Diapositiva 1 - Istituto Superiore di Scienze Religiose"San Paolo

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Diapositiva 1 - Istituto Superiore di Scienze Religiose"San Paolo
ISSR “S. PAOLO” - AVERSA
biennio per operatori pastorali
FAMIGLIA E SESSUALITA’
Prof. Avv. Giovanni Ciccarelli
Dottorando in Bioetica
(Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, ROMA)
SESSUALITA’
E
MATRIMONIO
NEL
NUOVO TESTAMENTO
SESSUALITÀ E MATRIMONIO NEI VANGELI
• Parlando un giorno con i discepoli di Giovanni, Gesù accennò a un
invito a nozze e alla presenza dello sposo tra gli invitati: «Lo sposo è
con loro» (Mt 9,15). Additava così il compimento nella sua persona
dell'immagine di Dio-sposo utilizzata già nel Vecchio Testamento, per
rivelare il mistero di Dio come mistero di amore. Qualificandosi come
sposo, Gesù svela dunque l'essenza di Dio e conferma il suo amore
immenso per l'uomo. Ma la scelta di questa immagine getta
indirettamente luce anche sulla verità profonda dell'amore sponsale:
usandola infatti per parlare di Dio, Gesù mostra quanta paternità e
quanto amore di Dio si riflettano nell'amore di un uomo e di una donna
che si uniscono in matrimonio (GIOVANNI PAOLO II, Lettera alle famiglie, 2
febbraio 1994, n. 18)
• Nel Verbo fatto uomo tutta la realtà umana nelle sue molteplici
dimensioni è redenta e messa in condizione di esprimere la sua intima
verità. Egli, attraverso i misteri della sua carne, restituisce all'uomo
l'immagine divina oscurata dal peccato e rivela le profondità inattese
della corporeità umana come simbolo e sorgente di un amore sino alla
fine. Questo è il vangelo sulla sessualità e il matrimonio, che il Signore
Gesù ha annunciato con la vita e la parola, e che la Chiesa apostolica ha
cercato di attuare nel suo tempo consegnandoci, negli scritti del Nuovo
Testamento, la sua esperienza paradigmatica e fondante.
un'attitudine positiva
• Il Signore Gesù ha un atteggiamento positivo nei confronti del matrimonio e
della sessualità: egli non dimostra in nessuna circostanza di essere inibito o
di disprezzare la corporeità e tutto ciò a essa connesso; al contrario, egli
rivela un'attitudine matura e serena nei confronti del matrimonio e della
sessualità e una sovrana libertà nei confronti dei pregiudizi del suo tempo.
• Ciò emerge in particolare nel suo comportamento verso la donna. Gesù,
contrariamente alla mentalità del suo tempo, condivisa anche dai maestri e
dottori della Legge, non mostra alcun tipo di disprezzo verso la donna. Si
legga GIOVANNI PAOLO II, Mulieris dignitatem 12-16)
• Durante la sua vita Gesù ha intrattenuto molti rapporti con il mondo
femminile. Parla pubblicamente con donne, anche con donne di dubbia
reputazione, come nel caso della prostituta che incontra nella casa di
Simone (Lc 7,37-47) o della samaritana (Gv 4,7ss). Ha donne tra i suoi
seguaci, giungendo con alcune all'intimità dell'amicizia, come nel caso di
Marta e Maria (Lc 10,38-42; Gv 11,1-40; 12,1-3). E ci sono donne tra coloro
che lo seguono più da vicino; sappiamo anzi dal Vangelo di Luca che alcune
di esse aiutavano, con i loro mezzi, la piccola comunità apostolica (Lc 8,1-3;
cf. Mt 27,55). Ha avuto donne fra i discepoli - cosa davvero inaudita per un
rabbi - come dimostra il tipico atteggiamento di Maria, sorella di Lazzaro,
che «sedutasi ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola» (Lc 10,39).
un'attitudine positiva / 2
• Una donna, la Maddalena, vede per prima il Risorto e lo annuncia ai
discepoli increduli (Gv 20,11-18). Ma soprattutto non dobbiamo dimenticare
che il Signore ha voluto nascere da donna (cf. Gal 4,4) e ha associato nella
sua opera redentiva la madre.
• Agli occhi di Gesù la donna ha valore, e questa sua attitudine verso la donna
è rivelata dal fatto che l'incontro con Gesù ha per loro un effetto liberatorio:
siano prostitute (Lc 7,37-47) o adultere (Gv 8,3-11), malate nell'anima o nel
corpo (Lc 13,11; Mc 1,30), siano vedove (Lc 7,13; 21,1-4) o straniere (Mt
15,28), esse ritrovano nell'incontro con lui il senso della loro dignità, della
loro pienezza, della loro autonomia.
• L'impurità rituale delle donne è superata anch'essa: la donna colpita dalla
metrorragia e quindi non solo malata, ma anche perpetuamente immonda,
viene risanata per la sua fede nel Cristo (Mc 5,25-34). Ogni tabù che legava
uomini e donne alla legge del puro e dell'impuro viene superato dalla
purezza superiore chiesta dal Cristo, quella del cuore (cf Mt 5,8): Non ciò che
entra nella bocca rende impuro l'uomo; ciò che esce dalla bocca rende impuro l'uomo [... ]
Ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore. Questo rende impuro l'uomo. Dal cuore,
infatti, provengono propositi malvagi, omicidi, adultèri, impurità, furti, false
testimonianze, calunnie. Queste sono le cose che rendono impuro l'uomo (Mt 15,10.18-20a)
un'attitudine positiva / 3
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Gli evangelisti attestano anche la partecipazione del Signore alla gioia nuziale, basti
pensare alla presenza di Gesù alla festa di nozze a Cana (Gv 2,1ss). Ma c'è qualcosa di
più, perché il Signore Gesù presenta la sua esistenza come nuziale: egli è lo Sposo (Mt
9,15; 25,1) e l'annuncio del Regno è presentato come l'invito a un banchetto nuziale
(Mt 22,2ss).
Gesù introduce certamente un valore nuovo, quello della verginità, ed esalta il celibato
quale segno di totale dedizione al Regno, come in Mt 19,10-12, dove si parla degli
«eunuchi» per il regno dei cieli. Egli, però, non dice mai che il matrimonio è
incompatibile con l'accoglienza del vangelo. A nessuno è chiesto l'abbandono o la
rinuncia al matrimonio come condizione inderogabile per entrare nel Regno. È vero
che si chiede agli apostoli di lasciare la famiglia per mettersi alla sequela del Signore e
che in Luca troviamo passi nei quali sembra porsi una difficile compatibilità tra l'aver
moglie e il rispondere all'invito del Regno, tanto per gli apostoli (Lc 18,28-30) quanto
per i cristiani in generale (Lc 14,26); tuttavia, l'insieme della testimonianza evangelica
converge nel confermare che la vita matrimoniale e familiare non contrasta con
l'appartenenza al Regno. Gesù stesso ha voluto avere un padre e una madre e ha
vissuto per trent'anni nella sua famiglia a Nazaret (Lc 2,51).
L'attitudine di Gesù verso il corpo, la sessualità, il matrimonio è dunque serena e
positiva: egli non disprezza né svilisce queste realtà create, ma le libera dalle
deformazioni del peccato e le riporta alla loro verità fontale, al progetto originario di
Dio creatore.
l’abolizione del ripudio e il ritorno al «principio»
• Nell'insegnamento di Gesù, un aspetto di discontinuità rispetto alla prassi e
alla mentalità giudaica, vero segno dei tempi nuovi, è l'abolizione del ripudio.
La condanna del ripudio e la proibizione delle seconde nozze tornano varie
volte nei Sinottici appoggiandosi su un logion del Signore che viene
presentato in contesti diversi e in forme leggermente diverse: in Mt 5,31-32
nel contesto del discorso della montagna; in Mt 19,9 e in Mc 10,11b-12 in un
contesto di polemica; in Lc 16,18 incastonato fra due parabole che trattano
della ricchezza, agganciato a un detto sulla legge di Dio; in 1Cor 7,10-11 nel
contesto di insegnamenti su sessualità, matrimonio e verginità.
• In Mc 10,11b-12 si dichiara la proibizione assoluta del divorzio tanto per il
marito come per la moglie: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra,
commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro,
commette adulterio». La situazione prospettata in Marco presuppone che
tanto il marito quanto la moglie abbiano il diritto di divorziare: questa
situazione non è comprensibile per la mentalità e per la legge giudaica, ma si
comprende alla luce del costume de facto vigente nel mondo greco-romano e
rappresenta un'attualizzazione per i cristiani provenienti dal mondo pagano
per il quale scriveva Marco.
l’abolizione del ripudio e il ritorno al «principio» / 2
• In Lc 16,18, invece, troviamo due regole, entrambe rivolte
all'uomo, e questo riflette più da vicino l'ambiente e la prassi
giudaica: «Chiunque ripudia la propria moglie e ne sposa
un'altra, commette adulterio; chi sposa una donna ripudiata dal
marito, commette adulterio». Mt 19,3-9 e Mc 10,1-16 collocano
il logion del ripudio al termine di una disputa con i farisei, e
questo permette agli evangelisti di offrirci un messaggio di
grandissimo valore sul matrimonio e, più in generale, sul senso
della dualità sessuale.
• In Mc 10 si chiede a Gesù di prendere posizione sul ripudio in se
stesso domandandogli «se è lecito a un marito ripudiare la
propria moglie» (Mc 10,2). Si tratta, in questo caso, di una vera
e propria trappola: i farisei prevedono, infatti, che Gesù
prenderà posizione contro il ripudio e quindi, ancora una volta,
si metterà contro il costume giudaico e la legge di Mosè.
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• In Mt 19 la domanda posta dai farisei è meno diretta. Si chiede, infatti, a Gesù: «È
lecito a un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo [katà pâsan
aitìan]?». Per comprendere il senso esatto della domanda dobbiamo rifarci
all'ambiente giudaico e alle dispute fra le scuole giuridiche. La legge di Mosè
aveva regolato l'istituto del ripudio, come si è visto, ordinando al marito che
volesse ripudiare la moglie di darle un atto o libello di ripudio (Dt 24,1-4). La
motivazione che giustificava il ripudio era espressa in modo molto generico:
'erwat dabar, «qualcosa di vergognoso». La tradizione giuridica ebraica, nel
tentativo di specificare il senso del generico 'erwat dabar, aveva sviluppato due
tendenze, una rigorista e una lassista. La tendenza rigorista, rappresentata da
rabbi Shammai, ammetteva il ripudio solo per gravi disordini morali della moglie,
come per esempio l'adulterio. La tendenza lassista è rappresentata da rabbi Hillel
che riteneva motivo di divorzio qualsiasi cosa nella moglie che risultasse
spiacevole per il marito (ad esempio, essere una cattiva donna di casa) e da rabbi
Aqiba che pensava fosse sufficiente l'aver trovato una moglie più bella. I farisei
seguivano la tendenza rigorista e ammettevano il ripudio solo per motivi gravi,
come l'immoralità o l'adulterio della moglie: mentre, dunque, i farisei ritenevano
che potesse esserci non «qualsiasi motivo», ma almeno «qualche motivo» per il
ripudio, Gesù oltrepassando la Legge, risponde che non c'è «nessun motivo».
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In Mt 19 - così come nel parallelo marciano - Gesù volge lo sguardo al progetto di Dio sul
matrimonio e, nella prospettiva di una giustizia superiore e della perfezione evangelica,
dichiara superata la concessione mosaica del ripudio. Egli fonda il suo insegnamento
sulla indissolubilità del matrimonio richiamandosi ad altri due testi della Torah, dal libro
della Genesi, dal cui accostamento emerge sia il significato sponsale della sessualità
umana, sia l'indissolubilità naturale dal patto coniugale: «Non avete letto che il Creatore
da principio "li fece maschio e femmina" [Gen 1,27] e disse: "Per questo l'uomo lascerà
suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne" [Gen
2,24]? Così non sono più due, ma una sola carne» (Mt 19,4-6). Gesù conclude la sua
halahkah in modo perentorio: «Dunque l'uomo non divida quello che Dio ha congiunto».
La dualità sessuale è, dunque, finalizzata all'instaurarsi di una comunità di vita, e questa
comunità di vita è naturalmente indissolubile. Gesù, infine, spiega la norma mosaica sul
ripudio come una semplice concessione e non come un ordine. La concessione è
motivata dall'amara constatazione della durezza di cuore, della sklerokardìa di Israele: il
ripudio non fa parte del disegno di Dio sul matrimonio, ma Israele, ostinatamente chiuso
alle esigenze dell'autentica volontà divina, non poteva comprenderlo. L'ordine
riguardava, semmai, l'obbligo del marito di restituire alla donna la sua libertà attraverso
un regolare atto di ripudio. Il Signore «rivela la verità originaria del matrimonio, la verità
del principio e, liberando l'uomo dalla durezza del cuore, lo rende capace di realizzarla
interamente» (GIOVANNI PAOLO II, esortazione apostolica Familiaris consortio, 22 novembre 1981, 13).
le eccezioni matteane
• Confrontando i testi di Marco, Luca e Paolo con i corrispondenti di Matteo, salta
agli occhi una differenza: mentre Marco, Luca e Paolo proclamano l'illiceità del
ripudio in modo incondizionato, Matteo introduce, invece, nel logion quelle che
sono convenzionalmente chiamate le eccezioni o clausole matteane, ovvero degli
incisi che sembrano contenere eccezioni al rifiuto del ripudio o, per dirla con
linguaggio successivo, eccezioni al principio dell'indissolubilità.
• In Mt 5,31-32, si trova questa antitesi fra la legge del Regno e la legge antica: Fu
pure detto: «Chi ripudia la propria moglie le dia l'atto del ripudio» [Dt 24,1]. Ma io vi dico:
chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di immoralità [parektòs lògou pornèias;
Vulgata: «excepta fornicationis causa»], la espone all'adulterio e chiunque sposa una
ripudiata commette adulterio.
• In Mt 19,9, a suggello della disputa con i farisei, si legge: Ma io vi dico: chiunque
ripudia la propria moglie, se non in caso di immoralità [mé epì pornèias; Vulgata: «nisi ob
fornicationem») e ne sposa un'altra commette adulterio e chi sposa una ripudiata commette
adulterio.
• La presenza di questi incisi fa sorgere il dubbio che Matteo, pur insegnando
l'indissolubilità del matrimonio, introduca eccezioni alla legge dell'indissolubilità.
Sono stati versati fiumi di inchiostro su questa crux esegetica, senza trovare una
soluzione soddisfacente e al di sopra di ogni contestazione.
le eccezioni matteane / 2
• Prima di passare all'interpretazione globale degli incisi, è opportuno studiare il
significato di ciascuna espressione: apolyèin, pornèia, parektòs e mé epì. Il verbo
apolyèin può significare sia la «rescissione definitiva» del vincolo (ripudio/divorzio),
sia la semplice «separatio a mensa et toro».
• Pornèia è un termine molto generico che ha ricevuto diversi significati. Nei LXX
pornèia traduce spesso l'ebraico zenût, termine che designa diverse situazioni di
disordine sessuale e in particolare la prostituzione e la fornicazione, anche in
riferimento all'infedeltà religiosa e, più raramente, all'adulterio (cf. Sir 23,23), alle
unioni proibite e ai matrimoni misti (cf. Tb 4,12). Nella letteratura
intertestamentaria, zenût indica le nozze poligame, le nozze dopo il ripudio della
moglie legittima e le unioni illecite per affinità. Analogamente anche nel Nuovo
Testamento pornèia può indicare unioni incestuose per affinità (1Cor 5,1; cf. 1Ts
4,3) o altre unioni proibite in base alla legislazione giudaica (At 15,20-29; 21,25).
• Negli incisi matteani la pornèia potrebbe quindi indicare una qualsiasi impudicizia o
fornicazione della moglie, o più precisamente la prostituzione o l'adulterio da parte
della moglie (anche se ci si aspetterebbe il greco moicheia), o, addirittura,
un'immoralità prematrimoniale che risulta in mancanza di verginità della sposa;
altri, infine, pensano a un'unione illegittima per un qualche motivo.
le eccezioni matteane / 3
• Il senso ovvio delle particelle parektòs/mé epì è quello esclusivo o eccettuativo, ma
è possibile grammaticalmente, almeno per mé epì, un senso inclusivo («anche»,
«persino»: se si intendono le particelle mé epì e parektòs come inclusive, Gesù proibirebbe il divorzio anche nel
caso di pornèia) o anche preteritivo («a prescindere da»: Gesù tralascerebbe volontariamente di
prendere in esame il caso di porrnèia, come se dicesse: «della pornèia parlerò in altra circostanza»).Le soluzioni
preteritive e inclusive, però, benché sostenute da autorevoli teologi ed esegeti sia
antichi che moderni, non sono mai state prevalenti e stanno perdendo sempre più
terreno.
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Le Chiese cristiane hanno inteso tradizionalmente gli incisi come vere eccezioni e hanno
dato a pornèia il senso di un grave disordine morale di un coniuge. Mentre, però,
ortodossi e protestanti hanno pensato che la pornèia fosse un motivo per divorziare e
poter passare a seconde nozze, i cattolici hanno pensato che la pornéia fosse un motivo
per separarsi, ma senza risposarsi.
In base all'interpretazione ortodossa si riconosce che l'indissolubilità del matrimonio
rappresenta la norma generale del cristiano, ma si ammette l'esistenza di casi particolari
che la Chiesa può risolvere con indulgenza legittimando il passaggio a seconde nozze. Se
Gesù avesse insegnato questo, non si vede, però, dove stia il motivo della disputa e la
prova con i farisei, visto che questa era, in ultima analisi, l'opinione rigorista sui motivi
del ripudio sostenuta anche dai farisei: l'uomo può divorziare dalla moglie solo per
motivi molto gravi.
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• I cattolici danno ad apolyèin il senso più generico di «separazione» e
ammettono il valore eccettuativo delle particelle, ma l'eccezione
viene riferita, appunto, alla separazione: «Chi si separa - cosa che è
proibita se non in caso di pornèia - espone la donna all'adulterio».
Non si tratta dunque di un'eccezione all'indissolubilità, ma si concede
la separazione, senza la facoltà di accedere a seconde nozze, in certi
casi di grave disordine morale del coniuge.
• La concessione della separazione senza la possibilità di risposarsi è
chiaramente insegnata in 1Cor 7,10-11 e da essa dipende la prassi
latina della separatio a mensa et toro. Il fondamento di questa prassi
viene visto da Paolo nell'insegnamento del Signore stesso: «Agli
sposati poi ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal
marito - e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il
marito - e il marito non ripudi la moglie». Si tratta di una lettura
molto antica, sostenuta da san Girolamo e, nel corso del tempo, da
altri autori fra i quali san Tommaso d'Aquino e molti altri
contemporanei
le eccezioni matteane / 5
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Alcuni esegeti moderni hanno inteso l'inciso in senso eccettuativo, ma hanno
svigorito la forza dell'eccezione sostenendo che la pornèia sarebbe un'unione
illegittima o un concubinato e, ovviamente, unioni illegittime e concubinati non sono
indissolubili.
Questa tesi è stata difesa nel 1954 dal cattolico Joseph Bonsirven, per il quale pornèia
indicherebbe un matrimonio in qualche modo irregolare, cioè uno
pseudomatrimonio. Nel 1967 questa tesi è stata ripresa e precisata dal protestante H.
Baltensweiler, il quale sostiene che le clausole siano dei ritocchi matteani per
escludere dalla comunità cristiana alcuni matrimoni proibiti per «affinità» secondo Lv
18,6ss e ammessi, invece, dal diritto romano. In tal modo la Chiesa avrebbe dettato
regole più severe di quelle previste dai rabbini per i proseliti che si convertivano dal
paganesimo, analogamente alle disposizioni del concilio di Gerusalemme promulgate
per evitare turbamento in seno alle comunità giudeo-cristiane (At 15,20-29; 21,25).
Questa soluzione che dà a pornèia il senso di «unione illegittima» e, quindi, non
veramente matrimoniale, è oggi accolta da un buon numero di studiosi, cattolici e
non. A questa ipotesi interpretativa, per il suo carattere conciliante, si rifanno molte
traduzioni sia ecumeniche sia confessionali, compresa la versione ufficiale della CEI
(Nella Bibbia CEI 2008 Mt 5,32 è tradotto: «Chi ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima», mentre
Mt 19,9 è tradotto: «Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di unione illegittima». La versione CEI 1974
traduceva invece «concubinato». Sono sfumature che si muovono nella stessa linea ermeneutica)
le eccezioni matteane / 6
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Le nuove proposte interpretative non hanno tolto valore alle interpretazioni
tradizionali, quella latina della liceità della semplice separazione senza nuove nozze e
quella orientale della possibilità di vere eccezioni al divieto di seconde nozze in
determinati casi. Le due letture tradizionali conservano il loro valore,
Comunque si risolva il problema del significato delle clausole matteane, bisogna
ricordare che, se si collocano le parole del Signore nel contesto del richiamo (implicito
in Mt 5,31-32 ed esplicito in Mt 19,3ss) al progetto originario di Dio sull'uomo e sulla
donna, appare chiaro che il Signore pensa a un'unione definitiva e, secondo il piano
divino, indissolubile. Nel tempo della Chiesa, ferma restando la misericordia per la
fragilità umana, non può mancare una tensione costante di fedeltà alla volontà vera e
originaria di Dio.
Prima di concludere queste considerazioni sulle eccezioni matteane, si deve
aggiungere qualcosa sulla questione generale posta da questi ritocchi matteani. Molti
autori affermano infatti che queste eccezioni sono interventi del redattore in risposta
a particolari situazioni delle comunità alle quali rivolgeva il suo vangelo, per cui le
parole del Signore sarebbero state interpretate alla luce di tali situazioni. Tale
operazione è del tutto possibile e non deve suscitare reazioni di scandalo: si tratta
dello sforzo dell'evangelizzatore di comunicare le parole del Signore in modo che il
loro senso sia adeguatamente compreso, anche all'interno di contesti molto diversi
da quelli per i quali esse furono all'inizio pronunciate.
4. SESSUALITÀ E MATRIMONIO NEL CORPUS PAULINUM
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L'importanza della letteratura paolina per i temi sui quali stiamo riflettendo è
grandissima. È in Paolo che si trovano alcune delle fondamentali idee sulla
sessualità e sul matrimonio, idee nelle quali giungono a pienezza anche alcuni temi
del Vecchio Testamento, e soprattutto quello del matrimonio come alleanza. Paolo
non offre un'esposizione sistematica sulla sessualità e sul matrimonio perché le
sue lettere sono legate a circostanze e a destinatari particolari, ma da quello che
leggiamo più o meno sparsamente in esse è possibile trarre preziose indicazioni su
ciò che Paolo pensava di questi argomenti.
I cc. 5-7 della Prima lettera ai Corinzi contengono alcuni dei testi più importanti per
delineare la teologia paolina intorno ai nostri temi. È ben nota la situazione di
Corinto nell'antichità: città dai due porti, centro commerciale attivissimo, la
corruzione e la dissolutezza erano comunemente associate alla città, al punto che il
verbo korinthiazesthai applicato a una donna era ritenuto offensivo. Era celebre in
tutto il Mediterraneo il tempio di Corinto dedicato ad Afrodite Pàndemos, che fu
servito, a un certo momento, da mille ierodule o prostitute sacre. Questo ambiente
immorale continuava a influire sullo stile della comunità, mentre dottrine devianti
serpeggiavano tra i fedeli. Paolo deve intervenire per chiarire punti delicati e
correggere storture e disordini.
dignità cristica del corpo
•
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La prima parte della lettera (cc. 1-6) è centrata su un tema molto sentito nel
contesto culturale ellenistico, quello della sapienza. I corinzi pretendono di
possedere una conoscenza profonda del mistero di Dio che li porrebbe su un piano
di superiore perfezione spirituale. Essi invece - dice Paolo - non possiedono la vera
sapienza perché la vera sapienza è quella della croce e si illudono di essere
perfetti, mentre la loro comunità rivela con segni inequivocabili di essere ancora
immatura nella vita cristiana (cf. 1,17-3,4).
In seno alla Chiesa di Corinto ci sono fazioni e divisioni, ingiustizie clamorose e casi
di scandalosa immoralità, tra cui un'inaudita pornèia che «non si riscontra neanche
tra i pagani»: uno che ha preso in moglie la propria matrigna (5,1). Paolo sembra
meravigliato non solo del fatto in sé, ma anche dell'indifferenza della comunità
cristiana e ordina, pertanto, con molta severità, di prendere provvedimenti drastici
contro l'incestuoso (5,33). I cristiani di Corinto devono vivere coerentemente la
novità di vita nella quale sono stati introdotti accogliendo Cristo (5,6-8) e non
possono mescolarsi con gli impudichi, i pòrnoi (5,9). Non si tratta degli immorali
della città, altrimenti i cristiani avrebbero dovuto lasciare Corinto, ma dei cristiani
immorali (5,9-13). I pòrnoi - si dirà nel capitolo seguente - così come idolatri,
adulteri e altri peccatori, non erediteranno il Regno (6,9-10).
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Nella seconda parte del c. 6 Paolo affronta alcune questioni di principio rifiutando
opinioni inaccettabili in tema di morale sessuale che si sentivano nella comunità di
Corinto. Qualcuno insegna: «Tutto mi è lecito» (pànta moi exèstin) (6,12) e qualcun
altro: «I cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi» (6,13). Sono veri e propri
slogan etici ben collocabili nel variegato mondo culturale greco-romano. Il primo
sembra un'affermazione di anomia gnosticheggiante che proclama la libertà del
perfetto da ogni legge: «Il cristiano maturo è libero da ogni legge, anche dalle leggi
morali sulla sessualità». Il secondo, di tipo naturalistico, instaura un parallelismo
implicito fra cibi-ventre e sesso-corpo e insinua che la soddisfazione del desiderio
sessuale è paragonabile alla soddisfazione del bisogno alimentare: «Il bisogno
sessuale è un fatto naturale e non c'è niente di male a soddisfarlo».
La risposta dell'apostolo è decisa. In riferimento ai primi egli osserva che se è vero
che «tutto mi è lecito», «non tutto, però, è utile» e «io non mi lascerò dominare da
nulla»: è quindi necessario un discernimento, giacché non ogni impulso symphèrei,
è conveniente con il bene e, soprattutto, non può dirsi davvero libero chi è schiavo
delle sue pulsioni (6,12).
Ai secondi, egli ricorda che il corpo dei cristiani non è per la fornicazione, bensì per
il Signore (6,13b): il contesto suggerisce che qui pornèia abbia il significato più
comune nella lingua greca, quello di frequentazione di prostitute ovvero
fornicazione (dal latino fornicatio, che deriva dall'uso delle prostitute di ricevere i
clienti in giacigli sotto archi , fòrnices, ricavati nello spessore dei muri).
• Chi si unisce a una prostituta - afferma Paolo - diventa con lei una sola carne.
Attraverso il richiamo sorprendente a Gen 2,24, siamo così introdotti nella
percezione paolina del corpo e della sessualità: nell'atto sessuale l'incontro
non è mai puramente fisico, ma comporta sempre, in un modo o in un altro,
una relazione interpersonale: «Chi si unisce alla prostituta forma con essa un
corpo solo» (6,16). Il corpo non può essere considerato un semplice strumento
per soddisfare l'istinto sessuale, né un'unione sessuale può essere giudicata
indifferente: l'immorale pecca gravemente, perché pecca contro la dignità del
corpo (6,18). Il corpo del fedele è, infatti, un tempio abitato dallo Spirito, è
possesso del Signore, è membro di Cristo (6,19-20).Ogni fedele è unito al
Signore e forma con lui un solo spirito e perciò, quando si unisce con una
prostituta, l'immorale fa sì che «le membra di Cristo» diventino «membra di
una prostituta».
• Riaffermata la dignità cristica del corpo, Paolo affronta, nel c. 7, diverse
questioni che si raccolgono fondamentalmente intorno a due nuclei tematici,
quello del matrimonio e quello della verginità, e che sembrano suscitate da
un'espressione che non si capisce bene se sia sua o di fautori di tendenze
ascetiche in seno alla comunità di Corinto: «È cosa buona per l'uomo non
toccare donna» (7,1).
matrimonio e bisogno sessuale
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Secondo Paolo il matrimonio è connesso con la forza del bisogno sessuale: per lui, in continuità
con la visione giudaica, il matrimonio è l'unico luogo in cui l'uomo e la donna possono soddisfare
in modo legittimo il loro bisogno sessuale. Perciò scrive: «A motivo dei casi di immoralità [dià tàs
pornèias] ciascuno abbia la propria moglie e ogni donna abbia il proprio marito» (7,2).
Rispetto al soddisfacimento del bisogno sessuale nel matrimonio, l'uomo e la donna si trovano su
un piano di piena reciprocità: l'uno ha un dovere da rendere fisicamente all'altra, un dovere
reciproco, un debitum espresso in linguaggio giuridico (7,4: opheilén apodidòto, Vulgata: «debitum
reddat») e quindi ciascuno ha una vera e propria autorità (exousiàzei) sul corpo e, quindi, sulla
persona dell'altro in ordine al bisogno sessuale (7,4).
Per quanto riguarda l'astinenza coniugale raccomandata - a quanto pare - da predicatori rigoristi,
essa è dichiarata possibile per motivo di preghiera, ma deve essere temporanea, per evitare di
dare spazio alla tentazione di Satana (7,5). Vale in generale il comando di «non astenersi l'uno
dall'altro» (7,5), e l'idea che l'astinenza temporanea per la preghiera non sia un obbligo è
rafforzata dal fatto che egli dice di accettarla katà syngnòmen, non katà epitagèn, «per
condiscendenza e non per comando» (7,6). Paolo sostiene senza dubbio l'eccellenza del celibato e
della verginità, ma è consapevole che questo dono (chò risma) non è per tutti e che alcuni hanno
un dono, altri un altro (7,7; cf. Mt 19,11). Egli, perciò, consiglia come scelta preferibile per i
cristiani non sposati e per quelli rimasti vedovi di restare senza sposarsi o risposarsi, ma afferma
anche, molto saggiamente, che se i non sposati e le vedove non riescono a vivere in continenza
(enkratèuontai), è meglio che si sposino, in quanto «è meglio sposarsi che bruciare» (7,9; cf. 7,39).
indissolubilità e unità del matrimonio
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Per Paolo le nozze sono indissolubili. È comando del Signore - dice esplicitamente Paolo - che la donna non possa
separarsi dal marito e che, qualora si separi, debba rimanere sola o riunirsi a suo marito, e inoltre che il marito non
possa ripudiare la moglie (7,10-11).
All'inizio della Chiesa si presentava però la delicata situazione di una coppia già sposata in cui uno solo dei coniugi è
diventato cristiano. Per risolvere questi casi, Paolo offre un'indicazione di cui si assume la responsabilità premettendo
l'avvertimento «agli altri dico io, non il Signore» (7,12): se il coniuge non cristiano consente di vivere insieme, anche
dopo il passaggio alla fede da parte del partner, allora non ci deve essere separazione. Rimanendo uniti, in qualche
modo tanto il coniuge non credente quanto i figli sono resi partecipi della condizione di santità del coniuge
battezzato (7,14). Se, invece, il non credente non accetta la convivenza con il cristiano e vuole separarsi, allora,
secondo Paolo, il credente, tanto uomo quanto donna, non deve più ritenersi «soggetto alla schiavitù» (7,15).
La prassi suggerita da Paolo in questo secondo caso non è del tutto chiara: non si capisce se, una volta abbandonato
dal partner rimasto pagano, il credente sia anche libero di risposarsi. Ci sono stati dall'antichità fino a oggi autori
nell'uno e nell'altro senso. Se però Paolo si limitasse ad affermare che il credente non è più tenuto alla convivenza,
non si capirebbe il senso del «non essere più soggetti alla schiavitù». La prassi tradizionale della Chiesa si è
strutturata nel cosiddetto privilegio paolino, secondo il quale è ammesso il passaggio a nuove nozze di un convertito
sposato in precedenza il cui coniuge non accetti più la convivenza dopo la conversione (cf CIC, can. 1143).
L'evoluzione della prassi e della dottrina del privilegium paulinum è stata faticosa: nel medioevo Innocenzo III e
ancora nel 1886 una dichiarazione del S. Uffizio collegavano il privilegio con 1Cor 7,2-16; non così farà Pio XI
nell’enciclica Casti connubii del 1930.
Riguardo alle seconde nozze di persone vedove (questione che interesserà molto le prime generazioni cristiane),
abbiamo già visto che Paolo consiglia di non risposarsi (7,8-9.39-40) ma, contro alcune tendenze rigoriste emergenti,
afferma chiaramente che possono risposarsi (7,9) giacché, dopo la morte del coniuge, non sono più legate al vincolo
matrimoniale. Le vedove sono tuttavia tenute a risposarsi «nel Signore», cioè con un cristiano (7,39).
matrimonio e verginità nei tempi ultimi
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Paolo presenta un atteggiamento complesso a proposito di matrimonio e di continenza: se da una parte insegna
il valore del matrimonio, dall'altra proclama l'eccellenza della verginità. In 1Cor 7,28 si afferma che le vergini che
si sposano non peccano, ma che esse con i loro mariti avranno thlipsin té sarkì, «tribolazione nella carne» (7,28b).
Con queste parole Paolo caratterizza quella tensione religiosa che sperimentano i coniugi cristiani, i quali si
sentono divisi tra le esigenze della vita di famiglia e le istanze della fede, particolarmente l'istanza escatologica.
Con il termine carne l'apostolo indica per così dire l'uomo esterno, l'uomo cioè che, vivendo a contatto con le
realtà terrene perché sposato e vincolato ad una famiglia, avverte come cristiano la tensione interna tra i doveri
imposti dal suo stato e le istanze escatologiche della fede.
Perciò nelle risposte sulle vergini (7,25ss), sui fidanzati (7,36-38) e sulle vedove (7,39-40), senza proibire il
matrimonio egli consiglia che «ognuno rimanga nella condizione nella quale è stato chiamato» (7,24).
Paolo dà per verginità e celibato motivazioni cristologiche. Il primo motivo è quello della totale e indivisa
dedizione al Signore: «Chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è
sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso [kaì
meméristai]» (7,32-34).
Il secondo motivo è quello dell'imitazione di Cristo. In 1Cor 7,7 e 11,1 Paolo chiede ai corinzi di imitarlo, perché
egli stesso sta imitando Cristo: «Diventate miei imitatori come io lo sono di Cristo» (11,1). Non sappiamo quale
fosse la sua condizione, se celibe o vedovo o separato dalla moglie rimasta ebrea (quest’ultima tesi illuminerebbe
il cosiddetto privilegio paolino con la vicenda personale dell'apostolo: 1Cor 7,12.16), ma è chiaro che Paolo non è
vincolato di fatto da un legame coniugale e desidera che tutti possano vivere come lui: il non sposato è nella
condizione di imitare più pienamente e più radicalmente l'esistenza terrena di Cristo, proprio come sta facendo
Paolo. La vita celibataria viene giudicata preferibile, non per una valutazione negativa del matrimonio o per una
disistima ascetica della sessualità, ma per il riconoscimento del suo valore evangelico. La vita celibataria
rappresenta una condizione migliore rispetto al matrimonio perché l'imminente ritorno del Signore e l'afflizione
che lo prepara - «le presenti difficoltà» (7,26) - rendono preferibile uno stile di vita che preservi dalle
preoccupazioni mondane (7,29-34) e che conservi l'intimità con il Signore (7,35).
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La vita matrimoniale per Paolo è buona, ma è difficile. Il matrimonio per sua
natura porta a dedicare attenzione al mondo, alle cose della vita quotidiana, ai
bisogni del coniuge, e sono proprio queste caratteristiche della vita matrimoniale a
far sì che essa non sia la condizione più favorevole all'attesa del Signore. Il
matrimonio non è un male, ma i tempi spingono a concentrarsi «senza deviazioni»
nelle cose del Signore (7,35). Il matrimonio appartiene all'economia di questo
mondo (eone) transitorio e ne condivide in qualche modo la provvisorietà: di qui
l'invito agli sposati di vivere come se non fossero sposati, cioè distaccati dalle
preoccupazioni della vita matrimoniale, giacché «passa la figura di questo mondo»
e «il tempo si è fatto breve» (1Cor 7,29-31).
La percezione dell'urgenza dei tempi spiega, infine, perché Paolo, nelle lettere a lui
direttamente ascrivibili, non si soffermi sulla generazione dei figli: egli, pur
mostrando di considerare i figli parte integrante della famiglia cristiana (cf. Ef 6,1-4;
Col 3,20-21), non mette mai in relazione l'atto sessuale e il matrimonio con la
procreazione: proprio perché l'imminenza dell'èschaton indebolisce il senso del
procreare. Nelle lettere pastorali invece, anche a motivo della polemica
antignostica, si insiste sul dovere di procreare, come mostrano 1Tm 2,15 (la donna
si salva attraverso la teknogonìa) e 1Tm 5,14 (in cui si chiede che le giovani vedove
si sposino e abbiano figli).
il «grande mistero» nella Lettera agli Efesini
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Il c. 5 della Lettera agli Efesini è una pietra miliare nella comprensione del senso della dualità
sessuale e del matrimonio, stabilendo un rapporto tra il matrimonio e il mistero di Cristo e
della Chiesa. L'epistolario paolino anche altrove aveva presentato il rapporto dei fedeli con
Cristo in forma nuziale (cf. 2Cor 11,2) e aveva instaurato un'analogia tra il ruolo di capo,
dell'uomo verso la donna, e il ruolo di Cristo verso l'uomo (cf 1Cor 11,2), ma qui la dottrina
giunge a maturazione.
La lettera si apre con la proclamazione del grande mistero della volontà del Padre (1,9) e della
ricapitolazione di tutte le cose in Cristo (1,10). Questa ricapitolazione si attua con l'unità degli
uomini nella Chiesa, nella quale viene sanata e superata ogni divisione (cc. 2-3). I cristiani,
costituiti nell'unità in Cristo, sono chiamati a vivere secondo tale unità, nell'amore reciproco
(4,1-6). L'esistenza cristiana è un'imitazione di Dio e un camminare nella carità al modo di
Cristo (5,1-2) e la forma concreta di questa esistenza è la sottomissione reciproca «nel timore
di Cristo» (5,21).
Il concetto di sottomissione reciproca viene quindi esemplificato in tre aree della vita
ordinaria dei cristiani del tempo: la relazione marito-moglie (5,22-33); il rapporto genitori-figli
(6,14) e quello padroni-schiavi (6,5-9). In Ef 5,22-33 si ha, quindi, l'applicazione di un principio
generale al caso specifico della vita matrimoniale. In essa la sottomissione reciproca si
realizza come sottomissione della donna all'uomo («come al Signore»: l'uomo simboleggia il
Signore) e come amore dell'uomo verso la donna («come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato
la sua vita per lei»: la donna simboleggia la Chiesa).
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Sottomissione e amore indicano qui la modalità reciproca del donarsi in Cristo tra marito e moglie.
Non è dunque intenzione di Paolo dare norme sulla gerarchia intrafamiliare, egli vuole - più
radicalmente - rileggere la relazione coniugale «in Cristo». Di fatto questa prospettiva scardina la
struttura coniugale improntata alla subordinazione femminile e la supera attraverso il principio
cristiano della sottomissione reciproca.
Una questione rilevante è quella della sacramentalità del matrimonio. Si è a lungo pensato, infatti,
che Efesini attestasse la sacramentalità o, almeno, vi si alludesse, come dice il Concilio Tridentino. La
Scolastica, nell'elaborare la sua sacramentaria, fece ricorso a tale testo anche perché il greco
mystèrion era stato tradotto dalla Vulgata con sacramentum. Al v. 31 si cita Gen 2,24: «Per questo
l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una sola carne».
La lettera quindi aggiunge, al v. 32: «Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla
Chiesa», «Tò mysterion toùto mèga estin, egò de lègo eis Christòn kài [eis] ten Ekklesìan».
Il testo può ricevere diverse spiegazioni. Prima di tutto si può intendere mystèrion come il senso
occulto del passo citato di Gen 2,24: l'unione di Adamo ed Eva narrata nella Genesi è come
un'anticipazione, una figura dell'unione di Cristo e della Chiesa. Una seconda spiegazione ritiene che
il matrimonio, già sul piano creaturale, abbia un senso nascosto corrispondente al progetto divino
(mystèrion starebbe per l'ebraico oz e indica qualcosa di arcano che rimane sconosciuto se non viene
manifestato da qualcuno). Paolo vi aggiungerebbe una connotazione cristiana, affermando che tale
densità di senso appare ancora più vera se vista nella luce non solo della coppia archetipa (Adamo ed
Eva) ma anche in quella della coppia escatologica (Cristo-Chiesa). Un'ultima possibilità riconosce il
mysterion nel legame di Cristo e della Chiesa: l'unione uomo-donna viene qui considerata in Cristo e
nella Chiesa, all'interno cioè del grande mistero della salvezza. In questa prospettiva il matrimonio
cristiano viene a porsi come realtà misterica: il matrimonio è una rivelazione, un segno visibile
dell'invisibile mistero che si attua in Cristo e nella Chiesa. Questa interpretazione orienterebbe il
testo a una più diretta preparazione della dottrina cattolica sulla sacramentalità del matrimonio
cristiano.
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Tutte le ipotesi convergono nell'idea che per Paolo l'unione uomo-donna di Gen 2,24
abbia un rapporto con l'unione Cristo-Chiesa: il progetto genesiaco acquista nuova
profondità e rivela un'intima connessione con il mistero di Cristo. Il mystèrion fondante,
mistero nascosto nei secoli, è l'unità fra Dio e il mondo in Cristo. Ogni matrimonio
nell'ordine creaturale è un mystèrion naturale che si radica nel mystèrion fondante e ne
diventa symbolon o sacramento primordiale; ma solo il matrimonio dei cristiani è
mystèrion salvifico, partecipazione piena al mystèrion fondante. Queste riflessioni
saranno importanti per elaborare una teologia della sessualità e per argomentare la
qualitas heterosexualis del matrimonio.
Bisogna certamente evitare di imporre al testo sacro categorie teologiche che non gli
appartengono: Paolo non poteva pensare con le categorie elaborate dalla Scolastica, né
quindi poteva affermare che il matrimonio fosse «un segno efficace di grazia». D'altra
parte, gli studi esegetici hanno confermato quanto sia appropriata l'asserzione del
Tridentino che Ef 5,31-32 «innuit», «fa pensare» alla sacramentalità. Secondo Efesini il
matrimonio è una realtà umana che rivela la pienezza del suo significato guardando a
Cristo e alla Chiesa. Gli sposi cristiani non solo partecipano del mistero naturale del
matrimonio, ma essendo «membra del corpo di Cristo» (Ef 5,29) sono la concreta
realizzazione della relazione fra Cristo e la Chiesa.
Non possiamo, infine, trascurare il messaggio di Ef 5 per quanto concerne la visione
cristiana della vocazione coniugale. Gli sposi cristiani devono sapere che sono non solo
chiamati, ma costituiti ontologicamente come visibilità del rapporto Cristo-Chiesa; la
loro verità è dunque in una vita che sia pienamente attraversata dall'agàpe dell'unità e
della riconciliazione, dalla donazione di Cristo e della Chiesa.