clicca qui - La Setta dei Poeti Estinti

Transcript

clicca qui - La Setta dei Poeti Estinti
Lisa Jane Smith
Il diario del vampiro
La lotta
(Thr Vampire Diaries: The Struggle, 1991)
Traduzione di Daniela Di Falco
Alla mia cara amica e sorella, Judy
INDICE
Capitolo 1...................................................................................................2
Capitolo 2...................................................................................................6
Capitolo 3.................................................................................................15
Capitolo 4.................................................................................................23
Capitolo 5.................................................................................................32
Capitolo 6.................................................................................................40
Capitolo 7.................................................................................................49
Capitolo 8.................................................................................................58
Capitolo 9.................................................................................................67
Capitolo 10...............................................................................................76
Capitolo 11............................................................................................... 85
Capitolo 12...............................................................................................94
Capitolo 13.............................................................................................103
Capitolo 14............................................................................................. 110
Capitolo 15.............................................................................................120
Capitolo 16.............................................................................................129
Ringraziamenti
Un ringraziamento speciale ad Anne Smith, Peggy Bokulic, Anne Marie Smith e
Laura Penny per le informazioni sulla Virginia, e a Jack e Sue Check per la loro
conoscenza delle tradizioni locali.
1
«Damon!».
Un vento gelido sferzò i capelli intorno al viso di Elena, quasi
strappandole di dosso il leggero pullover. Foglie di quercia turbinavano tra
le file di lapidi di granito e i rami degli alberi frustavano l'aria con una
furia incontenibile. Elena aveva le mani gelate, le labbra e le guance
intorpidite, ma rimase ferma a fronteggiare l'urlo del vento, ripetendo il
suo grido.
«Damon!».
La violenza del vento era una dimostrazione del suo Potere, al solo
scopo di intimidirla e costringerla a fuggire. Non avrebbe funzionato. Il
pensiero che quello stesso Potere fosse rivolto contro Stefan scatenò in lei
una rabbia cieca che ardeva contro il vento. Se Damon aveva fatto
qualcosa a Stefan, se Damon gli aveva fatto del male...
«Dannazione, rispondimi!», gridò alle querce che delimitavano il
cimitero.
Una foglia secca, simile a una bruna mano avvizzita, le sfiorò
leggermente il piede, ma non si udì alcuna risposta. Sopra di lei, il cielo
era di un grigio vitreo, grigio come le lapidi che la circondavano. Elena
sentì rabbia e frustrazione bruciarle la gola e si perse d'animo. Si era
sbagliata. Damon non era lì dopo tutto; era sola con la furia del vento.
Si voltò e le mancò il respiro.
Era proprio dietro di lei, così vicino che quando si voltò i suoi abiti lo
sfiorarono. A quella distanza, avrebbe dovuto avvertire la presenza di un
altro essere umano, percepire il calore del suo corpo o sentirlo. Ma
Damon, naturalmente, non era umano.
Fece due passi indietro, barcollando, prima di riuscire a fermarsi. Ogni
istinto sopito mentre gridava contro la furia del vento le implorava ora di
fuggire.
Serrò i pugni. «Dov'è Stefan?».
Damon aggrottò le sopracciglia scure. «Stefan chi?».
Elena fece un passo avanti e gli diede uno schiaffo.
Non aveva avuto alcuna intenzione di colpirlo e ora riusciva a stento a
credere di averlo fatto. Ma era stato un ceffone davvero solenne, dato con
tutta la forza che aveva in corpo, e aveva fatto scattare di lato la testa di
Damon. La mano le bruciava. Rimase ferma a osservarlo, cercando di
calmare il suo respiro.
Era vestito come la prima volta che l'aveva visto, di nero. Morbidi stivali
2
neri, jeans neri, pullover nero e giacca di pelle. E somigliava a Stefan. Non
capiva come poteva non essersene accorta prima. Aveva gli stessi capelli
scuri, lo stesso incarnato pallido, la stessa bellezza inquietante. Ma i
capelli erano lisci, non ondulati, i suoi occhi erano neri come la notte, e la
bocca crudele.
Girò lentamente il viso per guardarla, e lei vide il sangue affiorare sulla
guancia che aveva schiaffeggiato.
«Non mentirmi», gli disse, con voce tremante. «So chi sei. So cosa sei.
Hai ucciso il signor Tanner ieri sera. E ora Stefan è scomparso».
«Davvero?»
«Lo sai che è vero!».
Damon fece un sorriso, che si spense subito sul suo volto.
«Ti avverto, se gli hai fatto del male...».
«Cosa?», disse. «Cosa farai, Elena? Cosa puoi fare, contro di me?».
Elena ammutolì. Per la prima volta, si accorse che il vento era cessato.
Tutto era perfettamente calmo intorno a loro, come se fossero immobili al
centro di un grande cerchio di energia. Sembrava come se ogni cosa, il
cielo livido, le querce e i faggi purpurei, il suolo stesso, fosse in contatto
con lui, come se lui traesse Potere da ogni singolo elemento. Damon era
fermo in piedi, con la testa leggermente piegata indietro, gli occhi
impenetrabili brillavano di una strana luce.
«Non lo so», gli disse con un filo di voce, «ma escogiterò qualcosa. Te
l'assicuro».
Scoppiò a ridere, all'improvviso, e il cuore di Elena sussultò e cominciò
a battere forte. Dio, era splendido. "Attraente" era un aggettivo davvero
limitato e insignificante. Come prima, il sorriso durò solo un istante, ma
anche quando si spense sulle labbra, ne rimase una traccia nei suoi occhi.
«Ti credo», riprese Damon, in tono più calmo, volgendo lo sguardo
verso il cimitero. Tornò a guardarla e le tese una mano. «Sei troppo in
gamba per mio fratello», disse con noncuranza.
Elena pensò di respingere la mano, ma non voleva toccarlo di nuovo.
«Dimmi dov'è».
«Più tardi, forse... ma a caro prezzo». Ritirò la mano, proprio mentre
Elena si rendeva conto che al dito portava un anello come quello di Stefan:
argento e lapislazzuli. "Tienilo a mente", pensò freddamente. "È
importante".
«Mio fratello», proseguì, «è uno sciocco. Pensa che la tua somiglianza
con Katherine ti renda fragile e influenzabile come lei. Ma si sbaglia.
3
Sentivo la tua rabbia dall'altro capo della città. La sento anche ora, una
luce bianca come il sole nel deserto. Tu sei forte, Elena, persino così come
sei ora. Ma potresti esserlo molto di più...».
Lo fissò negli occhi, senza capire, infastidita da quelle parole. «Non so
di cosa stai parlando. E cosa c'entra con Stefan?»
«Sto parlando di Potere, Elena». D'un tratto le si avvicinò, gli occhi fissi
nei suoi, la voce carezzevole e pressante. «Hai provato tutto il resto, e non
ti ha soddisfatto. Hai tutto, ma c'è sempre qualcosa che non puoi
raggiungere, qualcosa che desideri e non puoi avere. È questo che ti sto
offrendo. Potere. Immortalità. E sensazioni che non hai mai provato prima
d'ora».
A quel punto capì, e un gusto amaro le salì in gola. Si sentì soffocare per
l'orrore e il disgusto. «No».
«Perché no?», sussurrò. «Perché non provi, Elena? Sii sincera. Non c'è
una parte di te che lo desidera?». Nei suoi occhi scuri ardeva un fuoco
intenso che la rendeva incapace di muoversi, di distogliere lo sguardo.
«Potrei risvegliare in te qualcosa che è rimasto sopito per tutta la tua vita.
Sei forte abbastanza per vivere nell'oscurità, per gloriarti delle tenebre.
Puoi diventare regina delle ombre. Perché non prendi il Potere, Elena?
Lascia che ti aiuti a prenderlo».
«No», rispose, staccando gli occhi da lui. Non lo avrebbe guardato, non
gli avrebbe permesso di farle questo. Non gli avrebbe permesso di farle
dimenticare... farle dimenticare...
«Questa è la chiave di tutto, Elena», disse. La voce era carezzevole come
il tocco delle sue dita sulla gola. «Sarai felice come mai prima d'ora».
C'era qualcosa di terribilmente importante che lei non doveva
dimenticare. Stava usando il Potere per farle dimenticare, ma non glielo
avrebbe permesso...
«E noi saremo insieme, tu e io». Le dita fredde le accarezzarono il collo,
di lato, scivolando sotto il bordo del pullover. «Soltanto io e te, per
sempre».
Provò un'improvvisa fitta di dolore quando le dita di Damon sfiorarono
le due minuscole ferite sulla pelle, e d'un tratto capì.
Farle dimenticare... Stefan.
Era questo che voleva toglierle dalla mente. Il ricordo di Stefan, dei suoi
occhi verdi e del suo sorriso su cui aleggiava sempre un'ombra di tristezza.
Ma niente poteva strappare Stefan dai suoi pensieri adesso, non dopo quel
che avevano condiviso. Si scostò da Damon, allontanando quelle fredde
4
dita con un colpo della mano. Lo guardò dritto negli occhi.
«Ho già trovato quel che voglio», gli disse brutalmente. «E chi desidero
avere per sempre al mio fianco».
Lo sguardo di Damon si fece cupo, una rabbia fredda percorse
rapidamente l'aria che li separava. Guardandolo negli occhi, Elena pensò a
un cobra pronto ad attaccare.
«Non essere sciocca come mio fratello», disse. «Altrimenti dovrò
riservarti lo stesso trattamento».
Si sentì invadere dalla paura. Non riuscì a evitarlo, ora che il freddo la
assaliva, gelandole le ossa. Il vento riprese a soffiare, i rami ad agitarsi.
«Dimmi dov'è, Damon».
«In questo momento? Non lo so. Non puoi smettere di pensare a lui per
un istante?»
«No!». Rabbrividì, i capelli le sferzavano il volto.
«E questa è la tua risposta definitiva, oggi? Devi essere sicura di voler
giocare con me questa partita, Elena. Le conseguenze non saranno affatto
divertenti».
«Io sono sicura». Dovette fermarlo, prima che potesse raggiungerla
ancora una volta. «E io non ho paura di te, Damon, o non te ne sei accorto?
Nel momento in cui Stefan mi ha detto chi eri, cosa avevi fatto, hai perso
ogni potere che avresti potuto avere su di me. Io ti odio. Mi disgusti. E non
c'è niente che tu possa farmi, non più».
Il viso del giovane si alterò, la sensualità lasciò il posto a un'espressione
fredda e contorta, che divenne crudele e spietata. Scoppiò in una risata, che
questa volta durò a lungo. «Niente?», disse. «Posso fare qualsiasi cosa, a
te e a chi ami. Non hai idea, Elena, di quel che io possa fare. Ma lo
imparerai presto».
Fece un passo indietro, e il vento attraversò Elena come la lama di un
coltello. Il suo sguardo sembrò velarsi, come se puntini luminosi
riempissero l'aria davanti ai suoi occhi.
«L'inverno sta arrivando, Elena», riprese, con la voce raggelante e
chiaramente udibile anche sopra l'urlo del vento. «Una stagione che non
perdona. Prima che arrivi, avrai imparato di cosa sono capace. Prima che
l'inverno sia qui, sarai con me. Sarai mia».
Quel candido turbinio la stava accecando, e non riusciva più a
distinguere la figura scura del giovane. Anche il suono della sua voce si
stava affievolendo. Elena strinse le braccia al petto, la testa china, il corpo
scosso dai brividi. «Stefan...», mormorò.
5
«Oh, un'ultima cosa», la voce di Damon riprese vigore. «Prima mi hai
chiesto di mio fratello. Non darti pena a cercarlo, Elena. L'ho ucciso ieri
sera».
Sollevò la testa di scatto, ma non c'era niente da vedere, solo quel
biancore vertiginoso, che le infiammava il naso e le guance e si attaccava
alle ciglia. Fu solo allora, mentre si posavano sulla sua pelle, che capì cosa
fossero: fiocchi di neve.
Nevicava il primo di novembre. Nel cielo, il sole era scomparso.
2
Una luce crepuscolare innaturale avvolgeva il cimitero abbandonato. La
neve velava gli occhi di Elena, e il vento le intorpidiva le membra come se
stesse avanzando in un corso d'acqua gelida. Ciò nonostante non cedette,
non si diresse verso il cimitero moderno e la strada al di là di esso. Se
aveva calcolato bene, Wickery Bridge era dritto davanti a lei. Puntò in
quella direzione.
La polizia aveva trovato la macchina abbandonata di Stefan vicino Old
Creek Road. Questo voleva dire che si era diretto da qualche parte fra
Drowning Creek e il bosco. Elena inciampò sul viottolo coperto di
vegetazione che attraversava il cimitero, ma continuò a camminare, a testa
china, stringendosi addosso il pullover leggero. Conosceva questo cimitero
da sempre e poteva trovare la strada anche a occhi chiusi.
Quando arrivò ad attraversare il ponte, il tremito del corpo le risultava
ormai doloroso. Ora non nevicava più così forte, ma il vento era persino
peggiorato. Attraversava i suoi abiti come se fossero carta velina, e le
toglieva il respiro.
Stefan, pensò, e imboccò Old Creek Road, arrancando verso nord. Non
credeva a quel che le aveva detto Damon. Se Stefan fosse morto lei
l'avrebbe saputo. Era vivo, da qualche parte, e lei doveva trovarlo. Poteva
trovarsi ovunque, lontano, in quel candido turbinio; poteva essere ferito,
assiderato. Vagamente, Elena si accorse di non avere più la mente lucida.
Ogni suo pensiero era concentrato su un'unica idea. Stefan. Trovare Stefan.
Stava diventando sempre più difficile procedere lungo la strada. Alla sua
destra c'erano le querce, alla sua sinistra le acque impetuose del Drowning
Creek. Barcollò e rallentò il passo. Il vento non sembrava più così
violento, ma si sentiva molto stanca. Doveva sedersi e riposare, solo un
minuto.
6
Lasciandosi cadere a terra sul bordo della strada, capì d'un tratto quanto
fosse stata sciocca a uscire in cerca di Stefan. Stefan sarebbe andato da lei.
Non doveva fare altro che sedersi lì e aspettare. Probabilmente stava
arrivando proprio in quel momento.
Elena chiuse gli occhi e appoggiò la testa sulle ginocchia. Ora sentiva
molto meno freddo. Lasciò vagare la mente e vide Stefan, che le sorrideva.
Le sue braccia la circondavano, forti e sicure, e lei si abbandonava sul suo
petto, felice di lasciar scivolare via paura e tensione. Era a casa. Era quello
il suo posto. Stefan non avrebbe mai permesso che qualcosa potesse
nuocerle.
Ma poi, invece di stringerla fra le braccia, Stefan la stava scuotendo.
Stava rovinando la meravigliosa tranquillità del suo riposo. Vide il suo
volto, pallido e allarmato, gli occhi verdi velati di paura. Cercò di dirgli di
smetterla, ma non le dava ascolto. Elena, alzati, disse, e lei sentì la forza
irresistibile di quegli occhi verdi che le ordinava di farlo. Elena, alzati,
adesso...
«Elena, alzati!». La voce era acuta, sottile, e terrorizzata. «Andiamo,
Elena! Alzati! Non riusciamo a portarti di peso!».
Battendo le palpebre, Elena mise a fuoco un volto. Era minuto e a forma
di cuore, dalla pelle chiara, quasi trasparente, circondato da una massa di
soffici riccioli rossi. Occhi castani spalancati, con i fiocchi di neve
intrappolati fra le ciglia, la fissavano preoccupati.
«Bonnie», disse lentamente. «Che ci fai qui?»
«Mi aiutava a cercarti», disse una seconda voce, più pacata, accanto a
Elena. La ragazza si voltò appena e vide due sopracciglia elegantemente
arcuate su una carnagione olivastra. Anche gli occhi scuri di Meredith, di
solito così ironici, erano in ansia, adesso. «Tirati su, Elena, se non vuoi
diventare sul serio la principessa di ghiaccio».
La neve ricopriva tutto il suo corpo, come una candida pelliccia. Ancora
irrigidita dal freddo, Elena si alzò in piedi, appoggiandosi pesantemente
alle due ragazze. La accompagnarono alla macchina di Meredith.
Avrebbe dovuto essere più caldo all'interno della macchina, ma le
terminazioni nervose di Elena stavano riprendendo vita, e la facevano
tremare, rivelandole quanto freddo avesse in realtà. L'inverno è una
stagione che non perdona, pensò mentre Meredith guidava.
«Che sta succedendo, Elena?», chiese Bonnie dal sedile posteriore.
«Cosa pensavi di fare, scappando in quel modo dalla scuola? E come hai
potuto venire qui?».
7
Elena esitò, poi scosse la testa. Desiderava con tutte le sue forze
raccontare ogni cosa a Bonnie e Meredith. Raccontare loro tutta la
terrificante storia di Stefan e Damon e quel che era realmente accaduto al
signor Tanner la sera prima, e in seguito. Ma non poteva. Anche se le
avessero creduto, non aveva il diritto di farlo.
«Sono tutti in giro a cercarti», disse Meredith. «Tutta la scuola è in
agitazione, e tua zia è praticamente sconvolta».
«Mi spiace», commentò Elena, come inebetita, cercando di bloccare
quel tremito violento. Svoltarono su Maple Street e si fermarono davanti a
casa sua.
La zia Judith la aspettava all'interno, dove aveva scaldato alcune coperte.
«Sapevo che se ti avessero trovata, saresti stata mezza congelata», esordì
con tono volutamente festoso, tendendo le braccia a Elena. «La neve il
giorno dopo Halloween! Non riesco a crederci. Dove l'avete trovata,
ragazze?»
«Su Old Creek Road, dopo il ponte», rispose Meredith.
Il viso sottile di zia Judith impallidì. «Vicino al cimitero? Dove ci sono
state quelle aggressioni? Elena, come hai potuto?...». La voce si spense
mentre scrutava il viso di Elena. «Da questo momento in poi non diremo
più una sola parola al riguardo», concluse, cercando di riprendere i suoi
modi festosi. «Togliamo questi vestiti bagnati».
«Devo tornare là, dopo che mi sarò asciugata», disse Elena. Il cervello
aveva ripreso a funzionare, e una cosa fu chiara: non aveva visto realmente
Stefan laggiù; si era trattato di un sogno. Stefan era ancora disperso.
«Tu non farai niente del genere», intervenne Robert, il fidanzato di zia
Judith. Elena non lo aveva quasi notato fino a quel momento, fermo in
piedi, in disparte. Ma il suo tono non ammetteva repliche. «La polizia sta
cercando Stefan; lasciagli fare il loro lavoro», aggiunse.
«La polizia pensa che lui abbia ucciso il signor Tanner. Ma non è stato
lui. Lo sapete, vero?». Mentre zia Judith le sfilava il pullover zuppo, Elena
fece correre lo sguardo da un viso all'altro in cerca di aiuto, ma nessuno
reagì. «Voi sapete che non è stato lui», ripeté, quasi in preda alla
disperazione.
Ci fu un attimo di silenzio. «Elena», disse alla fine Meredith, «a nessuno
piace pensare che sia stato lui. Ma... be', non depone certo a suo favore,
essere scappato in quel modo».
«Non è scappato. Non è scappato! Lui non è...».
«Elena, calmati», intervenne zia Judith. «Non farti prendere
8
dall'agitazione. Devi esserti presa un malanno. Faceva così freddo là fuori,
e questa notte hai dormito solo poche ore...». Posò una mano sulla guancia
di Elena.
D'un tratto non riuscì più a sopportarlo. Nessuno le credeva, neanche i
suoi amici e la sua famiglia. In quel momento si sentì circondata da
nemici.
«Non sto male», gridò, sottraendosi alla carezza della zia. «E non sono
pazza... comunque la pensiate. Stefan non è scappato e non ha ucciso il
signor Tanner, e non m'importa se nessuno di voi mi crede...».
S'interruppe, sentendosi soffocare. Zia Judith si affannava intorno a lei,
esortandola a salire al piano di sopra, e la ragazza la lasciò fare. Ma non
volle andare a letto quando la zia le ricordò che doveva essere stanca.
Invece, dopo essersi riscaldata, si sedette sul divano del soggiorno vicino
al caminetto, avvolta nelle coperte.
Il telefono squillò per tutto il pomeriggio, e lei sentì zia Judith parlare
con amici, vicini, con la scuola. Rassicurava tutti, dicendo che Elena stava
bene. La... la tragedia della sera prima l'aveva un po' turbata, questo era
tutto, e sembrava avesse qualche linea di febbre. Ma dopo il riposo sarebbe
tornata in piena forma.
Meredith e Bonnie le sedevano accanto. «Ti va di parlare?», chiese
Meredith sottovoce. Elena scosse la testa, fissando il fuoco. Erano tutti
contro di lei. E zia Judith si sbagliava; lei non stava bene. Non sarebbe
stata bene finché non avesse trovato Stefan.
Matt passò a trovarla, la neve gli impolverava i capelli biondi e il parka
blu scuro. Quando entrò nella stanza, Elena alzò lo sguardo verso di lui,
piena di speranza. Il giorno prima Matt aveva aiutato Stefan a mettersi in
salvo, mentre il resto della scuola avrebbe voluto linciarlo. Ma oggi
rispose al suo sguardo fiducioso con un'espressione di grave rammarico, e
la preoccupazione che si leggeva nei suoi occhi azzurri era solo per lei.
La delusione fu terribile. «Che ci fai qui?», volle sapere Elena. «Vuoi
tener fede alla promessa di "prenderti cura di me"?».
Ci fu un lampo di dolore negli di occhi Matt, ma la sua voce era pacata.
«In parte per questo, forse. Ma avrei cura di te comunque, non importa
quel che ho promesso. Sono stato in pena per te. Senti, Elena...».
Non aveva voglia di ascoltare nessuno. «Ecco, sto bene, grazie. Chiedilo
a chi vuoi, qui. Così puoi smettere di stare in pena. E poi, non vedo perché
dovresti mantener fede alla promessa fatta a un omicida».
Sorpreso, Matt guardò Meredith e Bonnie. Poi scosse la testa con un
9
senso di impotenza. «Sei ingiusta».
Elena non voleva cambiare atteggiamento. «Te l'ho detto, puoi smetterla
di preoccuparti per me e per quel che faccio.. Sto bene, grazie».
Era chiaro a cosa alludesse. Matt si diresse verso la porta nel momento
in cui comparve zia Judith con i sandwich.
«Mi spiace, devo andare», mormorò, affrettandosi verso la porta. Uscì
senza voltarsi indietro.
Meredith, Bonnie, zia Judith e Robert cercarono di mantener viva la
conversazione mentre consumavano uno spuntino serale accanto al fuoco.
Elena non riusciva a mangiare e non voleva parlare. L'unica a non sentirsi
a disagio era la sorellina di Elena, Margaret. Con l'ottimismo dei suoi
quattro anni, si rannicchiò vicino a Elena e le offrì i suoi dolcetti di
Halloween.
Elena la strinse forte a sé, affondando per un momento il viso nei capelli
biondo chiaro di Margaret. Se Stefan avesse potuto chiamarla o mandarle
un messaggio, a quel punto l'avrebbe già fatto. Niente al mondo glielo
avrebbe impedito, a meno che non fosse gravemente ferito, o intrappolato
da qualche parte, o...
Non voleva fermarsi a considerare quell'ultimo "o". Stefan era vivo;
doveva esserlo. Damon era un bugiardo.
Ma Stefan era nei guai, e lei doveva trovarlo in qualche modo. Continuò
a pensarci per tutta la serata, cercando disperatamente di escogitare un
piano. Una cosa era certa: era sola. Non poteva fidarsi di nessuno.
Si era fatto buio. Elena si mosse sul divano e finse di sbadigliare.
«Sono stanca», disse tranquillamente. «Forse non sto così bene,
dopotutto. Credo che andrò a letto».
Meredith la osservò attentamente. «Stavo pensando, signorina Gilbert»,
disse, volgendosi verso zia Judith, «che forse io e Bonnie potremmo
fermarci per la notte. Per tenere compagnia a Elena».
«Che splendida idea», disse zia Judith, entusiasta. «Se i vostri genitori
non hanno nulla in contrario, sarei felice di avervi qui».
«È lungo il tragitto in macchina per tornare a Herron. Credo che mi
fermerò anch'io», disse Robert. «Posso allungarmi qui sul divano». Zia
Judith protestò, perché era pieno di camere per gli ospiti al piano di sopra,
ma Robert fu irremovibile. Il divano sarebbe stato perfetto per lui, ribadì.
Dopo aver fatto correre lo sguardo dal divano all'ingresso, dove il
portone di casa era innegabilmente in vista, Elena rimase di sasso.
Avevano programmato tutto fra loro, o almeno si erano messi d'accordo in
10
quel momento. Volevano assicurarsi che lei non lasciasse la casa.
Quando uscì dal bagno qualche minuto più tardi, avvolta nel suo kimono
di seta rossa, trovò Meredith e Bonnie sedute sul suo letto.
«Salve, Rosencrantz e Guildenstern», disse con amarezza.
Bonnie, che prima aveva un'aria avvilita, ora sembrava allarmata. Lanciò
un'occhiata esitante a Meredith.
«Lei ci conosce. Quindi pensa che siamo spie mandate dalla zia»,
interpretò Meredith. «Elena, dovresti sapere che non è così. Proprio non ti
fidi di noi?»
«Non lo so. Dovrei?»
«Sì, perché siamo tue amiche». Prima che Elena potesse reagire,
Meredith saltò giù dal letto e chiuse la porta. Poi si girò per affrontare
Elena. «Adesso, per una volta nella tua vita, ascoltami, piccola idiota. È
vero che non sappiamo cosa pensare di Stefan. Ma non ti accorgi che è per
colpa tua. Da quando tu e lui state insieme, ci hai tagliate completamente
fuori dalla tua vita. Sono accadute cose di cui non ci hai parlato. Almeno,
non ci hai raccontato l'intera storia. Ma nonostante questo, nonostante
tutto, noi ci fidiamo ancora di te. Ci preoccupiamo ancora per te. Siamo
ancora dalla tua parte, Elena, e vogliamo aiutarti. E se non riesci a capire
questo, allora sei un'idiota».
Lentamente, Elena guardò prima il viso scuro ed espressivo di Meredith,
poi quello pallido di Bonnie, che annuì con un cenno del capo.
«È vero», disse, battendo forte le palpebre come per trattenere il pianto.
«Anche se non tieni a noi, noi teniamo ancora a te».
Elena sentì gli occhi umidi e l'espressione di biasimo sul suo viso
allentarsi. Poi Bonnie scese dal letto, e si abbracciarono tutte insieme, ed
Elena scoprì di non poter più trattenere le lacrime che le scivolavano sul
viso.
«Scusate se non mi sono confidata con voi», disse. «So che per voi è
difficile capire, e non riesco neanche a spiegarvi perché non posso
raccontarvi tutto. Semplicemente non posso. Ma c'è una cosa che posso
dirvi». Fece un passo indietro, si asciugò le guance, e le guardò
intensamente. «Non importa quanto tutto sembri accusare Stefan, lui non
ha ucciso il signor Tanner. So che non è stato lui, perché so chi è stato. E si
tratta della stessa persona che ha aggredito Vickie, e quel vecchio sotto il
ponte. E...», si fermò un momento a riflettere, «e, oh, Bonnie, penso che
abbia anche ucciso Yangtze».
«Yangtze?». Bonnie spalancò gli occhi. «Ma perché avrebbe dovuto
11
uccidere un cane?»
«Non lo so, ma lui era lì quella notte, a casa tua. Ed era... arrabbiato. Mi
spiace, Bonnie».
Bonnie scosse la testa, sconcertata. Meredith intervenne: «Perché non lo
dici alla polizia?».
La risata di Elena suonò leggermente isterica. «Non posso. Non è una
faccenda di cui possono occuparsi. E c'è un'altra cosa che non posso
spiegare. Avete detto che vi fidate ancora di me; bene, dovete
semplicemente fidarvi di me anche riguardo a questo».
Bonnie e Meredith si scambiarono un'occhiata, poi fissarono il
copriletto, dove le dita nervose di Elena giocherellavano con un filo del
ricamo. Alla fine Meredith disse: «D'accordo. Cosa possiamo fare per
aiutarti?»
«Non saprei. Niente, a meno che...», Elena s'interruppe e guardò Bonnie.
«A meno che», riprese, cambiando tono di voce, «non mi aiuti a trovare
Stefan».
Gli occhi castani di Bonnie sembrarono sinceramente sbalorditi. «Io?
Ma cosa posso fare?». Poi, mentre Meredith tratteneva il respiro, capì:
«Oh. Oh».
«Tu sapevi dove mi trovavo quel giorno che sono andata al cimitero»,
riprese Elena. «E avevi anche previsto l'arrivo di Stefan a scuola».
«Pensavo che non credessi a questa faccenda dei poteri paranormali»,
disse Bonnie con un filo di voce.
«Da allora ho imparato un paio di cosette. A ogni modo, sono pronta a
credere a qualsiasi cosa, se servirà a trovare Stefan. Se c'è anche una
remota possibilità che possa servire».
Bonnie si rannicchiò su se stessa, come se cercasse di far scomparire la
sua già esile figura. «Elena, non capisci», disse in tono afflitto. «Non sono
allenata; non è qualcosa che posso controllare. E... non è un gioco, non
più. Più usi questi poteri, più loro useranno te. Possono finire con l'usarti
per tutto il tempo, che tu lo voglia o no. È pericoloso».
Elena si alzò e andò verso il cassettone in legno di ciliegio, guardandolo
ma senza vederlo. Alla fine si voltò.
«Hai ragione; non è un gioco. E ti credo quando dici che potrebbe
diventare pericoloso. Ma non è un gioco neanche per Stefan. Bonnie, credo
che sia là fuori, da qualche parte, gravemente ferito. E non c'è nessuno che
lo aiuti; nessuno che lo cerchi, tranne i suoi nemici. Forse sta morendo,
proprio adesso. Lui... lui potrebbe persino essere...». La voce le morì in
12
gola. Piegò la testa sul cassettone e fece un respiro profondo, cercando di
calmarsi. Quando sollevò lo sguardo, vide Meredith che fissava Bonnie.
Bonnie tirò su le spalle, e raddrizzò la schiena. Sollevò il mento e strinse
le labbra. E nei suoi occhi castani di solito teneri, brillò una luce decisa
mentre incontrava lo sguardo di Elena.
«Ci serve una candela», fu tutto quel che disse.
Il fiammifero graffiò la scatola lanciando scintille nell'oscurità, poi la
fiamma della candela si accese, intensa e luminosa. Quando Bonnie si
chinò su di essa, un bagliore dorato le avvolse il viso pallido.
«Avrò bisogno dell'aiuto di tutte e due per concentrarmi», disse. «Fissate
la fiamma e pensate a Stefan. Visualizzatelo nella vostra mente. Non
importa cosa succederà, continuate a fissare la fiamma. E qualunque cosa
facciate, non dite una parola».
Elena annuì, e poi l'unico suono nella stanza fu quello di un leggero
respiro. La fiamma guizzava e danzava, proiettando giochi di luce sulle tre
ragazze sedute a gambe incrociate intorno a essa. Bonnie, con gli occhi
chiusi, respirava profondamente e lentamente, come qualcuno che stia
scivolando nel sonno.
Stefan, pensò Elena, guardando fisso la fiamma, cercando di far
confluire tutta la sua volontà nel pensiero. Lo ricreò nella sua mente,
usando tutti i sensi, richiamandolo a sé. La ruvidità del suo pullover di lana
contro la guancia, l'odore della sua giacca di pelle, la forza delle sue
braccia che la stringevano. Oh, Stefan...
Le ciglia di Bonnie tremarono e il suo respiro divenne più rapido, come
se stesse facendo un brutto sogno. Elena tenne fermo lo sguardo sulla
fiamma, ma quando Bonnie ruppe il silenzio un brivido le salì lungo la
schiena.
All'inizio fu solo un gemito, il lamento di qualcuno che soffre. Poi,
mentre Bonnie scuoteva la testa e il respiro usciva spezzato, arrivarono le
parole.
«Solo...», disse, e si fermò. Elena si conficcò le unghie nella mano.
«Solo... nel buio», riprese Bonnie. La sua voce era distante e alterata.
Cadde di nuovo il silenzio, poi Bonnie cominciò a parlare in fretta.
«È buio, e freddo. E sono solo. C'è qualcosa dietro di me... frastagliato e
duro. Rocce. Mi facevano male... ma non ora. Sono intorpidito ora, dal
freddo. Tanto freddo...». Bonnie si contorse, come se stesse cercando di
liberarsi da qualcosa, poi scoppiò a ridere, una risata terribile, quasi come
13
un singhiozzo. «È... curioso. Non ho mai pensato che avrei desiderato così
tanto vedere il sole. Ma qui è sempre buio. E freddo. L'acqua mi arriva al
collo, fredda come ghiaccio. Anche questo è curioso. Acqua ovunque... e
io sto morendo di sete. Ho tanta sete... dolore...».
Elena sentì una morsa stringerle il cuore. Bonnie era nei pensieri di
Stefan, chissà cosa avrebbe potuto scoprire? Stefan, dicci dove sei, pensò
disperatamente. Guardati intorno; dimmi cosa vedi.
«Ho sete. Ho bisogno di... vita?». La voce di Bonnie suonò incerta,
come se non sapesse come tradurre quel concetto. «Sono debole. Lui ha
detto che io sarò sempre quello debole. Lui è forte... un assassino. Ma
anche io lo sono. Ho ucciso Katherine; forse merito di morire. Perché non
lasciarmi semplicemente andare...?»
«No!», urlò Elena, senza riuscire a trattenersi. In quel momento
dimenticò ogni cosa, tranne la sofferenza di Stefan. «Stefan...».
«Elena!», la riprese duramente Meredith nello stesso istante. Ma Bonnie
aveva reclinato il capo, il flusso delle parole interrotto.
Sconvolta, Elena si rese conto di quel che aveva fatto.
«Bonnie, stai bene? Puoi ritrovarlo? Io non volevo...».
Bonnie sollevò la testa. Gli occhi erano aperti, ma non guardavano né la
candela né Elena. Fissavano qualcosa di fronte a loro, inespressivi.
Quando riprese a parlare, la voce era distorta, e il cuore di Elena si fermò.
Non era la voce di Bonnie, ma era una voce che Elena riconobbe. L'aveva
sentita uscire dalle labbra di Bonnie una volta, nel cimitero.
«Elena», disse la voce, «non andare al ponte. C'è la Morte, Elena. La tua
morte è là, in attesa». Poi Bonnie si accasciò in avanti.
Elena l'afferrò per le spalle e la scrollò. «Bonnie!», gridò. «Bonnie!».
«Cosa... oh, no. Lasciami». La voce di Bonnie era fievole e tremante, ma
era la sua. Ancora chinata in avanti, si posò una mano sulla fronte.
«Bonnie, ti senti bene?»
«Credo di sì... sì. Ma è stato così strano». Il tono di voce si fece più
acuto mentre sollevava lo sguardo, battendo le palpebre. «Cos'era, Elena,
quella storia dell'assassino?»
«Te la ricordi?»
«Ricordo tutto. Non riesco a descriverlo; è stato orribile. Ma cosa voleva
dire?»
«Niente», tagliò corto Elena. «Era in preda alle allucinazioni; tutto qui».
Meredith intervenne: «Lui? Allora tu pensi veramente che Bonnie si sia
messa in comunicazione con Stefan?».
14
Elena annuì, gli occhi le bruciavano mentre distoglieva lo sguardo. «Sì.
Credo che fosse Stefan. Doveva essere lui. E credo che Bonnie ci abbia
anche detto dove si trova. Sotto Wickery Bridge, nell'acqua».
3
Bonnie la fissò. «Non ricordo nulla di un ponte. Non sembrava un
ponte».
«Ma l'hai detto tu, alla fine. Pensavo che te lo ricordassi...». La voce di
Elena si spense a poco a poco. «Non ricordi quella parte», aggiunse in
modo piatto. Non era una domanda.
«Ricordo che ero sola, in qualche luogo freddo e buio, e mi sentivo
debole... e assetata. O era fame? Non so, ma avevo bisogno di... qualcosa.
E volevo quasi morire. E poi mi hai svegliata».
Elena e Meredith si scambiarono un'occhiata. «E dopo», Elena si rivolse
a Bonnie, «hai detto un'altra cosa, con una strana voce. Hai detto di non
andare vicino al ponte».
«Ha detto a te di non andare vicino al ponte», la corresse Meredith. «Tu
in particolare, Elena. Ha detto che la Morte ti aspettava».
«Non m'importa cosa mi stia aspettando», ribatté Elena. «Se è lì che si
trova Stefan, è lì che andrò».
«Allora è dove andremo tutte», concluse Meredith.
Elena esitò. «Non posso chiedervi di fare questo», disse lentamente.
«Potrebbe esserci pericolo... di qualcosa che non conoscete. Per me
sarebbe meglio andarci da sola».
«Stai scherzando?», disse Bonnie, sollevando il mento. «Noi amiamo il
pericolo. Voglio essere giovane e bella nella tomba, ricordi?»
«No», concluse in fretta Elena. «Eri tu quella che diceva che non si
trattava di un gioco».
«E neanche per Stefan», ricordò loro Meredith. «Non lo stiamo aiutando
molto, restando qui a far niente».
Elena si stava già scrollando il kimono dalle spalle, dirigendosi verso
l'armadio. «Faremo meglio a coprirci ben bene. Prendete qualcosa che vi
tenga caldo», disse.
Dopo che si furono attrezzate contro il freddo, Elena si girò verso la
porta. Poi si bloccò.
«Robert», disse. «Non possiamo passargli davanti per raggiungere il
portone, anche se stesse dormendo».
15
Contemporaneamente, si voltarono tutte e tre verso la finestra.
«Oh, magnifico», disse Bonnie.
Mentre scendevano aggrappandosi al cotogno, Elena si rese conto che
aveva smesso di nevicare. Ma la morsa dell'aria gelida sulle guance le fece
ricordare le parole di Damon. L'inverno è una stagione che non perdona,
pensò, e rabbrividì.
Tutte le luci della casa erano spente, comprese quelle del soggiorno.
Robert doveva essere già andato a dormire. Tuttavia, Elena trattenne il
respiro mentre passavano cautamente davanti alle finestre buie. La
macchina di Meredith era poco lontano, lungo la strada. All'ultimo
momento, Elena decise di prendere una corda, e aprì la porta sul retro che
dava sul garage, senza far rumore. La corrente era forte a Drowning Creek,
e procedere nell'acqua sarebbe stato pericoloso.
Il tragitto per uscire dalla città fu carico di tensione. Quando superarono
i margini del bosco, Elena ricordò il turbinio delle foglie intorno a lei
quando si trovava al cimitero. Foglie di quercia, soprattutto.
«Bonnie, le querce hanno un significato particolare? Tua nonna ti ha mai
detto qualcosa in proposito?»
«Be', per i druidi erano sacre. Tutti gli alberi lo erano, ma le querce più
di tutti. Credevano che lo spirito degli alberi desse loro potere».
Elena apprese la notizia in silenzio. Quando raggiunsero il ponte e
scesero dalla macchina, lanciò un'occhiata ansiosa alle querce lungo il lato
destro della strada. Ma la notte era luminosa e stranamente calma, senza un
alito di vento ad agitare le foglie secche e scure rimaste sui rami.
«Fate attenzione se vedete un corvo», disse a Bonnie e Meredith.
«Un corvo?», ripeté di colpo Meredith. «Come quello fuori della casa di
Bonnie la sera che è morto Yangtze?»
«La sera in cui Yangtze è stato ucciso. Sì». Elena si avvicinò alle acque
scure del Drowning Creek, il cuore accelerò il suo battito. Nonostante il
nome, non era un torrente, ma un fiume a corso rapido fra argini di terreno
argilloso. Al di sopra si ergeva il Wickery Bridge, una struttura in legno
costruita circa cento anni prima. Un tempo era abbastanza solido da
sopportare il peso dei carri; adesso era soltanto un ponte pedonale che
nessuno usava perché era fuori mano. Era un luogo arido, isolato, ostile,
pensò Elena. Qua e là chiazze di neve coprivano il terreno.
Nonostante le parole ardite di poco prima, Bonnie esitava. «Ricordate
l'ultima volta che abbiamo passato il ponte?», chiese.
Fin troppo bene, pensò Elena. L'ultima volta che l'avevano attraversato,
16
erano inseguite da... qualcosa... proveniente dal cimitero. O qualcuno,
concluse.
«Per ora non lo attraverseremo», disse. «Prima dobbiamo guardare sotto
il ponte, da questo lato».
«Dove è stato trovato quel vecchio con la gola squarciata», mormorò
Meredith, seguendo l'amica.
I fari della macchina illuminavano solo una piccola parte dell'argine
sotto il ponte. Appena Elena uscì fuori dallo stretto fascio di luce, uno
spiacevole presagio la fece rabbrividire. La Morte ti sta aspettando, aveva
detto la voce. La Morte era laggiù?
I piedi scivolavano sui ciottoli umidi e viscidi. Tutto quel che sentiva era
lo scorrere impetuoso dell'acqua, e l'eco sordo provenire dal ponte sopra la
sua testa. E, sebbene aguzzasse lo sguardo, tutto quel che riusciva a
distinguere nell'oscurità era l'argine accidentato e le assi del ponte.
«Stefan?», sussurrò, e fu quasi contenta che il rumore dell'acqua coprisse
la sua voce. Si sentiva come una persona che grida "c'è qualcuno?" dentro
una casa vuota, e malgrado ciò ha paura di quale potrebbe essere la
risposta.
«Così non funziona», disse Bonnie, dietro di lei.
«Cosa vuoi dire?».
Bonnie si stava guardando intorno, scuotendo leggermente la testa, il
corpo teso per la concentrazione. «Siamo fuori strada, e basta. Io non... be',
tanto per cominciare prima non sentivo il rumore dell'acqua. Non sentivo
proprio niente, solo silenzio assoluto».
Elena fu presa dallo sconforto. Una parte di lei sapeva che Bonnie aveva
ragione, che Stefan non era in quel luogo desolato. Ma un'altra parte era
troppo spaventata per ascoltare.
«Dobbiamo esserne sicure», disse, provando un senso di oppressione al
petto, e riprese ad avanzare nell'oscurità, a tentoni. Ma alla fine dovette
riconoscere che non c'era alcuna traccia della presenza recente di
qualcuno. Né alcuna traccia di una testa bruna nell'acqua. Si pulì le mani
fredde e infangate sui jeans.
«Dobbiamo controllare l'altro lato del ponte», suggerì Meredith, ed
Elena annuì meccanicamente. Ma non ebbe bisogno di vedere l'espressione
di Bonnie per sapere cosa avrebbero trovato. Quello era il posto sbagliato.
«Andiamocene da qui», disse, arrampicandosi in mezzo alla vegetazione
verso il fascio di luce oltre il ponte. Appena lo ebbe raggiunto, Elena si
sentì raggelare.
17
Bonnie restò senza fiato. «Oh, Dio...».
«Indietro», disse Meredith fra i denti. «A ridosso dell'argine».
Stagliata contro il fascio di luce dei fari, più in alto, c'era una sagoma
scura. Elena la guardò attentamente, con il cuore che le batteva
all'impazzata, ma riuscì solo a capire che si trattava di un uomo. Il volto
era in ombra, ma la ragazza ebbe un terribile presentimento.
Avanzava verso di loro.
Sottraendosi alla vista, Elena arretrò contro l'argine fangoso sotto il
ponte, acquattandosi il più possibile. Sentiva Bonnie tremare dietro di lei, e
le dita di Meredith piantate nel suo braccio.
Da lì non vedevano nulla, ma all'improvviso sentirono il rumore di un
passo pesante sopra il ponte. Quasi senza osare respirare, si aggrapparono
l'una all'altra, i visi rivolti verso l'alto. I passi risuonarono attraverso il
tavolato del ponte, mentre si allontanavano da loro.
Ti prego, fa' che non si fermi, pensò Elena. Oh, ti prego...
Si morse il labbro, poi Bonnie piagnucolò sommessamente, la sua mano
gelata afferrò quella di Elena. I passi stavano tornando indietro.
Dovrei uscire allo scoperto, pensò Elena. È me che vuole, non loro. Così
ha detto. Dovrei uscire fuori e affrontarlo, e forse lascerà andare Bonnie e
Meredith. Ma la rabbia ardente che l'aveva sostenuta quella mattina si era
ormai consumata. Pur con tutta la sua forza di volontà, non si decideva a
lasciar andare la mano di Bonnie, a staccarsi da lei.
I passi risuonarono proprio sopra le loro teste. Poi calò il silenzio,
seguito dal rumore di qualcosa che avanzava fra la vegetazione sull'argine.
No, pensò Elena, il corpo attraversato dalla paura. Stava scendendo giù.
Bonnie gemette e nascose la testa contro la spalla di Elena, ed Elena sentì
ogni muscolo tendersi quando vide qualcosa muoversi – piedi e gambe – e
uscire fuori dall'oscurità. No...
«Cosa state facendo quaggiù?».
Dapprima la mente di Elena si rifiutò di capire la domanda. Era ancora
terrorizzata e quasi urlò quando Matt fece un altro passo lungo l'argine,
sbirciando sotto il ponte.
«Elena? Cosa state facendo?», chiese di nuovo.
Bonnie sollevò la testa. Meredith riprese a respirare in un'esplosione di
sollievo. Elena si sentì le ginocchia molli.
«Matt», fu tutto quel che riuscì a dire.
Bonnie fu più diretta. «Tu cosa pensi di fare?», chiese in tono concitato.
«Vuoi farci venire un infarto? Cosa ci fai qui a quest'ora di notte?».
18
Matt infilò una mano in tasca, facendo tintinnare delle monete. Mentre le
ragazze riemergevano da sotto il ponte, lui guardò oltre il fiume. «Ti ho
seguita».
«Cosa?», ribatté Elena.
Riluttante, si girò verso di lei. «Ti ho seguita», ripeté, irrigidendo le
spalle. «Ho immaginato che avresti trovato il modo di eludere tua zia per
uscire di nuovo. Così sono rimasto seduto nella mia macchina dall'altra
parte della strada a tenere d'occhio la casa. Come avevo previsto, voi tre
siete uscite dalla finestra. E vi ho seguite fin qui».
Elena non sapeva cosa dire. Era arrabbiata, e senza dubbio lui aveva
agito così solo per mantenere la promessa fatta a Stefan. Ma il pensiero di
Matt seduto là fuori nella sua vecchia Ford scassata, a morire di freddo e
senza neanche aver cenato... le procurò una stretta al cuore che non volle
fermarsi a considerare.
Il ragazzo stava di nuovo guardando il fiume. Gli si avvicinò e gli parlò
sommessamente.
«Scusa, Matt», disse. «Per come mi sono comportata prima a casa e... e
per...». Farfugliò per un attimo, poi rinunciò a parlare. Per tutto, pensò
desolata.
«Be', scusami se vi ho spaventate poco fa». Si girò rapidamente a
guardarla, come se così la faccenda fosse sistemata.
«E ora mi dite per favore cosa pensate di fare?»
«Bonnie pensava che Stefan fosse qui».
«Bonnie non lo pensava», intervenne Bonnie. «Bonnie ha detto subito
che era il luogo sbagliato. Stiamo cercando un posto tranquillo, senza
rumori, e chiuso. Mi sentivo... circondata», spiegò a Matt.
Il ragazzo la guardò con circospezione, come se avesse potuto morderlo.
«Ma certo», disse.
«C'erano rocce intorno a me, ma non come queste del fiume».
«Ah, no, certo che non lo erano». Lanciò un'occhiata di traverso a
Meredith, che ebbe pietà di lui.
«Bonnie ha avuto una visione», gli spiegò.
Matt indietreggiò lievemente, ed Elena riuscì a vedere il suo profilo nel
fascio di luce dei fari. Dalla sua espressione, si capiva che non sapeva se
andarsene o caricarle tutte in macchina in direzione del manicomio più
vicino.
«Non è uno scherzo», disse. «Bonnie ha poteri paranormali, Matt. So
che ho sempre detto di non credere in quel genere di cose, ma mi ero
19
sbagliata. Tu non sai quanto. Stasera, lei... lei si è in qualche modo
sintonizzata con Stefan e ha avuto una vaga percezione di dove si trovi».
Matt tirò un lungo respiro. «Capisco. Ok...».
«Non trattarmi con sufficienza! Non sono una stupida, Matt, e ti sto
dicendo la verità. Lei era lì, con Stefan; sapeva cose che solo lui sa. E ha
visto il luogo in cui è intrappolato».
«Intrappolato», riprese Bonnie. «Proprio così. Non si tratta affatto di un
luogo aperto come un fiume. Ma c'era l'acqua, alta fino al collo. Il suo
collo. E pareti di roccia intorno, coperte di fitto muschio. L'acqua era
gelata e ferma, e aveva un cattivo odore».
«Ma tu cosa hai visto?», incalzò Elena.
«Niente. Era come se fossi cieca. In qualche modo mi sono resa conto
che se ci fosse stato anche un debolissimo raggio di luce sarei riuscita a
distinguere qualcosa, ma non mi è stato possibile. Era buio come una
tomba».
«Come una tomba...». Elena fu attraversata da brividi sottili. Pensò alla
chiesa diroccata sulla collina sopra il cimitero. Lì c'era una tomba, una
tomba che pensò di aver aperto una volta.
«Ma in una tomba non ci sarebbe tutta quell'acqua», stava dicendo
Meredith.
«No... ma non ho avuto alcuna sensazione di dove potesse essere in quel
momento», precisò Bonnie. «Stefan non era del tutto in sé; si sentiva così
debole e dolorante. E così assetato...».
Elena aprì la bocca per impedire a Bonnie di proseguire, ma proprio
allora intervenne Matt.
«Ora vi dico che cosa mi fa venire in mente», disse.
Le tre ragazze si volsero verso di lui, che era rimasto leggermente in
disparte rispetto al loro gruppo, come un ascoltatore indiscreto. Si erano
quasi dimenticate della sua presenza.
«Un pozzo?», azzardò Elena.
«Esatto», rispose il ragazzo. «Voglio dire, fa pensare a un pozzo».
Elena batté le palpebre, sentendo aumentare l'agitazione. «Bonnie?»
«Potrebbe essere», disse Bonnie lentamente. «Le dimensioni e le pareti e
tutto il resto potrebbero andar bene. Ma un pozzo è aperto; avrei dovuto
vedere le stelle».
«Non se era stato coperto», osservò Matt. «Un sacco di vecchie fattorie
qui intorno hanno pozzi ormai in disuso, e alcuni agricoltori li coprono per
evitare che i bambini possano caderci dentro. Anche i miei nonni hanno
20
fatto così».
Elena non riuscì più a contenere la sua agitazione. «Potrebbe essere così.
Deve essere così. Bonnie, cerca di ricordare, hai detto che lì era sempre
buio».
«Sì, e avevo come la sensazione di trovarmi sottoterra». Anche Bonnie
era eccitata, adesso, ma Meredith le interruppe con una domanda secca.
«Quanti pozzi pensi che ci siano a Fell's Church, Matt?»
«Dozzine, forse», rispose. «Ma coperti? Non così tanti. E se state
insinuando che qualcuno abbia gettato Stefan dentro uno di questi, non
sarà certo un posto dove la gente potrebbe vederlo. Probabilmente qualche
luogo abbandonato...».
«E la sua macchina è stata trovata lungo questa strada», aggiunse Elena.
«La vecchia tenuta Francher», disse Matt.
Si guardarono l'un l'altro. La fattoria Francher era diroccata e
abbandonata praticamente da sempre. Si trovava in mezzo al bosco, e la
vegetazione aveva preso il sopravvento da quasi un secolo.
«Andiamo», aggiunse semplicemente Matt.
Elena gli posò una mano sul braccio. «Tu credi...?».
Il ragazzo distolse lo sguardo per un attimo. «Non so cosa credere»,
disse alla fine. «Ma verrò».
Si separarono e presero entrambe le macchine, Matt in quella davanti
insieme a Bonnie, e Meredith nell'altra con Elena. Matt imboccò una
stradina carreggiabile in disuso che si addentrava nel bosco e la seguì
finché non s'interruppe.
«Da qui proseguiremo a piedi», disse.
Elena fu contenta di aver pensato di portare una corda; ne avrebbero
avuto bisogno se Stefan era davvero nel pozzo Francher. E se non c'era...
Non volle fermarsi a considerare questa ipotesi.
Era faticoso attraversare il bosco, specialmente con il buio. Il sottobosco
era fitto, e i rami secchi sporgevano come per afferrarli. Farfalle notturne
svolazzavano intorno, sfiorando le guance di Elena con ali invisibili.
Alla fine arrivarono in una radura. Si vedevano le fondamenta della
vecchia casa, pietre da costruzione legate al terreno da rovi ed erbacce. In
gran parte il comignolo era rimasto intatto, gli unici vuoti lasciati erano
quelli del calcestruzzo che un tempo lo aveva tenuto insieme, come un
monumento che si stesse sgretolando.
«Il pozzo sarà da qualche parte là dietro», disse Matt.
Fu Meredith a trovarlo e a chiamare gli altri. Si radunarono intorno al
21
pozzo e osservarono il blocco di pietra, piatto e squadrato, posto quasi a
livello del terreno.
Matt si fermò a esaminare il terriccio e le erbacce circostanti. «È stato
spostato di recente», concluse.
Fu a questo punto che il cuore di Elena cominciò a martellare sul serio.
Lo sentiva rimbombare in gola e nella punta delle dita. «Solleviamolo»,
disse con una voce che era poco più di un sussurro.
La lastra di pietra era così pesante che Matt non riuscì neanche a
spostarla. Alla fine si misero tutti e quattro a spingere, puntellandosi contro
il terreno dietro di essa, finché, con uno scricchiolio, il blocco si spostò di
pochi centimetri. Dopo aver creato un sottile varco fra la pietra e il pozzo,
Matt adoperò un ramo secco per fare leva e allargare l'apertura. Poi
spinsero tutti insieme, ancora una volta.
Quando l'apertura fu grande abbastanza per far passare la testa e le
spalle, Elena si affacciò, guardando all'interno. Aveva quasi paura di
sperare.
«Stefan?».
I momenti che seguirono, sospesa su quell'apertura buia a guardare giù
nell'oscurità, sentendo solo l'eco dei ciottoli che lei aveva smosso, furono
angosciosi. Poi, incredibilmente, si sentì un altro rumore.
«Chi...? Elena?»
«Oh, Stefan!». Il senso di sollievo le fece perdere il controllo. «Sì! Sono
qui, siamo qui, e ti tireremo fuori. Stai bene? Sei ferito?». L'unica cosa che
le impedì di cadere a sua volta nel pozzo fu l'intervento di Matt, che
l'afferrò da dietro. «Stefan, aspetta, abbiamo una corda. Dimmi se stai
bene».
Ci fu un suono debole, quasi irriconoscibile, ma Elena sapeva cos'era.
Una risata. La voce di Stefan era flebile ma comprensibile. «Sono stato...
meglio», disse. «Ma sono... vivo. Chi c'è con te?»
«Sono io, Matt», intervenne il ragazzo, mentre lasciava Elena. Si chinò
anche lui sulla cavità. Elena, quasi delirante per l'eccitazione, notò che
aveva un aspetto leggermente stupito. «E Meredith e Bonnie, che in
seguito piegherà qualche cucchiaio per noi. Ti tiro giù la corda... cioè, a
meno che Bonnie non ti faccia levitare fuori». Ancora in ginocchio, si
voltò a guardare Bonnie.
La ragazza gli diede una pacca sulla testa. «Non scherzare su queste
cose! Tiralo su!».
«Sissignora», disse Matt, in tono scherzoso. «Ecco, Stefan. Legala
22
intorno alla vita».
«Sì», disse Stefan. Non si fermò a ragionare sulle dita intorpidite dal
freddo o se loro in cima fossero o meno in grado di sollevare il suo peso.
Non c'era altro modo.
I quindici minuti che seguirono furono terribili per Elena. Ci vollero le
energie di tutti e quattro per tirare fuori Stefan, anche se il contributo
principale di Bonnie fu quello di dire "forza, forza", ogni volta che si
fermavano a riprendere fiato. Ma finalmente le mani di Stefan si
aggrapparono al bordo della cavità buia, e Matt si sporse in avanti per
afferrarlo sotto le ascelle.
E poi Elena lo abbracciò, intensamente. Riuscì a capire quanto fosse
grave la situazione dalla sua calma innaturale e dalla debolezza del suo
corpo. Aveva impiegato le ultime forze per tirarsi fuori di lì; le mani erano
ferite e sanguinanti. Ma quel che la turbò di più fu che quelle mani non le
restituirono il suo disperato abbraccio.
Quando allentò la stretta quanto bastava per guardarlo in viso, vide che
era cereo, e c'erano occhiaie scure sotto i suoi occhi. La pelle era così
fredda che la spaventò.
Guardò gli altri, in preda all'ansia.
Matt appariva preoccupato, la fronte corrugata. «Sarà meglio portarlo in
ospedale, e alla svelta. Gli serve un dottore».
«No!». La voce era flebile e rauca, e proveniva dalla fragile figura che
Elena stringeva fra le braccia. Sentì Stefan raccogliere le forze, lo sentì
sollevare lentamente la testa. Gli occhi verdi erano fissi su di lei, e vi lesse
dentro un bisogno pressante.
«Nessun... dottore». Gli occhi di Stefan ardevano nei suoi. «Prometti...
Elena».
Gli occhi le bruciavano e le si annebbiò la vista. «Prometto», sussurrò.
Poi sentì che qualunque cosa l'avesse sostenuto fino a quel momento,
l'intensità della forza di volontà o della determinazione, stava crollando. Si
accasciò fra le sue braccia, privo di sensi.
4
«Ma deve vedere un dottore. Sembra che stia per morire!», intervenne
Bonnie.
«Non può. Non posso spiegarvelo adesso. Portiamolo a casa e basta, ok?
È tutto bagnato e qui si gela. Ne riparliamo dopo».
23
La fatica di portare Stefan attraverso il bosco fu sufficiente a tenere la
mente di tutti occupata per un po'. Il giovane rimase privo di sensi, e
quando alla fine lo adagiarono sul sedile posteriore della macchina di Matt
si ritrovarono tutti esausti e pieni di lividi, e per di più bagnati, per essere
stati a contatto con i suoi vestiti inzuppati d'acqua. Elena gli sistemò la
testa sulle sue ginocchia mentre la macchina si dirigeva al pensionato.
Meredith e Bonnie li seguirono.
«Le luci sono accese», disse Matt, fermandosi davanti al grande edificio
color ruggine. «Deve essere ancora sveglia. Ma la porta probabilmente
sarà chiusa a chiave».
Elena posò delicatamente la testa di Stefan e scivolò fuori della
macchina, e vide una delle finestre della casa illuminarsi mentre la tenda
veniva scostata. Poi vide apparire dietro i vetri la testa e le spalle di
qualcuno che guardava giù in strada.
«Signora Flowers!», gridò Elena, facendole cenno con la mano. «Sono
Elena Gilbert, signora Flowers. Abbiamo trovato Stefan, ci faccia
entrare!».
La figura alla finestra non si mosse né sembrò aver capito le sue parole.
Eppure il suo atteggiamento fece intuire a Elena che stava ancora
guardando verso di loro.
«Signora Flowers, abbiamo portato Stefan», gridò di nuovo, indicando
l'abitacolo illuminato della macchina. «La prego!».
«Elena! È già aperta!», la voce di Bonnie arrivò dal portico sul davanti, e
distrasse Elena dalla sagoma alla finestra. Quando la ragazza tornò a
guardare in alto, vide che la tenda si stava richiudendo, poi la luce di
quella stanza al piano superiore si spense.
Era strano, ma non aveva tempo di pensarci. Insieme a Meredith, aiutò
Matt a sollevare Stefan e a portarlo su per i gradini davanti al portone.
All'interno, la casa era buia e silenziosa. Elena guidò gli altri su per la
rampa che si trovava di fronte all'entrata, e fino al pianerottolo del secondo
piano. Da lì entrarono in una camera da letto, ed Elena fece aprire a
Bonnie la porta di quel che sembrava un ripostiglio. Si delineò un'altra
rampa di scale, molto buia e stretta.
«Chi lascerebbe... il portone aperto... dopo tutto quel che è successo di
recente?», bofonchiò Matt mentre trascinavano il corpo esanime
dell'amico. «Deve essere matta».
«È matta», disse Bonnie dall'alto, aprendo la porta in cima alle scale.
«L'ultima volta che siamo state qui ci ha parlato di uno stranissimo...», la
24
voce di Bonnie s'interruppe in un sussulto.
«Cosa c'è?», chiese Elena. Ma quando raggiunsero la soglia della camera
di Stefan, lo capì da sola.
Aveva dimenticato in quali condizioni aveva trovato la stanza l'ultima
volta che l'aveva vista. Bauli pieni di indumenti erano capovolti o
rovesciati su un fianco, come se fossero stati scaraventati contro le pareti
dalla mano di un gigante. Il loro contenuto era sparso sul pavimento,
insieme a oggetti provenienti dal cassettone e dai tavoli. I mobili erano
ribaltati, e dal vetro rotto della finestra un vento gelido soffiava nella
stanza. C'era solo una lampada accesa, in un angolo, che proiettava ombre
grottesche e minacciose sul soffitto.
«Ma cosa è successo?», disse Matt.
Elena non rispose finché non ebbero disteso Stefan sul letto. «Non lo so
con certezza», disse, e questo era vero, anche se non del tutto. «Ma era già
così ieri sera. Matt, mi daresti una mano? Dobbiamo mettergli qualcosa di
asciutto».
«Cerco un'altra lampada», si offrì Meredith, ma Elena si affrettò a dire:
«No, ci si vede bene. Perché non provi ad accendere il fuoco?».
Da uno dei bauli rimasti aperti ricadeva un accappatoio di spugna di
colore scuro. Elena lo prese, e insieme a Matt cominciò a togliere i vestiti
bagnati che aderivano al corpo di Stefan. Si diede da fare per sfilargli il
pullover, ma un'occhiata al collo del giovane la immobilizzo all'istante.
«Matt, potresti... potresti passarmi quell'asciugamano?».
Non appena si fu voltato, tirò via in fretta il pullover e avvolse
rapidamente l'accappatoio intorno a Stefan. Quando Matt tornò indietro e
le porse l'asciugamano, lo legò intorno alla gola del ragazzo come se fosse
una sciarpa. Il cuore le pulsava forte e la mente lavorava senza sosta.
Non c'era da meravigliarsi che fosse così debole, così immobile. Oh,
Dio. Doveva osservarlo bene, verificare quanto fossero gravi le sue
condizioni. Ma come poteva, con Matt e le altre lì presenti?
«Vado a chiamare un dottore», disse Matt con tono deciso, guardando il
volto di Stefan. «Ha bisogno di aiuto, Elena».
Elena fu colta dal panico. «Matt, no... ti prego. Lui... ha paura dei
dottori. Non so cosa succederebbe se ne portassi uno qui». Di nuovo, era la
verità, anche se non tutta la verità. Aveva un'idea di cosa avrebbe potuto
aiutarlo, ma non poteva fare nulla se gli altri erano lì. Si chinò su di lui,
strofinandogli le mani fra le sue, e intanto cercava di pensare.
Cosa poteva fare? Difendere il segreto di Stefan anche a costo della sua
25
vita? O tradirlo per salvarlo? Ma sarebbe servito a salvarlo raccontare tutto
a Matt, Bonnie e Meredith? Guardò i suoi amici, cercando di immaginare
la loro reazione se avessero saputo la verità su Stefan Salvatore.
Non sarebbe servito a nulla. Non poteva rischiare. Lo shock e l'orrore di
quella rivelazione avevano quasi portato alla follia la stessa Elena. Se lei,
che amava Stefan, era stata sul punto di fuggire lontano da lui, urlando,
cosa avrebbero fatto i tre amici? E poi c'era l'omicidio del signor Tanner.
Se avessero saputo cosa era Stefan, sarebbero mai riusciti a credere alla
sua innocenza? O, nel profondo del loro cuore, avrebbero sempre
sospettato di lui?
Elena chiuse gli occhi. Era troppo pericoloso. Meredith, Bonnie e Matt
erano suoi amici, ma questa era una faccenda che non poteva condividere
con loro. Non c'era nessuno al mondo a cui potesse confidare questo
segreto. Doveva tenerlo solo per sé.
Si raddrizzò e guardò Matt. «Ha paura dei dottori, ma un'infermiera
andrebbe bene». Si voltò verso Meredith e Bonnie inginocchiate davanti al
caminetto. «Bonnie, che ne dici di tua sorella?»
«Mary?», Bonnie diede uno sguardo all'orologio. «Questa settimana fa
l'ultimo turno alla clinica, ma ormai dovrebbe essere a casa. Solo che...».
«Allora siamo a posto. Matt, accompagna Bonnie e chiedi a Mary di
venire qui a dare un'occhiata a Stefan. Se lei ritiene che abbia bisogno di
un dottore, non farò obiezioni».
Matt esitò, poi espirò con forza. «Va bene. Sono ancora convinto che stai
sbagliando, ma... andiamo, Bonnie. Dovremo infrangere qualche regola del
codice stradale».
Mentre si avviavano verso la porta, Meredith rimase in piedi vicino al
caminetto, fissando Elena con i suoi occhi scuri.
Elena costrinse se stessa a incontrare quello sguardo. «Meredith... Penso
che dovreste andare tutti».
«Sei sicura?». Quegli occhi scuri rimasero puntati su di lei, come se
stessero cercando di penetrare nella sua mente. Ma Meredith non fece altre
domande. Dopo un momento fece un cenno di assenso con la testa e seguì
Matt e Bonnie senza dire una parola.
Non appena Elena sentì chiudersi la porta in fondo alle scale, si affrettò
a rimettere in piedi la lampada rovesciata di fianco al letto e inserì la spina
nella presa. Ora, finalmente, poteva valutare attentamente le ferite di
Stefan.
Il colorito del ragazzo era peggiorato; era praticamente bianco come il
26
lenzuolo sotto di lui. Anche le labbra erano bianche, ed Elena d'un tratto
pensò a Thomas Fell, il fondatore di Fell's Church. O, piuttosto, alla statua
di Thomas Fell, stesa accanto a quella della moglie sulla lastra di pietra
della loro tomba. Stefan aveva il colore di quel marmo.
I tagli e le ferite sulle mani erano lividi, ma non sanguinavano più. Gli
girò delicatamente la testa per osservargli il collo.
E in un attimo si toccò il suo, automaticamente, come per verificare la
somiglianza. Ma i segni che aveva Stefan non erano piccole punture. Erano
profondi, feroci squarci nella carne. Sembrava che fosse stato attaccato da
qualche animale che aveva tentato di strappargli la gola.
Una rabbia cieca invase di nuovo Elena. E insieme ad essa, odio. Si rese
conto che, nonostante la sua repulsione e la sua collera, non aveva
realmente detestato Damon prima di allora. Non sul serio. Ma adesso...
adesso, lo odiava. Lo odiava con un'intensità che non aveva mai provato
prima nella sua vita. Voleva fargli del male, fargliela pagare. Se in quel
momento avesse avuto un palo di legno, io avrebbe piantato nel cuore di
Damon senza alcun rimorso.
Ma adesso doveva pensare a Stefan. Giaceva spaventosamente
immobile. Era questa la cosa più dura da sopportare, l'assenza totale di
determinazione o di combattività nel suo corpo, la sensazione di vuoto.
Proprio così. Era come se avesse abbandonato quel corpo per lasciarla
davanti a un involucro vuoto.
«Stefan!». Scuoterlo non servì a nulla. Con la mano sul torace freddo del
giovane, cercò di percepire il battito cardiaco. Anche se c'era, era troppo
debole per sentirlo.
Mantieni la calma, Elena, disse a se stessa, respingendo quella parte
della sua mente che voleva abbandonarsi al panico. Quella parte che le
stava dicendo "E se fosse morto? E se fosse morto, e non c'è niente che
puoi fare per salvarlo?".
Dando un'occhiata alla stanza, vide la finestra rotta. Frammenti di vetro
erano sparsi per terra. Si avvicinò e ne raccolse uno, notando come
scintillasse alla luce del fuoco. Davvero grazioso, con il bordo affilato
come un rasoio, pensò. Poi, deliberatamente, stringendo i denti, si incise la
pelle del dito.
Il dolore la lasciò senza fiato. Un attimo dopo, il sangue cominciò a
sgorgare dalla ferita, gocciolando lungo il dito come la cera di una candela.
Rapidamente, si inginocchiò accanto a Stefan e gli posò il dito sulle labbra.
Con l'altra mano, strinse quella inerte del giovane, sentendo sotto le dita
27
la durezza del suo anello d'argento. Anche lei immobile come una statua,
rimase lì in ginocchio ad aspettare.
Quasi non si accorse del primo debole segno di reazione. Restò con lo
sguardo fisso sul volto di Stefan, percependo solo con la coda dell'occhio il
debole sollevarsi del petto del giovane. Ma poi le labbra sotto al suo dito
ebbero un fremito e si aprirono un po', e lui deglutì meccanicamente.
«Ci siamo», mormorò Elena. «Coraggio, Stefan».
Sbatté le ciglia, e con gioia crescente lei sentì che rispondeva alla stretta
delle sue dita. Deglutì di nuovo.
«Sì». Attese che i suoi occhi si aprissero lentamente prima di mettersi a
sedere. Poi con l'altra mano armeggiò con il collo alto del suo pullover,
ripiegandolo per lasciare libero il collo.
Lo sguardo negli occhi verdi del ragazzo era stupito e grave, ma risoluto
come sempre. «No», disse Stefan, in un roco sussurro.
«Devi farlo, Stefan. Gli altri arriveranno da un momento all'altro con
un'infermiera. Non ho potuto rifiutarmi. E se non stai abbastanza bene da
convincerla che non hai bisogno di andare in ospedale...». Non finì la
frase. Lei stessa non sapeva cosa avrebbe scoperto un dottore o un tecnico
di laboratorio che avesse visitato Stefan. Ma sentiva che lui lo sapeva, e
che questo lo spaventava.
Ma Stefan si dimostrò ancora più ostinato, girando la testa dall'altra
parte. «Non posso», mormorò. «È troppo pericoloso. Ne ho già preso...
troppo... ieri sera».
Davvero era stato soltanto la sera prima? Sembrava che fosse passato un
anno. «Potrei morire?», domandò. «Stefan, rispondimi! Potrei morire?»
«No...». La voce era cupa. «Ma...».
«Allora dobbiamo farlo. E non discutere!». Si chinò su di lui, e
stringendogli la mano fra le sue, Elena riuscì ad avvertire il suo
irrefrenabile bisogno. Fu sorpresa che lui tentasse quasi di resistere. Era
come un uomo affamato di fronte a una tavola imbandita, incapace di
distogliere lo sguardo dai piatti fumanti, ma che si rifiutava di mangiare.
«No», ripeté Stefan, ed Elena sentì un senso di frustrazione crescere
dentro di lei. Non aveva mai incontrato una persona testarda come lui.
«Sì. E se non hai intenzione di collaborare, mi farò un altro taglio,
magari sul polso». Aveva tenuto il dito premuto sul lenzuolo per fermare il
sangue; adesso lo tenne sollevato davanti a lui.
Il giovane dilatò le pupille, socchiuse le labbra. «Troppo... già»,
mormorò, ma continuò a fissare il dito, la lucida goccia di sangue sulla
28
punta. «E io non posso... controllare...».
«Va tutto bene», gli disse sottovoce. Passò di nuovo il dito sulle sue
labbra, sentendo che si schiudevano per accoglierlo; poi, si piegò su di lui
e chiuse gli occhi.
La bocca del giovane era fresca e asciutta quando le toccò la gola. La
sua mano si chiuse a coppa dietro il suo collo e le sue labbra cercarono i
due piccoli fori. Elena si impose di non tirarsi indietro quando avvertì
l'acuta fitta di dolore. Poi sorrise.
Prima, aveva percepito il suo straziante bisogno, la sua irresistibile fame.
Ora, grazie al legame che li univa, provò soltanto gioia intensa e un senso
di appagamento. Profondo appagamento, man mano che la fame veniva
placata.
Il suo piacere nasceva dal donare, dal sapere che stava nutrendo Stefan
con la sua stessa vita. Riusciva a sentire la forza che confluiva dentro di
lui.
Con il passare dei minuti, sentì diminuire l'intensità del bisogno. Ma non
era ancora del tutto svanita, e non riuscì a capire quando Stefan cercò di
allontanarla.
«È sufficiente», disse con voce roca, costringendola a tirarsi su. Elena
aprì gli occhi, distolta da quella piacevole sensazione. Gli occhi di Stefan
erano verdi come foglie di mandragora, e sul suo viso Elena lesse la
spietata avidità di un predatore.
«È sufficiente. Tu sei ancora debole...».
«È sufficiente per te». Lo avvicinò di nuovo a sé, e vide qualcosa simile
alla disperazione brillare in quegli occhi verdi. «Elena, se ne prendo ancora
molto, tu comincerai a cambiare. E se non te ne vai, se non ti allontani da
me subito...».
Elena indietreggiò ai piedi del letto. Rimase a osservarlo mentre si
sedeva e si sistemava l'accappatoio scuro. Alla luce della lampada, si
accorse che il viso aveva ripreso un po' di colore, un leggero rossore
velava il suo pallore. I capelli quasi asciutti sembravano un mare agitato da
onde scure.
«Mi sei mancato», gli disse dolcemente. D'un tratto provò un fremito di
sollievo, una sensazione intensa quanto lo erano state la paura e la tensione
precedenti. Stefan era vivo; le stava parlando. Le cose si sarebbero
sistemate, dopo tutto.
«Elena...». I loro occhi s'incontrarono e lei fu catturata da quel fuoco
verde. Senza rendersene conto, avanzò verso di lui, poi si fermò quando
29
Stefan scoppiò a ridere.
«Non ti ho mai vista così prima d'ora», disse, ed Elena abbassò gli occhi
per guardarsi. Le scarpe e i jeans erano incrostati di fango rossiccio, che le
imbrattava abbondantemente anche il resto del corpo. La giacca era
strappata e stava perdendo l'imbottitura. Senza dubbio anche il viso era
sudicio e lei sapeva che i capelli erano arruffati e scompigliati. Elena
Gilbert, impeccabile figurino del Robert E. Lee, era un disastro.
«Mi piace», riprese Stefan, e questa volta rise anche lei.
Stavano ancora ridendo quando si aprì la porta. Elena sì irrigidì, subito
in allarme, tirò su il collo del pullover, e fece correre lo sguardo per tutta la
stanza in cerca di qualcosa che avrebbe potuto tradirli. Stefan raddrizzò la
schiena e si leccò le labbra.
«Sta meglio!», canticchiò Bonnie appena vide Stefan. Matt e Meredith
erano subito dietro di lei, i volti rischiarati per la sorpresa e il piacere. La
quarta persona che entrò nella stanza era poco più grande di Bonnie, ma
aveva un'aria energica e autoritaria che nascondeva la sua giovane età.
Mary McCullough puntò dritta verso il suo paziente e gli afferrò il polso.
«Così tu sei quello che ha paura dei dottori», esordì.
Sul momento Stefan parve disorientato, poi si riprese. «È una specie di
fobia che ho fin da bambino», disse, con tono imbarazzato. Gettò uno
sguardo di lato, verso Elena, che sorrise nervosamente e fece un lieve
cenno con la testa. «Comunque, ora non ho bisogno di dottori, come vedi».
«Perché non lasci che sia io a giudicare? Il polso va bene. A dire il vero,
è incredibilmente lento, persino per un atleta. Non credo che tu sia in stato
di ipotermia. Misuriamo la temperatura».
«No, credo proprio che non sia necessario». La voce di Stefan era bassa,
rassicurante. Elena lo aveva sentito usare quella voce in precedenza, e
sapeva cosa stesse cercando di fare. Ma Mary non gli prestò la minima
attenzione.
«Apri, per favore».
«Dammi, ci penso io», s'intromise Elena rapidamente, allungando la
mano per prendere il termometro. Chissà come, il piccolo cilindro di vetro
le scivolò di mano. Cadde sul pavimento di legno duro, rompendosi in
mille pezzi. «Oh, mi spiace!».
«Non importa», disse Stefan. «Mi sento molto meglio, e mi sto
scaldando a poco a poco».
Mary considerò il disastro sul pavimento, poi guardò in giro per la
stanza, e notò lo stato di devastazione in cui si trovava. «Bene bene»,
30
disse, voltandosi con le mani sui fianchi. Poi volle sapere: «Cosa è
successo qui?».
Stefan non batté ciglio. «Niente di grave. È solo che la signora Flowers è
una pessima donna di casa», aggiunse, guardandola dritto negli occhi.
Elena voleva ridere, e vide che anche Mary era tentata. La ragazza,
invece, fece una smorfia e incrociò le braccia. «Immagino che sia inutile
sperare di ottenere una risposta attendibile», concluse. «Ed è chiaro che tu
non sei in fin di vita. Non posso costringerti ad andare in ospedale. Ma ti
consiglio vivamente di fare un controllo, domani».
«Ti ringrazio», disse Stefan, che, Elena notò, era di tutt'altro parere.
«Elena, tu sembri aver bisogno di un dottore», osservò Bonnie. «Sei
bianca come un fantasma».
«Sono solo stanca», disse Elena. «È stata una giornata lunga».
«Ti consiglio di andare a casa e metterti a letto... e restarci», disse Mary.
«Non sei anemica, vero?».
Elena resistette all'impulso di mettersi la mano sulla guancia. Era così
pallida? «No, sono solo stanca», ripeté. «Possiamo andare a casa, adesso,
se Stefan sta meglio».
Il giovane annuì in maniera rassicurante, il messaggio nei suoi occhi era
solo per lei. «Ci concedete un minuto, per favore?», chiese a Mary e agli
altri, che si diressero verso la scala.
«Ciao. Abbi cura di te», disse Elena ad alta voce, abbracciandolo. Poi
sussurrò: «Perché non hai usato i tuoi Poteri su Mary?»
«L'ho fatto», le disse nell'orecchio, in tono severo. «O almeno ci ho
provato. Devo essere ancora debole. Non ti preoccupare, ce la farò».
«Certo che ce la farai», lo rassicurò Elena, ma sentì una stretta allo
stomaco. «Comunque, sei sicuro di poter restare solo? E se...».
«Starò bene. Sei tu quella che non dovrebbe restare sola». Il tono di
Stefan era gentile ma pressante. «Elena, non ho avuto la possibilità di
avvisarti. Avevi ragione quando dicevi che Damon era a Fell's Church».
«Lo so. È lui che ti ha fatto questo, vero?». Elena non accennò al fatto
che fosse andata a cercarlo.
«Io... non ricordo. Ma è pericoloso. Tieni Bonnie e Meredith con te
questa notte, Elena. Non voglio che tu sia sola. E assicurati che nessuno
faccia entrare estranei in casa».
«Andremo dritte a letto», promise Elena, sorridendogli. «E non faremo
entrare nessuno».
«Controlla bene». Non c'era alcuna nota scherzosa nel suo tono di voce,
31
ed Elena annuì lentamente.
«D'accordo, Stefan. Faremo attenzione».
«Bene». Si baciarono, sfiorandosi appena le labbra, sciogliendo a
malincuore la stretta delle loro mani. «Ringrazia gli altri», disse.
«Lo farò».
I cinque ragazzi si ritrovarono fuori del pensionato, e Matt si offrì di
accompagnare a casa Mary, così Bonnie e Meredith avrebbero potuto
andare con Elena. Mary era ancora palesemente sospettosa circa gli eventi
di quella sera, ed Elena non riusciva a biasimarla. Non riusciva neanche a
pensare. Era troppo stanca.
«Mi ha chiesto di ringraziare tutti voi», si ricordò, dopo che Matt se ne
fu andato.
«Non c'è... di che», disse Bonnie, intervallando le parole con un grosso
sbadiglio, mentre Meredith le apriva la portiera della macchina.
Meredith non disse nulla. Era stata molto silenziosa da quando aveva
lasciato Elena sola con Stefan.
Bonnie scoppiò a ridere. «Di una cosa ci siamo dimenticate», disse. «La
profezia».
«Quale profezia?», incalzò Elena.
«Riguardo il ponte. Quella che ritieni abbia detto io. Be', sei andata al
ponte e la Morte non era lì ad aspettarti, dopo tutto. Forse hai frainteso il
senso».
«No», intervenne Meredith. «Abbiamo ascoltato attentamente ogni
parola».
«Bene, allora, forse è un altro ponte. O... mmm...». Bonnie si strinse nel
cappotto, chiuse gli occhi e non si preoccupò di finire la frase.
Ma la mente di Elena completò la frase per lei. O un'altra volta.
Mentre Meredith avviava il motore, un gufo fece sentire il suo lamento.
5
2 novembre, sabato
Caro diario,
quando mi sono svegliata questa mattina mi sentivo così strana. Non so come
descriverlo. Da una parte, ero così debole che quando ho cercato di alzarmi i muscoli
non volevano sostenermi. Ma dall'altra mi sentivo così... bene. Così serena, rilassata.
Mi sembrava di galleggiare su un letto di luce dorata. Non m'importava se non fossi
più riuscita a muovermi.
Poi mi sono ricordata di Stefan, e ho cercato di alzarmi, ma zia Judith mi ha
32
rispedito a letto. Ha detto che Bonnie e Meredith erano andate via ore prima, e che mi
ero addormentata così rapidamente che non hanno avuto cuore di svegliarmi. Ha
detto che ho bisogno di riposo.
Così, eccomi qui. Zia Judith mi ha portato la TV in camera, ma non ho voglia di
guardarla. Preferirei stare qui sdraiata a scrivere, o stare sdraiata e basta.
Sto aspettando che Stefan mi chiami. Mi ha detto che l'avrebbe fatto. O forse no.
Non ricordo. Quando chiamerà devo
3 novembre, domenica, ore 22,30
Ho appena riletto quel che ho scritto ieri, e sono scioccata. Ma cosa mi succede?
Ho lasciato a metà una frase e ora non so neanche cosa stavo per dire. E non me lo
spiego con il fatto del nuovo diario o roba del genere. Dovevo essere totalmente fuori
di testa.
A ogni modo, questo è l'inizio ufficiale del mio nuovo diario. L'ho comprato
all'emporio. Non è bello come l'altro, ma dovrà esserlo. Ormai ho perso ogni speranza
persino di rivedere quello vecchio. Chi l'ha rubato, non lo restituirà. Ma quando
penso che qualcuno lo sta leggendo, e conosce tutti i miei pensieri più nascosti e i
miei sentimenti per Stefan, mi viene voglia di ucciderlo. E allo stesso tempo mi sento
morire per l'umiliazione subita.
Non mi vergogno di quel che provo per Stefan. Ma è personale. E ci sono cose in
quel diario, cosa provo quando ci baciamo, quando lui mi stringe fra le braccia, che
non vorrei che nessun altro leggesse.
Naturalmente, non c'è niente riguardo il segreto di Stefan. Non lo sapevo ancora. È
stato solo quando l'ho scoperto che ho capito veramente Stefan, e siamo stati insieme,
realmente insieme, finalmente. Ora apparteniamo l'uno all'altra. Mi sento come se lo
avessi aspettato per tutta la vita.
Forse penserai che sono una persona orribile perché lo amo, considerando cosa è.
Può essere violento, e so che ci sono cose nel suo passato di cui lui si vergogna. Ma
non potrebbe mai essere violento con me, e il passato è passato. Prova un tale rimorso
e soffre così tanto. Voglio guarirlo.
Non so cosa accadrà adesso; per ora sono felice che sia salvo. Oggi sono andata al
pensionato e ho scoperto che la polizia era stata lì ieri. Stefan era ancora debole e non
ha potuto usare i suoi Poteri per liberarsi di loro, ma non l'hanno accusato di nulla.
Gli hanno solo fatto delle domande. Stefan ha detto che si sono mostrati amichevoli,
e questo mi insospettisce. Tutte le domande si riducono in pratica a: dove eri la sera
in cui quel vecchio è stato aggredito sotto il ponte, e la sera in cui Vickie Bennett è
stata aggredita nella chiesa diroccata, e la notte in cui il signor Tanner è stato ucciso
nella scuola?
Non hanno alcuna prova contro di lui. Ma i crimini sono cominciati proprio dopo il
suo arrivo a Fell's Church, e allora? Non c'è alcuna prova. Ma lui ha discusso con il
signor Tanner quella sera. E allora? Tutti hanno discusso con il signor Tanner. Ma lui
è scomparso dopo che è stato trovato il cadavere del signor Tanner. Ma ora è tornato
ed è evidente che è stato aggredito anche lui, dalla stessa persona che ha commesso
gli altri crimini. Mary ha riferito alla polizia circa le sue condizioni di salute. E se mai
33
ce lo chiederanno, Matt, Bonnie, Meredith e io possiamo tutti testimoniare il modo in
cui l'abbiamo trovato. Non c'è nessuna prova contro di lui.
Io e Stefan abbiamo parlato insieme di questa storia, e di altre cose. È stato così
bello stare di nuovo con lui, anche se aveva ancora il viso pallido e tirato. Ancora non
ricorda come si è conclusa la serata di giovedì, ma il resto è andato proprio come
avevo sospettato. Dopo avermi accompagnata a casa, giovedì sera, Stefan è andato a
cercare Damon. Hanno litigato. Stefan si è ritrovato mezzo morto in quel pozzo. Non
ci vuole un genio per immaginare cosa è successo nel frattempo.
Non gli ho ancora detto che venerdì mattina sono andata al cimitero a cercare
Damon. Penso sia meglio se gliene parlo domani. So che rimarrà turbato, soprattutto
quando sentirà quel che mi ha detto Damon.
Bene, è tutto. Sono stanca. Questa diario verrà nascosto con cura, per ovvie
ragioni.
Elena si fermò a guardare l'ultima riga sulla pagina. Poi aggiunse:
P. S. Chissà chi sarà il nuovo insegnante di storia europea?
Infilò il diario sotto il materasso e spense la luce.
Percorse il corridoio con un insolito senso di vuoto. A scuola veniva
sempre bersagliata da saluti provenienti da ogni parte; era tutto un "ciao,
Elena" dopo un "ciao, Elena" ovunque andasse. Ma quella mattina gli
sguardi scivolavano via furtivi quando lei si avvicinava, o la gente si
trovava d'un tratto assorbita da qualcosa che la costringeva a dare la
schiena al suo passaggio. Era andata avanti così per tutto il giorno.
Si fermò sulla soglia dell'aula di storia europea. Alcuni studenti avevano
già preso posto e alla lavagna c'era uno sconosciuto.
Anche lui sembrava quasi uno studente. Aveva capelli rossicci, un po'
lunghi, e il fisico di un atleta. Sulla lavagna aveva scritto "Alaric K.
Saltzman". Quando si voltò, Elena vide che anche il suo sorriso era quello
di un ragazzo.
Continuò a sorridere mentre Elena si sedeva e altri studenti entravano in
aula uno dopo l'altro. Stefan era fra questi, e i suoi occhi incontrarono
quelli di Elena quando prese posto dietro di lei, ma non si parlarono.
Nessuno parlava. Nella stanza regnava un silenzio assoluto.
Bonnie si sedette di fianco a Elena. Matt era qualche banco più in là, ma
guardava dritto davanti a sé.
Gli ultimi due studenti ad arrivare furono Caroline Forbes e Tyler
Smallwood. Entrarono insieme, e a Elena non piacque l'espressione sul
viso di Caroline. Conosceva fin troppo bene quel sorriso sornione e quegli
34
occhi verdi socchiusi. Il viso attraente e alquanto in carne di Tyler lasciava
trasparire un'evidente soddisfazione. L'alone sotto gli occhi, provocato dal
pugno di Stefan, era quasi svanito.
«Ok, tanto per cominciare, che ne dite di disporre tutti i banchi in
circolo?».
L'attenzione di Elena tornò a concentrarsi sullo sconosciuto di fronte a
loro. Stava ancora sorridendo.
«Coraggio, diamoci da fare. Così potremo guardarci tutti in faccia
quando parliamo», aggiunse.
In silenzio, gli studenti ubbidirono. Lo sconosciuto non si sedette alla
cattedra del signor Tanner; avvicinò una sedia con lo schienale rivolto
verso il cerchio di banchi e ci si sedette a cavalcioni.
«Bene», riprese, «so che siete tutti curiosi di sapere chi sono. Il mio
nome è scritto sulla lavagna: Alaric K. Saltzman. Ma voglio che mi
chiamiate Alaric. Vi dirò qualcos'altro di me più tardi, ma prima voglio
darvi uno spunto per iniziare a parlare.
Probabilmente oggi sarà una giornata difficile per gran parte di voi.
Qualcuno a cui volevate bene non c'è più, e questo deve farvi soffrire.
Voglio darvi la possibilità di aprirvi e di condividere quel che provate con
me e con i vostri compagni. Voglio che proviate a mettervi in contatto con
la vostra inquietudine. Poi potremo cominciare a costruire un nostro
rapporto basato sulla fiducia. Ora, chi se la sente di parlare per primo?».
Tutti gli sguardi rimasero fissi su di lui. Nessuno batté ciglio.
«Bene, vediamo... tu?». Continuando a sorridere, fece un cenno
d'incoraggiamento a una graziosa ragazza dai capelli biondi. «Dicci come
ti chiami e cosa provi riguardo a quel che è accaduto».
In preda all'agitazione, la ragazza si alzò in piedi. «Mi chiamo Sue
Carson, e, ehm...». Prese un profondo respiro e proseguì con
determinazione. «E ho paura. Perché chiunque sia questo maniaco, è
ancora a piede libero. E la prossima volta potrebbe toccare a me». Tornò a
sedersi.
«Grazie, Sue. Sono sicuro che molti dei tuoi compagni provano la stessa
ansia. Ora, alcuni di voi erano di fatto là quando è successa questa
tragedia, dico bene?».
I banchi scricchiolarono quando gli studenti si mossero sulle sedie a
disagio. Ma Tyler Smallwood si alzò in piedi, e sorrise, mostrando i suoi
forti denti bianchi.
«La maggior parte di noi era là», disse, e il suo sguardo guizzò verso
35
Stefan. Elena vide altri seguire quello sguardo. «Sono arrivato là subito
dopo che Bonnie aveva scoperto il cadavere. E quel che provo è
preoccupazione per questa comunità. C'è un pericoloso assassino in giro
per le strade, e fino ad ora nessuno ha fatto niente per fermarlo. E...». Si
interruppe. Elena non ne era sicura, ma ebbe l'impressione che fosse stata
Caroline a fargli cenno di fermarsi. La ragazza gettò all'indietro i lucidi
capelli castano dorato e accavallò di nuovo le lunghe gambe mentre Tyler
riprendeva posto.
«Ok, grazie. Quindi la maggior parte di voi era là. Questo rende le cose
ancora più difficili. Potrei sentire cosa ha da dire la persona che ha trovato
il cadavere? C'è Bonnie qui?». Fece correre lo sguardo fra gli studenti.
Bonnie sollevò la mano, lentamente, poi si alzò in piedi. «Io credo di
aver scoperto il cadavere», precisò. «Voglio dire, sono stata la prima
persona a rendersi conto che in realtà era morto, e che non stava
semplicemente fingendo».
Alaric Saltzman sembrò alquanto sorpreso. «Non stava semplicemente
fingendo? Fingeva spesso di essere morto?». Qualcuno ridacchiò, e sul
volto dell'insegnante balenò un altro sorriso fanciullesco. Elena si voltò a
guardare Stefan, che aveva un'espressione accigliata.
«No... no», continuò Bonnie. «Vede, era un sacrificio. Nella Casa
Stregata. Così era coperto dappertutto di sangue, ma era sangue finto. E in
parte è stata colpa mia, perché lui non voleva metterlo addosso, e io gli ho
detto che era necessario. Doveva fare la parte del Cadavere Insanguinato.
Ma lui continuava a dire che si sarebbe sporcato troppo, e solo quando è
arrivato Stefan e ha discusso con lui...». Si bloccò. «Voglio dire, ne
abbiamo parlato insieme e alla fine il signor Tanner ha accettato di farlo, e
poi abbiamo aperto la Casa Stregata. E poco dopo mi sono accorta che non
era seduto a spaventare i ragazzi come avrebbe dovuto fare, e allora mi
sono avvicinata e gli ho chiesto cosa c'era che non andava. Ma non mi ha
risposto. Continuava... continuava a fissare il soffitto. E allora l'ho toccato
e lui... è stato orribile. La sua testa è come... caduta». La voce tremò e si
ruppe. Bonnie deglutì faticosamente.
Elena si stava alzando in piedi, e così Stefan e Matt, e pochi altri ragazzi.
Elena toccò Bonnie.
«Bonnie, va tutto bene. Bonnie, calmati; va tutto bene».
«E avevo le mani tutte sporche di sangue. C'era sangue dappertutto,
tanto sangue...». Tirò su col naso, in modo convulso.
«Ok, pausa», intervenne Alaric Saltzman. «Chiedo scusa, non intendevo
36
angosciarti fino a questo punto. Ma penso che dovrai lavorare ancora su
queste emozioni in futuro. È chiaro che è stata un'esperienza piuttosto
devastante».
Il professore si alzò in piedi e si mise a camminare all'interno del cerchio
dei banchi, aprendo e chiudendo nervosamente le mani. Bonnie continuava
sommessamente a tirare su col naso.
«Ho trovato», disse, con un altro sorriso fanciullesco. «Vorrei
cominciare bene il nostro rapporto studenti-insegnante, lontano da tutta
questa atmosfera. Che ne dite di venire tutti a casa mia questa sera, così
possiamo parlare senza tante cerimonie? Magari per cominciare a
conoscerci, o per parlare di quel che è accaduto. Potete anche portare un
amico, se vi fa piacere. Che ne pensate?».
Lo fissarono per altri trenta secondi. Poi qualcuno disse: «Casa sua?»
«Sì... oh, quasi dimenticavo. Che stupido. Alloggio alla casa dei Ramsey,
su Magnolia Avenue». Scrisse l'indirizzo sulla lavagna. «I Ramsey sono
miei amici, e mi hanno prestato la casa mentre sono in vacanza. Vengo da
Charlottesville, e il vostro preside mi ha telefonato venerdì per chiedermi
se volevo prendere il posto del signor Tanner. Ho colto l'occasione al volo.
Questo è il mio primo incarico come insegnante».
«Oh, questo spiega tutto», commentò Elena sottovoce.
«Dici?», disse Stefan.
«Allora, cosa ne pensate? Siete d'accordo?». Alaric Saltzman guardò i
ragazzi.
Nessuno ebbe il coraggio di rifiutare. Qua e là si levò un "sì" o un
"certo".
«Perfetto, allora è deciso. Io penserò a qualcosa da mettere sotto i denti e
avremo l'occasione per conoscerci. Oh, a proposito...». Aprì il registro di
classe e gli diede una rapida occhiata. «In questo corso, la partecipazione
costituirà la metà del vostro voto finale». Sollevò lo sguardo e sorrise.
«Ora potete andare».
«Che faccia tosta», mormorò qualcuno mentre Elena usciva fuori dalla
porta. Bonnie era dietro di lei, ma la voce di Alaric Saltzman la richiamò in
classe.
«Gli studenti che prima sono intervenuti nella nostra conversazione
potrebbero per cortesia fermarsi ancora un minuto?».
Anche Stefan doveva andare via. «Sarà meglio che vada a presentarmi
agli allenamenti di football», disse. «Probabilmente sono stati cancellati,
ma è meglio che controlli».
37
Elena era preoccupata. «Se non li hanno cancellati, pensi di farcela?»
«Starò bene», rispose in tono evasivo. Ma la ragazza notò che aveva
ancora il viso tirato e si muoveva come se provasse dolore. «Ci vediamo
davanti al tuo armadietto», le disse.
Lei annuì. Quando arrivò al suo armadietto, vide Caroline lì vicino che
parlava con altre due ragazze. Tre paia di occhi seguirono ogni suo
movimento mentre riponeva i libri, ma quando Elena sollevò la testa, due
di loro improvvisamente distolsero lo sguardo. Soltanto Caroline continuò
a fissarla, la testa leggermente piegata di lato mentre bisbigliava qualcosa
alle altre ragazze.
Elena ne aveva avuto abbastanza. Sbatté l'anta dell'armadietto e si
diresse dritta verso il gruppetto. «Ciao, Becky; ciao, Sheila», disse. Poi,
con eccessiva enfasi: «Ciao, Caroline».
Becky e Sheila bofonchiarono un "ciao" e aggiunsero che dovevano
andare. Elena non si voltò neanche a guardarle mentre sgattaiolavano via.
Tenne gli occhi fissi su Caroline.
«Cosa succede?», volle sapere.
«Cosa succede?», Caroline evidentemente trovava la cosa divertente, e
cercava di tirarla per le lunghe. «Cosa succede con chi?»
«Con te, Caroline. Con tutti. Non fare finta di non avere qualcosa in
mente, perché so che è così. È tutto il giorno che la gente mi evita come se
avessi la peste, e tu hai l'aria di una che ha appena vinto la lotteria. Cosa
hai combinato?».
L'espressione di innocente curiosità sul viso di Caroline svanì, lasciando
il posto a un sorriso sornione. «Quando è iniziata la scuola ti ho detto che
quest'anno le cose sarebbero andate diversamente, Elena», disse. «Ti ho
avvisato che la tua permanenza sul trono sarebbe finita. Ma io non ho fatto
niente. Quel che sta succedendo è solo selezione naturale. La legge della
giungla».
«E cos'è che sta succedendo?»
«Be', diciamo che uscire con un assassino può mettere un freno alla tua
vita sociale».
Fu come se Caroline le avesse dato un pugno nello stomaco. Per un
attimo, provò l'irresistibile desiderio di essere lei a colpire Caroline. Poi,
con il sangue che le pulsava nelle orecchie, rispose a denti stretti: «Non è
vero. Stefan non ha fatto niente. La polizia lo ha interrogato e l'ha
discolpato da ogni accusa».
Caroline scrollò le spalle. Ora le sorrideva con aria di sufficienza.
38
«Elena, ti conosco dai tempi dell'asilo», disse, «quindi ti voglio dare un
consiglio in onore dei vecchi tempi: lascia Stefan. Se lo fai subito forse
eviterai di diventare una lebbrosa per la società. Altrimenti faresti meglio a
comprare una campanella da suonare quando vai in giro».
La rabbia s'impadronì di Elena quando Caroline si voltò per allontanarsi,
con i capelli castano dorato che ondeggiavano sotto le luci. Poi Elena trovò
il coraggio di parlare.
«Caroline». La ragazza si voltò. «Hai intenzione di venire al party a casa
Ramsey questa sera?»
«Penso di sì. Perché?»
«Perché io sarò lì. Con Stefan. Ci vediamo nella giungla». Questa volta
fu Elena ad allontanarsi.
La fierezza nella sua uscita di scena perse un po' del suo gusto quando
intravide una figura slanciata in fondo al corridoio. Per un attimo esitò sui
suoi passi, poi, avvicinandosi, riconobbe Stefan.
Sapeva che il sorriso che gli rivolse era forzato, e lui lanciò un'occhiata
verso la fila di armadietti mentre si dirigevano, fianco a fianco, fuori della
scuola.
«Così hanno annullato gli allenamenti di football?», disse.
Il ragazzo annuì. «Di cosa stavate parlando?», domandò con voce calma.
«Niente. Ho chiesto a Caroline se aveva intenzione di venire al party
questa sera». Elena piegò la testa indietro per guardare il cielo grigio e
tetro.
«Ed era di questo che parlavate?».
Elena si ricordò cosa le aveva detto nella sua stanza. Lui riusciva a
vedere meglio di un essere umano, e a sentire meglio, anche. Tanto meglio
da riuscire ad afferrare le parole pronunciate a più di dieci metri di
distanza, all'altra estremità del corridoio?
«Sì», confermò con tono di sfida, continuando a esaminare le nuvole.
«Ed è per questo che sei così arrabbiata?»
«Sì», ripeté, con lo stesso tono.
Elena sentiva gli occhi di Stefan su di lei. «Elena, non è vero».
«Bene, se riesci a leggermi nella mente allora non hai bisogno di farmi
domande, no?».
Adesso erano uno di fronte all'altra. Stefan era teso, le labbra strette in
una linea severa. «Sai che non lo farei. Ma credevo che tu fossi l'unica a
credere nella sincerità all'interno di un rapporto».
«Va bene. Caroline stava dicendo le sue solite malignità e le ha sparate
39
grosse sull'omicidio. E allora? Perché ti interessa?»
«Perché», disse Stefan in modo diretto e brutale, «potrebbe aver ragione.
Non riguardo all'omicidio ma riguardo a te. Riguardo a noi due. Avrei
dovuto capire che sarebbe andata così. Non si tratta solo di lei, vero? Ho
avvertito paura e ostilità per tutto il giorno, ma ero troppo stanco per
cercare di analizzarle. Pensano che io sia l'assassino e se la prendono con
te».
«Non importa quel che pensano! Si sbagliano, e alla fine se ne
renderanno conto. E poi tutto tornerà come prima».
Stefan sollevò un angolo della bocca, in un sorriso malinconico. «Lo
credi davvero, eh?». Poi distolse lo sguardo, il viso s'irrigidì. «E se non se
ne rendono conto? E se le cose cambieranno solo in peggio?»
«Ma cosa dici?»
«Sarebbe meglio...». Stefan prese un profondo respiro e continuò,
misurando le parole. «Sarebbe meglio se non ci vedessimo per un po'. Se
pensano che non stiamo insieme, ti lasceranno in pace».
Elena lo guardò con gli occhi sgranati. «E tu pensi di riuscirci? A non
vedermi e non parlarmi per chissà quanto tempo?»
«Se è necessario... sì. Potremmo far credere che ci siamo lasciati». Serrò
la mascella.
Elena lo fissò ancora per un attimo. Poi gli girò intorno e gli andò
vicino, così vicino che quasi si toccavano. Stefan dovette abbassare lo
sguardo per vederla, gli occhi a pochi centimetri dai suoi.
«C'è», cominciò Elena, «un solo modo perché io annunci al resto della
scuola che ci siamo lasciati. Ed è se mi dici che non mi ami e non vuoi
vedermi. Dimmelo, Stefan, adesso. Dimmi che non vuoi più stare con me».
Stefan trattenne il respiro. La guardò intensamente con quegli occhi
verdi striati come quelli di un gatto, con sfumature di smeraldo, malachite
e agrifoglio.
«Dillo», gli disse. «Dimmi come puoi farcela senza di me, Stefan.
Dimmi...».
Non arrivò a finire la frase. Rimase a metà, mentre la bocca di Stefan
raggiungeva la sua.
6
Stefan era seduto nel soggiorno di casa Gilbert, e garbatamente
conveniva con qualsiasi cosa stesse dicendo zia Judith. L'anziana donna si
40
sentiva a disagio per la presenza del giovane; non c'era bisogno di leggerle
nel pensiero per capirlo. Ma ce la stava mettendo tutta, e anche Stefan. Lui
voleva che Elena fosse felice.
Elena. Anche quando non la stava guardando, era consapevole della sua
presenza nella stanza più di ogni altra cosa. Sentiva il suo calore vitale
sulla pelle, come luce del sole sulle palpebre chiuse. Quando si decise a
voltarsi per guardarla in viso, fu un dolce shock per tutti i suoi sensi.
La amava così tanto. Non vedeva più Katherine in lei; aveva quasi
dimenticato quanto somigliasse alla fanciulla morta. In ogni caso, le
differenze erano molte. Elena aveva gli stessi capelli biondo chiaro e la
pelle vellutata, gli stessi lineamenti delicati di Katherine, ma la
somiglianza finiva lì. I suoi occhi, che ora sembravano violetti alla luce del
caminetto ma di solito erano di un blu intenso come i lapislazzuli, non
erano mai timorosi o ingenui come quelli di Katherine. Al contrario,
rivelavano la sua anima, che risplendeva come fiamma viva dietro di loro.
Elena era Elena, e la sua immagine aveva preso il posto del delicato
fantasma di Katherine nel suo cuore.
Ma era proprio la sua forza a rendere pericoloso il loro amore. La
settimana precedente non era riuscito a resisterle quando gli aveva offerto
il suo sangue. Certo, sarebbe morto se non avesse accettato, ma tutto era
accaduto troppo in fretta per l'incolumità di Elena. Per la centesima volta,
il suo sguardo si spostò sul viso della ragazza, in cerca di segni rivelatori
di un cambiamento. L'incarnato chiaro era un po' più pallido? La sua
espressione era lievemente distaccata?
Avrebbero dovuto fare attenzione da ora in avanti. Lui avrebbe dovuto
fare più attenzione. Nutrirsi spesso, saziare la sua sete con animali, così
non sarebbe stato tentato. Mai lasciare che il bisogno diventi troppo
pressante. Ora che ci aveva pensato, era affamato. Quel desiderio spietato,
bruciante, si irradiava nella sua mascella, insinuandosi nelle vene e nei
capillari. Avrebbe dovuto essere fuori nel bosco – i sensi allertati a cogliere
il minimo scricchiolio di ramoscelli secchi, i muscoli pronti a scattare
all'inseguimento – e non li accanto al fuoco, a osservare il disegno delle
vene di un pallido azzurro sulla gola di Elena.
Quella gola sottile si girò quando Elena si voltò verso di lui.
«Vuoi andare a quel party stasera? Possiamo prendere la macchina di zia
Judith», disse.
«Ma prima potreste cenare qui», si affrettò a dire la zia.
«Possiamo prendere qualcosa lungo la strada». Elena voleva dire che
41
potevano prendere qualcosa per lei, pensò Stefan. Poteva masticare e
ingoiare cibo normale, se avesse dovuto, ma non gli avrebbe fatto bene, e
da molto tempo ormai aveva perso la capacità di gustarlo. No, i suoi...
appetiti... ora, erano più insoliti, pensò. E se fossero andati a quel party,
sarebbero passate ore prima che lui avesse potuto saziarsi. Ma fece un
cenno di assenso a Elena.
«Se tu vuoi andarci», disse.
Elena voleva; era decisa. Lui l'aveva capito sin dall'inizio. «Bene, allora
sarà meglio che mi cambi».
Stefan la seguì ai piedi della scala. «Indossa qualcosa con un collo alto.
Un pullover», le disse, con una voce troppo bassa per essere sentita.
Elena guardò oltre il vano della porta, nel soggiorno ormai vuoto, e
disse: «È tutto a posto. Sono quasi guariti. Vedi?». Tirò giù il collo di
pizzo, girando la testa da un lato.
Stefan restò a fissare, come ipnotizzato, i due fori sulla pelle delicata.
Erano di un leggero colore bordeaux, quasi traslucido, come un vino molto
annacquato. Serrò i denti e si costrinse a distogliere lo sguardo. Se avesse
continuato a fissarli, sarebbe impazzito.
«Non mi riferivo a questo», disse, in modo brusco.
Il velo lucente dei capelli ricadde a coprire i segni, nascondendoli alla
vista. «Oh».
«Entrate!».
Quando fecero il loro ingresso nella stanza, la conversazione si fermò.
Elena osservò le facce rivolte verso di loro, gli sguardi curiosi e furtivi, le
espressioni diffidenti. Non il genere di sguardi che era abituata a ricevere
al suo arrivo.
Era stato un altro studente ad aprire loro la porta; Alaric Saltzman non
era nei paraggi. Ma Caroline sì, seduta su uno sgabello del bar, che
metteva in bella mostra le gambe. Rivolse a Elena un'occhiata beffarda e
poi disse qualcosa al ragazzo alla sua destra, che si mise a ridere.
Elena sentì che sorridere cominciava a diventarle penoso, mentre un
leggero rossore si diffondeva lentamente sulle sue guance. Poi le arrivò il
suono di una voce familiare.
«Elena, Stefan! Da questa parte».
Con un senso di gratitudine, individuò Bonnie seduta insieme a
Meredith e a Ed Goff su un divano a esse nell'angolo. Quando lei e Stefan
si furono accomodati su una grande ottomana di fronte a loro, sentì che la
42
conversazione nella stanza si rianimava.
Per tacito accordo, nessuno accennò all'imbarazzo che aveva generato
l'arrivo di Elena e Stefan. Elena era decisa a fingere che tutto fosse come al
solito.
E Bonnie e Meredith le davano tutto il loro appoggio. «Hai un aspetto
magnifico», le disse Bonnie affettuosamente. «Adoro quel pullover rosso».
«È proprio carina. Non trovi, Ed?», disse Meredith, e il ragazzo, preso
alla sprovvista, annuì.
«Così anche la vostra classe è stata invitata qui, stasera», Elena disse a
Meredith. «Pensavo fosse circoscritto agli studenti della settima ora».
«Non so se invitata sia il termine giusto», ribatté Meredith
sarcasticamente. «Se consideriamo che la partecipazione costituisce metà
del nostro voto finale».
«Credi che l'abbia detto seriamente? Non poteva dire sul serio»,
intervenne Ed.
Elena scrollò le spalle. «A me è sembrato serio. Dov'è Ray?», chiese a
Bonnie.
«Ray? Oh, Ray. Non lo so, qua in giro, suppongo. C'è un sacco di gente
stasera».
Era vero. Il soggiorno dei Ramsey era affollato, e da quel che Elena
poteva capire la gente era confluita nella sala da pranzo, nel salone, e
probabilmente anche nella cucina. Gomiti continuavano a strusciare contro
i capelli di Elena mentre le persone passavano dietro di lei.
«Cosa voleva Saltzman quando vi ha trattenuto dopo la lezione?», stava
chiedendo Stefan.
«Alaric», precisò Bonnie. «Vuole che lo chiamiamo Alaric. Oh, voleva
solo essere gentile. Si sentiva in colpa per avermi fatto rivivere
un'esperienza così penosa. Non sapeva con precisione come era morto il
signor Tanner, e non si era reso conto che io fossi così sensibile.
Ovviamente, anche lui è incredibilmente sensibile, quindi sa cosa vuol
dire. È del segno dell'Acquario».
«Con la luna crescente nel segno del "rimorchio"», aggiunse Meredith
sotto voce. «Bonnie, non crederai a queste idiozie, vero? È un insegnante,
e non dovrebbe provarci così con gli studenti».
«Non ci stava affatto provando! Ha detto esattamente la stessa cosa a
Tyler e a Sue Carson. Ha detto che dovremmo costituire un gruppo di
sostegno gli uni per gli altri o scrivere un tema su quella notte per dare
sfogo ai nostri sentimenti. Ha detto che gli adolescenti sono tutti molto
43
impressionabili e che non voleva che quella tragedia lasciasse un segno
indelebile nelle nostre vite».
«Oh, mamma mia», disse Ed, e Stefan soffocò una risata in un colpo di
tosse. Non era divertito, tuttavia, e la domanda che aveva fatto a Bonnie
non nasceva da semplice curiosità. Elena intuiva, percepiva qualcosa che si
irradiava dal giovane. Stefan provava per Alaric Saltzman quel che la
maggior parte della gente presente nella stanza provava per lui. Diffidenza
e sospetto.
«Strano, però, che si comportasse come se l'idea del party gli fosse
venuta in quel momento, nella nostra classe», disse Elena, rispondendo
inconsapevolmente alle domande inespresse di Stefan, «quando è evidente
che aveva già programmato tutto».
«Ancora più strano che la scuola assuma un insegnante senza dirgli
come è morto il collega che deve sostituire», aggiunse Stefan. «Tutti ne
parlano; ne avranno parlato anche i giornali».
«Ma non con tutti i particolari», precisò Bonnie. «In realtà, ci sono cose
che la polizia non ha ancora divulgato perché ritiene che potrebbero
rivelarsi utili per catturare l'assassino. Per esempio», abbassò la voce,
«sapete cosa ha detto Mary? Il dottor Feinberg stava parlando con il tipo
che ha eseguito l'autopsia, il coroner. E ha detto che nel corpo non c'era più
sangue. Neanche una goccia».
Elena si sentì attraversare da un vento gelido, come se fosse di nuovo nel
cimitero. Non riuscì a parlare. Ma intervenne Ed: «E dove è andato a
finire?»
«Be', sul pavimento, suppongo», rispose tranquillamente Bonnie.
«Sull'altare e così via. È su questo che la polizia sta indagando adesso. Ma
non è normale che in un cadavere non ci sia più sangue; di solito un po' si
va a concentrare nella parte inferiore del corpo. Si chiama lividezza postmortem. Sono come dei grandi lividi violacei. Cosa c'è che non va?»
«La tua straordinaria sensibilità mi sta facendo venire da vomitare»,
disse Meredith con voce strozzata. «Potremmo parlare di qualcos'altro?»
«Non sei tu quella che si è ritrovata tutta sporca di sangue», cominciò
Bonnie, ma Stefan la interruppe.
«Gli investigatori sono arrivati a qualche conclusione in base a quello
che hanno scoperto? Sono in qualche modo sulle tracce dell'assassino?»
«Non lo so», rispose Bonnie, e poi s'illuminò in viso. «A proposito,
Elena, tu hai detto che sapevi...».
«Smettila, Bonnie», disse Elena, disperata. Se mai ci fosse stato un
44
luogo dove parlare di quella faccenda, non era certo quella stanza gremita
di gente che detestava Stefan. Bonnie spalancò gli occhi, e poi annuì,
ricomponendosi.
Ma Elena non riusciva a calmarsi. Stefan non aveva ucciso il signor
Tanner, eppure le stesse prove che avrebbero condotto a Damon potevano
facilmente portare a lui. E avrebbero portato a lui, perché nessuno, tranne
lei e Stefan, sapeva dell'esistenza di Damon. Lui era là fuori, da qualche
parte, nell'ombra. In attesa della sua prossima vittima. Forse aspettava
Stefan... o lei.
«Ho caldo», disse all'improvviso. «Vado a vedere che genere di rinfresco
ci ha preparato Alaric».
Stefan fece per alzarsi, ma Elena gli fece cenno di restare. Lui non
avrebbe saputo cosa farsene di patatine e ponce. E lei voleva restare sola
per qualche minuto, muoversi un po', ritrovare la calma.
Stare con Meredith e Bonnie le aveva dato un falso senso di sicurezza.
Ora che si era allontanata, si trovò di nuovo di fronte a sguardi furtivi e
schiene voltate. Questa volta non lo sopportò. Avanzò attraverso la calca
con deliberata arroganza, sostenendo ogni sguardo che le capitava di
incrociare. Godo già di una pessima fama, pensò. Allora posso anche
essere sfrontata.
Aveva fame. Nel soggiorno dei Ramsey qualcuno aveva allestito un
ricco buffet dall'aspetto davvero invitante. Elena prese un piatto di carta e
vi lasciò cadere qualche bastoncino di carota, ignorando le persone intorno
al tavolo in rovere sbiancato. Non intendeva parlare con nessuno a meno
che non fossero gli altri a rivolgerle la parola. Si concentrò interamente sul
buffet: si sporse oltre le persone per scegliere fettine di formaggio o Ritz,
passò davanti a loro per prendere dell'uva, fece correre platealmente lo
sguardo da un vassoio all'altro come per accertarsi di non aver dimenticato
niente.
Era riuscita a monopolizzare l'attenzione di tutti, e se ne rendeva conto
senza dover sollevare lo sguardo. Morse delicatamente un grissino, e
tenendolo stretto fra i denti come fosse una matita, si allontanò dal tavolo.
«Potrei dare un morso anch'io?».
Lo shock le fece sgranare gli occhi e le bloccò il respiro. La mente
bloccata si rifiutava di ammettere quel che stava accadendo, lasciandola
impotente, vulnerabile, a farvi fronte. Ma anche se la razionalità era
scomparsa, i suoi sensi continuarono impietosamente a registrare: occhi
scuri che dominavano il suo campo visivo, una zaffata di chissà quale
45
colonia a riempirle le narici, due lunghe dita che le sollevavano il mento.
Damon si piegò in avanti e, con un morso deciso, staccò l'altra estremità
del grissino.
In quel momento, solo pochi centimetri separarono le loro labbra. Stava
per piegarsi a dare un secondo morso quando Elena recuperò le facoltà
mentali quanto bastava per tirarsi indietro, afferrare con la mano il pezzo
di grissino e gettarlo via. Il giovane lo recuperò a mezz'aria, in una
virtuosa esibizione di prontezza di riflessi.
Aveva gli occhi ancora fissi su di lei. Elena riuscì finalmente a prendere
un respiro e aprì la bocca, senza sapere bene perché. Forse per gridare. Per
dire a tutta quella gente di scappare lontano, nella notte. Il cuore le
martellava nel petto come un maglio meccanico, la vista si era annebbiata.
«Calma, calma». Le tolse il piatto di mano e poi in qualche modo le
prese il polso. Lo stringeva delicatamente, come aveva fatto Mary per
misurare le pulsazioni di Stefan. Mentre Elena continuava a fissarlo a
bocca aperta, le accarezzò il polso con il pollice, come per confortarla.
«Calma. Va tutto bene».
Cosa ci fai qui? Pensò la ragazza. L'ambiente intorno a lei le sembrava
stranamente luminoso e innaturale. Sembrava uno di quegli incubi in cui
tutto è normale, come se uno fosse sveglio, e poi all'improvviso succede
qualcosa di spaventoso. Lui voleva ucciderli tutti.
«Elena? Ti senti bene?». Sue Carson si stava rivolgendo a lei, la
afferrava per le spalle.
«Credo le sia andato di traverso qualcosa», disse Damon, liberando il
polso di Elena. «Ma ora è passato. Perché non ci presenti?».
Lui voleva ucciderli tutti...
«Elena, lui è Damon, ehm...». Sue aprì la mano per chiedere scusa, e
Damon finì la frase per lei.
«Smith». Sollevò un bicchiere di carta verso Elena. «La vita».
«Cosa ci fai qui?», gli sussurrò la ragazza.
«È uno studente del college», venne in aiuto Sue, quando fu evidente
che Damon non aveva intenzione di rispondere. «Da... l'Università della
Virginia, vero? Dal "William and Mary"?»
«Fra gli altri posti», disse Damon, guardando sempre Elena. Non aveva
rivolto neanche uno sguardo a Sue. «Mi piace viaggiare».
Il mondo intorno a Elena era tornato come prima, ma era un mondo
agghiacciante. C'erano persone tutte intorno a loro, che seguivano con
interesse lo scambio di battute, impedendole di parlare liberamente. Ma
46
allo stesso tempo la proteggevano. Per chissà quale ragione, Damon stava
giocando, e fingeva di essere uno di loro. E mentre quella messinscena
andava avanti, non avrebbe potuto farle niente di fronte a tutta quella
gente... sperava.
Un gioco. Ma era lui a fissare le regole. Era lì, nel soggiorno dei
Ramsey, e giocava con lei.
«Si fermerà qualche giorno», proseguì Sue, con gentilezza. «In visita
da... amici, hai detto? O parenti?»
«Sì», tagliò corto Damon.
«Sei fortunato se puoi partire quando ti pare», osservò Elena. Non
sapeva cosa la spingesse a cercare di smascherarlo.
«La fortuna c'entra ben poco», ribatté Damon. «Ti piace ballare?»
«Qual è la tua materia di specializzazione?».
Damon le sorrise. «Folklore americano. Lo sapevi, per esempio, che se
hai un neo sul collo vuol dire che diventerai ricca? Ti spiace se controllo?»
«A me sì». La voce arrivò da dietro le spalle di Elena. Era sicura, fredda,
controllata. Elena aveva sentito Stefan parlare con quel tono solo una
volta: quando aveva trovato Tyler che cercava di approfittare di lei nel
cimitero. Le dita di Damon sulla gola di Elena si fermarono, e la ragazza,
liberata dal suo sortilegio, fece un passo indietro.
«Ma ti interessa?», disse.
I due si fronteggiavano nella debole luce tremolante del candeliere di
ottone.
Elena seguiva i suoi pensieri che si sovrapponevano l'uno all'altro, come
in un dolce a diversi strati. Tutti hanno gli occhi incollati sulla scena; deve
essere meglio di un film... Non mi ero accorta che Stefan fosse più alto...
Bonnie e Meredith si stanno chiedendo cosa succede... Stefan è furioso ma
è ancora debole, sofferente... Se si avventa contro Damon adesso, avrà la
peggio...
E davanti a tutta questa gente. I suoi pensieri in corsa si interruppero
bruscamente, mentre ogni cosa diventava chiara. Per questo Damon era lì,
perché Stefan lo aggredisse, apparentemente senza motivo. Non contava
quel che sarebbe successo dopo, lui avrebbe vinto. Se Stefan lo avesse
cacciato, sarebbe stata solo un'ulteriore prova della "naturale
predisposizione alla violenza" di Stefan. Un'ulteriore prova per gli
accusatori di Stefan. E se Stefan fosse stato battuto...
Ci avrebbe rimesso la vita, pensò Elena. Oh, Stefan, lui adesso è tanto
più forte di te; ti prego, non farlo. Non stare al suo gioco. Lui vuole
47
ucciderti; sta solo aspettando l'occasione giusta.
Si impose di muoversi, anche se si sentiva rigida e impacciata come una
marionetta. «Stefan», disse, prendendo la sua mano fredda fra le sue,
«andiamo a casa».
Sentiva la tensione nel corpo del giovane, come una corrente elettrica
che correva sotto la sua pelle. In quel momento era totalmente concentrato
su Damon, e la luce nei suoi occhi era come una fiamma riflessa dalla lama
di un pugnale. Non l'aveva mai visto in questo stato, non lo riconosceva.
Ne ebbe paura.
«Stefan», ripeté, chiamandolo come se si fosse smarrito nella nebbia e
lei non riuscisse a trovarlo. «Stefan, ti prego».
E lentamente, a poco a poco, sentì che lui reagiva. Lo sentì respirare e
abbandonare lo stato d'allerta, scendendo a un livello inferiore d'energia.
Distolto da quello stato di micidiale concentrazione, si voltò a guardarla, e
la vide.
«Va bene», le disse dolcemente, guardandola negli occhi. «Andiamo».
Mentre si allontanavano, Elena mantenne il contatto con Stefan,
prendendolo sottobraccio e stringendogli una mano. Con la sola forza di
volontà, riuscì a non guardare al di sopra della sua spalla mentre
lasciavano la stanza, ma sentì la pelle della schiena accapponarsi come se
si aspettasse una coltellata.
Invece sentì la voce pacata e ironica di Damon. «E lo sapevi che baciare
una ragazza dai capelli rossi cura l'herpes labiale?». E poi la risata
esagerata, compiaciuta, di Bonnie.
Mentre uscivano, finalmente incontrarono il loro ospite.
«Andate via così presto?», chiese Alaric. «Ma non ho ancora avuto
modo di parlare con voi».
Li guardò entrambi, con un'espressione di attesa e di rimprovero, come
un cane che sa perfettamente che non sarà portato fuori a fare una
passeggiata, eppure continua a scodinzolare. Elena sentì la preoccupazione
montargli nel petto al pensiero di lasciare lui e chiunque altro in quella
casa. Lei e Stefan li stavano abbandonando nelle mani di Damon.
Doveva solo sperare che la sua valutazione precedente fosse esatta e che
lui volesse continuare quella messinscena. Adesso era già abbastanza
occupata a portare Stefan fuori di lì prima che cambiasse idea.
«Non mi sento molto bene», disse, mentre prendeva la borsetta lasciata
sull'ottomana. «Scusate». Strinse più forte il braccio di Stefan. Ci sarebbe
voluto davvero poco per farlo tornare sui suoi passi in direzione del
48
soggiorno.
«Mi dispiace», disse Alaric. «Ciao».
Solo quando arrivarono sulla soglia del portone Elena vide il bordo di un
foglietto viola infilato nella tasca laterale della borsa. Lo tirò fuori e lo aprì
meccanicamente, intanto la mente era concentrata su altre cose.
C'era scritto qualcosa, in una grafia semplice, marcata, sconosciuta. Solo
tre righe. Le lesse, e sentì il mondo tremarle sotto i piedi. Questo era
troppo; non poteva più far fronte a tutto questo.
«Cos'è?», le chiese Stefan.
«Niente». Mise il pezzo di carta nella tasca laterale, spingendolo in
fondo con le dita. «Non è niente, Stefan. Usciamo di qui».
S'incamminarono fuori sotto una pioggia fitta e pungente.
7
«La prossima volta», disse Stefan con calma, «non me ne andrò». Elena
sapeva cosa voleva dire e ne fu terrorizzata. Ma ormai le sue emozioni
stavano tranquillamente procedendo a ruota libera, e lei non intendeva
discutere.
«Era lì», disse. «In una casa comune piena di gente comune, come se
avesse tutto il diritto di esserci. Non pensavo che avrebbe mai osato tanto».
«Perché no?», ribatté Stefan in tono brusco. «Anche io ero in una casa
comune piena di gente comune, come se avessi tutto il diritto di esserci».
«Non volevo dire questo. Solo che l'unica altra volta che l'ho visto in
pubblico è stato alla Casa Stregata, e lui indossava una maschera e un
costume, ed era buio. Prima di allora si è trattato sempre di luoghi deserti,
come nella palestra quella sera che ero lì da sola, o nel cimitero...».
Non appena ebbe pronunciato le ultime parole capì di aver commesso un
errore. Non aveva ancora detto che tre giorni prima era andata a cercare
Damon. Seduto al volante, Stefan s'irrigidì.
«O nel cimitero?»
«Sì... Mi riferivo a quel giorno in cui qualcuno ha inseguito me, Bonnie
e Meredith. Sto dando per scontato che fosse Damon. E il luogo era
deserto, a parte noi tre».
Perché gli stava mentendo? Perché altrimenti, rispose una vocina
risoluta dentro la sua testa, Stefan potrebbe reagire. Sapere quel che
Damon le aveva detto, quel che le aveva prospettato, sarebbe stato
sufficiente a far perdere il controllo a Stefan.
49
Non potrò mai dirglielo, realizzò, con un moto di tristezza. Né di quella
volta, né di qualsiasi altra cosa che Damon farà in futuro. Se lotta contro
Damon, sarà la sua fine.
Quindi non lo saprà mai, promise a se stessa. Non importa cosa dovrò
fare, impedirò loro di lottare per causa mia. Non importa cosa dovrò fare.
Per un attimo si sentì raggelare il sangue dalla paura. Cinquecento anni
prima, Katherine aveva tentato di impedire loro di combattere, ed era
riuscita solo a spingerli verso uno scontro mortale. Ma lei non avrebbe
commesso lo stesso errore, si disse Elena risolutamente. Katherine aveva
usato metodi sciocchi e ingenui. Chi altri se non una bambina sciocca si
sarebbe uccisa nella speranza che i due pretendenti alla sua mano
sarebbero diventati amici? Era stato lo sbaglio peggiore di tutta l'intera
spiacevole faccenda. Per quel suo gesto, la rivalità fra Stefan e Damon si
era trasformata in un odio implacabile. E per di più Stefan da allora era
vissuto nel rimorso; incolpava se stesso dell'ingenuità e della debolezza di
Katherine.
Cercando un altro argomento di cui parlare, chiese a Stefan: «Pensi che
sia stato qualcuno a invitarlo?»
«Ovviamente, visto che era lì».
«Allora è vero per... per persone come te. Devi essere invitato a entrare.
Ma Damon è entrato nella palestra senza essere invitato».
«Perché la palestra non è un posto dove abitano i vivi. Questo è l'unico
criterio. Non importa se si tratta di una casa o di una tenda o di un
appartamento sopra un magazzino. Se esseri umani viventi mangiano e
dormono lì, dobbiamo essere invitati per entrare».
«Ma io non ti ho invitato a entrare nella mia casa».
«Sì che l'hai fatto. La prima sera, quando ti ho accompagnata a casa, tu
hai aperto la porta e mi hai fatto cenno di entrare. Non deve essere un
invito verbale. È sufficiente che ci sia l'intenzione. E la persona che ti
invita non deve essere qualcuno che abita di fatto in quella casa. Qualsiasi
essere umano può farlo».
Elena stava pensando. «E se si tratta di una casa galleggiante?»
«Stessa cosa. Anche se l'acqua in movimento può essere un ostacolo in
sé. Per alcuni di noi, è quasi impossibile attraversarla».
Elena ebbe un'improvvisa visione di lei, Meredith e Bonnie che
correvano per raggiungere Wickery Bridge. Perché in qualche modo lei
sapeva che se fossero arrivate sulla riva opposta del fiume sarebbero state
al sicuro da chiunque le stesse inseguendo.
50
«Allora è questo il motivo», mormorò. Anche se non si spiegava ancora
come facesse a saperlo. Era come se quella consapevolezza provenisse da
una fonte esterna. Allora capì qualcos'altro.
«Tu mi hai portato dall'altra parte del ponte. Tu puoi attraversare l'acqua
in movimento».
«Perché sono debole». Lo disse in tono piatto, senza alcuna emozione.
«È assurdo, ma più forti sono i tuoi Poteri, più sei condizionato da
determinate limitazioni. Più appartieni alle tenebre, più le leggi delle
tenebre ti vincolano».
«Quali altre leggi ci sono?», chiese Elena. Cominciava a intravedere un
barlume di piano. O almeno di speranza per realizzare un piano.
Stefan la guardò. «Sì», disse, «credo sia ora che tu le conosca. Più cose
sai riguardo a Damon, più possibilità hai di proteggere te stessa».
Di proteggere me stessa? Forse Stefan sapeva più di quanto lei pensasse.
Ma quando svoltò in una strada laterale e parcheggiò la macchina, Elena
disse soltanto: «Ok. Dovrei cominciare a fare provvista di aglio?».
Stefan rise. «Solo se vuoi diventare impopolare. Però esistono certe
piante che potrebbero esserti d'aiuto. Come la verbena. Si dice che
protegga dai sortilegi, e riesca a farti conservare la mente lucida anche se
qualcuno sta usando i Poteri contro di te. La gente la portava intorno al
collo. A Bonnie piacerebbe; per i druidi era una pianta sacra».
«Verbena», ripeté Elena, pronunciando quella parola sconosciuta. «Che
altro?»
«Una luce violenta, o la luce diretta del sole possono risultare molto
fastidiose. Hai notato che il tempo è cambiato?»
«L'ho notato», confermò Elena dopo un po'. «Vuoi dire che è opera di
Damon?»
«Certamente. Ci vuole un potere immenso per controllare gli elementi,
ma gli permette di muoversi alla luce del giorno. Finché mantiene il cielo
nuvoloso, non ha neanche bisogno di proteggersi gli occhi».
«E neanche tu», aggiunse Elena. «E riguardo... be', croci e così via?»
«Nessun effetto», rispose Stefan. «Ma se la persona che ne impugna una crede
che possa proteggerla, questo può rafforzare la sua volontà per opporre una
straordinaria resistenza».
«Ah... e i proiettili d'argento?».
Stefan scoppiò di nuovo in una breve risata. «È roba per licantropi. Da
quel che ho sentito non gradiscono l'argento in nessuna forma. Un palo di
legno piantato nel cuore è ancora il metodo valido per tipi come me. Ci
51
sono anche altri modi che sono più o meno efficaci: il rogo, la
decapitazione, piantare chiodi nelle tempie. Oppure, il metodo migliore in
assoluto...».
«Stefan!». Il sorriso malinconico e amaro sul viso del giovane la
sgomentò. «E tramutarsi in un animale?», chiese. «Prima, mi hai detto che
con Potere sufficiente potevi farlo. Se Damon può diventare ogni animale
che vuole, come lo riconosceremo?»
«Non ogni animale che vuole. Si deve limitare a un animale, o al
massimo due. Persino con i suoi Poteri non credo che possa sopportare di
più».
«Quindi dobbiamo stare attenti a un corvo».
«Esatto. Potresti riuscire a capire se lui è nei paraggi anche osservando
gli altri animali. Di solito non reagiscono molto bene in nostra presenza;
sentono che siamo predatori».
«Yangtze ha continuato ad abbaiare contro il corvo. Era come se sapesse
che c'era qualcosa che non andava», ricordò Elena. «Ah... Stefan»,
aggiunse con un diverso tono di voce quando le balenò un'altra idea, «che
mi dici degli specchi? Non mi ricordo di averti mai visto specchiare».
Per un momento, Stefan non rispose. Poi disse: «La leggenda dice che
gli specchi riflettono l'anima della persona che vi si guarda. Per questo i
popoli primitivi hanno paura degli specchi; temono che le loro anime
resteranno intrappolate e verranno rubate. Dei tipi come me, si pensa che
non abbiano un'immagine riflessa... perché non hanno anima».
Lentamente, allungò la mano verso lo specchietto retrovisore e lo piegò
verso il basso, regolandolo in modo che Elena potesse guardarci dentro.
Nello specchio, vide gli occhi di Stefan, smarriti, tormentati e
infinitamente tristi.
Non poteva fare altro che stringerlo fra le braccia, ed Elena lo fece. «Ti
amo», gli sussurrò. Era l'unico conforto che poteva dargli. Era tutto quel
che avevano.
Le sue braccia si strinsero intorno a lei, il viso affondato nei capelli. «Sei
tu lo specchio», le sussurrò di rimando.
Era bello sentirlo così rilassato, la tensione che abbandonava il suo
corpo per lasciare posto al calore e al conforto. Anche lei si sentiva
sollevata, invasa, circondata da un senso di pace. Era così piacevole che si
dimenticò di chiedergli cosa aveva voluto dire finché non arrivarono
davanti al portone, e si salutarono.
«Io sono lo specchio?», disse a quel punto, sollevando lo sguardo verso
52
di lui.
«Tu hai rubato la mia anima», disse. «Chiudi a chiave la porta e per
questa sera non la riaprire più». E poi, era già sparito.
«Elena, grazie al cielo», disse zia Judith. Quando Elena la guardò
meravigliata, aggiunse: «Bonnie mi ha telefonato dal party. Ha detto che
eri andata via all'improvviso, e quando ho visto che non tornavi a casa mi
sono preoccupata».
«Io e Stefan abbiamo fatto un giro in macchina». A Elena non piacque
l'espressione che apparve sul viso della zia. «C'è qualche problema?»
«No, no. Solo che...». Sembrava che zia Judith non sapesse come finire
la frase. «Elena, mi chiedevo se non sarebbe una buona idea... non vedere
così spesso Stefan».
Elena si fermò di colpo. «Anche tu?»
«Non è che credo a quei pettegolezzi», la rassicurò zia Judith. «Ma, per
il tuo bene, sarebbe meglio prendere una certa distanza da lui, e...».
«Scaricarlo? Abbandonarlo perché la gente sta mettendo in giro voci su
di lui?». La rabbia arrivò come una liberazione, e le parole si affollarono
nella gola di Elena, come se volessero uscire tutte in una volta. «No, io
non penso che sia una buona idea, zia Judith. E se fosse Robert quello di
cui stiamo parlando, non lo penseresti neanche tu. O forse sì!».
«Elena, non devi parlarmi con questo tono...».
«Tanto ho finito!», urlò Elena, e si girò di scatto, senza riflettere, per
raggiungere le scale. Riuscì a trattenere le lacrime finché non arrivò nella
sua camera e chiuse la porta a chiave. Poi si buttò sul letto, singhiozzando.
Si tirò su poco dopo per chiamare Bonnie. Bonnie era agitata e non
riusciva a stare zitta. Cosa diavolo voleva dire Elena, se era successo
qualcosa di strano dopo che lei e Stefan se ne erano andati? La cosa strana
era che se ne erano andati! No, quel nuovo ragazzo, Damon, non aveva
detto niente riguardo a Stefan; si era trattenuto al party per un po' e poi era
scomparso. No, Bonnie non aveva visto se era andato via insieme a
qualcuno. Perché? Elena era gelosa? Sì, stava scherzando. Ma lui era
davvero bellissimo, vero? Quasi più di Stefan, ammesso che ti piacciano i
ragazzi con occhi e capelli scuri. Naturalmente, se preferisci i capelli più
chiari e gli occhi color nocciola...
Elena dedusse all'istante che Alaric Saltzman aveva gli occhi color
nocciola.
53
Alla fine riuscì a chiudere la telefonata e soltanto allora si ricordò del
biglietto che aveva trovato. Avrebbe dovuto chiedere a Bonnie se qualcuno
si era avvicinato alla sua borsa mentre era in sala pranzo. Ma dopo anche
Meredith e Bonnie si erano fermate per un po' dove c'era il buffet.
Qualcuno doveva aver agito allora.
La sola vista del foglio viola le fece sentire l'amaro in bocca. A stento
riusciva a guardarlo. Ma ora che era sola doveva aprirlo e rileggerlo;
continuava a sperare che le parole fossero cambiate, che prima si fosse
sbagliata.
Ma non erano cambiate. Le lettere precise e marcate risaltavano sullo
sfondo chiaro, come se fossero alte tre metri.
Voglio toccarlo. Più di qualsiasi altro ragazzo che abbia mai
conosciuto. E so che anche lui lo vuole, ma si trattiene.
Le sue parole. Prese dal suo diario. Quello che era stato rubato.
Il giorno dopo Meredith e Bonnie suonarono al campanello della porta.
«Ieri sera mi ha telefonato Stefan», disse Meredith. «Ha detto che voleva
essere sicuro che tu non andassi a scuola da sola. Oggi lui non verrà, così
ha chiesto a me e Bonnie se potevamo venire a prenderti».
«Ad accompagnarti», precisò Bonnie, che era chiaramente di buon
umore. «A scortarti. Penso che sia straordinariamente dolce da parte sua
essere così protettivo».
«Deve essere anche lui dell'Acquario», commentò Meredith. «Andiamo,
Elena, prima che la uccida, così la smette di parlare di Alaric».
Elena camminava in silenzio, chiedendosi cosa impedisse a Stefan di
andare a scuola. Si sentiva vulnerabile e indifesa, come se fosse nuda. Una
di quelle giornate in cui era pronta a scoppiare a piangere per un nonnulla.
Nella bacheca dell'ufficio era affisso un foglietto di carta viola.
Doveva aspettarselo. In qualche modo, nel profondo del cuore, se lo
aspettava. Il ladro non si accontentava di farle sapere che aveva letto le sue
annotazioni personali. Le stava dimostrando che poteva renderle
pubbliche.
Elena staccò il foglio dalla bacheca e lo accartocciò, ma non prima di
aver dato una rapida scorsa a quel che c'era scritto. Quell'unica occhiata
bastò per imprimere quelle parole a fuoco nel suo cervello.
Credo che qualcuno l'abbia ferito in modo terribile in passato e Stefan
non lo supererà mai. Ma penso anche che ci sia qualcosa di cui ha paura,
qualche segreto che teme io scopra.
54
«Elena, cos'è quello? Che ti succede? Elena, torna qui!».
Bonnie e Meredith la seguirono fino al più vicino bagno per le ragazze,
dove Elena si fermò vicino al cestino della carta straccia a strappare il
foglio in pezzetti microscopici, ansimando come se avesse appena
concluso una gara di corsa. Le due amiche si scambiarono un'occhiata e
poi si mossero per ispezionare le cabine dei bagni.
«Ok», disse Meredith alzando la voce, «studente privilegiato. Tu!».
Bussò all'unica porta chiusa. «Vieni fuori».
Si sentì un fruscio, poi una sconcertata matricola venne fuori dalla
cabina. «Ma non ho neanche...».
«Fuori. Fuori di qui», ordinò Bonnie. «E tu», disse alla ragazza che si
stava lavando le mani «vai là fuori e assicurati che non entri nessuno».
«Ma perché? Cosa state...».
«Muoviti, ragazza. Se qualcuno entrerà da quella porta ti riterremo
responsabile».
Quando la porta si fu richiusa, assalirono Elena.
«Ok, questa è una rapina», esordì Meredith. «Andiamo, Elena, sgancia».
Elena strappò l'ultimo pezzetto di carta, non sapendo se piangere o
ridere. Voleva raccontare tutto alle amiche, ma non poteva. Decise di dire
loro del diario.
Si mostrarono arrabbiate e indignate quanto lei.
«Deve essere stato qualcuno al party», disse alla fine Meredith, dopo che
ebbero espresso la loro opinione in merito alla persona, ai valori morali e
alla probabile destinazione nella vita dell'aldilà del ladro. «Ma avrebbe
potuto farlo chiunque. Non ricordo nessuno in particolare che si sia
avvicinato alla tua borsa, ma quella stanza era affollata di gente, e potrebbe
essere accaduto senza che me ne accorgessi».
«Ma perché qualcuno avrebbe voluto farlo?», osservò Bonnie. «A meno
che... Elena, la notte che abbiamo trovato Stefan tu hai accennato a
qualcosa. Hai detto che credevi di sapere chi è l'assassino».
«Non credo di saperlo; lo so. Ma se vi state chiedendo se le due cose
siano collegate, non lo so con certezza. Penso di sì. Potrebbe essere stata la
stessa persona».
Bonnie era inorridita. «Ma significa che l'assassino è uno studente di
questa scuola!». Quando Elena scosse la testa, proseguì. «Le uniche
persone al party che non erano studenti erano quel ragazzo nuovo e
Alaric». Cambiò espressione. «Alaric non ha ucciso il signor Tanner! Non
era neanche a Fell's Church allora».
55
«Lo so. Non è stato Alaric». Ormai si era spinta troppo oltre per
fermarsi; ormai anche Bonnie e Meredith sapevano fin troppo. «È stato
Damon».
«Quel ragazzo era l'assassino? Quel ragazzo che mi ha baciata?»
«Bonnie, calmati». Come sempre, quando le altre persone erano in preda
all'agitazione, Elena riusciva a trovare il suo autocontrollo. «Sì, è lui
l'assassino, e noi tre dobbiamo stare in guardia contro di lui. È per questo
che ve ne sto parlando. Non gli chiedete mai, mai di entrare in casa
vostra».
Non disse altro, e guardò le amiche. La stavano fissando. E per un
attimo ebbe la sgradevole sensazione che non le credessero. Che stessero
dubitando della sua sanità mentale.
Ma tutto quel che Meredith chiese, in tono calmo e distaccato, fu: «Ne
sei sicura?»
«Sì. Ne sono sicura. Lui è l'assassino e quello che ha gettato Stefan in
quel pozzo, e dopo potrebbe toccare a uno di noi. E non so se esiste un
modo per fermarlo».
«Bene, allora», disse Meredith, inarcando le sopracciglia, «non mi
stupisce che tu e Stefan avevate tanta fretta di lasciare il party».
Quando Elena entrò nella mensa, Caroline le rivolse un sorrisetto
maligno. Ma Elena quasi non la notò.
Ma notò subito un'altra cosa. Vickie Bennett era lì.
Vickie non era andata a scuola da quella sera in cui Matt, Bonnie e
Meredith l'avevano trovata che vagava lungo la strada, farneticando di
foschia e di occhi e di qualcosa di orribile nel cimitero. I dottori che
l'avevano visitata subito dopo avevano detto che non aveva niente di grave
a livello fisico, ma non era più tornata al Robert E. Lee. La gente
mormorava sugli psicologi e sulle terapie farmacologiche che stavano
tentando.
Comunque non aveva l'aria di una pazza, pensò Elena. Era pallida e
spenta, e come raggrinzita dentro i suoi vestiti. E quando Elena le passò
accanto, alzò lo sguardo, ma gli occhi erano come quelli di un cerbiatto
impaurito.
Era strano sedersi a un tavolo mezzo vuoto, con la sola compagnia di
Bonnie e Meredith. Di solito si creava una ressa per occupare i posti vicino
a loro tre.
«Stamani non abbiamo concluso il discorso», disse Meredith.
56
«Prendiamo qualcosa da mangiare, e poi penseremo a cosa fare riguardo a
quei biglietti».
«Non ho fame», ribatté Elena bruscamente. «E poi cosa possiamo fare?
Se si tratta di Damon, non c'è modo di fermarlo. Credetemi, la polizia non
può fare niente. Per questo non gli ho detto che era lui l'assassino. Non c'è
alcuna prova e, per di più, non immaginerebbero mai... Bonnie, non mi stai
ascoltando».
«Scusa», disse Bonnie, con gli occhi fissi su un punto oltre l'orecchio
sinistro di Elena. «Ma laggiù sta accadendo qualcosa di strano».
Elena si voltò. Vickie Bennett era in piedi di fronte alla mensa, ma non
sembrava più spenta e chiusa in se stessa. Si stava guardando intorno nella
sala, con fare scaltro e calcolatore, e sorrideva.
«Be', non ha un'aria normale, ma non avrei detto che si sarebbe
comportata in modo così strano», commentò Meredith. Poi aggiunse:
«Aspettate un attimo».
Vickie si stava sbottonando il cardigan. Ma era il modo in cui lo stava
facendo – con lenti colpetti delle dita, continuando a guardarsi intorno con
quel sorriso impenetrabile – che era strano. Arrivata all'ultimo bottone,
prese delicatamente il pullover fra l'indice e il pollice e lo fece scivolare
giù prima da un braccio e poi dall'altro. E lo lasciò cadere a terra.
«Strana è la parola giusta», confermò Meredith.
Gli studenti che passavano davanti a Vickie con i vassoi pieni le
lanciavano occhiate incuriosite e poi si voltavano a guardarla oltre la spalla
mentre si allontanavano. Nessuno si fermò, almeno finché non cominciò a
togliersi le scarpe.
Lo fece con grazia, facendo leva con la punta di una scarpa sul tacco
dell'altra e sfilandola dal piede. Poi si diede da fare con la seconda.
«Non può continuare così», mormorò Bonnie, mentre le dita di Vickie si
spostavano sui bottoncini in perla sintetica della camicia bianca di seta.
Tutte le teste erano girate in quella direzione; i presenti si scambiavano
gomitate e gesti d'intesa. Intorno a Vickie si era formato un piccolo
gruppo, che si teneva a debita distanza per non intralciare la vista degli
altri spettatori.
La camicia di seta scivolò via, fluttuando come un fantasma ferito fino a
posarsi sul pavimento. Sotto Vickie indossava una sottoveste in pizzo color
panna.
Nella mensa non si sentiva altro rumore che un brusio sommesso.
Nessuno mangiava. Il gruppo intorno a Vickie si era infittito.
57
La ragazza fece un sorriso di falso pudore e cominciò a slacciare i ganci
all'altezza della vita. La gonna plissettata cadde sul pavimento. Uscì fuori
dal cerchio della gonna e la spinse di lato con un piede.
Qualcuno si alzò in fondo alla mensa e intonò: «Nuda, nuda!». Altre
voci si unirono al coro.
«Non c'è nessuno che la fermi?», si stizzì Bonnie.
Elena si alzò in piedi. L'ultima volta che era andata vicino a Vickie, la
ragazza aveva urlato e l'aveva colpita. Ma ora, quando le fu accanto, le
rivolse un sorriso complice. Mosse le labbra, ma nel frastuono del coro
Elena non riuscì a capire cosa stesse dicendo.
«Coraggio, Vickie. Andiamo», le disse.
Vickie scosse i capelli castano chiaro e tirò giù la spallina della
sottoveste.
Elena si chinò a raccogliere il cardigan e lo avvolse intorno alle spalle
esili della ragazza. Non appena la toccò, Vickie spalancò gli occhi fino a
quel momento socchiusi, ancora con quello sguardo da cerbiatto impaurito.
Fissò la gente intorno a sé, convulsamente, come se si fosse appena
risvegliata da un sogno. Abbassò gli occhi per guardarsi, e sul viso apparve
un'espressione incredula.
Stringendosi il cardigan addosso, indietreggiò, tremando.
Nella sala era calato di nuovo il silenzio.
«Va tutto bene», le disse Elena, in tono rassicurante. «Vieni».
Al suono della sua voce, Vickie sussultò come se avesse ricevuto una
scarica elettrica. Guardò meravigliata Elena, poi reagì di scatto.
«Tu sei una di loro! Ti ho vista! Sei un mostro!».
Si girò e corse via a piedi nudi fuori della mensa, lasciando Elena senza
parole.
8
«Sai cosa c'è di strano nel comportamento di Vickie a scuola? A parte le
cose più evidenti, voglio dire», disse Bonnie, leccandosi il cioccolato sulle
dita.
«Cosa?», domandò Elena con indifferenza.
«Be', come si è ritrovata alla fine, in sottoveste. Proprio come l'abbiamo
trovata noi lungo la strada, solo che quella volta era tutta piena di graffi».
«Graffi di gatto, pensavamo», aggiunse Meredith, finendo l'ultimo pezzo
di torta. Sembrava trovarsi in uno dei suoi stati d'animo tranquilli e
58
riflessivi; proprio in quel momento stava osservando attentamente Elena.
«Ma la cosa non sembra molto probabile».
Elena la guardò dritta in faccia. «Forse era finita in mezzo ai rovi»,
disse. «Ora, se avete finito di mangiare, volete dare un'occhiata al primo
biglietto?».
Misero i piatti nel lavandino e salirono le scale verso la camera di Elena.
Quando le ragazze lessero quelle frasi, Elena si sentì arrossire. Bonnie e
Meredith erano le sue migliori amiche, forse le uniche amiche, ormai.
Altre volte aveva letto loro passaggi del suo diario. Ma questa volta era
diverso. Fu la sensazione più umiliante che avesse mai provato. «Allora?»,
chiese a Meredith.
«La persona che lo ha scritto è alta un metro e settantotto centimetri,
zoppica leggermente e indossa baffi finti», recitò Meredith. «Scusa»,
aggiunse, vedendo l'espressione di Elena. «Non è divertente. In effetti, non
c'è molto su cui basarsi, no? La scrittura sembra quella di un uomo, ma la
carta è decisamente femminile».
«E tutta la faccenda riporta un tocco femminile», osservò Bonnie,
rimbalzando leggermente sul letto di Elena. «Be', è evidente», aggiunse,
sulla difensiva. «Riportare a te frasi del tuo diario è il genere di cose che
solo una donna penserebbe di fare. Agli uomini non interessano i diari».
«Tu semplicemente non vuoi che possa trattarsi di Damon», disse
Meredith. «Penso che dovrebbe preoccuparti di più che sia un assassino
psicopatico piuttosto che un ladro di diari».
«Non so; gli assassini hanno un che di romantico. Immagina di morire
con le sue mani strette intorno alla gola. Ti soffocherebbe fino a toglierti la
vita, e l'ultima cosa che vedresti sarebbe il suo volto». Portandosi le mani
alla gola, Bonnie rantolò e spirò tragicamente, lasciandosi cadere sul letto.
«Può avermi in qualsiasi momento», disse, gli occhi ancora chiusi.
Elena stava per dire: "Non capisci che non è uno scherzo", e invece
trasalì. «Oh, Dio», esclamò, e corse alla finestra. La giornata era umida e
afosa, e qualcuno aveva aperto la finestra. Fuori, sui rami scheletrici del
cotogno, era posato un corvo.
Tirò giù la finestra scorrevole con un tale impeto da scuotere il vetro e
farlo tintinnare. Il corvo la fissò con occhi color ossidiana attraverso la
lastra ancora vibrante. I colori dell'arcobaleno luccicarono debolmente sul
suo lucido piumaggio nero.
«Perché l'hai detto?», chiese, girandosi verso Bonnie.
«Ehi, ma non c'è nessuno là fuori», disse Meredith gentilmente. «A parte
59
gli uccelli».
Elena distolse lo sguardo da loro. I rami ora erano vuoti.
«Scusa», disse Bonnie un attimo dopo, in tono sommesso. «Solo che a
volte tutto sembra irreale, anche che il signor Tanner sia morto sembra
irreale. E Damon sembrava... be', eccitante. Ma pericoloso. Credo anch' io
che sia pericoloso».
«E oltre a questo, lui non ti stringerebbe la gola, te la taglierebbe»,
precisò Meredith. «O almeno questo è quel che ha fatto a Tanner. Ma quel
vecchio sotto il ponte aveva la gola squarciata, come se l'avesse aggredito
un animale». Meredith guardò Elena per avere delucidazioni. «Damon non
ha un animale, vero?»
«No. Non lo so». All'improvviso Elena si sentì molto stanca. Era
preoccupata per Bonnie, per le conseguenze di quelle parole sciocche.
"Posso fare qualsiasi cosa a te, a te e a chi ami", si ricordò. Cosa avrebbe
potuto fare Damon adesso? Non riusciva a capirlo. Ogni volta che lo
incontrava, era diverso. Nella palestra l'aveva schernita, aveva riso di lei.
Ma la volta dopo era certa che avesse parlato seriamente, recitandole
poesie, tentando di convincerla ad andare con lui. La settimana precedente,
nel vento gelido del cimitero che sferzava l'aria intorno a lui, era stato
minaccioso, crudele. E aveva percepito la stessa minaccia nelle parole
beffarde della sera prima. Non poteva prevedere come si sarebbe
comportato la volta successiva.
Ma, qualunque cosa fosse successa, doveva proteggere Bonnie e
Meredith da lui. Soprattutto perché non poteva metterle in guardia su
alcuni particolari.
E cosa stava combinando Stefan? Aveva bisogno di lui, adesso, Più di
ogni altra cosa. Dove era?
Tutto era cominciato quella mattina.
«Fammi capire bene», disse Matt, appoggiandosi alla carrozzeria rigata
della sua vecchia Ford Sedan, quando Stefan gli si era avvicinato di fronte
alla scuola. «Vuoi che ti presti la macchina».
«Si», disse Stefan.
«E la ragione per cui la vuoi in prestito sono i fiori. Vuoi prendere dei
fiori per Elena».
«Sì».
«E questi fiori speciali, questi fiori che hai appena deciso di prendere,
non crescono da queste parti».
60
«Potrebbero. Ma il periodo della fioritura è finito qui nel nord della
regione. E il gelo li avrebbe comunque fatti morire».
«Così tu vuoi dirigerti a sud – quanto a sud, non lo sai – per trovare un
po' di questi fiori che hai appena deciso di portare a Elena».
«O almeno qualche pianta», disse Stefan. «Anche se preferirei trovare i
fiori». ,
«E dal momento che la polizia ha requisito la tua macchina, vuoi in
prestito la mia, per tutto il tempo che ti ci vorrà per andare verso sud e
trovare questi fiori che hai appena deciso di dare a Elena».
«Immagino che stare al volante di una macchina sia il modo meno
vistoso per lasciare la città», spiegò Stefan. «Non voglio che la polizia mi
segua».
«Già. E per questo vuoi la mia macchina».
«Sì. Pensi di prestarmela?»
«Penso di prestare la mia macchina al tipo che mi ha rubato la ragazza e
che ora vuole farsi una gita di piacere verso sud per trovare un tipo di fiori
speciali che lei deve avere? Ma sei matto?». Matt, che aveva parlato
guardando oltre i tetti delle case in legno dall'altra parte della strada, si
voltò verso Stefan. Gli occhi azzurri, di solito allegri e sinceri, erano pieni
di amara incredulità, e sormontati da una fronte aggrottata.
Stefan distolse lo sguardo. Avrebbe dovuto immaginarlo. Dopo tutto
quello che Matt aveva fatto per lui, aspettarsi di più era assurdo.
Soprattutto in quei giorni, in cui la gente trasaliva al rumore dei suoi passi
ed evitava il suo sguardo quando si avvicinava. Aspettarsi che Matt, che
aveva la migliore delle ragioni per avercela con lui, gli facesse un favore
simile senza alcuna spiegazione, solo sulla base della fiducia, era
veramente folle.
«No, non sono matto», disse, con calma, e si girò per andarsene.
«Neanche io», aveva detto Matt. «E dovrei essere pazzo per prestarti la
mia macchina. E no, cavolo. Verrò con te».
Quando Stefan tornò a voltarsi, Matt stava guardando la macchina, il
labbro inferiore proteso in fuori in un'espressione imbronciata, prudente e
sospettosa.
«Dopo tutto», riprese, lisciando il vinile spellato del tetto della
macchina, «potresti graffiarmi la vernice o roba del genere».
Elena riagganciò il telefono. Qualcuno era al pensionato, perché
continuava a sollevare la cornetta, ma dopo c'era solo silenzio e poi il clic
61
della linea interrotta. Sospettò che fosse la signora Flowers, che non
voleva dirle dove si trovava Stefan. Istintivamente, volle andare da lui. Ma
fuori non era buio, e Stefan le aveva raccomandato di non uscire quando
non c'era più luce, soprattutto vicino al cimitero o al bosco. Il pensionato
era vicino a entrambi.
«Non risponde nessuno?», chiese Meredith quando Elena tornò a sedersi
sul letto.
«Continua a riattaccare», disse Elena, e borbottò qualcosa sotto voce.
«Dicevi che era una strega?»
«No, ma le prime tre lettere sono le stesse», ribatté Elena.
«Senti», disse Bonnie, mettendosi a sedere. «Se Stefan vuole chiamare,
chiamerà qui. Non c'è motivo che tu venga a passare la notte da me».
Un motivo c'era, anche se Elena non riusciva quasi a spiegarlo persino a
se stessa. Dopo tutto, Damon aveva baciato Bonnie al party di Alaric
Saltzman. Era colpa di Elena se Bonnie era la prima a trovarsi in pericolo.
In qualche modo, se fosse stata almeno presente sulla scena, l'avrebbe
potuto proteggere.
«Mamma, papà e Mary sono tutti in casa», insistette Bonnie. «E
serriamo a chiave tutte le porte e le finestre e così via da quando hanno
ucciso il signor Tanner. Questa settimana papà ha montato serrature extra.
Non so cosa potresti fare tu».
Neanche Elena lo sapeva. Ma sarebbe andata lo stesso.
Lasciò un messaggio per Stefan a zia Judith, dicendogli dove era andata.
C'era ancora una sorta d'imbarazzo fra lei e la zia. E sarebbe rimasto,
pensò Elena, finché zia Judith non avesse cambiato parere riguardo a
Stefan.
A casa di Bonnie, le diedero la stanza che era appartenuta a una delle
sorelle dell'amica, che si trovava ora al college. La prima cosa che fece fu
controllare la finestra. Era chiusa e serrata, e all'esterno non c'era niente su
cui ci si potesse arrampicare, come una grondaia o un albero. Cercando di
non dare nell'occhio, controllò anche la camera di Bonnie e ogni altra in
cui riuscì a entrare. Bonnie aveva ragione: erano tutte serrate dall'interno.
Niente poteva intrufolarsi dall'esterno.
Rimase sveglia a lungo quella notte, fissando il soffitto senza riuscire a
prendere sonno. Continuava a rivedere Vickie che faceva lo striptease con
aria sognante nella mensa. Cosa c'era che non andava in quella ragazza?
Doveva ricordarsi di domandarlo a Stefan appena l'avesse rivisto.
Pensare a Stefan era piacevole, nonostante tutti i terribili eventi accaduti
62
di recente. Elena sorrise nel buio, lasciando vagare la mente. Un giorno
tutto questo tormento sarebbe cessato, e lei e Stefan avrebbero potuto
programmare una vita insieme. Naturalmente, lui non aveva mai detto
niente del genere, ma Elena ne era sicura. Avrebbe sposato Stefan, o
nessun altro. E Stefan non avrebbe sposato nessuna tranne lei...
Scivolare nel sonno fu così dolce e graduale che quasi non se ne accorse.
Ma, per qualche motivo, sapeva che stava sognando. Era come se una
piccola parte di lei fosse lì accanto a guardare il sogno come se fosse un
lavoro teatrale.
È seduta in un lungo corridoio, su un lato rivestito di specchi e sull'altro
occupato da finestre. E in attesa di qualcosa. Poi vede un accenno di
movimento, ed è Stefan, in piedi fuori della finestra. Il viso è pallido e gli
occhi pieni di rabbia e di dolore. Si avvicina alla finestra, ma il vetro le
impedisce di sentire cosa le sta dicendo. In una mano stringe un libro con
la copertina di velluto blu, e continua a indicarlo e a domandarle qualcosa.
Alla fine lascia cadere il libro e si gira per andarsene.
«Stefan, non andartene! Non mi lasciare!», grida Elena. Le dita premute
contro il vetro. Si accorge che c'è una chiusura a scatto su un lato della
finestra, la apre, e lo chiama. Ma Stefan è scomparso, e fuori vede soltanto
un turbinio di bianca foschia.
Disperata, si allontana dalla finestra e inizia a percorrere il corridoio. La
sua immagine si riflette in uno specchio dopo l'altro, mentre sfila davanti a
essi. Poi qualcosa in una di quelle immagini riflesse attira la sua
attenzione. Gli occhi sono i suoi, ma in essi c'è un nuovo sguardo, uno
sguardo furtivo, da predatore. Ricorda gli occhi di Vickie mentre si
spogliava. E c'è qualcosa di inquietante e di famelico nel suo sorriso.
Mentre continua a osservare, ferma davanti allo specchio, l'immagine
comincia improvvisamente a girare vorticosamente, come se danzasse.
Elena è sopraffatta dall'orrore. Comincia a correre lungo il corridoio, ma
ora tutte le immagini hanno preso vita, danzano, la chiamano, ridono di lei.
Quando pensa ormai che il cuore e i polmoni stiano per scoppiarle per il
terrore, raggiunge la fine del corridoio e spalanca una porta.
Si ritrova in un'ampia, splendida stanza. Il soffitto molto alto è scolpito e
intarsiato con un complesso motivo in oro; i vani delle porte sono rivestiti
di marmo bianco. Statue classiche sono collocate all'interno di nicchie
lungo le pareti. Elena non ha mai visto una sala così splendida, ma sa dove
si trova. Nell'Italia del Rinascimento, dove è vissuto Stefan.
Abbassa gli occhi per guardarsi e si accorge che sta indossando un abito
63
come quello che aveva preparato per Halloween, un abito da ballo
rinascimentale color azzurro ghiaccio. Ma questo abito è di un colore rosso
cupo, e intorno alla vita porta una catena sottile impreziosita da scintillanti
pietre rosse. Anche fra i capelli ha le stesse pietre. Quando si muove, il
tessuto di seta manda bagliori come fiamme prodotte dalla luce di
centinaia di torce.
All'estremità opposta della sala, una porta a due grandi battenti si apre
verso l'interno. Al centro appare una figura. Cammina verso di lei, e lei
vede che è un giovane in abiti rinascimentali, con farsetto, calzabraca e
giustacuore ornato di pelliccia.
Stefan! Si precipita verso di lui, sentendo il peso dell'abito che ondeggia
al di sotto del corpetto. Ma quando gli arriva più vicino si blocca, le manca
il respiro. È Damon.
Il giovane continua ad avanzare verso di lei, disinvolto e sicuro di sé.
Sorride, un sorriso di sfida. Quando la raggiunge, si posa una mano sul
cuore e fa un inchino. Poi le tende una mano, come se la sfidasse a
prenderla.
«Ti piace danzare?», le chiede. Solo che le sue labbra non si muovono.
Quella voce è nella mente di Elena.
Ogni timore svanisce, ed Elena ride. Ma perché mai aveva avuto paura
di lui? Si capivano alla perfezione. Ma invece di prendere la sua mano, si
gira per allontanarsi, facendo ondeggiare il vestito. Si dirige agilmente
verso una delle statue lungo la parete, senza guardare dietro di sé per
vedere se lui la sta seguendo. È sicura che è così. Finge di essere assorta a
osservare la statua, poi si allontana di colpo quando lui la raggiunge,
mordendosi un labbro per trattenere una risata. In questo momento si sente
meravigliosamente bene, così viva, così bella. Pericoloso? Certo, è un
gioco pericoloso. Ma lei ha sempre amato il pericolo.
Quando lui le si avvicina di nuovo, si volta e gli lancia uno sguardo
divertito. Il giovane tenta di raggiungerla, ma riesce ad afferrare soltanto la
catena tempestata di gemme intorno alla vita. Molla subito la presa, e lei,
girandosi, si accorge che le due punte del castone di una gemma lo hanno
ferito.
La goccia di sangue che ha sul dito è proprio del colore del suo vestito.
Il giovane le lancia uno sguardo obliquo, le labbra increspate in un sorriso
beffardo mentre tiene il dito sollevato. Non dovevi osare tanto, sembrano
dirle quegli occhi.
Oh, non dovevo? Gli risponde Elena con un altro sguardo. Con aria
64
spavalda, gli prende la mano e la trattiene per un momento, con aria
provocante. Poi si avvicina il dito alle labbra.
Dopo pochi attimi, lo lascia andare e alza lo sguardo verso di lui. «Mi
piace molto danzare», dice, e si rende conto che, come lui, può parlare
attraverso la mente. È una sensazione eccitante. Si sposta al centro della
sala e aspetta.
Lui la segue, agile come un animale notturno. Le sue dita sono calde e
forti quando afferrano le sue.
Si sente una musica, che aumenta e diminuisce d'intensità, in lontananza.
Damon le posa una mano intorno alla vita. Può sentire il calore, la
pressione delle sue dita. Elena solleva un lembo della veste, e iniziano a
danzare.
È incantevole, come volare, e il suo corpo conosce già ogni passo.
Volteggiano nella sala vuota, in perfetta armonia, insieme.
Il giovane ride beffardo, gli occhi neri brillano di piacere. Elena si sente
magnificamente; così padrona di sé, vigile e pronta a qualsiasi cosa. Non
riesce a ricordare se si sia mai divertita così.
A poco a poco, però, il sorriso sul volto di Damon si spegne, e il loro
volteggiare si interrompe. Alla fine Elena rimane immobile fra le sue
braccia. Quegli occhi scuri non sono più divertiti, ma crudeli e infuocati.
Gli rivolge uno sguardo consapevole, senza timore. E poi per la prima
volta si sente come se stesse sognando; prova un lieve senso di vertigine,
languore, debolezza.
Tutto intorno a lei diventa confuso. Riesce a vedere solo gli occhi di
Damon, che la fanno lentamente cadere in un profondo torpore. Lascia che
gli occhi si socchiudano, che la testa si pieghi all'indietro. Sospira.
Ora sente lo sguardo di lui, sulle sue labbra, sulla sua gola. Sorride fra sé
e sé e lascia che gli occhi si chiudano completamente.
Il giovane la sta sorreggendo, le impedisce di cadere a terra. Sente le sue
labbra sulla pelle del collo, brucianti di febbre. Poi sente una fitta, come la
puntura di due spilli. Ma è una sensazione momentanea, e si abbandona al
piacere di sentire il sangue defluire da lei.
Si ricorda questa sensazione, la sensazione di galleggiare su un letto di
luce dorata. Un delizioso languore si diffonde in tutte le sue membra. Un
senso di indolenza, come se muoversi fosse troppo faticoso. E comunque
non vuole muoversi; si sente fin troppo bene.
Elena ha le dita sui capelli di Damon, tiene stretta a sé la testa del
giovane. Pigramente, le intreccia alle morbide ciocche scure. I capelli sono
65
come seta, caldi e vivi sotto le sue dita. Socchiudendo gli occhi, vede che
riflettono i colori dell'arcobaleno alla luce delle candele. Rosso, azzurro,
porpora, proprio come... proprio come le penne...
E d'un tratto il sogno s'infrange. Il dolore la assale alla gola, come se
qualcuno le strappasse l'anima. Lei sta respingendo Damon, lo sta
graffiando, tentano di allontanarlo da sé. Strida riecheggiano nelle sue
orecchie. Damon sta lottando con lei, ma non è Damon, è un corvo. Grandi
ali la colpiscono, sferzando violentemente l'aria.
Aprì gli occhi. Era sveglia e stava gridando. La sala da ballo era svanita,
e lei era in una camera da letto buia. Ma l'incubo l'aveva seguita. Anche
mentre cercava di accendere la luce, la raggiunse, ali la colpirono sul viso,
un becco aguzzo si scagliò contro di lei.
Elena lo colpì, sollevando l'altra mano per proteggersi gli occhi. Stava
ancora gridando. Non riuscì ad allontanarlo, quelle ali enormi
continuarono ad agitarsi convulsamente, come il rumore di mille mazzi di
carte mescolati nello stesso momento.
La porta si aprì all'improvviso, ed Elena sentì delle grida. Il corpo caldo
e pesante del corvo si abbatté su di lei, facendola urlare con più forza. Poi
sentì che qualcuno la stava tirando via dal letto e si trovò in piedi, al
sicuro, dietro il padre di Bonnie, che stava colpendo il volatile con una
scopa.
Bonnie era sulla soglia della camera. Elena corse a rifugiarsi fra le sue
braccia. Le urla del padre di Bonnie, e poi il colpo secco di una finestra
chiusa con violenza.
«È uscito», disse il signor McCullough, respirando affannosamente.
Mary e la signora McCullough erano nel corridoio, avvolte negli
accappatoi. «Sei ferita», disse a Elena il signor McCullough, sorpreso.
«Quella bestiaccia ti ha beccato».
«Sto bene», disse Elena, passandosi le dita sulla chiazza di sangue che
aveva sul viso. Era così scossa che le ginocchia stavano per cedere.
«Ma come è entrato?», chiese Bonnie.
Il signor McCullough stava esaminando la finestra. «Non avresti dovuto
lasciarla aperta», disse. «E per quale motivo hai voluto togliere i fermi?»
«Ma io non l'ho fatto», si lamentò Elena.
«Era sbloccata e aperta quando ti ho sentita gridare e sono entrato»,
disse il padre di Bonnie. «Non so chi altri avrebbe potuto aprirla tranne
te».
Elena soffocò altre proteste. Esitante, circospetta, si avvicinò alla
66
finestra. Aveva ragione: i fermi erano stati sbloccati. E potevano averlo
fatto solo dall'interno.
«Forse sei sonnambula», osservò Bonnie, allontanando Elena dalla
finestra mentre il signor McCullough tornava a sigillarla. «Sarà meglio
darti una pulita».
Sonnambula. Di colpo l'intero sogno le tornò in mente. Il corridoio di
specchi, la sala da ballo, e Damon. Aveva danzato con Damon. Elena si
liberò dalla stretta affettuosa di Bonnie.
«Faccio da sola», disse, sentendo il suono della sua voce tremare
sull'orlo dell'isterismo. «No... davvero... ci penso io». Si rifugiò nel bagno
e rimase in piedi con la schiena contro la porta chiusa a chiave, cercando di
riprendere fiato.
L'ultima cosa che desiderava fare era guardarsi in uno specchio. Ma alla
fine, lentamente, si avvicinò a quello sopra il lavabo, tremando mentre il
suo riflesso cominciava a delinearsi, avanzando a piccoli passi finché il
suo viso non fu incorniciato sulla superficie lucente.
La sua immagine la fissò di rimando, pallidissima, gli occhi pesti e
terrorizzati. C'erano profonde occhiaie, e chiazze di sangue sul suo viso.
Lentamente, girò appena la testa e tirò su i capelli. Stava quasi per
lanciare un urlo quando vide cosa nascondevano.
Due piccole ferite, fresche e aperte, sulla pelle del collo.
9
«So che mi pentirò di avertelo chiesto», disse Matt, distogliendo gli
occhi arrossati dalla I-95 per guardare Stefan sul sedile del passeggero
accanto a lui. «Ma mi dici perché abbiamo bisogno di queste erbacce
ultraspeciali, semitropicali, difficili da trovare, per Elena?».
Stefan guardò sul sedile posteriore, dove giaceva il risultato delle loro
ricerche in mezzo a siepi ed erba incolta. Le piante, con gli steli verdi e
ramificati e le foglie dal margine dentellato, assomigliavano più che altro a
erbe infestanti. I resti ormai secchi dei fiori alle estremità dei germogli
erano quasi invisibili, e i germogli stessi non avevano certo la pretesa di
essere decorativi.
«E se ti dicessi che si possono utilizzare per preparare un collirio
naturale?», azzardò, dopo averci riflettuto un momento. «O una tisana?»
«Perché? Stavi pensando di dire una cosa del genere?»
«Non proprio».
67
«Bene. Perché se lo facessi probabilmente ti stenderei con un pugno».
Senza guardare Matt in faccia, Stefan sorrise. C'era qualcosa di nuovo
che si stava risvegliando dentro di lui, qualcosa che non aveva provato per
quasi cinque secoli, tranne che con Elena. Accettazione. Calore e amicizia
condivisi con un compagno, che non conosce la verità su di te ma che si
fida comunque. Non era sicuro di meritarlo, ma non poteva negare quel
che significava per lui. Lo faceva quasi sentire... di nuovo umano.
Elena rimase a fissare la sua immagine nello specchio. Non si era trattato
di un sogno. Non del tutto. Le ferite sul collo ne erano una prova evidente.
E ora che le aveva viste, prese coscienza di quella sensazione di
stordimento, di torpore.
Era colpa sua. Si era data tanto da fare per diffidare Bonnie e Meredith
dall'invitare estranei nelle loro abitazioni. E si era sempre dimenticata che
era stata lei a invitare Damon a entrare nella casa di Bonnie. L'aveva fatto
quella notte in cui aveva preparato quella cena silenziosa nella sala da
pranzo di Bonnie e aveva gridato nell'oscurità: «Entra».
E l'invito era valido per sempre. Poteva tornare tutte le volte che voleva,
anche in quel momento. Soprattutto in quel momento, finché lei era debole
e avrebbe potuto facilmente essere ipnotizzata per aprirgli di nuovo la
finestra.
Elena uscì barcollando dal bagno, superò la camera di Bonnie ed entrò in
quella degli ospiti. Afferrò il borsone e cominciò a ficcarci dentro la sua
roba.
«Elena, non puoi andare a casa!».
«Non posso restare qui», disse Elena. Si guardò intorno in cerca delle
scarpe, vide che erano accanto al letto e fece per avanzare. Poi si bloccò,
ed emise un gemito soffocato. Posata sulla biancheria da letto leggermente
sgualcita c'era una penna nera. Era enorme, orribilmente enorme e reale,
corposa, con lo stelo robusto, lucido come cera. Era quasi ripugnante,
adagiata sulle lenzuola bianche di percalle.
Provò un senso di nausea, e distolse lo sguardo. Non riusciva a respirare.
«Ok, ok», riprese Bonnie. «Se ti fa questo effetto, dirò a papà di
accompagnarti a casa».
«Devi venire anche tu». Era appena balenato nella mente di Elena che
anche Bonnie non era al sicuro in quella casa. Tu e chi ami, ricordò, e si
girò ad afferrare il braccio di Bonnie. «Tu devi venire, Bonnie. Ho bisogno
che tu stia con me».
68
Alla fine la convinse. I McCullough pensarono che fosse isterica, che
stesse reagendo in modo esagerato, che forse aveva un crollo nervoso. Ma
poi cedettero. Il signor McCullough accompagnò lei e Bonnie a casa
Gilbert, dove, sentendosi come ladri, aprirono la porta con la chiave e
scivolarono all'interno senza svegliare nessuno.
Anche lì, Elena non riuscì a dormire. Rimase sdraiata accanto all'amica
che respirava tranquillamente nel sonno, fissando la finestra della sua
camera da letto, con i sensi all'erta. All'esterno, i rami del cotogno
battevano contro il vetro, ma niente altro si mosse fino alle prime luci
dell'alba.
Fu allora che sentì la macchina. Avrebbe riconosciuto il sibilo affannoso
del motore di Matt ovunque. Allarmata, si avvicinò alla finestra in punta di
piedi e guardò fuori nell'immobilità delle prime ore di un'altra giornata
grigia. Poi si precipitò al piano di sotto ad aprire il portone.
«Stefan!». Non era mai stata così felice di vedere qualcuno in vita sua.
Gli gettò le braccia al collo prima che potesse chiudere la portiera della
macchina.
Il giovane oscillò all'indietro per la forza dell'impatto, ed Elena percepì il
suo senso di sorpresa. Di solito lei non era così espansiva in pubblico.
«Ehi», le disse, restituendo dolcemente l'abbraccio. «Sono io, sì, ma non
sciupare i fiori».
«Fiori?». Si tirò indietro per vedere cosa avesse portato Stefan; poi lo
guardò in viso. Dopo si volse verso Matt, che stava uscendo dall'altro lato
della macchina. Il volto di Stefan era pallido e tirato; quello di Matt era
gonfio di stanchezza, gli occhi arrossati.
«Sarà meglio che entriate in casa», disse alla fine, sconcertata. «Avete
un aspetto orribile».
«È verbena», disse Stefan, poco più tardi. Lui ed Elena erano seduti al
tavolo in cucina. Attraverso il vano della porta, si vedeva Matt, allungato
sul divano del soggiorno, che russava sommessamente. Era crollato lì
sopra dopo aver divorato tre ciotole di cereali. Zia Judith, Bonnie e
Margaret dormivano al piano di sopra, ma Stefan continuò comunque a
parlare sotto voce. «Ti ricordi cosa ti ho detto di questa pianta?»
«Hai detto che ti aiuta a mantenere la mente lucida anche quando
qualcuno sta usando il suo Potere per controllarla». Elena fu orgogliosa
che la sua voce fosse così controllata.
«Esatto. E questa è una delle cose che Damon potrebbe tentare. Può
usare il potere della sua mente anche a distanza, e può farlo sia che tu sia
69
sveglia o stia dormendo».
Gli occhi le si riempirono di lacrime, ed Elena abbassò lo sguardo per
nasconderle, fissando intensamente gli steli lunghi ed esili con i resti ormai
secchi dei piccoli fiori lilla sulle estremità. «Dormendo?», disse, temendo
che stavolta la voce non fosse così controllata.
«Sì. Potrebbe convincerti a uscire fuori di casa, per esempio, o a lasciar
entrare lui. Ma la verbena dovrebbe impedirlo». Stefan sembrava stanco,
ma soddisfatto di sé.
Oh, Stefan, se solo sapessi, pensò Elena. Il dono era arrivato con una
notte di ritardo. Nonostante tutti i suoi sforzi, una lacrima cadde sulle
lunghe foglie verdi.
«Elena!». Sembrò sorpreso. «Cosa c'è? Dimmi».
Cercò di guardarla in viso, ma Elena chinò la testa e la appoggiò sulla
sua spalla. Il giovane la prese fra le braccia, senza sollevarle la testa.
«Dimmi», le ripeté dolcemente.
Era il momento giusto. Se mai avesse pensato di raccontargli tutto,
doveva farlo allora. Le parole le bruciavano in gola, la soffocavano, e
avrebbe voluto liberarle.
Ma non poteva. Non importa cosa dovrò fare, impedirò loro di lottare
per causa mia, pensò.
«È solo che... ero preoccupata per te», riuscì a dire. «Non sapevo dove
eri andato, o quando saresti tornato».
«Avrei dovuto dirtelo. Tutto qui? Non c'è altro che ti preoccupa?»
«Tutto qui». Ora avrebbe dovuto far giurare a Bonnie di non parlare mai
del corvo. Perché una bugia porta sempre a doverne dire un'altra? «Cosa
dobbiamo fare con la verbena?», domandò, appoggiandosi allo schienale.
«Stasera lo vedrai. Dopo aver estratto l'olio dai semi, puoi strofinarlo
sulla pelle o aggiungerlo all'acqua del bagno. E puoi mettere le foglie
essiccate in un sacchetto e portarlo con te, o metterlo sotto il cuscino
durante la notte».
«Sarà meglio darla anche a Bonnie e a Meredith. Hanno bisogno di
protezione».
Stefan annuì. «Per ora», staccò un ramoscello e glielo mise in mano,
«porta questo a scuola con te. Io torno al pensionato per estrarre l'olio».
Esitò un momento, poi riprese a parlare. «Elena...».
«Sì?»
«Se fossi certo che sarebbe un bene per te, me ne andrei. Non voglio
abbandonarti nelle mani di Damon. Ma non penso che mi seguirebbe, se
70
me ne andassi, non più. Credo che resterebbe... per te».
«Non devi neanche pensare di andartene», gli disse aspramente,
sollevando lo sguardo verso di lui. «Stefan, questa è l'unica cosa che non
riuscirei a sopportare. Promettimi che non lo farai; promettimelo».
«Non ti lascerò da sola con lui», la rassicurò Stefan, anche se non era
proprio la stessa cosa. Ma era inutile insistere oltre.
Invece, lo aiutò a svegliare Matt, e li guardò andare via insieme. Poi,
tenendo in mano uno stelo di verbena, salì di sopra a prepararsi per la
scuola.
Bonnie sbadigliò per tutto il tempo della colazione e non fu realmente
sveglia finché non uscirono, dirigendosi a piedi verso la scuola, grazie a
una brezza frizzante che pungeva loro il viso. Sarebbe stata una giornata
fredda.
«Stanotte ho fatto un sogno davvero strano», disse Bonnie.
Elena ebbe un tuffo al cuore. Aveva già infilato un ramoscello di verbena
nello zaino dell'amica, sul fondo, dove non l'avrebbe visto. Ma se Damon
aveva raggiunto Bonnie quella notte...
«Su cosa?», chiese, facendosi coraggio.
«Su di te. Eri sotto un albero, e soffiava il vento. Per qualche ragione
avevo paura di te, e non volevo avvicinarmi. Sembravi... diversa. Molto
pallida, ma come infervorata. Poi un corvo è volato giù dall'albero e tu
l'hai afferrato a mezz'aria. Sei stata di una velocità incredibile. E poi hai
guardato verso di me, con quella espressione. Sorridevi, ma io ho provato
il desiderio di fuggire. Poi hai torto il collo al corvo, ed era morto».
Elena aveva ascoltato con orrore crescente. Alla fine disse: «È un sogno
disgustoso».
«Sì, vero?», replicò Bonnie, serenamente. «Chissà che significato ha.
Nelle leggende i corvi sono uccelli di malaugurio. Sono presagio di
morte».
«Probabilmente significa che tu sapevi quanto fossi turbata, a trovarmi
quel corvo in camera».
«Sì», disse Bonnie. «Ma non capisco una cosa. Ho fatto questo sogno
prima che le tue urla ci svegliassero».
Quel giorno, all'ora del pranzo, c'era un altro foglietto viola attaccato in
bacheca. Su questo, però, si leggeva semplicemente: LEGGI GLI
ANNUNCI PERSONALI.
«Quali annunci personali?», disse Bonnie.
71
Meredith, che stava avanzando verso di loro con una copia del «Wildcat
Weekly», il giornale della scuola, fornì la risposta. «L'avete letto?», chiese.
Era sulla pagina degli annunci, completamente anonimo, senza formula
iniziale né firma. Non posso sopportare il pensiero di perderlo. Ma è
davvero molto infelice a proposito di qualcosa, e se non mi dirà cos'è, se
non si fiderà di me abbastanza, non vedo nessuna speranza per noi.
Mentre leggeva, Elena sentì un'esplosione di nuova energia vincere la
sua stanchezza. Oh, Dio, detestava chiunque le stesse facendo questo.
Immaginò di sparargli, di pugnalarlo, di vederlo precipitare. E poi,
vividamente, immaginò qualcos'altro. Tirare indietro una ciocca di capelli
del ladro per scoprirne la gola, e affondarvi i denti. Era una visione strana,
inquietante, ma per un istante le sembrò quasi reale.
Si rese conto che Bonnie e Meredith la stavano osservando.
«Be'?», disse, sentendosi leggermente a disagio.
«Direi che non stavi ascoltando», sospirò Bonnie. «Ho appena detto che
non mi sembra opera di Da... dell'assassino. Neanche un omicida sarebbe
così meschino».
«Per quanto mi dia fastidio l'idea, devo per forza darle ragione», disse
Meredith. «Ha tutta l'aria di un'azione subdola. Qualcuno che ha del
rancore nei tuoi confronti e vuole vederti soffrire».
Elena ingoiò la saliva che le si era accumulata nella bocca. «E deve
essere qualcuno pratico della scuola. Si deve compilare un modulo per i
messaggi personali in una delle classi di giornalismo», disse.
«E qualcuno che sapeva che tu tenevi un diario, ammesso che l'abbia
rubato di proposito. Forse era a lezione con te il giorno in cui l'hai portato
a scuola. Ricordi? Quando il signor Tanner ti ha quasi colta sul fatto»,
aggiunse Bonnie.
«La signora Halpern mi ha colta sul fatto; ha persino letto qualcosa ad
alta voce, riguardo a Stefan. È stato subito dopo che io e lui ci siamo messi
insieme. Aspetta un momento, Bonnie. Quella sera a casa tua, quando è
stato rubato il diario, quanto tempo siete state fuori dal soggiorno?»
«Solo pochi minuti. Yangtze aveva smesso di abbaiare, e io sono andata
alla porta per farlo entrare, e...». Bonnie strinse le labbra e scrollò le spalle.
«Quindi il ladro conosceva bene la tua casa», intervenne prontamente
Meredith, «altrimenti lui, o lei, non sarebbe stato in grado di entrare,
prendere il diario, e uscire di nuovo prima che noi lo vedessimo. Bene,
allora, cercheremo qualcuno perfido e meschino, probabilmente in uno dei
tuoi corsi, Elena, e che abbia una certa familiarità con la casa di Bonnie.
72
Qualcuno che ha del rancore nei tuoi confronti e che si abbasserebbe a fare
qualsiasi cosa per farti... Oh, mio Dio».
Le tre ragazze si guardarono l'un l'altra.
«Deve essere così», disse Bonnie sotto voce. «Deve».
«Che stupide; avremmo dovuto capirlo subito», aggiunse Meredith.
Per Elena, volle dire accorgersi d'un tratto che tutta la rabbia che aveva
provato fino a quel momento non era niente di fronte alla rabbia che era
capace di provare. Come la fiamma di una candela rispetto al sole.
«Caroline», disse, e serrò i denti con tale forza che le fece male la
mandibola.
Caroline. Elena sentì che avrebbe potuto uccidere la ragazza dagli occhi
verdi in quel preciso istante. E che avrebbe potuto precipitarsi fuori e
provarci se Bonnie e Meredith non l'avessero fermata.
«Dopo la scuola», disse Meredith, decisa, «quando possiamo portarla da
qualche parte in privato. Devi solo pazientare fino allora, Elena».
Ma mentre erano dirette alla mensa, Elena vide una chioma color
castano dorato che scompariva lungo il corridoio di arte e musica. E si
ricordò di qualcosa che le aveva riferito Stefan all'inizio dell'anno, quando
Caroline lo aveva portato nella sala di fotografia all'ora di pranzo. Per non
avere troppa gente intorno, gli aveva detto Caroline.
«Voi due andate; ho dimenticato una cosa», disse, non appena Bonnie e
Meredith ebbero riempito i loro vassoi. Poi fece finta di non sentire mentre
s'incamminava rapidamente fuori della mensa e tornava sui suoi passi
verso l'ala riservata all'arte.
Tutte le sale erano buie, ma la porta di quella della fotografia non era
chiusa a chiave. Qualcosa spinse Elena a girare cautamente la maniglia, e a
muoversi con circospezione una volta all'interno, invece di entrare con
passo deciso per affrontarla come aveva progettato. Era lì Caroline? E se
c'era, cosa stava facendo da sola al buio?
In un primo momento la stanza sembrò deserta. Poi Elena sentì un
mormorio di voci provenire da una nicchia sul retro, e si accorse che la
porta della camera oscura era socchiusa.
Silenziosamente, con passo furtivo, avanzò fino a fermarsi appena fuori
della porta, e il mormorio si trasformò in parole comprensibili.
«Ma come possiamo essere sicuri che sarà lei quella che sceglieranno?».
Questa era Caroline.
«Mio padre fa parte del comitato scolastico. Sceglieranno lei, stai
tranquilla». E questo era Tyler Smallwood. Suo padre era avvocato, e non
73
c'era comitato di cui non facesse parte. «E poi, chi altro potrebbero
scegliere?», proseguì. «Ci si aspetta che lo Spirito di Fell's Church sia
intelligente oltre che ben carrozzato».
«E io non sono intelligente, vero?»
«Ho forse detto questo? Senti, se vuoi essere quella che sfilerà in abito
bianco in occasione del Founders' Day, va bene. Ma se vuoi vedere Stefan
Salvatore lasciare in tutta fretta la città per colpa del diario della sua
ragazza...».
«Ma perché aspettare tutto questo tempo?».
Tyler sembrò spazientirsi. «Perché in questo modo si rovinerà anche la
celebrazione. La celebrazione dei Fell. Perché dovrebbero prendersi il
merito di aver fondato questa città? Gli Smallwood erano qui prima di
loro».
«Oh, cosa me ne importa di chi ha fondato la città? Voglio solo vedere
Elena umiliata di fronte all'intera scuola».
«E a Salvatore». L'odio puro e la malignità nella voce di Tyler fecero
venire a Elena la pelle d'oca. «Sarà fortunato se non finisce appeso a un
albero. Sei sicura che la prova è li dentro?»
«Quando volte te lo devo dire? Prima dice di aver perso il nastro il 2
settembre al cimitero. Poi dice che Stefan lo ha raccolto quel giorno e lo ha
conservato. Wickery Bridge è proprio accanto al cimitero. Questo vuol dire
che Stefan era vicino al ponte il 2 settembre, la notte in cui quel vecchio è
stato aggredito. Tutti sanno già che era presente quando sono stati aggrediti
Vickie e Tanner. Cosa vuoi di più?»
«Non reggerebbe davanti a una corte. Forse dovrei procurarmi qualche
prova convalidante. Come chiedere alla signora Flowers a che ora è
rientrato quella sera».
«Oh, che importa? Quasi tutti lo credono già colpevole. Il diario parla di
un grande segreto che lui tiene nascosto a tutti. La gente afferrerà il
concetto».
«Lo hai messo in un posto sicuro?»
«No, Tyler, lo tengo sul tavolino da caffè. Ma pensi che sia così
stupida?»
«Abbastanza stupida da inviare a Elena biglietti che potrebbero farla
insospettire». Si sentì un frusciare di carta, come di un giornale. «Guarda
qui, è inconcepibile. E deve finire, ora. E se capisce chi è l'autore?»
«E cosa potrebbe fare, chiamare la polizia?»
«Ti chiedo ancora una volta di smetterla. Aspetta fino al Founders' Day,
74
poi vedrai la Principessa di Ghiaccio sciogliersi».
«E dire ciao a Stefan. Tyler... nessuno gli farà del male, vero?»
«Che importa?». Tyler imitò il tono che lei aveva usato prima. «Lascia
che ci pensi io con i miei amici, Caroline. Tu fai la tua parte e basta, ok?».
La voce di Caroline si ridusse a un roco sussurro. «Prova a
convincermi». Dopo una pausa Tyler ridacchiò.
Ci fu movimento, fruscii, un sospiro. Elena si girò e scivolò fuori della
stanza silenziosamente come ci era entrata.
Imboccò il corridoio vicino, poi si appoggiò contro gli armadietti,
cercando di riflettere.
Era troppo da digerire tutto in una volta. Caroline, che un tempo era stata
la sua migliore amica, l'aveva tradita e voleva vederla umiliata di fronte
all'intera scuola. Tyler, che era sempre sembrato più un irritante idiota che
una reale minaccia, stava progettando di costringere Stefan a lasciare la
città... o di ucciderlo. E la cosa peggiore era che per mettere in atto i loro
piani si stavano servendo del suo diario.
Ora comprese l'inizio del sogno della notte precedente. Aveva fatto un
sogno simile il giorno prima di aver scoperto che Stefan era scomparso.
In entrambi i sogni, Stefan l'aveva guardata con rabbia, con occhi
accusatori, poi aveva gettato un libro ai suoi piedi e si era allontanato.
Non un libro. Un diario. Che conteneva una prova che poteva
dimostrarsi fatale per Stefan. Tre volte qualcuno era stato aggredito a Fell's
Church, e tutte e tre le volte Stefan era presente sulla scena. Cosa avrebbe
pensato la città, e la polizia?
E non c'era modo di dire la verità. E se avesse detto: "Stefan non è
colpevole. È suo fratello Damon che lo odia e che sa quanto Stefan detesti
anche il solo pensiero di ferire o di uccidere qualcuno. E che ha seguito
Stefan sulla scena e ha aggredito le persone per far credere che potesse
essere stato il fratello, per farlo impazzire. E che si trova qui in città da
qualche parte – cercatelo al cimitero o nel bosco. Ma, oh, a ogni modo,
non cercate solo un bel ragazzo, perché al momento potrebbe essersi
trasformato in un corvo.
Quasi dimenticavo, è un vampiro".
Non ci avrebbe creduto nemmeno lei. Suonava ridicolo.
Una fitta lancinante al lato del collo le ricordò quanto fosse grave, in
realtà, quella ridicola storia. Quel giorno si sentiva strana, come se fosse
malata. Non era solo tensione o mancanza di sonno. Si sentiva
leggermente confusa, e a volte il terreno sembrava spugnoso, come se
75
cedesse sotto i suoi piedi e poi riprendesse forma. Sintomi influenzali, solo
che era sicura che non erano dovuti ad alcun virus che le circolava nel
sangue.
Era colpa di Damon, ancora una volta. Tutto era colpa di Damon, tranne
il diario. Per quello, poteva incolpare solo se stessa. Se solo non avesse
scritto di Stefan, se solo non avesse portato il diario a scuola. Se solo non
lo avesse lasciato nel soggiorno di Bonnie. Se... se...
L'unica cosa importante, adesso, era riuscire a rientrarne in possesso.
10
La campanella suonò. Non c'era tempo per tornare indietro alla mensa e
raccontare tutto a Bonnie e Meredith. Elena si avviò in classe, passando
davanti a facce che la evitavano e a sguardi ostili, divenuti fin troppo
familiari negli ultimi giorni.
Fu difficile, durante la lezione di storia, non fissare Caroline, non
lasciarle capire che lei sapeva. Alaric le chiese notizie di Matt e di Stefan,
entrambi assenti da due giorni, ma Elena si strinse nelle spalle, sentendosi
addosso gli occhi di tutti. Non si fidava di quell'uomo con il sorriso
fanciullesco e gli occhi nocciola e la sete di sapere tutto sulla morte del
signor Tanner. E Bonnie, che guardava intensamente Alaric, non le era
certo d'aiuto.
Alla fine della lezione, colse un frammento di una conversazione di Sue
Carson. «Si è preso un periodo di vacanza dal college... non ricordo
esattamente dove...».
Elena non sopportò più di osservare un silenzio discreto. Si girò di scatto
e si rivolse direttamente a Sue e alla ragazza con cui stava parlando,
inserendosi, non invitata, nella loro conversazione.
«Se fossi in te», disse a Sue, «mi terrei a debita distanza da Damon.
Dico sul serio».
Ci fu una risata sorpresa, imbarazzata. Sue era una fra le poche persone a
scuola che non aveva evitato Elena, e ora sembrava quasi che desiderasse
farlo.
«Intendi dire», disse l'altra ragazza, con voce esitante, «perché anche lui
è tuo? O...».
Elena scoppiò in una risata stridula. «Intendo dire che è un tipo
pericoloso», ribatté. «E non sto scherzando».
Le ragazze la guardarono. Elena evitò loro l'ulteriore imbarazzo di dover
76
rispondere o di allontanarsi diplomaticamente, girò sui tacchi e lasciò la
scena. Recuperò Bonnie dal gruppetto di fanatiche post-lezione di Alaric e
si diresse verso l'armadietto di Meredith.
«Dove stiamo andando? Pensavo che dovessimo parlare con Caroline».
«Non più», disse Elena. «Aspetta che arriviamo a casa. Poi ti dirò il
perché».
«Non riesco a crederci», disse Bonnie un'ora più tardi. «Voglio dire, ti
credo, ma non riesco a crederci. Non è da Caroline».
«È Tyler», precisò Elena. «È lui quello che ha grandi progetti. Questo
perché gli uomini non si interessano di diari».
«In effetti, dovremmo ringraziarlo», intervenne Meredith. «Grazie a lui
abbiamo tempo fino al Founders' Day per fare qualcosa. Perché hai detto
che dovrebbe accadere al Founders' Day, Elena?»
«Tyler ha qualcosa contro i Fell».
«Ma sono morti tutti», disse Bonnie.
«Be', questo non gli interessa poi molto. Mi ricordo che ne parlò anche
al cimitero, mentre guardavamo la loro tomba. Pensa che abbiano rubato il
posto che spettava di diritto ai suoi antenati come fondatori di questa città,
o qualcosa del genere».
«Elena», disse Meredith in tono grave, «c'è qualcos'altro nel diario che
potrebbe danneggiare Stefan? Oltre all'aggressione di quel vecchio,
intendo».
«Non è sufficiente?». Con quegli occhi scuri, fermi su di lei, Elena
provò un senso di disagio. Cosa voleva sapere Meredith?
«Sufficiente a cacciare Stefan dalla città, come hanno detto», concordò
Bonnie.
«Sufficiente a farci recuperare il diario da Caroline», concluse Elena.
«L'unico problema è "come"?»
«Caroline ha detto di averlo nascosto in un posto sicuro. Probabilmente
a casa sua». Meredith si mordicchiò un labbro, riflettendo. «Ha solo un
fratello che frequenta l'ottava classe, giusto? E sua madre non lavora, ma
fa molto shopping a Roanoke. Hanno una donna di servizio?»
«Perché?», chiese Bonnie. «Che differenza fa?»
«Be', non vogliamo che qualcuno entri in casa mentre la stiamo
svaligiando».
«Mentre noi cosa?». Bonnie finì la domanda con voce stridula. «Non
dirai sul serio!».
77
«Cosa ti aspetti che facciamo, restiamo sedute ad aspettare fino al
Founders' Day e lasciamo che quella legga il diario di Elena di fronte
all'intera città? È lei che è venuta a rubare a casa tua. Noi dobbiamo solo
riappropriarcene», disse Meredith, con una calma esasperante.
«Ci scopriranno. Saremo espulse dalla scuola... sempre che non andiamo
a finire dietro le sbarre». Bonnie si voltò verso Elena in cerca di appoggio.
«Diglielo tu, Elena».
«Be'...». In tutta onestà, quella eventualità rendeva anche Elena un po'
titubante. Non era tanto l'idea dell'espulsione, o anche della prigione,
quanto il pensiero di essere colta in flagrante. Il volto sprezzante della
signora Forbes fluttuò per un momento davanti ai suoi occhi, pieno di
giusta indignazione. Poi si tramutò in quello di Caroline, che rideva
malignamente mentre sua madre puntava contro Elena un dito accusatore.
E poi, sembrava tanto una... una violenza perché in effetti non sembra,
ma è una violazione, entrare in casa d'altri quando non erano presenti, per
rovistare fra le loro cose. Non avrebbe sopportato che qualcuno lo facesse
a lei.
Ma, naturalmente, qualcuno l'aveva fatto. Caroline aveva violato la casa
di Bonnie, e proprio ora aveva nelle sue mani una delle cose più personali
di Elena.
«Facciamolo», disse Elena in tono pacato. «Ma stiamo attente».
«Non ne possiamo parlare?», disse Bonnie, debolmente, correndo con lo
sguardo dal viso determinato di Meredith a quello di Elena.
«Non c'è niente di cui parlare. Tu vieni con noi», le disse Meredith. «Lo
hai promesso», aggiunse, mentre Bonnie prendeva un respiro prima di
avanzare un'altra obiezione. E sollevò l'indice della mano.
«Il patto di sangue era solo per aiutare Elena a trovare Stefan!», si
lamentò Bonnie.
«Pensaci bene», riprese Meredith. «Hai giurato che avresti fatto qualsiasi
cosa che Elena ti avesse chiesto in relazione a Stefan. Non si è parlato di
limiti di tempo o "solo finché Elena lo trova"».
Bonnie rimase a bocca aperta. Guardò Elena che, suo malgrado, stava
quasi per scoppiare a ridere. «È vero», confermò solennemente Elena. «E
tu stessa hai detto: "Un patto di sangue significa che devi rispettare il
giuramento qualunque cosa accada"».
Bonnie chiuse la bocca e sollevò il mento. «Giusto», disse in tono
risoluto. «Ora, per il resto della mia vita, sono vincolata a fare qualunque
cosa Elena vuole che io faccia riguardo a Stefan. Magnifico».
78
«Questa è l'ultima cosa che ti chiederò», disse Elena. «E stavolta io lo
prometto. Giuro...».
«Non farlo!», la interruppe Meredith, improvvisamente seria. «Non
farlo, Elena. Potresti pentirtene in seguito».
«Adesso anche tu ti metti a fare profezie?», disse Elena. E poi chiese: «E
ora come facciamo a procurarci la chiave della casa di Caroline per circa
un'ora?».
9 novembre, sabato
Caro diario,
mi spiace che sia passato tanto tempo. Recentemente sono stata troppo impegnata o
troppo depressa – o entrambe le cose – per scriverti.
Inoltre, con tutto quel che è successo, ho quasi paura a tenere ancora un diario. Ma
io ho bisogno di qualcuno a cui rivolgermi, perché in questo momento non c'è un solo
essere umano, non una sola persona sulla terra, a cui non stia nascondendo qualcosa.
Bonnie e Meredith non conoscono la verità riguardo a Stefan. Stefan non conosce
la verità riguardo a Damon. Zia Judith non sa nulla. Bonnie e Meredith sanno di
Caroline e del diario; Stefan no. Stefan sa che ormai uso la verbena ogni giorno;
Bonnie e Meredith no. Anche se ne ho dato a tutte e due alcuni sacchetti. Una buona
notizia: sembra che funzioni, o almeno non ho avuti più episodi di sonnambulismo da
quella notte. Ma sarei una bugiarda se ti dicessi che non ho più sognato Damon. È in
ogni mio incubo.
In questo momento la mia vita è piena di bugie, e ho bisogno di qualcuno con cui
essere del tutto sincera. Ho pensato di nascondere questo diario sotto un'asse del
fondo dell'armadio, così nessuno lo troverà anche se cado a terra stecchita e altri
riordineranno la mia camera. Forse uno dei nipoti di Margaret, un giorno, giocherà lì
dentro, solleverà quell'asse per curiosare e lo tirerà fuori, ma fino ad allora, nessuno
lo troverà. Questo diario è il mio ultimo segreto.
Non so perché sto pensando alla morte e al dover morire. Questa è una mania di
Bonnie; è l'unica a pensare che sarebbe così romantico. Io so com'è in realtà; non c'è
stato niente di romantico quando mamma e papà sono morti. Solo le peggiori
emozioni che esistano al mondo. Io voglio vivere a lungo, sposare Stefan ed essere
felice. E non c'è ragione perché io non possa farlo, una volta che avremo lasciato tutti
i problemi dietro le spalle.
Solo che a volte ho paura e non lo credo possibile. E ci sono dei particolari che
dovrebbero essere insignificanti, ma mi preoccupano. Per esempio non capisco
perché Stefan porta ancora l'anello di Katherine al collo, anche se so che ama me. O
perché non mi ha mai detto che mi ama, anche se so che è vero.
Non importa. Tutto si risolverà. Deve risolversi. E poi staremo insieme, e saremo
felici. Non c'è ragione per cui non possiamo esserlo. Non c'è ragione.
Elena smise di scrivere, cercando di mantenere a fuoco le lettere sulla
79
pagina. Ma si fecero ancora più confuse, e chiuse il libro prima che una
lacrima traditrice cadesse sull'inchiostro. Poi si avviò verso l'armadio,
sollevò l'asse con una lima da unghie, e nascose il diario.
Aveva la stessa lima in tasca una settimana dopo, quando lei, Bonnie e
Meredith erano davanti alla porta, sul retro della casa di Caroline.
«Sbrighiamoci», sibilò Bonnie, in piena agonia, guardandosi intorno nel
cortile come se qualcuno dovesse saltare loro addosso da un momento
all'altro. «Dai, Meredith!».
«Ecco», disse Meredith, quando la chiave finalmente entrò nella
serratura a scatto e la maniglia si arrese alle sue dita. «Ci siamo».
«Sei sicura che loro non ci siano? Elena, e se tornano prima? Non
potevamo farlo di giorno, almeno?»
«Bonnie, vuoi entrare? Abbiamo considerato tutto. La donna di servizio
è sempre qui durante il giorno. E loro non rientreranno prima di stasera, a
meno che qualcuno non si senta male da Chez Louis. E ora, andiamo!»,
disse Elena.
«Nessuno oserebbe sentirsi male alla cena di compleanno del signor
Forbes», disse Meredith in tono rassicurante a Bonnie, quando la ragazza
entrò. «Siamo al sicuro».
«Se hanno abbastanza soldi per andare nei ristoranti costosi, potrebbero
anche permettersi di lasciare qualche luce accesa», riprese Bonnie,
rifiutando di sentirsi confortata.
Dentro di sé, Elena ne convenne. Era strano e sconcertante aggirarsi
nella casa di altri al buio, e il cuore le batteva con tonfi sordi mentre
salivano le scale. Il palmo della mano, che stringeva la torcia del
portachiavi per far luce, era sudato e scivoloso. Ma nonostante questi
sintomi fisici di panico, la sua mente ragionava freddamente, con un certo
distacco.
«Deve essere in camera sua», disse.
La finestra della stanza di Caroline affacciava sulla strada, e questo
significava fare ancora più attenzione a non far trapelare del chiarore.
Elena fece vagare nella stanza il sottile fascio di luce, con un senso di
sconforto. Una cosa era pianificare l'ispezione della camera di qualcuno,
prefigurarsi una ricerca metodica ed efficiente nei vari cassetti. Un'altra era
trovarsi di fatto lì, circondata da migliaia di posti adatti per nascondere
qualcosa, col terrore di toccare gli oggetti che Caroline avrebbe potuto
notare in disordine.
80
Anche le altre due ragazze non si erano mosse.
«Forse dovremmo andarcene a casa», disse Bonnie con un filo di voce.
E Meredith non la contraddisse.
«Dobbiamo tentare. Almeno tentare», ribatté Elena, sentendo la sua voce
risuonare in modo cupo e metallico. Aprì con cautela un cassetto e
illuminò con la torcia pile di delicata biancheria di pizzo. Frugò fra gli
indumenti per accertarsi che non ci fosse niente di simile a un libro.
Risistemò gli indumenti e richiuse il cassetto. Poi lasciò uscire l'aria dai
polmoni.
«Non è poi così difficile», disse. «Quel che dobbiamo fare è prenderci
ognuna una parte della stanza e ispezionare tutto, ogni cassetto, ogni
mobile, ogni oggetto grande abbastanza da nasconderci dentro un diario».
Si assegnò il compito di cercare nell'armadio, e la prima cosa che fece fu
provare a sollevare le assi del fondo con la lima. Ma tutte sembravano fisse
e le pareti dell'armadio compatte. Rovistando fra i vestiti di Caroline trovò
varie cose che aveva prestato alla ragazza l'anno prima. Fu tentata di
riprenderle, ma ovviamente non poteva farlo. Un attento esame delle
scarpe e delle borse di Caroline non portò a nulla, anche quando salì su
una sedia per ispezionare con cura la mensola più alta dell'armadio.
Meredith era seduta sul pavimento, passando in rassegna un mucchio di
animali di pezza che erano stati relegati in un baule insieme ad altri
giocattoli. Fece correre le lunghe dita sensibili su ognuno di essi, in cerca
di qualche apertura nella stoffa. Quando si trovò fra le mani un morbido
barboncino di peluche, si fermò.
«Questo glielo ho regalato io», sussurrò. «Credo per il suo decimo
compleanno. Pensavo l'avesse buttato via».
Elena non vedeva gli occhi dell'amica, il fascio di luce di Meredith era
puntato sul cagnolino. Ma sapeva cosa stava provando.
«Ho tentato di fare pace con lei», disse sommessamente. «Davvero,
Meredith, alla Casa Stregata. Ma in pratica mi ha detto che non mi
perdonerà mai di averle rubato Stefan. Vorrei che le cose potessero andare
diversamente, ma lei non lo permetterà».
«E allora guerra sia».
«E allora guerra sia», le fece eco Elena, in tono secco e definitivo.
Osservò Meredith che metteva da parte il barboncino e sceglieva un altro
pupazzo. Poi tornò a concentrarsi sulla sua ricerca.
Ma non fu più fortunata con il cassettone di quanto lo era stata con
l'armadio. E a ogni momento che passava si sentiva sempre più inquieta,
81
sicura che presto avrebbero sentito una macchina fermarsi sul viale
d'accesso dei Forbes.
«È inutile», disse alla fine Meredith, tastando sotto il materasso di
Caroline. «Deve averlo nascosto... aspetta. C'è qualcosa qui. Sento uno
spigolo».
Elena e Bonnie la fissarono dai lati opposti della stanza, come
pietrificate.
«L'ho preso. Elena, è un diario!».
Un senso di sollievo invase Elena, che si sentì come un foglio
accartocciato che viene disteso e lisciato. Riuscì a muoversi. Respirare era
magnifico. Lo sapeva, l'aveva sempre saputo che niente di così terribile
poteva accadere a Stefan. La vita non poteva essere tanto crudele, non con
Elena Gilbert. Ora erano tutti al sicuro.
Ma la voce di Meredith era perplessa. «È un diario. Ma è verde, non blu.
Non è quello giusto».
«Cosa?». Elena le strappò di mano il libricino, portandolo sotto il fascio
di luce, con la speranza di vedere il verde smeraldo della copertina
diventare blu zaffiro. Ma non funzionò. Questo diario assomigliava molto
al suo, ma non era il suo.
«È di Caroline», osservò stupidamente, non volendo ancora crederci.
Bonnie e Meredith le si strinsero intorno. Guardarono il libro chiuso, poi
si scambiarono un'occhiata.
«Potrebbe contenere qualche indicazione», disse Elena, lentamente.
«Giusto», confermò Meredith. Ma fu Bonnie a prendere il diario e ad
aprirlo.
Elena sbirciò sopra la sua spalla la grafia spigolosa e obliqua di
Caroline, così diversa dalle lettere in stampatello dei biglietti viola. In un
primo momento non lo mise a fuoco, ma poi un nome le balzò agli occhi.
Elena.
«Aspetta. Cosa dice qui?».
Bonnie, che era l'unica in grado di riuscire a distinguere più di una o due
parole, lesse un attimo in silenzio, muovendo solo le labbra. Poi sbuffò.
«Sentite questa», disse, e cominciò a leggere: «Elena è la persona più
egoista che io abbia mai conosciuto. Tutti pensano che sia un tipo in
gamba, ma in realtà è solo fredda. È nauseante il modo in cui la gente
pende dalle sue labbra, senza rendersi conto che a lei non gliene frega
niente di niente e di nessuno che non sia Elena».
«Proprio Caroline lo dice? Da quale pulpito!». Ma Elena si sentì
82
avvampare in viso. Era, praticamente, quel che le aveva detto Matt quando
lei stava dietro a Stefan.
«Vai avanti, c'è dell'altro», disse Meredith, pungolando Bonnie, che
continuò a leggere in tono risentito.
«Bonnie in questi giorni non è da meno, cerca sempre di rendersi
importante. L'ultima novità è che vuol far credere di avere poteri
paranormali, così la gente si accorgerà di lei. Se avesse davvero questi
poteri, si accorgerebbe che Elena la sta semplicemente usando».
Ci fu un silenzio pesante, poi Elena chiese: «È tutto?»
«No, c'è qualcosa su Meredith. "Meredith non interviene in alcun modo
per fermare tutto questo. In effetti, Meredith non fa niente; osserva
soltanto. È come se non fosse in grado di agire; riesce soltanto a reagire
alle situazioni. Inoltre, ho sentito i miei genitori parlare della sua
famiglia... non mi meraviglia che lei neanche la nomini". Ma cosa vuole
dire?».
Meredith non si era mossa, e in quella luce fioca Elena riusciva a vedere
solo il collo e il mento dell'amica. Ma poi Meredith parlò con tono calmo e
fermo. «Non ha importanza. Bonnie, continuiamo a cercare qualche notizia
sul diario di Elena».
«Prova intorno al 18 ottobre. Il giorno in cui è stato rubato», disse Elena,
evitando di fare domande. Ne avrebbe parlato con Meredith più tardi.
Non c'era nessuna annotazione in data 18 ottobre o nella settimana
successiva; in effetti, c'erano solo alcune pagine sulle settimane a seguire.
In nessuna si accennava al diario.
«Be', è andata così», disse Meredith, raddrizzando la schiena. «Questo
libro è inutile. A meno che non vogliamo usarlo per ricattarla. Sai, del tipo
"non divulgheremo il suo se lei non divulgherà il tuo"».
La tentazione era forte, ma Bonnie fece notare che non avrebbe
funzionato. «Qui dentro non c'è niente di male riguardo Caroline; sono
solo lamentele su altre persone. Soprattutto noi. Scommetto che Caroline
sarebbe deliziata se qualcuno lo leggesse ad alta voce di fronte a tutta la
scuola. Sarebbe il suo trionfo».
«Allora, cosa ne facciamo?»
«Rimettilo a posto», disse Elena, stancamente. Fece vagare il fascio di
luce nella stanza, dove le sembrò di notare qualcosa di leggermente
cambiato dopo la loro perlustrazione. «Continueremo semplicemente a
fingere di non sapere che lei ha il mio diario, e speriamo in un'occasione
migliore».
83
«Bene», disse Bonnie, ma continuò a sfogliare il libricino, dando sfogo
di tanto in tanto a un grugnito o a un sibilo d'indignazione. «Sentite
questa!», esclamò.
«Non c'è tempo», replicò Elena. Avrebbe voluto aggiungere qualcosa,
ma in quel momento si sentì la voce di Meredith, un tono che esigeva
immediata attenzione.
«Una macchina».
Ci volle solo un attimo per avere la conferma che il veicolo si stava
fermando sul viale d'accesso dei Forbes. Bonnie, occhi e bocca spalancati,
sembrava come paralizzata, inginocchiata accanto al letto.
«Via! Andiamo», intervenne Elena, strappandole il diario di mano.
«Spegnete le torce e uscite dalla porta sul retro».
Si erano già avviate, con Meredith che spingeva Bonnie. Elena si buttò
in ginocchio, sollevò il copriletto e alzò il materasso di Caroline. Con
l'altra mano vi spinse sotto il diario, incastrandolo fra il materasso e la
fascia arricciata che arrivava al pavimento. Le molle sottilmente rivestite le
graffiavano il braccio, ma ancor peggio era il peso del materasso di
dimensioni principesche che la schiacciava. Diede qualche altra piccola
spinta al libro con la punta delle dita e poi tirò fuori il braccio, rimettendo
a posto il copriletto.
Uscendo, lanciò un'ultima occhiata alla stanza, ma ormai non c'era più
tempo per mettere in ordine. Mentre si affrettava a raggiungere le scale,
sentì il rumore della chiave nel portone.
Quel che seguì fu una sorta di spaventoso gioco di scappa e fuggi. Elena
sapeva che non le stavano dando la caccia di proposito, ma la famiglia
Forbes sembrava decisa a intrappolarla in casa loro. Tornò indietro sui suoi
passi, mentre voci e luci si materializzavano nell'ingresso man mano che si
dirigevano verso le scale. Elena corse verso l'ultima porta del corridoio, e
loro sembrarono seguirla. Attraversarono il pianerottolo; erano appena
fuori della porta della camera da letto principale. Elena si voltò verso il
bagno adiacente, ma vide le luci accendersi sotto la porta chiusa,
tagliandole ogni via di fuga.
Era in trappola. Da un momento all'altro i genitori di Caroline sarebbero
entrati. Appena vide la porta finestra che dava sul terrazzo decise cosa fare.
Nel freddo della notte, il suo respiro affannoso si materializzò nell'aria.
Una luce gialla si proiettò di colpo fuori della camera, vicino a lei,
costringendola a rannicchiarsi ancora di più alla sua sinistra, per rimanere
fuori dal fascio di luce. Poi, il rumore che tanto temeva arrivò con
84
spaventosa precisione: lo scatto di una maniglia, seguito da un ondeggiare
di tende all'interno mentre la portafinestra veniva aperta.
Si guardò intorno in preda al panico. Era troppo in alto per saltare a
terra, e non c'era niente a cui aggrapparsi per scendere. Non rimaneva che
il tetto, ma anche in questo caso non c'era niente su cui arrampicarsi.
Eppure, l'istinto la convinse a fare un tentativo: salì sul parapetto e cercò a
tentoni un appiglio in alto, proprio mentre un'ombra si profilava dietro il
velo delle tende. Una mano aprì i teli, e una figura cominciò a emergere,
poi Elena sentì qualcosa che le afferrava la mano, facendo presa sul suo
polso, e la tirava su. Meccanicamente, si diede una spinta verso l'alto con i
piedi e si ritrovò ad inerpicarsi sul tetto ricoperto di assicelle. Cercando di
calmare il respiro irregolare, alzò lo sguardo riconoscente per vedere chi
fosse il suo salvatore, e le si gelò il sangue nelle vene.
11
«Il nome è Salvatore. Niente di più appropriato», disse. Ci fu un balenio
di denti bianchi nell'oscurità.
Elena guardò giù. L'aggetto del tetto oscurava il terrazzo, ma riuscì a
sentire uno scalpiccio di passi provenire da lì. Ma non era il rumore dei
passi di chi sta inseguendo qualcuno, e niente indicava che le parole del
suo compagno fossero state captate. Un attimo dopo, sentì la portafinestra
chiudersi.
«Credevo che fosse Smith», disse, ancora guardando giù nell'oscurità.
Damon scoppiò a ridere. Era una risata terribilmente accattivante, senza
quella punta di amarezza che riecheggiava in quella di Stefan. Le fece
pensare ai colori dell'arcobaleno sulle penne del corvo.
Ciò nonostante, non si fece ingannare. Per quanto fosse affascinante,
Damon era pericoloso quasi oltre ogni immaginazione. Quel fisico
elegante, appoggiato indolentemente al tetto, era dieci volte più forte di
quello di un umano. Quei pigri occhi scuri erano in grado di vedere
perfettamente di notte. La mano dalle dita affusolate che l'aveva sollevata
sul tetto poteva muoversi con incredibile rapidità. E, più inquietante di
ogni altra cosa, la sua mente era quella di un assassino. Un predatore.
Elena lo percepiva al di là delle apparenze. Lui era diverso da un umano.
Aveva vissuto talmente a lungo cacciando e uccidendo che aveva
dimenticato altre possibilità. E ne godeva, non combatteva la sua natura
come Stefan, ma se ne gloriava. Non aveva regole morali, né una
85
coscienza, e lei era bloccata lì con lui nel cuore della notte.
Si appoggiò su un tallone, pronta a scattare in azione in qualsiasi
momento. Avrebbe dovuto essere arrabbiata con lui, dopo quel che le
aveva fatto in sogno. E lo era, ma sarebbe stato inutile esprimere quel che
provava. Lui sapeva quanto doveva essere infuriata, e se glielo avesse
detto le avrebbe solo riso in faccia.
Lo osservava in silenzio, con attenzione, in attesa della sua prossima
mossa.
Ma lui non fece nulla. Quelle mani, che potevano scattare con la stessa
velocità di un serpente pronto a mordere, poggiavano inerti sulle
ginocchia. La sua espressione le ricordò il modo in cui l'aveva guardata
una volta. La prima volta che si erano incontrati aveva letto nei suoi occhi
lo stesso cauto, riluttante rispetto, ma allora c'era anche una nota di
sorpresa. Ora non ve ne era la minima traccia.
«Hai intenzione di gridare? O di svenire?», le chiese, come se le stesse
offrendo una normale alternativa.
Elena lo stava ancora osservando. Era molto più forte di lei, e più
veloce, ma all'occorrenza pensava di poter arrivare al bordo del tetto prima
che lui la raggiungesse. Era un salto di nove metri, se avesse mancato il
terrazzo, ma poteva decidere di rischiare. Tutto dipendeva da Damon.
«Non svengo», gli disse bruscamente. «E perché dovrei gridare? Stiamo
facendo un gioco. Quella notte sono stata una stupida e ho perso. Mi avevi
avvisato delle conseguenze, al cimitero».
Le labbra del giovane si socchiusero in un respiro affrettato, poi distolse
lo sguardo. «Potrei semplicemente fare di te la mia Regina delle Ombre»,
disse e, rivolgendosi quasi a se stesso, proseguì: «Ho avuto molte
compagne, fanciulle giovani come te e donne fra le più belle d'Europa. Ma tu
sei l'unica che voglio al mio fianco. Dominante, che prende quel che
vogliamo quando lo vogliamo. Temuta e idolatrata da tutte le anime più
deboli. Sarebbe poi tanto male?»
«Io sono una delle anime più deboli», disse Elena. «E tu ed io siamo
nemici, Damon. Non potremo mai essere niente di diverso».
«Sei sicura?». La guardò, e in quel momento sentì il potere della sua
mente che si metteva in contatto con la sua, come se le sue lunghe dita la
sfiorassero. Ma non ci fu un senso di vertigini, né di debolezza o di resa.
Quel pomeriggio, come faceva sempre negli ultimi giorni, si era concessa
un lungo bagno caldo, con una manciata di verbena essiccata.
Un lampo balenò negli occhi di Damon quando se ne accorse, ma
86
accettò di buon grado l'insuccesso. «Cosa stavi facendo qui?», le chiese
con noncuranza.
Era strano, ma non sentì alcun bisogno di mentirgli. «Caroline ha preso
qualcosa che mi apparteneva. Un diario. Sono venuta a riprenderlo».
Una nuova luce guizzò negli occhi scuri. «Senza dubbio per proteggere
in qualche modo il mio indegno fratello», commentò, seccato.
«Stefan non è coinvolto in tutto questo!».
«Oh, davvero?». Elena temeva che lui potesse capire più di quel che lei
intendeva dire. «Strano, sembra sempre essere coinvolto quando c'è un
problema. Lui crea problemi. Ora, se non fossi parte in causa...».
Elena parlò con voce calma. «Se fai ancora del male a Stefan te ne farò
pentire. Troverò il modo per farti desiderare di non averlo fatto, Damon.
Puoi starne certo».
«Capisco. Bene, allora, non mi resta che lavorare su di te, giusto?».
Elena non disse nulla. A furia di parlare si era ritrovata con le spalle al
muro, accettando di partecipare di nuovo a quel gioco fatale. Distolse lo
sguardo.
«Alla fine ti avrò, sai», disse dolcemente. Era la voce che aveva usato al
party, quando aveva detto: «Calma, calma». Ora non c'era derisione o
cattiveria; stava semplicemente esprimendo una realtà di fatto. «A ogni
costo, come dite voi – che espressione graziosa – sarai mia prima che cada
la prossima neve».
Elena cercò di nascondere lo sbigottimento che provava, ma sapeva che
lui se ne sarebbe accorto comunque.
«Bene», riprese. «Hai ancora un po' di buonsenso. Fai bene ad aver
paura di me; io sono la cosa più pericolosa che mai ti capiterà di incontrare
nella tua vita. Ma proprio ora avrei una proposta d'affari da farti».
«Una proposta d'affari?»
«Precisamente. Tu sei venuta qui a prendere un diario. Ma non l'hai
trovato». Indicò le mani vuote della ragazza. «Hai fallito, vero?». Quando
Elena non replicò nulla, continuò: «E dal momento che non vuoi che mio
fratello sia coinvolto, lui non ti potrà aiutare. Ma io posso. E lo farò».
«Lo farai?»
«Certamente. A un prezzo».
Elena lo fissò. Il sangue le affluì alle guance. Le parole le uscirono in un
sussurro.
«Quale... prezzo?».
Un sorriso brillò nel buio. «Qualche minuto del tuo tempo. Qualche
87
goccia del tuo sangue. Un'ora o quasi insieme a me, da sola».
«Tu...». Elena non riuscì a trovare la parola adatta. Ogni epiteto che
conosceva era troppo blando.
«Alla fine lo otterrò comunque», disse, in tono ragionevole. «Se sei
onesta con te stessa, lo dovrai ammettere. L'ultima volta non era l'ultima.
Perché non te ne fai una ragione?». Il timbro della sua voce si fece caldo,
confidenziale. «Ricorda...».
«Piuttosto mi taglio la gola», disse.
«Un pensiero intrigante. Ma posso farlo io in modo molto più godibile».
Si prendeva gioco di lei. In qualche modo, più di ogni altra cosa
successa in quella giornata, fu troppo per lei. «Sei disgustoso, lo sai», gli
disse. «Sei rivoltante». Ora stava tremando, e non riusciva a respirare.
«Morirei prima di arrendermi a te. Piuttosto...».
Non era sicura di quel che avrebbe fatto. Quando era con Damon una
sorta di istinto prendeva il sopravvento su di lei. E in quel momento,
sentiva che avrebbe rischiato qualsiasi cosa piuttosto che lasciarlo vincere.
Notò, con metà della sua mente, che il giovane era seduto in modo
rilassato, godendosi la piega che stava prendendo il gioco. L'altra metà
della mente stava calcolando la sporgenza del tetto sul terrazzo.
«Piuttosto farei questo», disse, e si gettò di lato.
Aveva calcolato bene; lui era distratto e non riuscì a scattare con la
rapidità necessaria per fermarla. Sentì il vuoto sotto i piedi e un vortice di
terrore quando si rese conto che il terrazzo era molto più arretrato di
quanto avesse pensato. L'avrebbe mancato.
Ma non aveva calcolato Damon. La sua mano schizzò in fuori, non
abbastanza in fretta da trattenerla sul tetto, ma da impedirle di precipitare.
Era come se il suo peso fosse inesistente per lui. Istintivamente, Elena
afferrò il bordo del tetto e cercò di poggiarvi un ginocchio.
La voce di Damon tradiva la sua furia. «Piccola idiota! Se hai tanta
voglia di conoscere la morte posso presentartela io».
«Lasciami», disse Elena a denti stretti. Qualcuno sarebbe uscito sul
terrazzo da un momento all'altro, ne era certa. «Lasciami».
«Qui e adesso?». Guardando dentro quegli impenetrabili occhi neri, capì
che parlava sul serio. Se avesse detto di sì l'avrebbe lasciata cadere.
«Sarebbe un modo rapido per chiudere la questione, vero?», gli disse. Il
cuore le martellava per la paura, ma non avrebbe lasciato che lui se ne
accorgesse.
«Ma un tale spreco». Con un solo gesto, la tirò in salvo. La tirò a sé. Le
88
sue braccia si strinsero intorno a lei, premendola contro il suo corpo
asciutto e saldo, e d'un tratto Elena non vide più nulla. Era completamente
avviluppata. Poi quei muscoli si contrassero come quelli di un grosso
felino, e in un attimo si lanciò nel vuoto.
Stava cadendo. Non poté fare a meno di avvinghiarsi a lui, unico
elemento solido nel mondo che precipitava intorno a lei. Damon toccò
terra come un gatto, addolcendo l'impatto.
Una volta Stefan aveva fatto qualcosa del genere. Ma poi non l'aveva
tenuta così, dolorosamente vicina, con le labbra che quasi toccavano le
sue.
«Pensa alla mia proposta», le disse.
Elena non riusciva a muoversi o a distogliere lo sguardo. E stavolta
sapeva che non era il Potere che lui stava usando, ma semplicemente la
violenta attrazione che provavano l'uno per l'altra. Era inutile negarlo: il
suo corpo reagiva a quello di Damon. Sentiva il suo respiro sulle labbra.
«Non ho affatto bisogno di te», gli disse.
Pensò che stesse per baciarla, ma non lo fece. Sopra di loro si sentì il
rumore di una porta finestra che si apriva e una voce adirata provenire dal
terrazzo. «Ehi! Che sta succedendo? C'è qualcuno là fuori?»
«Questa volta ti ho fatto un favore», disse Damon, con grande dolcezza,
stringendola ancora fra le braccia. «La prossima volta verrò a riscuotere».
Non riusciva a voltare la testa. Se l'avesse baciata in quel momento,
l'avrebbe lasciato fare. Ma all'improvviso la stretta salda delle sue braccia
si allentò e il suo volto sembrò svanire nella nebbia. Era come se l'oscurità
lo avesse richiamato a sé. Ali nere colpirono l'aria e un corvo enorme si
levò verso il cielo, allontanandosi.
Qualcosa, un libro o una scarpa, gli venne lanciata dietro dal terrazzo.
Lo mancò di un metro.
«Dannati uccelli!». Era la voce del signor Forbes. «Devono aver fatto il
nido sul tetto».
Rabbrividendo, con le braccia strette sul petto, Elena si rannicchiò
nell'oscurità, aspettando che rientrasse in casa.
Trovò Bonnie e Meredith accovacciate vicino al cancello. «Com'è che ci
hai messo tanto?», bisbigliò Bonnie. «Pensavamo che ti avessero
scoperta!».
«Quasi. Ho dovuto restare lì finché non c'è stato più pericolo». Elena era
talmente abituata a mentire riguardo a Damon che lo fece anche ora senza
il minimo sforzo. «Andiamo a casa», sussurrò. «Non possiamo fare altro».
89
Quando si separarono davanti al portone di Elena, Meredith disse:
«Mancano solo due settimane al Founders' Day».
«Lo so». Per un momento la proposta di Damon attraversò la mente di
Elena. Ma scosse la testa per liberarsene. «M'inventerò qualcosa»,
concluse.
Il giorno seguente, alla fine della giornata scolastica, non aveva ancora
escogitato nulla. L'unico fatto che la rassicurava era che Caroline non
sembrava aver trovato niente fuori posto nella sua camera, ma questo era
tutto quel che Elena riusciva a considerare incoraggiante. Quella mattina,
durante l'assemblea, avevano annunciato che Elena era stata scelta fra gli
studenti per rappresentare "Lo Spirito di Fell's Church". Durante il
discorso del preside sull'argomento, il sorriso di Caroline non si spense
mai, esultante e malizioso.
Elena cercò di ignorarlo. Fece del suo meglio per non badare a chi la
snobbava o la offendeva nel corso dell'assemblea, ma non le riuscì facile.
Non era mai stato facile, e c'erano stati giorni in cui aveva pensato che
avrebbe finito col colpire qualcuno o avrebbe urlato, ma fino a quel
momento era riuscita a controllarsi.
Quel pomeriggio, aspettando che iniziasse la lezione di storia della sesta
classe, Elena studiò Tyler Smallwood. Da quando era tornato a scuola, non
le aveva mai rivolto nemmeno una parola. Quando il preside aveva dato
l'annuncio aveva sorriso con la stessa malignità di Caroline. Ora, appena
vide Elena da sola in disparte, diede una gomitata a Dick Carter.
«Cosa c'è là? Una ragazza che fa tappezzeria?».
Stefan, dove sei? Pensò Elena. Ma conosceva la risposta. Al centro
dell'edificio scolastico, a lezione di astronomia.
Dick aprì la bocca per dire qualcosa, ma poi la sua espressione cambiò.
Stava guardando oltre Elena, lungo il corridoio. Elena si voltò e vide
Vickie.
Vickie e Dick erano stati insieme prima del Ballo d'autunno. Ed Elena
immaginava che lo fossero ancora. Ma Dick sembrava esitante, come se
non sapesse cosa aspettarsi dalla ragazza che avanzava verso di lui.
C'era qualcosa di strano nell'espressione di Vickie, nel suo modo di
camminare. Era come se i suoi piedi non toccassero il suolo. Aveva le
pupille dilatate e lo sguardo assente.
«Ciao», azzardò Dick, e le andò incontro. Vickie passò oltre senza
neanche guardarlo e proseguì in direzione di Tyler. Elena seguì quel che
90
successe dopo con crescente imbarazzo. Avrebbe dovuto essere divertente,
ma non lo fu affatto.
Cominciò con Tyler, che sembrò in qualche modo colto alla sprovvista.
Poi Vickie gli posò una mano sul torace. Tyler sorrise, ma in modo forzato.
Vickie fece scivolare la mano sotto la giacca. Il sorriso di Tyler si fece
esitante. Vickie mise l'altra mano sul suo torace. Tyler guardò verso Dick.
«Ehi, Vickie, datti una calmata», disse Dick in tono irritato, ma non si
avvicinò ai due.
Vickie fece scivolare entrambe le mani sulle spalle di Tyler, sfilandogli
la giacca. Con una scrollata, il ragazzo tentò di rimetterla a posto senza
posare i libri o senza sembrare troppo preoccupato. Ma non ci riuscì. Le
dita di Vickie s'insinuarono sotto la sua camicia.
«Basta. Fermala», Tyler implorò Dick. Era indietreggiato contro il muro.
«Ehi, Vickie, molla. Non fare così». Ma Dick rimase a debita distanza.
Tyler gli lanciò uno sguardo furioso e tentò di allontanare la ragazza.
Era cominciato un rumore di fondo. In un primo momento sembrò di
una frequenza troppo bassa per essere percepito dall'udito umano, ma poi
divenne sempre più forte. Un ringhio, oscuramente minaccioso, che fece
raggelare Elena. Tyler aveva gli occhi sgranati, increduli, e subito Elena
capì perché. Il rumore proveniva da Vickie.
Poi tutto accadde all'improvviso. Tyler era a terra, con i denti di Vickie a
pochi centimetri dalla sua gola, nell'atto di azzannare. Elena, dimenticato
ogni motivo di contrasto, stava cercando di aiutare Dick a tirarla indietro.
Tyler stava urlando. La porta dell'aula di storia si aprì e Alaric cominciò a
gridare.
«Non fatele del male! Attenti! È epilettica, dobbiamo solo cercare di
farla sdraiare!».
I denti di Vickie provarono ancora ad azzannare quando raggiunsero una
mano nella mischia. L'esile ragazza era più forte di tutti loro messi
insieme, e non riuscivano più a controllarla. Non sarebbero riusciti a
trattenerla ancora per molto. Fu con immenso sollievo che Elena sentì una
voce familiare alle sue spalle.
«Vickie, calmati. Va tutto bene. Ora rilassati».
Ora che Stefan aveva afferrato il braccio di Vickie e le parlava in tono
rassicurante, Elena osò allentare la presa. E, in un primo momento, la
strategia di Stefan parve funzionare. Le dita di Vickie, simili ad artigli,
allentarono la stretta, e loro riuscirono a sollevarla dal corpo di Tyler.
Mentre Stefan continuava a parlarle, Vickie apparve stremata e chiuse gli
91
occhi.
«Bene. Ora sei stanca. Devi riposare».
Ma poi, improvvisamente, smise di funzionare, e qualunque Potere
Stefan aveva esercitato su di lei si era spezzato. Gli occhi di Vickie si
aprirono, del tutto diversi da quegli occhi da cerbiatto impaurito che Elena
aveva visto alla mensa. In essi ardeva una furia cieca. Ringhiò a Stefan e
cominciò a dibattersi con nuova forza.
Ci vollero cinque o sei persone per bloccarla a terra mentre qualcuno
chiamava la polizia. Elena rimase dov'era, parlando a Vickie, a volte
gridandole qualcosa, fino all'arrivo degli agenti. Ma non servì a nulla.
Poi fece un passo indietro e per la prima volta notò la folla di curiosi.
Bonnie era in prima fila, che fissava attonita la scena. E anche Caroline.
«Cosa è successo?» , chiese Bonnie mentre gli agenti portavano via
Vickie.
Elena, leggermente affannata, scostò una ciocca di capelli dagli occhi.
«È impazzita e ha tentato di spogliare Tyler».
Bonnie serrò le labbra. «Be', è dovuta impazzire per desiderare di farlo,
eh?». E lanciò un sorrisetto compiaciuto in direzione di Caroline.
Elena sentiva le ginocchia molli e le tremavano le mani. Sentì un braccio
che le cingeva la vita, e si appoggiò con gratitudine a Stefan. Poi lo guardò
in viso.
«Epilessia?», disse, in tono derisorio.
Stefan continuava a fissare il corridoio dove si stava allontanando
Vickie. Alaric Saltzman, che ancora gridava istruzioni, sembrava volerla
accompagnare. Il gruppo girò dietro l'angolo.
«Credo che la lezione sia stata archiviata», disse Stefan. «Andiamo».
Camminarono in silenzio verso il pensionato, ognuno perso nei propri
pensieri. Elena era accigliata, e varie volte lanciò un'occhiata a Stefan, ma
parlò solo quando furono da soli nella sua stanza.
«Stefan, cosa vuol dire tutto questo? Cosa sta succedendo a Vickie?»
«È quello che mi sto chiedendo anch'io. C'è solo una spiegazione che mi
viene in mente, ed è che si trova ancora sotto attacco».
«Vuoi dire che Damon sta ancora... oh, mio Dio! Oh, Stefan, avrei
dovuto darle un po' di verbena. Avrei dovuto capire...».
«Non avrebbe fatto alcuna differenza. Credimi». Elena si era girata
verso la porta come per andare da Vickie in quel preciso istante, ma lui la
trattenne con delicatezza. «Alcune persone sono più facilmente
92
influenzabili di altre, Elena. La volontà di Vickie non è mai stata molto
forte. Ormai appartiene a lui».
Lentamente, Elena si mise a sedere. «Allora nessuno può fare niente?
Ma, Stefan, diventerà... come te e Damon?»
«Dipende». Il tono di voce era desolato. «Non è solo questione di quanto
sangue perderà. Perché il cambiamento sia totale dovrà avere nelle vene il
sangue di Damon. Altrimenti farà la fine del signor Tanner. Dissanguata,
prosciugata. Morta».
Elena fece un profondo respiro. C'era qualcos'altro che voleva
chiedergli, qualcosa che voleva chiedergli da tanto tempo. «Stefan, mentre
parlavi a Vickie, ho creduto che funzionasse. Stavi usando i tuoi Poteri su
di lei, vero?»
«Sì».
«Ma poi lei ha perso di nuovo il controllo. Quel che voglio dire è...
Stefan, stai bene, vero? Hai riacquistato i tuoi Poteri?».
Il giovane non rispose. Ma quel silenzio fu più di una risposta per lei.
«Stefan, perché non me l'hai detto? Cosa c'è che non va?». Gli girò intorno
e si inginocchiò accanto a lui, costringendolo a guardarla in viso.
«Ci vorrà un po' di tempo perché mi riprenda, tutto qui. Non
preoccuparti».
«Io sono preoccupata. Non c'è niente che possiamo fare?»
«No», disse. Ma abbassò lo sguardo.
D'un tratto Elena capì. «Oh», sussurrò, appoggiando la schiena. Poi si
allungò di nuovo verso di lui, afferrandogli le mani. «Stefan, ascolta...».
«Elena, no. Non lo capisci? È pericoloso, pericoloso per entrambi, ma
soprattutto per te. Potrebbe ucciderti, o ancor peggio».
«Soltanto se tu perdessi il controllo», disse. «E tu non lo farai. Baciami».
«No», ripeté Stefan. E aggiunse, in tono meno brusco. «Questa notte
andrò a caccia, non appena farà buio».
«Ed è lo stesso?», chiese. Ma sapeva che non lo era. Era il sangue
umano che dava Potere. «Oh, Stefan, ti prego; non vedi che sono io a
volerlo? E tu, non vuoi?»
«Non è giusto», disse, con il tormento negli occhi. «Sai che non lo è,
Elena. Sai quanto...». Distolse lo sguardo da lei, stringendo i pugni.
«E allora perché no? Stefan, io ho bisogno...». Non riuscì a finire la
frase. Non riuscì a spiegargli di cosa aveva bisogno; era il bisogno di
sentirsi legata a lui, intimamente. Aveva bisogno di quel che provava
insieme a lui, per liberarsi del ricordo di quel ballo nel sogno e delle
93
braccia di Damon che la stringevano. «Ho bisogno che noi due stiamo di
nuovo insieme», sussurrò.
Stefan era ancora voltato, ma scosse la testa.
«Va bene», concluse Elena, a bassa voce, ma la invase un'ondata di pena
e di paura quando sentì il senso di sconfitta penetrarle nelle ossa. Aveva
paura soprattutto per Stefan, che sarebbe stato vulnerabile senza i suoi
Poteri, vulnerabile quanto bastava per essere danneggiato dai normali
cittadini di Fell's Church. Ma aveva un po' di paura anche per se stessa.
12
Una voce parlò dietro di lei, mentre Elena allungava la mano per
prendere una lattina dallo scaffale del negozio.
«Già la salsa di mirtilli?».
Elena sollevò lo sguardo. «Ciao, Matt. Sì, zia Judith preferisce fare una
prova generale la domenica prima del Giorno del Ringraziamento, ricordi?
Se fa un po' di pratica, diminuiscono le probabilità che combini qualcosa
di terribile».
«Come dimenticare di comprare la salsa di mirtilli fino a quindici minuti
prima della cena?»
«Fino a cinque minuti prima della cena», precisò Elena guardando
l'orologio, e Matt scoppiò a ridere. Era un suono piacevole, che Elena non
sentiva da fin troppo tempo. Si mosse verso la cassa, ma dopo aver pagato,
esitò, voltandosi indietro a guardare. Matt era fermo accanto allo scaffale
delle riviste, apparentemente assorbito nella lettura, ma c'era qualcosa
nella curvatura delle sue spalle che le fece venir voglia di andare da lui.
Diede un colpetto col dito alla rivista. «E tu , cosa fai a cena?», gli
chiese. Quando lui lanciò un'occhiata esitante verso la porta del negozio,
aggiunse: «Bonnie mi sta aspettando in macchina; ci sarà lei. Per il resto,
solo la famiglia. E Robert, ovviamente; a quest'ora dovrebbe essere già lì».
Voleva dire che Stefan non sarebbe venuto. Non era ancora sicura di come
fossero i rapporti fra Matt e Stefan negli ultimi tempi. Se non altro, si
parlavano.
«Stasera mi arrangio per conto mio. Mamma non si sente molto bene»,
disse. Ma poi, come se volesse cambiare argomento, proseguì: «Dov'è
Meredith?»
«Con la sua famiglia, in visita da alcuni parenti o qualcosa del genere».
Elena rimase nel vago, perché anche Meredith era stata elusiva; raramente
94
parlava della sua famiglia. «Allora, che ne pensi? Ti va di rischiare con la
cucina di zia Judith?»
«In nome dei vecchi tempi?»
«In nome dei vecchi amici», replicò Elena, dopo un momento di
esitazione, sorridendogli.
Il ragazzo batté le palpebre e distolse lo sguardo. «Come posso rifiutare
un simile invito?», disse, con una voce stranamente smorzata. Ma quando
posò la rivista e la seguì fuori, sorrideva anche lui.
Bonnie lo salutò allegramente, e quando arrivarono a casa zia Judith
sembrò contenta di vederlo entrare nella cucina.
«La cena è quasi pronta», disse, prendendo la busta della spesa di Elena.
«Robert è arrivato pochi minuti fa. Perché non ve ne andate dritti in
soggiorno? Oh, prendi un'altra sedia, Elena. Con Matt siamo in sette».
«Sei, zia Judith», precisò Elena, divertita. «Tu e Robert, io e Margaret,
Matt e Bonnie».
«Certo, cara, ma Robert ha portato un ospite. Si sono accomodati di là».
Elena registrò quelle parole proprio mentre varcava la soglia del
soggiorno, ma la mente reagì con un istante di ritardo. Ma anche così,
Elena sapeva; varcando quella soglia, sapeva cosa la stava aspettando.
Robert era in piedi, che armeggiava con una bottiglia di vino bianco, e
sembrava allegro. Seduto al tavolo, al lato opposto del centrotavola
autunnale con le lunghe candele accese, c'era Damon.
Elena si rese conto di essersi immobilizzata quando Bonnie andò a
sbatterle contro la schiena. Allora impose alle sue gambe di muoversi. La
sua mente non fu così docile; rimase paralizzata.
«Ah, Elena», disse Robert, tendendole una mano. «Questa è Elena, la
ragazza di cui ti stavo parlando», disse rivolgendosi a Damon. «Elena,
questo è Damon... ehm...».
«Smith», concluse Damon.
«Ah, sì. Viene dal mio college, il "William and Mary", e l'ho incontrato
per caso fuori dell'emporio. Stava cercando un posto dove mangiare e l'ho
invitato qui per una cenetta fatta in casa. Damon, questi sono amici di
Elena, Matt e Bonnie».
«Salve», disse Matt. Bonnie rimase attonita; poi si voltò verso Elena,
con gli occhi spalancati.
Elena stava cercando di controllarsi. Non sapeva se strillare, uscire in
fretta dalla stanza, o gettare il bicchiere di vino che Robert stava
riempiendo in faccia a Damon. Era troppo infuriata, in quel momento, per
95
avere paura.
Matt andò a prendere una sedia nel soggiorno. Elena si meravigliò che
avesse accettato con tanta disinvoltura la presenza di Damon, poi si ricordò
che Matt non era andato al party di Alaric. Non sapeva cosa era successo
fra Stefan e l'"ospite venuto dal college".
Bonnie, invece, sembrava sul punto di cedere al panico.. Continuava a
fissare Elena con occhi imploranti. Damon si era alzato e le stava offrendo
una sedia per accomodarsi.
Prima che Elena potesse formulare una risposta, sentì la vocetta
squillante di Margaret che entrava nella stanza. «Matt, vuoi vedere la mia
gattina? Zia Judith dice che posso tenerla. La voglio chiamare Palla di
neve».
Elena si voltò, folgorata da un'idea.
«Che carina», le stava dicendo affettuosamente Matt, chinato su quel
batuffolo di pelo bianco fra le braccia di Margaret. Sembrò sorpreso
quando Elena gli sfilò la gattina da sotto il naso senza tante cerimonie.
«Su, Margaret, facciamo vedere la tua gattina all'amico di Robert»,
disse, e spinse quel soffice fagottino contro il viso di Damon, quasi
lanciandoglielo addosso.
Si scatenò l'inferno. Palla di neve drizzò il pelo fino a sembrare due
volte più grossa di quel che era. Emise un suono simile a gocce d'acqua
cadute su una piastra incandescente, poi diventò un ciclone ringhioso e
minaccioso che graffiò Elena, allungò una zampata a Damon, e rimbalzò
sulle pareti, prima di precipitarsi fuori della stanza.
Per un istante, Elena ebbe la soddisfazione di vedere gli occhi neri come
la notte di Damon più spalancati del solito. Poi le palpebre si ricomposero,
nascondendoli di nuovo, ed Elena si girò per osservare la reazione delle
altre persone presenti nella stanza.
Margaret stava per scoppiare in un pianto dirotto. Robert stava cercando
di impedirlo, sollecitandola ad andare alla ricerca del gatto. Bonnie si era
appiattita contro la parete, e sembrava disperata. Matt e zia Judith, che
facevano capolino dalla cucina, erano atterriti.
«Credo che il tuo fascino non funzioni con gli animali», disse a Damon,
e si sedette a tavola. Fece cenno a Bonnie, che si staccò con riluttanza dalla
parete e si affrettò a prendere posto prima che Damon potesse toccare una
sedia. Gli occhi castani di Bonnie lo seguirono finché anche lui non si fu
seduto.
Dopo qualche minuto, ricomparve Robert insieme a Margaret in lacrime,
96
e lanciò un'occhiata di disapprovazione a Elena. Matt spinse la sua sedia
sotto il tavolo in silenzio, anche se le sopracciglia inarcate quasi toccavano
i capelli.
Quando arrivò zia Judith e la cena ebbe inizio, Elena fece correre lo
sguardo da un capo all'altro del tavolo. Una foschia luminosa sembrava
sospesa nella stanza, e lei provò una sensazione di irrealtà, ma la scena
stessa appariva incredibilmente sana, come se fosse uscita da una
pubblicità. Una famiglia media seduta a mangiare il tacchino, pensò. Una
zia nubile un po' tesa, preoccupata che i pisellini siano sfatti e i panini
bruciacchiati, un affabile futuro zio, una nipote adolescente con i capelli
d'oro e la sua sorellina con i capelli color stoppa. Un tipico "ragazzo della
porta accanto" con gli occhi azzurri, un'amica piena di brio, un bellissimo
vampiro che ti passa il piatto delle patate dolci. Un tipico focolare
domestico americano.
Bonnie trascorse metà della cena a telegrafare con gli occhi a Elena
messaggi tipo "Cosa faccio?". Ma quando Elena le telegrafò in risposta un
semplice "Niente", decise di abbandonarsi al suo destino. Cominciò a
mangiare.
Elena non aveva idea di cosa fare. Essere presa in trappola in quel modo
era un insulto, un'umiliazione, e Damon lo sapeva. Eppure era riuscito a
conquistare zia Judith e Robert, complimentandosi per la cena e
chiacchierando amabilmente del "William and Mary". Ora persino
Margaret gli sorrideva, e Bonnie avrebbe ceduto quanto prima.
«La prossima settimana Fell's Church celebrerà il Founders' Day»,
comunicò a Damon zia Judith, le guance leggermente arrossate. «Sarebbe
un vero piacere se tu potessi tornare per l'occasione».
«Ne sarei felice», disse Damon affabilmente.
Zia Judith sembrò compiaciuta. «E quest'anno Elena avrà un ruolo
importante. È stata scelta per rappresentare lo Spirito di Fell's Church».
«Dovrete essere orgogliosi di lei», disse Damon.
«Oh, lo siamo», disse zia Judith. «Allora farai in modo di esserci?».
Elena s'intromise nella conversazione, imburrando energicamente un
panino. «Ho avuto notizie di Vickie», disse. «Ricordi, la ragazza che è
stata aggredita». Guardò esplicitamente Damon.
Seguì un breve silenzio. Poi Damon disse: «Temo di non conoscerla».
«Oh, sono certa che ne hai avuto modo. Altezza media, occhi castani,
capelli castano chiaro... a ogni modo, sta peggiorando».
«Oh, poverina», disse zia Judith.
97
«Già, a quanto pare i dottori non sanno cosa fare. Continua a peggiorare,
come se l'attacco fosse ancora in corso». Mentre parlava, Elena tenne gli
occhi fissi sul volto di Damon, ma lui mostrò solo un cortese interesse.
«Qui c'è ancora un po' di ripieno», disse infine, spingendo una terrina
verso di lui.
«No, grazie. Ne ho già preso un'altra porzione». Damon sollevò un
cucchiaio pieno di gelatinosa salsa di mirtilli all'altezza della fiamma di
una candela, in modo che la luce lo attraversasse. «Ha un colore così
seducente».
Bonnie, come il resto delle persone intorno al tavolo, sollevò lo sguardo
verso la fiamma della candela. Ma Elena notò che non lo abbassò. Rimase
a fissare la fiamma danzante, e a poco a poco il suo viso perse ogni
espressione.
Oh, no, pensò Elena, mentre un senso di inquietudine si insinuava dentro
di lei. Aveva già visto quello sguardo. Tentò di richiamare l'attenzione di
Bonnie, ma la ragazza sembrava non vedere altro che la candela.
«...e poi i bambini della scuola elementare mettono in scena uno
spettacolo sulla storia della città», zia Judith stava dicendo a Damon. «Ma
la cerimonia di chiusura è organizzata dagli studenti più grandi. Elena,
quanti studenti dell'ultimo anno eseguiranno le letture?»
«Solo tre di noi». Elena dovette girarsi per rivolgersi a zia Judith, e fu
mentre stava guardando il viso sorridente della zia che sentì quella voce.
«Morte».
Zia Judith ansimò. Robert si fermò con la forchetta a mezz'aria. Elena
desiderò con tutta se stessa, disperatamente, che ci fosse Meredith.
«Morte», ripeté la voce. «La morte è in questa casa».
Elena guardò intorno al tavolo e vide che non c'era nessuno che potesse
aiutarla. Tutti stavano fissando Bonnie, immobili come i soggetti di una
fotografia.
Bonnie continuava a fissare la fiamma della candela. Il viso era
inespressivo, gli occhi spalancati, come prima che quella voce parlasse
attraverso lei. Ora, quegli occhi ciechi si volsero verso Elena. «La tua
morte», disse la voce. «La morte ti aspetta, Elena. È...».
Bonnie sembrò soffocare. Poi rovinò in avanti, la faccia quasi nel piatto.
Tutti rimasero paralizzati per un istante, poi entrarono in azione. Robert
saltò su dalla sedia e la afferrò per le spalle, sollevandola. La pelle della
ragazza era bluastra, gli occhi chiusi. Zia Judith le si agitava intorno,
tamponandole il viso con un panno bagnato. Damon osservava la scena a
98
occhi socchiusi, meditabondo.
«Sta bene», disse Robert, guardando in su con evidente sollievo. «Credo
che sia semplicemente svenuta. Sarà stato una specie di attacco isterico».
Ma Elena non riuscì a respirare finché Bonnie non aprì gli occhi, ancora
intontita, e chiese perché tutti la stessero fissando.
Così la cena ebbe una conclusione d'effetto. Robert insistette perché
Bonnie fosse accompagnata subito a casa, e nella frenesia che seguì Elena
trovò modo di bisbigliare qualcosa a Damon.
«Vattene!».
Il giovane inarcò le sopracciglia. «Come?»
«Ti ho detto di andartene! Ora! Vai. O dirò loro che sei tu l'assassino».
Le rivolse uno sguardo di biasimo. «Non pensi che un ospite meriti un
po' più di considerazione?», disse, ma vedendo l'espressione sul viso di
Elena si strinse nelle spalle e sorrise.
«Grazie per la cena», disse ad alta voce a zia Judith, che stava portando
una coperta in macchina. «Spero di poterle restituire il favore prima o
poi». Rivolgendosi a Elena, aggiunse: «Ci vediamo».
Be' , questo era abbastanza ovvio, pensò Elena, mentre Robert si
allontanava in macchina con un malinconico Matt e un'assonnata Bonnie.
Zia Judith era al telefono con la signora McCullough.
«Non so cosa stia capitando a queste ragazze», stava dicendo. «Prima
Vickie, poi Bonnie... ed Elena non è stata più la stessa ultimamente...».
Mentre la zia continuava la sua conversazione e Margaret andava in
cerca della scomparsa Palla di neve, Elena camminava nervosamente per la
stanza.
Avrebbe dovuto chiamare Stefan. Non c'era altro da fare. Non era
preoccupata per Bonnie; le altre volte che era accaduto non sembrava aver
causato danni permanenti. E Damon avrebbe avuto di meglio da fare
quella sera che tormentare gli amici di Elena.
Sarebbe andato lì, a riscuotere il "favore" che le aveva fatto. Elena
sapeva con certezza che era quello il significato nascosto nelle sue ultime
parole. E questo significava che avrebbe dovuto raccontare tutto a Stefan,
perché quella sera aveva bisogno di lui, della sua protezione.
Ma cosa poteva fare Stefan? Nonostante tutte le sue insistenze e le
discussioni della precedente settimana, lui si era rifiutato di prendere il suo
sangue. Aveva continuato a ripetere che i suoi Poteri sarebbero tornati
anche senza, ma Elena sapeva che era ancora vulnerabile. Anche se Stefan
fosse stato lì, avrebbe potuto fermare Damon? Poteva farlo senza restare
99
ucciso a sua volta?
La casa di Bonnie non era più un rifugio. E Meredith era partita. Non
c'era nessuno che potesse aiutarla, nessuno di cui fidarsi. Ma il pensiero di
aspettare lì da sola quella notte, sapendo che sarebbe arrivato Damon, era
insopportabile.
Sentì zia Judith riattaccare il telefono. Meccanicamente, si diresse verso
la cucina, ripetendo nella mente il numero di Stefan. Poi si bloccò, e
lentamente si voltò a guardare il soggiorno da cui era appena uscita.
Guardò le vetrate e l'elaborato caminetto con la cornice splendidamente
decorata a volute. Questa sala era parte della casa originaria, quella che era
bruciata quasi completamente durante la guerra civile. La sua camera da
letto era proprio lì sopra.
Un'idea luminosa cominciava a farsi strada. Elena guardò la cornice
intorno al soffitto, dove si congiungeva alla più moderna sala da pranzo.
Poi corse verso le scale, il cuore che batteva forte.
«Zia Judith?». La zia si fermò sugli scalini. «Zia Judith, dimmi una cosa.
Damon è entrato nel soggiorno?»
«Cosa?». Zia Judith batté le palpebre, perplessa.
«Robert ha portato Damon nel soggiorno? Ti prego, cerca di ricordare,
zia Judith! Devo saperlo».
«Perché, no, non credo. No. Sono entrati in casa e sono andati
direttamente nella sala da pranzo. Elena cosa diamine?...». Non riuscì a
dire altro, perché Elena d'impulso le lanciò le braccia al collo e la strinse
forte.
«Scusa, zia Judith. È solo che sono felice», disse Elena. Sorridendo, si
voltò per scendere di nuovo le scale.
«Bene, sono contenta che qualcuno sia felice, visto come si è conclusa la
cena. Anche se quel simpatico ragazzo, Damon, sembra essersi divertito.
Lo sai, Elena, devi aver fatto colpo su di lui, nonostante il modo in cui ti
sei comportata».
Elena tornò a voltarsi. «Davvero?»
«Già, penso solo che dovresti concedergli un'opportunità, tutto qui.
Penso che sia molto simpatico. Il genere di giovane che vorrei vedere in
questi paraggi».
Elena sgranò gli occhi per un momento, poi deglutì per trattenere una
risata isterica. La zia Judith le stava suggerendo di dedicarsi a Damon
invece che a Stefan... perché Damon era più affidabile. Il genere di
giovane che ogni zia apprezzerebbe. «Zia Judith», cominciò, ancora senza
100
fiato, ma poi si rese conto che era inutile. Scosse silenziosamente la testa,
alzando le mani in segno di resa, e restò a guardare sua zia che saliva le
scale.
Di solito Elena dormiva con la porta chiusa. Ma quella sera la lasciò
aperta e si sdraiò sul letto, con gli occhi puntati sull'oscurità del corridoio.
Ogni tanto lanciava un'occhiata ai numeri luminosi dell'orologio sul
comodino accanto a lei.
Non c'era pericolo che si addormentasse. Col passare dei minuti,
cominciò quasi a pensare che avrebbe potuto. Il tempo si trascinava con
penosa lentezza. Le undici... le undici e mezzo... mezzanotte. L'una. L'una
e mezzo. Le due.
Alle 2,10 sentì un rumore.
Si mise in ascolto, restando sdraiata sul letto. Un lieve fruscio proveniva
dal piano di sotto. Sapeva che lui avrebbe trovato il modo di entrare, se
avesse voluto. Se Damon era deciso, nessuna serratura glielo avrebbe
impedito.
La musica del sogno che aveva fatto a casa di Bonnie tintinnò nella sua
mente, una manciata di malinconiche note argentine. Risvegliò dentro di
lei strane sensazioni. Come se si trovasse lei stessa in un sogno, si alzò e
andò ad aspettare sulla soglia della camera.
Il corridoio era buio, ma i suoi occhi avevano avuto tempo per adattarsi.
Vide la sagoma più scura salire le scale. Quando arrivò in cima, notò il
rapido, micidiale baluginio del suo sorriso.
Restò in attesa, col viso cupo, finché lui la raggiunse e si fermò di fronte
a lei, solo un metro di pavimento di legno a dividerli. La casa era nel più
assoluto silenzio. Margaret dormiva dall'altra parte del corridoio; in fondo
al passaggio, zia Judith riposava avvolta nei suoi sogni, inconsapevole di
quel che stava accadendo fuori della sua porta.
Damon non disse niente, ma la guardò, abbracciando con lo sguardo la
lunga camicia da notte bianca con il colletto alto di pizzo. Elena l'aveva
scelta perché era la più semplice che aveva, ma evidentemente Damon la
trovava seducente. Si costrinse a restare ferma, in silenzio, ma aveva la
bocca asciutta e il cuore batteva con tonfi sordi. Era arrivato il momento.
Fra un attimo avrebbe saputo.
Fece un passo indietro, senza una parola o un gesto d'invito, lasciando
libera la soglia. Vide una scintilla accendersi negli occhi impenetrabili del
giovane, e lo vide avanzare impaziente verso di lei. Poi fermarsi.
101
Era rimasto appena fuori della sua camera, chiaramente turbato. Azzardò
un altro passo ma non ci riuscì. Qualcosa sembrava impedirgli di avanzare.
Sul suo volto, la sorpresa lasciò il posto alla perplessità e poi alla rabbia.
Alzò lo sguardo, gli occhi cercarono l'architrave, perlustrando il soffitto
dall'altra parte della soglia. Poi, quando tutto gli fu improvvisamente
chiaro, la sua bocca si schiuse in un ringhio animale.
In salvo all'interno della stanza, Elena rise sommessamente. Aveva
funzionato.
«La mia camera e il soggiorno sono tutto quel che resta della vecchia
casa», gli disse. «E, naturalmente, quella era un'abitazione diversa. Una in
cui non sei stato invitato, e mai lo sarai».
Il torace del giovane si alzava e abbassava in respiri rabbiosi, le narici
dilatate, gli occhi sconvolti. Emanava ondate di furia cieca. Sembrava che
avesse voluto buttare giù le pareti con le sue stesse mani, contratte
convulsamente in un accesso d'ira.
L'esultanza e il sollievo diedero le vertigini a Elena. «È meglio che te ne
vai, adesso», disse. «Qui non c'è niente per te».
Un attimo dopo, Damon la fulminò con uno sguardo minaccioso, poi si
voltò. Ma non si diresse verso le scale. Fece un passo attraverso il
corridoio e posò la mano sulla porta della camera di Margaret.
Elena si mosse prima di capire cosa stesse facendo. Si fermò sulla soglia
e si aggrappò allo stipite della porta, respirando a fatica.
Damon girò di scatto la testa e le sorrise, un sorriso lento e crudele. Girò
la maniglia senza guardare. I suoi occhi, come specchi di ebano liquido,
rimasero fissi su Elena.
«A te la scelta», le disse.
Lei rimase immobile, sentendo dentro di sé tutto il gelo dell'inverno.
Margaret era solo una bambina. Non lo avrebbe fatto; nessuno poteva
essere un mostro tale da far del male a una bambina di quattro anni.
Ma sul volto di Damon non c'era alcuna traccia di tenerezza o di
compassione. Era un predatore, un assassino, e i deboli erano la sua preda.
Ripensò a quello spaventoso ringhio animale che aveva trasfigurato i suoi
bei lineamenti, ed Elena sapeva che non avrebbe mai potuto abbandonare
Margaret nelle sue mani.
Tutto sembrava svolgersi al rallentatore. Guardò la mano di Damon
posata sulla maniglia; guardò quegli occhi spietati. Stava già superando la
soglia della camera, lasciando dietro di sé l'unico luogo sicuro che
conosceva.
102
La morte è in questa casa, aveva detto Bonnie. E adesso Elena era andata
incontro alla morte di sua spontanea volontà. Chinò la testa per nascondere
le lacrime di impotenza che le riempivano gli occhi. Era stato tutto inutile.
Damon aveva vinto. Non alzò lo sguardo quando avanzò verso di lei. Ma
sentì l'aria che le si muoveva intorno, facendola rabbrividire. E poi fu
avvolta da una leggera, infinita oscurità, che la circondò come le ali di un
grande uccello.
13
Elena si svegliò di colpo, sollevò le palpebre pesanti. La luce filtrava
lungo i bordi delle tende. Muoversi le risultò faticoso, così rimase sdraiata
sul letto, cercando di mettere insieme i pezzi di quel che era accaduto la
notte prima.
Damon. Damon era andato lì e aveva minacciato Margaret. E così Elena
era andata da lui. Damon aveva vinto.
Ma perché non aveva completato l'opera? Sollevò debolmente una mano
per toccarsi il lato del collo, sapendo già cosa avrebbe trovato. Sì, erano lì:
due piccole punture, doloranti e sensibili al tatto.
Eppure era ancora viva. Si era fermato prima di mantenere la sua
promessa. Perché?
I suoi ricordi delle ultime ore erano confusi e indistinti. Soltanto dei
frammenti erano chiari. Gli occhi di Damon che si abbassavano a
guardarla, occupando tutto il suo mondo. La puntura lancinante sulla gola.
E, dopo, Damon che apriva la sua camicia, il suo sangue che sgorgava da
un piccolo taglio sul collo.
Le aveva fatto bere il suo sangue. Se fatto era la parola giusta. Non si
ricordava di aver opposto alcuna resistenza o di aver provato alcuna
repulsione. In quel momento, lo aveva desiderato.
Ma non era morta, né gravemente indebolita. Non l'aveva trasformata in
un vampiro. Ed era questo che non riusciva a capire.
Lui non aveva regole morali, né una coscienza, ripeté a se stessa. Quindi
non era stata certo la pietà a fermarlo. Probabilmente vuole soltanto
prolungare il gioco, farti soffrire ancora prima di ucciderti. O forse vuole
che tu diventi come Vickie, con un piede nel regno delle ombre e uno in
quello della luce. E farti impazzire lentamente.
Una cosa era sicura: non sarebbe stata così sciocca da credere che fosse
stata una gentilezza da parte sua. Damon non era capace di gentilezza. O di
103
preoccuparsi per qualcuno che non fosse se stesso.
Spinse da parte il lenzuolo e si alzò dal letto. Sentì zia Judith andare su e
giù lungo il corridoio. Era lunedì mattina, e lei doveva prepararsi per
andare a scuola.
27 novembre, mercoledì
Caro diario,
è inutile fingere di non essere spaventata, perché lo sono. Domani è il Giorno del
Ringraziamento, e due giorni dopo sarà il Founders' Day. E ancora non ho trovato un
modo per fermare Caroline e Tyler.
Non so cosa fare. Se non riesco a recuperare il mio diario, Caroline lo leggerà
davanti a tutti. E avrà l'occasione ideale per farlo: è una dei tre studenti dell'ultimo
anno scelta per leggere poesie durante le cerimonie di chiusura. Scelta dal comitato
scolastico, di cui è membro il padre di Tyler, dovrei aggiungere. Mi chiedo cosa
penserà lui quando sarà tutto finito.
Ma che differenza può fare? A meno che non riesca a escogitare un piano, quando
tutto sarà finito niente avrà più importanza. E Stefan non ci sarà più, scacciato dalla
città dai bravi cittadini di Fell's Church. O morto, se non recupera un po' dei suoi
Poteri. E se lui muore, morirò anch'io. È così semplice.
Quindi devo trovare il modo di riprendere il diario. Devo.
Ma non posso.
Lo so, stai aspettando che lo dica. Esiste un modo per prendere il mio diario... il
modo di Damon. Tutto quel che ho bisogno di fare è accettare le sue condizioni.
Ma tu non sai quanto mi spaventi. Non solo perché Damon mi spaventa, ma perché
ho paura di quel che accadrà se io e lui stiamo di nuovo insieme. Ho paura di quel che
succederà a me... e a me e Stefan.
Non posso più parlarne. È troppo sconvolgente. Mi sento così confusa e smarrita e
sola. Non c'è nessuno a cui possa rivolgermi o con cui parlare. Nessuno che forse
potrebbe capire.
Cosa farò?
28 novembre, giovedì, ore 23,30
Caro diario,
oggi le cose sembrano più chiare, forse perché ho preso una decisione. È una
decisione che mi terrorizza, ma è meglio dell'unica alternativa che mi viene in mente.
Racconterò tutto a Stefan.
Ormai è l'unica cosa che posso fare. Sabato sarà il Founders' Day e io non ho
escogitato alcun piano. Ma forse Stefan ci riuscirà, se si rende conto di quanto la
situazione sia disperata. Domani passerò l'intera giornata al pensionato, e quando sarò
lì ho intenzione di raccontargli tutto quel che avrei dovuto dirgli fin dall'inizio.
Tutto. Anche riguardo a Damon.
Non so cosa dirà. Nei miei sogni continuo a ricordare il suo viso. Il modo in cui mi
ha guardata, con rabbia e amarezza. Come se non mi amasse affatto. Se mi guarda
104
così domani...
Oh, sono terrorizzata. Ho lo stomaco sottosopra. Ho toccato appena la cena del
Giorno del Ringraziamento... e non riesco a stare ferma. Mi sento come se potessi
andare in mille pezzi. Andare a dormire, stasera? Ah.
Ti prego, fa' che Stefan capisca. Ti prego, fa' che Stefan mi perdoni.
La cosa più buffa è che volevo diventare una persona migliore per lui. Volevo
meritarmi il suo amore. Stefan ha queste idee sull'onore, su quel che è giusto e
sbagliato. E adesso, quando scoprirà come gli ho mentito finora, cosa penserà di me?
Riuscirà a credere che stavo solo cercando di proteggerlo? Si fiderà ancora di me?
Lo saprò domani. Oh, Dio, vorrei che fosse già domani. Non so come riuscirò a
sopravvivere fino ad allora.
Elena scivolò fuori di casa senza dire a zia Judith dove stesse andando.
Era stanca di raccontare bugie, ma non voleva affrontare l'agitazione che si
sarebbe inevitabilmente creata se avesse detto che andava da Stefan. Da
quando Damon era stato a cena da loro, zia Judith aveva parlato di lui,
facendo allusioni velate, e anche più esplicite, in ogni conversazione. E
Robert non era stato da meno. A volte Elena aveva pensato che fosse lui a
incoraggiare zia Judith.
Si appoggiò stancamente al campanello del portone del pensionato.
Dov'era la signora Flowers in quei giorni? Quando la porta finalmente si
aprì, c'era Stefan.
Era vestito per uscire, con il bavero della giacca tirato su. «Ho pensato
che potremmo andare a fare una passeggiata», disse.
«No». Elena fu risoluta. Non riuscì a sorridergli in modo spontaneo, così
lasciò perdere. Disse: «Andiamo di sopra, Stefan, va bene? C'è qualcosa di
cui dobbiamo parlare».
Il giovane la guardò per un momento, sorpreso. Dalla sua espressione
doveva trapelare qualcosa, perché il viso di Stefan si irrigidì e si rabbuiò.
Fece un respiro profondo e annuì. Senza dire una parola, si voltò e le fece
strada verso la sua camera.
I bauli, i cassettoni e gli scaffali erano stati rimessi da tempo al loro
posto, ovviamente. Ma Elena sentì come se lo stesse notando per la prima
volta. Per qualche ragione, pensò alla prima sera che era stata lì, quando
Stefan l'aveva liberata dalla disgustosa stretta di Tyler. Fece scorrere lo
sguardo sugli oggetti sopra il cassettone: i fiorini d'oro del XV secolo, il
pugnale con l'impugnatura d'avorio, il piccolo scrigno di ferro con il
coperchio incernierato. Quella sera aveva cercato di aprirlo e Stefan lo
aveva chiuso di colpo.
Si voltò. Lui era in piedi accanto alla finestra, stagliandosi contro il
105
rettangolo di cielo grigio e cupo. Ogni giorno della settimana era stato
freddo e nebbioso, e anche questo non faceva eccezione. L'espressione di
Stefan rifletteva il tempo all'esterno.
«Allora», disse in tono pacato, «di cosa dobbiamo parlare?».
Le rimaneva un ultimo minuto per scegliere, poi Elena accettò il rischio.
Allungò una mano verso il piccolo scrigno di ferro e lo aprì.
All'interno, un nastro di seta color albicocca emanò un tenue riflesso di
luce. Il suo nastro per i capelli. Le ricordò l'estate, quei giorni d'estate che
ora sembravano così lontani. Lo raccolse nella mano e lo porse a Stefan.
«Di questo», disse.
Stefan aveva fatto un passo in avanti quando lei aveva toccato lo
scrigno, ma ora sembrava perplesso e sorpreso. «Di quello?»
«Sì. Perché io sapevo che era lì, Stefan. L'ho scoperto molto tempo fa,
un giorno che sei uscito dalla camera per qualche minuto. Non so perché
volevo sapere cosa ci fosse dentro lo scrigno, ma non ho potuto resistere.
Così ho trovato il nastro. E poi...». S'interruppe e si fece coraggio. «Poi
l'ho scritto nel mio diario».
Stefan appariva sempre più sconcertato, come se non fosse questo quel
che si aspettava. Elena cercò le parole giuste.
«L'ho scritto perché pensavo che fosse la prova che tu ti eri sempre
interessato a me, abbastanza da raccoglierlo e conservarlo. Non ho mai
pensato che potesse costituire la prova di qualcos'altro».
Poi, all'improvviso, cominciò a parlare in fretta. Gli disse di aver portato
il diario a casa di Bonnie, di come era stato rubato. Gli disse dei biglietti
che aveva trovato, di aver capito che era Caroline a metterli in giro. E poi,
distogliendo lo sguardo e passando nervosamente fra le dita il nastro
colorato, gli descrisse il piano di Tyler e Caroline.
Alla fine quasi le mancò la voce. «Da allora ho avuto così tanta paura»,
sussurrò, gli occhi fissi sul nastro. «Paura che tu ti arrabbiassi con me.
Paura di quel che hanno intenzione di fare quei due. Solo paura. Ho
cercato di recuperare il diario, Stefan, sono andata persino a casa di
Caroline. Ma l'ha nascosto troppo bene. E ci ho pensato e ripensato, ma
non riesco a trovare alcun modo per impedirle di leggerlo». Finalmente
alzò gli occhi verso di lui. «Sono desolata».
«Devi esserlo!», le disse, facendola trasalire con la sua veemenza. Elena
sentì il sangue defluire dalle guance. Ma Stefan stava ancora parlando.
«Devi sentirti desolata per avermi tenuto all'oscuro di tutto quando avrei
potuto aiutarti. Elena, perché non me l'hai detto?»
106
«Perché è tutta colpa mia. E ho fatto un sogno...». Cercò di descrivere
come lui le era apparso nel sogno, l'amarezza, l'accusa nei suoi occhi.
«Penso che morirei se tu mi guardassi davvero in quel modo», concluse
miseramente.
Ma l'espressione con cui Stefan la stava guardando adesso era un misto
di sollievo e di stupore. «Allora era questo», disse, quasi mormorando fra
sé e sé. «Era questo che ti tormentava».
Elena aprì la bocca, ma lui non aveva finito. «Sapevo che c'era qualcosa
che non andava. Sapevo che mi nascondevi qualcosa. Ma pensavo...».
Scosse la testa, e le labbra si aprirono in un sorriso obliquo. «Ora non ha
più importanza. Non volevo invadere la tua privacy. Non volevo neanche
fare domande. E per tutto il tempo tu ti sei preoccupata di proteggere me».
La lingua di Elena era bloccata contro il palato. Anche le parole
sembravano essersi bloccate. C'era qualcos'altro, pensò, ma non poteva
dirlo, non quando gli occhi di Stefan la guardavano in quel modo, non
quando aveva quella luce sul volto.
«Quando hai detto che oggi dovevamo parlare, pensavo che avessi
cambiato idea su di me», le disse semplicemente, senza
autocommiserazione. «E non ti avrei biasimata. E invece...». Scosse di
nuovo la testa. «Elena», disse, e poi Elena fu fra le sue braccia.
Era così bello trovarsi lì, così giusto. Non si era mai resa conto di quanto
le cose fossero andate avanti in modo sbagliato fra loro fino a quel
momento, in cui tutto si era chiarito. Era questo che lei ricordava, la
sensazione provata quella prima, splendida sera in cui Stefan l'aveva tenuta
fra le braccia. Tutta la dolcezza e la tenerezza del mondo si raccolsero in
mezzo a loro. Elena si sentì a casa, era quello il suo posto. E lo sarebbe
stato per sempre.
Tutto il resto fu dimenticato.
Come i primi giorni, Elena sentì che poteva quasi leggere i pensieri di
Stefan. C'era un legame fra loro, erano uno parte dell'altra. I loro cuori
battevano all'unisono.
Mancava solo una cosa perché tutto fosse perfetto. Elena lo sapeva, e
tirò indietro i capelli, scostandoli dal lato del collo. E questa volta Stefan
non protestò né la respinse. Invece di un rifiuto, le comunicò un senso di
profonda accettazione... e di profondo bisogno.
Sentimenti di amore, di piacere, di comprensione la travolsero, e con
gioia incredula si rese conto che erano gli stessi di Stefan. Per un attimo, si
riconobbe nei suoi occhi, e percepì quanto lui la amasse. Sarebbe stato
107
terribile se lei non lo avesse ricambiato con la stessa profondità.
Non provò dolore quando i suoi denti le penetrarono nel collo. E non le
venne in mente che, senza pensarci, gli aveva offerto il lato del collo non
segnato... anche se le ferite lasciate da Damon erano ormai guarite.
Lo tenne stretto quando lui tentò di sollevare la testa. Ma lui fu
irremovibile, e alla fine dovette lasciarlo andare. Tenendola ancora fra le
braccia, cercò a tastoni sul cassettone il magnifico pugnale con
l'impugnatura d'avorio, e con un solo rapido gesto fece sgorgare il proprio
sangue.
Quando Elena sentì cedere le ginocchia, Stefan la fece sedere sul letto. E
poi si tennero stretti, ignari del tempo che passava e di tutto il resto. Sentì
che esistevano solo lei e Stefan.
«Ti amo», le disse con dolcezza.
In un primo momento Elena, con la mente piacevolmente confusa, si
limitò ad accogliere quelle parole. Poi, con un brivido di tenerezza, si rese
conto di quel che le aveva detto.
La amava. L'aveva sempre saputo, ma lui non l'aveva mai detto prima di
allora.
«Ti amo, Stefan», gli sussurrò a sua volta. Rimase sorpresa quando lui si
mosse scostandosi leggermente da lei, finché capì cosa stava per fare.
Infilando la mano dentro il pullover, tirò fuori la catenina che portava al
collo fin da quando l'aveva conosciuto. Alla catena era appeso un anello
d'oro, finemente lavorato, tempestato di lapislazzuli.
L'anello di Katherine. Davanti agli occhi di Elena, si tolse la catenina e
aprì il fermaglio, sfilando la delicata fascetta d'oro.
«Quando Katherine morì», disse, «ho pensato che non avrei mai potuto
amare un'altra donna. Anche se sapevo che lei lo avrebbe desiderato per
me, ero certo che non sarebbe mai potuto accadere. Ma mi sbagliavo».
Esitò un momento, poi riprese a parlare.
«Ho tenuto l'anello perché era un simbolo di Katherine. Così avrei
potuto conservarla nel mio cuore. Ma ora vorrei che fosse simbolo di
qualcos'altro». Esitò ancora, quasi timoroso di incontrare il suo sguardo.
«Considerando come stanno le cose, non ho alcun diritto di chiedertelo.
Ma, Elena...». Per qualche istante cercò di finire il discorso, ma poi
rinunciò, cercando silenziosamente i suoi occhi.
Elena non riusciva a parlare. Quasi a respirare. Ma Stefan interpretò
male il suo silenzio. La speranza nei suoi occhi si spense, e distolse lo
sguardo.
108
«Hai ragione», le disse. «È assolutamente impossibile. Ci sono troppe
difficoltà... a causa mia. Per ciò che sono. Nessuna come te dovrebbe
legarsi a uno come me. Non avrei dovuto neanche proporti...».
«Stefan!», intervenne Elena. «Stefan, se stai zitto un momento...».
«...quindi dimentica quel che ti ho detto...».
«Stefan!», ripeté. «Stefan, guardami».
Lentamente, obbedì, girandosi verso di lei. La guardò negli occhi, e
quell'aria di severa autocondanna svanì dal suo viso, per lasciare il posto a
uno sguardo che fece mancare il respiro a Elena. Poi, sempre misurando
ogni gesto, prese la mano che lei gli stava porgendo. Mentre si guardavano
negli occhi, le infilò l'anello al dito.
Era della sua misura, come se fosse stato creato per lei. L'oro proiettò
bagliori vivaci nella luce e la pietra brillò di un blu intenso, come un lago
limpido circondato da neve intatta.
«Dobbiamo tenerlo nascosto per un po'», disse, avvertendo il tremito
nella sua voce. «A zia Judith prenderà un colpo se scopre che mi sono
fidanzata prima di diplomarmi. Ma la prossima estate compirò diciotto
anni, e non potrà fermarci».
«Elena, sei sicura che è questo che desideri? Non sarà facile vivere
insieme a me. Sarò sempre diverso da te, per quanto possa sforzarmi. Se
mai vorrai cambiare idea...».
«Finché mi amerai, non cambierò mai idea».
La prese di nuovo fra le braccia, e lei si sentì avvolgere da un senso di
pace e di appagamento. Ma c'era ancora un timore che le rodeva come un
tarlo nella testa.
«Stefan, riguardo a domani... se Caroline e Tyler mettono in pratica il
loro piano, non avrà importanza che io cambi idea o meno».
«Allora dovremo solo assicurarci che non lo mettano in pratica. Se
Bonnie e Meredith mi daranno una mano, penso di poter trovare un modo
per riprendere il diario da Caroline. Ma anche se non ci riesco, non
scapperò. Non ti lascerò, Elena; intendo restare e lottare».
«Ma ti faranno del male, Stefan. Non posso sopportarlo».
«E io non posso lasciarti. Siamo d'accordo. Lascia che mi preoccupi io
del resto; troverò il modo. E se non... be', costi quel che costi, resterò con
te. Staremo insieme».
«Staremo insieme», ripeté Elena, e appoggiò la testa sulla sua spalla,
felice di smettere di pensare per un po' e di poter semplicemente esistere.
109
29 novembre, venerdì
Caro diario,
è tardi ma non riesco a dormire. Sembra che non abbia più bisogno di dormire
tanto come prima.
Ci siamo, domani è il gran giorno.
Questa sera abbiamo parlato con Bonnie e Meredith. Il piano di Stefan è
semplicissimo. Il punto è che non importa dove Caroline abbia potuto nascondere il
diario, domani lo dovrà tirare fuori per portarlo con sé. Ma le nostre letture sono
l'ultimo punto del programma, e lei prima dovrà partecipare alla sfilata e a tutto il
resto. Nel frattempo, dovrà sistemare il diario da qualche parte. Quindi, se noi non la
perdiamo d'occhio dal momento in cui esce di casa fino a quando salirà sul palco,
dovremmo riuscire a vedere dove lo nasconderà. E dal momento che lei non
immagina neanche che noi abbiamo dei sospetti, non starà in guardia.
Ed è a quel punto che lo recupereremo.
Il motivo per cui il piano avrà successo è che tutti quelli che parteciperanno al
programma indosseranno abiti d'epoca. La signora Grimesby, la bibliotecaria, ci
aiuterà a mettere i nostri vestiti del XIX secolo prima della sfilata, e nessuno potrà
indossare o portare con sé niente che non sia parte del costume. Né borse, né zaini, né
diari! Caroline dovrà lasciarlo prima o poi.
La sorveglieremo a turno. Bonnie aspetterà fuori casa di Caroline per vedere cosa
si porterà quando uscirà. Io la terrò d'occhio durante la vestizione a casa della signora
Grimesby. Poi, durante la sfilata, Stefan e Meredith entreranno nella casa – o nella
macchina dei Forbes, se è lì il posto in cui ha lasciato il diario – e completeranno
l'opera.
Non vedo come possa fallire. E non so dirti quanto mi senta meglio. È così bello
poter condividere questo problema con Stefan. Ho imparato la lezione: non gli
nasconderò più niente.
Domani indosserò l'anello. Se la signora Grimesby mi chiederà qualcosa, le dirò
che è addirittura più antico del XIX secolo, che risale al Rinascimento italiano. Non
vedo l'ora di vedere la sua faccia quando glielo dirò.
Ora è meglio che cerco di dormire un po'. Spero di non sognare.
14
Bonnie tremava dal freddo, in attesa fuori dell'alto edificio vittoriano.
Quella mattina l'aria era gelida, e sebbene fossero già le otto il sole tardava
ancora a farsi vedere. Il cielo era un unico, fitto banco di nubi bianche e
grigie, che lasciavano filtrare una strana luce crepuscolare.
Stava battendo i piedi e sfregandosi le mani per scaldarsi, quando il
portone dei Forbes si aprì. Bonnie indietreggiò di poco dietro i cespugli
che aveva scelto come rifugio, e rimase a osservare la famiglia che si
dirigeva verso la macchina. Il signor Forbes aveva con sé solo una
110
macchina fotografica. La signora Forbes una borsetta e una sedia
pieghevole. Daniel Forbes, il fratello minore di Caroline, portava un'altra
sedia. E Caroline...
Bonnie si sporse in avanti, il respiro le uscì in un sibilo di soddisfazione.
Caroline indossava un paio di jeans e un pullover pesante, e aveva in mano
una specie di sacca bianca chiusa con un cordoncino. Non molto grande,
ma quanto bastava per contenere un piccolo diario.
Esultante per la riuscita dell'impresa, Bonnie aspettò dietro il cespuglio
che la macchina si allontanasse. Poi si diresse verso l'angolo fra Thrush
Street e Hawthorne Drive.
«Qui, zia Judith. All'angolo».
La macchina rallentò fino a fermarsi, e Bonnie scivolò sul sedile
posteriore accanto a Elena.
«Ha con sé una sacca bianca chiusa con un cordoncino», bisbigliò
nell'orecchio di Elena appena zia Judith ripartì.
Un fremito di eccitazione attraversò Elena, che strinse la mano di
Bonnie. «Bene», sussurrò. «Ora vediamo se la porta in casa della signora
Grimesby. Altrimenti, di' a Meredith che deve essere nella macchina».
Bonnie fece un cenno di assenso e ricambiò la stretta di Elena.
Arrivarono a casa della signora Grimesby appena in tempo per vedere
Caroline entrare con una sacca bianca appesa al braccio. Bonnie ed Elena
si scambiarono un'occhiata. Ora toccava a Elena vedere dove Caroline
l'avrebbe posata all'interno della casa.
«Scendo anch'io qui, signorina Gilbert», disse Bonnie quando Elena
saltò giù dalla macchina. Avrebbe atteso fuori insieme a Meredith finché
Elena fosse stata in grado di dire loro dove era la borsa. L'importante era
non permettere che Caroline sospettasse qualcosa.
La signora Grimesby, che aprì la porta a Elena, era la bibliotecaria di
Fell's Church. Anche la sua casa sembrava una biblioteca: c'erano scaffali
ovunque e libri accatastati sul pavimento. Era anche la custode dei
manufatti storici di Fell's Church, inclusi gli abiti che erano stati conservati
sin dalla nascita della città.
In quel preciso momento la casa risuonava di voci giovanili, e le camere
da letto erano piene di studenti impegnati a spogliarsi dei propri vestiti. La
signora Grimesby vigilava sempre sui costumi per lo spettacolo
rievocativo. Elena stava per chiedere di essere messa nella stanza insieme
a Caroline, ma non fu necessario. La signora Grimesby la stava già
111
accompagnando dentro la camera.
Caroline, nella sua elegante biancheria, rivolse a Elena quel che voleva
indubbiamente essere uno sguardo noncurante, ma Elena colse la velenosa
esultanza che nascondeva. Tenne gli occhi abbassati sulla pila di indumenti
che la signora Grimesby stava raccogliendo dal letto.
«Ecco, Elena. Uno dei nostri capi meglio conservati... e tutto autentico,
persino i nastri. Pensiamo che questo abito sia appartenuto a Honoria
Fell».
«È meraviglioso», disse Elena, mentre la signora Grimesby distendeva
le pieghe della leggera stoffa bianca. «Che tessuto è?»
«Mussola della Moravia e garza di seta. Visto che oggi fa piuttosto
freddo, puoi indossarci sopra questa giacca di velluto». La bibliotecaria
indicò un capo color rosa polvere appeso allo schienale di una sedia.
Quando cominciò a cambiarsi d'abito, Elena lanciò un'occhiata furtiva a
Caroline. Sì, la sacca c'era, ai piedi di Caroline. Considerò se poteva
afferrarla, ma la signora Grimesby era già rientrata nella camera.
L'abito in mussola era molto semplice, la stoffa vaporosa era fermata
sotto il seno da un nastro di un rosa pallido. Le maniche leggermente a
sbuffo arrivavano al gomito ed erano fermate con un nastro dello stesso
colore. Le linee dei modelli agli inizi del XIX secolo erano abbastanza
morbide da adattarsi a una ragazza del XX secolo – almeno se era snella.
Elena sorrise quando la signora Grimesby la portò davanti allo specchio.
«Davvero è appartenuto a Honoria Fell?», chiese, pensando alla figura
marmorea della dama distesa sulla tomba nella chiesa diroccata.
«Così si dice, comunque», rispose la signora Grimesby. «Lei parla di un
abito come questo nel suo diario, quindi possiamo esserne sicuri».
«Teneva un diario?». Elena trasalì.
«Oh, sì. Lo conservo in una scatola nel soggiorno; te lo mostrerò mentre
usciamo. Ora, per la giacca... oh, che cos'è?».
Qualcosa di viola fluttuò sul pavimento quando Elena prese in mano la
giacca.
L'espressione sul suo viso si irrigidì. Afferrò il biglietto prima che la
signora Grimesby avesse il tempo di chinarsi, e lo lesse di sfuggita.
Una sola riga. Si ricordò di averla scritta sul suo diario il 4 settembre, il
primo giorno di scuola. Solo che dopo averla scritta l'aveva cancellata con
un tratto di penna. Le parole sul foglio non erano cancellate, erano chiare e
marcate.
112
Oggi succederà qualcosa di terribile.
Elena riuscì a stento a trattenersi dal saltare addosso a Caroline
agitandole il foglio davanti alla faccia. Ma così avrebbe rovinato tutto. Si
costrinse a mantenere la calma, mentre accartocciava il pezzetto di carta e
lo gettava nel cestino.
«È solo cartaccia», disse, e tornò a guardare la signora Grimesby,
irrigidendo le spalle. Caroline non disse niente, ma Elena sentì i suoi occhi
verdi esultanti che si posavano su di lei.
Ti faccio vedere io, pensò. Appena riavrò il diario. Lo brucerò, e poi io e
te faremo quattro chiacchiere.
Rivolta alla signora Grimesby, disse: «Sono pronta».
«Anche io», disse Caroline in tono falsamente modesto. Elena adottò
uno sguardo di fredda indifferenza quando passò in rassegna l'altra
ragazza. L'abito verde pallido di Caroline con lunghe fasce verdi e bianche
non era affatto grazioso quanto il suo.
«Splendido. Voi ragazze andate avanti e aspettate che vi vengano a
prendere. Oh, Caroline, non dimenticare la tua borsetta a rete».
«No, certo», disse Caroline, sorridendo, e allungò la mano verso la sacca
ai suoi piedi.
Fu una fortuna che da quella posizione non poté vedere il viso di Elena,
perché in quell'istante l'espressione di fredda indifferenza si infranse in
mille pezzi. Elena restò a fissare, come stordita, Caroline che legava la
borsa alla cintura.
Il suo stupore non sfuggì alla signora Grimesby. «Quella è una borsetta a
rete, l'antenata delle nostre borse moderne», le spiegò gentilmente
l'anziana signora. «Le dame usavano riporvi i guanti e il ventaglio.
Caroline è passata a prenderla all'inizio della settimana così ha potuto
riparare le guarnizioni di perline... davvero carino da parte sua».
«Davvero carino», riuscì a dire Elena con voce strozzata. Doveva uscire
di lì o qualcosa di terribile sarebbe successo in quel preciso istante. Stava
per gridare – o stendere a terra Caroline – o esplodere. «Ho bisogno di un
po' d'aria fresca», disse. Fuggì da quella stanza e da quella casa,
precipitandosi fuori.
Bonnie e Meredith la aspettavano nella macchina di Meredith. Il cuore
di Elena batteva in modo strano quando raggiunse le amiche e infilò la
testa nel finestrino.
«È stata più furba di noi», disse semplicemente. «Quella borsa fa parte
113
del costume, e la indosserà per tutto il giorno».
Bonnie e Meredith la fissarono con gli occhi sgranati, poi si
scambiarono lo stesso sguardo attonito.
«Ma... allora, cosa facciamo?», domandò Bonnie.
«Non lo so». Con doloroso sgomento, alla fine ne prese coscienza. «Non
lo so!».
«Possiamo continuare a tenerla d'occhio. Magari si toglierà la borsa a
pranzo o qualcosa del genere...». Ma il tono di Meredith non sembrò
convincente. Conoscevano tutte la verità, pensò Elena, e la verità era che
non c'era speranza. Avevano perso.
Bonnie guardò nello specchietto retrovisore, poi si girò sul sedile. «È la
tua carrozza».
Elena si volse. Due cavalli bianchi tiravano lungo la strada un calesse
abilmente restaurato. Carta crespa era infilata fra i raggi delle ruote, alcune
felci decoravano i sedili, e un grande striscione sulla fiancata proclamava:
«Lo Spirito di Fell's Church».
Elena ebbe solo il tempo di lanciare un ultimo disperato messaggio.
«Tenetela d'occhio», disse. «E se mai ci sarà un momento in cui è sola...».
Poi dovette andare.
Ma nel corso di quella lunga, terribile mattinata, non ci fu mai un
momento in cui Caroline rimase da sola. Era circondata da una folla di
spettatori.
Per Elena, la sfilata fu un'autentica tortura. Seduta nel calesse accanto al
sindaco e a sua moglie, cercava di sorridere, di sembrare normale. Ma il
sordo terrore che provava era come un peso che le schiacciava il petto.
Da qualche parte davanti a lei, fra le bande in marcia e le squadre di
majorette e le decapottabili, c'era Caroline. Elena si era dimenticata di
informarsi su quale fosse il suo carro. Forse il primo carro della scuola;
sarebbe stato pieno di bambini in costume.
Non aveva importanza. Dovunque fosse stata Caroline, avrebbe avuto
addosso gli occhi di mezza città.
Il pranzo che fece seguito alla sfilata si svolse nella mensa della scuola
superiore. Elena era bloccata a un tavolo con il sindaco Dawley e sua
moglie. Caroline era a un tavolo vicino; Elena riusciva a vedere la sua
lucida chioma castano dorato. E seduto accanto a lei, spesso incombente su
di lei in modo possessivo, c'era Tyler Smallwood.
Elena si trovò nella posizione ideale per seguire il piccolo dramma che si
svolse a circa metà del pranzo. Il cuore le balzò in gola quando vide
114
Stefan, con fare disinvolto, passare accanto al tavolo di Caroline.
Si era rivolto a Caroline. Elena continuò a guardare, dimenticandosi
persino di giocherellare con il cibo ancora intatto davanti a lei. Ma quel
che vide dopo fece crollare ogni speranza. Caroline aveva scosso i capelli e
risposto brevemente qualcosa a Stefan, poi si era rivolta di nuovo verso il
piatto. E Tyler si era alzato minacciosamente in piedi, il viso arrossato
mentre faceva un gesto rabbioso. Non si mise seduto finché Stefan non si
fu allontanato.
Stefan guardò in direzione di Elena, e per un attimo i loro occhi
s'incontrarono in un'intimità senza parole.
Quindi non aveva potuto fare nulla. Anche se aveva recuperato i suoi
Poteri, Tyler l'avrebbe tenuto lontano da Caroline. Ormai il peso che le
opprimeva il petto le impediva quasi di respirare.
Dopo quell'episodio, rimase seduta in una nebbia di sconforto e di
disperazione, finché qualcuno si avvicinò per dirle che era ora di andare
dietro le quinte.
Ascoltò senza alcun interesse il discorso di benvenuto del sindaco
Dawley. Parlò del periodo che aveva messo a dura prova Fell's Church di
recente, e dello spirito della comunità che li aveva sostenuti negli ultimi
mesi. Poi furono consegnate le borse di studio, i premi per meriti sportivi e
per i servizi prestati alla comunità. Matt salì sul palco per ricevere il
premio come Miglior Atleta Maschile dell'Anno, ed Elena lo vide guardare
verso di lei con curiosità.
Poi fu la volta dello spettacolo rievocativo. I bambini della scuola
elementare ridacchiarono, s'impappinarono e si dimenticarono le battute
mentre rappresentavano le scene della fondazione di Fell's Church durante
la guerra civile. Elena guardò lo spettacolo senza seguirlo. Dalla sera
prima si era sentita lievemente stordita e turbata, e ora si sentiva come se
stesse covando un'influenza. Il suo cervello, di solito pieno di schemi e di
calcoli, era vuoto. Non riusciva più a pensare. Quasi non riusciva più a
preoccuparsi.
Lo spettacolo si concluse fra lampi di flash e scrosciare di applausi.
Quando l'ultimo soldatino confederato fu sceso dal palco, il sindaco
Dawley chiese di fare silenzio.
«E ora», disse, «gli studenti che si esibiranno nelle cerimonie di
chiusura. Vi prego di mostrare il vostro apprezzamento per lo Spirito
dell'Indipendenza, lo Spirito della Lealtà e lo Spirito di Fell's Church!».
L'applauso fu ancora più assordante. Elena era in piedi accanto a John
115
Clifford, il brillante studente dell'ultimo anno che era stato scelto per
rappresentare lo Spirito dell'Indipendenza. A fianco di John, dall'altra
parte, c'era Caroline. In modo distaccato, quasi apatico, Elena notò che
Caroline aveva un aspetto magnifico: il mento sollevato, gli occhi
splendenti, le guance leggermente arrossate.
Toccò per primo a John, che sistemò gli occhiali e il microfono prima di
leggere da un voluminoso libro marrone posto sul leggio. Ufficialmente,
gli studenti dell'ultimo anno erano liberi di scegliere i brani da leggere; in
pratica, proponevano quasi sempre componimenti di M. C. Marsh, l'unico
poeta nato a Fell's Church.
Per tutto il tempo che John proseguì nella lettura, Caroline non fece altro
che metterlo in ombra. Sorrideva al pubblico; scuoteva i capelli; soppesava
la borsetta di rete appesa alla cintura. Le sue dita accarezzarono
amorevolmente la sacca, ed Elena si ritrovò a fissarla, come ipnotizzata,
imprimendosi nella memoria ogni perlina.
John fece un inchino e riprese il suo posto accanto a Elena. Caroline
raddrizzò le spalle e avanzò verso il leggio con andatura da top model.
Questa volta all'applauso si mescolarono i fischi. Ma Caroline non
sorrise; aveva assunto un'aria di tragica responsabilità. Con squisito
tempismo, attese che nella sala calasse un silenzio perfetto prima di
iniziare a parlare.
«Avevo pensato di leggervi una poesia di M. C. Marsh, oggi», esordì,
nel silenzio pieno di aspettative, «ma non lo farò. Perché leggere questo –
sollevò il volume di poesie del XIX secolo – quando c'è qualcosa di molto
più... rilevante... in un libro che ho trovato per caso?».
Che hai rubato per caso, vorrai dire, pensò Elena. Con gli occhi, cercò
fra i volti nella folla, e individuò Stefan. Era in piedi verso il fondo della
sala, con Bonnie e Meredith ai due lati, come per proteggerlo. Poi Elena
notò qualcos'altro. Tyler, insieme a Dick e altri ragazzi, era fermo solo
pochi metri dietro di lui. Quei ragazzi avevano giù superato l'età delle
scuole superiori, e sembravano tipi duri, ed erano in cinque.
Vai, pensò Elena, cercando di nuovo gli occhi di Stefan. Voleva che lui
capisse cosa gli stava dicendo. Vai, Stefan; ti prego, esci prima che accada.
Vai adesso.
Lievemente, quasi in modo impercettibile, Stefan scosse la testa.
Caroline infilò le dita dentro la borsa, come se non potesse aspettare
oltre. «Quello che vi leggerò riguarda la Fell's Church di oggi, non di cento
o duecento anni fa», stava dicendo, infervorandosi in una sorta di febbrile
116
esultanza. «È importante adesso, perché riguarda qualcuno che vive in
questa città, in mezzo a noi. Infatti si trova qui in questa sala».
Tyler doveva aver scritto quel discorso per lei, concluse Elena. Il mese
precedente, nella palestra, aveva dimostrato di avere quasi un dono per
quel genere di cose. Oh, Stefan, Stefan, ho paura... Quando Caroline
affondò la mano nella borsetta, Elena non riuscì più a pensare
razionalmente.
«Credo che capirete cosa intendo dire quando ascolterete questo», disse
Caroline, e con un gesto rapido tirò fuori dalla borsetta un libro con la
copertina di velluto e lo tenne sollevato con fare drammatico. «Credo che
chiarirà molti degli eventi accaduti di recente a Fell's Church». Con il
respiro leggermente affrettato, spostò lo sguardo dal pubblico ammaliato al
libro che teneva in mano.
Elena aveva quasi perso conoscenza quando Caroline si accinse ad
aprire il diario. Scintille luminose si affollarono ai margini del suo campo
visivo. Il senso di vertigine aumentò precipitosamente, ormai sul punto di
sopraffarla, quando Elena notò qualcosa. Dovevano essere i suoi occhi. Le
luci del palco e i lampi dei flash li avevano abbagliati. Di certo sarebbe
svenuta da un momento all'altro; non doveva meravigliarsi se non riusciva
a vedere bene.
Il libro nelle mani di Caroline era verde, non blu.
Forse sto diventando pazza... o questo è un sogno... o forse è l'inganno
delle luci. Ma guarda la faccia di Caroline!
Caroline, con la bocca contratta, stava fissando il libro con la copertina
di velluto. Sembrava essersi dimenticata completamente del pubblico.
Continuava a girare e rigirare il diario, esaminandolo da ogni lato. I suoi
gesti si fecero convulsi. Ficcò una mano nella borsa a rete, come se
sperasse in qualche modo di trovarvi qualcos'altro. Poi lanciò uno sguardo
disperato sul palco intorno a sé, come se stesse cercando qualcosa caduto
sul pavimento.
Il pubblico mormorava, sempre più impaziente. Il sindaco Dawley e il
preside della scuola superiore espressero l'un l'altro la propria
disapprovazione a labbra strette.
Non avendo trovato niente sul pavimento, Caroline stava fissando di
nuovo il libricino. Ma ora lo guardava come se fosse uno scorpione. Con
un gesto improvviso, lo aprì e guardò all'interno, come se la sua ultima
speranza fosse quella di vedere la copertina cambiata e che le parole scritte
fossero quelle di Elena.
117
Poi sollevò lentamente lo sguardo dal libro, e lo direzionò sulla sala
gremita.
Era sceso di nuovo il silenzio, e sembrò dilatarsi all'infinito, mentre ogni
sguardo rimaneva fisso sulla ragazza con il vestito verde pallido. Poi, con
un suono inarticolato, Caroline si girò di scatto e lasciò il palco facendo
risuonare un rumore di tacchi. Tirò qualcosa contro Elena, mentre le
passava accanto, il viso ridotto a una maschera di odio e di rabbia.
Delicatamente, con la sensazione di galleggiare nell'aria, Elena si piegò
a raccogliere l'oggetto con cui Caroline aveva tentato di colpirla.
Il diario di Caroline.
La scena si movimentò intorno a Elena, mentre alcune persone
correvano dietro a Caroline, e il pubblico esplodeva in commenti,
supposizioni, discussioni. Elena trovò Stefan. Aveva l'aria di chi sta per
cedere all'esultanza. Ma anche lui sembrava sconcertato quanto lei. Lo
stesso valeva per Bonnie e Meredith. Quando lo sguardo di Stefan incrociò
il suo, Elena provò un impeto di gioia e di gratitudine, ma l'emozione
prevalente era di sgomento.
Era stato un miracolo. Al di là di ogni speranza, erano stati liberati.
Erano salvi.
Ma poi i suoi occhi individuarono un'altra testa scura in mezzo alla folla.
Damon era appoggiato... no, abbandonato pigramente... contro la parete
nord della sala. Le labbra erano incurvate in un mezzo sorriso, e il suo
sguardo sfrontato incontrò quello di Elena.
Il sindaco Dawley era accanto a lei e la esortava a raggiungere il fronte
del palco, per cercare di calmare la folla e di ripristinare l'ordine. Non servì
a nulla. Elena lesse i suoi brani con voce assente a un gruppo di persone
che continuarono a chiacchierare senza prestarle la minima attenzione.
Anche lei non stava prestando la minima attenzione a quello che faceva;
non aveva alcuna percezione delle parole che stava leggendo. Ogni tanto
guardava in direzione di Damon.
Alla fine, ci fu un applauso, sporadico e distratto, e il sindaco annunciò
gli eventi che sarebbero seguiti nel pomeriggio. E poi tutto finì, ed Elena
fu libera di andare.
Fluttuò giù dal palco senza alcuna consapevolezza di dove stesse
andando, ma le gambe la portavano verso la parete nord. La testa scura di
Damon scomparve fuori della porta laterale e lei la seguì.
L'aria nel cortile sembrò piacevolmente fresca dopo essere stata in quella
sala affollata, e il cielo era un turbine di nuvole argentee. Damon la stava
118
aspettando.
Rallentò il passo ma non si fermò. Avanzò fino a trovarsi a pochi
centimetri da lui, scrutando l'espressione sul suo volto.
Ci fu un lungo momento di silenzio, poi Elena disse: «Perché?»
«Pensavo fossi più interessata a sapere come». Si diede un colpetto sulla
giacca in modo eloquente. «Questa mattina sono stato invitato a prendere
un caffè dopo aver fatto conoscenza la scorsa settimana».
«Ma perché?».
Si strinse nelle spalle, e per un solo istante qualcosa di simile alla
costernazione sfiorò i suoi lineamenti finemente disegnati. Elena ebbe
l'impressione che neanche lui sapesse il perché, o non volesse ammetterlo.
«Per scopi personali», disse.
«Non credo». Qualcosa stava prendendo forma fra loro, qualcosa che
terrorizzava Elena per la sua forza. «Non credo affatto che sia questa la
ragione».
Una luce pericolosa balenò negli occhi scuri.
«Non mi provocare, Elena».
La ragazza si mosse in avanti, arrivando quasi a toccarlo, e lo guardò.
«Credo», disse, «che forse hai bisogno di essere provocato».
Il viso di Damon era solo a pochi centimetri dal suo, ed Elena non seppe
mai cosa sarebbe potuto accadere se in quel momento una voce non li
avesse interrotti.
«Ci sei riuscito, alla fine! Sono così felice!».
Era zia Judith. Elena sentì come se qualcuno la strappasse a un mondo
per gettarla in un altro. Batté le palpebre, stordita, e mentre indietreggiava,
liberò un respiro che non si era accorta di trattenere.
«E così sei venuto ad ascoltare Elena leggere», continuò allegramente
zia Judith. «Hai fatto uno splendido lavoro, Elena, ma non so cosa sia
successo a Caroline. Ultimamente le ragazze di questa città sembrano tutte
vittime di un sortilegio».
«I nervi», suggerì Damon, con espressione solenne. Elena ebbe voglia di
ridacchiare, ma poi provò un'ondata di irritazione. Era più che giusto
essergli grata per averli salvati, ma senza Damon non ci sarebbe stato
alcun problema. Lui aveva commesso quei crimini che Caroline voleva
attribuire a Stefan.
«E dov'è Stefan?», disse, dando voce al suo pensiero. Aveva visto
Bonnie e Meredith nel cortile, da sole.
Il viso di zia Judith mostrò il suo disappunto. «Non l'ho visto», rispose
119
bruscamente. Poi sorrise amorevolmente. «Ma ho un'idea; perché non
vieni a cena con noi, Damon? E dopo tu ed Elena potreste...».
«Fermati!», Elena gridò a Damon. Lui assunse un'espressione
garbatamente interrogativa.
«Cosa?», disse zia Judith.
«Fermati!», Elena ripeté a Damon. «Tu sai perché. Fermati
immediatamente!».
15
«Elena, non essere scortese!». Zia Judith si arrabbiava in rare occasioni,
ma ora era una di quelle. «Sei troppo grande per comportarti in questo
modo».
«Non è scortesia! Tu non capisci...».
«Capisco perfettamente. Ti stai comportando come quella volta che
Damon è venuto a cena. Non pensi che un ospite meriti un po' più di
considerazione?».
Elena fu pervasa da un senso di frustrazione. «Non sai neanche di cosa
stai parlando», disse. Era davvero troppo. Sentire le parole di Damon
uscire dalla bocca di zia Judith... era insopportabile.
«Elena!». Chiazze rosse cominciavano a delinearsi sulle guance della
zia. «Mi vergogno di te! E devo dire che questo comportamento infantile è
venuto fuori da quando esci con quel ragazzo».
«Oh, "quel ragazzo"». Elena guardò Damon con astio.
«Sì, quel ragazzo!», ripeté zia Judith. «Da quando hai perso la testa per
lui sei una persona diversa. Irresponsabile, reticente... e insolente! Ha
avuto una cattiva influenza su di te sin dall'inizio, e io non sono disposta a
tollerarlo ulteriormente!».
«Oh, davvero?». Elena aveva la sensazione di rivolgersi allo stesso
tempo a Damon e alla zia, e faceva correre lo sguardo dall'uno all'altra.
Tutte le emozioni che aveva represso negli ultimi giorni – nelle ultime
settimane, negli ultimi mesi, da quando Stefan era entrato nella sua vita –
stavano affiorando. Era come un'onda che saliva dentro di lei, e sulla quale
non aveva alcun controllo.
Si accorse che stava tremando. «Bene, è davvero un peccato perché lo
dovrai tollerare a lungo. Non ho alcuna intenzione di lasciare Stefan, per
nessuno. E di certo non per lui!». Si riferiva a Damon, ma zia Judith restò
senza fiato.
120
«Adesso basta!», s'intromise Robert. Era comparso insieme a Margaret,
scuro in viso. «Signorina, se questo è il modo in cui quel ragazzo ti
incoraggia a rivolgerti a tua zia...».
«Lui non è "quel ragazzo"!». Elena fece un altro passo indietro, così da
poterli vedere tutti in faccia. Stava dando spettacolo, tutti nel cortile la
stavano guardando. Ma non gliene importava. Aveva tenuto a freno i suoi
sentimenti per così tanto tempo, confinando tutta l'angoscia e la paura e la
rabbia dove nessuno potesse vederle. Tutta l'ansia per Stefan, tutto il
terrore a causa di Damon, tutta la vergogna e l'umiliazione che aveva
sofferto a scuola, li aveva sepolti nel profondo. Ma ora stavano
riemergendo. Tutto, e tutto in una volta, come un ciclone di inaudita
violenza. Il cuore le batteva all'impazzata; le ronzavano le orecchie.
Sentiva che niente aveva importanza tranne ferire le persone che aveva di
fronte a lei, fargliela pagare.
«Lui non è "quel ragazzo"», ripete, la voce gelida. «Si chiama Stefan ed
è tutto ciò che mi sta a cuore. E guarda caso sono fidanzata con lui».
«Oh, non essere ridicola!», tuonò Robert. Fu l'ultima goccia.
«È ridicolo questo?». Sollevò la mano, mettendogli l'anello davanti agli
occhi. «Noi ci sposeremo!».
«Voi non vi sposerete», cominciò Robert. Tutti erano infuriati. Damon le
afferrò la mano e fissò intensamente l'anello, poi si girò di scatto e si
allontanò a lunghi passi, ogni falcata rivelava una ferocia a stento
trattenuta. Robert continuava a farfugliare qualcosa in preda
all'esasperazione. Zia Judith ribolliva di rabbia.
«Elena, ti proibisco in modo assoluto...».
«Tu non sei mia madre!», urlò Elena. Non riuscì più a trattenere le
lacrime. Aveva bisogno di andare via, di stare da sola, di stare con
qualcuno che la amava. «Se Stefan chiede di me, ditegli che sono al
pensionato!», aggiunse, e si fece strada in mezzo alla folla.
Si era quasi aspettata che Bonnie e Meredith l'avrebbero seguita, ma fu
contenta che non lo fecero. Il parcheggio era pieno di macchine, ma non
c'era quasi nessuno. La maggior parte delle famiglie si sarebbe trattenuta
per le attività pomeridiane. Ma lì vicino c'era una scassata Ford Sedan, e
una figura familiare stava aprendo la portiera.
«Matt! Stai andando via?». Decise sul momento. Faceva troppo freddo
per fare tutta la strada a piedi fino al pensionato.
«Eh? No, devo aiutare l'allenatore Lyman a smontare i tavoli. Stavo solo
mettendo via questa». Lanciò la targhetta di Migliore Atleta sul sedile
121
davanti. «Ehi, va tutto bene?». Sgranò gli occhi quando vide l'espressione
sul viso di Elena.
«Sì... no. Andrà bene se me ne vado di qui. Senti, posso prendere la tua
macchina? Solo per pochi minuti?»
«Be'... certo, ma... voglio dire, perché non lasci che guidi io? Vado a
dirlo all'allenatore Lyman».
«No! Voglio stare da sola... Oh, ti prego, non farmi domande». Quasi
strappò le chiavi dalla mano del ragazzo. «Te la riporterò presto, prometto.
O lo farà Stefan. Se vedi Stefan, digli che sono al pensionato. E grazie».
Sbatté la portiera nonostante le sue proteste e mandò il motore su di giri,
partendo con una sgommata perché non era abituata alla leva del cambio
manuale. Lo lasciò lì su due piedi, a guardarla andare via.
Guidò senza realmente vedere o sentire nulla di quel che la circondava,
piangendo, ingabbiata nel vortice delle sue emozioni. Lei e Stefan
sarebbero fuggiti... si sarebbero sposati in segreto... avrebbero mostrato a
tutti di cosa erano capaci. Non avrebbe mai più messo piede a Fell's
Church.
E così zia Judith si sarebbe pentita. E Robert avrebbe capito l'errore che
aveva commesso. Ma Elena non li avrebbe mai perdonati. Mai.
E quanto a sé, non aveva bisogno di nessuno. Di certo non aveva
bisogno del vecchio, insulso Robert E. Lee, dove un giorno eri
megapopolare e il giorno dopo un'emarginata dalla società solo perché
amavi la persona sbagliata. Non aveva bisogno di familiari, né di amici,
né...
Rallentando per svoltare sul tortuoso viale d'accesso del pensionato,
Elena sentì che il vortice dei pensieri si stava placando.
Be'... non ce l'aveva con tutti i suoi amici. Bonnie e Meredith non le
avevano fatto niente di male. Né Matt. Matt era a posto. Infatti, se avesse
avuto bisogno di lui e non della macchina le avrebbe dato subito una
mano.
Suo malgrado, Elena sentì una risatina strozzata salirle in gola. Povero
Matt. La gente gli chiedeva sempre in prestito quel vecchio catorcio di
macchina. Doveva pensare che lei e Stefan fossero fuori di testa.
La risatina soffocata diede libero corso ad altre lacrime, ed Elena rimase
lì seduta ad asciugarle, scuotendo la testa. Oh, Dio, come mai le cose erano
andate a finire così? Che giornata. Avrebbe dovuto festeggiare la vittoria
su Caroline, e invece era lì da sola, in lacrime, nella macchina di Matt.
L'espressione sulla faccia di Caroline, però, era stata dannatamente
122
buffa. Il corpo di Elena fu scosso leggermente da un'altra risatina isterica.
Oh, lo sguardo che aveva. Qualcuno avrebbe dovuto filmarlo.
Alla fine si calmarono sia i singhiozzi che le risatine, ed Elena si sentì
sopraffare dalla stanchezza. Si appoggiò al volante cercando di non
pensare a nulla almeno per un po', e poi scese dalla macchina.
Avrebbe aspettato Stefan, e poi sarebbero andati insieme a sistemare lo
scompiglio che aveva combinato. Ce n'erano di cose da mettere a posto,
pensò stancamente. Povera zia Judith. Elena le aveva urlato contro davanti
a mezza città.
Perché si era lasciata andare in quel modo? Ma le sue emozioni erano
ancora pronte a esplodere, come si rese conto quando trovò la porta del
pensionato chiusa a chiave e nessuno che rispondeva al campanello.
Oh, magnifico, pensò, quasi sul punto di ricominciare a piangere. Anche
la signora Flowers era andata alla celebrazione del Founders' Day. E ora
Elena poteva scegliere fra aspettare seduta in macchina o lì fuori in quella
bufera di vento...
Era la prima volta che faceva caso al tempo, ma quando lo fece si guardò
intorno allarmata. La giornata era iniziata con un cielo nuvoloso e un
freddo rigido, ma ora una foschia si andava spandendo sul suolo, come se
trasudasse dai campi circostanti. Le nuvole non erano in movimento, ma
sembravano come ribollire. E il vento stava rinforzando.
Gemeva attraverso i rami delle querce, strappava le ultime foglie rimaste
e le lasciava cadere a terra. Il rumore continuò ad aumentare, non più un
gemito ma un ululato.
E poi c'era qualcos'altro. Qualcosa che non proveniva dal vento, ma
dall'aria stessa, o dallo spazio tutto intorno. Un senso di oppressione, di
minaccia, di forza inimmaginabile. Un potere che si concentrava, si
avvicinava, incombeva.
Elena si girò verso le querce.
Alcune formavano un boschetto dietro l'edificio e oltre, confondendosi
con il bosco. E al di là degli alberi c'erano il fiume e il cimitero.
Laggiù c'era... qualcosa. Qualcosa... di orribile.
«No», mormorò Elena. Non riusciva a vederlo, ma lo sentiva, come una
grande ombra che si sollevava per incombere su di lei, oscurando il cielo.
Sentiva il male, l'odio, la furia animale.
Sete di sangue. Stefan aveva usato queste parole, ma lei non le aveva
capite. Ora percepiva questa sete di sangue... concentrata su di lei.
«No!».
123
Sempre più in alto, la sovrastava. Non riusciva ancora a vedere nulla, ma
era come se grandi ali spiegate si allungassero a lambire l'intera linea
dell'orizzonte. Qualcosa con un Potere al di là di ogni comprensione... con
un desiderio di uccidere...
«No!». Corse verso la macchina proprio nel momento in cui si abbassava
per piombare su di lei. Le mani cercarono a tentoni la maniglia della
portiera, armeggiarono convulsamente con le chiavi. Il vento urlava,
strideva, sferzandole i capelli. Polvere di ghiaccio la investì sul viso, quasi
accecandola, ma alla fine la chiave girò ed Elena aprì di scatto la portiera.
Fuori, il vento ruggiva e mugghiava. La macchina cominciò a
ondeggiare.
«Basta, Damon! Smettila!». Il suo debole grido si perse nel frastuono del
vento. Posò le mani sul cruscotto come se volesse mantenere in equilibrio
la macchina, ma il rullio aumentò, sotto una tempesta di ghiaccio.
Poi Elena vide qualcosa. Lo specchietto retrovisore era appannato, ma
riuscì a distinguere una sagoma. Sembrava un grande volatile di nebbia e
di neve, ma i contorni erano confusi. L'unica cosa di cui fosse certa era che
aveva grandi ali spiegate... e che si stava scagliando contro di lei.
Infilò la chiave nel cruscotto. Dai! Vai adesso! La sua mente continuava
ad abbaiarle ordini. La vecchia Ford ansimò e quando partì le ruote
stridettero più forte del vento. Quella sagoma la seguì, ingrandendosi
sempre più nello specchietto retrovisore.
Raggiungi la città, raggiungi Stefan! Vai! Vai! Ma mentre la macchina
avanzava rumorosamente imboccando sulla sinistra Old Creek Road, con
le ruote immobilizzate dal ghiaccio, un fulmine squarciò il cielo.
Se la frenata non avesse fatto slittare la macchina, un albero si sarebbe
schiantato su di lei. Il violento impatto, comunque, scosse l'automobile
come un terremoto, mancando di pochi centimetri il paraurti anteriore
destro. L'albero era un groviglio di rami sferzati dal vento, il tronco
bloccava completamente la strada che portava in città.
Era in trappola. L'unica via verso casa era interrotta. Era sola, senza
possibilità di fuggire da questo terribile Potere...
Potere. Era questo il punto; era questa la chiave di tutto. «Più forti sono i
tuoi Poteri, più le leggi delle tenebre ti vincolano».
Acqua in movimento!
Lanciò la macchina a marcia indietro, fece inversione e ripartì
bruscamente. La sagoma bianca virò e scese in picchiata, mancandola di
poco come l'albero, ed Elena continuò a correre lungo Old Creek Road nel
124
pieno della tempesta.
Era ancora dietro di lei. Adesso, solo un pensiero continuava a
martellarle il cervello. Doveva attraversare un corso d'acqua, lasciarsi
questa cosa dietro le spalle.
I fulmini continuarono a crepitare nell'aria, ed Elena intravide altri alberi
cadere, ma riuscì a evitarli. Ormai non doveva essere lontana. Riusciva a
scorgere il fiume scintillare alla sua sinistra in mezzo alla violenta
tempesta di ghiaccio. Poi notò il ponte.
Era lì; ce l'aveva fatta! Una folata di vento coprì il parabrezza di
nevischio, ma dopo un colpo dei tergicristallo riuscì ad avere di nuovo una
breve visuale. Ecco, si dovrebbe girare qui.
La macchina sbandò e slittò sulla struttura di legno. Elena sentì le ruote
che facevano presa sulle assi sdrucciolevoli, poi le sentì bloccarsi. In preda
alla disperazione, cercò di assecondare la sbandata, ma non aveva visibilità
e non c'era spazio...
La macchina sfondò il parapetto, il legno marcito del ponte pedonale
cedette a un peso che non era più in grado di reggere. Elena provò una
sgradevole sensazione di avvitamento e di caduta, finché la macchina
toccò l'acqua.
Udì delle grida, ma non sembravano provenire da lei. Il fiume avvolse la
macchina e tutto divenne rumore e confusione e dolore. Un finestrino andò
in frantumi come se fosse stato colpito da un sasso, e poi un altro. L'acqua
scura si riversò su di lei, insieme a ghiaccio tagliente come vetro. Era
sommersa. Non riusciva a vedere; non riusciva a uscire.
E non riusciva a respirare. Era perduta in quel tumulto infernale, e non
c'era aria. Doveva respirare. Doveva uscire di lì...
«Stefan, aiutami!», gridò.
Ma quel grido rimase muto. Invece l'acqua gelata si riversò nei polmoni,
travolgendola. Cercò di contrastarla, ma era troppo forte per lei. I suoi
movimenti divennero sempre più deboli, scoordinati, e poi cessarono.
E dopo tornò la quiete.
Bonnie e Meredith stavano perlustrando nervosamente il perimetro della
scuola. Avevano visto Stefan dirigersi da quella parte, più o meno costretto
da Tyler e dai suoi nuovi amici. Avevano iniziato a seguirlo, ma poi era
cominciata quella faccenda con Elena. E poi Matt le aveva informate che
Elena era andata via in macchina.
Così si erano messe di nuovo sulle tracce di Stefan, ma lì fuori non c'era
125
nessuno. Non c'erano neanche edifici, tranne una solitaria baracca di
lamiera.
«E sta per scatenarsi una bufera!», disse Meredith. «Senti il vento!
Credo che pioverà».
«O nevicherà!». Bonnie rabbrividì. «Ma dove sono andati?»
«Non m'interessa; voglio solo avere un tetto sulla testa. Ecco che
arriva!». Meredith ansimò quando il primo scroscio di pioggia gelata la
investì, e insieme a Bonnie corse verso il riparo più vicino: la baracca di
lamiera.
E fu qui che trovarono Stefan. La porta era leggermente aperta, e quando
Bonnie sbirciò dentro arretrò di colpo.
«La squadra di picchiatori di Tyler!», sibilò. «Stai attenta!».
Un semicerchio di scagnozzi separava Stefan dalla porta. Caroline era in
un angolo.
«Deve averlo! L'avrà preso in qualche modo; ne sono sicura!», stava
dicendo.
«Preso cosa?», disse Meredith ad alta voce. Tutti si girarono verso di lei.
Caroline contorse il viso in una smorfia quando vide le due ragazze sulla
soglia e Tyler ringhiò. «Fuori di qui», disse. «Fareste bene a non farvi
coinvolgere in tutto questo».
Meredith lo ignorò. «Stefan, posso parlarti?»
«Fra un minuto. Intendi rispondere alla sua domanda? Preso cosa?»,
Stefan si stava rivolgendo a Tyler, completamente concentrato su di lui.
«Certo che risponderò alla sua domanda. Subito dopo aver risposto alla
tua». Tyler batté una mano nerboruta sull'altra chiusa a pugno, e fece un
passo in avanti. «Diventerai carne per i cani, Salvatore».
Alcuni scagnozzi ridacchiarono.
Bonnie aveva aperto la bocca per dire: "Andiamo via di qui". Ma quel
che realmente disse fu: «Il ponte».
Fu così strano che tutti si girarono a guardarla.
«Cosa?», disse Stefan.
«Il ponte», ripeté Bonnie, senza rendersene conto. Aveva gli occhi
sgranati, allarmati. Sentiva la voce uscirle dalla gola, ma non riusciva a
controllarla. E poi spalancò ancora di più gli occhi, e la bocca, e ritrovò la
sua voce. «Il ponte, oh, mio Dio, il ponte! È lì che si trova Elena! Stefan,
dobbiamo salvarla... Oh, sbrighiamoci!».
«Bonnie, sei sicura?»
«Sì, oh, Dio... è lì che è andata. Sta annegando! Sbrighiamoci.». Onde
126
scure stavano prendendo il sopravvento su Bonnie. Ma non poteva svenire
ora; doveva raggiungere Elena.
Stefan e Meredith esitarono per un istante, poi il ragazzo attraversò la
linea dei picchiatori, spingendoli da parte come se fossero carta velina.
Attraversarono di corsa il campo diretti al parcheggio, trascinandosi dietro
Bonnie. Tyler fece per seguirli, ma si fermò quando il vento lo investì in
tutta la sua violenza.
«Perché è andata fuori con questa bufera?», gridò Stefan mentre
saltavano a bordo della macchina di Meredith.
«Era sconvolta; Matt ha detto che è andata via con la sua macchina»,
ansimò Meredith in risposta, nella relativa calma dell'abitacolo. Uscì in
fretta dal parcheggio e si indirizzò contro il vento, a tutta velocità. «Ha
detto che andava al pensionato».
«No, è al ponte! Meredith, più veloce! Oh, Dio, sarà troppo tardi!». Le
lacrime scorrevano sul viso di Bonnie.
Meredith pigiò sull'acceleratore. La macchina oscillò, colpita dal vento e
dal nevischio ghiacciato. Durante quella corsa da incubo, Bonnie non
smise mai di singhiozzare, le dita aggrappate al sedile davanti a lei.
Il rapido intervento di Stefan evitò che Meredith andasse a sbattere
contro l'albero. Uscirono dalla macchina e furono subito investiti e sferzati
dal vento.
«È troppo grosso per spostarlo! Dobbiamo proseguire a piedi», urlò
Stefan.
Certo che era troppo grosso per muoverlo, pensò Bonnie, avanzando con
difficoltà fra i rami. Era una quercia adulta. Ma una volta dall'altra parte, il
vento fortissimo e gelido s'impadronì di ogni suo pensiero.
In pochi minuti era intorpidita, e le sembrava di aver camminato per ore.
Tentarono di correre, ma il vento li respingeva. Riuscivano a stento a
vedere; se non fosse stato per Stefan, sarebbero cadute oltre l'argine.
Bonnie iniziò a camminare a zigzag come un ubriaco. Stava per crollare a
terra quando sentì Stefan, più avanti, gridare.
Il braccio di Meredith si strinse intorno a lei, e ripresero a correre,
inciampando. Ma quando furono vicine al ponte, quel che videro le fece
fermare di colpo. «Oh, mio Dio... Elena!», gridò Bonnie. Wickery Bridge
era un cumulo di legni spezzati. Un lato della ringhiera era crollato e il
tavolato aveva ceduto come se il pugno di un gigante si fosse abbattuto su
di esso. Al di sotto, l'acqua scura turbinava intorno a una massa indistinta
di detriti. Fra questi, completamente sommersa dall'acqua, a eccezione dei
127
fari anteriori, c'era la macchina di Matt.
Anche Meredith stava gridando, ma gridava a Stefan. «No! Non puoi
scendere laggiù!».
Il giovane non si voltò nemmeno. Si tuffò dalla riva, e l'acqua si richiuse
sopra la sua testa.
Più tardi, il ricordo che rimase a Bonnie dell'ora che seguì si sarebbe
pietosamente appannato. Si ricordò di aver aspettato Stefan, mentre la
tempesta infuriava senza posa. Si ricordò che aveva quasi perso la
speranza, quando una figura barcollante era uscita a fatica dall'acqua. Si
ricordò di non aver provato delusione, solo un'immensa, sconfinata pena,
quando vide il corpo inerte che Stefan adagiò sulla strada.
E si ricordò il viso di Stefan.
Si ricordò la sua espressione mentre cercava di fare qualcosa per Elena.
Solo che non era Elena a essere lì distesa, era una bambola di cera con i
lineamenti di Elena. Niente che fosse mai stato vivo, e che di certo non lo
era in quel momento. Bonnie pensò che non aveva senso continuare a
scuoterla e a sollecitarla in quel modo, cercando di far uscire l'acqua dai
polmoni e roba del genere. Le bambole di cera non respirano.
Si ricordò il viso di Stefan quando alla fine rinunciò. Quando Meredith
lottò con lui, gridandogli contro, dicendogli qualcosa riguardo a un'ora
senza aria e a possibili danni cerebrali. Le parole filtravano nella testa di
Bonnie, ma prive di ogni significato. Pensò soltanto come fosse strano che
Meredith e Stefan, mentre gridavano l'uno contro l'altra, stessero
piangendo.
Poi Stefan smise di piangere. Si sedette per terra, stringendo la bambolaElena. Meredith continuò a urlargli ancora qualcosa, ma lui non la
ascoltava. Rimase seduto lì, semplicemente. E Bonnie non avrebbe mai
dimenticato la sua espressione.
E poi qualcosa attraversò Bonnie, come una lama di fuoco, facendola
tornare in sé, in preda al terrore. Si aggrappò a Meredith, e si guardò
intorno per individuarne la causa. Qualcosa di malvagio... qualcosa di
terribile si stava avvicinando. Era quasi lì.
Anche Stefan sembrava averlo percepito. Era in allarme, rigido, come un
lupo che avesse fiutato un odore.
«Cosa c'è?», gridò Meredith. «Che ti prende?»
«Dovete andare via!». Stefan si sollevò in piedi, tenendo ancora quel
corpo inerte fra le braccia. «Via di qui!».
«Ma cosa dici? Non possiamo lasciarti...».
128
«Sì che potete! Via di qui! Bonnie, portala via!».
Nessuno aveva mai detto a Bonnie di occuparsi di qualcuno prima di
allora. Erano gli altri ad aver sempre cura di lei. Ma in quel momento
afferrò il braccio di Meredith e cominciò a tirarla. Stefan aveva ragione.
Non c'era niente che potessero fare per Elena, e se fossero rimaste
avrebbero fatto la sua stessa fine.
«Stefan!», chiamò ancora Meredith, mentre veniva trascinata via senza
rendersene conto.
«La metterò sotto gli alberi! I salici, non le querce!», gridò Stefan alle
loro spalle.
Perché ce l'ha detto ora? Si chiese Bonnie, in qualche recondito angolo
della sua mente che non fosse preso dalla paura e dalla furia della
tempesta.
La risposta era semplice, e la mente gliela fornì rapidamente. Perché più
tardi lui non sarebbe stato più lì per dirglielo.
16
Molto tempo prima, fra le strade buie di Firenze, uno Stefan affamato,
spaventato ed esausto aveva fatto una solenne promessa a se stesso. Varie
promesse, in realtà, riguardo l'uso dei Poteri che avvertiva dentro di sé, e
riguardo il modo in cui trattare le creature deboli, fallibili, ma ancora
umane, intorno a lui.
Ma ora avrebbe spezzato ogni promessa.
Aveva baciato la fredda fronte di Elena e l'aveva adagiata ai piedi di un
salice. Sarebbe tornato, se avesse potuto, per unirsi a lei, in seguito.
Come aveva immaginato, l'ondata di Potere aveva ignorato Bonnie e
Meredith per inseguire lui, ma si era attenuata ancora una volta, e ora si era
ritirata, in attesa.
Non l'avrebbe fatta attendere a lungo.
Non più gravato dal peso del corpo di Elena, cominciò ad avanzare con
lunghe falcate da predatore lungo la strada deserta. Il nevischio ghiacciato
e il vento non erano di grande ostacolo. I suoi sensi da cacciatore gli
facevano strada attraverso la bufera.
Li sfruttò tutti per localizzare la preda che desiderava. Ora non doveva
pensare a Elena. L'avrebbe fatto dopo, quando tutto fosse finito.
Tyler e i suoi amici erano ancora dentro la baracca di lamiera. Bene. Non
ebbero tempo di capire cosa stava succedendo quando la finestra esplose in
129
una nuvola di schegge di vetro e la tempesta irruppe all'interno.
Stefan era intenzionato a uccidere quando afferrò Tyler per il collo e vi
affondò i denti. Era stata una delle sue regole, non uccidere, ma ora voleva
infrangerla.
Ma un altro dei teppisti gli capitò vicino prima che avesse dissanguato
del tutto Tyler. Il ragazzo non intendeva difendere il suo leader caduto,
voleva solo scappare. La sua sfortuna fu di incrociare Stefan sul suo
cammino. Lo gettò a terra e attinse avidamente a quella nuova fonte.
Quel caldo sapore ferroso lo rianimò, lo riscaldò, scorrendogli come
fuoco nelle vene. Aumentò la sua sete.
Potere. Vita. Lo aveva; ne aveva bisogno. Con l'inebriante sensazione di
forza che seguì alla sua ultima libagione, riuscì a tramortire gli altri senza
sforzo. Poi passò dall'uno all'altro, bevendo fino all'ultima goccia di
sangue e alla fine li gettò via. Era come scolarsi una confezione da sei
lattine di birra.
Si stava dando da fare con l'ultimo quando vide Caroline rannicchiata in
un angolo. Il sangue gli colava dalle labbra quando sollevò la testa per
guardarla. Quegli occhi verdi, di solito così allungati, erano spalancati a
mostrare il bianco, come quelli di un cavallo terrorizzato. Le labbra erano
due pallide sbavature che farfugliavano una muta implorazione.
La fece alzare in piedi tirandola per la fascia verde che aveva intorno
alla vita. La ragazza gemette, gli occhi rovesciati all'indietro. Afferrò i
capelli castano dorato per piegarle la testa fino a scoprire la gola, come lui
desiderava. Sollevò lievemente la testa per prepararsi a colpire... e
Caroline gridò, accasciandosi.
La lasciò cadere a terra. Ormai ne aveva preso abbastanza. Ormai era
ricolmo di sangue, come un parassita sazio. Non si era mai sentito così
forte, così carico di potere primordiale.
Ora era il turno di Damon.
Uscì dalla baracca di lamiera così come vi era entrato. Ma non in forma
umana. Un falco predatore veleggiò fuori della finestra e si librò alto nel
cielo.
La nuova forma era magnifica. Forte... e crudele.
E la sua vista era acutissima. Lo portò dove lui voleva, sfiorando le cime
delle querce nel bosco. Era in cerca di una particolare radura.
La trovò. Il vento lo frustava, ma discese a spirale, lanciando un acuto
stridio di sfida. Damon, in forma umana, alzò le mani per proteggersi il
volto mentre il falcone si precipitava su di lui.
130
Stefan strappò brandelli di carne viva dalle braccia di Damon,
ascoltando le sue grida di dolore e di rabbia.
Non sono più il tuo debole fratellino. Comunicò il suo pensiero a Damon
con una formidabile esplosione di Potere. E questa volta sono venuto per
avere il tuo sangue.
Captò l'onda d'odio proveniente da Damon, ma la voce nella sua mente
era beffarda. E così che mi ringrazi per aver salvato te e la tua promessa
sposa?
Stefan chiuse di nuovo le ali e scese in picchiata, con un unico obiettivo.
Uccidere. Si scagliò contro gli occhi di Damon, e il bastone che il giovane
aveva raccolto sferzò l'aria mancando di poco il suo nuovo corpo. Gli
artigli lacerarono la guancia di Damon, lasciando sgorgare il sangue. Bene.
Non avresti dovuto lasciarmi vivere, disse a Damon. Avresti dovuto
ucciderci tutti e due subito.
Sarei felice di rimediare al mio errore! Prima Damon era stato colto alla
sprovvista, ma ora Stefan sentiva che stava attingendo Potere, e si armava,
pronto all'azione. Stridendo senza parole, piombò di nuovo su Damon, ma
questa volta il grosso bastone non fallì il colpo. Ferito, con un'ala cascante,
il falco rovinò a terra dietro la schiena del fratello.
Stefan riprese subito sembianze umane, senza quasi avvertire il dolore
del braccio rotto. Prima che Damon potesse girarsi, lo afferrò, le dita della
mano illesa affondarono nel collo, e lo fece ruotare su se stesso.
Quando parlò, il suo tono era quasi gentile.
«Elena», sussurrò, e si avventò sulla gola del fratello.
Era buio, e faceva molto freddo, e qualcuno era ferito. Qualcuno aveva
bisogno di aiuto.
Ma lei si sentiva terribilmente stanca.
Elena batté le palpebre, poi aprì gli occhi, abituandosi all'oscurità. E
quanto al freddo... lo sentiva fin nelle ossa, era intirizzita, gelata fino al
midollo. E non c'era da stupirsi; tutto intorno a lei era ghiacciato.
Da qualche parte, nel profondo del suo cuore, sapeva che c'era dell'altro.
Cosa era successo? Era stata a casa, a dormire... no, questo era il
Founders' Day. Era stata nella sala della mensa, sul palco.
La faccia di qualcuno aveva avuto un'espressione strana.
Era troppo faticoso ricordare; non riusciva a pensare. Volti senza corpo
fluttuarono davanti ai suoi occhi, frammenti di frasi le risuonarono nelle
orecchie. Era molto confusa.
131
E così stanca.
Ora era meglio tornare a dormire. Il ghiaccio non era poi così male. Fece
per sdraiarsi, e poi sentì di nuovo le grida.
Non le percepì con le orecchie, ma con la mente. Grida di rabbia e di
dolore. Qualcuno era davvero disperato.
Si sedette, immobile, cercando di mettere ordine fra i pensieri.
Ci fu un rapido movimento ai margini del suo campo visivo. Uno
scoiattolo. Riusciva a sentirne l'odore; strano, non le era mai capitato
prima. La fissò con vivaci occhi neri, poi si allontanò a piccoli salti
sull'albero di salice. Elena si rese conto di aver tentato di afferrarlo solo
quando si trovò con le unghie conficcate nella corteccia.
Tutto questo era ridicolo. Perché diamine voleva prendere uno
scoiattolo? Si scervellò per un minuto sulla questione, poi si sdraiò,
esausta.
Ancora quelle grida.
Cercò di coprirsi le orecchie, ma questo non le impedì di sentire le urla.
Qualcuno era ferito, e infelice, e stava lottando. Ecco cos'era. C'era una
lotta in corso.
Bene. Era arrivata a capire di cosa si trattava. Ora poteva dormire.
Ma non ci riuscì. Le grida esercitavano un richiamo su di lei, la
attiravano. Provò un bisogno irresistibile di seguirle fino a scoprirne la
fonte.
E poi avrebbe potuto dormire. Dopo aver visto... lui.
Oh, sì, adesso le tornava in mente. Si ricordò di lui. Era il giovane che la
capiva, che la amava. Era l'unico con cui voleva vivere per sempre.
Il suo volto emerse dalle nebbie della sua mente. Lo esaminò con
tenerezza. Bene, allora. Per lui si sarebbe alzata e avrebbe camminato in
quella assurda bufera di neve finché non avesse trovato quella radura.
Finché non l'avesse raggiunto. Poi sarebbero rimasti insieme.
Il solo pensiero di lui sembrò scaldarla. Dentro di lui ardeva un fuoco
che solo poche persone riuscivano a vedere. Ma lei lo vedeva. Era come il
fuoco che sentiva dentro di lei.
Ma lui sembrava trovarsi nei guai in quel momento. Per lo meno, si
sentiva un gran gridare. Ora era abbastanza vicina da percepirlo con le
orecchie e non solo con la mente.
Là, oltre quella grande quercia adulta. Era da lì che proveniva quel
frastuono. Lui era là, con i suoi occhi scuri e impenetrabili, e il suo sorriso
misterioso. E aveva bisogno del suo aiuto. Lo avrebbe aiutato.
132
Scuotendo via dai capelli i cristalli di ghiaccio, Elena entrò nella radura
nel bosco.
[Continua]
133