Anno giudiziario: sono necessarie riforme profonde e

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Anno giudiziario: sono necessarie riforme profonde e
Anno giudiziario: sono necessarie riforme profonde e urgenti
Ansa, 26 gennaio 2007
È "indispensabile e urgente" una legge che "chiarisca i gravi problemi" legati al trattamento
terapeutico dei malati terminali. A segnalare il vuoto legislativo è il presidente facente funzioni
della Cassazione, Gaetano Nicastro, nella relazione di inaugurazione dell’anno giudiziario.
Senza mai citare la parola eutanasia, richiama il "grave problema" di stabilire "se e quando sia
legittimo interrompere il trattamento". Una questione che investe "profondi problemi etici".
"È indubbio - sostiene Nicastro - che la nostra Costituzione esclude che si "possa essere
obbligati a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge", garantendo
il diritto alla salute e contemporaneamente all’autodeterminazione. Di fronte al progresso della
farmacologia e dell’ingegneria medica rimane ambiguo il concetto stesso di accanimento
terapeutico sicché appare indispensabile ed urgente un intervento del legislatore che affronti e
chiarisca i gravi problemi che sempre più frequentemente si presentano al giurista e al
medico".
Nicastro sollecita riforme "profonde e ormai improcrastinabili". E si appella a governo e
parlamento perché "portino a conclusione quelle riforme, anche profonde, ma ormai
improcrastinabili, perché il servizio giustizia risponda più adeguatamente alle esigenze di una
società moderna". Poi invita gli addetti ai lavori "ad operare con spirito veramente innovativo,
consono alle attuali dinamiche sociali ed economiche".
Nicastro si schiera a difesa dei colleghi: non ci sono state ingerenze indebite da parte di
magistrati su alcuni dei provvedimenti adottati in materia di giustizia - dice -, ma solo
interventi giustificati dall’esigenza di assicurare "sempre più e sempre meglio" il funzionamento
della macchina giudiziaria. Di fronte al ripetersi "allarmato ed allarmante, di anno in anno, di
dati che evidenziano le disfunzioni della giustizia" Nicastro si interroga sul significato che possa
ancora avere "questa pubblica solenne cerimonia", lasciando intendere che si svuota di
significato "se rimane fine a se stessa", se rimane un elenco dei "gravissimi problemi che
l’attanagliano" senza "essere di stimolo alla loro soluzione".
A questo riguardo il ministro Mastella nel suo discorso ha detto: "La cerimonia di oggi non è
senz’anima. L’assenza del primo presidente di Cassazione rende questa giornata tutta
particolare". Il riferimento del Guardasigilli è alla mancata nomina del primo presidente della
Cassazione, dopo la spaccatura al Csm che ha portato alla bocciatura della nomina di Vincenzo
Carbone, presidente aggiunto della Suprema Corte. Mastella rilancia poi con forza l’obiettivo di
limitare la durata dei procedimenti (nel civile e nel penale) a cinque anni: "Non è né un libro di
sogni, né una stravagante utopia, né un optional di lusso del quale il Paese possa fare a
meno", avverte categorico il Guardasigilli. Insomma "arrivare a processi che durino al massimo
cinque anni si può" e "si deve".
Tra le molte ombre del sistema giustizia, un dato confortante: è in calo il numero dei reati
denunciati. Nicastro rileva che il numero dei reati denunciati è sceso dell’ 11,51% (si è passati
da 2.855.372 e 2.526.486), anche se rimane eccessiva la percentuale dei reati ad opera di
ignoti (1.992.943): il 78,8%. In pratica rimangono impuniti quasi due milioni di reati.
Giustizia: nel 2006 un italiano su cinque è stato vittima di reato
Redattore sociale, 26 gennaio 2007
Rapporto Eurispes, giustizia e sicurezza: l’attenzione degli italiani concentrata su pedofilia e
violenza sui minori (22,6%). Il 21,7%, ritiene che la criminalità è alimentata da pene poco
severe e scarcerazioni facili.
Secondo l’Eurispes, un italiano su 5 (19%) è stato vittima di almeno un reato nel 2006. Il dato
è inserito nel capitolo del Rapporto Italia 2007 intitolato "Giustizia e sicurezza dei cittadini: un
Paese a legalità limitata". Nello specifico, per l’Eurispes il 21,7% ed il 16,4% delle risposte date
da coloro che hanno subìto un reato sono rappresentati rispettivamente dai furti in casa e da
quelli dell’automobile o del motorino; seguono gli scippi/borseggi (14,8%) e le minacce
(9,9%). Ben il 27% sono invece stati truffati: infatti il 9,9% dichiara di aver subìto truffe e
raggiri (clonazione della carta di credito, truffe finanziarie, falsi contratti, cartomanti, ecc...), il
9,5% è stato vittima di truffe su Internet ed il 7,6% è stato raggirato nella ricerca di lavoro.
Inoltre, nella stessa percentuale (4,6%) gli intervistati hanno subìto estorsioni o sono stati
aggrediti fisicamente. L’1% dei casi ha riguardato la violenza sessuale. "In generale, per gli
italiani la paura di poter essere vittima di reato è aumentata (42,3%), mentre i timori sono
rimasti invariati per il 52,7% degli italiani".
Tuttavia, 1 reato su 4 non viene denunciato. "La presentazione di una denuncia non è sempre
un atto scontato - si afferma -, infatti nel 26,8% dei casi si preferisce non sporgere denuncia,
pur essendo stati vittime di un crimine".
Le emergenze per gli italiani. "L’attenzione degli italiani si è concentrata soprattutto
sull’emergenza pedofilia e sulla violenza sui minori (22,6%), probabilmente a causa degli ultimi
tragici eventi di cronaca che hanno visto bambini in tenera età vittime di rapimenti o di
omicidi", si afferma. Nell’ordine, i timori degli italiani riguardano le violenze sessuali (9,4%), la
criminalità organizzata (9,2%), la violenza minorile (9%), i reati tipici della microcriminalità
come i borseggi, gli scippi o i furti in appartamento (8,7%), e l’immigrazione clandestina
(8,1%). La maggior parte dei cittadini, il 21,7%, ritiene che la criminalità è alimentata dalle
pene poco severe e dalle scarcerazioni facili attribuendo così grande responsabilità al sistema
giudiziario. Il 16,1% manifesta invece atteggiamenti xenofobi e considera l’aumento del
numero degli immigrati uno dei principali motivi di diffusione dei fenomeni criminali. "Che
l’Italia sia un paese in cui, nell’ultimo decennio, è tramontata un’idea condivisa di legalità è
confermato da quanti affermano che all’origine della diffusione dei fenomeni criminali vi sia
proprio la mancanza di una cultura della legalità: la pensa così il 15,6% degli intervistati",
aggiunge il Rapporto. Complessivamente, il 22% di essi attribuisce la responsabilità al tessuto
socio-economico. Nello specifico rispettivamente il 13,6% e l’8,4% reputano il disagio sociale e
la difficile situazione economica la causa principale della criminalità. Il potere delle
organizzazioni criminali (7,4%) e le scarse risorse a disposizione delle Forze dell’ordine (7,2%)
costituiscono invece la causa degli eventi criminali per il 14,6% degli interpellati.
L’Indice di Penetrazione Mafiosa. L’IPM misura la permeabilità dei territori al crimine
organizzato, con l’obiettivo di monitorare il rischio di penetrazione mafiosa cui sono esposti i
territori provinciali e di evidenziare, per quanto possibile, i recenti sviluppi del fenomeno e le
dimensioni che lo stesso sta assumendo e che potrà assumere nei contesti esaminati. Alla
provincia di Napoli, con un punteggio pari a 50,6, va la maglia nera del territorio provinciale
più permeabile ai tentacoli della criminalità organizzata. A seguire, la provincia di Reggio
Calabria (42,8 punti), Palermo (30,2 punti), Crotone (24,5 punti) e Catanzaro (24,3 punti).
"Preoccupante il posizionamento nell’IPM relativo al territorio calabrese - evidenzia il Rapporto
-: ben tre province si collocano nelle prime 7 posizioni, a conferma del forte radicamento che la
‘ndrangheta ha in questi territori. La ‘ndrangheta, attraverso l’uso sistematico e indiscriminato
dell’intimidazione, del terrore, dell’omicidio, aspira ad affermare contro le Istituzioni locali una
propria contro-cultura, una esplicita quanto determinata richiesta di potere".
Nel periodo compreso tra il 1999 e il 2004, in Italia, si sono verificati 762 omicidi per motivi di
mafia, camorra o ‘ndrangheta. "Quasi un omicidio su cinque è ascrivibile ai tentacoli del
crimine organizzato. L’incidenza diventa significativamente allarmante se spostiamo il dettaglio
analitico in alcune realtà territoriali del Mezzogiorno. In Campania quasi una morte violenta su
due è di matrice mafiosa, in Calabria tale quota scende ad un terzo del totale, mentre in Puglia
e in Sicilia le uccisioni di stampo mafioso rappresentato più o meno un quinto degli omicidi
volontari commessi, dunque, tendenzialmente in linea con l’andamento nazionale. Infine, e
soltanto come termine di paragone, si può affermare che nel resto delle altre regioni italiane
tale quota è prossima allo zero, considerando che su 2.115 omicidi volontari ‘solo’ 20 sono
riconducibili ai tentacoli della criminalità organizzata".
Il sommerso mafioso. Le azioni criminose direttamente riconducibili alle associazioni a
delinquere di stampo mafioso sono per buona parte sommerse, perché spesso circondate
dall’omertà ottenuta con minacce e intimidazioni, che contribuiscono a limitare il numero delle
denunce. Per l’Eurispes, "la distribuzione dei reati nelle quattro regioni a rischio (Campania,
Puglia, Calabria e Sicilia) denota che, per tutti i crimini considerati, tra il 1999 e il 2004 sono
state effettuate in totale 139.262 denunce: 10.804 per estorsione, 55.883 per produzione,
detenzione e spaccio di stupefacenti, 2.444 per associazione a delinquere (delle quali 1.027
per associazione di tipo mafioso), 2.530 denunce per sfruttamento e favoreggiamento della
prostituzione, 62.526 per ricettazione e contrabbando e infine 5.075 per attentati dinamitardi.
La regione che registra il maggior numero di denunce per reati commessi è quella campana
con 68.557 casi, seguita dalla Puglia con 33.557, dalla Sicilia con 24.897 e infine dalla Calabria
con 12.251 denunce". Inoltre, rapportando il numero delle denunce alla popolazione residente
in questi territori, emerge che in media vengono effettuate 136 denunce ogni 100.000 abitanti;
al disopra di tale quota si posiziona la Campania con 199 denunce ogni 100.000 abitanti,
mentre la Puglia si pone quasi in linea con la media generale, con una quota pari a 132. Infine,
la Calabria (100 denunce ogni 100.000 abitanti) e la Sicilia (89 denunce ogni 100.000 abitanti)
si trovano sotto la media generale.
Confisca dei beni. Oltre all’attività di prevenzione e repressione assume sempre più rilevanza
l’attività legata alla confisca dei beni alla criminalità organizzata. Nel periodo compreso tra il
1992 e il primo semestre del 2006, le Forze di polizia coordinate dalla Direzione Investigativa
Antimafia hanno complessivamente sequestrato e confiscato beni alle diverse organizzazioni,
per un valore pari a oltre 4miliardi e 600 milioni di euro.
Giustizia: i reati sono in calo, ma l’80% resta ancora impunito
Il Giornale, 26 gennaio 2007
Servono riforme "profonde e ormai improcrastinabili affinché il servizio giustizia risponda più
adeguatamente alle esigenze di una società moderna". Lo sottolinea il presidente Gaetano
Nicastro nella sua relazione alla cerimonia d’apertura dell’anno giudiziario in Cassazione.
Nicastro invita il legislatore, "pur con il riconoscimento e l’ossequio lui dovuto, a operare con
spirito veramente innovativo, consono alle attuali dinamiche sociali ed economiche".
Nel far questo, però, il legislatore - suggerisce il presidente Nicastro - deve tenere presente la
"provocazione di Diderot, che invidiava il grande vantaggio degli uomini del passato,
considerando che les Anciens n’avaient pas d’antique". Insomma, le riforme urgenti e
improcrastinabili delle quali c’è bisogno devono essere fatte, per Nicastro, con un occhio rivolto
"alle nostre grandi tradizioni giuridiche".
I dati sui reati. Tra il primo luglio 2005 e il 30 giugno 2006 "è considerevolmente diminuito il
numero dei reati denunciati (da 2.855.372 a 2.526.486, con una riduzione dell’11,5%), anche
se eccessiva rimane la percentuale di quelli ad opera di ignoti (1.992.943)", pari al 78,8%. È
quanto si legge nella relazione del primo presidente della Corte di cassazione, Gaetano
Nicastro, per l’apertura dell’anno giudiziario 2007. "Uno confortante - sottolinea Nicastro deriva dalla riduzione pressoché generalizzata di tutte le tipologie di reati, compresi gli omicidi
volontari (passati da 3.074 a 2.759, il 10,2% in meno, purtroppo con una incidenza notevole di
quelli commessi all’interno del nucleo familiare o fra persone legate da vincoli affettivi) e gli
omicidi colposi (diminuiti del 9,4%, da 8.330 a 7.540)".
In calo anche le rapine, passate da 53.805 a 45.285 (-15,8%), le estorsioni (da 217 a 173), i
sequestri di persona (da 615 a 545), i reati di violenza sessuale (da 5.505 a 5.026), le truffe
(da 150.148 a 116.122) e il traffico di stupefacenti (da 35.390 a 33.859). "Un prevedibile
aumento, del 62% - scrive ancora il primo presidente -, hanno subito le violazioni delle leggi in
materia di immigrazione (da 12.512 a 20.270), la contraffazione e l’alterazione di marchi e
l’uso di marchi contraffatti (da 14.743 a 17.305, +17,3%), nonché il traffico illecito di rifiuti
(da 40 a 51, pari al 27,5% in più)". In leggera diminuzione, infine, il numero di minorenni
responsabili di reati (da 19.459 a 18.812).
Giustizia: l’Italia tra i Paesi che spendono meno per il sociale
Redattore sociale, 26 gennaio 2007
Nel 2006 risorse per il welfare pari al 26,4% del Pil contro il 31% di Francia e Germania. I due
settori che hanno maggior peso sono quelli della spesa per gli anziani e la sanità. Poche le
spese per disabilità, famiglia e infanzia.
"Il Paese sembra impaziente di lasciarsi alle spalle quell’atmosfera di declino che ne ha
accompagnato i passi negli ultimi anni, ma deve fare i conti con la sua malattia, con i suoi
ritardi, con le fragilità strutturali, ma soprattutto con una classe dirigente inadeguata". Così il
presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara, che oggi ha presentato Il Rapporto Italia 2007. Un
Paese ancora in difficoltà dove, per dirla ancora con Fara, "le due anime della conservazione e
dell’innovazione sono presenti in maniera trasversale nell’intero sistema politico e istituzionale
e all’interno dello stesso corpo sociale. Ciascuno, grande o piccolo che sia il potere che riesce
ad esercitare, difende il proprio spazio e cerca di tutelare gli interessi che ne derivano".
L’Eurispes supporta queste valutazioni generali analizzando, come ogni anno, settore per
settore la situazione nel nostro Paese. Andiamo a vederli, soffermandoci in particolare su quelli
di più stretto interesse sociale.
Welfare e politiche sociali. Per l’Eurispes l’Italia è tra i paesi che destinano meno risorse alla
spesa sociale, spendendo nel periodo 2000-2006 un valore medio annuo pari al 25,18% del Pil.
Il Rapporto ricorda come l’Italia abbia provveduto, come le altre nazioni d’Europa, alla
predisposizione delle misure del cosiddetto welfare ma, "disponendo di un reddito nazionale
minore, avendo vissuto con ritardo la trasformazione industriale della sua economia, avendo
accumulato un debito pubblico che è superiore allo stesso Pil e che costringe l’erario a
devolvere una quota consistente delle entrate a corrispondere gli interessi, la spesa per
interventi sociali nel nostro Paese è inferiore a quella degli altri paesi del continente, sia in
valori percentuali sul reddito nazionale che soprattutto in valori assoluti".
"Del tutto insufficienti - continua - appaiono le misure a favore dei disoccupati, delle donne e
della famiglia, per i giovani, per le persone con difficoltà di inserimento e con problemi di
socialità. Il Governo ha promesso di intervenire a favore delle donne e dei giovani; nell’attesa
manca ancora un piano o un qualsivoglia progetto nazionale verso queste realtà, alle quali per
il momento vanno incontro alcune iniziative degli Enti locali, soprattutto i Comuni con i vincoli
di bilancio che ne limitano molto l’azione, o le strutture caritatevoli di matrice religiosa".
Data la crisi economica e i bassi tassi di crescita che hanno caratterizzato gli anni in esame, in
Europa si è avuta una crescita, ma non particolarmente accentuata, della spesa sociale in
relazione al Pil. L’Italia però, secondo l’Eurispes, "è il Paese che investe meno nello stato
sociale: nel 2006, ha una spesa sociale pari al 26,4% del Pil contro valori che superano il 31%
di Francia e Germania. Anche i paesi che componevano l’Unione a 15 hanno speso
complessivamente più che l’Italia (il 31,5% del Pil). È, invece, il Regno Unito che ha fatto
registrare il maggiore incremento passando da una spesa pari al 26,3% del Pil nel 1999 a
quella del 28% nel 2006".
Analizzando settore per settore, la spesa sociale nei cinque paesi considerati (Francia,
Germania, Italia, Olanda e regno Unito), emerge che i due settori che hanno maggior peso
sono quelli della spesa per gli anziani e della spesa sanitaria. "In particolare, in Italia la spesa
per anziani è cresciuta allo stesso ritmo del Pil negli anni considerati e rappresenta la metà di
tutta la spesa del sociale (12,8% del Pil). Ciò dipende dal fatto che l’incidenza della
popolazione anziana è in Italia molto forte, tanto che gli ultrasessantenni rappresentano circa
un quarto della popolazione. Anche la spesa sanitaria - continua l’Eurispes - è legata al grado
di invecchiamento della popolazione. In Italia, la spesa per questo settore ha raggiunto la
dimensione del 7% del Pil nel 2006. Un’altra voce che vede l’Italia primeggiare in spesa sociale
è quella della spesa per superstiti che impegna una somma equivalente al 2,5% del Pil".
Le altre voci di spesa hanno tutte valori minori rispetto agli altri paesi europei, "e in particolare
la spesa sociale per le emergenze abitative non è ben rappresentabile in termini di Pil (essendo
tale valore prossimo allo zero), pur essendo il disagio abitativo un problema molto forte e
diffuso soprattutto nelle grandi aree urbane. La situazione è ben diversa dal forte impegno che
si registra ad esempio nel Regno Unito e in Francia, dove le somme stanziate per le politiche
abitative rappresentano rispettivamente l’1,5% e lo 0,8% del Pil. Nel nostro Paese, inoltre, a
fronte di una spesa molto alta per gli anziani ne corrisponde una molto bassa per la famiglia e
l’infanzia, settore nel quale l’Italia investe una somma pari all’1,1% del Pil, contro il 3,4% della
Germania e un valore complessivo dell’Ue a 15 del 2,4%.
La distribuzione della spesa sociale. L’Eurispes ha preso in considerazione l’indicatore che
mostra la composizione percentuale della spesa sociale nei vari settori: fatto 100 il totale della
spesa tale indicatore rileva la quota parte attribuita ai singoli settori. È stata quindi stilata una
graduatoria dei paesi europei (anche non aderenti all’Ue) tenendo conto del valore medio,
relativo al periodo 1999 al 2006, della spesa sostenuta per ciascun settore.
Per quel che riguarda il costo della burocrazia, "si può affermare che è direttamente
proporzionale al livello della spesa sociale e i paesi che spendono di più hanno anche maggiori
costi amministrativi. Da questo punto di vista, l’Italia appare poco efficiente posizionandosi tra
i paesi che più spendono per la gestione della spesa sociale, ma mantenendo un livello di spesa
non molto elevato rispetto a paesi simili per dimensioni geografiche e demografiche".
Andando invece ad analizzare la spesa sociale nel settore sanitario, la maggior parte dei paesi
europei si concentra in un intervallo di 8 punti percentuali (dal 24% al 32% della spesa).
L’Italia si colloca tra i paesi con la minor quota relativa di spesa in questo settore, destinando
alla sanità il 24,8% della spesa sociale.
Anche sul versante della disabilità il nostro Paese si colloca agli ultimi posti della graduatoria,
destinando a questo settore soltanto il 5,8% della spesa totale. Questo dato stride con quello
della Norvegia che destina alla disabilità il 16,7% della spesa totale. Meno dell’Italia spendono
in termini percentuali solo Irlanda, Grecia, Francia e Cipro.
La spesa per gli anziani rappresenta l’impegno maggiore: in particolare, in Italia, la spesa
sociale per l’anzianità ammonta a circa il 50% della spesa totale, portando l’Italia al quarto
posto dopo Lettonia, Polonia e Malta. All’opposto, l’Irlanda, essendo il paese con la popolazione
più giovane, destina alla spesa per anzianità una fetta ridotta rispetto a tutti gli altri paesi
europei (appena il 17,8% del totale).
L’Italia è invece al primo posto, seguita da Belgio e Lussemburgo, nella spesa per i superstiti e
impegna in questo settore oltre il 10% del totale. Sotto questa voce sono classificate le
pensioni di reversibilità, ma anche le pensioni assegnate alle famiglie dei caduti e al
pagamento di funerali di Stato. Nel complesso, la spesa per anziani e superstiti raggiunge il
60% della spesa sociale totale. Questo dato contrasta fortemente con il dato che riguarda la
famiglia e l’infanzia.
La quota parte di spesa sociale destinata alla famiglia e all’infanzia, infatti, vede l’Italia
posizionarsi al penultimo posto, seguita solo dalla Spagna, con un investimento di appena il
3,8% del totale, circa un quarto di quanto spendono il Lussemburgo (16,3%) e l’Irlanda
(14,3%), paesi ai primi posti in Europa.
Anche per quel che riguarda la disoccupazione, il nostro Paese è al penultimo posto prima
dell’Estonia e spende in questo settore meno del 2% del totale contro un valore della Ue 15 di
oltre il 6%. Questo non significa che in Italia non esista il problema della disoccupazione, ma
che, al contrario, le tutele sociali per chi ha difficoltà a trovare lavoro sono del tutto
insufficienti.
Nel settore delle politiche abitative l’Italia è in coda alla classifica ed investe appena lo 0,6 per
mille (0,06%) della spesa sociale. È invece il Regno Unito che investe in questo settore la
quota maggiore della spesa sociale (il 5,5% del totale). Oltre il 3% del totale spendono Cipro e
Irlanda, mentre al di sopra 2% si attestano Francia, Grecia, Ungheria e Danimarca. La Svezia è
appena sotto il 2%. Superano di poco l’1% l’Olanda, Malta e la Finlandia, mentre tutti gli altri
paesi destinano a tale settore meno dell’1% della spesa sociale.
Infine, nella spesa per la lotta alle esclusioni sociali e spese non classificata altrove, l’Italia è
all’ultimo posto con solo lo 0,16% della spesa totale, preceduta dalla Polonia che registra un
valore analogo. Di poco sotto l’1% si trovano Ungheria, Regno Unito, Spagna e Lituania,
mentre tutti gli altri paesi superano l’1% della spesa per alleviare le esclusioni sociali.
Da www.ristretti.it