Abramo e Sara: una coppia in crisi.

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Abramo e Sara: una coppia in crisi.
Lectio divina mensile al Centro Giovanile Antonianum
1° incontro (14.10.2007)
Abramo e Sara: una coppia in crisi.
Sussidio n° 1 – Struttura dell’incontro
1. Il contesto storico di questi racconti: il tempo dell’esilio
2. Il contesto narrativo: le storie di peccato di Gen 3–11
3. Tre piste di riflessione:
a. Stranieri e pellegrini: il rapporto con la terra.
b. La sterilità e le dinamiche affettive tra Abramo e Sara
c. Fede e autosalvezza; fede e morale.
Sussidio n° 2 – Testi biblici (oltre ai brani della Gen da 11,27 a 23,30)
Is 51,1–2
1 Ascoltatemi, voi che siete in cerca di giustizia,
voi che cercate il Signore;
guardate alla roccia da cui siete stati tagliati,
alla cava da cui siete stati estratti.
2 Guardate ad Abramo vostro padre,
a Sara che vi ha partorito;
poiché io chiamai lui solo,
lo benedissi e lo moltiplicai.
Sap 10,5
5 Essa, quando le genti furono confuse,
concordi soltanto nella malvagità,
riconobbe il giusto
e lo conservò davanti a Dio senza macchia
e lo mantenne forte
nonostante la sua tenerezza per il figlio.
Sir 44,19–21
19 Abramo fu grande antenato di molti popoli,
nessuno ci fu simile a lui nella gloria.
20 Egli custodì la legge dell’Altissimo,
con lui entrò in alleanza.
Stabilì questa alleanza nella propria carne
e nella prova fu trovato fedele.
21 Per questo Dio gli promise con giuramento
di benedire i popoli nella sua discendenza,
di moltiplicarlo come la polvere della terra,
di innalzare la sua discendenza come gli astri
e di dar loro un’eredità da uno all’altro mare,
dal fiume fino all’estremità della terra.
1Cr 29,13–16
13 Ora, nostro Dio, ti ringraziamo e lodiamo il tuo nome glorioso. 14 E chi sono io e chi è il mio popolo, per
essere in grado di offrirti tutto questo spontaneamente? Ora tutto proviene da te; noi, dopo averlo ricevuto
dalla tua mano, te l’abbiamo ridato. 15 Noi siamo stranieri davanti a te e pellegrini come tutti i nostri padri.
Come un’ombra sono i nostri giorni sulla terra e non c’è speranza. 16 Signore nostro Dio, quanto noi
abbiamo preparato per costruire una casa al tuo santo nome proviene da te, è tutto tuo.
Eb 11,8–19
8 Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì
senza sapere dove andava. 9 Per fede soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando
sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. 10 Egli aspettava infatti la
città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso. 11 Per fede anche Sara, sebbene fuori
dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre perché ritenne fedele colui che glielo aveva promesso. 12
Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le
stelle del cielo e come la sabbia innumerevole che si trova lungo la spiaggia del mare. 13 Nella fede
morirono tutti costoro, pur non avendo conseguito i beni promessi, ma avendoli solo veduti e salutati di
lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sopra la terra. 14 Chi dice così, infatti, dimostra di essere
alla ricerca di una patria. 15 Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto possibilità di
ritornarvi; 16 ora invece essi aspirano a una migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non disdegna di
chiamarsi loro Dio: ha preparato infatti per loro una città. 17 Per fede Abramo, messo alla prova, offrì Isacco
e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unico figlio, 18 del quale era stato detto: In Isacco
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avrai una discendenza che porterà il tuo nome. 19 Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche
dai morti: per questo lo riebbe e fu come un simbolo.
Rom 4,1–25
1 Che diremo dunque di Abramo, nostro antenato secondo la carne? 2 Se infatti Abramo è stato giustificato
per le opere, certo ha di che gloriarsi, ma non davanti a Dio. 3 Ora, che cosa dice la Scrittura? Abramo ebbe
fede in Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia. 4 A chi lavora, il salario non viene calcolato come un
dono, ma come debito; 5 a chi invece non lavora, ma crede in colui che giustifica l’empio, la sua fede gli
viene accreditata come giustizia. 6 Così anche Davide proclama beato l’uomo a cui Dio accredita la giustizia
indipendentemente dalle opere:
7 Beati quelli le cui iniquità sono state perdonate
e i peccati sono stati ricoperti;
8 beato l’uomo al quale il Signore non mette in conto
il peccato!
9 Orbene, questa beatitudine riguarda chi è circonciso o anche chi non è circonciso? Noi diciamo infatti che
la fede fu accreditata ad Abramo come giustizia. 10 Come dunque gli fu accreditata? Quando era circonciso
o quando non lo era? Non certo dopo la circoncisione, ma prima. 11 Infatti egli ricevette il segno della
circoncisione quale sigillo della giustizia derivante dalla fede che aveva già ottenuta quando non era ancora
circonciso; questo perché fosse padre di tutti i non circoncisi che credono e perché anche a loro venisse
accreditata la giustizia 12 e fosse padre anche dei circoncisi, di quelli che non solo hanno la circoncisione,
ma camminano anche sulle orme della fede del nostro padre Abramo prima della sua circoncisione.
13 Non infatti in virtù della legge fu data ad Abramo o alla sua discendenza la promessa di diventare erede
del mondo, ma in virtù della giustizia che viene dalla fede; 14 poiché se diventassero eredi coloro che
provengono dalla legge, sarebbe resa vana la fede e nulla la promessa. 15 La legge infatti provoca l’ira; al
contrario, dove non c’è legge, non c’è nemmeno trasgressione. 16 Eredi quindi si diventa per la fede, perché
ciò sia per grazia e così la promessa sia sicura per tutta la discendenza, non soltanto per quella che deriva
dalla legge, ma anche per quella che deriva dalla fede di Abramo, il quale è padre di tutti noi. 17 Infatti sta
scritto: Ti ho costituito padre di molti popoli; (è nostro padre) davanti al Dio nel quale credette, che dá vita ai
morti e chiama all’esistenza le cose che ancora non esistono.
18 Egli ebbe fede sperando contro ogni speranza e così divenne padre di molti popoli, come gli era stato
detto: Così sarà la tua discendenza. 19 Egli non vacillò nella fede, pur vedendo già come morto il proprio
corpo - aveva circa cento anni - e morto il seno di Sara. 20 Per la promessa di Dio non esitò con incredulità,
ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio, 21 pienamente convinto che quanto egli aveva promesso era
anche capace di portarlo a compimento. 22 Ecco perché gli fu accreditato come giustizia.
23 E non soltanto per lui è stato scritto che gli fu accreditato come giustizia, 24 ma anche per noi, ai quali
sarà egualmente accreditato: a noi che crediamo in colui che ha risuscitato dai morti Gesù nostro Signore, 25
il quale è stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione.
Sussidio n° 3
(F.ROSSI de GASPERIS Prendi il libro e mangia, EDB, Bologna 1998, pp. 36-38)
«Alla TRILOGIA SUL PECCATO UMANO, visto in tutta la sua estensione e universalità attraverso la simbologia
dei tre peccati-tipo: contro Dio (Gen 3), contro l’altro essere umano (Gen 4,1-24) e contro la terra (Gen 11,19) — ciascuno dei quali inizia dalla violazione della giustizia di una delle tre relazioni di creazione, per
confluire poi tutti e tre nella catastrofe diluviale dell’umanità (Gen 5 – 9) —, il libro della Genesi fa seguire
una TRILOGIA DELLA REDENZIONE E LIBERAZIONE DIVINA, con LA STORIA DEI PATRIARCHI D’ISRAELE (Gen
9,10 - 50,26). Sarà questa la risposta definitiva di Dio all’inquinamento della creazione, e perciò LA SUA
SALVEZZA.
La creazione, che esiste oggi e in cui noi ci muoviamo, non è più semplicemente la creazione bella e buona
di Dio, intatta come essa era al mattino del mondo. Ogni mattina, certo, noi ci risvegliamo alla luce e
poggiamo i piedi su di una terra mantenuta ferma e asciutta dalla fedeltà incrollabile del creatore, ma nello
stesso tempo siamo variamente raggiunti dalle acque del diluvio e lordati dal fango delle sue conseguenze.
Senza essere condannati a ricominciare ogni giorno fino alla fine a ricadere sotto la monotonia del ciclo:
creazione-vita / peccato-morte, ogni giorno il Signore della storia ci dischiude davanti i sentieri, finalmente
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progressivi, anche se contorti, della SALVEZZA MEDIANTE LA FEDE, LA SPERANZA E LA CARITÀ. Su tali
sentieri noi impariamo di nuovo a re-interpretare la creazione secondo Dio nella giustizia e nella santità vera
(Ef 4,24), e a fare di nuovo la verità nella carità (Ef 4,15). Sono questi i sentieri tracciati e percorsi per noi da
Israele – il popolo-tipo della fede – lungo tutta la sua storia “canonica”, dal padre Abramo al Messia Gesù
(cf. Mt 1,1-17; Eb 1,1-4; 11,1 – 12,2; ecc.). Una storia “canonica” anche per noi, perché ci viene raccontata
dalle Scritture “canoniche” di Israele e delle chiese cristiane, e con esse ci è data da Dio come una norma (=
canone) di discernimento spirituale, morale, intellettuale, verbale... per camminare tra la vita e la morte, tra
ciò che promuove la salvezza della vita e ciò che la inquina fino a ucciderla, tra ciò che è veramente buono e
ciò che tale falsamente si presenta, tra la Parola e la chiacchiera, ecc. È questa la storia che comincia con
Abramo.
A questo punto la narrazione biblica, finora presentata come una “storia sapienziale–favola delle origini”, di
genere mitico, prende la forma di un “racconto storico particolare, esemplare e celebrativo” di un uomo e
della sua famiglia, la famiglia patriarcale originaria del popolo ebraico, popolo di Dio, depositario di
promesse e di alleanze (cf. Rm 9,4), e destinato a diventare benedizione per tutte le famiglie della terra (Gen
12,1-3). Una storicità che prelude alla storicità di Gesù, e che è documentata specialmente dalla sua
genealogia nel Vangelo secondo Matteo (Mt 1,1-17).
Appare qui, fin dagli inizi, un criterio tipico della redenzione escogitata dalla misteriosa sapienza divina, e
cioè la radicale sproporzione tra fine e mezzi nella politica di Dio. La risposta che Dio offre a una situazione
collettiva, che investe tutta l’umanità, non utilizza mass-media globali e comprensivi, ma è affidata a UN
UOMO SOLO, straniero e pellegrino. Attraverso di lui la divina benedizione salvifica raggiungerà tutti gli
uomini e tutta la terra, ai tempi e nei modi di Dio, e secondo il suo stile. Per entrare in qualche modo in
questa sapienza, dovremmo tener presente che la SOLIDARIETÀ tra gli esseri umani – sia nella creazione, sia
nel peccato e nella redenzione – è certo molto più reale e profonda di quanto una cultura individualistica e
illuministica ci permetta di immaginare. Nessuno di noi può pretendere di essere L’UOMO, ma solamente
tutti insieme, di tutti i tempi, lo siamo. Mistero della dimensione corporativa e inclusiva delle ELEZIONI DI
DIO: di Abramo, di Israele, di Maria,... di Gesù.
Questo antico “racconto di famiglia e di clan” comincia propriamente in Gen 11,10, con la menzione dei
progenitori di Abramo, figlio di Terach, fratello di Nacor e di Aran, della discendenza di Sem, figlio di Noè.
La storia biblica di Abramo e della sua discendenza ha inizio qui e termina con l’ultima pagina
dell’Apocalisse, ed è quella che viene chiamata storia della salvezza, perché costituisce la risposta di Dio alla
situazione, ormai permanente, di inquinamento della creazione; una situazione prodotta dalla ripetizione,
monotona e quasi fatale, dei peccati umani, e dal conseguente loro cumulo ed esito diluviale; un
inquinamento consistente nella progressiva e totale confusione dell’ordine morale, che finalmente ridonda
anche nell’ordine fisico del creato.
La storia genesiaca dei patriarchi, letta nel contesto dell’intera storia della Bibbia ebraica e cristiana, appare
come qualche cosa di più del “primo capitolo” di essa. Essa fa, piuttosto, l’impressione di una prima carta
topografica dell’insieme, dove solo pochi nomi appaiono già segnati, mentre le altre designazioni sono
ancora mancanti. L’impianto generale della grande catechesi biblica – su tutta la CORSA DELLA FEDE (Eb
12,1) – è, però, già tutto lì, delineato a grandi tratti. La risposta del Signore, che permette di discernere nel
mondo presente, inquinato e ambiguo, la bontà della prima creazione dalla malizia inquinante del peccato,
per promuovere la prima e far regredire la seconda con la strategia di una liberazione escogitata dalla
sapienza divina, è già completamente abbozzata nella storia di quattro generazioni nella famiglia di Abramo.
Essa concerne l’uomo nella sua struttura di creazione, verso l’alto (Dio), al suo fianco (l’altro essere umano),
in basso (la terra).
Parliamo di RISPOSTA DI DIO, e non, per esempio, di “soluzione del problema del male”. Dio, infatti, non è
un risolutore di problemi avvertiti da noi, né tutte le risposte rappresentano delle soluzioni, tali cioè che, una
volta data la risposta, il problema, ormai dissolto, non esista più. Un modo divino di “rispondere, senza
risolvere” ci insegna che ci sono forse cose più importanti delle nostre problematiche, e che probabilmente
dobbiamo cambiare il modo di proporcele.»
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Sussidio n° 4
(L’esperienza di Abramo e Sara in Genesi 11,27-18,15)
Mai come quell’anno i pascoli erano stati ricchi di un’erba che le nostre pecore e capre
divoravano beate! Io me ne andavo pigramente dietro a loro e mi godevo lo spettacolo: era una
gioia per i miei occhi il contrasto tra il verde dei prati e i colori di quelle bestie, mansuete e
affaccendate a fare il loro dovere quotidiano con una metodicità che mi sbalordiva.
Carràn era davvero un luogo ottimo, rispetto ai magri pascoli di Ur dei Caldei da cui
proveniva la mia gente. E si potevano vendere facilmente gli agnellini e i capretti perché quella
importante città era un crocevia di strade che non faceva certo languire il mercato. Alle prime
luci dell’alba, nei giorni fissati, gli allevatori di bestiame grande e minuto avevano la sola
preoccupazione di non farsi rubare le lucenti monete d’oro che avevano intascato: l’accanito
contrattare che aveva mescolato belati e voci umane in una sorta di vivace melodia, serviva più
a fare amicizia che a tirare sul prezzo. Tutti sapevano che quell’anno c’era abbondanza per
tutti.
Ormai si era a primavera avanzata, il sole caldo del mezzogiorno declinava nella frescura
serale e io non avevo nessuna fretta di chiudere la giornata: ma mentre quelli del mio clan
cominciavano a radunare le greggi per rientrare sotto le tende, una fitta acuta si fece sentire,
risvegliandomi bruscamente. Non era la prima volta che succedeva e a poco erano serviti gli
intrugli che mia moglie mi aveva preparato. La verità era molto semplice: stavo diventando
vecchio e mi ero affaticato troppo, correndo qua e là come un ragazzino.
Così rimasi indietro e dopo aver rassicurato il fidato Eliezer di Damasco, preso al mio
servizio da qualche anno, passo dopo passo mi incamminai anch’io. La sera avanzava ma non
sapevo distinguere se era quella della mia vita o solo quella di quel giorno: in breve fu notte,
fuori e dentro di me, con tante domande che mi facevano barcollare. Possibile che avessi
sbagliato tutto? Perché gli dei erano così avari di vita verso me e Sara? Cosa avrei dovuto
fare per non finire così miseramente una vita che peraltro era stata piena di tante belle cose?
Morire senza un figlio non rendeva forse vana tutta la mia fatica? A chi avrei lasciato il
patrimonio ormai considerevole che avevo messo insieme, ma soprattutto il bagaglio di
esperienza che mi aveva arricchito e levigato? Dunque era la morte ad avere l’ultima parola
nella mia vita? C’era ancora una speranza?
«Abramo non essere sciocco, quale speranza vuoi che ci sia per uno di settantacinque anni,
con tanto di moglie anziana e sterile? Tante volte hai sperato e altrettante sei stato smentito
dai fatti: arrenditi una buona volta! La maledizione ti ha colpito e di certo c’è un motivo. O
forse nemmeno quello, perché siamo tutti in balia del caso.»
Ma io ossessivamente tornavo a ridirmi le stesse cose e a rifarmi le stesse domande.
Al pensiero di incontrare Sara dopo poco, avevo una sorda rabbia dentro: ero senza futuro
per colpa sua! Eravamo una famiglia in crisi, inutile negarlo. E sotto sotto ci rodeva l’invidia,
quando incontravamo altra gente del clan, ricca di figli piccoli, che belavano allegramente
insieme agli agnellini, o di figli ormai grandi che si facevano vicini e attenti per imparare dal
padre e dalla madre i segreti della vita. Ci ripetevamo tante belle parole e idee, tratte dalla
nostra saggezza o dalla religione dei padri, come anche altri ce le ripetevano: ma le crisi non si
risolvono con i concetti, per quanto giusti siano. Nelle ideologie — e perfino nelle teologie —
tutto viene messo a posto in fretta, ma il cuore resta assetato di vita! A volte si discuteva
intorno al fuoco fino a tarda notte, con quelli del clan, e ognuno aveva la sua da dire.
Ma il risultato era sempre quello: non sapevamo dove sbattere la testa, io e Sara, scartati
dal gioco della vita, maledetti e impotenti. Il peggio però, in certi momenti, era la sensazione
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che tutte le famiglie della terra fossero nella nostra condizione, anche quelle sazie di figli e
nipoti fino alla terza e quarta generazione. Proiettavo la nostra impotenza su tutti o tutti
potevano specchiarsi in noi?
Eppure non ero certo rimasto a guardare: “Aiutati che dio ti aiuta” era anche il mio credo.
Ripensavo a quando Sara mi aveva proposto, secondo quella che era una consuetudine della
nostra gente, di unirmi ad Agar, la schiava: era nato un bel maschietto, ma insieme con lui
tanti di quei problemi che sotto la tenda non si viveva più per il continuo beccarsi delle donne.
Fui costretto dalle circostanze ad allontanare Agar ed Ismaele, con la morte nel cuore e la
certezza che quel nostro modo — che era sembrato così astuto — per salvare capra e cavoli,
in realtà aveva solo creato un ginepraio affettivo che lasciò tutti amareggiati.
Confesso che diverse volte avevo guardato ad Eliezer di Damasco come colui che poteva
ricevere la mia eredità: si era dimostrato affezionato come un figlio, sveglio e capace di
entrare in sintonia con me come nessun altro. Eppure c’era qualcosa che non andava: non in lui,
ma in me. Avvertivo, a volte in modo oscuro, a volte con chiarezza, che c’era un’altra
prospettiva; come una voce che mi dicesse: “No, non è questa la strada”.
Insomma per quanto io cercassi qualcosa che fosse nella linea del buon senso, ogni volta mi
trovavo allo stretto.
La notte intorno a me, intanto, era come se si fosse diradata: ancora una volta sentii quella
fitta e decisi di sdraiarmi un attimo sul prato. La volta celeste, trapuntata di stelle, mi piombò
addosso lasciandomi senza fiato: troppo bella per essere vera! Anche la bellezza ha una sua
violenza, un suo modo di forzarti, un irrompere che ti costringe ad uscire da te stesso: feci
una debole resistenza e poi mi lasciai andare.
Non era la prima volta e ritrovai sensazioni profonde, sopite ma non smarrite: bevvi a piene
mane da quel torrente fantasmagorico e semplice, accettando di essere un semplice bambino.
I tanti pensieri e le domande lancinanti persero di intensità, così come le tante ipotesi di
risposta. Cominciai finalmente a smettere di fare domande e darmi risposte. In quell’attesa,
una voce sgorgò nuovamente, da non so dove: “Guarda in cielo e conta le stelle, se ci riesci!”
Còlsi ancora una volta la mia presunzione, che mi aveva spinto a credere di sapere tutto e,
toccato nel vivo, protestai che davvero ogni uomo è come il fiore del campo. Ma — senza
umiliarmi — un’altro pensiero si aggiunse imperioso: “Tale sarà la tua discendenza. Da Sara
nascerà una discendenza e finalmente sperimenterai la benedizione: per te e per tutte le
famiglie della terra. Smettila di dire male di te, perché io ho detto bene di te e di tutti”.
Pian piano la notte riprese il suo vestito consueto e io mi ritrovai, come altre volte, a non
sapere se davvero mi ero inventato tutto o se c’era una voce sconosciuta, più dolce e potente
di tutte le altre, anche di tutti gli dèi dei nostri padri. Forse, come qualcuno insinuò più tardi,
era solo la proiezione dei miei desideri, ma io non potevo certo negare quanta vita era
sbocciata in me in quel momento.
Mi alzai e, rinvigorito, giunsi in fretta al nostro accampamento: Sara era là e alla luce del
fuoco ormai tenue, le ombre danzavano sul suo viso, a me così caro. La rabbia verso di lei era
scomparsa e provai una grande dolcezza: aveva patito tanto, insieme a me! Teneramente la
portai nella tenda e ancora una volta l’amore tra noi, condito di speranza avvinsero i nostri
corpi e i nostri cuori, vincendo su tutto.
Paolo Bizzeti sj
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