FIR2006-11(2) - Centro della Famiglia

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FIR2006-11(2) - Centro della Famiglia
SEZIONE: PROSPETTIVE DI RICERCA
Nuovi padri e congedo parentale
a cura di Mariselda Tessarolo
Sono passati cinque anni dall’entrata in vigore della legge sul congedo parentale e per
questo sembra utile fare il punto sul suo utilizzo. Le leggi, nel loro farsi, vanno a riempire i
bisogni che la società presenta, ma talvolta i bisogni sono manifestati da una sola parte della
società, ad esempio le donne, e questo rende difficile un adattamento di entrambe le parti alla
nuova situazione.
Le politiche sociali, nei paesi occidentali, in parte riflettono, incoraggiano e incentivano
una maggiore presenza dei padri nella vita familiare e nella cura dei figli, compresi i più piccoli. L’obiettivo principale è di realizzare le pari opportunità tra donne e uomini conciliando i
tempi del lavoro con quelli dedicati alla famiglia.
Anche in Italia, in applicazione di una direttiva dell’Unione europea del 1996, è in vigore una legge (legge 8 marzo 2000, n. 53) che, rispetto alla normativa precedente, allarga molto
la possibilità di usufruire del congedo facoltativo (o parentale) per entrambi i genitori. Essa
attribuisce non solo alle madri, ma anche ai padri, un diritto individuale e non trasferibile al
congedo. Tale diritto spetta fino all’ottavo anno di vita del bambino, per una durata massima di
6 mesi per ognuno dei genitori e per 10 mesi complessivi. Esso spetta ai padri che siano lavoratori dipendenti, anche se la madre non ne ha diritto. É prevista un’indennità pari al 30% della
retribuzione per un massimo di 6 mesi entro i primi 3 anni di vita del bambino. Oltre questo
limite temporale, l’indennità spetta solo per i redditi più bassi. Nell’impiego pubblico sono
previste condizioni più favorevoli: per i primi 30 giorni l’indennità è pari al 100% o all’80%
della retribuzione.
La nuova normativa ha favorito un maggiore utilizzo di questa opportunità sia da parte
delle madri che dei padri lavoratori, come emerge da un’importante indagine promossa dall’Osservatorio nazionale sulla famiglia. Tale esperienza è condivisa da una quota non trascurabile e crescente di padri, in particolare nel settore pubblico, dove tocca il 27,3% dei fruitori contro l’11,2% nel privato. Tuttavia le madri continuano a utilizzare il congedo in modo superiore
ai padri e per periodi di tempo più lunghi.
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Nel sito del Corriere è stato pubblicato un articolo di Maria Laura Rodotà sulle dichiarazioni fatte da Casini, che vanta notti insonni a causa della figlioletta Caterina. La giornalista
sentendo “odore” di propaganda politica, critica l’onorevole, ma riconosce che comunque sia è
possibile che la sua uscita rientri in una generale affermazione del ruolo dei papà di oggi, più
dediti alla cura dei figli a costo di sacrificare la carriera. Interessarsi dei bambini, anche se propri figli, è considerata un compito tradizionalmente femminile e quindi secondario rispetto alle
cose importanti della vita. “Nella vita reale sono le mamme che si assumono il carico di gran
lunga prevalente della cura dei bambini, anche quando sono in carriera. Tutte le volte poi che
invece di una madre si presenta un papà a portare o prendere il figlio, scatta un allarme rosso e
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le maestre accorrono a prendere il piccolo dalle mani del genitore e ad occuparsi di tutto. Non
c’è pubblicità di prodotti per l’infanzia che non si rivolga alle mamme”.
Si può sottolineare una deresponsabilizzazione operata dalla cultura dominante che vuole gli uomini estranei a certi problemi, anche perché le madri maturano il complesso del
“faccio tutto io”. “C’è poi il problema dei padri separati e divorziati che non ottengono mai
l’affidamento dei figli perché si presume (il più delle volte con un certo fondamento) che siano
meno capaci delle madri di seguire la prole e comunque meno pronti al sacrificio della vita
professionale e personale, che si ritiene invece scontato per una donna”.
Un articolo dal titolo: In bilico tra figli e carriera: il mammo italiano resta indietro è apparso il 5 giugno sulla Repubblica firmato da Maria Stella Conte. Da notare come viene usata
la lingua: già dal termine maschilizzato di “mamma” scaturisce un senso del comico, un’accezione leggermente negativa, di presa in giro. C’è la tendenza a rimanere legati alla tradizione
che probabilmente si considera “migliore” della novità. Un po’ scontato il sottotitolo “Deficit
normativo e aspettative nelle aziende: gap con l’Europa”. L’Italia, nel senso comune presente
nell’”inconscio” degli stessi italiani deve sempre essere “indietro”, in “arretrato” rispetto a tutti
gli altri Paesi. L’orgoglio nazionale è difficile da concretizzarsi, come scrisse l’antropologo
Carlo Tullio Altan in “Valori degli italiani” non c’è, storicamente, l’orgoglio nazionale, ma la
propria denigrazione. Infatti nell’articolo seguono le parole “Ma tra abitudini e pochi aiuti il
fenomeno è in crescita”.
La sociologa Chiara Saraceno intervistata sull’argomento sottolinea che la legge trova
difficoltà nella sua utilizzazione poiché si verificano “tentativi di scoraggiamento da parte dei
datori di lavoro”. Tuttavia si intravede un mutamento.
Sul Corriere della sera vengono riportati i dati in Francia dove il permesso di paternità è
entrato in vigore dopo la legge del 2002 voluta da Ségolène Royal, e sembra aver avuto successo, infatti, due padri su tre restano a casa. Il congedo dura quattordici giorni e sono i più
giovani a sceglierlo nelle aziende I papà francesi non se li vogliono perdere i primi giorni di
vita del loro bambino.
Non è più come prima, quando sembrava ridicolo che un uomo potesse anche solo pensare di rinunciare al lavoro per restare a casa con il figlio piccino. Suonava male. Era scandaloso, e persino un po’ squallido. I nuovi padri invece lo pensano. E qualche volta lo fanno, benché in misura minore rispetto ad altri paesi europei. Dove però non si respira quel clima di
“ostilità aziendale”, quell’aria da “non se ne parla neppure”, che da noi fa di chi sceglie di mettersi in permesso, una sorta di strano eroe della scrivania accanto.
Nonostante questo, i numeri italiani crescono: erano, i nostri, il 17,5 per cento un anno
dopo la legge sui congedi parentali protocollata nel 2000; ora sfiorano il 20 per cento di chi
utilizza l’astensione facoltativa dal lavoro, per un totale di 4.185 lavoratori contro 16.373 lavoratrici. È un lungo e sofferto decollo, quello dei papà italiani alle prese con la pari opportunità
maschile di accudire i figli durante l’infanzia.
I dati più recenti dell’“Osservatorio nazionale sulle famiglie” parlano di una certa ritrosia maschile ad approfittare di questa possibilità, cosa che, almeno nel settore pubblico (quello
privato non è stato analizzato per “irreperibilità dei dati”), fa sì che sul totale dei dipendenti
maschi, coloro che ricorrono all’astensione facoltativa siano circa il 2 % (contro il 6% delle
donne): dato pressoché stabile, come quello che vede la maggior parte dei padri orientarsi al
massimo su un mese di permesso, cioè sul periodo retribuito all’80 o al 100% dello stipendio:
solitamente in una famiglia è l’uomo a percepire lo stipendio più alto, e dunque quando arriva
il momento di dover rinunciare al 70% della retribuzione per i mesi successivi al primo, è evidente che in casa si punti a fare il taglio sull’introito minore cioè a quello della donna.
Sembra essere presente in modo latente una questione di dissuasione occulta, “un fortissimo tentativo di scoraggiamento da parte dei datori di lavoro che va dal nascondere ai dipendenti i propri diritti a minacce più o meno dirette”. “L’attribuzione del lavoro di cura alle donne crea aspettative sociali con un determinato orientamento: l’assenza della madre anche se
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indesiderata e in qualche modo sanzionata è “normale”, l’assenza dell’uomo legata agli stessi
motivi è invece inaspettata. Si tratta quasi di un degradare la propria mascolinità: l’uomo in
generale demanda alla moglie certe incombenze che in questo modo diventano “tipicamente”
femminili. Ad un uomo non si perdona, osserva Chiara Saraceno, di fare quello che compete
ad una donna e “stare a casa senza motivo, delude le aspettative sociali e aziendali; la sua decisione di usufruire del congedo viene percepita dai capi segno di scarso attaccamento alla professione: su uno così - pensano - non vale la pena investire”.
Quindi ciò che viene considerata una debolezza per una donna lavoratrice (essere madre) non viene accettata in un uomo: essere padre non ha le stesse conseguenze, in campo lavorativo (e quindi sociale) dell’essere madre.
“Da noi, gli uomini si sentono professionalmente più vulnerabili perché nella mentalità
aziendale “autocongedarsi” per un figlio significa in qualche modo tradire la causa, spostare il
centro della propria vita che è e deve rimanere l’azienda, perdere prestigio e denaro”. “È una
questione di clima di incertezza - spiega la sociologa - che riguarda tanto il dirigente quanto
l’operaio; la sensazione di poter essere i primi a saltare, di vedersi passare avanti il collega, di
venire tagliati fuori. Del resto, non si deve dimenticare che l’altro aspetto importante dell’essere padri riguarda la propria capacità di mantenere i propri figli”.
Un uomo disposto a rinunciare per un certo periodo a carriera e denaro, non è visto come un esempio positivo da nessuno se non da film, rotocalchi e cronache rosa. Ci si augura
che, anche se lentamente le cose stiano cambiando: i giovani padri sono di gran lunga più presenti nella vita dei figli. Tuttavia, questo maggiore tempo per la famiglia non lo sottraggono al
lavoro ma a se stessi. Si tenga conto che in Italia si diventa padri sempre più tardi, dunque in
una fase critica per la carriera.
Ruoli così ben definiti come quelli all’interno della famiglia non sono certamente intaccati da una legge che ha solo un lustro di vita. “Papà-chioccia: un par di palle”! un post firmato
Cyrano il 6 giugno 2006 nella rubrica Italians del Corriere della sera.
In un altro articolo dal titolo “Il boom dei papà-chioccia” osserva che “sono milioni di
anni che gli uomini vanno a caccia, fanno la guerra, detengono il potere politico nella sfera
pubblica e mantengono la famiglia (con tutti gli abusi del caso). Sono milioni di anni che le
donne si occupano di gestire la sfera privata e delle cure: organizzazione interna della casa,
spesso la gestione del reddito familiare, cura dei figli (con tutti gli abusi del caso). Dopo una
serie di rivoluzioni culturali, negli ultimi 100 anni e in questa zona inventata che chiamiamo
Occidente, questa situazione sta cambiando”.
Il fatto che le donne sono chiamate a contribuire sempre di più alla vita pubblica e privata e, parimenti, gli uomini sono chiamati a contribuire maggiormente a ciò che riguarda la sfera
privata della famiglia e il lavoro di cura parentale.
Osserva la sociologa Zanatta che ci sono anche gli ostacoli, che tutti conosciamo: il potere, il famoso soffitto di cristallo, non è facile da raggiungere, per il semplice fatto che chi ha
il potere, non se ne separa volentieri. Se è vero che esiste un potere maschile nella vita pubblica e politica (stipendi, carriera, diritti, considerazione, gestione dei tempi e tutele) ne esiste
anche un altro, femminile, nella sfera privata (il come si fanno le cose: come si lava, come si
stira, come si educano i figli, come si cucina, quello che si può o non si può spendere). Nel
momento in cui questa realtà duale stava in piedi, sostenuta da diritto e consuetudine, le rispettive influenze erano equilibrate. Oggi, che teoricamente non esistono confini tra le due sfere, le
zone di influenza configgono: sul posto di lavoro, le donne diventano tutte stupide, inadeguate,
spesso assenti, inferiori nell’espletamento della rispettiva mansione, di contro tra le mura di
casa, gli uomini diventano incapaci, maldestri, mai adeguati al compito, non sufficientemente
puliti, poco attenti alle presunte esigenze della prole. Chissà perché!!
Negli ultimi vent’anni si è intensificato l’interesse dei sociologi verso il cambiamento
della paternità, specialmente nei paesi di lingua inglese e in quelli scandinavi, anche in seguito
allo sviluppo dei men’s studies (tra i quali: Pleck 1987, 1997; Lewis 1993; Connell 1995; Mar-
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siglio 1995; Coltrane 1996; Pleck 1997; Aldous et al. 1998; Marsiglio et al, 2000; Hobson 2002; Leira 2002; Duyvendak e Stavenuiter 2004). Anche in Italia sta crescendo l’attenzione dei
sociologi e dei demografi verso questo tema (Scabini e Donati 1985; Bimbi e Castellano 1990;
Ventimiglia 1994 e 1996; Ferrari Occhionero 1997; Maffioli e Sabbadini 1999; Zanatta 1999 e
2002; Maggioni 2000; Di Giulio e Carrozza 2003; Rosina e Sabbadini 2005).
La motivazione dell’interesse degli studiosi è causato dalle trasformazioni avvenute a
livello sociale e famigliare che hanno investito il ruolo sociale del padre e il modo in cui i padri stessi si percepiscono e agiscono. La nascita di un figlio è diventata sempre più una scelta
consapevole e deliberata della coppia e di conseguenza i figli sono un bene sempre più raro e
prezioso ed entrambi i genitori sono più disponibili e desiderosi di prendersene cura.
Gli studi psicologici hanno accresciuto la consapevolezza dell’importanza della figura
paterna nel processo di sviluppo cognitivo e affettivo dei bambini, sia nella famiglia intatta, sia
in caso di rottura coniugale. Infine il cambiamento più importante: la diffusione del lavoro retribuito delle madri. La trasformazione della maternità è certamente una delle cause principali
di quella della paternità. In conseguenza di tutti questi mutamenti, sono aumentate le aspettative sociali verso una figura paterna più presente e attenta nei confronti dei figli.
Sotto il profilo della genitorialità, il modello parsonsiano si basava non solo la gerarchia
di potere tra genitori e figli, ma anche su una netta differenziazione tra ruolo paterno e materno: il primo con una funzione esterna alla famiglia, di mantenimento economico e di orientamento verso la società (il ruolo strumentale), il secondo con una funzione interna alla famiglia,
in cui prevale la dimensione affettiva (ruolo espressivo). Ma nella società contemporanea questa separazione di sfere in base al genere (l’affettività da un lato, l’autorità dall’altro) non ha
più ragione di essere, perché è radicalmente cambiata la posizione delle donne nella società. La
scolarizzazione sempre più elevata, la crescente presenza nel mondo del lavoro e nella vita
sociale, l’influenza del femminismo come orientamento culturale diffuso anche se non più come militanza politica, hanno fatto sì che le donne uscissero dalle mura domestiche e dal regno
del privato, per entrare in contatto diretto con la società e assumere ruoli pubblici o, come direbbe Parsons, strumentali, senza più bisogno della mediazione maschile.
Allo stesso modo la paternità appare sempre più inserita nella sfera del privato e degli
affetti, cioè nel ruolo espressivo. La madre, non più relegata nel privato, può legittimamente
esercitare anche l’autorità morale ed educativa sui figli, mentre il padre, non più confinato nel
pubblico, può esprimere anche l’affettività e dedicarsi alla cura. Naturalmente questo cambiamento va di pari passo con quello che è intervenuto nella relazione di coppia, che tende a diventare sempre meno asimmetrica. É bene chiarire che non si vuole qui sostenere che nei padri
del passato non fosse presente la dimensione dell’affettività, ma certo le regole sociali e pedagogiche dell’epoca non concedevano molto spazio per la sua manifestazione. La grande novità
contemporanea è che anche i padri, e non più solo le madri, possono esprimere l’affettività,
anzi esistono delle forti aspettative sociali in tal senso.
Questo non significa che l’avvicinamento tra funzioni materne e paterne abbia portato a
una completa interscambiabilità dei ruoli genitoriali, che nella realtà empirica rimangono ancora piuttosto differenziati, come ci mostrano i risultati delle ricerche.
La nuova espressione della paternità non è più normativa, ma: i padri sono molto più
presenti nella vita quotidiana dei figli, giocano con loro, si occupano volentieri anche della
cura e dell’accudimento primario dei più piccoli. Queste ultime attività sembrano essere le più
innovative sul piano culturale e molti autori, sia sociologi che psicologi, ne sottolineano l’importanza nel delineare le caratteristiche della figura paterna di oggi. Si parla a tale proposito di
“paternità androgina” o di “padre materno” o di “dedifferenziazione” della genitorialità, con
forti connotati affettivi.
Anche gli studi psicologici, tradizionalmente orientati a sottolineare l’importanza della
relazione madre-bambino nei primi anni di vita, mostrano più recentemente una crescente attenzione alla paternità. Si afferma che il ruolo del padre acquista sempre più caratteristiche
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materne, e quello della madre caratteristiche paterne, al punto che si va verso una “sostanziale
omogeneizzazione” dei ruoli genitoriali. Tale orientamento che enfatizza la tendenza verso una
figura di genitore unico o androgino è affiancato da un orientamento che, basandosi sui risultati di molte ricerche sociologiche, ritiene fuorviante l’idea del genitore unico o di un rovesciamento del modello tradizionale madre/padre. Le modifiche si attuerebbero sia mediante un
potenziamento delle competenze materne nel mondo esterno sia con un corrispondente indebolimento della figura paterna come mediatore privilegiato con la società. Il modello tradizionale
di paternità è in crisi, ma non è ancora emerso un modello nuovo che lo possa sostituire.
Le ricerche italiane mostrano innanzi tutto, come elemento costante, una divisione di
genere del lavoro familiare ancora fortemente disuguale e sbilanciata a svantaggio delle donne,
anche quando esse sono occupate. Ma in questo quadro di asimmetria, le attività di relazione
con i figli, anche piccoli, sembrano essere quelle più accettate dagli uomini, specialmente se
giovani e istruiti. Le attività svolte dai padri con i figli sono però prevalentemente quelle più
gratificanti del gioco e del tempo libero, mentre nel lavoro di cura materiale e di allevamento
la partecipazione dei padri appare molto più ridotta.
Le ricerche comparate a livello europeo mettono in luce che i padri italiani hanno il più
basso grado di coinvolgimento in attività di cura dei figli, quali preparare i pasti, vestire i bambini, curarli se malati, aiutarli nei compiti, probabilmente sia a causa di una minore partecipazione delle madri al mercato del lavoro, sia per ragioni culturali e ideologiche. Sembra quindi
azzardato parlare di “nuovi padri”, come alcuni fanno, perché i segnali di cambiamento, che
pure si avvertono, sono però contraddittori e incoerenti e i comportamenti quotidiani non sembrano andare verso una reale condivisione degli impegni di cura e di allevamento dei figli.
Ma le ricerche più recenti mostrano che qualcosa sta cambiando: di particolare interesse
i dati provenienti dalla recente indagine sull’uso del tempo (time budget) condotta dall’Istat nel
2002-03, che consente di confrontare il tempo dedicato in tale periodo dai padri alla cura dei
figli con quello rilevato nella precedente indagine del 1988-89 e di verificare quindi se in questi quattordici anni anche in Italia è cambiato e in che misura il modo di fare il padre.
L’indagine conferma alcuni elementi di fondo, presenti in entrambi gli anni considerati:
la forte asimmetria tra donne e uomini sia nelle attività domestiche che in quelle di cura dei
figli, ma anche la maggiore collaborazione maschile in queste ultime rispetto alle prime, come
anche altri studi hanno evidenziato.
La teoria economica della scelta razionale afferma che la divisione del lavoro in famiglia
avviene secondo criteri di efficienza e produttività. Poiché tra uomini e donne ci sono differenze di produttività non solo nel generare i figli ma anche nel contributo alla loro cura e in altri
compiti domestici, “tali differenze intrinseche nella produttività determinano la direzione della
divisione sessuale del lavoro”. Alla critica femminista secondo cui questa teoria sembra attribuire le differenze di genere a fattori biologici e non sociali, Becker risponde che, qualunque
siano le ragioni della divisione tradizionale del lavoro tra i sessi, le responsabilità domestiche
delle donne abbassano la loro capacità di guadagno e hanno l’effetto di ridurre il tempo che
esse dedicano all’attività retribuita e di scoraggiare il loro investimento nel mercato del lavoro.
Il contrario avviene per gli uomini, la cui maggiore produttività lavorativa li induce a investire
il loro tempo nel mercato.
Un altro approccio teorico di tipo economicistico, partendo dalla premessa che il lavoro
domestico e di cura dei figli è oneroso, poco valutato e quindi poco gradito, afferma che le risorse economiche relative dei coniugi influiscono sulla sua distribuzione: chi ha più risorse ha
più potere e può negoziare condizioni più favorevoli per sé. Di solito sono gli uomini che, avendo più risorse economiche, hanno anche più potere in famiglia e fanno quindi meno lavoro
domestico e di cura. Tuttavia quando la moglie dedica più tempo al lavoro retribuito, guadagna
di più e aumenta le sue risorse in confronto al marito, essa acquista più potere per negoziare
una divisione più equa dei compiti familiari. Parallelamente, quando il marito lavora meno ore
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e guadagna meno della moglie, ha meno potere per evitare i compiti domestici e quindi collabora di più.
Entrambi gli approcci sopra esposti non hanno però finora ricevuto conferme chiare e
univoche da parte delle ricerche empiriche. Alcune recenti indagini, sia straniere che italiane
sembrano dare sostegno a queste ipotesi teoriche: esse mostrano che quando le donne sono
istruite e occupate e quindi hanno presumibilmente risorse relative più simili a quelli maschili
e, viceversa, quando gli uomini svolgono attività lavorative meno impegnative e lavorano meno ore (e quindi presumibilmente hanno guadagni uguali o simili o addirittura più bassi di
quelli delle loro partner), vi è una maggiore condivisione del lavoro domestico e della cura dei
figli. Da altre risulta invece che la distribuzione di queste attività non viene fatta secondo criteri gender neutral di produttività ed efficienza: l’impegno familiare dei mariti delle donne lavoratrici non differisce sostanzialmente da quello dei mariti delle casalinghe e, anche quando le
mogli lavorano e guadagnano come e più dei loro mariti, tuttavia esse fanno la maggior parte
del lavoro familiare.
Dai risultati di recenti ricerche è stato rilevato un ritratto socio-culturale dei padri che
hanno preso il congedo e ci mostrano in che cosa essi differiscono da quelli che non ne usufruiscono. I dati offrono un sostegno parziale sia all’approccio del capitale umano e delle risorse relative che a quello della costruzione sociale dell’identità, anche se alcuni di essi hanno un
significato ambivalente.
Il tempo dedicato dai padri alla cura dei figli è inversamente proporzionale al tempo dedicato al lavoro retribuito e alla capacità di guadagno: è quindi coerente con questa ipotesi il
fatto che i padri fruitori del congedo abbiano un orario di lavoro relativamente breve rispetto
agli altri lavoratori e che, in quanto prevalentemente impiegati, abbiano redditi relativamente
modesti rispetto per esempio ai direttivi e dirigenti.
L’occupazione della madre, il suo orario di lavoro prolungato e la sua capacità di guadagno pari o superiore a quella del partner maschile possano indurre quest’ultimo a dedicarsi
maggiormente alla cura dei figli, per ragioni economiche e/o per un maggior potere di negoziazione della madre.
Altri motivi che spiegano l’utilizzo del congedo da parte dei padri come effetto di una
forte percezione dell’identità paterna e di un orientamento generativo: la giovane età, avere più
di un figlio, la scarsa importanza attribuita al lavoro, l’adesione non solo all’idea della parità di
genere, ma il fatto di metterla in pratica concretamente dedicandosi ai figli nella stessa misura
della madre, la valorizzazione della dimensione affettiva del rapporto con i figli. L’appartenenza al ceto medio impiegatizio non significa solo una posizione occupazionale, ma anche uno
stile di vita, in cui i fattori culturali hanno un forte peso. In definitiva sembra che per i padri
intervistati il modo di pensare conti più del denaro. Resta sullo sfondo, piuttosto sbiadito, il
ruolo svolto dalle partner sulla decisione degli intervistati di prendere il congedo. Né le loro
caratteristiche strutturali (occupazione, orario di lavoro e guadagno), né quelle culturali (titolo
di studio) sembrano essere determinanti.
In definitiva paiono avere un certo fondamento le opinioni formulate da molti studiosi
secondo cui si sta verificando il passaggio dal modello tradizionale della specializzazione dei
ruoli a quello della condivisione per quanto riguarda la cura dei figli, anche se va precisato che
si tratta di un cambiamento lento e non generalizzato. E sembrano trovare conferma le tendenze al mutamento del ruolo paterno nella direzione della “paternità androgina”, del “padre materno”, della “dedifferenziazione della genitorialità” indicate all’inizio, con una forte enfasi
sulla dimensione affettiva.
In generale c’É ancora un forte attaccamento a luoghi comuni derivanti dall’eredità della
concezione della famiglia di un tempo, in cui i ruoli erano ben distinti e lontani. Dovrà passare
parecchio tempo prima di vedere segni di effettiva parità tra genitori nell’occuparsi dei figli
piccoli.
Per chi fosse interessato, i dati sull’utilizzo del congedo parentale vengono pubblicati
dall’Osservatorio http://www.osservatorionazionalefamiglie.it/content/view/245/138/).
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…SEMPLICEMENTE PADRI
Vecchie e nuove forme di paternità nella società post-moderna
...JUST FATHERS
Old and New Forms of fatherhood in Post Modern Society
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Alcuni libri per approfondire 1990-2002
Andolfi Maurizio (a cura di), Il padre ritrovato. Alla ricerca di nuove dimensioni paterne in
una prospettiva sistemico-relazionale, FrancoAngeli, Milano, 2001, pp. 341. Il volume
propone un itinerario variegato alla ricerca della dimensione paterna. Seguendo una prospettiva sistemico- relazionale vengono esplorati nuovi modi di essere padre e vengono
ricercate risorse e sensibilità specifiche del maschile nella crescita dei figli, al di là dei
pregiudizi e degli stereotipi sociali, che oscillano tra il vecchio modello autoritarismo
paterno privo di anima e il nuovo prototipo di mammo, che per accedere al mondo del
figlio dovrebbe imitare il materno, senza scoprire invece una sua propria identità
Angelini Giuseppe, Il figlio. Una benedizione, un compito, Vita e Pensiero, Milano, 1991, pp.
207. Che senso ha il figlio nella vita della donna e dell’uomo? Un tempo questa domanda non veniva nemmeno sollevata: “andava da sé”. Mentalità e cultura odierna si mostrano però reticenti di fronte alla generazione; l’uomo contemporaneo sembra aver perso la “sapienza” necessaria per vivere. L’ascolto del messaggio biblico restituisce alla
sua originale e sorprendente bellezza il senso del generare. Il figlio non è anzi tutto un
compito gravoso, bensì una benedizione, l’inconsapevole e imprevedibile “maestro” di
speranza per chi si dispone con fiducia al futuro e accorda credito al carattere promettente della vita.
Argentieri Simona, Il padre materno: da San Giuseppe ai nuovi mammi, Meltemi, Roma,
1999, pp.119. Scompare il padre tiranno, affettivamente lontano, tutto lavoro e punizioni. Compaiano i nuovi padri, eredi delle rivoluzioni femministe; che si alternano con la
madre. Sapranno incarnare l’eterna fantasia del “padre materno”, forte e tenero, protettivo e buono? O diventeranno mammi, che usurpano il posto della madre?
Badolato Gabriella, Identità paterna e relazione di coppia, Trasformazione dei ruoli genitoriali, Giuffrè, Milano, 1993, pp. 139 I sentimenti e le emozioni collegate alla nascita di
un figlio si riflettono, oltre che sul ruolo genitoriale , anche sulle dinamiche relazionali
della coppia. Il bambino appena nato può dar vita a maggiore amore, vicinanza, tenerezza e coinvolgimento nei confronti del partner, ma anche a gelosia, odio, invidia e competizione. Particolare attenzione viene data al vissuto degli uomini nell’attesa, alla nascita e nelle prime fasi di vita del bambino. Nell’interesse dei figli l’A. si augura un superamento della rigida divisione dei compiti e dei ruoli.
Ballabio Luciano, Virilità. Essere maschi tra le certezze di ieri e gli interrogativi di oggi,
FrancoAngeli, Milano, 1991, pp. 223. Come vede se stesso il maschio? Quale immagine ha della propria virilità e quale significato le attribuisce? L’A. cerca di rispondere a
queste domande convinto che sull’identità maschile continui a gravare un muro di silenzio, mentre le coscienze maschili continuano a starsene protette dietro difese psicologiche potenti e barriere culturali stratificate. Ma questi muri cominciano a sgretolarsi e ad
essere abbattuti soprattutto dell’irreversibilità del mutamento in atto nei processi di costruzione dell’identità femminile. L’A. auspica un ripensamento in profondità dell’iden-
Volume 11, Numero 2, 2006, pag. 186
tità maschile analizzando il maschio in rapporto con la donna, con i figli e con se stesso
per cercare di fare riemergere, al di là degli stereotipi, tutte le potenzialità maschili e
femminili insite in ogni persona umana.
Bernardini Irene, Una famiglia come un’altra, Rizzoli, Milano, 1997, pp. 227. Il testo, dichiaratamente divulgativo, analizza le “nuove famiglie”, nuclei risultanti dalla ricostruzione di un ambito familiare da parte di persone separate entrambe con figli. L’A. racconta con senso dell’umorismo e partecipazione le storie, i problemi, i conflitti di persone comuni alle prese con una realtà nuova, per la quale i vecchi modelli non funzionano.
Bimbi Alberto (a cura di), La funzione paterna nella formazione dell’io, Edizioni del Cerro,
Tirrenia (PI), 1993, pp. 234. É una raccolta di saggi, relativi alla funzione paterna, scritti dai più noti ed apprezzati specialisti: psicologi, psicoterapeuti, psicanalisti. L’intero
sviluppo dell’Io del bambino è legato alla buona o scadente qualità della funzione paterna e in ogni campo delle scienze umane è possibile formulare teorie volte a comprendere
e migliorare la “scena interna” chiamata funzione paterna.
Bimbi Franca, Castellano Grazia (a cura di), Madri e padri. Transizioni dal patriarcato e
cultura dei servizi, FrancoAngeli, Milano, 1990, pp. 204. Il libro presenta una ricerca
commissionata dal gruppo “ Donna e patriarcato” dell’UDI dell’Emilia Romagna, che
ha voluto indagare sulle modalità con cui si strutturano ed interagiscono i ruoli femminili e maschili in una fase particolare del ciclo di vita familiare: quello che segue l’evento
della nascita del primo figlio ed in cui i giovani partner si definiscono come madre e
padre. Il campione intervistato è costituito dai genitori dei bambini degli asili nidi di 4
comuni dell’Emilia Romagna con differenti caratteristiche socio-economiche, e presenta
quindi un aspetto di interesse oltre che per gli studiosi della famiglia, anche per gli operatori dei servizi per l’infanzia.
Braun Levine Suzanne, Papà a tempo pieno. Cosa succede quando gli uomini antepongono
la famiglia al lavoro, Sonzogno, Milano, 2000, pp. 207. Alternando spunti teorici alle
testimonianze di padri che hanno scelto il “mestiere del mammo”, l’A. mette in evidenza
non solo le molteplici difficoltà e ostilità in cui questi “nuovi padri” si imbattono, ma dà
loro alcuni suggerimenti su come poter gestire il proprio tempo, ripensandolo e adattandolo ai bisogni dei figli; come affrontare l’intimità, un sentimento a cui gli uomini non
sono abituati e di cui spesso hanno paura; come far fronte alle tensioni che la nuova distribuzione dei ruoli comporta sia nel mondo del lavoro, sia in famiglia e nei rapporti
sociali.
Brusset B. (et al.), La funzione paterna, Borla, Roma, 1995, pp. 198 Dopo alcuni decenni di
contestazione al principio dell’autorità paterna, oggi in molte scienze ci si reinterroga
sulla funzione dei padri. In campo psicanalitico il dibattito si va facendo sempre più ricco e questo libro, che nasce da un incontro tra psicanalisti francesi, lo testimonia.
Brustia Rutto Piera, Genitori. Una nascita psicologica, Bollati Boringhieri, Torino, 1996, pp.
321. Il libro si divide in due parti: la prima è dedicata al nascere come padre nella nostra cultura; in particolare mira a ridisegnare la distinzione tra essere padre (funzione
biologica) e sentirsi padre (funzione psicologica). La seconda parte del testo è invece
dedicata alla necessità della donna di sentirsi madre, dove le parti più accurate sono
quelle che guidano la distinzione tra desiderio di un bambino (il bambino “tappo” che
ripari le proprie frustrazioni e con cui identificarsi) e il desiderio di maternità, assai più
flessibile e maturo. Molto ampia è anche tutta la parte che riguarda la relazione oggettuale in gravidanza. Nell’ultimo breve capitolo l’A. punta verso “una nuova dinamica di
coppia” sottolineando che il nascere come padre e come madre non può considerarsi
come avventura del singolo, ma come reciproco “permesso” della coppia che ne intuisce
la dinamica fondativa.
Cristiani Corinna (a cura di), Percorsi di genere tra natura e cultura. La famiglia affettiva a
Milano negli anni Novanta, Unicopli, Milano, 1996, pp. 236. Fra i cambiamenti socio
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culturali della nostra società l’uscita di scena del padre autoritario e un rinnovato vigore
dei valori materni sono di grande importanza. Quali le conseguenze per le nuove generazioni che sembrano con sempre maggior fatica uscire e separarsi dalla nicchia primaria
per farsi a loro volta una famiglia? Il libro esplora le ragioni affettive che ispirano i comportamenti delle famiglie e dei loro componenti.
Cristiani Corinna, Vita da padri. La nuova famiglia. Storia, culture e affetti del ruolo paterno, Mondadori, Milano, 2000, pp. 142. Il testo affronta il tema della figura paterna e
maschile attraverso una visione femminile. Il ruolo paterno, che nella famiglia tradizionale era riservato al maschio capofamiglia e che si basava sulla dominanza maschile
depositata nelle regole di parentela, negli ultimi tempi si è radicalmente modificato in
una direzione che integra valori fraterni e affettività. La cultura familiare è cambiata da
quando le donne hanno ottenuto spazi e voce nel mercato del lavoro. Il testo si suddivide
in tre parti. Nella prima parte il libro si occupa della storia del ruolo maschile e paterno
che l’uomo ha assunto nel corso dei secoli. La seconda mette in evidenza come la teoria
psicoanalitica di Freud assegni al padre un ruolo centrale, sia nel porre le fondamenta
della morale e dello Stato, sia nella vita di ciascuno sotto forma di complesso edipico.
Nell’ultima parte l’A. espone gli esiti del cambiamento, positivi e rassicuranti anche se
non senza problemi: il risultato è un padre fraterno, affettivo, capace di godere delle
gioie della famiglia e della coppia e di promuovere, attraverso l’amore, la nascita sociale
dei figli
Di Nicola Giulia Paola, Danese Attilio, Il maschile a due voci. Il padre, il figlio, l’amico, lo
sposo, il prete, Piero Manni, Lecce, 1999, pp.175. Come sta mutando l’identità maschile in relazione all’emergere della soggettualità femminile e come le donne e gli uomini
interpretano questo mutamento? Si sta passando da un identità maschile “forte” ad una
“debole”, dall’ideale dell’eroe, del superuomo, all’uomo fragile o addirittura sconfitto?
Il testo nasce della convinzione che solo rimettendo in discussione anche l’uomo, la domanda sulla donna ha senso, non è residuale rispetto all’universo maschile. Troppo spesso la cultura della differenza ha tratteggiato l’identità maschile in controluce, in termini
di “male” contrapposto al “bene”.
Di Nicola Giulia Paola, Danese Attilio, Nel grembo del Padre. Genitori e figli a Sua immagine, Effatà Editrice, Cantalupa (TO), 1999, pp.143. Chi è il “ Padre nostro”? Che cosa ha
a che fare con il nostro essere padri e madri? Non è possibile scindere la genitorialità
umana dall’immagine di Dio Padre; quando è messa in crisi l’una barcolla anche l’altra,
poiché “ogni paternità viene da Dio”. Il testo tenta di raccordare l’esperienza delle madri
e dei padri d’oggi con quella del Padre celeste, dal quale i genitori imparano a rimodellare il loro amore, distruggendone le contraffazioni che lo rendono possessivo, fragile,
distratto, invadente.
Donati Pierpaolo ( a cura di), Uomo e donna in famiglia. Differenze, ruoli, personalità.Quinto
Rapporto CISF sulla famiglia in Italia. San Paolo, Cinisello B. (MI), 1997, pp. 446. Il
rapporto esplora le identità di genere lungo il corso della vita individuale e familiare
nell’Italia di oggi e mostra come la famiglia sia ancora il luogo sociale in cui somiglianze e differenze nell’identità di genere trovano i loro significati e vissuti più profondi.
L’analisi è condotta dal punto di vista sociologico, demografico, psicologico e culturale,
alla ricerca di quei fenomeni che possono rivelare una nuova coscienza e una nuova pratica del “ fare famiglia” come relazione sessuata che deve realizzare la piena reciprocità
fra i due gender.
Dupuis Jacques, Storia della paternità, Tranchida, Milano, 1992, pp. 281. Attraverso un approccio antropologico e storiografico, l’A. ripercorre le tappe del concetto di paternità, a
partire dalla “scoperta” del ruolo dell’uomo nella procreazione, fino all’affermarsi di
culture “consapevoli del concetto di paternità”. Trasversalmente vengono inoltre trattati
i temi della differenza e disuguaglianza tra i sessi, del ruolo della sessualità nelle diverse
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società (matriarcali e patriarcali), dell’importanza del matrimonio rispetto alle relazioni
tra i sessi e rispetto all’organizzazione societaria.
Ferrarotti Franco, Tentori Tullio, Barbaglio Giuseppe (ed al), Le figure del padre. Ricerche interdisciplinari, Armando, Roma, 2001, pp. 219. Ogni cultura epocale ha elaborato
una sua immagine del padre, come del resto, più in generale, della famiglia. Allo stesso
modo si rileva che la figura paterna è vissuta ora come molto presente e addirittura determinante, ed ora confinata in un limbo d’indefinitezza o anche d’insignificanza. Nessuna meraviglia per chi, libero da una concezione fissista della natura, sa bene che le
onde culturali che solcano la storia dei popoli e le vicende delle persone investono, modellando e rimodellando, istituzioni, costumi, le figure genitoriali.
Gaccione Angelo, Lettere ad Azzurra, Gitti Europa, Milano, 1991, pp. 79. Questo agile libretto presenta una raccolta di lettere che un padre indirizza alla figlia non ancora nata. Con
un linguaggio poetico e delicato, l’A. segue passo passo l’evolversi della gravidanza,
dando voce ai sentimenti più intimi di un padre in attesa, che un tempo si riteneva erroneamente fossero prerogativa esclusivamente femminile.
Greenberg Martin, Il mestiere di papà, Il ruolo del padre nello sviluppo del bambino e nella
crescita di tutta la famiglia, Red/Studio Redazionale, Como, 1994, pp. 284. Cosa vuol
dire diventare padre? Sarò un buon genitore? Sarò geloso di mio figlio? Saranno diversi
i rapporti con mia moglie? La nascita di un figlio fa sorgere dubbi e incertezze in ogni
uomo. L’A. vuole offrire utili e concreti suggerimenti alle molte domande e aiutare il
padre a vivere serenamente il suo ruolo di genitore.
Guidi Alessandro (a cura di), Contributi della clinica psicoanalitica alla funzione paterna,
Borla, Roma, 1994, pp. 155. Il volume è il resoconto di una serie di conferenze organizzate dal Centro di Ascolto e di Orientamento Psicanalitico presso l’Istituto culturale Pio
X di Pistoia. Emerge l’esigenza di proporre all’attenzione pubblica la funzione svolta
dal padre, con l’intenzione di mettere in rilievo la carenza di attenzione alla funzione
paterna sia nella clinica che nel settore socio-assistenziale, a vantaggio invece dell’attenzione teorico-pratica rivolta alla figura materna. L’opera è rivolta agli specialisti del settore.
Heinowitz Jack, Il papà incinto. Diventare genitori insieme, Bonomi, Pavia, 2000, pp. 206. Si
tratta di un “testo guida” sulla paternità. L’A. accompagna la coppia attraverso la meravigliosa esperienza della nascita e quindi della paternità e maternità in tutte le fasi che
scandiscono la vita di una coppia dal concepimento sino al primo anno di età del bambino. Nel testo sono indicati una serie di suggerimenti pratici ai padri perché abbiano la
possibilità di rielaborare e quindi di valorizzare totalmente, con la propria compagna, le
sensazioni che si possono provare durante la gestazione del proprio bambino.
Johnson Miriam M., Madri forti, mogli deboli. La disuguaglianza del genere, Il Mulino, Bologna, 1995, pp. 376. Uomini e donne non solo si nasce ma si diventa; una differenza
biologica può essere trasformata in una disuguaglianza sociale. Il libro analizza i ruoli di
moglie e di madre, quelli di marito e di padre all’interno della famiglia nucleare per individuare le radici del predominio maschile e i meccanismi della sua riproduzione. Secondo l’ A. la maternità costituisce una forte base della forza sociale e politica delle
donne se non venisse ristretta nella famiglia nucleare, caratterizzata dalla subordinazione delle mogli ai mariti. Occorre trasformare l’istituto matrimoniale in una relazione
paritetica, continuamente negoziabile. Ricco di riferimenti bibliografici.
Lebra Andrea, Franzin Paola, Maternità e paternità nel lavoro, Edizioni Lavoro, Roma,
2001, pp. 286. Tutela e protezione della maternità, della paternità e relativo trattamento
economico, profili lavoristici e previdenziali del tempo della maternità e della paternità
nell’ambito del rapporto di lavoro dipendente privato e pubblico.
Lenzen Dieter, Alla ricerca del padre. Dal patriarcato agli alimenti, Laterza, Roma-Bari,
1994, pp. 338. La ricerca antropologica qui presentata ripercorre il ruolo del padre attra-
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verso le diverse epoche storiche, a partire dalla preistoria fino alla società contemporanea. Con linguaggio generalmente semplice, e tramite l’analisi di documentazione storiografica di varia natura, emerge la progressiva espropriazione di funzioni subita dalla
figura paterna nelle diverse culture, a favore della figura materna e della società
(l’autorità, la trasmissione del sapere, la rappresentazione culturale, ora assunte dalla
madre, ora dal sistema statale, ora dai mass media). Di notevole interesse per studiosi
delle problematiche familiari delle diverse discipline.
Lo Russo Giuditta, Uomini e padri. L’oscura questione maschile, Borla, Roma, 1995, pp.
231. Il libro tratta la costruzione simbolica e sociale della paternità, e più in generale il
rapporto uomo-procreazione. Oggi le tecnologie genetiche possono mettere in discussione i concetti stessi di paternità, maternità e parentela, e ridisegnare i loro incerti confini
tra il biologico ed il sociale. Viene riconsiderata la problematica antropologica della parentela e della discendenza, con particolare riferimento al pensiero di C. Lévi-Strauss
Maggioni Guido (a cura di), Padri nei nostri tempi. Ruoli, identità, esperienze, Donzelli, Roma, 2000, pp. VII-224. Il volume prende spunto dal Convegno internazionale svoltosi a
Fano nel 1998 e organizzato dall’Università di Urbino e dall’Assessorato ai servizi educativi del Comune di Fano. Le ricerche e i contributi teorici originali sono suddivisi in
tre sezioni. La prima, “Trasformazione e crisi della paternità”, riunisce gli apporti di
impostazione più generale. La seconda, “Forme sociali dell’essere padri”, contiene saggi
caratterizzati da un accostamento sociologico–empirico e da una riflessione teorica fondata sulla ricerca. Nella terza parte, “La genitorialità paterna e il diritto”, sono presentati
gli studi di impostazione prevalentemente giuridica.
Melchiorre Virgilio (a cura di), Maschio-femmina: nuovi padri e nuove madri, Paoline, Cinisello B. (MI), 1992, pp. 224. Le identità maschile e femminile si differenziano ulteriormente entrando in contatto con la dimensione della genitorialità. Padri e madri, tuttavia,
trovano una complementarietà anche nella diversità che assumono i loro ruoli. Nel volume sociologi, psicologi, filosofi e teologi offrono spunti di riflessione per meglio comprendere la complessità del rapporto uomo-donna quando si sceglie di essere anche padre e madre.
Quaglia Rocco, Longobardi Claudio, Pagani Simona, Il “valore” del padre. Il ruolo paterno nello sviluppo del bambino, Utet Libreria, Torino, 2001, pp. XIII-143. Gli interventi
raccolti nell’opera, pur differenziandosi nell’impostazione metodologica, ruotano intorno alla tesi che sottolinea il valore della presenza del padre nella strutturazione della
personalità del figlio. Attraverso i diversi contributi, che descrivono la realtà sfaccettata
e complessa della paternità, emergono tre concetti portanti: la genitorialità intesa come
meta dello sviluppo; il disorientamento nelle relazioni tra i sessi, e, infine, la comprimarietà della figura paterna nello sviluppo della crescita psicologica del figlio.
Redigolo Giampaolo, Diario minimo di un padre, SEI, Torino, 1990, pp. 217. É un racconto,
anzi una serie di storie che l’A., giornalista e regista, partendo dalla sua personale esperienza, ha deciso di scrivere per invitare a riflettere sul “padre di tutti i giorni”, sui piccoli avvenimenti quotidiani spesso - a torto - ritenuti banali. I suoi strumenti d’indagine
non sono quindi scientifici, ma “l’ironia e la tenerezza”, come afferma lo stesso A.
Risè Claudio, Da uomo a uomo, Sperling & Kupfer, Milano, 1998, pp. 165. Colloqui intimi
fra psicologo e uomini che parlano dei loro sentimenti, paure, speranze e emozioni. Si
sta frantumando lo stereotipo che vede il genere maschile imprigionato nel silenzio, nell’incapacità di raccontare ciò che sente e prova. Emerge il disagio, l’incertezza della
propria identità e la mancanza di punti di riferimento e di modelli per i vari ruoli da
svolgere.
Samuels Andrew, La psiche al plurale, la personalità, la moralità e il padre, Bompiani, Milano, 1994, pp. 281. L’A. illustra, dando ampio rilievo al ruolo della metafora nella spiegazione dei processi psicologici, un modello pluralistico dello sviluppo della personalità.
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Basato sull’esperienza vissuta dell’analisi, egli si sofferma - attraverso una discussione
dei significati dell’immaginario legato alla figura dei genitori - sulla persona, sul corpo e
sull’immagine del padre, visto come fattore cruciale nell’evoluzione del pluralismo psicologico.
Scaparro Fulvio, Talis pater, Rizzoli, Milano, 1996, pp. 194. Dice la copertina: “Un nonmanuale che aiuterà i padri (e anche le madri) a cercare dentro di sé il modo migliore
per diventare buoni genitori”. Il libro è il risultato di un esperienza particolare: ventidue
amici con i loro figli passano una vacanza insieme scambiandosi le storie, i dubbi, le
difficoltà ma anche il piacere dell’essere padre. Di grande importanza per il genitore è il
ricordarsi i propri sentimenti di bambino e ragazzo: non perché i ragazzi hanno sempre
ragione ma perché solo il ricordo riuscirà a creare una vera comunicazione con i figli,
fondata sulla capacità di ascoltare, sul rispetto reciproco, sull’empatia.
Secunda Victoria, Voglia di padre, Frassinelli, Milano, 1994, pp. 365. La relazione che intercorre tra una donna ed un uomo è strettamente legato a quello che fu il rapporto della
parte femminile con la figura paterna. Tutto ciò che intercorre tra figlia e padre finisce
per segnare profondamente lo sviluppo psicologico della donna, ne orienta le scelte sessuali e del partner e pilota l’accettazione della sua femminilità. Questo testo va a fondo
del problema cercando con rigore scientifico cause e soluzioni reali per migliorare la
futura vita affettiva delle donne.
Spataro Mario, Quando il padre non c’è. Disgregazione della famiglia e declino della figura
paterna, Edizioni Settimo Sigillo, Roma, 2000, pp. 126. Vengono messe in luce le conseguenze che il declino della figura paterna nell’ambito dei diffusi fenomeni della disgregazione della famiglia può avere sulla prole. Problemi, secondo l’A., aggravati dall’”imbarbarimento” scolastico, dalla invadente presenza della televisione e dagli imperativi egualitario, multiculturale e multirazziale. L’insieme di fattori sarebbero alle origini
di gravissimi problemi giovanili quali la tendenza alla criminalità e alla violenza, la diffusione della droga, le gravidanze non volute, l’insuccesso nello studio, la videodipendenza.
Ulivieri Stiozzi Stefania, Pensarsi padri, La paternità come esperienza autoformativa, Cooperativa Universitaria Editrice Milanese, Milano, 1998, pp. 155. Il testo prende spunto
da una ricerca sull’esperienza di paternità nella sua valenza autoformativa e utilizza un
approccio di tipo clinico e biografico. Vuole essere un contributo specifico alla riflessione sui processi di formazione. La paternità, per i grandi cambiamenti che apporta nella
vita di un uomo, viene interpretata come un’occasione esistenziale ricca di un potenziale
autoformativo. Un’ulteriore finalità di questo lavoro è quella di comprendere quanto la
dimensione dell’autoconoscenza e dell’autocura siano presenti nel vissuto maschile, per
poi ragionare in una prospettiva pedagogica sul contributo che l’autoformazione e la
clinica della formazione possono dare all’incremento della relazione dell’uomo con se
stesso.
Vegetti Finzi Silvia, Battistin Anna Maria, A piccoli passi. La psicologia dei bambini dall’attesa ai cinque anni, Mondadori, Milano, 1994, pp. 358. Quando una coppia decide di
avere un figlio non sempre è preparata alla portata dell’impegno che questa scelta comporta. D’altra parte sono ben pochi gli strumenti che permettono di prepararsi a diventare genitori. La lettura di questo libro può essere utile per i futuri padri e le future madri
che desiderano offrire al proprio figlio, in particolare nei primi anni di vita, le condizioni
per una buona crescita. L’A. invita a procedere “a piccoli passi “ nell’educazione del
bambino, per trarne tutta la ricchezza possibile in termini di intelligenza ed affettività,
senza cadere nell’errore di eccedere in stimoli e sollecitazioni.
Ventimiglia Carmine (et al), Paternità in controluce. Padri raccontati che si raccontano,
FrancoAngeli, Milano, 1996, pp. 269. Il libro è una ricerca sulla nuova modalità di essere uomo in famiglia, soprattutto di fronte alla sfida della paternità. É stata realizzata in
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Emilia Romagna su un campione di famiglie. Aspetto peculiare del testo è quello di voler evidenziare la difficoltà di esplorazione, da parte del maschio, del sistema familiare,
quale luogo di relazione e di cura, di affetto e genitorialità. La natura “narrativa” delle
storie familiari che l’A. considera non sono solo raccontate dal punto di vista degli uomini, ma anche ascoltando le mogli e le operatrici dei servizi.
Ventimiglia Carmine, Di padre in padre. Essere, sentirsi, diventare padri, FrancoAngeli,
Milano, 1994, pp. 196. La tesi di fondo è che oggi non si possa parlare di “nuovi padri”
perché i segnali di cambiamento, che pure sono registrabili, si muovono in un processo
di pendolarità tra vecchio e nuovo. Gli uomini si limitano “ a dare una mano in casa” ,
ma senza avere occhio, perché non hanno memoria. Gli uomini sembrano ritagliare persé-con-i-figli uno spazio circoscritto, liberandosi al piacere e alla seduzione della paternalità mentre l’insieme complessivo della cura e allevamento è ancora prevalentemente,
quando non esclusivamente, a carico della donna.
Wieck Wilfried, Quando gli uomini imparano ad amare, Longanesi, Milano, 1992, pp. 261.
Dopo aver chiarito gli stereotipi su cui si fonda il mito della virilità, l’A. cerca qui di
tracciare un percorso verso il recupero dell’identità dell’uomo contemporaneo, visto non
in antagonismo con la donna, ma unito a lei in una serena complementarietà. A partire
dalla necessaria rivalutazione della relazione padre-figlio, passando per l’analisi della
necessità di comunicare con la donna, per finire alla riconfigurazione dei rapporti che si
instaurano nella vita in comune (partecipazione attiva all’educazione dei figli, continua
disponibilità al dialogo, condivisione del lavoro domestico), il volume fornisce esempi
pratici e soluzioni concrete per chi intende vivere il rapporto uomo-donna fuori da ogni
sottomissione e alienazione.
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