purgatorio-intro enzo 2015

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purgatorio-intro enzo 2015
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INTRODUZIONE AL PURGATORIO
Enzo Noris
«Questo Purgatorio è lo specchio della vita e della realtà umana, piena di dubbi e di incertezze»
Adriana Mazzarella, Alla ricerca di Beatrice. Il viaggio di Dante e l’uomo moderno, La biblioteca di Vivarium, 20104, p. 245
Rispetto all’Inferno e al Paradiso, il Purgatorio viene definito e sistematizzato più tardi, concepito come
“luogo intermedio” tra dannazione e redenzione. Quello che ha portato alla nascita del Purgatorio, così come
normalmente lo intendiamo, è il risultato di un percorso complesso ed affascinante ricostruito magistralmente
dallo storico francese, recentemente scomparso, Jacques Le Goff. Partiamo proprio dalle sue parole.
La nuova geografia dell’aldilà: un terzo luogo, il purgatorio.
«L’aldilà cristiano bipolare rimase pressoché invariato fino al XII secolo, quando grandi mutamenti religiosi
e sociali sfociarono nella nascita di una nuova società che trasformò la propria visione del mondo, non
soltanto quaggiù ma anche nell’aldilà. Sant’Agostino aveva diviso gli uomini in quattro categorie: i «del
tutto buoni» destinati al paradiso; i «del tutto cattivi» spediti all’inferno; i «non del tutto buoni» e i «non del
tutto cattivi» per i quali non si sapeva bene che genere di sorte Dio avesse in serbo. Si pensò che i defunti
che, morendo, avevano sulla coscienza soltanto peccati «leggeri» se ne sbarazzassero dopo la morte subendo
«pene purgatorie» attraverso un «fuoco purgatorio» simile al fuoco infernale e situato in certi «luoghi
purgatori». L’individuazione di questi luoghi restava assai vaga. Alla fine del VI secolo Gregorio Magno
pensò che potessero trovarsi sulla terra, ma la soluzione più frequentemente adottata fu quella di distinguere
all’interno dell’inferno una Geenna inferiore, l’inferno propriamente detto da cui non si usciva mai, e una
Geenna superiore dalla quale, dopo un periodo più o meno lungo di supplizi e di purgazione, si poteva
ascendere al paradiso. Nella seconda metà del XII secolo si inventò un luogo indipendente per questi eletti
rimandati, il purgatorio. Fu il «terzo luogo dell’aldilà», intermedio fra il paradiso e l’inferno, che sarebbe
scomparso al momento del Giudizio finale, ormai svuotato dei suoi abitatori, tutti saliti in cielo. La durata del
soggiorno in purgatorio dipendeva da tre fattori. In primo luogo, era proporzionale alla quantità di peccati
(ormai chiamati «veniali», ossia riscattabili, per contrasto con i peccati mortali irredimibili che non potevano
evitare l’inferno) che pesavano sul defunto al momento della morte. Poi, dipendeva dai «suffragi» (preghiere,
elemosine, messe) che alcuni vivi, parenti o amici, pagavano per abbreviare il tempo di purgatorio di certe
«anime». Infine, la Chiesa, dietro pagamento in denaro, poteva ottenere il riscatto integrale o parziale del
tempo di purgatorio che restava da scontare ad alcuni defunti. Si trattava di quelle «indulgenze» di cui la
Chiesa, a partire dal Duecento, fece un commercio sempre maggiore. Il purgatorio, per finire, era a senso
unico. Se ne usciva soltanto per andare in paradiso. Non si poteva «retrocedere» verso l’inferno. Grande fu
l’importanza di questo terzo luogo, che svuotava parzialmente l’inferno e sostituiva il sistema binario
dell’aldilà con un sistema più complesso e più elastico, conforme all’evoluzione degli «statuti» sociali
terreni, e che fu ampiamente diffuso dai frati degli ordini mendicanti creati all’inizio del Duecento
(domenicani, francescani). L’“invenzione” del purgatorio […] accrebbe in modo considerevole il potere sui
morti [ma anche sul denaro dei vivi…] della Chiesa (che nel Duecento trasformò l’esistenza del purgatorio in
2
dogma) in quanto, tramite i suffragi e le indulgenze che erano di sua pertinenza, essa estese all’aldilà del
purgatorio un potere giurisdizionale che, in precedenza, era appartenuto soltanto a Dio».1
«L’inferno dantesco è il purgatorio dei visionarii che lo precedettero, i quali, essendo partiti dall’unità delle
sedi delle anime punite e svolto con un’ampiezza senza confronto maggiore le rappresentazioni delle pene
temporanee, non potevano immaginare un’inferno che non fosse una ripetizione più o meno accresciuta ed
esagerata del purgatorio. L’Alighieri arriverà a una concezione ben distinta dei tre regni: ma vi arriverà, non
già aggiungendo una rappresentazione particolareggiata del baratro di Satana, ma informando a un concetto
assolutamente diverso il purgatorio, ossia facendone, come ho già detto altrove, una specie di scala al
paradiso.
Sebbene non solo la bipartizione tra Inferno e Paradiso ma anche l'individuazione di un terzo regno
intermedio esistesse già tra i pagani, e il Purgatorio fosse stato codificato nell'ambito di quella letteratura di
visione detta “odissea monastica”, fu Dante a informare la struttura del “Fuori del mondo” ad un concetto
assolutamente nuovo collocando il Purgatorio non più sotterra, ma strutturandolo quale scala al Paradiso
forse per influsso della Regola di Benedetto. La scala, immagine che nasce in ambito orientale come
esplicitamente connessa al cielo (Gn 28, 12), diviene in occidente emblema della purgazione dalle passioni
(le visioni tra il VI-XII secolo), allorché sempre più si codifica la tipologia dell’astripeto regno, secondo le
tappe già magistralmente disegnate da Le Goff: a partire dalla visione di Drythelmo, che presenta nel
racconto un luogo “riservato specificatamente alla purgazione insieme con la definizione rigorosa della
natura di tale luogo”, attraversando il XII secolo, allorché il fuoco è fuoco infernale come anche purgatoriale,
fino al Purgatorio di S. Patrizio (alias Pozzo di S. Patrizio) che “rappresenta in qualche modo l’atto di nascita
letterario del Purgatorio”».2
Il Purgatorio di san Patrizio
«Leggenda medievale, originata da una credenza popolare, elaborata dal cisterciense Enrico di Saltrey (o
Saultrey): Cristo indica a s. Patrizio, il celebre vescovo irlandese (370 c. - 461), trasformato dalla leggenda
(cfr. la Vita Tertia del santo) in eroe taumaturgo, un pozzo (secondo la tradizione una caverna in un isolotto
del lago Derg, o Lago Rosso, nella contea Donegal), attraverso il quale un cavaliere divenuto religioso entra
nell'oltretomba, percorrendo la valle dell'Inferno, assistendo a varie pene e tormenti demoniaci, per poi
giungere a una montagna dove numerose anime giacciono in perfetta immobilità sinché non sopravviene una
bufera che le scuote e abbatte; infine il santo perviene a un prato amenissimo dove vivono le anime del
Paradiso.
Il Tractatus di Enrico di Saltrey, scritto tra il 1170 e il 1185 circa, venne tradotto in versi da Maria di Francia
nell'Espurgatoire Saint Patriz in un'epoca immediatamente successiva. Una versione abbreviata del racconto
si trova anche nella Legenda Aurea di Iacopo da Varazze. La leggenda venne utilizzata inoltre da Alberico da
1
Da Dizionario dell’Occidente medievale, Einaudi alla Voce: Aldilà , a cura di Jacques Le Goff . Per la ricostruzione
completa delle origini e dello sviluppo del Purgatorio vedi, dello stesso autore, il saggio: La nascita del Purgatorio,
Torino, Einaudi, 1982
2
Claudia di Fonzo in: http://www.danteide.net/claudia_di_fonzo.html
3
Rosciate nel suo proemio generale al Purgatorio (del resto Alberico ricorda la leggenda anche nel suo
Dictionarium iuris).
Il Purgatorio di san Patrizio è una delle leggende agiografico-escatologiche che sono state indicate come
presumibili fonti della Commedia di Dante, circostanza che ora la critica tende a revocare in dubbio, non
perché a Dante potesse essere ignoto il testo (che del resto circolava da tempo in Italia), ma in quanto è
impensabile che questa o altra leggenda potessero esercitare un effettivo concreto influsso sulla memoria e le
intenzioni narrative di Dante».3
Il tempo del/nel Purgatorio
Il Purgatorio, “terzo luogo” tra Inferno e Paradiso, è nel tempo: nella seconda cantica la dimensione
temporale è sottolineata fortemente. Non solo perché il Purgatorio non è eterno e quindi, dopo il Giudizio
universale, non avrà più ragione di esistere, ma soprattutto perché il tempo è indispensabile al percorso di
espiazione che i penitenti compiono lungo le cornici purgatoriali, per salire al paradiso terrestre e poi a quello
celeste.
Infine perché Dante stesso è soggetto, nel Purgatorio, alla legge della “santa montagna” che Virgilio gli
illustra: si può salire solo di giorno mentre di notte ci si deve fermare per riposare. Questa “legge” è la legge
della vita biologica, non solo di quella etica e spirituale.
«Quindi la “religione de la montagna”, l’ordine che tiene unito il Purgatorio, è l’espressione esteriore delle
trasformazioni che avvengono all’interno della psiche».4
Tutto ciò mette in risalto la dimensione concreta dell’essere umano, in particolare del corpo e delle sue
esigenze, superando la tentazione dello spiritualismo e del dualismo manicheo.
Il tempo è inoltre alimento indispensabile alla speranza in quanto non solo la nutre ma la rende possibile e
sensata. L’Inferno è il luogo della di-sperazione: tutto è compiuto, le scelte fatte sono irrevocabili, non c’è
spazio per il ravvedimento e il perdono: è la fissità del male, la sclerosi del cuore, la nevrotica coazione a
ripetere, la morte dell’umano). Il Purgatorio invece è il luogo della conversione, del cambiamento.
Il viaggio di Dante e Virgilio nel Purgatorio dura quattro giorni e si svolge dalla domenica di Pasqua – il
giorno della Resurrezione di Gesù – al mercoledì del tempo pasquale: un giorno, quello di Pasqua, nell’antipurgatorio; due giorni sul monte del Purgatorio; il quarto giorno, il mercoledì, nel Paradiso terrestre.
Tutta la seconda cantica è disseminata di notazioni temporali, con riferimenti al sorgere e al tramontare del
sole e a splendide notti stellate. La natura sembra accompagnare benevola il percorso di “guarigione” che
Dante – come ciascuno di noi – è chiamato a compiere verso la piena integrazione del sé.
3
Ludwig Bieler, Il Purgatorio di san Patrizio, in Enciclopedia Dantesca (1970).
Vedi: http://www.treccani.it/enciclopedia/purgatorio-di-san-patrizio_(Enciclopedia-Dantesca)/
4
Adriana Mazzarella, Alla ricerca di Beatrice, La biblioteca di Vivarium, 20104, p. 307
4
Lo spazio del Purgatorio: collocazione ordinamento morale
Dante immagina il Purgatorio come una montagna che si innalza su un’isola, l’unica terra emersa
nell’emisfero delle acque, quello australe. Rispetto a Gerusalemme, là dove era collocata la “selva oscura” e
l’ingresso all’Inferno, l’isola del Purgatorio si trova agli antipodi.
Singolare l’accostamento delle due immagini: la montagna e le acque. La prima con la sua solidità materica,
ferrigna, petrosa, allude allo sforzo fisico della scalata e a quello spirituale dell’elevarsi, del passare da un
piano ad un altro. La seconda rimanda all’elemento liquido, informe, ambiguo perché contiene in sé l’idea
della purificazione e del lavacro ma anche quella dell’abisso che può sommergere e travolgere. Nel
Purgatorio Dante sintetizza questi due elementi, la montagna e il mare, il verticale e l’orizzontale, lo spazio e
il tempo, in una costruzione solida, compatta, originale.
La descrizione poetica di questo luogo materializza l’idea che Dante aveva del “locus purgatorium”.
Interessanti sono i riferimenti alla Scrittura che le due immagini suggeriscono; quella della montagna
richiama una serie di altri monti: nell’Antico Testamento il monte Moria, dove Abramo avrebbe sacrificato il
figlio Isacco ma fu fermato dall’angelo; l’Oreb, il Sinai, il monte sul quale Mosè incontra Dio nel roveto e
riceve in consegna le tavole della Legge. Nel Nuovo Testamento il monte è quello del celebre discorso della
montagna, dove Gesù consegna la nuova Legge, quella delle beatitudini, la Legge dell’amore; oppure il
Tabor, il monte della trasfigurazione di Gesù alla presenza di Pietro Giacomo e Giovanni; o quello dove
Gesù, cacciato fuori dalla città, viene crocifisso, il Golgota o monte Calvario; e ancora il monte
dell’ascensione, dove Gesù risorto si congeda dai suoi per essere presente tra gli uomini, d’ora in avanti, fino
alla fine dei tempi.
Altrettanto ricca di riferimenti biblici l’immagine delle acque. Le acque che circondano la montagna e la
separano dalle terre emerse dell’emisfero opposto, sono l’emblema della distanza che separa la colpa dal
pentimento e dal perdono. Sono le grandi acque del diluvio ma anche quelle che gli Israeliti, grazie a Mosè e
al “suo” Dio, attraversano a piedi asciutti per proseguire il loro viaggio verso la terra promessa. Sono le
stesse grandi acque che travolgono il Faraone, i suoi cavalieri e i suoi carri.
Il mare del’odio, della violenza e della malvagità si attraversa solo con la fede e l’umiltà di chi “pentendo e
perdonando”, si riconcilia con se stesso, con gli altri e con Dio – come spiegano a Dante i morti di morte
violenta (Pg V: “sì che, pentendo e perdonando fuori di vita uscimmo a Dio pacificati...”).
Sono le acque in tempesta del mare di Tiberiade, che richiamano il caos primordiale ma che ubbidiscono,
placandosi, agli ordini di Gesù.
Il percorso che Dante e Virgilio compiono nell’Inferno segue una linea retta che scende a spirale verso il
centro della terra; qui, dopo aver “attraversato” Lucifero-Satana aggrappati al suo corpo mostruoso, superato
un passaggio angusto che termina in un “pertugio tondo”, i due escono a “riveder le stelle”.
Il loro è uno scendere per risalire.
Alla montagna del Purgatorio non si arriva navigando, cioè confidando su mezzi umani. Nessuno può
attraversare queste acque perché lo decide autonomamente, ritenendosi capace di farlo. Ci ha provato Ulisse
ma il suo viaggio è fallito ed ha causato la morte anche ai suoi compagni.
5
Dopo aver atteso il loro turno presso le foci del Tevere, là dove il Tevere “si insala”5, le anime espianti si
imbarcano sopra uno strano vascello guidato da un angelo nocchiero. Questa barca non è mossa da remi o
spinta da vele ma viaggia velocissima con la forza propulsiva della ali dell’angelo, immagine della Grazia
divina.
Dante e Virgilio ci arrivano invece via terra, anzi via centro-della terra.
L’idea poi del Purgatorio come “santa montagna”, davvero originale, richiama direttamente la fatica
dell’ascesa-ascesi, la fatica del cambiamento, con quello che comporta di impegno, di sforzo prolungato
necessario per avviare e portare a termine il cammino di conversione.
Dal modello “orizzontale” (e in discesa) dell’Esodo, che aveva caratterizzato l’Inferno, Dante passa
gradualmente nel Purgatorio al modello “verticale” (e in salita), che ha sullo sfondo il riferimento scritturale
al Nuovo Testamento (in particolare ai Vangeli e all’Apocalisse).
Questa transizione dai modelli dell’Antico a quelli del Nuovo Testamento è rappresentata nel racconto dalla
scomparsa di Virgilio, autore del libro dell’Esodo dei Troiani, che si congeda da Dante sulla soglia dell’Eden,
la Terra Promessa, ma non vi può entrare: Virgilio come un Mosè pagano.6
Se l’Inferno aveva sullo sfondo il modello concettuale, filosofico dell’Etica a Nicomaco di Aristotele, il
Purgatorio –pur mantenendo alcune analogie relative alla simbologia numerica (il 9: il numero della regia
divina) – ha sullo sfondo le Beatitudini del “discorso della montagna”, vale a dire il cuore del vangelo di
Gesù. Il “vangelo dell’amore”.
Lo stesso ordinamento morale del Purgatorio si basa, come spiega Virgilio, sulla “legge dell’amore”, distinto
in amore indirizzato ad un oggetto sbagliato (per malo obietto), amore troppo forte per un bene o amore
troppo fiacco.
Così i sette peccati capitali che le anime espiano lungo le sette cornici purgatoriali sono “letti” in positivo,
come se di loro Dante volesse sottolineare la sequenza che conduce verso il vero amore, quello autentico,
innocente, che prepara l’incontro con l’Amore “che move il sole e l’altre stelle” del Paradiso.
Per questo Dante a sua volta potrà assumere coscientemente le sette “P” che l’Angelo portiere gli incide sulla
fronte (Pg IX, 112 s.), per prendersi carico della sua ombra personale, che deve trasformare.7
Il contrappasso agito, non solo osservato
A differenza dell’Inferno, nel quale Dante assiste alle pene del contrappasso dei dannati e vede in esse la
proiezione quasi materializzata dell’abiezione nella quale l’uomo può cadere per sua colpa, nel Purgatorio
Dante stesso –in qualche modo– è chiamato ad assumere su di sé il contrappasso per purificarsi delle
proprie inclinazioni al male. Ne sono un indizio il soggiorno prolungato per tre canti lungo la cornice dei
Superbi (Dante riconosce di essere superbo) e soprattutto il muro di fuoco che separa la cornice dei
Lussuriosi dal Paradiso terrestre, muro di fuoco che anche Dante deve decidersi ad attraversare.
5
6
Cfr. Pg II, 101: “dove l’acqua di Tevero s’insala”
Jeffrey T. Schnapp, Trasfigurazione e metamorfosi nel «Paradiso», in: Dante e la Bibbia, Atti del convegno
internazionale di Firenze, 26-27-28 settembre 1986, Firenze Olschki, 1988, pp. 273 ss.
7
Adriana Mazzarella, op. cit., 282 s.
6
Ma mentre nell’Inferno il contrappasso è costituito da una sofferenza ripetitiva, nevrotica, fissata,
improduttiva, nel Purgatorio le anime espianti soffrono “liete” nella consapevolezza che passare attraverso
questa sofferenza serve per accedere ad una condizione di umanità matura.
Centrale nella Commedia in generale, come nel Purgatorio in particolare, la riflessione sulla libertà
dell’uomo, sul “libero voler” che caratterizza l’antropologia dantesca.
Nel canto XVI, quello di Pietro Lombardo, troviamo i passi più illuminanti per comprendere questo
concetto....
“liberi soggiacete” (XVI, 80)
La corporeità umana e cosmica
Nel mondo dantesco non vi è un’interiorità chiusa, ma solo un’interiorità che si esprime, un’interiorità che si
mette in relazione.
La sfera dell’aldilà è la sfera dell’apertura. La struttura del corpo e la struttura del cosmo hanno questa
caratteristica di fondo in comune: l’espressione.
«Ovunque, in Dante, ciò che è interiore diventa evidente, visibile, udibile, afferrabile con le mani. Ovunque
si passa direttamente dalla corporeità manifesta all’interiorità dell’anima. Ogni cosa è umana in un senso
quasi elementare»8
In Dante tutto è pubblico, né la sfera privata si sottrae a questa regola. Sentimenti e idee, interiorità e
intimità, il senso del sacro e del prezioso, sono congiunti alla parola e alla forma, le quali proprio in quanto
portatrici di tale mistero – assumono un’impressionante valenza simbolica.
Ricapitoliamo:
CORPO MORTALE

facoltà vegetativa

facoltà sensitiva

facoltà intellettiva
CORPO AEREO
CORPO GLORIOSO
facoltà intellettiva
perfezione dell’essere
e dell’identità personale
MORTE
FINE DEL MONDO
Giudizio provvisorio
Giudizio finale
(giudizio individuale)
(giudizio universale)
Vita terrena
Inferno e Purgatorio
Paradiso
TEMPO
TEMPO
ETERNITA’
8
Romano Guardini, Corpo e corporeità nella “Commedia”, in Studi su Dante, Morcelliana, Brescia, 19863, pp. 223 ss.
7
Il corpo aereo (un corpo “intermedio”) è espressione pura. È l’auto-trasferirsi dell’anima nella realtà
visibile. È la manifestazione della “verità” dell’anima.
Nell’Inferno il corpo intermedio è brutto, malvagio, oscuro; in alcuni casi prende forme corporee di altro
genere: v. gli uomini-albero nella selva dei suicidi o gli uomini-fiamma consiglieri fraudolenti.
Ma anche in questi casi sussiste l’esigenza di un corpo-espressione: parola, suono, movimento...
Nel Purgatorio la corporeità è bella, luminosa, lieta ma non è ancora passata nell’essere: cfr. il triplice
abbraccio mancato tra Dante e Casella.
Nel Paradiso il medium con cui l’anima plasma il proprio corpo è la luce.
I “corpi aerei”
Nel canto XXV Purgatorio Dante avvertirà l’esigenza di illustrare meglio la pena del contrappasso per
chiarire, a se stesso e ai lettori, come sia possibile che le anime avvertano le sofferenze loro inflitte dalla
giustizia divina: quelle infernali assegnate e subite senza rimedio per l’eternità, quelle purgatoriali finalizzate
all’espiazione e alla purificazione per un tempo stabilito.
Per chiarire il contrappasso Dante farà illustrare a Stazio, su invito di Virgilio, la dottrina della generazione e
dei “corpi aerei”: sia le anime dannate sia quelle degli espianti percepiscono vere e proprie sofferenze in
quanto “qualcosa” della loro corporeità permane – proprio a questo scopo - anche dopo la morte fisica.
Notevole l’espediente linguistico che Dante “inventa” per spiegare questo concetto: l’espressione ossimorica
“corpi aerei” rende l’idea in maniera straordinariamente efficace.
Ma l’espressione “corpi aerei” si presta ad essere interpretata ed estesa anche alla condizione di ciascun
essere umano, in questa vita. Anche noi siamo “corpi aerei” in quanto avvertiamo l’esigenza di soddisfare le
necessità corporali – ed abbiamo il dovere di prenderci cura del nostro corpo – ma nello stesso tempo
avvertiamo la necessità di “nutrire” anche la nostra interiorità, di prenderci cura della nostra spiritualità, di
elevarci al di sopra della pura “animalità”.
L’ombra di Dante
In numerosi passi del Purgatorio Dante racconta che le anime espianti si meravigliano – e a volte si
spaventano – per il fatto che il pellegrino proietti la sua ombra sul terreno, proprio perché sta compiendo il
suo viaggio in carne ed ossa.
Questo dettaglio, apparentemente marginale, ribadisce invece l’importanza che la corporeità mantiene lungo
tutta la Commedia. È nel corpo e con il corpo che siamo chiamati a compiere il percorso che ci condurrà,
dopo la morte e il Giudizio, ad essere assunti alla felicità piena del Paradiso.
Anche qui infatti il corpo mantiene la sua importanza, anzi riacquista quella dignità originaria che il Creatore
gli aveva assegnato plasmandolo con le sue stesse mani come il vasaio.
«Anche nel Purgatorio dante porta con sé la sua parte corporea, che è quella che proietta l’ombra. L’ombra
fisica è analogica all’Ombra psicologica, rappresenta cioè tutte quelle limitazioni o cattive abitudini,
conosciute nell’Inferno, a cui la personalità umana è sottoposta. Ma l’Ombra psicologica porta con sé anche
le potenziali capacità creative rimaste finora imprigionate o inconsce.
Oggetto di meraviglia in ogni balza del Purgatorio da parte delle anime espianti, l’ombra rappresenta i limiti
che il corpo pone alla libertà dell’uomo, limiti visualizzati dal lume della coscienza, rappresentato dal sole».
8
«L’Ombra è dunque il compagno naturale che segue sempre l’uomo e con cui egli deve imparare a convivere
se non vuole restarne prigioniero.
L’uomo senz’ombra è il dannato dell’Inferno: questi è nell’ombra e si identifica con essa. È l’uomo che non
ha saputo assumersi la responsabilità delle proprie tendenze pulsionali e ha perso i suoi valori morali
diventando come un animale da preda affamato».
«Cosa significa, per ciascuno di noi, la situazione espiatoria del Purgatorio? Nel corso della vita, usciti dallo
stato di ignavia (Antinferno), ci troviamo di fronte a ostacoli e ombre (attaccamenti a oggetti, persone,
situazioni) che impediscono il nostro procedere (Inferno). Per liberarci da tali identificazioni e proiezioni
dobbiamo staccarci da esse e guardarle oggettivamente: le situazioni restano quello che sono (stato eterno
dell’Inferno) ma la coscienza muta. Questo processo di distacco dalle proiezioni è penoso (pene simboliche
degli espianti che seguono la legge del contrappasso) in quanto è sempre doloroso abbandonare o mutare
qualche cosa di sé.
Si accetta così il dramma della vita. Non si soffre più per la prigione della nevrosi, cioè per situazioni
unilaterali (Inferno), ma si accetta la sofferenza come riscatto della coscienza».9
L’esemplarità dei vizi e delle virtù: meccanismi mimetici nel male e nel bene
Le anime degli espianti lungo le cornici contemplano esempi sacri e profani in due serie: quella degli esempi
positivi, il primo dei quali riguarda sempre Maria, e quella degli esempi viziosi da evitare. I primi
rappresentano “le buone pratiche” di coloro che hanno esercitato le virtù; i secondi sono comportamenti
negativi, i vizi, di segno contrario rispetto alle virtù.
Tutti questi esempi si presentano in modalità diverse: ora sono bassorilievi scolpiti mirabilmente sulle pareti
della cornice o sul pavimento, ora sono voci o visioni esterne o interiori.
Il fatto che il primo exemplum positivo sia sempre tratto dalla vita di Maria, indica probabilmente lo stato di
ricettività, di accoglienza con il quale l’anima espiante deve meditare queste visioni (cfr. le parole di Maria
all’arcangelo Gabriele: “Ecce ancilla domini; fiat mihi secundum verbum tuum” in Luca 1, 38).
Il Purgatorio cantica “liturgica10”
Per accompagnare le tappe del cammino di espiazione acquistano importanza fondamentale i gesti e i
simboli; i gesti hanno valore simbolico perché rendono evidente, manifestano all’esterno, l’intenzione del
cuore. Ancora una volta i gesti danno valore al corpo.
Alcuni di questi gesti sono: l’inginocchiarsi, il lavarsi il viso, il cingersi con il giunco, l’abbassare lo sguardo,
l’abbraccio ripetuto, il saluto riverente, la richiesta di preghiera, la preghiera corale, il canto corale, la salita
dei tre gradini sulla soglia del Purgatorio (contritio cordis, confessio oris, satisfactio operis), il battersi il
petto, il farsi il segno della croce, la processione mistica, l’immersione rituale nel Letè, l’abbeverarsi
nell’Eunoè.
9
Adriana Mazzarella, Alla ricerca di Beatrice, La biblioteca di Vivarium, 20104
10
Erminia Ardissino, “Pregar pur ch’altri pieghi” (Purg. VI, 26). Richieste di suffragio nel Purgatorio, in Preghiera e
liturgia nella Commedia. Atti del convegno internazionale di studi, Ravenna, 12 novembre 2011, Centro dantesco dei
Frati minori conventuali, Ravenna, 2013, pp. 45 ss.
9
La comunione dei santi: “ché qui per quei di là molto s’avanza”(III, 145)
In particolare la speranza si esprime attraverso la preghiera: preghiera che le anime espianti innalzano in
forma corale, all’unisono, mostrando con il canto ad una voce la loro ritrovata comunione.
Oltre a queste preghiere, inni, salmi e cantici spirituali11 acquista particolare rilievo la preghiera di suffragio,
quella cioè che i vivi innalzano per le anime defunte, nella convinzione di poter loro abbreviare la
permanenza purgatoriale ma anche preghiera delle anime espianti per i vivi, affinché possano “meritarsi”
l’accesso dopo la morte al Purgatorio o al Paradiso (cfr. la preghiera dei superbi in XI, 22 ss.).
Si tratta del più generale tema dei suffragi, messo a punto nello stesso periodo in cui si formalizzò la dottrina
del Purgatorio, in stretta correlazione con l’evento straordinario del Giubileo, il primo della storia, indetto da
papa Bonifacio VIII nel 1300.
Tralasciamo gli abusi legati alla vendita delle indulgenze, che non hanno certo giovato alla comprensione e
alla valorizzazione della reale relazione che si mantiene tra i vivi e i morti anche grazie alla preghiera e alle
opere di carità.
I sogni del Purgatorio
Nel Purgatorio Dante ci parla di tre sogni, collocati nei canti IX XVIII e XXVII (secondo la ricorrente
numerologia del 9), in corrispondenza di importanti “passaggi iniziatici”.
Il primo sogno quello dell’aquila-Lucia che trasporta Dante dinnanzi alla porta del Purgatorio; il secondo è
quello della “femmina balba”,che descrive il meccanismo della proiezione e richiama i temi dell’Eros e
dell’Amore spiegati nei canti precedenti; il terzo quello di Lia e Rachele, che richiama simbolicamente la
relazione tra azione e contemplazione, prepara l’ingresso al Paradiso Terrestre.
Se il Purgatorio è la cantica dei sogni il Paradiso sarà la cantica delle visioni mistiche e dell’incontro con il
mistero della Trinità divina.
I colori del Purgatorio: il bianco, il verde, il rosso,il grigio, il nero e altre tinte pastello...
Dolce color d’oriental zaffiro
I colori dei tre gradini d’ingresso al Purgatorio
I fiori e il verde della valletta dei principi negligenti
L’ingresso nel Paradiso terrestre, l’Eden ritrovato
Dante e il dovere della testimonianza: Beatrice parla chiaro
XXXII, 103 ss.
“però, in pro del mondo che mal vive,
al carro tieni or li occhi, e quel che vedi,
ritornato di là, fa che tu scrive”
XXIII, 52 ss.
“Tu nota; e sì come da me son porte
così queste parole segna a’ vivi
del viver ch’è un correre a la morte”
11
Cfr. Colossesi 3, 16
10
Conclusione
Il viaggio attraverso i “tre regni” dell’oltretomba che Dante racconta, rappresenta anche il suo percorso
esistenziale e la sua maturazione interiore: da una concezione della giustizia divina modellata su quella
umana (ad ogni colpa corrisponde una punizione; i malvagi sono puniti e i giusti premiati), che corrisponde
all’Inferno e ad una visione legalistica della religione, Dante passa – nel Purgatorio – ad assumere
gradualmente una visione meno giudicante e “farisaica” della Legge, cominciando a capire come tutti sono e
siamo peccatori, che nessuno può giudicare gli altri ma solo Dio, che anche le colpe più gravi possono essere
perdonate là dove c’è pentimento (pure tardivo).
Gli occorrerà arrivare poi, nei cieli del Paradiso e con un'altra guida rispetto a Virgilio, a comprendere che la
Legge è superata e compiuta nell’amore, che l’Antico testamento si compie nel Nuovo, che la morte e
resurrezione di Gesù Cristo sono la forma più alta di amore misericordioso e che anche i peccatori possono
essere raggiunti da questa infinita misericordia proprio perché riconoscono la loro fragilità e la loro povertà.