressione soprattutto nelle zone di turbolenza (impingement) o dalla cavitazione. La corrosione intergranulare si manifesta per esempio nella ghisa grigia, ove il ferro entra in soluzione con l’elettrolito e rimane quindi la sola matrice porosa di grafite, estremamente debole. Questo fenomeno si verifica anche negli ottoni per perdita dello zinco, a meno che non vengano aggiunti agenti inibenti (arsenico, antimonio, fosforo). Nell’acciaio inossidabile si ha corrosione intergranulare a causa del riscaldamento ai bordi delle saldature, dove il carbonio tende a precipitare ai bordi dei grani (è preferibile perciò usare acciai con basso tenore di carbonio o contenenti agenti inibenti come il titanio). 14 Le tubolature di bordo Nelle superfici a contatto con acqua di mare giocano un ruolo molto importante il grado di aerazione (e quindi di apporto di ossigeno), le condizioni di esposizione al contatto con l’acqua di mare (immersione continua o alternata o esposizione all’atmosfera marina), la presenza di fouling (che si fissa alla superficie nelle zone di stagnazione), il contatto con materiali a diverso potenziale, le condizioni del flusso (velocità, turbolenza, cavitazione, temperatura). L’esperienza ha permesso di selezionare una vasta gamma di materiali adatti al contatto con l’acqua di mare, infatti i tubi in acciaio possono essere rivestiti internamente con resine epossidiche, camicie o riporti galvanici, ma diventano costosi e la manutenzione si fa complicata. Per le diverse applicazioni di bordo si usano in genere acciai non legati, tranne che per convogliare acqua di mare. Gli acciai al carbonio e quelli bassolegati hanno resistenza alla corrosione simile e molto bassa (non hanno nemmeno caratteristiche di passività al fouling), inoltre se il metallo è esposto ad un flusso il tasso di corrosione aumenta velocemente (per esempio aumenta di 4 volte da velocità nulla a 4,5 m/s). La loro vita si può prolungare con rivestimenti (che non sono però una valida soluzione per acqua salata calda) e con la galvanizzazione, ossia la formazione di un rivestimento protettivo ottenuto con il deposito di uno strato superficiale di zinco. Quest’ultimo metodo di protezione può prolungare la vita di 2–3 anni al massimo. Altre vie di protezione – rivestimenti con smalti, pitture, gomme, piombo, etc –sono state abbandonate perché costose e perché complicano sia le operazioni di installazione sia quelle di manutenzione. Il problema particolare della corrosione nelle tubazioni che convogliano acqua di mare è dovuto alla velocità del flusso (si veda per il confronti fra i materiali la Tab. 1.4.A). Infatti, un materiale che in acqua ferma ha un basso tasso di corrosione può essere inutilizzabile se esposto al flusso d’acqua di mare, in quanto in quest’ultima situazione la pellicola di materiale corroso che si forma sulla superficie non rimane aderente ad essa, proteggendo quindi gli strati sottostanti, ma viene trascinata dal flusso, favorendo l’attacco su detti strati. Per questo motivo, la scelta del materiale è legata alla scelta della massima velocità di flusso ottenibile nella tubazione. A questo riguardo è importante osservare che quello del convogliamento di acqua di mare piuttosto che un problema di corrosione per erosione, è un problema di corrosione localizzata nei punti di turbolenza. Infatti, il progetto dell’impianto viene fatto definendo le velocità limite in funzione del materiale prescelto, mentre d’altro lato i fenomeni di turbolenza sono più difficili da controllare. La corrosione localizzata si ha per esempio a valle 15 Corso di Allestimento Navale delle valvole, ma in una tubolatura ben progettata in termini di velocità e di percorsi le zone critiche sono ridotte. L’acciaio inossidabile non si presta all’uso a causa della tendenza a dare luogo a corrosione di pitting ed interstiziale (ove il film protettivo viene attaccato e danneggiato da ioni di cloruro − per es. di sodio). Queste leghe trovano invece ampio impiego negli impianti delle navi chimichiere e gasiere. L’alluminio ha buone caratteristiche di resistenza alla corrosione in flusso d’acqua marina, ma ha scarse caratteristiche di passività al fouling, viene facilmente intaccato dalle particelle metalliche (pitting), si comporta come anodo sacrificale a contatto con l’acciaio e le leghe di rame (si rammenta che la perfetta isolazione è praticamente impossibile da ottenere). Le leghe di rame sono usate con successo nelle tubolature con acqua di mare, nonostante il rame di per sé abbia scarsa resistenza alla corrosione per erosione alle alte velocità di flusso d’acqua marina e tenda ad avere un alto tasso di corrosione in acqua stagnante: tra questi limiti le caratteristiche sono buone. Le leghe di rame all’alluminio hanno elevata resistenza alla corrosione ma soffrono di pitting e non tollerano alte velocità di flusso (e comunque sono difficili da saldare). Le leghe cupronichel sono le migliori per applicazioni in tubazioni di acqua marina: resistono bene a qualsiasi meccanismo di corrosione (annullando praticamente la debolezza del rame alle alte velocità), sono duttili, abbastanza resistenti, saldabili, passive al fouling, superficialmente resistenti all’urto, e si possono usare anche ad alte velocità di flusso. A bordo sono utilizzate due composizioni di lega: • la più usata è la 90/10 Cu–Ni, adatta a tubi per velocità di flusso dell’acqua marina non superiori a 2,0÷3,0 m/s, per le quali garantisce una vita di 15–25 anni; • la 70/30 Cu–Ni è la migliore e con velocità non superiori a 4,0 m/s garantisce una vita di almeno 20 anni. La lunga resistenza le rende economicamente accettabili nonostante il loro alto costo. Il titanio ha migliori caratteristiche di resistenza, non è affetto da fenomeni di corrosione e quindi permette di fare condotte più sottili e di diametri minori grazie alle alte velocità flusso accettabili (oltre 6,0 m/s). Esso è però costoso e difficile da lavorare a bordo, inoltre forma pericolose celle galvaniche. In conclusione, nelle tubazioni fatte con materiali nobili quando la velocità del flusso di acqua di mare sale oltre 0,5÷1,0 m/s il fouling 16 Le tubolature di bordo diminuisce e conseguentemente anche il pitting si riduce a meno che non si formino zone di attivazione. Al contrario nel rame la corrosione aumenta con la velocità del flusso e diventa critica già ad 1,0 m/s: per questo motivo il rame viene legato con nichel o alluminio, ottenendo un aumento considerevole della velocità limite. Le leghe di titanio hanno un’ottima resistenza alla corrosione in flussi d’acqua di mare (fino a 30 m/s, ma se l’acqua contiene sabbia fino a 6,0 m/s). I materiali plastici mostrano alta resistenza all’erosione fino a 40 m/s, sebbene soffrano dell’effetto della cavitazione. Si osserva infine che in fase di progetto il tasso di corrosione si considera accettabile quando non eccede il valore di 0,1 mm per anno, mentre il limite massimo viene posto pari ad 1,0 mm all’anno: quando sono previsti valori superiori vanno pianificati controlli periodici per verificare lo stato dell’impianto. Nella pratica progettuale, è usuale considerare la variazione del tasso di corrosione con la temperatura, raddoppiando il valore ogni 10°C di crescita della temperatura. COMPORTAMENTO IN ACQUA DI MARE MATERIALE velocità di progetto [m/s] acciai al carbonio e acciai bassolegati resistenza alla corrosione <1,0 bassa <1,0 buona ma a basse velocità (problemi di erosione) 7,0 problemi di pitting (non per gli acciai super inossidabili) rame e sue leghe 1,0 problemi di pitting e di erosione bronzo di alluminio 2,5 problemi di pitting ghise acciai inox cupronichel 3,0÷3,5 alta leghe di nichel >4,0 altissima leghe di titanio >6,0 (30,0) altissima TABELLA 1.4.A Caratteristiche dei materiali metallici nei confronti della corrosione in acqua di mare. Per quanto riguarda la resistenza all’abrasione, quando non è possibile abbassare la velocità di flusso si fa ricorso a materiali duri oppure a 17 Corso di Allestimento Navale rivestimenti con elastomeri (nei corpi delle pompe), mentre per la cavitazione l’unica soluzione è quella di ricorrere a materiali resistenti, essa è minima negli acciai al carbonio, ottoni e bronzi e massima negli acciai inossidabili, bronzi di alluminio e titanio. I materiali per valvole ed accessori devono essere compatibili con quelli delle condotte per ottenere equivalente resistenza meccanica ed alla corrosione, per facilitare il collegamento e per controllare le correnti galvaniche (esistono a riguardo tabelle di compatibilità). In generale si devono fare accoppiamenti omogenei nelle seguenti categorie: acciaio e ghise, acciai inossidabili, leghe di rame, leghe di titanio. Per motivi di costi e di affidabilità, negli impianti si usa comunque inserire accessori più robusti su linee di materiale meno nobile, per esempio a tubi in acciaio si applicano accessori in bronzo. Particolare attenzione va posta ai componenti in lega di alluminio, infatti gli accessori devono categoricamente essere dello stesso materiale altrimenti i tubi si corroderebbero troppo velocemente. In aggiunta a quanto detto, i materiali per gli elementi interni delle valvole vanno scelti con cura perché sono le parti più critiche (più sollecitate e più soggette a corrosione ed erosione), perciò esse saranno costruite con materiali più resistenti e più nobili rispetto al resto dell’impianto. Per le pompe si utilizzano, al fine di contenere i costi, materiali via via migliori per la cassa, la rotante e l’albero. Per esempio le pompe più economiche hanno la cassa in ghisa grigia, la rotante in materiale plastico e l’albero in acciaio inossidabile, il costo raddoppia per pompe costruite interamente in acciaio inossidabile, quadruplica per pompe costruite interamente in lega di nichel e decuplica per costruzione in titanio. 1.5 – I supporti e il dimensionamento strutturale Una condotta costituisce una struttura elastica molto deformabile sulla quale agiscono, in aggiunta alla pressione del fluido convogliato ed al peso proprio, numerose sollecitazioni esterne come le vibrazioni indotte dalle macchine e le azioni dinamiche del fluido stesso. Per essa occorre pertanto provvedere ad un sistema di vincoli che oltre a costituire il necessario sostegno consenta di guidare le deformazioni (soprattutto termiche) in modo da mantenere lo stato tensionale nell’ambito dei limiti ammissibili: il supporto deve reggere il tubo ma non costringerne la deformazione. I vincoli imposti ad una tubazione si distinguono in ancoraggi, equivalenti ad incastri più o meno perfetti, e supporti guidati (in pratica appoggi), i quali consentono piccoli spostamenti. Vincoli del primo tipo si hanno in corrispondenza degli attacchi ai componenti fissati a scafo (pompe, valvole, filtri) e in corrispondenza degli attraversamenti di paratie stagne. Vincoli più cedevoli si hanno quando il tubo è fissato con gaffe ad elementi 18 Le tubolature di bordo non strutturali, oppure con l’interposizione di guarnizioni o di resilienti. I supporti guidati sono essenzialmente degli appoggi a sella, eventualmente su rulli. Tali supporti non devono essere troppo lontani per non dover sottostare ad eccessivi carichi statici o inerziali, per non far cedere il tubo sotto il peso proprio e le forze indotte dal fluido trasportato (a tale riguardo si devono controllare anche le frecce massime per non rischiare la formazione di sacche di gas) e per non permettere al tubo spostamenti tali da causare l’interferenza con strutture o macchinari. Inoltre essi non devono essere troppo vicini per non rischiare di trasmettere eccessivi carichi alla condotta nel caso di un cedimento. Va aggiunto che con l’allontanamento dei vincoli si può controllare la frequenza propria del tubo, che deve essere lontana da quelle delle vibrazioni indotte dal macchinario. Tutte le condotte devono perciò possedere una adeguata cedevolezza, sia flessionale che torsionale, in modo da assorbire correttamente e senza danno le forze trasmesse dai supporti in seguito al movimento degli stessi causato dal cedimento delle strutture di sostegno. A ciò si aggiunge che si possono verificare variazioni dimensionali generate da dilatazioni termiche del tubo, con conseguente insorgenza di sollecitazioni se queste dilatazioni sono impedite. Il controllo di queste ultime si effettua con compensatori di dilatazione che vengono realizzati in pratica tramite deviazioni di espansione: ciò consiste nel deviare il percorso del tubo fra gli ancoraggi in modo che la dilatazione termica assiale si sfoghi in una flessione (e anche una torsione nel caso di percorsi non piani), si tratta perciò di una auto–compensazione della dilatazione termica. Se tale via non risulta percorribile a causa della mancanza di spazio, oppure non risulta economicamente conveniente per gli eccessivi aumenti di resistenza idraulica che le deviazioni comportano, diviene necessario corredare la linea di elementi espressamente destinati a questa funzione: i giunti di espansione a soffietto, a cannocchiale, oppure ancora con un manicotto tenuto in posizione da collari fissati ai tubi. Contro questa soluzione gioca il fatto che in questo modo si introducono punti critici nella condotta che devono essere tenuti sotto controllo con periodica manutenzione. Per contenere le tensioni che si possono generare sul tubo stesso (e sugli eventuali giunti di estremità o macchinari ai quali esso è collegato), va effettuato il controllo della cedevolezza della condotta fra due supporti considerando il tubo come una trave appoggiata o incastrata agli ancoraggi sulla quale matura un carico indotto dal cedimento anelastico di un ancoraggio e dalla dilatazione termica assiale impedita. Per effetto del vincolo che impedisce la dilatazione termica nasce una tensione proporzionale proprio al cedimento impedito ∆L = α L ∆T [m], 19 Corso di Allestimento Navale dove α [°C-1] è il coefficiente di dilatazione termica lineare (per l’acciaio vale 1,2·10-5 °C-1 nel campo compreso fra 0 °C e 100 °C), L [m] è la lunghezza del tubo fra i supporti e ∆T [K] è la variazione di temperatura misurata rispetto all’istante del fissaggio. Per valutare la distanza minima di posizionamento dei supporti in funzione delle tensioni che nascono per cedimento di un ancoraggio, si fa riferimento alla tensione che matura per effetto della flessione del tubo in seguito al cedimento massimo previsto. A tale riguardo, detto d [m] il diametro del tubo, f [m] lo spostamento massimo previsto sul supporto ed L [m] la lunghezza del tubo fra i due supporti, si deve controllare che sia verificata la relazione: d f / L 2 ≤ σamm / ( 3E ) [-] (1.5.A) dove E [Pa] è il modulo di elasticità normale del materiale e σamm [Pa] è la massima tensione ammissibile sul materiale. Tale formula viene corretta per tenere conto della campata efficace, perciò detta l0 [m] la distanza fra gli ancoraggi, la lunghezza L da mettere a calcolo viene modificata in (L – l0). Nella trattazione dei carichi indotti sulla condotta non vanno infine dimenticati quelli causati dal fluido in movimento quando questo subisce una deviazione della traiettoria di flusso, per esempio in seguito all’imbocco di un gomito. In tal caso va considerata, sulla struttura formata da travi equivalenti, una forza concentrata da valutarsi vettorialmente facendo ricorso al calcolo della variazione del flusso della quantità di moto del fluido. Detta infatti ∑ F [N] la somma vettoriale delle forze esterne agenti sul fluido nel tratto di tubo considerato, data dalla somma delle forze di pressione, della forza peso e della forza applicata dal tubo sul fluido, ed indicando con ∆ Q [N] la differenza fra il flusso della quantità di moto uscente e quello entrante, vale : ∑F = ∆Q [N] (1.5.C) perciò, note le condizioni del flusso (velocità e portata massica), si ricava subito la forza applicata al tubo. Non da ultimo va effettuato anche il controllo dello spessore delle condotte in funzione dei carichi di pressione statica generati dal fluido trasportato. La dipendenza dalla pressione (in genere quella interna a meno che il tubo non si trovi sotto un battente esterno, per esempio sul fondo di una cassa) viene valutata facendo riferimento, tratto per tratto, alle tensioni membranali. Indicando con σamm [Pa] la massima tensione ammissibile, deve valere: 20 Le tubolature di bordo p d /(2 t) ≤ σamm [Pa] (1.5.D) dove t [m] è lo spessore della parete del tubo (tale relazione vale per rapporti fra spessore e diametro minori di 0,10) e p [Pa] è la pressione di progetto (progetto net scantling). La pressione di progetto deve essere la massima prevista in servizio o nelle situazioni di avaria, per tale motivo si dovrà fare riferimento alla pressione di taratura delle valvole di sicurezza. Il diametro così ottenuto va eventualmente aumentato per tenere conto delle modalità di costruzione ed assemblaggio (piegatura, saldatura), del tipo di liquido trasportato (che può causare corrosione ed erosione) e della possibilità di carichi accidentali dall’ambiente (se il materiale non ha buone caratteristiche di resistenza meccanica). Una volta definiti i due parametri indipendenti rappresentati dallo spessore e dal diametro interno, il tubo viene scelto, possibilmente fra quelli di produzione industriale, facendo riferimento al diametro esterno e allo spessore di parete oppure, se le giunzioni sono fatte per filettatura o con scontro interno sulle flange, al diametro nominale (DN) e allo spessore di parete. Il diametro nominale per i piccoli valori (inferiori a 12”), non è altro che una sigla di riferimento – con valori prossimi al diametro esterno del tubo –, mentre per i valori elevati (superiori o uguali a 12”) rappresenta esattamente il diametro esterno del tubo. Per esempio un tubo di produzione industriale in acciaio avente DN 6 ha diametro esterno di 6,625” (168,3 mm) e diametro interno variabile, mentre un tubo DN 36 ha diametro esterno pari esattamente a 36” e diametro interno variabile. 1.5 – Le giunzioni Per quanto riguarda la costruzione della linea, i tubi – disponibili con lunghezze commerciali comprese fra i 4 e gli 8 metri – vanno piegati per adattarsi al percorso geometrico stabilito e quindi congiunti in maniera opportuna. In campo navale la giunzione fra i tronchi e con gli accessori in linea si realizza in vari sistemi, ma essenzialmente si tratta di saldatura o di flangiatura (o sistema equivalente): nel primo sistema la giunzione non occupa spazio e la tenuta è perfetta e permanente, mentre il secondo sistema garantisce la separabilità a fronte di costi considerevolmente maggiori. Un’efficace alternativa è costituita dalle giunzioni del tipo “Union”, in cui un collare filettato si avvita su un’estremità ed imprigiona l’altra estremità svasata. La saldatura si effettua direttamente sui tubi da unire, oppure tramite l’interposizione di un manicotto (per piccoli spessori, utile negli interventi di manutenzione). Nelle zone in cui l’uso di fiamma deve essere limitato (per 21 Corso di Allestimento Navale manutenzioni effettuate per esempio nelle cisterne di navi petroliere) i materiali dei tubi devono prestarsi a tecniche di saldo–brasatura. Per quanto riguarda la flangiatura, esistono diversi tipi di flange unificate: saldate di testa (adatte per alte pressioni in quanto garantiscono alta resistenza meccanica) oppure saldate sul collare, filettate, mandrinate e a flange libere (per pressioni moderate). Diverse sono anche le possibili finiture di faccia, con tenuta metallica oppure a guarnizione (queste con varie modalità di posizionamento della guarnizione, con gradi diversi di tenuta e quindi per valori diversi della pressione). Quando si utilizzano flange con guarnizioni va garantita la continuità elettrica per non rischiare di creare zone a potenziale elettrico diverso e conseguentemente corrosione galvanica. I giunti saldati, flangiati con tenuta metallica e del tipo “Union” hanno un’alta resistenza al fuoco e sono gli soli da utilizzarsi per il trasporto di liquidi infiammabili o per sistemi antincendio. Nel campo dei piccoli diametri e per pressioni non elevate trova diffusione anche la giunzione filettata (con filettatura stampata a caldo) che rende possibile la costruzione di reti completamente smontabili, eventualmente con l’interposizione di manicotti filettai con due ghiere qualora non sia possibile la rotazione dei tubi. Quando infine il materiale non è saldabile o lavorabile (ghise, plastiche) si utilizzano accoppiamenti a bicchiere. Per tubi in materiali plastici si utilizzano anche manicotti a sovrapposizione fissati con collanti o con il calore. Va rimarcato che questi giunti sono meno sicuri e resistenti e sono spesso causa di perdite, perciò sono usati per piccoli diametri, per basse pressioni e per fluidi non pericolosi (ossia non tossici, non infiammabili, non corrosivi), e comunque nel complesso sono poco utilizzati a bordo (Il RINA ne definisce i limiti di utilizzo). Nella costruzione delle tubazioni servono poi diramazioni o variazioni di sezione, questi elementi particolari prendono il nome di raccordi. Per i piccoli diametri anche le curve costituiscono elementi di raccorderia, ottenuti con piegatura e forgiatura a caldo oppure saldando settori di tubo rettilineo, mentre per i diametri maggiori si ricorre alla piegatura a freddo con macchine a controllo numerico spesso direttamente nelle officine di Cantiere. Si rammenta ancora che in corrispondenza di giunzioni amovibili per manutenzioni vanno poste valvole di sezionamento, eventualmente collegate sulla flangia della parte fissa della tubazione. Anche i macchinari, le valvole ed i filtri vanno collegati in genere con giunti amovibili. Per il collegamento delle pompe vanno inoltre previsti giunti che garantiscano un certo grado di flessibilità per non trasmettere vibrazioni e sollecitazioni alle condotte, 22 Le tubolature di bordo soprattutto per le piccole macchine che hanno un elevato numero di accensioni (si usano giunti in maglia d’acciaio oppure a soffietto). Un altro corredo delle linee è costituito dalle isolazioni, che si rendono necessarie per limitare le perdite di calore del fluido trasportato e per proteggere le persone nel caso di perdite (olio combustibile). Se il fluido trasportato è più freddo dell’ambiente (fluidi frigoriferi o frigorigeni) si mettono isolazioni per prevenire la formazione di condensa che può dare origine a corrosione (o essere indesiderata, per esempio negli alloggi). I materiali utilizzati sono vari (lana di vetro o lana di roccia, mentre per tubi freddi si usano schiume plastiche), tutti sistemati in camicie morbide o rigide (fogli di alluminio preformati). 1.6 – Le valvole Il movimento dei fluidi viene controllato mediante valvole di varie forme e caratteristiche, inserite lungo le tubazioni. Esse costituiscono dei passaggi obbligati la cui apertura può essere aggiustata in maniera da realizzare determinate condizioni di deflusso. Le valvole, in relazione alla loro funzione possono essere distinte in quattro fondamentali categorie: • valvole di intercettazione (isolating valves) – hanno la funzione di ammettere o escludere il movimento dei fluidi, vengono perciò utilizzate per sezionare le linee in relazione più ad esigenze di sicurezza, di manutenzione e di servizio che di processo (sono valvole comandate); • valvole di ritegno (chek o reflux valves) – evitano il ritorno dei fluidi lungo le tubazioni in occasione di possibili inversioni del gradiente di spinta (sono valvole automatiche); • valvole di sfiato (relief valves) – hanno lo scopo di proteggere le tubazioni e le apparecchiature dalle sollecitazioni dovute a pressioni o depressioni interne eccessive rispetto a quelle di progetto (sono valvole automatiche); • valvole di regolazione (regulators e control valves) – la funzione di queste valvole è quella di permettere la variazione graduale ed uniforme delle condizioni di deflusso, in tutto il campo compreso fra la massima apertura e la chiusura totale (possono essere automatiche o comandate). In tutte le valvole è possibile riconoscere gli stessi elementi costruttivi fondamentali: il corpo (in genere flangiato) è l’involucro nel quale sono ricavate le luci di passaggio per il fluido; l’otturatore, che costituisce la parte mobile il cui spostamento permette di aprire e chiudere o di variare la sezione di passaggio; la sede di contatto con l’otturatore. L’otturatore ha un 23 Corso di Allestimento Navale funzionamento automatico nella valvole di ritegno, di sfiato e nei “regulators”, mentre nelle altre (regolazione e intercettazione) è controllato da uno stelo che ne permette la manovra manuale o mediante servomotori idraulici o pneumatici. La tenuta interna (a valvola chiusa) è di tipo metallico e la sede dell’otturatore è costruita in materiale particolarmente resistente alla corrosione e all’usura (per esempio stellite, una lega di cobalto al cromo e tungsteno), mentre la tenuta esterna sullo stelo è garantita in genere da guarnizioni a meno che non si tratti di valvole per tubolature di liquidi infiammabili, nel qual caso si deve avere preferibilmente una tenuta metallica. I corpi possono essere ottenuti per fusione oppure per lavorazione (quelle più piccole) e vengono collegati alla tubolatura con flange. Le valvole possono essere a “via dritta” (attacchi allineati), a squadra (attacchi ortogonali), oblique oppure ancora a tre vie (per la convergenza di tre tronchi). Le valvole di intercettazione, dette anche “di sezionamento”, possono avere l’otturatore di diverse forme: • a rubinetto conico o a sfera, • a farfalla, • a disco, • a saracinesca. Nelle valvole a rubinetto conico o a sfera l’otturatore è costituito da un solido di rotazione dotato di un’ampia finestra che costituisce una sezione di passaggio equivalente a quella del tubo ma che, con una rotazione di un quarto di giro, si dispone ortogonalmente al flusso. La forma sferica garantisce buona tenuta interna, basse perdite di carico e trascurabile pericolo di bloccaggio. A bordo vengono usate per sezionamenti manuali di condotte di piccole dimensioni ma ultimamente si prestano ad alte pressioni grazie all’accorgimento di appoggiare la sfera su due cuscinetti di spinta disposti ortogonalmente al flusso. Con un’opportuna disposizione delle luci può essere usata come organo di commutazione del flusso a più vie. L’otturatore delle valvole a farfalla è costituito da un diaframma circolare imperniato su uno stelo diametrale; è semplice ma possiede scarse caratteristiche di tenuta e mostra un’elevata resistenza indotta dalla presenza dell’otturatore nel flusso − che crea anche un disturbo aggiuntivo con un effetto di portanza (vibrazioni indotte). L’otturatore delle valvole a disco è costituito da un disco disposto ortogonalmente al flusso (similmente alle valvole di regolazione), semplice e con buone caratteristiche di tenuta ma pessima dal punto di vista della 24 Le tubolature di bordo resistenza idraulica (induce perdite elevate ed è causa di corrosione per erosione). Le valvole a saracinesca hanno l’otturatore costituito da un setto a forma di cuneo che scorre trasversalmente al corpo valvola in apposite guide e tra due sedi di tenuta anulari parallele alla facce. La tenuta migliore si realizza quando la madrevite è ricavata nello spessore dell’otturatore e quindi lo stelo non scorre assialmente. A bordo vengono usate per sezionamenti, anche comandati, di condotte in cui deve essere garantita una certa affidabilità di servizio, per esempio in sistemi con prese a mare, infatti la corrosione delle facce a contatto con l’acqua non riduce la capacità di tenuta della valvola (garantita anche dalla pressione su uno dei lati). L’azionamento viene realizzato con un solenoide, oppure un pistone idraulico o pneumatico disposto con l’asse coincidente con quello dello stelo. Le valvole a farfalla sono mosse in questo modo tramite uno stelo con camma, oppure per mezzo di un leverismo al quale è collegato un azionatore disposto parallelamente allo stelo. La scelta di una valvola di sezionamento viene fatta considerando il numero di cicli di apertura e chiusura (resistenza alla fatica), la velocità di apertura o chiusura che si desidera ottenere nel controllo del processo (inerzia dell’equipaggio), le variazioni di temperatura che intercorrono nel processo una volta che viene manovrata (materiali), la possibilità di cambiare le tenute quando è operativa (configurazione). Per quanto riguarda l’installazione, le valvole di sezionamento devono essere collocate in modo da essere facilmente ispezionabili, su supporti opportunamente robusti (possono essere infatti di grandi dimensioni e quindi estremamente pesanti) ed in modo da ridurre al massimo le turbolenze indotte dalla loro presenza. Le valvole di intercettazione possono essere anche usate per scopi di regolazione, ottenendo però una regolazione approssimativa perché gli otturatori non sono disegnati per operare un controllo con uniformità e precisione. Le valvole di ritegno, dette anche “di non ritorno”, sono valvole automatiche (self–powered) essenzialmente di due tipi: • a battente, • a pistone o a sfera. Nelle valvole a battente l’otturatore è un piattello piano a battente, che viene sollevato dal fluido quando questo si muove nella direzione consentita e premuto contro la sede in caso contrario – il battente deve chiudersi per gravità. Le valvole a sfera o a pistone sono costituite da un equipaggio mobile che viene spinto o allontanato dalla propria sede muovendosi nella direzione del flusso sotto l’azione della pressione del fluido. Per rendere più 25 Corso di Allestimento Navale veloce il movimento di chiusura viene anche posta una molla che lavora in parallelo con la pressione esercitata dal flusso durante la chiusura. Alcune hanno struttura simile a quella delle valvole a disco ma ovviamente senza elementi di controllo. Le valvole di non ritorno si usano per esempio per evitare la circolazione di fluido nella cassa di una pompa dinamica o volumetrica rotativa quando questa è ferma sotto battente statico (non servono se il battente è puramente dinamico), oppure per evitare che si formi un ricircolo quando due pompe sono inserite in parallelo ed una di esse è ferma. Viene fatto uso di queste valvole anche a monte delle pompe che non sono auto– adescanti e che sono poste più in alto della cassa di aspirazione, per evitare che la cassa ed il tubo di aspirazione si scarichino quando la pompa viene fermata. In molti usi la chiusura di una valvola di non ritorno può essere estremamente brusca e comportare problemi di resistenza sulla sede delle stessa, oltre che fenomeni di colpo d’ariete. Quando si prevedono tali circostanze è conveniente che la sede dell’otturatore sia dotata di un cuscino di fine corsa capace di smorzare l’impulso di pressione. Esistono in alternativa valvole a pistone in cui sulla sommità del corpo mobile viene creata una camera nella quale il liquido fluisce attraverso un orifizio: quando il pistone viene spinto dal flusso contro la sua sede, la cavità non riesce a riempirsi istantaneamente e ciò determina il rallentamento del pistone; quando poi il pistone viene allontanato dalla sede, il liquido lascia la camera di smorzamento attraverso un canale dotato di una piccola valvola di non ritorno. In altre soluzioni la forma dell’otturatore è tale da aderire alla sede con una riduzione graduale della sezione di passaggio del fluido. Altre applicazioni delle valvole di non ritorno sono legate all’esigenza di prevenire l’inquinamento del fluido del processo da parte di fluidi provenienti dall’utilizzatore: in questo caso devono chiudersi con estrema velocità. Quando infine si prevedono inquinanti solidi nel fluido in circolazione è bene ricorrere a valvole conformate in modo da ridurre il più possibile la possibilità di imprigionamento di questi solidi. Nel progetto o nella selezione di queste valvole va anche considerata la frequenza di chiusura (almeno qualitativa), in quanto essa concorre in maniera determinante a definire la vita della valvola. Per questo motivo è fondamentale conoscere la frequenza di accensioni della pompa dell’impianto, in modo da risalire al numero totale di cicli di attivazione. Quelle a pistone con molla di ritorno per l’elevata velocità di azionamento si prestano all’uso in circuiti con alta frequenza di chiusure (fino a 1500 volte 26 Le tubolature di bordo al minuto – 25 Hz). Più economiche sono quelle a sfera, che però hanno masse in movimento più grandi e quindi hanno maggiore inerzia. Queste valvole introducono nel sistema idraulico una perdita concentrata, soprattutto quelle a pistone, e inoltre impediscono i controlli della tubolatura con sonde. Le valvole di sfiato, dette anche “di sicurezza” o “limitatrici di pressione”, sono valvole automatiche che rimangono chiuse in condizioni normali di esercizio, mentre si aprono automaticamente determinando lo sfiato del fluido quando la pressione supera quella di taratura (oppure scende al di sotto della pressione ambiente di un certo valore prefissato, facendo entrare aria). Esse assumono diverse configurazioni, ma essenzialmente sono valvole in cui l’otturatore per azione di una molla (avente una vite di taratura) oppure di un contrappeso (queste non si usano sulle navi) viene tenuto premuto contro una sede dalla quale lo allontana solo la sovra– pressione del fluido nella condotta. Lo scarico può essere fatto nell’ambiente o convogliato in una cassa di raccolta tramite una tubazione di drenaggio. Per ottenere una perfetta tenuta nel tempo, poiché queste valvole sono sempre sotto carico, fra otturatore e sede si usa inserire una guarnizione (O-ring), ma quando il liquido è infiammabile si usano alcune precauzioni. Proprio per eliminare le perdite dovute all’invecchiamento delle molle di grandi dimensioni, e per ridurre l’inerzia di funzionamento delle valvole più grandi, si usano le valvole pilotate. Si tratta di valvole di sicurezza senza molla in cui è la stessa pressione del fluido che genera la forza di chiusura della valvola: in pratica un pistone ad area differenziale ha il lato di area minore esposto direttamente alla pressione dell’impianto e l’altro (di area maggiore) esposto ancora alla pressione dell’impianto ma attraverso una camera collegata alla tubolatura da una un orifizio, nella quale viene posta una piccola valvola di sicurezza (valvola pilota). In questo modo, quando la pressione supera il valore di taratura della valvola pilota, questa fa scaricare la pressione nella camera e la valvola si apre, infatti l’orifizio fa si che pressione non venga istantaneamente equilibrata. Questo sistema permette anche di tarare con più facilità e più precisione la pressione di apertura, dovendo agire su una molla di minore rigidezza. Con questo tipo di valvola si ha pure un migliore risposta quando la pressione cresce velocemente, infatti se si manifesta una brusca variazione di pressione sulla faccia esposta direttamente all’impianto, questa provoca l’apertura della valvola, infatti sulla faccia opposta non si registra la sovra– pressione se non in maniera ridotta e con un certo ritardo: il pistone si alza ed il fluido presente alle spalle fluisce attraverso una piccola valvola di sicurezza. Segue poi la chiusura automatica quando le pressioni, trascorso qualche istante, si equilibrano. 27 Corso di Allestimento Navale In questo modo si ottiene una risposta veloce anche in valvole di grandi dimensioni, alle quali è richiesto di smaltire grandi flussi. Per aumentare ancora la velocità di risposta, si usano due valvole identiche in parallelo, oppure una piccola e veloce ed una grande per flussi maggiori. Per ridurre le perdite associate al malfunzionamento della molla, in alternativa si usano anche valvole assistite da un impianto ausiliario ad aria compressa, nelle quali all’azione della molla si affianca quella di un pistone ad aria compressa, che viene svuotato tramite una valvola pilota quando la pressione si avvicina a quella di taratura della molla. In questo modo nella condizione di esercizio si ha una forza di tenuta elevata. Se il pistone è a doppio effetto si può anche controllare l’apertura della valvola. In altri impianti, se si prevede elevata turbolenza nella zona di installazione della valvola di sicurezza, può essere conveniente usare equipaggi ad alta inerzia. In taluni impianti dove ci sono gas o vapori che possono espandersi violentemente può esserci il rischio aumenti rapidi di pressione che manifestano con onde d’urto (che viaggiano alla velocità del suono), per esempio in seguito ad esplosioni. In questi casi viene usato un tipo particolare di valvola, con un otturatore leggerissimo in lamierino oppure, per pressioni anche elevate, si fa ricorso alla valvola con disco di rottura (detta rupture disc o bursting disc), formata da un diaframma metallico o di plastica calibrato per rompersi ad una determinata pressione. Quest’ultima però non si richiude dopo l’intervento e per questo motivo può essere messa in serie ad una normale valvola di sicurezza che in condizioni normali rimane inoperativa perché non è esposta alla pressione dell’impianto finché non si rompe il setto. Questa soluzione è ottimale per ridurre le perdite in impianti che convogliano gas infiammabili, infatti la valvola di sicurezza − priva di guarnizione − non è esposta all’azione del fluido. Le valvole a disco possono essere anche usate in parallelo ad ordinarie valvole di sicurezza, ma tarate ad una pressione superiore a quella di queste ultime. Un altro tipo di valvole di sfiato è quello rappresentato dalle valvole di sicurezza per impianti in depressione. Si tratta di semplici valvole in cui un otturatore con determinato peso viene collocato all’estremità di una condotta a collo d’oca: esso viene sollevato dalla sua sede quando la pressione interna all’impianto fa lavorare quella esterna contro la forza di gravità (e contro l’eventuale molla antagonista). Le valvole di respirazione utilizzate per le casse: esse permettono infatti la respirazione, aprendosi per fare entrare aria quando la pressione interna 28 Le tubolature di bordo alla cassa diminuisce al di sotto di un valore di taratura, ed aprendosi per fare uscire vapori quando la pressione interna aumenta oltre un certo altro livello di taratura. In genere hanno un doppio corpo con otturatori a disco piano e sistemi di richiamo a molla o a zavorra: un corpo si chiude per gravità e per azione della molla contrastando la pressione esterna (valvola di vuoto), l’altro si chiude contrastando la pressione interna (valvola limitatrice). Si usano ad esempio per le cisterne del carico delle navi petroliere, tarate su pressioni minima e massima rispettivamente di –25 e +100 millimetri di colonna d’acqua (si rammenta che un metro di colonna d’acqua è pari a 9806 Pa), e dotate di arrestatori di fiamma per liquidi con vapori infiammabili. Si citano infine le valvole con asta di rottura, che si aprono alla pressione di taratura ma non si richiudono. Questo effetto si ottiene tenendo l’otturatore in posizione di chiusura tramite un’asta tesa che ha un prefissato carico di rottura o un’asta compressa avente un prefissato carico critico di instabilità. Le valvole di sicurezza sono obbligatoriamente installate su tutte le apparecchiature soggette a pressione interna (soprattutto ove sono presenti macchine volumetriche): in tubolature in cui scorrono liquidi la pressione di taratura è posta in genere pari al 110% di quella di esercizio, per quelli in cui sono convogliati gas o vapori è posta pari al 125%. Esse inoltre devono essere periodicamente ispezionate. Le valvole di regolazione operano una variazione delle condizioni di deflusso con lo scopo di controllare la portata o la pressione negli impianti in cui la pompa o il compressore è di tipo dinamico. Esse si dividono in due categorie: quelle comandate (control valves), che modificano la sezione di passaggio del fluido in maniera proporzionale al segnale che ricevono, e quelle automatiche (regulators), che controllano i parametri del flusso senza bisogno di essere azionate. Queste ultime si usano quando non è disponibile una fonte di energia interna e quando, per questioni di sicurezza, è meglio che non vi siano possibili punti di innesco di scintille. Esse però non riescono ad ottenere lo stesso livello di regolazione delle valvole controllate. Un utilizzo diffuso è quello nelle condotte di distribuzione (per esempio di acqua potabile) o nelle condotte di collegamento fra il compressore e più evaporatori in parallelo (impianti frigoriferi), ove si crea la necessità di mantenere costante la pressione all’utilizzatore mentre varia il carico richiesto all’impianto a causa delle connessione o sconnessione di altri utenti. In questo caso risulta evidente il risparmio che si può ottenere con l’uso di valvole automatiche. Il controllo automatico della pressione a monte o a valle della pompa è operato facendo agire sulle due facce di una membrana o di un pistone da un lato il fluido alla pressione da controllare e dall’altro una molla pre−tarata: la 29 Corso di Allestimento Navale membrana (o il pistone) si muove portando in movimento uno stelo alla cui estremità è fissato l’otturatore che va a modificare l’area di deflusso della strizione (passaggio fra otturatore e sede fissa). In tal modo si possono controllare: • la pressione a valle − la regolazione della pressione sul lato di uscita in modo che essa rimanga costante si ottiene facendo lavorare tale pressione sulla membrana: all’aumentare della pressione in uscita prevarrà l’azione della stessa contro la molla, riducendo così la sezione di deflusso con una conseguente maggiore caduta localizzata di pressione, viceversa al diminuire della pressione in uscita prevarrà l’azione della molla aumentando la sezione di deflusso. • la pressione a monte − la regolazione della pressione sul lato di ingresso in modo che essa rimanga costante si ottiene facendo lavorare questa volta tale pressione sulla membrana (back pressure regulator); • la differenza di pressione fra monte e valle − facendo agire questa volta sulla membrana da una parte la pressione a monte e dall’altra quella a valle, mentre su uno dei due lati agisce in parallelo una molla pre– tarata; in questo modo le variazioni di pressione su una qualsiasi delle due facce causano l’apertura o la chiusura della strizione. Si osservi che quest’ultima valvola funziona da regolatore del flusso (controllo automatico della portata), infatti le variazioni di pressione all’utilizzatore (o nella pompa) vengono assorbite da variazioni localizzate di carico, cosicché il punto di equilibrio di funzionamento dell’impianto non si modifica. Si pensi infatti ad una rete di distribuzione, alimentata da una pompa centrifuga, con molti utenti collegati e si supponga che alle estremità della valvola in questa condizione siano p1 [Pa] la pressione a monte e p2 [Pa] quella a valle dell’inserzione (∆p = p2 – p1 [Pa]). Si supponga poi che si manifesti una maggiore richiesta di portata causata dall’inserzione di un certo numero di utenti: la pompa dinamica reagisce a questa richiesta diminuendo la portata a fronte di una più gravosa curva di resistenza dell’impianto. Nel contempo la valvola, se viene tenuta bloccata, registra una caduta di pressione ∆p′ < ∆p a fronte della riduzione di flusso, mentre sente aumentare la pressione sia a monte che a valle. Se invece tenere bloccato l’otturatore, lo si lascia libero di muoversi, la valvola tende a far aumentare la caduta di pressione localizzata aumentando la sezione di deflusso, finché il salto di pressione torna ad essere uguale a quello originario ∆p′ = ∆p. Ciò significa che le perdite complessive dell’impianto vengono equilibrate ripristinando automaticamente la condizione iniziale di funzionamento. Queste valvole automatiche possono essere usate anche come valvole di esclusione, valvole cioè capaci di escludere un utente se la pressione dell’impianto sale al di sopra di un valore prestabilito: l’effetto desiderato è 30 Le tubolature di bordo ottenuto facendo lavorare sull’otturatore la pressione da controllare, in antagonismo con una molla pre–tarata – ed equilibrando nel contempo la pressione sull’altro lato dell’otturatore. Esistono anche valvole automatiche di esclusione che chiudono quando la pressione scende al di sotto del valore di taratura (della molla); in queste l’otturatore, con il meccanismo di funzionamento sopra descritto, è posto dalla parte opposta della sede. Analogamente esistono valvole di esclusione basate sul controllo del flusso, per esempio valvole in cui l’otturatore chiude quando la velocità del flusso aumenta. Ciò si realizza con un otturatore a cilindro con larghi fori di passaggio laterali e piccoli fori di passaggio sulla testa, posto di fronte alla sede dalla parte di ingresso della corrente e trattenuto da una molla: quando la velocità supera un valore critico, le forze di resistenza idrodinamica dovute al passaggio attraverso i fori della testa causano il trascinamento dell’otturatore e la chiusura della valvola. Questa valvola è usata dove si ritiene che il rischio di perdite causate da rotture verso l’esterno dell’impianto sia elevato. Esistono anche valvole automatiche di esclusione che chiudono quando la velocità del flusso scende al di sotto del valore di taratura – in queste l’otturatore, con il meccanismo di funzionamento sopra descritto, è posto dalla parte opposta della sede. Tutte le valvole di regolazione automatica possono essere pilotate da una valvola più piccola e quindi più sensibile, avente le facce collegate alla condotta nei modi sopra illustrati e l’otturatore posto in un circuito secondario che fa capo ad una delle facce della valvola principale: un piccolo sbilanciamento della pressione causato dall’otturatore pilota fa si che si crei sulle facce della valvola – che hanno una superficie notevole – una forza netta elevata (l’intero meccanismo prende il nome di amplificatore di pressione). Si possono fare due esempi interessanti di valvole automatiche di regolazione: • la valvola di ricircolazione − è una valvola che viene posta a valle di una pompa dinamica per controllarne il flusso; funziona come una valvola di esclusione che seziona per flussi superiori o inferiori ad un valore di taratura e che, quando chiude la via di scarico principale, devia il flusso verso una tubazione di by−pass. • la valvola termostatica − è una valvola (detta anche di laminazione) che regola la caduta di pressione localizzata ∆p in funzione della temperatura che viene rilevata nel fluido operativo a monte della sua inserzione; è azionata da un attuatore pneumatico sul quale, in antagonismo con una molla, lavora un gas (diverso dal fluido del processo) che si espande proporzionalmente alla temperatura misurata (in alternativa l’attuatore è anche comandato da un’asta bimetallica). 31 Corso di Allestimento Navale Le valvole comandate sono valvole per la regolazione continua (ma anche a due posizioni) azionate da un attuatore che sfrutta una fonte di energia esterna al circuito controllato. Sono usate, sempre negli impianti con macchine dinamiche, per la regolazione della pressione a valle del punto di inserzione, oppure per la regolazione della differenza di pressione fra il circuito a monte e quello a valle, ovvero per il controllo della curva di resistenza dell’impianto e quindi della portata. In una valvola comandata per la regolazione della portata si definisce caratteristica intrinseca la curva che esprime la portata in funzione dell’apertura − può essere rapida o lenta (a curvatura decrescente o decrescente), lineare oppure ancora equi–percentuale −; i diversi tipi di comportamento si ottengono con opportuni profili di accoppiamento fra otturatore e sede. Le valvole comandate possono essere lineari o rotative e presentano le stesse tipologie viste per le valvole sezionatrici: le più usate sono quelle a disco (con otturatore a disco o a spillo), a pistone con luci laterali, a manicotto, a saracinesca o a sfera. Le più adatte alla regolazione fine del controllo sono quelle a disco e quelle a pistone: entrambe si prestano ad essere bilanciate (migliore tenuta e minori forze di controllo) ed in entrambe la forma dell’accoppiamento determina la curva caratteristica. Il bilanciamento si realizza con due otturatori in serie sullo stesso stelo, uno posto sul lato d’ingresso del fluido, uno su quello di uscita: in tal modo le spinte sui due elementi si bilanciano quasi completamente riducendo di molto la forza necessaria per la traslazione dello stelo, e quindi per il controllo del flusso. Anche le valvole a saracinesca sono intrinsecamente bilanciate – ma poco precise. Nelle applicazioni navali la valvola ha un otturatore a disco, a spillo oppure a pistone, e la sede viene preferibilmente orientata nella direzione del flusso (stelo inclinato). Per quelle a disco la sede può essere piana o conica mentre l’otturatore ha una forma convessa: quello a disco è quello più comune, quello a spillo viene utilizzato per regolazioni più fini su piccole portate, ed infine quello a pistone (con cilindro cavo sulla cui superficie laterale sono ricavate le luci di passaggio) è adottato per liquidi con particelle in sospensione. Si osservi che, per ridurre le perdite, lo stelo è posto nella parte a pressione più bassa. Esistono anche valvole di regolazione che, avendo l’otturatore libero di spostarsi assialmente dall’estremità dello stelo, possono lavorare come valvole di ritegno quando sono aperte. Altre valvole di regolazione sono a tre vie, con l’otturatore che può chiudere su due diverse sedi se fatto traslare in un verso o nell’altro. 32 Le tubolature di bordo In genere le valvole di regolazione vengono montane sulle linee in parallelo ad una derivazione: il by–pass viene attivato quando si vuole escludere la valvola, nel caso di malfunzionamento della stessa o per l’esigenza di effettuare un intervento manutentivi. 1.7 – Gli attuatori delle valvole L’azionamento delle valvole comandate, che non sono asservite dallo stesso fluido di controllo come nel caso delle valvole automatiche, si realizza tramite una fonte di energia esterna alla linea: si può trattare di un azionamento manuale, ma molto spesso le valvole vengono manovrate per mezzo di semplici motori detti attuatori. Gli attuatori meccanici trasformano l’energia di pressione di un fluido in energia meccanica, mentre quelli elettrici trasformano l’energia elettrica in energia meccanica applicata direttamente allo stelo da muovere o al cursore di un cassetto di distribuzione di un impianto idraulico o pneumatico. Il movimento impresso allo stelo può essere sia lineare che rotatorio. L’azionamento tramite attuatori viene quasi sempre realizzato in antagonismo con una molla, a meno che non si tratti di attuatori che possono esercitare la forza di controllo nelle due direzioni e che hanno un sistema intrinseco di bloccaggio della posizione raggiunta, per esempio pistoni a doppio effetto alimentati attraverso cassetti di distribuzione automatici che chiudono in caso di mancanza di energia. Anche i motori elettrici reversibili e i solenoidi possono lavorare nelle due direzioni, ma sempre contro una molla che viene utilizzata per il controllo della posizione nel caso di mancanza della fonte di energia, quando è richiesto che la valvola si porti nella posizione più adatta al funzionamento sicuro dell’impianto (in genere tutta aperta o tutta chiusa). Nei semplici attuatori pneumatici la molla serve a garantire anche la reversibilità. Gli attuatori permettono di raggiungere due importanti traguardi: da un lato consentono di impiegare una potenza meccanica per sviluppare anche grandi forze d’azionamento, dall’altro rendono possibile il controllo a distanza. In generale, si realizza l’azionamento meccanico delle valvole allo scopo di manovrare valvole di grandi dimensioni, si ricorre al comando a distanza per ragioni di sicurezza o di comodità, e si utilizzano controlli automatizzati per ragioni di sicurezza e di efficienza. Il controllo a distanza può essere effettuato sia con un intervento diretto dell’operatore, sia con un dispositivo che, tramite uno strumento di misura, rileva una specifica caratteristica di funzionamento dell’impianto (per esempio una pressione, una temperatura, una velocità di flusso o un livello di 33 Corso di Allestimento Navale una cassa o di un collettore) e, tramite un comparatore, elabora un segnale che trasmette poi all’attuatore. É quindi evidente che l’intero meccanismo di controllo si presta per sfruttare sia sistemi elettrici ed elettronici, sia sistemi meccanici: al giorno d’oggi le misurazioni (di temperatura, pressione, portata, livello, densità, viscosità, pH, umidità, contenuto d’olio in acqua, contenuto di O2, etc.) possono essere meccaniche, elettriche o pneumatiche; la raccolta dei dati viene effettuata tramite un trasduttore elettrico che trasforma la variabile misurata in un segnale elettrico; l’elaborazione dei dati viene ormai fatta sempre più da circuito logico, ma si possono utilizzare comparatori di tipo meccanico; ed infine l’azionamento è spesso effettuato da un motore elettrico o da un attuatore a solenoide, collegati allo stelo della valvola o al cassetto di distribuzione di un circuito pneumatico o idraulico. Per quanto riguarda le valvole di sezionamento, l’azionamento può essere esclusivamente manuale oppure anche assistito da un attuatore. Si rammenta che è presente comunque un volantino per l’azionamento manuale diretto. Il comando manuale può essere effettuato direttamente sul volantino o a distanza. In questo caso si utilizzano steli allungati fino a 15 metri, ma a causa degli attriti, soprattutto sui cambi di direzione, la manovra è molto sfavorevole. Si rammenta ancora che per manovrare una valvola di sezionamento fra le due posizioni estreme è in genere sufficiente un quarto di giro del volantino, e che la chiusura si effettua sempre, per convenzione, con rotazioni orarie del volantino. L’azionamento delle valvole di regolazione della pressione è effettuato in genere con un attuatore attivato da un comando proveniente da uno strumento di misura inserito nel sistema. L’attuatore nel suo complesso, ossia il motore e il suo sistema di controllo (circuito elettro–meccanico o digitale) ha le caratteristiche di un servomotore, ossia di un motore che riceve un comando, per esempio la rotazione dello stelo di un certo angolo, si attiva per eseguirlo, lo esegue, si blocca e si predispone per ricevere il comando successivo trasmettendo nel contempo al sistema di controllo un segnale che informa sulla posizione raggiunta dallo stelo. Gli attuatori sono classificabili nelle seguenti categorie: • elettrici (ossia elettro−meccanici), • pneumatici a diaframma, • pneumatici o idraulici a pistone. e si dicono poi ad “azione diretta” o ad “azione inversa”, a seconda che l’assenza della forza di controllo determini rispettivamente la chiusura o l’apertura completa della valvola. 34 Le tubolature di bordo Nella trattazione dei diversi tipi di attuatori risulta molto importante il concetto di rigidezza dell’attuatore. Con questo termine si indica la capacità di mantenere con precisione la posizione raggiunta. La rigidezza è una caratteristica intrinseca delle diverse tipologie (purché la costruzione sia fatta a regola d’arte) tanto che si possono elencare in ordine decrescente di rigidezza: si va dall’attuatore elettro–meccanico, a quello idraulico, al pistone pneumatico ed infine al diaframma pneumatico. Gli attuatori elettrici sono molto usati per piccole valvole poiché permettono di fare una regolazione continua, hanno bassa inerzia, sono molto rigidi (garantiscono perciò un’elevata accuratezza di posizione), sono veloci (ma solo per le piccole potenze) ed economici. Quando si parla di attuatori elettrici si fa in genere riferimento al motore elettrico, ma vengono usati come attuatori anche i cosiddetti solenoidi. I motori elettrici sono corredati da un riduttore di giri e si prestano alla generazione di momenti torcenti che raggiungono i 2700 Nm. Il motore può essere un motore asincrono trifase (per alte potenze, ossia da 660 V a 380 V), un motore monofase (da 220 V a 24 V) oppure un motore a corrente continua (piccole potenze, 24 V). Si osservi che la regolazione continua si ottiene con trasduttori che inviano il segnale di posizione dello stelo ad un circuito digitale. Nei solenoidi il movimento dello stelo è procurato mediante l’attrazione di un nucleo ferromagnetico da parte di una bobina eccitata elettricamente ed in contrasto con una molla. Essi sono più adatti per la regolazione a due posizioni (aperto/chiuso), a meno che non siano usati con una molla antagonista pretarata ed alimentati a tensione variabile. Un’applicazione classica è quella dei comandi dei cassetti di distribuzione dei sistemi elettro– idraulici o elettro–pneumatici, in cui le forze in gioco non sono elevate. Nei sistemi elettrici l’attuatore è corredato da un trasmettitore di posizione anch’esso elettrico. Si osservi che i parametri elettrici della linea di comando e di quella di potenza sono generalmente piuttosto stabili e quindi il controllo e l’azionamento sono particolarmente affidabili. La trasmissione del segnale elettrico è in genere digitale perché più veloce ed affidabile (le valvole con controllo elettronico sono dette smart valves). Gli attuatori pneumatici a diaframma sono i più usati dal momento che sono robusti e poco pesanti, di semplice costruzione e quindi in una parola economici. Trovano applicazione ovunque, anche in situazioni di rischio d’esplosione, non soffrono di problemi di corrosione se l’aria è secca, si prestano a movimenti di traslazione e di rotazione (realizzati spesso con una biella) e rappresentano la soluzione più economica fino a forze di 10 kN. Lo svantaggio maggiore che essi presentano è quello di essere poco rigidi e di avere tempi d’intervento piuttosto lunghi: tipicamente impiegano 35 Corso di Allestimento Navale da 4 a 20 secondi per riempirsi ed esercitare la forza di controllo, perciò sono più adatti a valvole che non necessitano di regolazione veloce. Altri svantaggi sono causati dalla presenza della molla, che comporta problemi di controllo della posizione per fenomeni d’isteresi e che assorbe una notevole percentuale della forza di controllo, dal fatto che la risposta non è perfettamente lineare, dalla bassa robustezza del diaframma (rotture per fatica) e dalla ridotta efficacia delle tenute (trafilamenti). Le pressioni di lavoro variano da 0,2 bar ad 1,0 bar (ma anche fino a 5 bar per sistemazioni particolari). I diaframmi possono essere alimentati da linee a pressione maggiore avendo la possibilità di essere costruiti con riduttori di pressione incorporati. Tipicamente hanno un diaframma con diametro che varia da 70 mm a 300 mm e sono in grado di esercitare forze variabili da 2 kN a 125 kN (con corse fino a 100 mm) e momenti che raggiungono 1100 Nm. Gli attuatori a pistone sono i utilizzati quando sono necessarie lunghe escursioni dello stelo e forze elevate. Rispetto a quelli a diaframmi sono più costosi perché vengono alimentati a pressioni più alte (da 6,0 bar a 10,0 bar quelli ad aria e fino a 350 bar quelli ad olio) e quindi sono di costruzione più robusta. Trovano applicazione sia per movimenti traslatori (con forze fino a 500 kN) che rotatori (con l’accoppiamento fra un’asta dentata e un pignone oppure con il sistema a camma e momenti fino a 5000 Nm), ma sono usati più spesso per i sistemi lineari – quelli rotativi trovano applicazione quasi esclusivamente negli impianti oleodinamici di potenza. I pistoni possono essere sia a semplice che a doppio effetto: rispetto ai primi, quelli a doppio effetto sono più rigidi e si prestano a controlli più accurati delle posizioni. In entrambi (ma anche nei diaframmi) la regolazione continua si può effettuare modulando la pressione di ingresso del fluido tramite una valvola riduttrice di pressione, in antagonismo con una molla nei sistemi a semplice effetto oppure in antagonismo con la pressione allo scarico nei pistoni a doppio effetto. Gli attuatori a pistoni, oltre alla maggiore forza esplicabile, presentano il vantaggio, rispetto a quelli a diaframmi, di essere più veloci (grazie al minore volume e all’alta pressione di esercizio) e più rigidi (al massimo lo sono quelli ad olio) e quindi più precisi causando meno problemi di vibrazioni. Un particolare tipo di attuatori idraulici/pneumatici è quello degli attuatori rotativi, formati da camere di lavoro disposte attorno all’albero da far ruotare. Si tratta di attuatori che nel controllo delle valvole vengono usati a pressioni non elevate (fino a 6,0 bar) per generare momenti torcenti che non superano 200 Nm. 36 Le tubolature di bordo Infine si può affermare che i sistemi idraulici sono i più adatti per trasmettere potenze e per controllare in maniera continua la posizione dell’attuatore, quelli pneumatici permettono invece solo il controllo di due posizioni, essendo il fluido comprimibile, e sono inoltre più adatti per basse potenze, ma sono i più utilizzati, anche a bordo, grazie ai loro bassi costi. Per le basse potenze sono usati anche i sistemi elettrici, che però vengono considerati meno affidabili in ambiente marino. In generale, i sistemi di comando ed azionamento possono essere classificati come: • • • • elettrici (ossia elettro−meccanici), elettro−pneumatici ed elettro−idraulici, pneumatici, idraulici. I sistemi più usati sono quelli in cui la trasmissione dei segnali avviene per via elettrica con trasmissione digitale del segnale. In essi l’asservimento si realizza in genere con trasduttori che controllano la posizione raggiunta dallo stelo e mandano un segnale ad un circuito logico che lo confronta con il segnale di comando e fa partire infine il comando per l’azionamento di una valvola di distribuzione per bloccare la corsa dell’attuatore (si veda per i confronti la Tab. 1.7.A). CARATTERISTICHE PECULIARI TIPOLOGIA velocità rigidezza forza elettrico (elettro–meccanico) molto bassa alta da bassa ad alta elettro–pneumatico da bassa a media da media ad alta da bassa ad alta elettro–idraulico da bassa a molto alta da media ad alta da bassa a molto alta bassa bassa da bassa ad alta da media a molto alta da media ad alta da bassa a molto alta pneumatico a diaframma pneumatico o idraulico a pistone TABELLA 1.7.A Caratteristiche dei servomotori per il controllo delle valvole. 37 Corso di Allestimento Navale Gli attuatori vengono selezionati in funzione delle caratteristiche precedentemente illustrate. In questo modo devono essere stese sia le tubolature di potenza dell’aria compressa o dell’olio in pressione, sia le linee elettriche. Quando però ciò non è possibile, ossia in aree in cui vi sia il rischio d’innesco di gas o vapori infiammabili (anche se il segnale è trasmesso via fibre ottiche), o quando non è consigliabile a causa dell’azione corrosiva dell’ambiente marino o a causa del rischio di corto circuiti in ambienti umidi, si ricorre al controllo con linee ausiliarie a bassa pressione d’aria (e meno frequentemente d’olio). In alcune applicazioni a rischio di esplosione vengono comunque accettati circuiti elettrici a basso voltaggio (inferiore a 24 V). I servomotori completamente idraulici o pneumatici sono quindi più rari (e molto più costosi) ed impiegano meccanismi di controllo della posizione di tipo meccanico sfruttando il concetto della leva a fulcro mobile. Esistono infine necessità di azionamenti veloci delle valvole e si usano allo scopo sistemi a rilascio automatico con una molla precaricata, comandati direttamente a mano o idraulicamente. 1.8 – Le prese e gli scarichi a mare Un altro elemento essenziale delle condotte di bordo è costituito dalle prese a mare, alle quali fanno capo alcuni dei servizi di tubolatura essenziali dello scafo, quali la zavorra e l’antincendio oltre al raffreddamento motori, e per questo motivo si trovano a poppa in corrispondenza della sala macchine. Le prese a mare sono realizzate entro recessi dello scafo (sea chest) protetti da griglie disposte sulle superficie avviata dello stesso. Tali recessi sono costruiti in modo da costituire parte integrante dello scafo resistente ed hanno una forma ed una posizione tale da facilitare l’afflusso d’acqua alla presa, perciò non devono essere posti in parti che fuoriescono dall’acqua durante la navigazione o dove si può prevedere il distacco del flusso di carena. Essi si trovano inoltre lontani da strutture d’ingombro e da scarichi, in posizione tale da non interferire con altri impianti o, a nave in bacino, con le taccate. L’imbocco della presa è tenuto pulito con getti d’aria in pressione o di vapore. Usualmente le prese a mare principali sono due, disposte una per fianco: una alta per il servizio sicuro in acque poco profonde, ed una bassa per il servizio sicuro in navigazione a minimo pescaggio. Le due prese sono collegate da un collettore chiamato cross over. Altre prese a mare sono presenti per servizi ausiliari quali l’elettrogeno di bordo e le prese delle eventuali pompe antincendio collocate nei vari compartimenti. 38 Le tubolature di bordo La tubolatura che fa capo alla cassa è munita di una valvola di sezionamento che costituisce con il suo corpo il primo tratto della presa. In questo modo il collegamento a scafo è reso particolarmente robusto. Inoltre tale valvola è di configurazione particolare: essa infatti ha lo stelo disposto nella direzione del flusso e l’otturatore conformato in modo che l’azione del battente esterno d’acqua ne favorisca la chiusura (prende il nome di valvola Kingston). Alle spalle si trova un filtro e, per la pulizia del filtro, un’ulteriore valvola sezionatrice, per esempio del tipo a saracinesca. Gli scarichi a mare avvengono in genere al massimo sotto piccoli battenti e sono di più semplice configurazione. Essi consistono in un tubo, di spessore rinforzato, che termina a filo della carena su un fasciame localmente irrobustito. Alle spalle, tranne nel caso di drenaggi dai ponti superiori a quello di bordo libero, deve essere presente una valvola sezionatrice e quindi una di ritegno (riunite anche in un unico corpo). Il RINA definisce le modalità di costruzione di tutti gli scarichi a mare. 1.9 – I filtri Un accenno va fatto anche ai filtri che costituiscono parte integrante delle condotte. Si tratta di semplici dispositivi di filtrazione inseriti in linea con le tubazioni, con o senza by–pass, con lo scopo di contenere le particelle solide trascinate dai fluidi, sia proprie dei fluidi (acqua di mare), sia per sgretolamento delle tubazioni, la cui presenza è nociva per rischi di occlusione delle linee e per l’azione abrasiva. I filtri sono in linea con la condotta (a cartuccia) oppure, quelli di dimensioni maggiori adatti per i liquidi più inquinati, in una cassa disposta ad interrompere la condotta (a paniere). L’elemento filtrante è costituito da una rete metallica, con maglie dell’ordine del decimo di millimetro o, nel caso dei mud box usati alle prese a mare, da una lamiera forata (fori del diametro di qualche millimetro, usualmente 10÷15 mm). 1.10 – Le casse Una condotta può far capo ad una cassa, in tal caso deve essere dotata di un diffusore per ridurre le perdite di carico in aspirazione ed in mandata. Poiché inoltre la stessa condotta può essere utilizzata per la mandata e per l’aspirazione, l’estremità è opportuno che venga posizionata nella parte più bassa della cassa da servire, possibilmente in un pozzetto, ed eventualmente con due diramazioni, una vicina alla paratia di prora ed una vicina a quella di poppa. La sezione terminale della bocca di aspirazione viene detta campana ed è conveniente, per imprimere al fluido un’accelerazione più omogenea, che, 39 Corso di Allestimento Navale detto d il diametro della condotta, la sua sezione massima abbia un diametro di almeno 1.5 d e sia posta ad una distanza dal fondo pari ad almeno 0.5 d, in modo da ottenere una sezione di imbocco (corona cilindrica) di area almeno tripla rispetto a quella della condotta (si consigliano velocità all’imbocco non superiori a 3 m/s). Va aggiunto che è molto importante garantire un battente minimo per ridurre l’aspirazione d’aria, eventualmente anche con un pozzetto, garantendo almeno un battente pari all’altezza cinetica nel tubo di aspirazione. Le casse in genere sono elementi strutturali facenti parte dello scafo resistente, assieme al quale vengono dimensionate per sollecitazioni indotte sia da carichi trasmessi che da battenti locali (statici e dinamici). Alcuni elementi non strutturali fanno parte essenziale del corredo di una cassa e sono: gli sfoghi d’aria, gli sfoghi di “troppo pieno” e le sonde. Gli sfoghi d’aria sono dei tubi collegati al cielo delle casse che, disposti su direzioni il più possibile verticali, mettono in comunicazione la cassa con l’ambiente esterno, allo scopo di evitare che la cassa vada in pressione o in depressione durante la caricazione o la scaricazione. Tali tubazioni devono terminare in un ambiente adatto, tale da non risultare inquinato dal collegamento con la cassa o tale da non poter essere a sua volta fonte di inquinamento per la cassa: se il liquido contenuto è infiammabile o si tratta di scarichi igienici, lo sfogo deve essere fatto all’aria aperta, se è tossico deve essere fatto in un ambiente controllato (contiguo alla cassa), se si tratta di acqua dolce o di mare lo sfogo può essere interno alla nave (comunque nella stessa zona stagna). L’estremità superiore dello sfogo d’aria deve arrivare ad una certa altezza dal ponte sul quale termina e deve finire a collo d’oca (per evitare di costituire una via di caduta, verso l’interno della cassa, di elementi estranei), con una valvola di sezionamento ed un filtro nel caso di casse d’acqua potabile o una rete taglia–fiamma nel caso di liquidi infiammabili. La sezione del tubo che costituisce lo sfogo deve essere abbastanza grande da evitare che al maggiore tasso di caricazione della cassa si verifichi una velocità di deflusso d’aria non superiore a qualche metro al secondo (un valore usualmente preso come limite è quello di 7.5 m/s), ciò dovrebbe preservare da colpi di pressione. Quando una cassa viene riempita con liquido immesso a pressione da una pompa e si teme il sovraccarico, è necessario installare una condotta che prende il nome di “troppo pieno” (o di “rigurgito”), in grado di sfogare la portata della tubazione di adduzione senza creare una sovra–pressione eccessiva sul fasciame della cassa. Tale condotta, di diametro almeno pari al 125% di quella di adduzione, scarica fuori bordo (acqua, scarichi igienici) oppure in casse di raccolta delle sentine oleose (olii) ed arriva ad un ponte 40 Le tubolature di bordo sufficientemente alto da permettere il deflusso solo in occasioni estreme, ma non così alto da determinare un battente eccessivo sulla cassa (battente che viene previsto in fase di progetto). Può essere anche installata una valvola limitatrice di pressione e di non ritorno (per esempio nelle casse d’acqua dolce) per scongiurare sovra–pressioni e ridurre al contempo il rischio di contaminazioni dall’esterno. Gli accessori ed i particolari di queste condotte sono quelli descritti per gli sfoghi d’aria. Ogni cassa deve essere anche dotata di una sonda (asta di ferro) per il rilevamento del livello. L’asta trova posto in un alloggiamento ricavato nella cassa e prolungato (tubo di sonda) fino al ponte accessibile più vicino. Inferiormente poggia su una lamiera rinforzata. Nelle cisterne del carico ed in genere in tutte le deep tanks, viste le notevoli altezze da sondare, sono previsti sistemi alternativi del tipo a nastro, calati da un apposito boccaportello posto sul ponte di coperta. In genere è presente anche un sistema di lettura (misuratori di tipo elettrico, pneumatico o ad onde radio) con invio del segnale a distanza. 41 Corso di Allestimento Navale 42