Campanaro3 - Parco Nazionale Appennino Lucano

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Campanaro3 - Parco Nazionale Appennino Lucano
SCHEDA RILEVAZIONE ANTICHI MESTIERI
SCHEDA N. 9
Titolo del mestiere
Campanaro- Lattoniere
Periodo storico di riferimento
XVIII-XX secolo
Fonti di riferimento
Biblioteca comunale E. Magaldi, S. C. R:
Vito Castronuovo, A chilli tiembi.
Per i nomi citati contributo orale di Raffaele Rinaldi.
Persone coinvolte
Virgilio Rocco (deceduto negli anni ‘80) era capo campanaro e come discepoli di campana aveva
al suo seguito Giacomo Bentivenga ed Eugenio Bentivenga (viventi ma non in condizioni psicofisiche che gli consentano di parlare).
Descrizione del mestiere
Da quanto ho potuto apprendere, il signor Virgilio era prima di tutto lattoniere, attività meglio nota
a San Chirico col nome di “caurararo o stagnino”, artigiano di oggetti ottenuti dalla lavorazione
di latta o lamiera, ma che il più delle volte si occupava di chiudere con pasta di stagno i buchi nelle
“caurare”, ovvero le crepe sul fondo dei calderoni (all’epoca utilizzati quotidianamente). Come
seconda attività Virgilio rivestiva il ruolo del sacrestano, aveva quindi il privilegio di mettere in
pratica l’arte del campanaro. Ho preferito definirla arte perché pare che non ci si potesse
improvvisare suonatori di campane, e ciò è dimostrato dalla presenza dei discepoli apprendisti. Per
meglio intendere la responsabilità e l’impegno da riversare in tale attività, riporto un’altra
significativa poesia, tratta dal testo di Castronuovo, e dedicata non alla professione del campanaro
ma al campanile stesso, intitolata “U Vecchio Cambanile”.
Picca chiù granne ri li case attuorno
u viecchio cambanile era chiù bello.
Quattro finistelle, tre canbane,
na scalicella nnanzi e na purtella
ca manco si chiuriete tanta bona…
Senza ri rici ra sunata a muorto
e quilla allegra fatta ppi li feste
‘a prima voce ‘a rava matutino
e rivigliava ciucci e cristiani;
n’ata vota sunava a mienzuiuorno,
sicunno ‘a capa ri lu sacristano…
e pué all’ora ri chiesia e a’vimmraia
o, cume si ricìa, <<vintiquattore>>.
A quisto signo tutti li guagniuni
avieno ra turnare a’casa loro
e nun s’ssiete fino u iuorno appriesso…
N’ora ri notte l’ultima sunata:
cu nove ndon battuti tre ppi bote
si chiuriete ppi tutti la iurnata.
Pué u cambanile rivintava a casa
Ri tutti i barbagianni r’u castiello…
Ma si c’erati ‘a luna, u cambanone
Pariete argento, tutto spirlucente…
La serietà del campanaro stava dunque nel richiamare, prima di ogni cosa, l’attenzione di tutto il
popolo sulle varie scansioni temporali giornaliere, aggiungendo a queste le suonate, nei giorni
prestabiliti, per le feste comandate e la festa patronale, senza tralasciare matrimoni e funerali.
Giudizio di sostenibilità
L’attenzione profusa dal sacrestano oggi si limita al ricordare di programmare l’orario di suonata
sul quadro elettrico dell’impianto della chiesa. Per svegliarci la mattina, una volta strangolato il
gallo ed eliminato il campanaro, non ci resta altro che far volare dalla finestra la sveglia o il
cellulare, il quale, non bastava solo per ricevere ed effettuare telefonate o inviare messaggi, ma si
assume anche il dovere di frantumarci i timpani ad una determinata ora. Allora, se a noi piace tanto
la tecnologia è inutile ribadire ulteriormente che questa, come altre attività museali, restano
custodite sugli scaffali della memoria. Forse i monaci tibetani rappresentano l’ultima tipologia di
campanari esistenti al mondo, anche se a loro l’attività gli deriva dal culto che professano, ma
nonostante tutto c’è da dire che noi ancora possiamo permetterci lo “sfizio” (che tale risulta) di
suonare le campane a corda nelle cappelle del paese.
Luogo e data
San Chirico Raparo 03/04/2011
Il Borsista
Francesca Caputo