Ccineforum - Cinema Teatro Astra

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Ccineforum - Cinema Teatro Astra
via Roma 3/B
San Giovanni Lupatoto (VR)
tel/fax 045 925 08 25
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l’altro
inema
C
presenta
cineforum
stagione 2012/2013
I FILM VISTI: 1 Marigold Hotel • 2 Romanzo di una strage • 3 Marilyn • 4 La guerra è dichiarata • 5 The Words • 6 Gli equilibristi • 7 La mia vita è uno zoo • 8 Un sapore di
ruggine e ossa • 9 Il rosso e il blu • 10 Il matrimonio che vorrei
Argo
regia:
interpreti:
11
Ben Affleck, Bryan Cranston, Alan Arkin,
John Goodman, Victor Garber, Tate Donovan, Clea
Duvall, Scoot McNairy, Rory Cochrane, Christopher
Denham, Kerry Bishé, Bob Gunton, Tom Lenk, Keith
Szarabajka, Christopher Stanley, Barry Livingston, Chris
Messina, Michael Parks, Richard Kind, Zeljko Ivanek,
Philip Baker Hall, Michael Cassidy, Taylor Schilling,
Kyle Chandler, Cas Anvar, Adrienne Barbeau, Titus
Welliver
anno: USA 2012
genere: Drammatico
durata: 120'
premi: People's Choice Awards 2013 Nomination
Miglior film drammatico
Ben Affleck
Gennaio 2013
lun 7 ore20.45
mar 8 ore21.00
merc 9 ore 21.15
N
el 1979, in seguito alla fuga negli Stati Uniti del- tra diversi toni in cui l'unica costante è il regista steslo Scià iraniano Mohammad Reza Pahlavi duran- so, che incarna il protagonista Tony Mendez con una
te la rivoluzione, l'ambasciata americana di Teheran recitazione minimalista e pacata, esplorando tutte
fu presa d'assalto dai rivoluzionari e i suoi impiegati le declinazioni di un'infinita malinconia di sguardo
che fa il paio con il rigore morale
sequestrati per più di 400 giorni. Sei
profuso nel raccontare la sua storia.
cittadini statunitensi riuscirono a
Un'opera di
In questo straordinario esempio di
fuggire di nascosto e trovare rifugio
modernità cinematografica c'è tutnella residenza dell'ambasciatore ca- sorprendente
ta l'esperienza del cinema politico,
nadese, il quale, a proprio rischio e solidità, animata
pericolo, concesse clandestinamente da un'etica di ferro. teso e aggressivo della Hollywood
degli anni '70, unita ad uno stile
ospitalità e supporto. Per riportare in
patria i propri connazionali la CIA organizzò una mis- fluido ed invisibile, ad un gusto post-Mad Men per la
sione di esfiltrazione particolarmente audace, ideata precisa ricostruzione dei diversi costumi della società
dall'esperto del campo Tony Mendez e coadiuvata da di qualche decennio fa e ad una capacità non comune
una vera produzione hollywoodiana. Basandosi su di lavorare sul dettaglio della messa in scena.
una sceneggiatura realmente acquistata dal sindaca- Ben Affleck alza ancora l'asticella e non si acconto sceneggiatori fu data l'illusione a tutti (soprattutto tenta più (come per Gone Baby Gone e The Town) di
alla stampa, in modo che si producessero articoli in prendere un buon soggetto e girare con gusto e abilità
materia) che c'era l'intenzione di girare un film di un'ottima sceneggiatura ma, pur mantenendo tutto il
fantascienza in Iran, così da poter ottenere dal Mini- riguardo del caso verso l'intrattenimento del proprio
stero della cultura iraniano il permesso di entrare ed pubblico di riferimento, orchestra il suo racconto in
uscire dal paese e, nel fare questo, poter portare via modo che anche le parti più piccole, i ruoli comprii sei ospiti dell'ambasciatore canadese spacciandoli mari o alcune parole pesino come macigni e siano in
per maestranze del film. Il titolo del finto film in que- grado, con uno sguardo o un dettaglio, di fare il lavoro
stione era Argo. Sulle basi di questa vera storia Ben del cinema più serio e audace: stimolare nello spetAffleck orchestra un film che forza la realtà dei fatti tatore correlazioni tra i fatti e i personaggi narrati e
quanto serve per creare tensione e suspense ma non l'attualità, ovvero la storia della politica estera amerimanca mai di rimarcare gli elementi di veridicità e di cana antecedente e soprattutto successiva al 1979.
Gabriele Niola - www.mymovies.it
confinare in maniera netta le licenze cinematografiche. Il risultato è un'opera di sorprendente solidità,
animata da un'etica di ferro e capace di muoversi
en Affleck sorprende regalando un film di grande
attraverso i tre registri principali del cinema, amalfascino ed equilibrio: una drammatica storia vera
gamandoli con l'invisibile maestria di un veterano raccontata come un thriller e arricchita d'incursioni
del cinema. Nonostante sia solo al suo terzo film da comiche. Nel novembre del 1979, militanti islamici
regista Ben Affleck si conferma uno degli autori gio- attaccarono l'ambasciata americana a Teheran prenvani più interessanti in assoluto, capace di fondere dendo in ostaggio 52 persone. Quel che per decenni
l'azione da cinema di guerra della prima parte con non si è saputo è che, nel caos del momento, sei amela commedia hollywoodiana della seconda e infine la ricani fecero in tempo a trovare rifugio presso l'amtensione del dramma storico della terza. Un viaggio basciata canadese. "Argo" racconta l'azione segreta
B
intrapresa dalla CIA per riportarli in patria. Tony
Mendez (Ben Affleck), massimo esperto di "esfiltrazione", concepisce un piano di fuga a dir poco originale che prevede che i sei americani fingano di essere
una troupe cinematografica canadese arrivata in Iran
per un breve sopralluogo per le location di un film
di fantascienza e pronta a ripartire. Ambientato tra
Washington, Hollywood e Teheran, la pellicola ritrae
con grande accuratezza questi tre diversi mondi. Ben
Affleck non è il migliore degli interpreti ma bisogna
dire che la sua poca espressività ben si sposa con il
rigore di ferro e lo sguardo serio e un po' malinconico
richiesto per il protagonista. Ad affiancarlo c'è Bryan
Cranston, convincente e realistico nelle vesti di Jack
O'Donnell, il vice direttore della CIA responsabile
della missione. La sceneggiatura è magistrale, riesce
a riunire più generi cinematografici perché accosta
con sapiente equilibrio tinte drammatiche e incursioni divertenti degne della migliore commedia.
La parte corposa del girato è carica di una tensione tale che gli scorci divertenti servono a prendere
respiro. Per non compromettere la drammaticità di
quanto narrato, i sorrisi sono affidati a due soli personaggi, interpretati a meraviglia: John Chambers,
ossia John Goodman nel ruolo di un truccatore vincitore di un premio Oscar, e Lester Slegel, vale a dire
Alan Arki nei panni di un produttore hollywoodiano
di grande esperienza e leggendaria sagacia. Questa è
un'opera che stimola in maniera intelligente lo spettatore a partecipare a eventi passati correlandoli in
qualche modo con i tempi attuali. La regia è sicura,
meticolosa ed esprime un grande senso di responsabilità. "Argo" è già tra i favoriti nella prossima corsa
agli Oscar e consacra Ben Affleck regista di sorprendente bravura. A riprova dell'elevatissimo livello di
similitudine che il film ha con la vicenda realmente
accaduta, non perdetevi la piccola sorpresa nei titoli
di coda.
Serena Nannelli - www.ilgiornale.it
Viva l’Italia
regia:
Massimiliano Bruno
12
interpreti:
Gennaio 2013
lun 14 ore20.45
mar 15 ore21.00
merc16 ore 21.15
P
olitici ammanicati, lobby finanziarie, raccomandati, mazzette, corruzione, scandali sessuali, precariato, immoralità, scontri di piazza,
aziende e famiglie in fallimento, istruzione e sanità
da terzo mondo, menefreghismo imperante, giovani
disillusi che non possono pensare al loro futuro. Ma
dove sono finiti i santi, i poeti e i navigatori? Dov'è
finita l'Italia di Pertini e Berlinguer? Dov'è finita la
Repubblica democratica fondata sul lavoro la cui sovranità appartiene al popolo, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, il diritto al lavoro
ed in cui tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e
sono eguali davanti alla legge? Perché i politici non
ci coinvolgono nella vita del Paese dicendoci una
volta per tutte la verità sullo stato delle cose? Queste le domande, pertinenti ed incalzanti come un
martello sull'incudine, che Massimiliano Bruno si
pone e ci pone in Viva l'Italia, il suo secondo film da
regista che rispetto al precedente calca molto di più
la mano sul grottesco e sulla supercafonaggine di
certi politici, facendo ridere di gusto ma senza fare
sconti a nessuno. Una randellata al cinema 'cieco e
sordo' delle commediole sentimentali che affollano
le sale in questo periodo, questo in parole spicciole
è Viva l'Italia, una commedia inevitabilmente grezza nei personaggi e nelle situazioni, d'altronde la
realtà lo è infinitamente di più, ma dotata di una
cattiveria positiva, sofisticata nella narrazione e
nella caratterizzazione dei personaggi che rappresentano, anche grazie alla bravura di un cast davvero in forma, un campionario assortito di uomini
e donne sconfitti ed umiliati dalla vita che hanno
smesso di credere che una società migliore è ancora
possibile, che hanno anche smesso di credere nelle
loro capacità intellettive e da molto tempo di lottare contro un sistema incancrenito che non lascia
spazio alla meritocrazia e alla legalità. Un film che
ti arriva addosso come una valanga di fango, che ti
picchia con un pugno nello stomaco e non ti lascia
alternative: non puoi sfuggire alla realtà che Bruno ti pone dinanzi agli occhi, e non puoi sfuggire
neanche alle risate, fragorose e amare come caramelle all'olio di ricino. La verità fa male ma è un
valore imprescindibile e prezioso che non può essere calpestato e fa male, in questo momento, anche
un certo cinema, immobile e anestetizzato, che si
limita a far ridere canzonando ma senza offrire a
chi guarda una speranza o un punto di vista diverso
sulla situazione drammatica in cui ci troviamo. E il
dramma vero è che noi italiani siamo costretti ad
andare in sala e pagare un biglietto per trovare un
po' di conforto e qualche rassicurazione sul futuro
che ci attende dietro l'angolo. Il ritratto dell'Italia
che abbiamo ereditato da decenni di malgoverno e
di mala gestione da parte della classe dirigente è sì
spietato, ma si avvicina solo alla realtà, e la approssima per difetto. Massimiliano Bruno, per fortuna,
salva poco o nulla di questa nostra povera Italia, e
Raoul Bova, Michele
Placido, Alessandro Gassman,
Rocco Papaleo, Edoardo Leo,
Ambra Angiolini, Maurizio
Mattioli, Elena Cucci
anno: Italia 2012
genere: Commedia
durata: 111'
lo fa definendo la Costituzione, letta con gli occhi di be se da un momento all'altro costui fosse colpito
un italiano moderno, come "un capolavoro di fanta- da un disturbo neurologico che gli impedisce di tratsia e umorismo". Come dargli torto dopo gli scanda- tenere la verità su qualunque argomento. Nel film
li berlusconiani, dopo il calcio scommesse, i crolli succede a Michele Spagnolo, un Michele Placido al
finanziari, i licenziamenti e il fallimento di miglia- top della sua carriera, uno di quei politici che se la
ia di aziende, gli scontri di piazza, gli scioperi dei canta e se la suona da decenni, uno di quelli che ha
lavoratori, i terremoti veri e metaforici che hanno sistemato, o ha tentato di sistemare, i tre figli che
messo in ginocchio una parte del Paese. Bruno non grazie alla sua influenza hanno ereditato sì un lavoha paura di schierarsi e se ne frega di quelli che lo ro ma soprattutto l'ignobile etichetta di raccomanaccusano di strumentalizzare l'attualità a suo favo- dati. Ma sarà proprio grazie a questa patologia, che
re, il Max nazionale è quello che è sempre stato, uno potrebbe anche essere l'ennesima messa in scena di
che non la manda a dire, che è abituato a ribellarsi Spagnolo per scrollarsi di dosso il suo ingombrante
e qualche volta a fare la voce grossa ma è anche uno senso di colpa, che Michele riuscirà ad avere per la
prima volta un dialogo diretto
che è abituato a ridere, a far
e schietto con i figli e con la
ridere e a buttarla sul ridere Se l'Italia è questa qua,
moglie che ha tradito centinasempre e comunque, anche
come patria non ci va.
ia di volte e che ammetterà di
quando da ridere non ci sanon aver mai amato. Un politirebbe proprio niente. [...]La
verità è talvolta dura da accettare e fa anche mol- co che per anni è stato immune agli scandali e che
to male, ma fa più male l'immobilismo culturale e viene raccontato in maniera pregevole da Bruno
morale di un cinema che da troppo tempo non fa soprattutto in una scena, quella emblematica in cui
niente per smuovere coscienze e animi, un cinema Placido, per la prima volta disorientato e in balìa
che grazie a Bruno e a Silvio Soldini, in sala con Il degli eventi, si ritrova in pigiama al centro di una
comandante e la cicogna, si sta riappropriando dei violenta carica della polizia nei confronti di un
suoi spazi. Un tema difficile da trattare quello del gruppo di manifestanti. Il ralenti del suo incedere
decadimento morale ed etico che dilaga in maniera lento e inconsapevole tra i manganelli e i sassi con il
trasversale ed indipendentemente dalla condizione sottofondo struggente cantato da Mino Reitano alla
sociale ma che, grazie alla sceneggiatura scritta con nostra Italia è un momento di cinema da togliere
piglio quasi documentaristico da Bruno e Falcone il fiato. Uno degli amarissimi momenti di un film
ed alla bravura degli attori, in Viva l'Italia scorre sul che, come nella tradizione della migliore commedia
grande schermo come un irresistibile carosello di all'italiana, vengono incastonati in maniera stramalcostumi e nefandezze uniche nella loro tragico- ordinariamente efficace in un contesto che vuole
micità, capaci di strappare una vagonata di risate soprattutto far ridere ma non senza regalare uno
ed anche qualche momento di pura commozione. spiraglio di luce alla fine del tunnel. Forse aveva
Provate per un momento a pensare ad un politico, ragione lui, Reitano, forse il sole è nato veramenad uno qualsiasi di quelli che vediamo nei TG e nei te qui, in quest'Italia che profuma di oleandri e di
talk-show, e provate ad immaginare cosa accadreb- perché.
Luciana Morelli - Movieplayer.it
Venuto al mondo
regia:
Sergio Castellitto
interpreti:
Gennaio 2013
lun 21 ore20.45
mar 22 ore21.00
merc23 ore 21.15
C
om’è difficile restare indifferenti alla prosa
di Margaret Mazzantini - che ci si lasci trasportare e anche travolgere dal suo gusto forte o
che, come fanno quelli che hanno l’aria di saperla
lunga, si ostentino alzate di sopracciglio - così sarà
difficile restare indifferenti, sottrarsi all’emozione
vedendone la traduzione cinematografica firmata
dal marito Sergio Castellitto.
Che piaccia o meno il risultato. Tutta la trama non
si può raccontare perché è complicata e per non
privare chi non abbia letto il romanzo di una forte
componente di sorpresa. La storia viaggia su tre
tempi.
Il primo, siamo nel 1984 delle Olimpiadi invernali,
è quello in cui la ragazza Gemma mette piede per
la prima volta a Sarajevo per la sua tesi di laurea su
un poeta bosniaco: conosce l’esuberante Gojko che
le fa da guida e la sua banda di amici artisti, tra i
quali il fotografo americano Diego, contagiosamente infantile, ed è amore a prima vista. Il secondo
tempo è il 1992, quando la coppia interrompe la
felice bohème romana per accorrere in aiuto degli
amici sotto le bombe del feroce assedio. Il terzo è
poco meno di vent’anni dopo. Quando Gemma, ingrigita ma più che mai “bella donna italiana” come
l’ha ribattezzata Gojko, viene inaspettatamente
chiamata proprio da Gojko che la invita per l’allestimento di una mostra delle fotografie di Diego.
Questa volta Gemma parte con suo figlio Pietro e
lascia a casa il marito, che è un ufficiale dei carabinieri. In mezzo è successo di tutto, e proprio
intorno a quel figlio.
Che non sappiamo esattamente di chi sia, sappiamo
che Gemma è sterile, ma prima della rivelazione finale della verità le piste ci hanno condotti - nell’inferno di Sarajevo durante la maledetta primavera
del ’92 - in diverse direzioni. I piani temporali si
intersecano. L’impianto è evidentemente e scopertamente melodrammatico.
Come Il dottor Zivago. Piena legittimità e dignità,
non dovrebbe neanche esserci bisogno di puntualizzarlo e c’è poco da fare gli schizzinosi. L’impressione che passa, per chi conosca il libro (caso in
cui è autorizzato il confronto), è che qualcosa del
suo vigore vada se non perso un po’ disperso.
Può darsi che un po’ per esempio dipenda dall’enfasi che il calore ridondante del personaggio di
Gojko assume nell’incarnarsi in un attore, Adnan
Haskovic, peraltro efficace.
Può darsi che un altro po’, e anzi è proprio su
questo fronte che va più puntato il dito, dipenda
da Diego (Emile Hirsch), la cui caratterizzazione
all’insegna dell’esaltazione sfiora parecchio il rischio dell’americanata molto esteriore. E il dubbio
viene accentuato dalla competizione con Penelope
Cruz, che è Gemma come già era stata Italia in Non
ti muovere. Cruz, cui la maturazione (ma ha solo
38 anni) più il trucco del terzo piano temporale del
13
Penelope Cruz, Emile Hirsch, Adnan
Haskovic, Pietro Castellitto, Saadet Aksoy, Luca De
Filippo, Sergio Castellitto, Jane Birkin, Mira Furlan,
Branko Djuric, Isabelle Adriani, Sanja Vejnovic, Luna
Mijovic, Juan Carlos Vellido, Milan Pavlovic, Moamer
Kasumovic, Rijad Gvozden, Emina Muftic, Sven
Medvesek
anno: Italia 2012
genere: Drammatico
durata: 127'
racconto donano fascino da vendere, è interprete la tensione a favore delle cosiddette scene madri,
di statura, sensibilissima e mutevole, se stessa e quelle in cui si soffre, ci si innamora, si perde un fiper niente trasformata dal divismo hollywoodiano. glio o si è colpiti a morte da un cecchino. E' un gioNon era facile trovarle qualcuno accanto alla stes- co, spiazzante, un po' perverso, che colpisce nella
sa altezza. Se la cava con onore il ragazzo Pietro pancia e che, se ci si crede, non lascia alcuna treCastellitto, figlio di Margaret e Sergio, nei panni di gua. Il regista lo gioca con disinvoltura, forte della
Pietro trascinato con sé dalla mapresenza di un'attrice, Penelope
dre a Sarajevo, rimpiangendo da raCruz, che viene dalla scuola dei
gazzetto tirato su nella bambagia la Un film che parla
tourbillon emotivi almodovariani,
vacanza con gli amici in Sardegna. al cuore.
e di un attore, Emile Hirsch, capaMentre Sergio riserva a sé la partice di variare all'infinito nella parcina del carabiniere solido rifugio per una donna titura dei sentimenti. E' proprio il personaggio di
e un bambino piovuti dalla tragedia. Cospicuo im- quest'ultimo, solido nell'assolutezza del suo amore
pegno produttivo. Commovente malgrado qualche ma fragile di fronte al male del mondo, a incarnanota troppo strillata. Ma viva la faccia di un po’ di re l'obiettivo e insieme la caratteristica principale
esagerazione.
del film: l'assenza di sovrastrutture.
Paolo D'Agostini - la Repubblica Stranamente, a una simile sincerità di intenti fa da
contrappunto una messa in scena evidente, quasi
teatrale, che trova la sua ragion d'essere nella piena aderenza ai canoni del melò.
un'opera fatta con il cuore il quarto film di Ser- Di questo genere che aiuta a spurgare le ferite, Vegio Castellitto, il cuore di un attore e regista nuto al mondo abbraccia tutti i cliché ad eccezione
che in poco più di due ore è riuscito a tradurre in della degenerazione in retorica. Sergio Castellitto,
immagini potenti, epiche, evocative, un romanzo insomma, punta solo alla verità dei personaggi, ai
nato dall'urgenza di raccontare i grandi archetipi quali resta fedele perfino quando affronta lo scomodo tema della impossibilità di mettere al mondo
della vita.
Secondo adattamento di un libro di Margaret Maz- un figlio.
zantini, dopo Non ti muovere, del 2004, Venuto al A differenza del libro, il film non indugia nella demondo punta dritto alla parte emozionale e quindi scrizione della frustrazione legata all'infertilità,
più recondita e pericolosa dello spettatore, narran- ma la illumina con pochi lampi di luce, rendendola
do una struggente storia d'amore sullo sfondo di funzionale alla storia. E allora Gemma che non riesce ad avere un figlio si fa metafora di un mondo
una guerra inumana e logorante.
Lo hanno fatto in molti al cinema, da Victor Fle- che alla vita spesso ha opposto la distruzione, l'anming ad Anthony Minghella, passando per David nullamento, la privazione. A contrastarla restano,
Lean e Jean-Pierre Jeunet. Castellitto, però, è vo- con decisione, i ricordi e i figli nostri e degli altri,
luto andare oltre, lasciando il conflitto sullo sfondo depositari di un ipotetico futuro migliore.
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ed eliminando le scene di raccordo che stemperano
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Skyfall
regia:
Sam Mendes
interpreti:
Daniel Craig, Judi Dench, Javier Bardem,
Ralph Fiennes, Naomie Harris, Berenice Marlohe,
Ben Whishaw, Albert Finney, Rory Kinnear, Ola
Rapace, Tonia Sotiropoulou, Helen McCrory
anno: USA, Gran Bretagna 2012
genere: Azione
durata: 143'
Gennaio 2013
lun 28 ore20.45
mar 29 ore21.00
merc30 ore 21.15
I
l nuovo inizio di Casinò Royale ha già sei anni. James Bond, al cinema, ne ha compiuti cinquanta
tondi tondi. E in un mondo che cambia, cresce e si
evolve a velocità esponenziali, era in qualche modo
necessario che l’agente segreto di Sua Maestà Britannica dovesse cambiare nuovamente pelle, per
rimanere sé stesso. Dovesse affogare dentro il suo
passato per riemergere alle soglie del futuro.
Che allora la sequenza di apertura di 007 Skyfall
sembri uscita di peso da un Bond-movie degli anni
Settanta con Roger Moore non sorprende; né che
quello stesso incipit turco [...] vada ancor più indietro quando, sul tetto di un treno, si va fino ai tempi
di Sean Connery. Perché è lì che Bond è destinato a
cadere dentro le paludi di sé stesso, e a ricominciare il viaggio verso il presente e quel che verrà.
Nelle mani di un Sam Mendes fortunatamente molto
più vicino (e non solo cronologicamente) a un film
come American Life che non ad altri suoi titoli più
blasonati, ovvero in grado di piegare la sua autorialità a un contesto che ne contenga le sporcature e
le esagerazioni, il 23esimo film del canone ufficiale
di James Bond racconta di una ricerca identitaria,
di una resurrezione che scaturisca dal produttivo
cortocircuito tra quel che si è (stati) e quel che non
si (ri)conosce più.
Ecco che allora 007 Skyfall è una sorta di veloce bignami di cinquant’anni di storia bondiana, nel quale lo 007 ruvido e problematico di Daniel Craig si
perde e si ritrova nel confronto con gli stili e i modi
di coloro che l’hanno preceduto, identificandosi
per contrasto e per analogia, anche attraverso l’uso
di un’ironia quasi iconoclasta, e proprio per questo rispettosissima. Nel corso di questa carrellata,
Mendes alterna stili e modi, senza timore di cadere
nel camp, prendendosi grossi rischi, abbracciando
un po’ goffamente azione e sensualità, con più agio
introspezione e sarcasmo, ma nel complesso appare
più che capace di soddisfare lo spettatore smaliziato e attento ai dettagli.
Quando però, reduce dal confronto col passato, il
suo Bond si ritrova frastornato, invecchiato e stanco, ecco che 007 Skyfall si trasforma in qualcosa di
completamente diverso, e di nuovo. Per sconfiggere
un cattivo, quello di un coraggioso Javier Bardem,
che come ogni Joker che si rispetti è il suo lato
oscuro, la sua nemesi speculare, James Bond è allora obbligato ad aggrapparsi tenacemente a pochi
e indispensabili punti fermi e a spingersi, letteralmente, nei luoghi delle sue personali radici. Proprio
come i protagonisti di American Life, deve ripartire
da dove tutto, perfino lui, era iniziato, per affrontare il futuro con la libertà di coloro che sanno essere
coerenti con sé stessi e la propria natura.
Tra un inseguimento e un’esplosione, un varano di
Komodo e un nuovo Q, tra un assedio western e un
Martini, tra una seduzione (non solo femminile…)
e un’Aston Martin DB5, Mendes e Craig, e il loro
14
Bond, hanno capito prima e meglio di tutti quale cola di non banali riferimenti (edipici e non) alla
sia l’antidoto ai rottamatori a tutti i costi, alle sfide tragedia classica, Sam Mendes (il regista Oscar di
di un presente la cui ansia di progresso si è tramu- «American beauty») guarda all’umanità di 007, cotata nella percezione utopistica
gliendo l’imprevista fragilità di
e sfalzata di una realtà irreale: L’agente speciale 007 un invincibile provato nel fisico
accettare le proprie contraddizionell’anima, per decretare
non invecchia mai. come
ni, affrontarle, non identificare il
- a mezzo secolo di distanza dal
rispetto del passato con un chiuso A dispetto del mezzo debutto - la resurrezione mosecolo trascorso, il
conservatorismo.
rale di un personaggio e di un
Perché solo chiudendo un cerchio soggetto della saga
genere aggiornato alle paure e
(vi) si può comprendere il presen- non sembra accusare alle insicurezze odierne. Girante, il nuovo e il futuro.
così, tra tormenti shakespeail passare del tempo. do
Federico Gironi
riani e lacrime d’autore (anche
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i miti piangono...), un film che
si domanda di continuo (e qui sta il genio dell’ina 50 anni, ma non li dimostra: anche se la mira tera operazione) se ha ancora senso fare un film
non è più quella di una volta, gli acciacchi si come questo. Trovando nel mix irresistibile di irofanno sentire e al Dom Perignon preferisce (sacri- nia pungente, doppi sensi (il copione è scritto molto e bene), eleganza (Bond si veste da Tom Ford,
legio!) la birra...
Ma, che vi piaccia o no, è sempre lui, oggi più che chiamalo scemo), azione, pragmatismo, cicatrici
mai: Bond, James Bond. L’agente segreto di sua ma- non rimarginate, avventure esotiche, introspezione
està il cinema che qualcuno vorrebbe pre pensiona- colta e donne più belle di un quadro di Modigliani,
re: perché sta diventando vecchio (capita anche ai la risposta che cercava. Maestoso (solo per l’insemigliori...) e nel mondo «nuovo» di oggi può essere guimento iniziale sono serviti 2 mesi di riprese e liun problema. Se c'è una cosa bella in «Skyfall», tri di Coca Cola versati nelle strade di Istanbul per
l’ultra celebrativo (citazioni come se piovesse) e evitare che le moto slittassero...) e seducente, con
riuscitissimo 23° capitolo delle avventure di 007, è uso moderno anche se spudorato del product placeproprio questa: l’insistita e ostinata affermazione di ment (moltissimi i marchi pubblicizzati: però che
una possibile attualità dell’universo (etico ed este- spreco distruggere tutti quei Maggiolini...), il Bond
tico) bondiano, là dove l’era digitale, il 3 D, il cyber movie più maturo di sempre ha un incipit cinetico
terrorismo e i gadget telefonici sembrano afferma- per poi lasciare 007 affrontare, oltre agli spettri del
re esattamente il contrario. E allora ecco lo scon- suo passato, un’ex spia (Bardem, formidabile) che
tro tra epoche, tra differenti e opposte visioni del minaccia la vita di M. Restando in perfetto equilimondo. Che non è più trasparente, chiaro, definito brio tra passato (l'Aston Martin argentata) e futuro
come una volta: ma opaco, infido, confuso, smarrito (il nuovo Q): nella certezza che là dove il rimorso
nella nebbia, nell’ombra. Tanto da mettere a dura è un gioco da principianti, la «vecchia maniera» è
prova gli eroici cuori infiacchiti dal tempo e dal fato ancora la migliore.
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