il transnazionalismo economico dei migranti

Transcript

il transnazionalismo economico dei migranti
WWW.SOCPOL.UNIMI.IT
Dipartimento di Studi Sociali e Politici
Università degli Studi di Milano
Working Paper 5/08
Un’altra globalizzazione:
il transnazionalismo economico
dei migranti
Maurizio Ambrosini
WWW.SOCPOL.UNIMI.IT
Dipartimento di Studi Sociali e Politici
Facoltà di Scienze Politiche,
via Conservatorio 7 - 20122
Milano - Italy
Tel.: 02 503 21201
02 503 21220
Fax: 02 503 21240
E-mail: [email protected]
Un’altra globalizzazione:
il transnazionalismo economico dei migranti1
di Maurizio Ambrosini, Università degli Studi di Milano
Negli studi sulle migrazioni internazionali degli ultimi quindici anni, un filone di letteratura si è
rivelato particolarmente fecondo, su entrambe le sponde dell’Atlantico, formando quasi una moda:
si tratta della prospettiva “transnazionale”, definibile, nei termini delle antropologhe che hanno per
prime proposto il concetto, come “il processo mediante il quale i migranti costruiscono campi
sociali che legano insieme il paese d’origine e quello di insediamento” (Glick Schiller e Al., 1992:
1): una prospettiva quindi che pone al centro i legami, gli spostamenti e le attività che connettono i
migranti con i luoghi d’origine e con altri terminali dei movimenti di persone e famiglie.
Il transnazionalismo economico è uno degli aspetti salienti di questo filone di studi. Al suo interno,
accanto all’imponente fenomeno delle rimesse e ad altri aspetti, come lo sviluppo di servizi di
connessione (telefonici, di trasporto, di consegna, ecc.), un posto di rilievo è occupato dalle
iniziative imprenditoriali promosse da immigrati che mobilitano i loro contatti attraverso le frontiere
alla ricerca di mercati, fornitori e capitali (Portes, Guarnizo e Landolt 1999). In questo senso, il
fenomeno è stato interpretato come una forma di “globalizzazione dal basso”, realizzata da persone
comuni in alternativa alla globalizzazione promossa dalle grandi istituzioni economiche, finanziarie
e politiche. Nello stesso tempo, si tratta di attività correlate con il più ampio fenomeno
dell’autoimpiego e dell’imprenditoria degli immigrati, e dunque interessanti per la sociologia dei
processi economici e per altre discipline.
Come vedremo, si tratta in realtà di un complesso di fenomeni sfaccettati, a volte alternativi, altre
volte variamente intrecciati con imprese e istituzioni sovraordinate.
1. Gli antecedenti: diaspore commerciali e middleman minorities
Occorre anzitutto tenere nel debito conto il fatto che non siamo in presenza di fenomeni totalmente
inediti nella storia economica e sociale. Fin dall’antichità, il commercio ha conosciuto dinamiche
transnazionali. Nel Medio Evo, il Mediterraneo pullulava di insediamenti commerciali e fondaci, tra
cui spiccavano quelli genovesi e veneziani, collegati regolarmente con le rispettive capitali, nei
limiti consentiti dai mezzi di allora.
1
Il paper presenta in forma provvisoria i primi risultati di una ricerca finanziata con fondi COFIN (2006)
1
In una prospettiva di lunga durata, l’analisi delle diaspore proposta Cohen (1997) tende a collegare
esperienze del passato e fenomeni contemporanei. Il caso specifico delle diaspore commerciali, tra
quelle da lui studiate, in cui rientrano i casi cinese e armeno, oltre a quello ebraico che funge da
archetipo, si avvicina e per certi aspetti si sovrappone alle manifestazioni del transnazionalismo
economico di cui intendiamo occuparci. Un passaggio chiave nell’analisi di Cohen consiste
nell’affermazione secondo cui le diaspore avrebbero un ruolo accresciuto nei processi di
globalizzazione, sul piano pratico, economico e affettivo, giacché si tratta di “forme particolarmente
adattive di organizzazione sociale” (ibid: xi): questo aspetto le trasferisce dal piano di suggestive
reliquie del passato a quello di attori di rilievo delle vicende contemporanee. Nell’ambito che qui ci
interessa, quello economico, “le diaspore consentono a piccole imprese e attività familiari di
adeguarsi ad una scala globale e di assumere un carattere più razionale, funzionale, produttivo e
progressivo. Una rete di mutua fiducia di proporzioni globali si edifica dal momento che capitale e
credito fluiscono liberamente tra familiari, parenti, compaesani, e anche membri coetnici più
lascamente associati” (ibid: 160).
Una coscienza diasporica, che consente di tenere un piede in due o più luoghi, è altamente
sintonizzata con gli spostamenti dei migranti qualificati, con i legami di rete e gli insediamenti
temporanei di famiglie e gruppi, diversi dall’insediamento permanente in una determinata
destinazione. Non solo: in vari casi, come quello cinese o vietnamita, le diaspore stanno diventando
protagoniste dello sviluppo economico della patria ancestrale. Nello stesso tempo, le connessioni tra
città globali avvantaggiano le diaspore: all’epoca della costruzione delle nazioni, il loro
cosmopolitismo era spesso uno svantaggio e una fonte di sospetto; ora invece, al tempo della
globalizzazione, le loro abilità linguistiche, la familiarità con altre culture, i contatti all’estero,
possono rendere i membri delle diaspore altamente competitivi sui mercati del lavoro, dei servizi e
dei capitali2
Cohen ricorda poi che le diaspore sono sempre state in una posizione ottimale per agire da ponte
fra il particolare e l’universale. Così, la combinazione di cosmopolitismo e collettivismo etnico
risulta un’importante componente di avventure imprenditoriali di successo. Questo peraltro non vale
allo stesso modo per tutte le collettività diasporiche. Riprendendo Kotkin (1992), Cohen sostiene
che le diaspore di successo posseggono tre requisiti: a) una vigorosa identità culturale; b) un
vantaggioso profilo occupazionale; c) una passione per la conoscenza (che le rende tra l’altro in
grado di produrre un numero elevato di scienziati, intellettuali e artisti). Ma anche senza conseguire
traguardi economici spettacolari, le diaspore solitamente si difendono dalle ristrutturazioni delle
2
Nuove diffidenze sono sorte però dopo la comparsa del terrorismo islamista in Occidente: alcune diaspore
imprenditoriali sono state nuovamente iscritte nell’elenco dei sospetti
2
economie globalizzate meglio della classe operaia locale, grazie alla maggiore eterogeneità della
loro composizione sociale, con la presenza di componenti istruite, di soggetti professionalmente
qualificati e di imprenditori impegnati in forme di capitalismo a base etnica.
L’analisi delle diaspore commerciali di Cohen presenta diversi punti in comune con la teoria delle
middleman minorities, formulata anni addietro da Bonacich (1973). Con questo termine si
identificano i gruppi
etnici che attraverso il mondo hanno storicamente ricoperto, e ancora
rivestono, il ruolo di minoranze di intermediari tra produttore e consumatore, proprietario
e
affittuario, élites e classi popolari. Secondo Bonacich, questi gruppi, per quanto diversi (dagli ebrei
agli armeni, dagli indiani in Sud-Africa ai cinesi in Thailandia o in Indonesia), condividono alcune
caratteristiche essenziali: sono migranti che non intendono insediarsi in maniera permanente e
mostrano un attaccamento inusuale ad una patria ancestrale; si concentrano in determinate
occupazioni, soprattutto commerciali, che non li vincolano per lunghi periodi alla terra di approdo,
privilegiando la liquidità del capitale; manifestano una tendenza alla parsimonia, un'enfasi sul
risparmio, una marcata compressione dei consumi, una diffusa pratica di lunghi orari di lavoro.
Proprio l'idea della migrazione come scelta temporanea favorisce poi un alto grado di solidarietà
interna, con la formazione di comunità molto organizzate e resistenti all'assimilazione: di qui la
chiusura all'esogamia, l'autosegregazione residenziale, il mantenimento di tratti culturali distintivi
(tra cui spesso una religione diversa da quella della maggioranza della popolazione).
La solidarietà interna svolge inoltre un ruolo molto importante sul versante economico, garantendo
un'efficiente distribuzione delle risorse (incluso il lavoro) e contribuendo a controllare la
competizione nell'ambito del gruppo. Ne risulta che l'impresa middleman è solitamente laborintensive, ma nello stesso tempo capace di tagliare drasticamente il costo del lavoro attraverso una
gestione paternalistica, spesso a base familiare, dei rapporti con i dipendenti, che spesso non
vengono retribuiti in termini contrattualmente corretti, ma agevolati in vario modo, sia a trovare una
sistemazione o un posto per i familiari, sia nelle carriere interne, sia nel fare il salto verso
un’attività indipendente.
Nella visione di Bonacich, questo assetto conduce ad un rapporto
conflittuale con imprese e lavoratori autoctoni, anche se le minoranze intermediarie svolgono una
funzione cruciale nella gestione dei rapporti socio-economici tra gruppi privilegiati (per esempio, i
proprietari terrieri) e classi subalterne. Ma in ogni caso il conflitto consolida e isola la middleman
community. Questo comportamento economico viene accostato al capitalismo pre-industriale
analizzato da Weber per contrasto con l'organizzazione capitalistica moderna e il suo rapporto
universalistico e contrattuale con il fattore lavoro: "il moderno capitalista industriale tratta i suoi
lavoratori imparzialmente come strumenti economici; è disposto a sfruttare il proprio figlio così
come uno straniero. Questo universalismo, l'isolamento di ciascun competitore, è assente
3
nell'attività economica middleman, in cui i legami primordiali di famiglia, regione, setta ed etnicità
uniscono le persone contro il sistema economico circostante, spesso improntato all'individualismo"
(ibid.: 589). Bonacich non analizza il versante transnazionale delle middleman minorities; ma il
legame con la patria ancestrale e l’autocoscienza diasporica ne fanno un prototipo dei fenomeni di
cui intendiamo occuparci e ne illustrano le implicazioni culturali.
2. Il contesto di sfondo: iniziative economiche degli immigrati e campi sociali transnazionali
Queste analisi hanno l’indubbio merito di porre in rilievo la consistenza storica e culturale
dell’azione economica di minoranze immigrate capaci di mantenere e alimentare legami sociali
attraverso i confini politici, per mezzo dei quali circolano capitali, merci, contatti commerciali,
conoscenze dei mercati, competenze imprenditoriali. Solidarietà, mutuo aiuto, chiusura sociale,
sono elementi che contribuiscono in maniera determinante a spiegare il successo economico,
fornendo alla sociologia economica spunti di indubbio interesse per le sue analisi.
Circoscrivere le iniziative economiche transnazionali dei migranti all’attivismo delle diaspore
commerciali e delle middleman minorities rischierebbe tuttavia di restringere eccessivamente il
fuoco dell’analisi, trascurando esperienze molto più diffuse e accessibili, meno connotate in termini
di autocoscienza minoritaria e più ispirate ad una volontà di promozione sociale, nonché di incontro
con le domande delle popolazioni immigrate, dei loro familiari rimasti in patria, delle stesse società
riceventi.
Dobbiamo quindi collegare il caso dell’azione economica transnazionale con il più ampio fenomeno
dell’espansione delle attività autonome promosse dagli immigrati (cfr., per il caso italiano, Chiesi e
Zucchetti, 2003).
Alcuni spunti derivanti dalla letteratura sull’imprenditoria etnica e l’autoimpiego degli immigrati
possono fornire elementi utili all’interpretazione del fenomeno:
-
Una molla importante per spiegare l’attrazione del lavoro autonomo per gli immigrati
rimanda all’ipotesi della mobilità bloccata: gli immigrati si mettono in proprio per cercare
un’alternativa alle scarse opportunità di valorizzazione del capitale umano che incontrano
nelle imprese convenzionali, gerarchicamente organizzate. Difficoltà di riconoscimento dei
titoli di studio, competenze linguistiche non abbastanza raffinate, scarsi agganci sociali,
processi discriminatori di vario genere, ostacolano severamente le carriere degli immigrati.
Di qui la spinta a cercare strade alternative di promozione sociale
4
-
Se difetta agli immigrati il capitale sociale di tipo generalistico, ad una parte di essi è
accessibile un capitale sociale specifico, rappresentato dai vincoli di conoscenza e
solidarietà con i connazionali: le “risorse etniche”, specialmente se si combinano con un
certo ammontare di risorse di classe (istruzione, capitali finanziari, provenienza da famiglie
già introdotte negli affari, contatti sociali) favoriscono l’intraprendenza, e differenziano
gruppi che sono riusciti a sviluppare una piccola borghesia di lavoratori autonomi da altri,
più invischiati nei ranghi inferiori del lavoro dipendente
-
Le popolazioni immigrate, una volta insediate, diventano a loro volta uno specifico
segmento nel mercato dei consumi, che sviluppa alcune domande peculiari, non soddisfatte
dal mercato, e suscettibili di attivare circuiti commerciali a sé stanti: alimentazione, consumi
culturali e intrattenimento forniscono gli esempi più noti. La mediazione di operatori
commerciali coetnici è spesso richiesta, e la relazione con i paesi d’origine per
l’approvvigionamento delle merci è un’attività spesso necessaria. Proprio in questo campo si
sviluppano forme diffuse di attività economiche con risvolti transnazionali.
Dagli studi sul transnazionalismo va posto in rilievo un aspetto. Parlare di processi migratori
transnazionali non significa parlare soltanto di fenomeni circolatori, in cui i protagonisti
effettivamente si spostano, hanno abitazioni, attività e magari cittadinanza politica in due (o più)
paesi diversi. E’ possibile essere coinvolti in attività e relazioni transnazionali anche senza muoversi
fisicamente. Il concetto di “campo sociale transnazionale” esprime questa più ampia concezione
delle modalità in cui si può articolare un dinamismo transnazionale. Le reti, attività e modelli di vita
dei migranti comprendono sia la società di provenienza, sia quella di approdo, e le loro esistenze
attraversano in vario modo i confini nazionali, portando entrambe le società all’interno di un unico
campo sociale (Glick Schiller, Basch e Szanton Blanc, 1992).
Levitt e Glick Schiller ( 2004) hanno in seguito introdotto una distinzione, nel concetto di “campo
sociale”, tra “modi di essere” e “modi di appartenere”. I primi si riferiscono alle effettive pratiche e
relazioni sociali in cui gli individui si impegnano. Contengono istituzioni, organizzazioni ed
esperienze di vario genere,
ma la partecipazione ad esse non comporta necessariamente
un’identificazione degli individui con le “etichette” culturali o politiche che vi si associano.
Per contro, i “modi di appartenere” si riferiscono a pratiche che segnalano o realizzano un’identità
che dimostra una consapevole connessione con un gruppo particolare. Si tratta di azioni concrete e
visibili, non solo simboliche, che marcano un’appartenenza, come portare al collo una croce o una
stella ebraica, sventolare una bandiera, adottare una particolare cucina: “I modi di appartenere
combinano azione e consapevolezza dell’identità che l’azione significa” (ibid.: 1010). Le persone
5
possono dunque impegnarsi in relazioni e pratiche sociali che travalicano i confini, e dunque esibire
un “modo di essere” transnazionale, senza riconoscerlo. Quando invece lo riconoscono e pongono
in luce gli elementi transnazionali della loro identità, esprimono un “modo di appartenere”
transnazionale. Potremmo chiosare: è possibile anche il contrario, ossia l’esibizione di appartenenze
a cui non sempre corrispondono modi di essere coerenti. In ogni caso, entrambe le modalità di
inserimento in campi sociali transnazionali richiedono un rapporto con un sistema di fornitori di
contatti, merci tipiche, prodotti culturali, simboli di identificazione, che consentono agli interessati
di sviluppare pratiche sociali che li collegano con luoghi situati al di là dei confini. Appare così un
nesso tra queste riflessioni sui processi di identificazione e la visione dei confini territoriali
proposta da Sassen (2008), in cui questi non sono soltanto linee che separano, ma anche spazi fluidi,
mobili, attraversati da molteplici transiti e connessioni.
Faist (2000) ha parlato a sua volta di “spazi sociali transnazionali”, distinguendone tre tipi: gruppi
di parentela, basati su legami di reciprocità, come quelli che regolano le rimesse; circuiti
transnazionali, che richiedono legami strumentali di scambio, come quelli che strutturano le reti
commerciali; comunità transnazionali, basate su legami di solidarietà che derivano da una
concezione condivisa dell’identità collettiva. Si può allora affermare che le migrazioni,
specialmente quando assumono caratteri transnazionali sono processi che rompono i confini e
fanno in modo che due o più Stati-nazione diventino parte di un unico nuovo spazio sociale, in cui,
insieme alle persone, circolano idee, simboli e cultura materiale. In relazione alla nostra ricerca, si
può osservare che ciascuno dei tre spazi individuati, e non solo il secondo in cui la dimensione
commerciale è esplicita, richiede attività specifiche di costruzione e alimentazione dei legami e
operatori in grado di fornire i servizi necessari.
Queste visioni allargate delle relazioni transnazionali comportano un problema evidente, quello di
definizione dei confini di ciò che si intende come transnazionale. Ogni forma di identificazione
“etnica” che rimanda ad un luogo d’origine può essere intesa come tale. Questo problema comporta
la necessità di distinguere, come vedremo in seguito, diverse manifestazioni e vari livelli di intensità
dei fenomeni transnazionali. Dobbiamo però preliminarmente cogliere il quadro d’insieme delle
attività economiche promosse dagli immigrati.
3. Il quadro complessivo: le dimensioni della partecipazione degli immigrati al lavoro
indipendente
Va ricordato che il fenomeno della partecipazione degli immigrati al lavoro indipendente sta
crescendo sensibilmente in Europa, secondo una linea di tendenza da tempo riscontrata in paesi
come gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia. Si può anzi rilevare che si tratta probabilmente della
6
maggiore novità emersa negli ultimi vent’anni nei rapporti tra lavoratori immigrati e sistemi
economici riceventi, e come tale ha riscosso un ampio interesse da parte di osservatori e studiosi,
dapprima in America, poi anche in Europa e in Italia.
La tab.1 illustra gli andamenti per diversi paesi europei, confrontando il 2004 con il 1999. Come si
può osservare, i dati indicano incrementi più o meno marcati per tutti i paesi considerati.
Nell’Europa settentrionale e centrale, l’incidenza degli immigrati (intendendo con questo termine le
persone nate all’estero) sul totale dei lavoratori indipendenti supera o si approssima al 10%,
toccando la punta massima in Svizzera con il 17,5%. In diversi casi, i lavoratori autonomi
rappresentano il 12-15% sul complesso dei lavoratori immigrati e hanno superato i livelli della
popolazione nativa quanto a incidenza degli indipendenti sul totale degli attivi (come nel Regno
Unito).
I paesi dell’Europa meridionale formano un caso a parte: contraddistinti da elevati tassi di lavoro
indipendente autoctono ed entrati solo di recente nel novero dei paesi riceventi delle migrazioni
internazionali, presentano un’incidenza percentuale ancora bassa degli immigrati fra i lavoratori
autonomi. Anche qui tuttavia il fenomeno è in crescita e raggiunge valori persino superiori a quelli
di paesi come Francia e Germania, se raffrontato con il numero di lavoratori immigrati, sebbene
vada tenuto nel debito conto il fatto che in questi paesi il tasso di lavoro autonomo oscilla tra il 20 e
il 30%.
Negli Stati Uniti, si può aggiungere, il tasso di lavoro autonomo tra i nati all’estero è del 9,7%, e
supera quello dei nativi del paese (9,3%), pur cresciuto negli ultimi dieci anni (Portes e Rumbaut,
2006, su dati del Censimento del 2000). Per gli immigrati di parecchie nazionalità, i valori sono
però più che doppi: 25,3% per i greci; 20,5% per i coreani; 20,3% per gli iraniani.
7
Tab.1. Immigrati (persone nate all’estero) occupati in attività indipendenti in alcuni paesi europei
(valori %, 1999-2004)
Paesi
Quota di immigrati sul complesso dei
lavoratori indipendenti
Quota di
indipendenti sul
totale dei
lavoratori
immigrati
Austria
1999
6.0
2004
9.2
2004
7.6
Belgio
10.0
12.4
15.2
Danimarca
5.2
8.4
9.7
Francia
10.4
11.2
10.4
Germania
9.2
10.3
9.2
Grecia
1.9
2.6
9.7
Irlanda
7.5
8.0
14.2
Norvegia
6.1
8.0
8.4
Paesi Bassi
7.2
8.7
9.8
Portogallo
2.8
3.8
13.8
Spagna
2.7
4.5
12.5
Svezia
9.9
13.7
11.2
Svizzera
n.d
17.5
10.3
Regno Unito
10.2
10.9
15
Fonte: Oecd, International migration outlook, Oecd publications, 2006.
Per il caso italiano, valgono considerazioni analoghe a quelle degli altri paesi dell’Europa
meridionale: il fenomeno cresce rapidamente, ha superato in valore assoluto, secondo i dati della
Camera di Commercio di Milano, le 320.000 imprese attive3 (considerando soltanto quelle
classificate come extracomunitarie, prima dell’ingresso nell’Unione di Romania e Bulgaria), ma
pesa ancora poco in termini percentuali sui quasi 8 milioni di imprese registrate in Italia. Non è
facile calcolare l’incidenza sui lavoratori immigrati, data l’incertezza sui valori complessivi, ma
siamo certamente già oltre il 10% (contro un 25-27% per i nazionali). Come per tutti i fenomeni
socio-economici italiani, bisogna però tener conto delle differenze territoriali: in Lombardia, la
quota delle imprese con titolare nato fuori dall’Unione europea è del 4,8% e in provincia di Milano
3
Questi dati risentono di un certo sovradimensionamento, giacché si basano sul luogo di nascita del titolare: in un certo
numero di casi, si tratta di cittadini italiani nati all’estero. Reduplicazioni (quando una persona risulta titolare di più
attività) e mancate cancellazioni di imprese cessate contribuiscono a rigonfiare il dato.
8
raggiunge il 5,6%. Sulle ditte individuali (19.839 in valore assoluto quelle con titolare classificato
come “immigrato”) il dato milanese sale al 12,5%.
Tav. 2: Quadro riassuntivo imprese attive registrate in Italia, III Trimestre 2006.
Italia
Imprese
88.942
Comunitarie
327.887
Extracomunitarie
7.454.481
Italiane
71.052
N.c.
7.942.362
Totale
Valori %
1,1
Comunitarie
4,1
Extracomunitarie
93,9
Italiane
0,9
N.c.
Totale
100,0
Fonte: Elaborazioni su dati Camera di Commercio di Milano,, III Trimestre 2006.
4. I significati: le forme degli scambi transnazionali
Il problema che si pone a questo punto consiste nel comprendere quando e a quali condizioni queste
imprese possano essere classificate come “transnazionali”. Nel caso americano, le ricerche di
Portes e Al. (2002) hanno consentito di precisare che lo sviluppo di attività economiche
transnazionali, benché minoritario e diversificato a seconda dei gruppi nazionali, rappresenta un
percorso specifico di adattamento economico da parte dei migranti: per colombiani, dominicani e
salvadoregni residenti negli USA si tratta del 5% della popolazione, anche se quasi il 60% degli
imprenditori appartenenti a questi gruppi è impegnato in qualche forma di transnazionalismo
economico. Saxenian (2002) ha invece studiato in una prospettiva transnazionale il fenomeno del
ritorno dei cervelli dagli Stati Uniti verso paesi come India, Cina, Taiwan, ponendo l’accento sulla
disseminazione di cultura tecnologica e
imprenditoriale e sulla circolazione di queste élite
professionali, cosicché si assisterebbe ad un passaggio dal “brain drain” alla “brain circulation”.
Nella letteratura che ha cercato di approfondire i contenuti delle attività transnazionali, è possibile
dunque cogliere la compresenza di registri diversi. Il transnazionalismo delle iniziative economiche
dei migranti può essere inteso in senso stretto, allorquando l’imprenditore (anche se il termine è
spesso enfatico, trattandosi in molti casi di semplici lavoratori autonomi o addirittura di operatori
informali) viaggia effettivamente avanti e indietro, tra le due sponde del movimento migratorio, e
9
basa la propria attività su questo lavoro di collegamento e interscambio tra luoghi e società diverse.
In altri casi invece sono le merci a viaggiare, e il transnazionalismo consiste nel rifornire le
minoranze immigrate o le stesse popolazioni autoctone di prodotti che provengono dai luoghi
d’origine o li richiamano simbolicamente. In altri casi ancora è transnazionale il servizio che le
imprese rendono, senza richiedere trasferimenti degli operatori: le imprese sono transnazionali in
quanto consentono agli immigrati di poter mantenere e alimentare i legami transnazionali, ossia i
vincoli che le legano a familiari e parenti rimasti in patria.
Landolt, Autler e Baires (1999), per esempio, con riferimento al caso salvadoregno, distinguono
imprese circolatorie (i corrieri, perlopiù informali); imprese culturali (quelle che importano e
rivendono giornali, film, musica, ma anche cibi e bevande dei paesi di provenienza); imprese
etniche (situate nei quartieri ad alta concentrazione di immigrati di una determinata origine, che
impiegano solo connazionali, ma si rivolgono ad una più ampia clientela di immigrati e minoranze
etniche); micro-imprese dei migranti di ritorno (ristoranti, taxi, commercio di automobili, che però
difficilmente diventano profittevoli); imprese transnazionali in espansione (gruppi di supermercati,
o imprese del settore alimentare che concepiscono il mercato degli emigranti come parte del loro
mercato “naturale” basato nei paesi d’origine).
Un’altra classificazione, riferita alle attività economiche richieste e sviluppate dalle comunità
transnazionali, è stata proposta da Orozco e Al. (2005) e sintetizzata sotto l’insegna delle 5 T: a)
trasporti, rappresentati dal crescente traffico aereo tra i paesi di origine e quelli di destinazione; b)
turismo, alimentato dall’ingente fenomeno dei viaggi di ritorno degli emigranti in occasione delle
vacanze annuali e di altre festività, che alimenta la richiesta di una gamma di servizi e di attività
immobiliari; c) telecomunicazioni, in cui la voce principale è costruita dal traffico telefonico e dai
servizi collegati; d) trade (e più precisamente quello che gli autori definiscono “nostalgic trade”:
l’import/export di beni dai paesi di origine da e per gli emigrati, come cibi, abiti, prodotti
artigianali; e) trasferimento di rimesse, che rappresenta per molti paesi una tra le prime voci tra le
partite attive della bilancia dei pagamenti, e talvolta la prima in assoluto.
Guarnizo (2003) propone invece una tipologia molto articolata delle relazioni economiche tra Nord
e Sud (intesi come poli simbolici dei movimenti migratori), in cui rientrano i trasferimenti monetari
e non monetari, il consumo di prodotti nazionali, le telecomunicazioni, i media, le agenzie di viaggi
e altro ancora. Va notato che alcune di queste transazioni, classificate come transnazionali, si
situano interamente al polo settentrionale dello schema (transazioni Nord-Nord).
Occorre dunque approfondire le forme e i gradi di coinvolgimento in dinamiche transnazionali di
queste attività economiche e dei loro promotori. Notiamo anzitutto che è preferibile parlare di
10
operatori impegnati in scambi transnazionali, anziché di operatori economici transnazionali, giacché
le due categorie non coincidono, e la seconda può essere ricompresa nella prima.
Possiamo individuare in primo luogo allora quelle attività che comportano uno spostamento fisico
frequente attraverso i confini, con viaggi ripetuti tra madrepatria e luoghi di insediamento. Si può
parlare in questo caso di transnazionalismo circolatorio, esemplificato in modo particolare dalle
figure dei corrieri che, formalmente o informalmente collegano i migranti con familiari e parenti
lasciati in patria. I casi limite, citati volentieri dalla letteratura sul transnazionalismo, sono quelli
degli immigrati che partecipano a due diversi campi sociali, viaggiando avanti e indietro tra i due
poli del movimento migratorio. Le loro imprese servono soprattutto i bisogni di famiglie e
comunità separate dall’emigrazione, che lottano per rimanere legate attraverso lo scambio di doni e
l’invio di rimesse (Burton e Gammage, 2004):
I beni, le lettere, le foto e il cibo che vengono scambiati sono cruciali per persone i cui movimenti sono
ristretti, che possono non essere legalmente residenti negli Stati Uniti, o che possono non disporre delle
risorse per ritornare temporaneamente in patria. Di frequente, il cibo è preparato da mogli, madri e sorelle
per un congiunto che non hanno visto da anni. Il dono mandato da casa è di gran lunga più carico di
significato che il cibo in se stesso, perché può comportare che i membri della famiglia stanno aspettando il
migrante a casa, conservano i ricordi del tempo vissuto insieme, e prendono parte ad un atto che è sia
affettivo sia appagante. Cucinare per un marito assente che non si è visto da anni diventa un rituale che viene
attentamente e metodicamente seguito (…). L’inviare dei beni non solo realizza un vitale ruolo connettivo,
ma può anche assicurare che i membri della famiglia trasferiti al Nord rimangano impegnati a inviare
rimesse al Sud, garantendo che lo scambio continui mediante la sottolineatura della sua reciprocità (ibid., 16)
Una seconda forma di transnazionalismo imprenditoriale consiste nelle attività economiche che non
implicano uno spostamento fisico degli operatori, ma fanno viaggiare denaro o messaggi
comunicativi. Si può parlare in questo caso di transnazionalismo connettivo E’ transnazionale il
servizio che rendono, dissociato dalla mobilità geografica degli attori. Anch’esse rispondono alle
esigenze degli immigrati che desiderano mantenere i collegamenti con quanti sono rimasti nei
luoghi d’origine: consentono di mantenere i legami transnazionali, di dare un senso alla bifocalità
delle appartenenze, di rendersi presenti malgrado le distanze. Forniscono gli strumenti di cui si
serve il “migrante connesso”, attore di una “cultura del legame” e protagonista di una “installazione
relazionale nella mobilità”, di cui parla Diminescu (2005). La compressione spazio-temporale
tipica della globalizzazione per i migranti passa in gran parte attraverso i loro servizi. Nei termini
di Sassen, sono protagoniste delle “transazioni digitali che cominciano a costituire uno spazio
elettronico transfrontaliero” (2008: 4). Insieme alle imprese del primo tipo, contribuiscono a
trasmettere e far circolare quelle che Levitt (2001) definisce “rimesse sociali”, ossia idee, pratiche
11
sociali, riferimenti identitari che fluiscono da e verso i luoghi di provenienza dei migranti. In modo
particolare, questa forma di scambio, oltre a migliorare le condizioni di vita dei familiari rimasti in
patria, contribuisce a diffondere nuovi modelli e pratiche di consumo, influenzati dalle società
riceventi.
In terzo luogo, l’attività economica transnazionale può passare attraverso le merci comprate e
vendute. Siamo allora in presenza di un transnazionalismo mercantile. Di nuovo, non è strettamente
necessario uno spostamento fisico degli operatori per dare forma a questi commerci, mentre quasi
sempre, affinché la dimensione culturale dello scambio acquisti autenticità, è richiesto
che
l’operatore provenga dai luoghi da cui importa le merci. I legami transnazionali consentono di
realizzare in modo efficiente e vantaggioso le transazioni. Si tratta di prodotti richiesti da immigrati
per sentirsi meno lontani da casa, per riprodurre sapori, profumi, usanze dei luoghi di origine: è il
“nostalgic trade” evocato da Orozco e colleghi (2005). Un’articolazione di questa categoria può
essere individuata nelle imprese “culturali” di cui parlano Landolt, Autler e Baires (1999),
specializzate come abbiamo accennato nella vendita di giornali, libri, film, musica dei paesi di
provenienza4.
Alcuni di questi prodotti, specialmente nel settore dell’alimentazione, sono richiesti anche da
consumatori autoctoni, incuriositi dall’inusuale, desiderosi di trovare sotto casa suggestioni
d’altrove. Il trasnazionalismo commerciale si incontra così con i gusti di “una clientela in cerca di
esotismo, che attraverso l’atto del consumo di un tè alla menta e di un piatto di tajine, si appropria
in qualche modo dell’Altro. L’Altro è qui, dunque, il commerciante marocchino che recita nella
relazione il suo ruolo esotico, attraverso gesti, parole e stile di vendita, molto più enfatizzati e
messi in scena di quando tratta con i suoi compatrioti” (Semi, 2002: 357-8)
Un corrispettivo è rappresentato invece da quelle imprese che nei luoghi d’origine importano e
rivendono merci provenienti dai paesi d’immigrazione, oppure rispondono alle domande degli
emigranti, approvvigionandoli di cibi, liquori, erbe medicinali e altre merci irreperibili, o meno
“autentiche” nei luoghi d’insediamento (per il caso ecuadoriano: Vertovec, 2004).
Possiamo infine individuare un transnazionalismo simbolico, che non importa merci, o lo fa
soltanto in modo accessorio, al fine di
ricostruire atmosfere, ambienti, significati. Offre un
repertorio di consumi culturali e di rappresentazioni di identità nazionali, etniche, religiose. Forma e
anima luoghi di incontro e di aggregazione, specialmente nel settore del loisir (per es.: locali e
scuole di ballo latino-americano; centri di meditazione yoga; bagni turchi, ecc.), prestandosi anche
all’ibridazione e all’imitazione. In tal modo, gli scambi transnazionali si incontrano con le domande
4
A questi prodotti le autrici aggiungono, come si è visto, cibi e bevande, rendendo evidente la difficoltà di distinguere
merci che hanno un esplicito contenuto culturale da altre che lo trasmettono in senso più lato.
12
dei consumatori post-moderni, contribuendo a forgiare nuove pratiche sociali, nuove modalità di
identificazione e nuovi sincretismi culturali.
Tab.3. Tipologia delle forme di scambi economici transnazionali
Transnazionalismo Transnazionalismo Transnazionalismo Transnazionalismo
circolatorio
connettivo
mercantile
simbolico
Oggetto del Operatore
con Denaro, messaggi Prodotti “etnici” ( Suggestioni
trasferimento doni,
messaggi, comunicativi
a volte prodotti del culturali
transnazionale passeggeri
Nord verso il Sud)
trasportati
Clienti
Immigrati
(famiglie
transnazionali)
Immigrati
(famiglie
transnazionali)
Immigrati
e
consumatori
autoctoni attratti
dall’esotico
Immigrati
e
consumatori
autoctoni attratti
dall’esotico
Ricadute
Mantenimento dei
legami, diffusione
di
modelli
di
consumo
delle
società riceventi
Mantenimento dei
legami,
miglioramento
condizioni di vita
dei
familiari,
nuovi consumi
Incremento
dell’import/
export,
mantenimento di
identità culturali,
nuove forme di
consumo
nelle
società riceventi
Ibridazioni
e
contaminazioni
culturali;
formazione
di
nuove identità e
figure
professionali
Esempi
Corrieri
trasportatori
e Money
transfer, Negozi di prodotti Attività del settore
phone center
etnici
del loisir
La tipologia proposta disegna inoltre una sorta di scala di intensità del coinvolgimento in attività e
legami transnazionali: tocca i livelli più alti nel transnazionalismo circolatorio, che implica come
abbiamo visto spostamento fisico attraverso le frontiere; decresce poi verso forme intermedie,
quelle del transnazionalismo connettivo che lega a distanza famiglie e comunità separate dai
confini, e infine si presenta in forme più deboli, in cui il transnazionalismo si esplica a livello
culturale, di significati incorporati nelle merci vendute, o meramente simbolico, evocativo di altri
luoghi e paesaggi mentali (cfr. in proposito Castagnone, 2006).
5. Primi risultati di una ricerca empirica: i corrieri sulle rotte dell’Est
Nella tipologia proposta, il caso più evidente e incontestabile di attività economica che attraversa le
frontiere, ponendo in collegamento contesti di partenza e di arrivo dei migranti è quello del
transnazionalismo circolatorio, la cui espressione più nota e studiata è rappresentata dai viajeros o
13
corrieri sulle rotte tra Nord e Centro-Sud del continente americano, nonché dai loro omologhi
mediterranei o di altre tratte internazionali (per es. tra Ovest ed Est dell’Europa). Nel caso dei
salvadoregni studiati da Mahler (2003), decine di persone, donne e uomini, dotati di uno status
legale per il permesso e il soggiorno negli Stati Uniti, fanno la spola tra Long Island e la zona
orientale di El Salvador, trasportando lettere, rimesse in denaro, pacchi-dono, e ritornando indietro
con formaggi e altri prodotti tipici da vendere, insieme ad un flusso di ritorno di missive. Guarnizo
(2007) cita a sua volta il caso dei corrieri che connettono Santo Domingo con New York e
Providence, rifornendo tra l’altro il commercio di prodotti tipici, musica e stampa dominicana.
Resoconti di questo genere potrebbero essere replicati svariate volte su tutte le rotte consolidate
delle migrazioni internazionali.
Nella nostra ricerca sugli immigrati impegnati in attività economiche transnazionali, abbiamo
dedicato un approfondimento specifico al caso dei corrieri che da Milano-Cascina Gobba fanno la
spola con alcuni dei principali paesi di provenienza degli immigrati giunti negli ultimi anni
dall’Europa Orientale: Romania, Ucraina, Moldavia5. Ne riprendiamo qui i principali risultati.
Un primo dato riguarda le ragioni sociali che hanno dato vita al fiorente mercato dei corrieri
terrestri sulle rotte dell’Est. Queste hanno a che fare in larga misura con il fenomeno delle famiglie
transnazionali: famiglie i cui componenti vivono separati dai confini nazionali, ma continuano a
mantenere legami affettivi, sentimenti di appartenenza reciproca, responsabilità di accudimento
verso i congiunti dipendenti (figli in primo luogo, ma anche anziani e fratelli minori). Quando sono
le madri a partire, l’esercizio della “maternità a distanza”, con la sofferenza che ne deriva (Parreñas,
2001) accentua l’obbligo morale a far sentire la propria presenza accanto ai figli mediante l’invio di
rimesse in denaro, lettere, doni di varia natura, oltre ai contatti telefonici o via internet. I doni
simbolizzano l’assente, ne testimoniano la sollecitudine, comunicano l’attenzione che ha dedicato
alla ricerca di quell’oggetto per quella persona specifica. Assumono inoltre vari altri significati: di
approvvigionamento di cibo, medicine e altri beni essenziali per la vita dei familiari; funzionale,
quando si tratta di beni utili ma difficilmente reperibili, costosi o di scarsa qualità nei luoghi
d’origine (biciclette, mobili, macchine per cucire, ecc.); di ostentazione di benessere, attraverso
l’invio e la possibilità di disporre di prodotti costosi (telefonini di ultima generazione, abiti, scarpe,
complementi d’abbigliamento griffati, tute sportive di marca, ecc).
I corrieri consentono di far giungere rimesse e doni a destinazione, nelle mani dei beneficiari, in
modo rapido, efficiente, poco costoso.
5
Lo studio del caso è stato condotto da Luca Furlato. La ricerca è consistita in un’attività prolungata di osservazione
partecipante presso la stazione di Cascina Gobba, luogo di partenza e di arrivo dei pulmini che servono le rotte dell’Est;
in interviste a diversi operatori del settore; in un viaggio di andata e ritorno su un pulmino diretto verso l’Ucraina. Si
tratta a mia conoscenza della prima ricerca italiana in materia
14
Svolgono pertanto una vitale funzione di collegamento, mettendo in contatto gli emigranti con le
famiglie rimaste in patria. I loro servizi sono di gran lunga più convenienti e anche accessibili di
quelli delle poste o delle agenzie multinazionali di recapito, per ragioni linguistiche, di orari, di
comodità; e sono almeno altrettanto veloci e affidabili. Dal punto di vista economico, rispondono
in maniera decisamente competitiva ad una domanda diffusa. Nello stesso tempo, trasportano avanti
e indietro persone che lavorano o cercano lavoro in Italia, nonché i loro congiunti in visita. Pure in
questo caso, le loro tariffe battono quelle dei vettori ufficiali, aerei e terrestri, anche perché
assicurano il trasporto fino ai luoghi di destinazione.
La relativa vicinanza, l’economicità dei trasporti e la stessa integrazione nell’Unione europea di
diversi paesi dell’Europa Orientale, tra i quali la Romania rappresenta il caso più rilevante,
favoriscono la formazione di famiglie transnazionali, e la persistenza di una condizione di
separazione. Si tratta però anche di famiglie che non lasciano passare anni senza rincontrarsi,
almeno quando i membri emigrati riescono ad ottenere un regolare permesso di soggiorno. Anche
da questo punto di vista, l’integrazione nell’Unione europea agevola i contatti (Banfi e Boccagni,
2007). In questo complesso sistema di collegamenti e incontri personali, i corrieri svolgono funzioni
pressoché insostituibili.
Va poi aggiunto che la formazione di un centro di snodo, da cui arrivano e partono i corrieri verso
l’Europa Orientale, ha favorito la formazione di un mercato settimanale a carattere “etnico”, in cui è
possibile acquistare cibi e bevande dei paesi d’origine, e dove convergono i migranti dell’Est.
Cascina Gobba è tutt’altro che un non-luogo, o un’anonima stazione di imbarco, bensì un centro
pulsante delle interazioni e degli scambi tra gli immigrati
Un altro aspetto tutt’altro che trascurabile riguarda il mercato meno visibile, ma ben più cospicuo,
dei fornitori italiani dei beni comprati e spediti a casa dagli immigrati (e soprattutto dalle
immigrate) che si servono dei corrieri: dalle biciclette, alle scarpe, agli abiti più o meno griffati, ai
telefoni cellulari, ai prodotti alimentari, le famiglie transnazionali sono acquirenti quasi obbligate di
una miriade di prodotti che, se non sono tutti made in Italy, sono certamente sold in Italy, e sono
ricercati in genere proprio per il loro alone di “italianità”, ossia di benessere, di qualità della vita, di
modernità, in definitiva di ricchezza. Forse questo giro d’affari, a tutto vantaggio dell’economia
italiana, contribuisce a spiegare lo scarso controllo delle istituzioni nei confronti delle tante Cascina
Gobba che punteggiano le nostre città, e delle centinaia di corrieri che vi fanno capo.
Peculiare dello status dei corrieri è una condizione sociale intermedia e indefinita, tra quella del
migrante e quella del semplice trasportatore in trasferta. Di certo essi appaiono i soggetti che più si
avvicinano alla figura fluida e inafferrabile del transmigrante, posta in luce dai primi studi sul
transnazionalismo. Possono essere infatti, indifferentemente, immigrati dotati di regolari permessi
15
di soggiorno, oppure cittadini stranieri che mantengono la residenza nei luoghi di origine. Alcuni
hanno casa e famiglia in Italia, altri punti d’appoggio provvisori e familiari in patria. Tutti hanno nel
viaggio, nel mezzo che guidano, nelle stazioni di interscambio che frequentano, l’effettivo
baricentro della loro condizione occupazionale e per certi aspetti esistenziale.
A differenza dei viajeros latinoamericani, o dei protagonisti dell’ “economia di bazar” studiati da
Peraldi (2002), i corrieri sulle rotte dell’Est non sono contraddistinti dall’informalità, dalla modestia
dei mezzi e da un dinamismo interstiziale, ai margini della regolamentazione normativa. Si possono
distinguere invece diversi livelli di formalizzazione, dotazione tecnologica e strutturazione
dell’attività, che nella nostra ricerca si identificano con i gruppi nazionali che fanno capo a Cascina
Gobba: i rumeni sono i più organizzati, dispongono di mezzi di trasporto più moderni e mettono in
campo servizi di trasporto formali, basati in Romania, con insegne esposte,
autisti salariati,
scontrini e biglietti di viaggio, tabelle con i prezzi e così via. I moldavi, ultimi arrivati, sono invece
collocati al livello più basso della scala della formalizzazione: operano con mezzi antiquati, senza
strutture aziendali complesse, non espongono insegne, né distribuiscono documentazione fiscale.
Gli ucraini si collocano ad un livello intermedio, per qualità del parco automezzi, formalizzazione
delle transazioni, strutturazione imprenditoriale. Il settore dei corrieri terrestri si rivela dunque
composito, diversificato, non riducibile ad un coacervo di transazioni informali e deregolamentate.
La seguente tabella propone una tipologia delle imprese del transnazionalismo circolatorio rilevate a
Cascina Gobba, che intende rendere in forma sintetica la complessa stratificazione di forme diverse
di strutturazione organizzativa e formalizzazione giuridico-fiscale delle attività dei corrieri.
Tabella 4: Tipologia delle imprese del transnazionalismo circolatorio a Cascina Gobba (livello di
formalizzazione / organizzazione interna)
Strutturati + +
Semplici - -
formali
++
A. Strutturati e formalizzati
ditte, aziende con base in patria,
con dipendenti regolarmente
assunti, molti pulmini e più
destinazioni
B. Semplici e formalizzati
attività individuali, con
collaboratori non subordinati ma
associati con cui si dividono costi e
guadagni
informali
--
Livello di formalizzazione
Rapporti interni all’attività
C. Strutturati e informali
Impiego di individui connazionali
come dipendenti senza però
stipulare alcun contratto
D. Semplici e informali
Impiego di collaboratori
soprattutto all’interno dell’ambito
familiare (lavoro non retribuito)
16
6. Concludendo: le formiche della globalizzazione
Mancano ancora, a completare la ricerca, i risultati relativi alle forme di transnazionalismo
mercantile e simbolico studiate a Milano e a Genova. Possiamo però trarre dal lavoro fin qui svolto
alcuni primi spunti di riflessione.
In primo luogo, il fenomeno degli attori economici che connettono campi sociali transnazionali si
rivela una finestra privilegiata per osservare un mondo in movimento, in cui i confini nazionali si
sono irrigiditi per alcuni, ma ammorbiditi per altri, e in molti modi sono attraversati, aggirati e
anche trasgrediti; un mondo in cui la tendenza alla compressione spazio-temporale passa attraverso
il lavoro e l’intraprendenza di migliaia di quelle che potremmo definire “formiche della
globalizzazione”; un mondo in cui l’ormai canonica dicotomia tra la super-mobilità dei privilegiati
e il forzato radicamento dei più poveri è lungi dal rappresentare efficacemente una realtà sociale in
cui la mobilità è ben più diffusa e trasversale (cfr. Ambrosini, 2008).
In questo mondo in movimento, ed è la seconda osservazione, la mobilità è entrata in vari modi
nell’esperienza quotidiana di milioni di persone: mobilità occupazionale, geografica, identitaria. I
migranti rappresentano la manifestazione più visibile e controversa dell’accresciuta fluidità dei
modi di lavoro e di vita. Gli operatori economici impegnati in scambi transnazionali, specialmente
nel caso del transnazionalismo circolatorio, possono essere visti come protagonisti di una forma
ancora più spinta di passaggio attraverso i confini e di connessione tra luoghi diversi: una sorta di
mobilità alla terza potenza, in cui il viaggio di andata e ritorno tra vecchi e nuovi ambienti di vita
diventa l’essenza stessa dell’attività e per certi aspetti dell’esistenza stessa.
Un terzo spunto di riflessione rimanda al soggetto che mette in moto gran parte dei viaggi, degli
scambi e delle relazioni che attraversano le frontiere: ci riferiamo alle famiglie transnazionali che si
sforzano di tenere insieme campi sociali che comprendono chi è partito e chi è rimasto in patria. Se
come ritiene Parreñas (2001), si tratta di “una struttura familiare postindustriale con valori
preindustriali”, dobbiamo riconoscere che lo sconvolgimento di pratiche di accudimento
sedimentate nei secoli non fiacca la volontà degli attori coinvolti, in modo particolare le madri
separate dai figli, di cercare di salvaguardare legami affettivi e ruoli parentali. Il loro strenuo
attaccamento ai figli, e la necessità di esprimerlo a distanza, è il motore di gran parte degli scambi
economici transnazionali. Per altri aspetti, la volontà di ritrovare qualche riflesso dell’atmosfera di
casa alimenta il mercato dei consumi “etnici” e il transnazionalismo mercantile e simbolico.
Va notato inoltre che, attraverso le connessioni transnazionali, le reti sociali si ramificano, si
estendono e si sviluppano attraverso modalità di comunicazione diverse, che spaziano dai rapporti
faccia a faccia, all’uso del telefono fisso e mobile, all’invio di doni e rimesse, alle visite reciproche,
17
fino ai primi segni del ricorso a nuove tecnologie della comunicazione, come la webcam. Tutto
questo però ha bisogno in vario modo di strutture formali e operatori in grado di fornirle. Come
abbiamo visto, i legami transnazionali e i servizi che li assicurano non sono il regno dell’informalità
e dell’improvvisazione, bensì un complesso sempre più articolato di attività economiche che
presentano vari gradi di formalizzazione. Riprendendo Guarnizo, si può affermare che
“l’imprenditoria transnazionale non è un’attività effimera intrapresa da migranti individuali isolati e
inclini al rischio, ma piuttosto un tentativo durevole, incorporato in campi sociali di solidarietà,
reciprocità e obbligazione che scavalcano i confini nazionali” (2003: 677).
Questa osservazione
conduce alla considerazione finale. Il fenomeno delle migrazioni
transnazionali è oggetto di un dibattito che ne ha dilatato i confini e confuso il significato. Si
avverte la necessità di disaggregare le sue manifestazioni e testare empiricamente i concetti
utilizzati. Credo che lo studio di un’espressione emblematica delle migrazioni transnazionali, come
quella delle iniziative economiche che attivano scambi transnazionali possa rappresentare un
efficace banco di prova per verificare il valore dell’apporto di questo filone di studi.
Bibliografia
Ambrosini, M.
2008 Un’altra globalizzazione. La sfida delle migrazioni transnazionali, Bologna, Il Mulino (in
pubblicazione)
Banfi, L. e Boccagni, P.
2007 Transnational family life: One pattern or many, and why? A comparative study on female migration,
Gender, relazione al convegno “Generations and the Family in International Migration”, European
University Institute, Robert Schuman Centre for Advanced Studies, Fiesole (FI).
Bonacich, E.
1973 A Theory of Middleman Minorities, in "American Sociological Review", vol.38, October
Burton, B. e Gammage, S.
2004 El Envío: An Interdisciplinary Analysis of Remittances, Rights and Associations Among Central
American Immigrants in Greater Washington, D.C., Destination D.C. Working Paper, n.1,
November.
Castagnone E.,
2006, Migranti per il Co-sviluppo tra Italia e Senegal. Il caso dei Senegalesi a Torino e provincia, in
AA.VV., Relazioni transnazionali e co-sviluppo. Associazioni e imprenditori senegalesi tra Italia e
luoghi di origine, Torino, L’Harmattan Italia, 2006, pp. 104-129.
Chiesi A. e Zucchetti E. (a cura di)
2003 Immigrati imprenditori. Il contribuito degli extracomunitari allo sviluppo della piccola impresa in
Lombardia, Egea, Milano
Cohen, R.
1997 Global diasporas. An introduction, London and New York, Routledge
Diminescu, D.
2005 Le migrant connecté. Pour un manifeste épistémologique, in “Migrations société”, vol.XVII, n.102,
novembre-dicembre, pp.275-292
Glick Schiller, N., Basch, L. e Blanc-Szanton, C.
1992 Towards a transnationalization of migration: race, class, ethnicity and nationalism reconsidered, in
“The annals of the New York Academy of Sciences”, vol.645, pp.1-24.
18
Guarnizo, L.E.
2003 The economics of transnational living, in «International Migration Review», vol.37, n.3 (Fall), pp.
666-699
Guarnizo, L.E.
2007 Aspetti economici del vivere transnazionale, in “Mondi migranti”, n.2
Kotkin, J.
1992 Tribes: how race, religion and identity determine success in the new global economy, New York,
Random House.
Landolt, P., Autler, L. e Baires, S.
1999, From Hermano Lejano to Hermano Mayor: the dialectics of Salvadoran transnationalism, in
“Ethnic and Racial Studies”, Vol. 22, n. 2 (marzo), pp.290-315
Levitt, P.
2001 The Transnational Villagers, Berkeley, University of California Press.
Levitt, P. e Glick Schiller, N.
2004 Conceptualizing simultaneity: a transnational social field perspective on society, in “International
migration review”, vol.38, n.3 (Fall), pp. 1002-1039
Mahler, S.J
2003 [1998] Theoretical and empirical contributions. Toward a research agenda for transnationalism in
Smith e Guarnizo(2003), pp. 64-100
Orozco, M., Lindsay Lowell, B., Bump, M., Fedewa, R.,
2005 Transnational Engagement, Remittances and their Relationship to Development in Latin America
and the Caribbean, Institute for the Study of International Migration, Georgetown University
Parreñas, R.S.
2001 Servants of globalization. Women, migration, and domestic work, Stanford (Calif), Stanford
University Press
Peraldi, M. (éd.)
2002 La fin des norias? Réseaux migrants dans les économies marchandes en Méditerranée, Paris,
Maisonneuve & Larose
Portes, A., Guarnizo, L. e Landolt, P.
1999 The study of transnationalism: pitfalls and promise of an emergent research field, in “Ethnic and
racial studies”, vol.22, n.2, pp.217-237
Portes, A., Haller, W. e Guarnizo, L.
2002 Transnational entrepreneurs: the emergence and determinants of an alternative form of immigrant
economic adaptation, in “American Sociological Review”, n.67, pp.278-298
Portes, A. e Rumbaut, R.G.
2006 Immigrant America. A portrait, Berkeley and Los Angeles, University of California Press (terza
edizione)
Sassen, S.
2008 The Bits of a New Immigration Reality: A Bad Fit with Current Policy, (paper), Dipartimento di
Studi Sociali e Politici, Università di Milano
Saxenian, A.
2002 Transnational communities and the evolution of global production networks: the cases of Taiwan,
China and India, in “Industry and Innovation”, special issue on Global Production Networks,
Fall.
Semi, G.
2002 L’échange déplacé. Trajectoire d’un dispositif commercial marchand et pratiques sociales au
marché aux puces de S.Donato (Milan), in Peraldi (2002), pp.353-375.
Smith, M.P. e Guarnizo L.E. (eds.),
2003 [1998] Transnationalism from below, New Brunswick, NJ, Transaction Pub
Vertovec, S.
2004 Migrant transnationalism and modes of transformation, in “International migration review”, vol.38,
n.3 (Fall), pp.970-1001
19