Occorre più attenzione alla qualità del fine-vita

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Occorre più attenzione alla qualità del fine-vita
19/06/2016
Pag. 53
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Malati terminali
Occorre più attenzione alla qualità del fine-vita
Vera Martinella
Di tumore si guarisce in un sempre maggior numero di casi, ma non sempre. E quando la malattia giunge
alle sue fasi finali c'è ancora molto da fare perché la situazione venga gestita al meglio. A sottolineare il
problema delle terapie oncologiche di «fine vita» è uno studio statunitense presentato durante il recente
congresso della Società Americana di Oncologia Clinica, che ha analizzato i dati di oltre 28 mila pazienti
terminali, deceduti a causa di differenti forme di cancro tra il 2007 e il 2014, a un'età inferiore ai 65 anni.
I risultati mostrano che oltre 6 malati su 10 sono stati ricoverati e, di conseguenza, circa un terzo è morto in
ospedale e non a casa propria, mentre meno di 1 su 5 ha utilizzato gli hospice o le cure domiciliari.
Inoltre più di un quarto dei pazienti è stato sottoposto a trattamenti giudicati "aggressivi". Nel complesso, tra
ricoveri ospedalieri, ingressi al Pronto soccorso, sedute di radioterapia o somministrazione di farmaci, il 75
per cento dei soggetti con tumore in stadio avanzato negli ultimi 30 giorni di vita ha ricevuto trattamenti
eccessivi al posto delle cure palliative che sarebbero state indicate nella loro condizione.
«Il danno, in questa situazione, è duplice - commenta Carmine Pinto, presidente dell'Associazione Italiana
di Oncologia Medica e direttore dell'Oncologia Medica all'Arcispedale S. Maria Nuova di Reggio Emilia -: da
un lato si nuoce alla qualità della vita dei diretti interessati, dall'altro siamo di fronte a un uso improprio di
risorse. In Italia da anni stiamo lavorando perché ci sia un adeguato accompagnamento in questa fase della
malattia: abbiamo 35 Unità di Oncologia accreditate per le cure, il più alto numero in Europa, e si sta
diffondendo una cultura di integrazione tra le varie professionalità in quest'ambito. C'è ancora molto da fare,
ma siamo sulla buona strada». Nel nostro Paese ogni anno circa 177 mila persone muoiono di cancro, il
numero di decessi ospedalieri per tumore è in calo, mentre cresce il numero di pazienti terminali assistiti a
casa: sono stati 52mila nel 2014, almeno il 30 per cento in più rispetto agli anni precedenti.
«Troppi malati terminali passano i loro ultimi mesi di vita fra trattamenti invasivi, ricoveri ospedalieri,
complicanze ed effetti collaterali - sottolinea Carlo Peruselli, presidente della Società Italiana Cure Palliative
-. Bisogna anticipare il discorso sul fine vita e pianificare precocemente le cure palliative, in modo che
pazienti e familiari non le percepiscano solo come un'ultima spiaggia, ma come parte di un percorso. Tanto
più che vivere meglio (grazie alle cure palliative) non equivale a vivere meno: la chemioterapia palliativa
può non prolungare la vita in modo significativo e per di più non è quasi mai scevra da tossicità». Nella
partita che si gioca fra costi ed etica, l'organizzazione sanitaria deve mantenere saldo il duplice obiettivo di
far quadrare i conti e assicurare un accesso equo alle cure oncologiche «migliori» (ovvero le più adeguate
alla singola situazione), indipendentemente dal luogo di residenza.
«Serve più sinergia tra ospedale e territorio - conclude Pinto -, una migliore organizzazione della rete di
cure. Perché il nostro Sistema sanitario continui a essere sostenibile è anche fondamentale evitare gli
sprechi, razionalizzare e integrare al meglio ospedali, assistenza domiciliare e hospice, evitando visite,
terapie e procedure non appropriate. Da molti anni si parla di Reti Oncologiche Regionali, il cui obiettivo è
garantire uniformità di comportamenti ed equità di accessi in tutte le fasi della malattia. Ma solo poche
Regioni le hanno già davvero attivate».
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L'esperto risponde
Foto: alle domande dei lettori
sulle patologie oncologiche all'indirizzo http://forum.corriere.it/ sportello _cancro
A casa
TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 20/06/2016
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21/06/2016
Pag. 35 Ed. Ancona
diffusione:113520
tiratura:152577
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Cura del dolore , autorizzato l'uso della cannabis
LA SVOLTA
Al via, nelle Marche, l'uso dei derivati della cannabis a scopo terapeutico. La Giunta regionale ha approvato
il regolamento attuativo della legge regionale che prevedeva l'impiego di questa sostanza nell'ambito del
Servizio sanitario regionale. «Dopo tre anni dall'approvazione - fa sapere la Regione - l'esecutivo Ceriscioli
dà concreta attuazione alla normativa. I malati affetti da alcune gravi patologie avranno a disposizione
un'opportunità terapeutica aggiuntiva a supporto dei trattamenti standard, quando questi ultimi non
producono gli effetti desiderati o hanno provocato effetti secondari non tollerabili o, ancora, quando
l'incremento del dosaggio potrebbe causare effetti collaterali». Il regolamento disciplina gli aspetti
organizzativi che coinvolgono gli operatori sanitari nella gestione (prescrizione e somministrazione) dei
farmaci contenenti cannabis. Questi medicinali saranno a carico del Servizio sanitario regionale (Ssr) solo
per i pazienti residenti nelle Marche e saranno forniti dai centri autorizzati dalla Regione (le farmacie degli
Enti del Ssr,) per il trattamento di alcune patologie, per via orale o inalatoria. «Le linee di indirizzo - spiega il
governatore Luca Ceriscioli - forniscono uno strumento di consultazione semplice ed efficace, per i medici e
i farmacisti, in modo da armonizzare le attività legate alla prescrizione, alla preparazione e alla fornitura dei
medicinali a base di cannabis sul territorio regionale». Gli impieghi medici della cannabis sono finalizzati
all'analgesia con spasticità dolorosa (sclerosi multipla, lesioni del midollo spinale), gestione del dolore
cronico, al controllo degli effetti indesiderati della chemioterapia.
Cl.Gr.
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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 21/06/2016
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21/06/2016
Pag. 9 Ed. Pisa
diffusione:83607
tiratura:112166
PAZIENTI, sofferenza cronica e terapia del dolore. Ieri pomeriggio, nel reparto di 'Anestesia e Terapia del
dolore' dell'Aoup, la fondazione ISal e la nascente associazione territoriale 'Amici della fondazione isal'
hanno organizzato un incontro per portare alla luce temi delicati e, talvolta, non adeguatamente conosciuti.
Dolore cronico, sovrabbondanza di farmaci, tecniche meno invasive, supporto psicologico e innovazioni
tecnologiche sono solo alcuni degli argomenti trattati - e testimoniati da pazienti affetti da sofferenze
croniche - per presentare la nascente associazione che si insedierà sul nostro territorio con lo scopo di non
lasciare soli i pazienti affetti da diversi tipi di dolore acuto. Un tema molto delicato che vede coinvolti in
prima linea la direttrice del reparto, Adriana Paolicchi e l'anestesista, nonché referente del progetto,
Giuliano De Carolis. «FONDAMENTALE è la creazione di una rete solidale, di una sinergia - interviene De
Carolis - che non faccia mai sentire solo, nel dolore, il paziente e la sua famiglia. Il nostro reparto è
impegnato nella lotta contro queste patologie che non interessano solo i pazienti oncologici. La nostra
esperienza è nata negli anni 90 e, nonostante i tagli alla sanità, continuiamo ad essere un centro di
eccellenza nonché punto di riferimento per i pazienti«. Stimolatori midollari, microinfusori, ricerca clinica,
formazione e strumenti innovativi sono i perfetti alleati che, quotidianamente, permettono alla clinica pisana
di sostenere i tanti pazienti che arrivano a Pisa da tutta Italia. «Solo lo scorso anno sono arrivati in reparto
13mila pazienti da tutto lo stivale - conferma la direttrice Paolicchi - e non intendiamo fermarci qui. Oggi,
per esempio, gli specializzandi in questa branca della medicina hanno la frequenza obbligatoria della parte
relativa al dolore perché è fondamentale non fermarsi alle diagnosi ma accompagnare umanamente i nostri
pazienti». E le conferme, nonché la gratitudine, arrivano a dismisura. Grazie al supporto psicologico, ad un
neurostimolatore e al sostegno dei professionisti i pazienti tornano a condurre una vita normale. «Non
dormivamo più, non sorridevamo più e la nostra vita era appesa al filo di morfina e oppiacei; - concludono
Enzo, Alessio, Licia, Adriano e Rosita - grazie a questo reparto siamo tornati a vivere». Francesca
Franceschi
TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 21/06/2016
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Anestesia e terapia del dolore «In un anno 13mila pazienti»
21/06/2016
Pag. 57 N.27 - 27 giugno 2016
diffusione:66072
tiratura:110139
MINI GUIDA ALLE CURE PER IL GINOCCHIO
Ecco come intervenire se il menisco subisce un trauma, la rotula scricchiola, i legamenti sono instabili e le
cartilagini si usurano. Anche grazie alle terapie naturali
Valentino Maimone
È protetto da cuscinetti ammortizzatori e diverse cinture di sicurezza. Eppure il ginocchio è particolarmente
esposto a dolori e problemi vari. Come si spiega? «Semplicemente perché è un'articolazione complessa e,
in caso di traumi, sovraccarico, movimenti sbagliati, usura o cause genetiche, questa sua caratteristica si fa
ancora più evidente», sottolinea Massimiliano Magaletti, specialista in chirurgia artroscopica e protesica del
ginocchio a Roma. Ecco allora quali sono e come si affrontano i più diffusi disturbi. > la lesione del
menisco A provocarla basta anche un trauma lieve: «Non si tratta mai di contusioni, ma di distorsioni. Se
l'articolazione viene sottoposta a una rotazione brusca o eccessiva, questa parte si può lesionare. Qualche
esempio? Fai male uno squat in palestra, divaricando le ginocchia verso l'esterno o lasciandole cedere
all'interno, oppure esageri nel gattonare con tuo figlio», fa notare il dottor Magaletti. «Di solito si avverte un
dolore intenso e localizzato che si ripresenta solo quando si ripete quel movimento . Poi il ginocchio può
gonfiarsi e restare bloccato». Occorre consultare un ortopedico: «Durante la visita effettuerà alcune
manovre di rotazione dell'articolazione. Se c'è il sospetto di una lesione, servirà una risonanza magnetica
per confermare la diagnosi». A quel punto, l'intervento chirurgico è inevitabile: «Ma è poco invasivo perché
si effettua in day hospital tramite artroscopia, cioè praticando piccoli fori nel ginocchio per intervenire
direttamente. Dura circa 20-30 minuti, in sedazione o in anestesia periferica (potrai seguire l'intervento su
un monitor)», precisa l'esperto. Torni a casa già il giorno stesso con l'aiuto delle stampelle, da usare per
una decina di giorni: «È importante appoggiare comunque il piede a terra, ma senza caricare il peso del
corpo, per evitare problemi di circolazione». In 2-3 settimane recuperi il movimento completo, per praticare
sport potrebbero servire altre 2 settimane . Puoi accelerare la ripresa con gli esercizi che potenziano il
quadricipite, il muscolo della coscia. Come questo: «Da sdraiata, solleva 10 volte la gamba interessata,
tesa e con il piede a martello. Ripeti per 2-3 serie durante il giorno», spiega l'esperto. > la sindrome femororotulea Si manifesta con un dolore non troppo forte, ma latente e diffuso, localizzabile soprattutto nella
parte anteriore del ginocchio. I sintomi principali sono: «Una sorta di scricchiolio quando ti alzi dopo essere
stata a lungo seduta e la difficoltà a salire o scendere le scale, oppure a camminare in discesa senza
provare dolore», elenca l'ortopedico. Per confermare la diagnosi, lo specialista deve prima escludere la
rottura del menisco o dei legamenti. «Molto raramente serve l'intervento chirurgico e comunque mai senza
prima aver provato un trattamento conservativo» , avverte l'esperto. Ecco in cosa consiste: «Per il dolore,
nella fase acuta, bastano paracetamolo (al massimo 2 g al giorno) e applicazioni di ghiaccio (10-15 minuti,
3-4 volte al dì). Ma ancora più importante è la fisioterapia mirata a potenziare i muscoli interni della coscia ,
insieme alla ginnastica propriocettiva. Meglio cominciare sotto la guida di un fisioterapista, per 1-2 mesi (in
genere, 1-2 volte a settimana), per poi continuare da soli fino a quando il muscolo non si sarà rinforzato»,
raccomanda l'esperto. In 2-3 mesi la situazione dovrebbe tornare sotto controllo, ma è consigliabile
proseguire con gli esercizi per mantenere il tono muscolare. > la lesione del crociato anteriore Avverti un
dolore acuto accompagnato da un rumore sordo, "crac", subito dopo un movimento innaturale come un
cambio di direzione improvviso e violento. Il ginocchio si gonfia e sembra quasi cedere sotto il peso del
corpo. «La lesione del legamento crociato anteriore si può verificare facendo sport come lo sci o il tennis,
ma anche in seguito a una caduta dallo scooter», sottolinea il dottor Magaletti. La visita dall'ortopedico
servirà per valutare la gravità: «Se l'instabilità è lieve, occorre tenere il ginocchio a riposo il più possibile,
applicare del ghiaccio, farlo bendare da un esperto e sollevare la gamba rispetto al corpo, appoggiandola
su uno sgabello quando ti siedi. E camminare con l'aiuto delle stampelle», dice lo specialista. «Passata la
TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 21/06/2016
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LA SALUTE DI STARBENE / LA SCELTA GIUSTA
21/06/2016
Pag. 57 N.27 - 27 giugno 2016
diffusione:66072
tiratura:110139
TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 21/06/2016
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fase acuta, serve una fisioterapia per migliorare la stabilità del ginocchio e potenziare i muscoli anteriori e
posteriori della coscia, per circa 1 mese». E se invece il ginocchio è instabile? In quel caso si valuta se
operare. Dipende dall'età e dallo stile di vita del paziente: fino ai 40-45 anni e se si pratica sport, di solito si
dispone l'intervento. «L'operazione è in day surgery, dura circa un'ora e consiste nel trapiantare tendini o
porzioni, prelevati dallo stesso ginocchio, al posto del legamento mancante. Si recupera in 2-3 mesi, ma
per lo sport bisogna attendere 6 mesi», chiarisce il dottor Magaletti. > l'artrosi Dolore cupo, più spesso nella
parte interna del ginocchio; rigidità al mattino appena ti svegli, che si attenua nel corso della giornata, per
tornare con molto dolore la sera. I sintomi di questo disturbo possono confondersi con quelli della lesione
del menisco: «Per togliere ogni dubbio il paziente deve fare una radiografia sotto carico (cioè in piedi) e una
risonanza magnetica . Se confermata, ci sono due strade: sotto i 60 anni, di solito si segue un ciclo di
fisioterapia a base di esercizi propriocettivi e di rinforzo muscolare, per almeno 3 mesi, meglio se abbinati
alla ginnastica in acqua o al nuoto, ma niente rana, solo stile libero o dorso». Sopra i 60 anni, di solito si
consigliano infiltrazioni di acido ialuronico: «Un primo ciclo di 3 iniezioni, una ogni 7-10 giorni, da ripetere
dopo una pausa di circa 6 mesi. Se non ci sono risultati accettabili, rimane l'intervento chirurgico», precisa
l'ortopedico. Visto che l'artrosi è un processo degenerativo, è sempre consigliabile praticare gli esercizi
anche da soli, almeno 2 volte alla settimana, per rallentare la progressione.CONSULTA GRATIS IL
NOSTRO ESPERTO dott. Massimiliano Magaletti specialista in ortopedia e traumatologia a Roma Tel. 0270300159 27 giugno ore 17.30-18.30RIMEDI DOLCI
La medicina alternativa può dare un buon contributo ai problemi del ginocchio, agendo sul dolore,
calmando l'infiammazione e favorendo il riassorbimento di un versamento. Ecco i consigli del dottor Luca
Bertini, medico ortopedico esperto di cure naturali.
1L'AGOPUNTURA, LA PIÙ EFFICACE Subito dopo un trauma, stimola l'organismo a produrre
antinfiammatori naturali: servono almeno 10 sedute, 2 volte la settimana, ridotte a 1, non appena migliorano
i sintomi. Da proseguire con 1 al mese, fino alla guarigione.
2MOXATERAPIA, AI PRIMI SINTOMI Funziona quando compaiono i primi dolori: è ok per la sindrome
femoro-rotulea, non dopo la rottura del menisco. Consiste nell'avvicinare e allontanare ripetutamente la
punta di una moxa (un particolare sigaro di artemisia acceso) alla zona dove fa male. Va fatta tutti i giorni,
per 2-3 minuti. Primi benefici già dopo 4-5 sedute.
3IMPACCHI DI ARGILLA, SE C'È GONFIORE Aiuta a ridurre il versamento interno, il sintomo tipico
quando si rompe il menisco o si lesiona il crociato anteriore. L'argilla, ammorbidita con acqua tiepida, va
applicata attorno alla parte gonfia e coperta con pellicola trasparente. Meglio tenerla tutte le notti per 14
giorni o finché i sintomi non migliorano.
4L'ARNICA, RISOLUTIVA E SENZA RISCHI Nella fase acuta del dolore, subito dopo il trauma, ha
proprietà analgesiche: «Va presa in monodosi da 200 k, una il primo giorno, la seconda 24 ore dopo; quindi
si passa ai granuli da 200 CH: 5 g, 3 volte al dì fino al miglioramento». La terapia può protrarsi a lungo,
perché non ci sono effetti collaterali. 5L'ARTIGLIO DEL DIAVOLO, CON CAUTELA Questa pianta africana
è utile quando il dolore è causato da patologie croniche come l'artrosi del ginocchio. Si trova sia in gocce,
20, 3 volte al dì dopo i pasti; sia in compresse. 2-6, 2 volte al giorno a stomaco pieno. Meglio valutare
sempre con il medico curante eventuali interazioni con i farmaci: deve evitarlo, per esempio, chi già prende
anticoagulanti o altri medicinali per problemi cardiaci. Inoltre si sconsiglia di prolungare la terapia oltre un
mese, perché sono possibili effetti collaterali.
pillole di anatomia (Evidenziate in giallo, le parti del ginocchio più "fragili")
la cartilagine Riveste l'articolazione del ginocchio. Per traumi passati o per cause congenite (come il
ginocchio valgo, molto diffuso tra le donne), perde gradualmente di elasticità e spessore, si indurisce e, in
alcuni casi, si frammenta. Di conseguenza, le ossa non riescono più a scorrere l'una sull'altra con facilità. È
un problema più frequente superati i 50 anni.
22/06/2016
Pag. 112 N.27 - 29 giugno 2016
diffusione:253463
tiratura:395605
Coliche renali: una soluzione contro i dolori
SI SOFFRE PARECCHIO E BISOGNA REAGIRE SUBITO. IL TRATTAMENTO MIGLIORE? HA
RISPOSTO UNO STUDIO
Silvio Garattini
Chi c'è passato lo sa molto bene: le coliche renali (dovute alla presenza di calcoli) scatenano dolori spesso
insopportabili. E di fronte a una simile so erenza, l'imperativo è: fornire un trattamento il più presto possibile
a nché il dolore passi alla svelta. I farmaci usati allo scopo sono tanti e variegati, appartenendo a diverse
classi terapeutiche. Il punto è che la scelta di uno fra questi numerosi medicinali è spesso lasciata alle
impressioni del medico, e ciò accade soprattutto perché mancano adeguati studi comparativi con lo scopo
di verifi care quale sia, se esiste, il trattamento migliore per il paziente. A fornire una risposta ci ha pensato,
allora, un recente studio australiano (sulla rivista The Lancet ) su 1.316 soggetti con dolori da calcoli. Sono
stati sottoposti a tre tipi di trattamento (con assegnazione casuale dei pazienti): diclofenac per via
intramuscolare, paracetamolo per via endovenosa e morfi na per via endovenosa. Il risultato veniva
considerato positivo se si otteneva una riduzione del dolore di almeno il 50 per cento. "Classifi ca" fi nale: a
raggiungere quel target sono stati il 68 per cento dei pazienti trattati con diclofenac (che appartiene ai
farmaci analgesici non steroidei, i cosiddetti «Fans»), il 66 per cento di quelli curati con paracetamolo e il 61
per cento delle persone che hanno ricevuto morfi na. Naturalmente, gli studiosi hanno voluto valutare
anche la tossicità dei singoli trattamenti. Conclusione: il diclofenac iniettato intramuscolo rappresenta la
risposta migliore per arginare il dolore da calcoli renali (anche considerando la praticità della via
intramuscolare). Si tratta di uno studio molto signifi cativo. Anche perché fi nanziato da fondi pubblici.
Foto: di Silvio Garattini Direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche «Mario Negri», Milano
Foto: Le lettere vanno indirizzate a: Silvio Garattini, Oggi , via Angelo Rizzoli 8, 20132 Milano. O
collegandosi al sito www.oggi.it
TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 22/06/2016
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
BENESSERE L'ARMADIETTO DELLE MEDICINE
23/06/2016
Pag. 32 N.7 - 14 luglio 2016
diffusione:67084
tiratura:102979
HERPES ZOSTER/Il virus che colpisce i più deboli...
Compare con più frequenza dopo i cinquantanni, perché le difese immunitarie sono meno vigorose. La
terapia unisce antivirali e oppiacei contro il dolore , ma oggi è anche disponibile un vaccino.
Maria Angela Masino
Conosciuto col nome di fuoco di sant'Antonio, l'herpes zoster, attivato dallo stesso virus che provoca la
varicella, è in vistoso aumento in Italia e in Europa. Complice è il rapido invecchiamento della popolazione:
dopo i sessan t anni le difese si indeboliscono predisponendo l'organismo a una maggior vulnerabilità alle
malattie, in particolare alle varie forme di herpes. Ma oltre al fattore età, altri motivi ci espongono con più
frequenza al fuoco di sant'Antonio e riguardano la notevole diffusione di patologie le cui terapie abbassano
il vigore immunitario. Pensiamo ai tumori, all'artrite reumatoide, al lupus, al morbo di Crohn. Anche lo stress
emotivo connesso a separazioni e lutti contribuisce a ridurre le difese. «Non solo. Il virus della varicella,
rimasto per molti anni latente nelle cellule nervose, se l'organismo è indebolito, diventa più virulento e
aggredisce i gangli nervosi, cellule che si trovano nella parte esterna dei nervi, provocando le tipiche
eruzioni a grappolo simili a quelle dell'herpes labiale», spiega il professor Antonio Volpi, infettivologo
all'Università di Tor Vergata, a Roma. Il virus che colpisce i più deboli... I sintomi II fuoco di sant'Antonio
inizia con eritema dolore, prurito o senso di intorpidimento molto intensi in un'area ben definita, quella
riguardante i gangli colpiti dal virus che di solito interessano il torace, l'addome o il trigemino cioè la zona
fronte-occhi-naso. Dopo alcuni giorni in questa parte del corpo o del viso, che nel frattempo si è arrossata
intensamente, compaiono vescicole che poi confluiscono formando bolle, pustole e successivamente
macchie. Le vescicole non procurano più prurito, ma dolore o bruciore, a volte, accompagnato
eccezionalmente da febbre, brividi, mal di testa, mal di stomaco. Lo sfogo cutaneo dura due o tre settimane
prima di scomparire. Nei pazienti con un sistema immunitario che funziona in modo equilibrato la
guarigione si verifica in un periodo di due o quattro settimane. «Una cosa importante da tener presente è
che l'herpes zoster può comportare serie complicanze di tipo neurologico (in alcuni casi addirittura forme di
paralisi), ma la più comune è senza dubbio la nevralgia post erpetica», dice il professore. La nevralgia post
erpetica è caratterizzata da un fortissimo dolore che si intensifica col tempo e di solito si presenta durante
la manifestazione acuta dello zoster. Il disturbo si è rivelato refrattario alla maggior parte degli antidolorifici.
In rari casi, il paziente può lamentare una nevralgia acuta in un'area ben definita senza lo sviluppo di
un'eruzione cutanea. Questa sindrome è chiamata zoster sine herpete. Tutte le cure «La malattia va curata
con una terapia antivirale da effettuarsi con Aciclovir, Valaciclovir, Brivudin, farmaci da assumere per una
settimana. Se la cura inizia precocemente, cioè entro 24 ore e comunque non oltre le 72 dalla comparsa
dei primi sintomi, è in grado di ridurre notevolmente le complicanze dello zoster, soprattutto l'intensità e la
durata del malessere sia acuto che cronico», aggiunge il professor Volpi. Diverso il capitolo dolore. Per
contrastarlo esistono numerose terapie a base di oppiacei e altre molecole nate come antidepressivi o
antiepilettici. Questi farmaci agiscono direttamente sul sistema nervoso stimolando le fibre che inibiscono il
dolore e il loro utilizzo deve essere gestito da medici specializzati. Oggi, però, c'è una novità per
contrastare il fuoco di sant'Antonio ed è il vaccino, che contiene una forma attenuata del virus varicellazoster in grado di sollecitare il sistema immunitario ad agire contro l'aggressione virale. Questo programma
vaccinale che consiste in una sola dose da somministrare a tutti dopo i 50 anni contribuisce a controllare la
riattivazione e la replicazione del virus, permettendo così di prevenire lo sviluppo dell'herpes zoster e della
nevralgia post erpetica. O
Anche i periodi di stress e alcuni farmaci possono scatenare questa patologia, che aggredisce le
cellule della parte esterna dei nervi DOLOROSE BOLLICINE L'herpes si manifesta con vescicole molto
dolorose, che poi diventano pustole come quelle della varicella. Le zone del corpo più colpite sono il torace,
TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 23/06/2016
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Essere & benessere/MEDICINA
23/06/2016
Pag. 32 N.7 - 14 luglio 2016
diffusione:67084
tiratura:102979
TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 23/06/2016
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l'addome e la zona fronteocchi-naso.
Perché "fuoco di sant'Antonio"? ^ Eremita nel deserto, il monaco egiziano sant'Antonio Abate (250-356
circa) resistette agli insidiosi attacchi del diavolo. Investito da fuoco e fiamme, i suoi discepoli lo ritrovarono
quasi morente, ricoperto di gravi ferite e dolorose ustioni. Proprio grazie alla sua enorme capacità di
sopportazione del dolore conquistò la santità e la fama di protettore verso tutte le malattie che, in qualche
modo, sono associate al fuoco e al bruciore. L'herpes zoster è conosciuto come "fuoco di Sant'Antonio"
perché il dolore dei pazienti è appunto simile a quello causato da "un fuoco ardente". L'attribuzione
dell'herpes a sant'Antonio avvenne quando furono trasferite le reliquie del santo in Francia, nell'XI secolo.
In quell'occasione, lo pregarono tutti coloro che soffrivano di malattie dolorose e causa di bruciore.
I numeri Ok 95 o/ o delle persone si ammala di varicella nel corso della propria vita. 3/4 dei casi di herpes
zoster si manifestano fra persone che hanno più di 50 anni di età.
Foto: in collaborazione con Antonio Volpi, infettivologo e professore associato di malattie infettive all '
Università di Tor Vergata, Roma
23/06/2016
Pag. 52 N.7 - 14 luglio 2016
diffusione:67084
tiratura:102979
ARTROSI DELLA SPALLA/Terapia conservativa ecco le novità •
Oltre ai codroprotettori, molto utili per proteggere e nutrire la cartilagine, e agli integratori, come quelli a
base di curcuma, c'è la viscosupplementazione sotto guida ecografica, una nuova tecnica con grandi
benefici sul dolore , che utilizza l'acido ialuronico.
Sono cinque milioni gli italiani che soffrono di artrosi, una patologia degenerativa che ha un' evoluzione
lenta e che consiste nel consumo della cartilagine. Una delle articolazioni più colpite è la spalla. Oltre i 65
anni di età, o in persone con una certa predisposizione, la cartilagine della spalla può, infatti, andare
incontro a usura, provocando dolore, rigidità e limitazione delle normali attività quotidiane. Oggi,
fortunatamente, ci sono nuove terapie e nuove protesi, come spiega il dottor Andrea Lisai, specialista in
Chirurgia della spalla del Centro nazionale artrosi, ospite della trasmissione Il mio medico di Tv2000. Che
cosa succede quando la spalla viene colpita da una grave artrosi? «La spalla è senza dubbio l'articolazione
più complessa del corpo umano ed è anche la più mobile: quando è sana, ci consente di dedicarci ai nostri
sport e hobby preferiti, così come di provvedere alle basilari attività della vita quotidiana (infilarsi una
giacca, pettinarsi, stirare...). Quando questa articolazione viene colpita dall'artrosi, il paziente lamenta un
dolore invalidante e una progressiva rigidità: tutti quei movimenti che prima erano semplici e naturali,
diventano limitati e dolorosi». In che cosa consiste l'artrosi? «Possiamo immaginare che il movimento della
spalla sia consentito da due "ingranaggi" (capi articolari, in linguaggio medico): la testa dell'omero e la
glena della scapola. Essi sono rivestiti da un sottile "cuscinetto", la cartilagine, che consente loro di
articolarsi senza attrito e senza dolore. L'artrosi consiste nell'usura di questo "cuscinetto", con conseguente
creazione di "attrito", e quindi di dolore». Quali sono le cause dell'artrosi? «Nella maggior parte dei casi, la
patologia artrosica è genetica, cioè "scritta nei nostri geni"; in altri casi, invece, è la conseguenza di una
frattura complessa della spalla, di una rottura importante e trascurata della cuffia dei rotatori o di una
malattia reumatologica». Quali sono i sintomi? «Il dolore acuto, anche notturno, e la progressiva perdita
dell'articolarità, ossia del movimento. Inoltre, il paziente può udire degli scrosci articolari, veri e propri
rumori generati dal movimento della spalla». Ci sono dei fattori di rischio? «Quelli non modificabili sono
l'età, il sesso femminile e la familiarità. Quelli, invece, sui quali si può agire sono sovrappeso e obesità,
esposizione a stress meccanici (lavori usuranti), stile di vita non corretto, sedentarietà, cattive posture».
Quali sono gli accertamenti da fare? «La semplice radiografia della spalla da sola è sufficiente per definire
diagnosi e grado di danno articolare. Nell'ipotesi di una soluzione chirurgica, è consigliabile eseguire una
Risonanza magnetica e una Tac. È comunque opportuno rivolgersi a uno specialista per valutare una
terapia efficace per il proprio caso». Quali sono le terapie conservative? «Le terapie conservative possono
prolungare, in alcuni casi anche di anni, il ricorso all'intervento di protesi. Tra queste sono utili, se assunti
sotto controllo medico, i cosiddetti "codroprotettori", cioè sostanze come la glucosamina e il
condroitinsolfato che proteggono e nutrono la cartilagine; oppure, gli integratori a base di altre sostanze
naturali (come la boswellia serrata, la curcuma...). L'attività di un bravo fisioterapista è fondamentale per
rallentare la progressione della patologia. Infine, una terapia con enormi benefici è la cosiddetta
"viscosupplementazione" sotto guida ecografica, consigliabile sopratutto negli stadi iniziali». In che cosa
consiste nello specifico? «Da alcuni anni, abbiamo a disposizione una sostanza viscosa, inerte, atossica
che è l'acido ialuronico, che è possibile "introdurre" nelle articolazioni attraverso le infiltrazioni intrarticolari:
grazie alla sua azione lubrificante, i due "ingranaggi" della nostra spalla, seppur consumati, possono
scorrere tra di loro in maniera più fluida e, quindi, provocando meno dolore. Esistono diversi tipi di acidi
ialuronici, più o meno viscosi e con meccanismi d'azione differenti: il compito dell'ortopedico specialista
della spalla è proprio quello di identificare la soluzione più efficace per il singolo paziente, sulla base delle
immagini radiografiche e di una visita accurata. Oltre alla scelta della sostanza utilizzata, è poi
fondamentale anche la tecnica con la quale si esegue l'infiltrazione intrarticolare: non si tratta, infatti, di un
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Essere & benessere | Lo specialista
23/06/2016
Pag. 52 N.7 - 14 luglio 2016
diffusione:67084
tiratura:102979
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gesto banale, sopratutto perché lo spazio nel quale il liquido deve essere iniettato è piuttosto ridotto (pochi
millimetri), proprio a causa dell'artrosi. Pertanto, consiglio, e personalmente eseguo, questo tipo di
infiltrazione sotto guida ecografica, in modo da essere assolutamente certo © di iniettare l'acido ialuronico
laddove deve svolgere la sua azione lubrificante». In alcuni casi, però, può rendersi necessario l'intervento
chirurgico. Quali sono le novità più importanti? «Quando le terapie conservative non producono effetti
benefici per il paziente, si rende necessario l'intervento chirurgico protesico: in parole semplici, si
sostituiscono i due "ingranaggi" della spalla ormai consumati con due nuovi, che costituiscono, appunto, la
protesi. Oggi, abbiamo a disposizione protesi sempre più affidabili, costituite da materiali innovativi,
resistenti e di dimensioni sempre minori. La grossa novità degli ultimi anni, in particolare, è la cosiddetta
tecnica Psi (Patient specific instruments)». In che cosa consiste la Psi «Si tratta di una tecnica innovativa
che sfrutta software e stampanti tridimensionali grazie ai quali è possibile personalizzare, per così dire
"cucire su misura" sul singolo paziente, gli strumenti utilizzati per impiantare la sua protesi. Il procedimento
è molto semplice: il paziente esegue una Tac che il chirurgo della spalla, attraverso un software, utilizzerà
per simulare l'impianto della protesi: un po' come succede con i piloti di Formula 1, che studiano e
perfezionano la propria gara attraverso specifici simulatori computerizzati. Sulla base delle informazioni
raccolte da questo software, una stampante tridimensionale produrrà delle mascherine che il medico
utilizzerà nel corso dell'intervento chirurgico per impiantare la protesi. Studi scientifici dimostrano che,
grazie a questa tecnica, si riducono i rischi di mal posizionamento e i tempi chirurgici dell'operazione».
Come si svolge l'intervento e in che modo si inserisce la protesi? «Si esegue una incisione di pochi
centimetri nella regione anteriore della spalla e si procede con l'asportazione della parte colpita da artrosi
nella testa omerale e nella glena, sostituendole con delle componenti di metallo e polietilene in grado di
articolarsi tra di loro senza più attrito». Quali sono i tempi di ripresa? «Quelli per una protesi inversa, ovvero
la tecnica utilizzata più frequentemente, sono molto rapidi: dal giorno successivo all'intervento si iniziano a
eseguire semplici esercizi di mobilizzazione attiva e passiva e, già dopo 30-40 giorni, alcuni pazienti, che
prima non potevano nemmeno alzare il braccio, sono già in grado di pettinarsi». La prevenzione è
possibile? «Non solo è possibile, ma deve essere, secondo me, uno degli obbiettivi principali dell'attività
quotidiana di noi medici: personalmente, nel corso delle mie visite, mi piace dedicare qualche minuto
all'analisi dello stile di vita, dell'attività fisica e dell'alimentazione del paziente che ho di fronte. Altra cosa
importante: non trascuriamo la salute della spalla. Se, ad esempio, compaiono dolori o limitazioni
funzionali, rivolgiamoci subito a un esperto di questa articolazione, non eseguiamo terapie "a caso" soltanto
perché consigliate dal nostro vicino di casa. Un caso tra tutti: una rottura della cuffia dei rotatori, come
quella del tendine sovraspinato o del sottoscapolare, se trascurata, o se trattata in maniera inefficace, può
determinare, nel lungo periodo, la comparsa di una degenerazione importante della cartilagine e, quindi, la
necessità di un intervento protesico. Se, al contrario, quel tendine rotto fosse tempestivamente riconosciuto
e "ricucito" con le moderne tecniche artroscopiche, la spalla riacquisirebbe la sua funzionalità e si
interromperebbe il processo degenerativo: quindi, il paziente non sarebbe più condannato a una protesi a
distanza di anni. Il messaggio che cerco di dare ai miei pazienti è il seguente: non è vero che non si può
fare nulla per l'artrosi. Invece, dobbiamo riconoscere per tempo questa malattia e, così facendo, possiamo
"dominarla", cioè renderla meno invalidante o, nei casi ormai avanzati, possiamo comunque "vincerla",
almeno localmente, con l'impianto di una protesi ben posizionata grazie all'accuratezza che la tecnologia
moderna ci offre. La spalla è l'articolazione più vicina al nostro orecchio: quindi, "ascoltiamola"»! O Questa
patologia degenerativa ha un ' evoluzione lenta: in Italia, ne soffrono oltre cinque milioni di persone di
Monica Di Loreto giornalista e conduttrice del programma Il mio medico in collaborazione con il dottor
Andrea Lisai specialista in Chirurgia della spalla del Centro nazionale artrosi
Nella maggior parte dei casi, è una malattia genetica. A volte, invece, deriva da una rottura importante e
trascurata
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GLI "INGRANAGGI Il movimento è consentito da due capi articolari: la testa dell'omero e la glena.
In diretta Il mio medico è il programma di informazione medica, ideato da Alessandro Sortino, scritto da
Fausto Della Ceca, condotto da Monica Di Loreto e curato da Antonio Giarnieri, Marta Salvati e Angelica
Genovesi, in onda ogni giorno su Tv2000 (canale 28 del digitale terrestre e 140 di Sky) dalle 10 alle 11.
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La prevenzione rimane sempre fondamentale: occorre controllare l'alimentazione e fare un po' di attività
fisica
I lavori usuranti e l ' obesità sonofattori di rischio
Tra le diverse alternative chirurgiche, c'è l'innovativa Psi, per "cucire su misura" la protesi con precisione