Ricordo di LiLLi Coiana

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Ricordo di LiLLi Coiana
Speciale
Maggio 2014 - N. 144
PERIODICO DEL C.U.S.I.
FONDATO NEL 1951 DA ALDO DE MARTINO
POSTE ITALIANE s.p.a. - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003
(CONV. IN L. 27/02/2004 N. 46) ART. 1, COMMA 2, DCB PARMA
Ricordo di
Lilli Coiana
Sport Universitario
N. 144 - Maggio 2014
C.U.S.I.
(Centro Universitario Sportivo Italiano)
Sede: Roma - Via Brofferio, 7
Tel. (06) 37.22.206 fax (06) 37.24.479
Presidente:
Lorenzo Lentini
Vice Presidente:
Artemio Carra.
Consiglio Federale: Nicola Aprile,
Gianluca Bianchi, Francis Cirianni, Elio Cosentino,
Mario Di Marco, Carlo Dolfi, Francesco Franceschetti,
Gianni Ippolito, Romano Isler, Piero Jaci,
Eugenio Meschi, Giacomo Zanni.
Segretario Generale: Antonio Dima
Direttore Tecnico: Mauro Nasciuti
Collegio Sindacale: Danilo Zantedeschi - Presidente
Collegio dei Probiviri: Enrico Bordi - Presidente
Sport Universitario
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Direttore Editoriale:
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Editore:
Cusi, Via Brofferio, 7 Roma
Autoriz. Tribunale di Parma n. 434 (ottobre 1969)
Associato alla Unione
Stampa Periodica Italiana
«Sport Universitario», pubblicazione quadrimestrale in
cinquemila copie, viene distribuito gratuitamente ad
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Nel nome di Coiana, 19 anni
di “regno”, 47 anni di “cusi”
G
li amici del Cusi hanno voluto
dedicare un numero speciale
del nostro periodico al loro
“presidente” venuto a mancare
l’undici febbraio di quest’anno nella “sua”
Cagliari all’età di 76 anni. Un atto di amore
che il buon Lilli (Leonardo) Coiana merita
alla grande per i suoi quasi sessant’anni di
milizia al Cus Cagliari ma soprattutto per i
47 anni di fedeltà al Cusi dei quali ben 19
di “regno”.
Carica presidenziale quest’ultima
iniziata il 26 marzo 1995 ed ereditata
dall’indimenticabile Ignazio loiacono,
“pioniere” dello sport universitario,
uomo colto che ha dedicato la sua vita
ad un “ sogno”, una “passione” coltivata
all’insegna dello sport-cultura di vita.
Nello scorso numero di Sport Universitario
abbiamo ospitato, tra gli altri, gli scritti di
Lorenzo Lentini ed Antonio Dima , vale a
dire del presidente entrante e del nostro
segretario generale, l’uomo che più di tutti
è stato al fianco di Coiana in questi anni di
presidenza.
Coiana era un “puro”, sicuro di
se, convinto delle proprie idee,
schietto, instancabile, parsimonioso
quanto basta, che ha saputo
guidare l’ente con il polso fermo
ottenendo risultati sportivi eccezionali
consolidando l’aspetto organizzativo
ed amministrativo nei rapporti con i
ministeri interessati, il Coni e la Fisu.
Ha superato anche momenti difficili per
alcune posizioni nei Cus e per i grandi
eventi mondiali universitari organizzati in
Italia coadiuvato sempre da un gruppo
di dirigenti amici che hanno saputo fare
“squadra”, come si usa dire oggi.
Stimato da tutti ha lasciato un segno
indelebile nell’ormai ultra sessanta anni
di storia del Cusi. Non era mai sazio,
pensava sempre alle prospettive future.
Nuovi impegni, nuove idee, un grande
amore per la sua terra, per la famiglia
e per la professione. Un grande che ci
colloca al fianco di Lojacono, Nebiolo,
Pescante, Merola, Nostini, Scarpiello ed
altri, tutti uomini “made in Cusi”.
Consentitemi un aneddoto personale dal
poco invidiabile primato di “veterano” del
1972 - Gli azzurri
del Cusi pronti
per partire verso
l’Universiade di
Lake Placid: Coiana,
a destra, è al suo
esordio come capo
delegazione. Fra
le ragazze c’è la
Tasgian che vinse il
primo oro.
Cusi (1960) ho avuto l’onore di dare a Lilli
il benvenuto nel Comitato Centrale (oggi
Consiglio federale) nel gennaio del 1967
subentrante in pratica ad Andrea Arrica,
altro grande dirigente di quella generosa
terra che si chiama Sardegna.
Ricordo perfettamente una delle prime
trasferte compiute assieme come capi
delegazione a Lake Placid nel 1972 per
l’Universiade della neve, noi due dirigenti
con undici tra atleti e tecnici per le
sole gare alpine. Lavorammo bene, fu
un’esperienza bellissima, nobilitata dalla
prima medaglia d’oro azzurra di Anahid
Tasgian. Un trionfo.
Come direttore di “Sport Universitario”
sono orgoglioso di dedicare a Lui questo
intero numero del nostro periodico. Ciao
Lilli, amico mio e tanti auguri per la tua
nuova vita!
r.c.
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Un abbraccio sincero,
per sempre,
per quello che hai fatto
per lo sport universitario,
per il mondo della gioventù
e per noi tutti.
da Lorenzo e Antonio
Emularti sarà difficile, dimenticarti impossibile
di Roberto Fabbricini
Molte volte le parole sono inutili: questa sarebbe proprio una di quelle volte.
C
aro Presidente,
ci siamo conosciuti quasi
cinquanta anni fa in un’antica
sede della Federazione Italiana di
Atletica leggera. Tu già componente
autorevole della Commissione Medica,
io segretario del Settore tecnico
giovanile: entrambi con il desiderio
di contribuire a rendere migliore la
nostra disciplina attraverso il contatto
continuo con i tecnici e gli atleti di cui,
tu soprattutto, sapevi conquistare la
fiducia, la stima e l’affetto.
Sei stato un bravo atleta, un medico
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sportivo scrupoloso, efficiente e ricco
di carisma derivante dal fatto di aver
battuto tutti i marciapiedi della tua
professione (ospedali, pronto soccorsi,
sale gessi, camere operatorie) ed infine
un dirigente di grande spessore sia a
livello di Società che di Federazione
fino alla poltrona e alla scrivania che
più hai amato: quella di Presidente del
Cusi.
Non hai inseguito una tua personale
visibilità ne hai mai cercato incarichi
sportivi nazionali e internazionali
rendendoti sì disponibile ma senza
scendere in alcun caso a compromessi
elettorali: i giochi di palazzo non
ti hanno mai visto concorrente
impegnato.
La tua attività è sempre stata fatta di
azioni concrete e di poche parole; si
poteva dialogare con te anche con
grandi silenzi ma ogni cosa veniva
definita con chiarezza totale ed
inconfondibile. Anche il tuo interloquire
con chicchessia era scarno, essenziale
ed in alcuni casi quasi brutale per
sincerità ma nei rapporti umani nulla
restava di indefinito o di equivocabile.
Il male che ti ha aggredito non
può pensare di averti sconfitto. Tu
continuerai ad essere presente in
virtù dei tuoi insegnamenti e della tua
magistrale capacità di tracciare percorsi
e delineare strategie. Chi materialmente
prenderà il testimone da te lasciato avrà
una corsia ben definita in cui correre
ma dovrà farlo con la tua stessa lena e
la tua determinazione.
Emularti sarà molto difficile,
dimenticarti sarà impossibile.
Ciao Presidente, ciao Lilli, ciao grande
amico mio.
Voleva un Cusi potente come una Ferrari
di Giorgio Gandolfi
Q
uando si è stati vicini
a grandi Presidenti,
cito fra gli altri nel mio
peregrinare calcistico Artemio
Franchi e Giampiero Boniperti,
si riconosce subito nel nuovo
personaggio il cipiglio del
condottiero anche se i suoi mezzi
finanziari non sono gli stessi delle
persone citate. Dunque meno
ambizioni ma un’eguale visione di
grandi obiettivi magari raggiunti
faticosamente ma con lo stesso
risalto.
Coiana ha sempre agito senza
clamore ma con una forza interiore
capace di avvincere e trascinare chi
gli stava vicino. Lo ha dimostrato
in tante occasioni, specie nelle
situazioni più difficili quando
ha dovuto fare da catalizzatore
fra le forze nuove dello sport
universitario e quelle abituate ad
una conduzione egemone come
quella di Lojacono. Quando venne
eletto parlò chiaro esprimendo
quello che era il pensiero di molti:
“Ho raccolto un’eredità difficile
perchè Lojacono è reduce da
grandi risultati sia dal punto di
vista giuridico che tecnico ma
Lui, Coiana, c’era sempre in tribuna o in campo a tifare per gli azzurri dell’Universiade o per gli
universitari dei Cnu. Eccolo in una delle tante trasferte all’estero coi fedelissi Dima, De Introna
e Ippolito.
non ha saputo entrare in sintonia
con noi dirigenti che volevamo
sfruttare a fondo le qualità del
Cusi, dell’ambiente sportivo
universitario. Eravamo un’utilitaria
ma necessitava una Ferrari in
grado di sfruttare a fondo la nostra
potenzialità, di girare al massimo
dei giri”. Annunciando quali erano
i programmi del suo Cusi, parlava
di maggiore dinamismo a livello
di Cus, chiamati a esprimere una
migliore immagine e a diventare
come quelli delle università
anglosassoni, col Cusi quale
elemento trainante dello sport
scolastico, e anche fucina di
dirigenti sportivi “. Come è stato
dimostrato sia al Coni che nelle
Federazioni.
A capo di una presidenza giovane
ma ampiamente collaudata sul
campo nazionale e su quello
internazionale, Coiana che era
reduce da ventitre Universiadi e
sei Olimpiadi, centrò quasi tutti
gli obiettivi sempre presente sul
campo per stare vicino ai suoi
dirigenti e agli atleti, a costo di
perdere punti nell’ambito della Fisu,
poi recuperati ultimamente con la
presidenza francese, sicuramente
meno anti-Nebiolo.
Sulle tribunette di Lago Tesero
e di Baselga di Pinè, in mezzo
ai pochi tifosi, lui c’era sempre
all’Universiade trentina, esempio di
passione e di estrema fedeltà al suo
Cusi, alla sua grande famiglia.
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“Cambiamento nella continuità”,
la sua filosofia da non dimenticare
N
ella seconda metà degli anni
settanta, giovane presidente del
Cus Parma, accompagnando a
Roma l’allora consigliere nazionale Ruggero
Cornini ho avuto spesso l’occasione di
frequentare il comitato centrale Cusi. Io ero
semplice spettatore ma ebbi l’opportunità di
conoscere Leonardo Coiana insieme agli altri
componenti dell’organo nazionale.
Nel 1977 durante la mia prima Universiade
a Sofia, partecipando al viaggio al seguito,
ho potuto conoscerlo meglio insieme al
gruppo di consiglieri del Cus Cagliari fra i
quali Adriano Rossi e Gianni Dolia. Tra il Cus
Cagliari quello di Parma e poi anche con il Cus
Brescia si sviluppò una sincera amicizia.
Nel 1995 con l’inizio della sua presidenza
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di Artemio Carra
entrai nel Consiglio centrale e fra di noi ci fu
subito grande feeling e sintonia. Un rapporto
molto saldo, vero, fondato sulla sincerità,
sulla stima e sul rispetto reciproco. Lilli, così
lo chiamavamo noi, era un grande lavoratore,
di poche parole; bastava una semplice
frase e si entrava subito nel merito della
questione trovando l’accordo sugli obiettivi da
perseguire. Dolce e premuroso con gli amici
ma anche burbero e brutale con coloro che
entravano in collisione con Lui.
Era sardo e rappresentava benissimo le
caratteristiche della sua terra. Era al quinto
mandato e stava raggiungendo i venti anni
di presidenza. Ha diretto e gestito il Cusi con
grande competenza, capacità e tenacia. È
sotto la sua guida che l’Ente si è rinnovato
adeguandosi con il nuovo statuto ai moderni
principi ispirati dal Coni. È sotto la sua
presidenza che si è costituita la commissione
paritetica con la Crui e instaurati nuovi
rapporti con il Miur ed il Ministero dello
sport. È grazie a LUI che il Cusi ha ottenuto
dalla Fisu la giusta considerazione ed i
dovuti riconoscimenti verso il movimento
sportivo universitario italiano che sembravano
persi negli anni passati dopo la presidenza
Nebiolo. Con la sua proverbiale schiettezza
ha saputo tenere ottime relazioni con tutte le
isituzioni politico-sportive sia nazionali che
internazionali.
Personalmente mi sono trovato spesso in
pieno accordo con Lui. Da anni eravamo
convinti che il nostro futuro fosse presso
Flash cussini del
presidente Coiana:
con Davide D’Elicio
e Carra l’anno
scorso ai Cnu delle
neve quindi sempre
con Artemio nel
suo studio in
via Brofferio
al Cusi. Infine
all’inaugurazione
dell’Anno
Accademico al Cus
Pavia nel 2007.
le Università nel ruolo dell’ente preposto
al servizio sportivo per gli studenti. Le
Università e gli studenti finalmente apprezzano
l’attività che ogni Cus svolge per loro e
questo è un grande riconoscimento che il
nostro movimento ha ottenuto durante la sua
presidenza.
Quando fu eletto presidente nel 1995
lo slogan che riassumeva tutta la sua
progettualità politica era: “Cambiamento nella
continuità”. Credo che il nuovo Cusi che si
formerà dopo la sua morte debba proseguire
sulla stessa strada. Sarà compito del nuovo
presidente, del prossimo consiglio federale e
di tutti i presidenti dei Cus formulare una linea
politico-sportiva che consenta di mantenere
la nostra autonomia e la nostra identità
adeguandosi ai grandi cambiamenti che
l’Italia dovrà affrontare nei prossimi anni. Caro
Lilli, ti mando un affettuoso e malinconico
saluto. Ti aspettavi decisioni diverse da parte
mia ma come ti ho spiegato tante volte –
quando abbiamo affrontato l’argomento
– la vita ci impone delle scelte che lasciano
l’amaro in bocca e qualche rimpianto.
Sarai sempre nel mio cuore e nei miei ricordi.
L
a sua prima passione era il
mare. Non la medicina, non
il Cus Cagliari e neppure
l’atletica. Appena gli impegni – ne
aveva tanti, e ne aggiungeva sempre
dei nuovi – glielo consentivano,
Lilli Coiana correva a bordo del suo
motoscafo d’altura, attrezzato per
la pesca e, spesso accompagnato
dal fratello, mollava l’isola e
s’avventurava per il mare aperto.
Chi scrive lo conobbe – troppi lustri
or sono – così: abbronzato dal sole
e dal salmastro, le mani nodose
use a manovrar nasse, palamidi
e gomene ma sensibilissime – la
sensibilità di chi, per professione,
usava il bisturi – ad avvertire, nella
pesca all’amo, il minimo segnale
della preda prossima ad abboccare.
Lilli era un marinaio. Un marinaio
sardo, chissà di quali ormai
sperdute origini. Possibile che
gli fosse rimasto nei geni il gusto
dell’avventura che fu dei navigatori
fenici – i primi a conquistare
il Mediterraneo – e i primi ad
approdare in Sardegna. Oh, non
ci sarebbe proprio da stupire: essi
arrivarono sull’isola quasi tremila
anni or sono, e ne fecero una
terra d’appoggio nel loro viaggiare
verso le coste della Spagna e della
Francia. La stessa Cagliari antica
era, con ogni probabilità, un città
fenicia così come Tharros, che è fra
le meraviglie di quei tempi lontani.
Naturalmente la Sardegna era già
Un uomo che non tradiva
di Giorgio Reineri
abitata da secoli e chissà, allora,
che le radici di Lilli non fossero
ancora più profonde, addirittura
affondando nella “protostoria” di
quella terra.
Una terra che Coiana amava con
il trasporto di un figlio devoto. E
i segni del suo esser sardo non
venivano soltanto dall’accento, che
nessun soggiorno sul continente
potè mai scalfire, ma soprattutto da
quel senso di schietta fedeltà che ne
ha caratterizzato la vita.
Lilli non ha mai, difatti, tradito un
amico. Era fatto di quella pasta lì,
che è una pasta speciale di cui sono
plasmati i sardi: gente con una
parola sola, e tanto basta per render
chiaro un pensiero, un sentimento. Non è, però, che Leonardo Coiana
fosse un uomo al quale mancasse
la forza della dialettica. La
possedeva eccome, e la usava in
discussioni infinite per far valere le
sue ragioni, o per sostenere quelle
di un amico. Al dibattito, in fondo,
era stato educato sin dai tempi del
liceo e dell’università; e, soprattutto,
addestrato ad usar l’arma del
ragionamento nelle interminabili
diatribe cussine, la scuola di
pubblico servizio alla quale era
cresciuto. Il mondo dello sport universitario,
difatti, era l’altro mare che aveva
preso a navigare sin dai giorni della
prima giovinezza. Un mare sovente
scosso da venti di burrasca; o da
brezze capricciose che d’improvviso
s’alzavano e poi s’acquietavano,
per riprendere infine a soffiare da
una diversa direzione. È sempre
stato così il Cusi, sono sempre
stati così i vari Cus sparsi per
l’Italia. Niente di male, in questo
scompigliarsi d’idee, d’iniziative, di
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ambizioni perchè in quell’agitazione
continua molti giovani si sono
addestrati alle battaglie della vita.
Niente di male, soprattutto, se
una sintesi veniva infine trovata,
gettando l’ancora in una baia
protetta da venti e correnti.
Lilli possedeva il fiuto nello scovar il
giusto approdo. E con fiducia, verso
quelle aree di calma, veniva, dai
compagni del Cusi, seguito. Certo,
aveva fatto anche lui l’apprendistato
con capitani di lungo corso come
Lojacono e Nebiolo. E aveva
imparato, anche, ad alternare
l’astuzia alla diplomazia, ma sempre
faticando a far uso della blandizia, a
stemperare la sua ruvidità di sardo
per dare spazio al fondo ruffiano
che è nella natura del potere.
È cosi che, chi scrive, vuole
ricordare Leonardo Coiana. Un
uomo che non tradiva, e che se
diventava amico non lo era per
un giorno o per una convenienza,
ma per un comune sentire. In
fondo, la sua fedeltà a Primo
Nebiolo, non soltanto nell’ambito
Cusi ma soprattutto in quello
delle Federazione di atletica,
questo era. Una storia fatta di
collaborazione, di successi faticati,
di iniziativa rivoluzionarie – oh,
come non ricordare l’esibizione di
Franco Arese durante l’intervallo di
un incontro di Coppa Campioni del
Cagliari di Scopigno, Arrica e Gigi
Riva – che, all’epoca, aprirono la
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Nebiolo e Coiana all’Universiade di Daegu quindi il presidente del Cusi all’inaugurazione dell’anno accademico all’Università di architettura a Torino.
strada a quel che l’atletica italiana
fu – spettacolo – per un tempo,
purtroppo, troppo breve. In fondo, la storia pubblica di
Coiana è stata, per lungo, tempo,
intrecciata a quella del torinese
Nebiolo. E nonostante tra i due
dirigenti non fossero mancati
momenti di tensione, sempre aveva
fatto premio su ogni divergenza il
senso di reciproca lealtà. Si direbbe,
quasi, che entrambi sentissero
fortissima l’appartenza ad una storia
comune: la storia che, a seguito del
trattato di Utrecht del 1713, aveva
portato Vittorio Amedeo II, duca di
Savoia, a divenire prima re di Sicilia
e, dal 1718 – mollando la Sicilia
all’imperatore Carlo VI – re di
Sardegna e Piemonte.
Lilli, sia ben chiaro, non aveva
ghiribizzi nobiliari nè ambizioni da
padre della patria; e neppure Nebiolo
anche se, gli si fosse socchiuso
un pertugio di speranza, non si
sarebbe ritratto. Ma i due dirigenti,
in una qualche misura, avvertivano
comunque che toccasse proprio a
loro dare forza e stabilità al Centro
Universitario Sportivo Italiano,
proprio come, un secolo prima, un
re sardo-piemontese aveva messo in
piedi l’Italia.
Nelle foto: Coiana con Nebiolo a una
Universiade e con Arese.
Torinese del ‘41, Giorgio Reineri è
stato una grande firma di Tuttosport
e poi del Giorno in redazione
con Brera. Divenne responsabile
della comunicazione alla IAF con
la presidenza di Nebiolo. Ruolo
sempre svolto con grande classe.
A fianco di GiggiRiva, Mennea, Simeoni, Dorio
di Oscar Eleni
C
i sono persone a cui vuoi
bene subito, anche se ti
guardano con l’occhio
clinico di un buon medico e sai di
poter essere radiografato per i troppi
peccati della gola, dell’entusiasmo
per una vita che ti regala emozioni,
ma anche rancori. Questo era
Leonardo Coiana compagno di
viaggio per tante trasferte di sport,
lui era nato per capire le smanie di un
Primo Nebiolo, il suo presidentone
nella federazione di atletica, l’uomo
da cui ricevette il testimone per
guidare così bene il Centro Sportivo
Universitario, il CUSI, ma anche
quelle dei tanti cronisti che andavano
in trasferta con l’atletica appena
portata fuori dalle pizzerie.
Non parlava troppo, se volevi proprio
avere il miglior Coiana dovevi
portarlo sull’isola, la sua amatissima
Sardegna, sfiorare le rocce, il mare
e lasciarlo libero di raccontare
come era davvero la vita a Cagliari
quando il suo grande amico Arrica,
altro uomo di estrazione CUSI, un
dirigente che aveva senso dell’arte,
lo aveva avvcinato a quel capolavoro
di squadra che nel calcio fece storia
seguendo il filosofo Scopigno,
andando dietro al rombo di tuono del
Gigi Riva che con lui si confessava
spesso.
Lo sentivi respirare l’aria del grande
evento quando doveva tenere
l’ambiente sereno se Pietro Mennea
era in rampa di lancio per la grande
prodezza, in Messico, record del
mondo, alle Olimpiadi di Monaco e
poi a quelle di Mosca, quando aveva
il tocco magico per farsi largo fra la
folla dei cronisti avidi, agitando un
papavero, per liberare Sara Simeoni
dalle pressioni esagerate, per dare a
Gabriella Dorio lo spazio vitale che
serviva ad una purosangue capace di
correre forte, per capire la splendida
follia di Gelindo Bordin e del suo
fisioteraspista Rocchetti che oggi
è un pittore famoso, uno scultore
di successo, impegnato nel sociale
come quando era Coiana a guidarlo
nel social club della vera attività
agonistica.
Ha vissuto la grandezza dell’atletica
quando tutto sembrava splendido,
fingendo di non sentire le richieste
esagerate di chi voleva di tutto e di
più, pur avendo già molto.
Non piangi se ti lascia un amico
come lui, perché se ti guardi in giro
nell’archivo della vita in comune,
se provi a ricordare, sai che non
lo avrebbe voluto, eppure nel
suo mestiere di medico ne aveva
visti tanti abbandonare la corsa
prima del tempo. Si brindava con
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parsimonia davanti a Leonardo, ma
era lui il primo a darti il nulla osta
per una cena esagerata se ti trovava
depresso, triste, congelato come
agli europei di Praga, soffocato
come alle Universiadi di Mosca
dove sbocciavano tante cose e non
soltanto il miglior Mennea.
Salutandolo prendo in prestito una
poesia di montagna giapponese che
forse gli sarebbe piaciuta:
Mondo di rugiada,
è solo un mondo di rugiada
che evapora
Ma ci lascia il profumo dell’amicizia
del vivere bene insieme.
Ciao dottore.
Oscar Eleni,
milanese
del ‘44, ha
seguito le
vicende
del Cusi
in diverse
Universiadi.
Grande esperto di basket, ma
anche di altri sport è stato una
delle firme di primo piano alla
Gazzetta dello Sport, Giganti del
Basket poi la Voce di Montanelli,
il Corriere dello Sport Stadio,
infine Il Giornale. Ha scritto i libri:
Indimenticabile Rubini (con Sergio
Meda) La Pallavolo (con Zorzi),
100 anni di basket (con Dario
Colombo).
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Una presenza tecnica e molto umana
E
ra un personaggio che dava
serenità, Leonardo. I miei
ricordi, diciamo pure la mia
amicizia, sono datati soprattutto
nel periodo e nella fase in cui la
sua professione di responsabile
medico dell’atletica occupava spazi
molto più ampi rispetto al percorso
ancora in abbozzo che lo portò ai
vertici dell’area Cusi.
Erano i tempi in cui la squadra
nazionale si confrontava spesso in
sfide interessanti a due-tre nazioni,
che poco alla volta sono passate
di moda: gli azzurri spesso nell’Est
europeo, quando si faceva notte a
chiacchierare in albergo perché non
c’erano molte alternative, nelle città
che faticavano a rialzarsi dopo le
ferite della guerra.
Ricordo una sera in cui Leonardo
mi disse, più o meno: “Ci sono
molti modi di fare il medico,
qualcuno mi chiede a volte se
non perdo tempo dedicandomi a
tempo pieno all’atletica. È difficile
rispondere, è una scelta. Lo sport è
un messaggio forte di gioventù e di
salute, mi arricchisce di esperienze
che poi mi sforzo di trasmettere
agli altri. Credo che non lo
abbandonerò mai…”.
di Gianni Romeo
Non l’ha mai abbandonato, anzi.
L’ha sempre accompagnato in
punta di piedi, raro esempio di
riservatezza e misura.
È un bel palcoscenico, lo sport, per
farsi un nome, per gonfiare il petto,
per sentirsi gratificato anche con i
titoli sui giornali.
Non per Leonardo, che anche dopo
aver assunto cariche di prestigio
non ha mai dimenticato o ripudiato
il suo stile.
In casi come questi, può essere
facile rispolverare la figura
dell’eminenza grigia, dell’uomo
ombra: solo che, accanto a Primo
Nebiolo e a Ignazio Lojacono,
non ha impersonato nessuna
delle due parti così storicamente
o letterariamente affascinanti ma
qualche volta inquietanti.
Lui è stato, per un tempo che è
parso infinito, una presenza molto
tecnica (da medico e responsabile
sanitario) e insieme molto umana.
Ha offerto una partecipazione
diretta e appassionata sia
nell’atletica che nello sport
universitario a ogni livello –
Sardegna, Italia, mondo a cinque
cerchi o etichettato Fisu erano
le sue sfere – collezionando una
milizia che l’ha coinvolto dai giorni
di Messico ’68 sino a quello molto
fresco che ha scandito la sua
scomparsa.
Leonardo, sempre discreto,
mai clamoroso, ha trasportato
queste inclinazioni morali, questi
atteggiamenti, nella sua presidenza,
nel suo incarico internazionale
meritando i vertici che seppe
raggiungere.
Gianni Romeo, torinese del ‘40,
è stato giornalista di Tuttosport
e della Stampa ricoprendo le
massime cariche redazionali.
Oltre a fare l’inviato alla grande
atletica di Nebiolo, Mondiali ed
Universiade. A Roma gli è stato
consegnato recentemente il Premio
Zauli alla carriera da Malagò,
Giomi e Fabbricini (nella foto).
I SUOI CAMPIONI
Fava
Quando Rossi e Lilli mi
convinsero alla doppia
impresa vincente dopo
la tachicardia.
C
on “Lilli” Coiana ho
condiviso per più di un
decennio momenti di gioia
ed entusiasmo ma anche qualche
delusione e tanti interrogativi. Lui,
responsabile sanitario della Fidal, io
sulle piste di mezzo mondo a correre
a perdifiato, in cui ogni tanto mi
capitava di fermarmi all’improvviso
col cuore in gola per colpa della mia
pazza tachicardia. Le nostre carriere
si sono intrecciate ripetutamente
negli anni 70. Gli anni in cui Primo
Nebiolo gettava le basi per il progetto
della grande atletica e “Lilli” era un
punto di riferimento per saggezza e
competenza professionale nella nuova
federazione nata sotto la spinta di un
rinnovamento che guardava lontano.
Franco Fava,
campione
dell’atletica con due
ori all’Universiade
di Roma, poi ottimo
giornalista al Corriere
dello Sport.
Nella foto a destra,
in azione proprio
all’Universiade
dell’atletica nel 1975
a Roma mentre è
avviato al trionfo (foto
di Romano Rosati).
Io avevo iniziato a calcare le piste
solo qualche anno prima con la
maglia dell’atletica Cassino (poi Cus
Cassino), di Pietro De Feo. I primi
lampi li condivisi con Pietro Mennea,
nell’ottobre del 1968 alle finali di
Termoli delle Leve del Corriere dello
Sport: a me i 2000 metri e a Pietro i
300 metri.
“Lilli” era arrivato in Fidal quale
medico federale, succedendo al
dottore Arcioni. Conobbi “Lilli”
nel settembre del 1970, alla prima
trasferta di una squadra azzurra ai
Campionati Europei Junior di atletica
a Parigi. Eravamo una manciata
di azzurrini, ma tra questi c’erano
due giovani che avrebbero poi fatto
cose uniche: Pietro Mennea e Sara
Simeoni.
Fu alle Universiadi di Mosca nel
1973 che apprezzai anche le doti di
umanità di “Lilli”. In quella stagione
per me, vincere il titolo dei 3000
siepi sarebbe dovuto essere poco più
di una formalità. Ma nelle batterie,
quando eravamo a 500 metri dal
traguardo, la tachicardia mi costrinse
al ritiro. Lui mi consolò fino a tarda
sera. «Vedrai, ti rifarai alla prossima
Universiade», mi ripeteva ogni volta
che ci incontravamo.
L’Universiade successiva furono
i Giochi Mondiali Universitari
che Roma ospitò nel settembre
del 1975. “Lilli” non era solo un
medico preparato e un dirigente
sportivo appassionato, ma era
anche un tecnico di atletica. Sulla
pista dell’Olimpico avrei dovuto
doppiare 10.000 e 3000 siepi, ma
nella seconda distanza ero chiuso
dal polacco Malinowski. L’allora
Ct azzurro Enzo Rossi impiegò del
tempo a convincermi che avrei potuto
invece vincere l’oro sui 10.000 e poi
bissare nei 5000 metri. A sostenere le
ragioni di Rossi, c’era anche “Lilli”. E
devo un po’ anche a lui se riuscii nella
doppia impresa.
In quegli anni un filo doppio, anzi
triplo mi legò a lui. Perché a fare
da sponda c’era anche mio fratello
Antonio, medico sportivo che iniziò
a muovere i primi passi professionali
sotto la lunga ala di “Lilli”, prima al
Centro Bruno Zauli di Formia e poi
con le nazionali giovanili della Fidal.
Purtroppo Antonio ci ha lasciati nel
2001. E ora, con la dipartita di “Lilli”,
il vuoto che mi porto dentro è ancora
più grande.
Il ricordo più bello di “Lilli” Coiana?
Quando trasmetteva ad Antonio le
sue conoscenze, soprattutto nel
rapporto con gli atleti. E quando
una sera di fine anni 70, al termine
degli Assoluti all’Olimpico di Roma,
io e “Lilli” rimanemmo chiusi
all’interno dello stadio perché a me
non scappava la pipì dell’antidoping.
Quando ci riuscii anche i custodi se
ne erano andati a dormire. E a noi
non restò che attendere l’alba in
compagnia di qualche birra. E di tanti
ricordi.
10
Arese
Quando mi rimise in
sesto all’Universiade
di Tokio dopo una
profonda chiodata ad
una gamba.
Franco Arese all’inizio della carriera a fine
Anni ‘60 (foto di Romano Rosati).
In alto, premiato da Coiana al Congresso del
Cusi a Cagliari.
A destra, un simpatico ricordo di Arese con
un giovanissimo Francesco Fava alle prime
corse in pista a Frascati.
S
ono sempre stato molto
legato e affezionato a Lilli
perché era una persona
che non faceva tante chiacchere,
ma puntava ai fatti.
E poi la nostra amicizia superava
i confini dello sport per diventare
un rapporto quasi fraterno come
ho potuto constatare quando ho
avuto occasione di trascorrere con
lui e la sua famiglia indimenticabili
giornate nella sua Sardegna.
Sono sempre stato trattato come
un principe: in particolare dopo
l’incidente al tendine nel luglio 1974
quando fui ospite a casa sua per un
mese procedendo alla riabilitazione
dopo l’operazione, venendo
seguito, nonostante i suoi numerosi
impegni, in modo costante.
11
E la guarigione, grazie a lui,
ai suoi consigli, fu davvero
miracolosa. Anche perchè era
intervallata da gite in barca e a
pesca e alla sera memorabili
cene, con ottima vernaccia,
attorno ad un tavolo a parlare di
ricordi.
A Tokyo nel 1967, nella semifinale
dell’Universiade, durante la gara
negli ultimi 300 metri ho ricevuto
una chiodata molto profonda sulla
gamba destra. Soltanto con la
sua esperienza, Lilli riusciì a farmi
superare il trauma mettendomi
nelle condizioni di gareggiare il
giorno della finale.
Dunque un grande medico e un
grande amico con un rapporto che
è rimasto inalterato nel tempo.
Di solito quando manca una
persona si dice sempre che
era buono, onesto, un buon
lavoratore insomma che era quasi
perfetto. Non è il caso di Lilli
perché lui lo era realmente nella
vita di relazione come medico
sportivo e come appassionato di
atletica leggera. Ci mancherà a
noi tutti.
Lo saluto con affetto rinnovando
il mio cordoglio a Nicola e a tutta
la Famiglia.
Mio padre Leonardo, umile e ricco di passione
di Mario Frongia
Nicola Coiana, un
commovente oceano di
ricordi e insegnamenti
di un genitore capace di
mille sfide.
“Papà? È come se fosse partito per uno
dei suoi tanti viaggi e debba tornare da un
momento all’altro”. Nicola Coiana avverte
il momento. Per nulla facile. E lo affronta
con piglio deciso. In un fiume di emozioni,
contenuto a stento, il primogenito di Leonardo
Coiana rivela la tempra del padre. Quel pizzico
di coraggio e amore per le cose che valgono.
Indispensabili per andare lontano. Nel segno
di un esempio incisivo e vibrante. Tanto
spigoloso quanto capace di ridare passioni e
incoraggiamenti. Trovare parole, a neanche un
mese dalla scomparsa del presidente del Cusi,
non è semplice. Nicola, ortopedico, sposato
con Silvia, tre figli, Leonardo jr, Francesco e
Margherita: adorati dal nonno, si districa tra
un immensità di ricordi. Un mosaico felice e
impietoso. Utile per una definizione globale di
un uomo di pregio.
Lilli Coiana, figura poliedrica. Qual è il primo
ricordo che le viene in mente?
Sorride. Una chiamata dall’aeroporto: “Vienimi
a prendere”. Arrivavo e come spesso capitava,
la sua macchina non partiva dopo 15 o 20
giorni di abbandono al multipiano.
Anni ’70, pronto soccorso di Leonardo Coiana ai Cnu di Viareggio (foto di Romano Rosati).
Nicola, da medico ancor prima che da figlio,
considerando la malattia, quanto è stata dura?
Ci ha sorpreso il peggioramento repentino.
Ci sono state delle sindromi associate a una
malattia di base. Al tumore si sono accavallate
altre situazioni che hanno peggiorato il
quadro generale. Aveva fatto un periodo di
chemioterapia in cui il male sembrava sotto
controllo.
Quindi, era sereno?
Era tranquillo dal punto di vista ematico. I valori
erano giusti. Ma le sindromi paraneoplastiche
hanno determinato indebolimento e setticemie.
La malattia di base è ripartita.
Un flash indimenticabile?
Le notti all’ospedale Brotzu passate al suo
fianco a chiacchierare.
Di cosa parlavate?
Di tutto. Aspetti personali, comportamenti e
gestioni future.
Le ha dato un ultimo consiglio da padre a
figlio?
Mi ha dato vari consigli in relazioni agli aspetti
della vita. Professionale e no.
Cosa lo preoccupava?
Niente. Sino all’ultimo era combattivo, presente,
lucido, sicuro di poter ancora gestire tutto. Da
ultimo, eravamo sempre più vicini e mi rendeva
partecipe di tante scelte.
Ha sofferto?
Più che altro, ha patito l’immobilità nell’ultimo
periodo.
Quale aspetto sottolineerebbe di suo padre?
La capacità di agire e di riconoscere prima degli
altri l’evoluzione delle situazioni. Vedeva in
prospettiva davanti a tutti. E voglio ricordare la
qualità del tempo che spendeva con la famiglia.
Penso ai miei figli, per esempio. Ma anche a me
e mia moglie. Certo, non posso dire che fosse
sempre presente.
Quindi?
Quando c’era dava qualità. Nel rapporto con
Leonardo, che coglie risultati interessanti nel
tennis, dal punto di vista agonistico, era molto
partecipe. Con Francesco, il piccolo, aveva
un rapporto speciale. Lo portava nei viaggi.
Francesco è più filosofico di Leonardo. Avevano
un rapporto affettivamente solido. Poi, con
la piccolina, Margherita, aveva un connubio
particolare.
Cos’ha trasmesso ai nipoti?
A Leonardo ha dato un grande esempio di
serietà e di capacità di sintesi. Essendo più
grande, ha potuto vedere e percepire quello che
il nonno ha fatto nella vita. Poi, avendo girato
molto col tennis, ovunque andasse, riceveva
feedback positivi della figura del nonno.
Passo indietro. Lei è diventato medico. Quanto
ha contato suo padre nelle scelte?
La mia scelta iniziale è stata casuale, non tanto
ragionata. Si esce dal liceo e si è disorientati,
senza un’impressione chiara delle strade da
intraprendere.
E lui?
Zero. Mi diceva: “Fai quello che vuoi”. Invece,
12
nell’ultimo anno, alle prese con le Cliniche,
quando mi ha visto in difficoltà, mi è stato
vicino.
In che senso?
Mi spronava. Aveva apprezzato la mia laurea a
24 anni, mantenendo l’anno avanti che avevo
dalle superiori. Scherzando, mi diceva che
anche per lui era andata così.
Ricorda qualche suggerimento in corso d’opera
nel periodo di sofferenza?
Sì, mi consigliava come studiare. Mi ricordo
Anatomia, un esame tutto mnemonico. Mi
diceva di non riprendere i manuali dal punto
in cui li avevo lasciati la sera prima. “Finisci e
riparti da metà o da un certo capitolo”. Riteneva
fosse un metodo per ricordare meglio le
nozioni.
È stato pesante chiamarsi Coiana?
Qualche volta posso averne goduto. Altre, ne
ho subito lo svantaggio perché sono stati più
severi.
Ricorda suo padre inferocito?
No. L’ho visto spesso seccato. Forse, l’ultima
volta, è stato durante una riunione dei centri
di fisioterapia. Lo preoccupava il periodo
difficile e la crisi. E soprattutto, il voler garantire
l’occupazione dei dipendenti.
Cosa gli dava gioia?
Le battute di mia figlia lo facevano impazzire.
Anche perché, a quattro anni, dice cose fuori
norma. Una delle ultime volte che ci siamo
visti, le aveva chiesto perché non mangiasse
il minestrone all’asilo. Margherita gli aveva
risposto flemmatica: “Nonno, è pieno di
patate, di verdure, di cose e di alghe”. Si era
scompisciato dalle risate.
Amava la pesca. Ma qual è la gerarchia delle
attività in cui staccava?
Una lenza in mano in mezzo al mare. E, anche
se mi è capitato poche volte di vederlo giocare,
le partite di calcio. Giocava centrale difensivo.
Ai tempi del libero e dello stopper.
13
Sì. Ha giocato in serie D. Guardandolo, mi
rendevo conto che anche il calcio era un modo
per appagarlo.
Cos’altro?
Un viaggio disinteressato. Magari, da mia
sorella Emanuela.
Cosa le ha lasciato suo padre?
L’umiltà. Mi ha sempre dimostrato di essere
uno che si è sempre sporcato le mani senza
delegare. Faceva l’agricoltore, il pescatore, il
medico, l’infermiere. Aveva frequentazioni di
qualsiasi genere senza puzza sotto il naso.
Nicola, suo padre aveva quattro specializzazioni.
Ce n’era una a cui era più affezionato?
Era specializzato in chirurgia generale,
ortopedia, fisiatria, medicina dello sport.
Il frutto di un excursus professionale ora
impossibile, perché ci vorrebbero tre vite. Le
viveva tutte con il massimo impegno.
Se dovessimo descriverlo professionalmente?
Potrebbe avere racchiuso il decisionismo
del chirurgo, l’aver trasportato l’esperienza
professionale come fisiatra e l’aspetto
psicologo come medico dello sport nel rapporto
con gli atleti. Per gli atleti impazziva.
Sì. Riviveva con loro i traumi e gli aspetti
psicologici. Sapeva, specie per quelli di un
certo livello, quanto contasse la psicologia. Era
bravo nel motivare. Fargli credere di essere il
migliore e di avere sempre un atteggiamento
positivo per spronarli a dare il meglio di se
stessi.
La gerarchia dei suoi cinque sport preferiti.
Non ho mai visto una persona così innamorata
e competente di tanti sport come mio padre.
Il calcio è stata la prima passione per mille
ragioni. Come l’atletica.
Perché?
Quando era studente, ha partecipato a
tanti campionati nazionali e internazionali,
mantenendo amicizie nel tempo. Da Franco
Arese alla moglie, Sara Simeoni. A seguire, il
tennis, che vedeva con piacere anche in tv.
Il quarto?
Il rugby. E infine tutti gli altri. Dalla ginnastica
alla boxe, dal ciclismo alla scherma.
Per quale squadra faceva il tifo?
Aveva un occhio di riguardo per il Cagliari.
Aveva una figura che apprezzava in particolare?
No. Però, quando una persona godeva della
sua stima, si vedeva lontano un miglio ed era
disposto a fare qualsiasi cosa. Così come per
gli amici.
Non aveva mezze misure. Una volta che ti
metteva alla prova, da attento osservatore,
ed entravi nell’ambito della sua stima e non
ti comportavi male, godevi di una cambiale
illimitata.
Era generoso e parsimonioso. Come si
concilia?
segue a pagina 29
Tanti flash sulla vita di Coiana: con la figlia
al mare, in montagna con Carlo Dolfi e i
famigliari quindi premiato dalla Regione sarda
e con l’amico di vecchia data, Bebo Zucca, fra
i fondatori ed ex presidente del Cus Cagliari,
anamopatologo di chiara fama.
Stefano Arrica:
“Un secondo padre”
L’ho sempre chiamato “presidente”, e così continuerò a fare quando
parlerò di lui. Per gli amici era Lilli, per il resto del mondo lo stimatissimo
dottor Coiana. Per me era soprattutto un secondo padre al quale affido un
forte abbraccio da consegnare al mio, anche lui lassù a vegliare su di noi. I ricordi in questi giorni si affollano, sono veloci e la nostalgia è una ferita
che non andrà mai via. Iniziò tutto quando smisi di giocare a calcio mi
trascinò fortemente al Cusi, voleva che facessi il dirigente, che in qualche
modo restassi nel suo mondo. E questo non l’ho mai dimenticato, come
non ho dimenticato neanche quando dopo la scomparsa di Gianni Dolia mi
affidò in due parole e un sorriso la gestione del campionato universitario
di calcio a Chieti. Da allora l’ho seguito sempre, in ogni parte d’Italia e del
mondo. Sapevo che mi voleva bene, sentivo che per lui ero come un figlio.
Quando tre anni fa è venuto a mancare mio papà Andrea è come se un po’
mi fossi affidato a lui. Era diventato un punto di riferimento, soprattutto
in questa famiglia sportiva che nel frattempo si era creata. Con mio padre
aveva condiviso tante battaglie, dentro e fuori dal Cusi, e adesso è come
se mi avessero lasciato un tesoro tra le mani. Insieme all’ingegner Rossi,
il presidente Coiana ha voluto che io e il mio fraterno amico Marcello
Vasapollo entrassimo nel consiglio direttivo del Cus, e non faceva altro
che ripeterci che saremmo stati il futuro. Ora che non c’è più, il futuro è
diventato presente. Sentiamo responsabilità ed è calata la tristezza. Mi
mancano le sue battute, ma soprattutto la tranquillità e la sicurezza che
mi trasmetteva, lui come pochi altri. Ma proprio per lui, tutti noi, faremo
in modo che questa storica famiglia sportiva continui al meglio il suo
cammino. Vorrei gli arrivassero le mie parole, vorrei dirgli ancora che è
stato molto importante per me, un maestro di vita.
E mi raccomando Presidente, saluta il mio vecchio quando lo vedrai.
Tuo Stefano
La sua panchina
Gran esperto di calcio
ma non tifoso
Parlare di calcio col Presidente (non mi sono mai permesso di chiamarlo
Lilli in quasi vent’anni: capivo che era riservato soltanto agli amici di
vecchia data) era sempre un’esperienza interessante. Per cui ne parlavo
volentieri ad ogni occasione, si trattasse del Cagliari, del Parma, di ricordi
che ci accomunavano. C’era da restare ammutoliti da un giudizio – su un
personaggio, su un episodio – che partiva da una conoscenza profonda dello
sport ma del calcio in particolare. Essendo alquanto allergico ai tifosi, trovavo
in lui un “professionista” che sfiorava i dettagli tecnici ed umani evitando
accuratamente giudizi superficiali o da stadio. Eppure conosceva tutti ed il suo
profondo amore per il Cagliari avrebbe potuto tradirlo. Non è mai successo.
g.g.
14
MARCELLO VASAPOLLO
FRANCO ZANDA
Un amico, un fratello maggiore, Una lunga amicizia, vera
una figura paterna
e sincera
A
ncora oggi, a due mesi
dalla scomparsa, non
riesco a capacitarmi
che il Doc non ci sia più. Qualche
volta mi capita ancora – come
facevo quando avevo bisogno
di un consiglio – di impostare il
suo numero di telefono per poi
rinunciare. In questi momenti il
dolore, la malinconia e la nostalgia
si riaccendono.
Purtroppo persi mio padre che
ero poco più di un ragazzo e la
mancanza della figura paterna
l’ho inevitabilmente rimpiazzata
con alcune persone, poche
naturalmente, di riferimento: il
Doc era una di queste. Allo stesso
modo era evidente a tutti che
per me e Stefano Arrica avesse
un debole, sinceramente non so
spiegare il perchè. Lui uomo di
poche parole, dai modi anche
burberi, quando qualcuno non gli
andava a genio non glielo mandava
a dire: a noi voleva bene come se
fossimo altri due figli. In poche
parole, come usava fare, ci affidò
15
l’organizzazione della comitiva per
i Mondiali Universitari di calcio in
Uruguay decidendo praticamente
di farci concludere la carriera di
atleti e buttandoci nell’arena dei
dirigenti.
Da quel momento – sono
passati ormai quasi vent’anni
– ha voluto fermamente che ci
stabilissimo in quelle grandi
famiglie rappresentate dal Cus
Cagliari e dal Cusi indicandoci
il percorso, dandoci consigli e
trasmettendoci nel contempo
fiducia e tranquillità. Inutile che
io vada a esprimere un parere
sulle qualità del dottor Coiana:
in ambito medico sportivo e
imprenditoriale era da tutti
riconosciuto come un grande e
così voglio ricordarlo assieme,
soprattutto, a quei momenti
indimenticabili passati nella
nostra Sardegna o in giro per
il mondo con quello che era un
vero amico, un fratello maggiore,
un padre.
Ciao Doc
H
o conosciuto Lilli fin da
giovanissimo, lui come
calciatore e allenatore in
promozione regionale e io nelle giovanili.
Poi negli anni ottanta, come tirocinante
nell’ospedale traumatologico di Cagliari,
dove anche lui lavorava come ortopedico.
Per quasi dieci anni abbiamo lavorato
fianco a fianco nello stesso
reparto. Lo sostituivo
nei turni quando talvolta
rientrava anche alle due di
notte dai viaggi all’estero,
o quando non riusciva
addirittura a rientrare. È
stata, la nostra, un’amicizia
lunga, vera e sincera.
Andavamo d’accordo
su tutto: dallo sport alla
religione alla politica. In
quegli anni avevamo creato
dal nulla la fondazione dei
medici sportivi affiliata alla
FMSI e aperto il Centro
di medicina dello sport
allo stadio sant’Elia di
Cagliari: circa 800 mq,
all’avanguardia sul territorio
nazionale. Nell’82 i primi Cnu insieme,
‘83 prima Universiade in Canada, Il team
medico era già completo, per cui Lilli mi
ingaggiò come fisioterapista: dovetti fare
un corso accelerato di massoterapia.
“Ottavio” fu il mio primo maestro, un
cieco dalle doti straordinarie. I miei
iniziali pazienti atleti furono Marcello
Guarducci, campione
europeo di nuoto e
Angelino Binaghi, campione
di tennis nel doppio con
Riccibitti. Il team medico
di allora era costituito
dal sottoscritto, nonchè
Murgia, Cimino, Melis,
Rodriguez e ovviamente
il gran capo, l’amico Lilli.
Una collaborazione col Cusi
intensa e meravigliosa.
Nell’86 mi telefonò un
pomeriggio, non so
dove, per comunicarmi
che dovevo partire per
Roma col primo volo
perché c’erano gli esami
di ammissione alla scuola
segue a pagina 20
Che bella la libertà. Eia, Lillè!
di Antonio De Introna
G
iorni fa, mi ha telefonato
Giorgio Gandolfi e mi ha
chiesto di scrivere qualcosa
in ricordo di Leonardo
Coiana ed io ho accettato di buon
grado.
Però, se si aspetta che io parli del
Coiana come grande Dirigente
sportivo, emerito Presidente Cusi,
esimio ortopedico, illuminato
imprenditore e via dicendo,
sicuramente rimarrà deluso perchè, il
mio, vuole essere un semplice flash
sulla vita del mio amico più caro, del
fratello con cui ho condiviso per anni
gioie e dolori.
Durante tutti questi anni siamo
riusciti anche a litigare e a non
parlarci per molti mesi; ma la grande
abilità politica di Antonio Dima (unita
al sincero affetto che nutre per
entrambi) è riuscita ad appianare le
incomprensioni e a cementare, ancora
di più, il legame esistente.
Lilli l’ho visto la prima volta a Roma,
nel lontano 1968 in occasione di un
Congresso del CUSI e debbo dire che
tra noi non fu un feeling immediato
in quanto, qualche anno dopo, ci
confessammo che io gli ero apparso
come un provincialotto saccente e lui,
a me, come un dottorino presuntuoso
ed antipatico.
Cambiò tutto 2 anni dopo, nel ‘70
quando, per volontà di Primo Nebiolo,
ci trovammo a far parte entrambi della
Delegazione Italiana che partecipava
alle Universiadi invernali di Rovaniemi,
la città di Babbo Natale, nella magica
Lapponia.
Eravamo giovani ed entusiasti,
l’atmosfera mitica ed esaltante, il
gruppo composto da dirigenti, tecnici
ed atleti veramente fantastico e quindi
vivemmo un’esperienza irripetibile.
Tutto questo contribuì a far nascere
la ns. amicizia, direi di più, il sodalizio
Fukuoka – Dolfi, De Introna, Coiana, Dima e Nasciuti, seminascosto, un poker da Universiade.
Coiana-De Introna durato quasi mezzo
secolo e che ci ha visti partecipi,
sempre insieme, di tantissime edizioni
di Universiadi invernali ed estive, oltre
ai Campionati Mondiali di Specialità.
Abbiamo condiviso un’infinità di
lussuose camere d’albergo, così
come ritrovi di fortuna in villaggi ed
ostelli, mense di lusso e bettole da
fame, abbiamo parlato con Regine
ed Imperatori, e subito dopo con
delinquenti comuni e cambiavaluta
truffaldini.
In occasione di queste trasferte
capitava spesso che, pur vivendo
praticamente in simbiosi, non ci
scambiavamo nemmeno una parola
per ore ed ore (Lilli non era molto
loquace) però bastava uno sguardo
per capirci al volo e comportarci di
conseguenza.
Se poi nasceva un qualsiasi problema
potevo stare tranquillo perchè Lilli,
comunque, lo risolveva.
Amministrativo, legale, burocratico
o più semplicemente tecnico,
elettricista o idraulico, muratore o
falegname, agricoltura o pastorizia,
io chiamavo Lilli e subito la cosa era
risolta perchè sapeva fare veramente
di tutto.
16
Eia, Eia, il grido dei
legionari romani
del Pascoli
A Kazan, la sua ultima Universiade
Un vero maestro rapportato alla mia
assolutà incapacità.
Oltre tutto aveva una resistenza fisica
incredibile e non si stancava mai.
Se c’era da fare qualcosa non si
tirava mai indietro. Perfino i pacchi
da spedire li doveva confezionare e
sigillare di persona.
Solo in questo ultimo maledettissimo
anno 2013 gli ho sentito dire: “Totò,
adesso sono veramente stanco, mi
debbo fermare e riposare”.
Purtroppo non c’è riuscito anche
se io ho cercato in tutti i modi di
convincerlo, non dico a mollare
tutto; ma almeno a stare più rilassato
cercando di creargli, almeno nel
rifugio cubano, l’atmosfera che più
amava fatta di semplicità, natura, sole
e mare.
17
Solamente così riprendeva a vivere
felice.
Voglio raccontarvi l’ultimo episodio: a
fine novembre siamo stati, per l’ultima
volta, a Cuba insieme e la mattina,
prima che partisse, è uscito presto
da casa per andare all’Università a
ritirare il visto di espatrio. Al ritorno si
è presentato con una gabbia e dentro
un bellissimo e coloratissimo uccello
tropicale dicendomi che l’aveva
comprato al mercato degli animali
di Santiago e che voleva sistemarlo
all’ingresso del patio.
“Così”, ha proseguito, “potrà farti
compagnia quando sarò partito
definitivamente”.
Io ho subito ribattuto con una
scontatissima battutaccia sul perchè
proprio l’uccello e non un altro tipo di
animale e tutto si è concluso con una
sonora risata.
Poi la notte che Lilli è partito per
sempre e cioè il 10 febbraio, io ero
proprio lì, a Cuba, e non riuscivo
a dormire per il caldo, allora sono
uscito sul patio e ho guardato la
gabbia: era vuota, l’uccello era sparito
anche se era decisamente chiusa.
Non riuscivo a capacitarmi e sono
tornato a letto. Qualche ora dopo mi
ha svegliato la suoneria del cellulare
con questo messaggio: stanotte alle 2
è morto Leonardo Coiana.
Volevo piangere, ma non ci sono
riuscito, allora ho guardato di nuovo
la gabbia e, da solo e a voce alta ho
detto: va bene, Lilli, ancora una volta ti
ho capito senza bisogno che parlassi.
Che bella la libertà. EIA Lillè!
Quando andavano all’attacco il loro
urlo terrorizava i nemici. Ripreso dal
poeta Pascoli, venne saccheggiato
da D’Annunzio e poi dagli squadristi.
Ecco cosa scrive in merito il Corriere
della sera.
“Lo ha scoperto la storica della
letteratura Annamaria Andreoli,
dell’università della Basilicata.
Dall’esame dell’opera di Pascoli
e dai documenti degli archivi dei
due autori, emerge che una poesia
dei “Poemi conviviali” (1904) e
un’altra delle “Canzoni di re Enzo”
(1908) sono le fonti dello slogan
dannunziano. Il “Vate” pronunciò il
grido il 9 agosto 1917, nel campo
aviatorio della Comina, al ritorno
dal bombardamento di Pola: “eia
eia eia, alalà” venne suggerito per
sostituire il “barbarico” hip hip urrà.
Ma non si sapeva che D’Annunzio
lo usò accorpando due incitazioni
riprese dai poeti tragici greci
dal Pascoli, i cui testi annotava.
L’“eia eia eia” citato dall’autore di
“Myricae” era stato già plagiato dallo
scrittore abruzzese nel poema “La
nave” (1908). Plagio che Pascoli
aveva rilevato, come risulta da un
manoscritto inedito rintracciato
dalla Andreoli. D’Annunzio era uno
specialista nel malvezzo. Ma anche
altri oggigiorno...
Lilli Story
Momenti
indimenticabili
di una vita al
servizio del Cusi:
da sinistra con
Nebiolo e poi
col Presidente
Scalfaro. Sotto col
Ministro Zecchino
e all’Universiade
di Torino.
18