SchemiMetodiETecnicheSSSicora10_11 v3

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SchemiMetodiETecnicheSSSicora10_11 v3
Università della Calabria
Facoltà di Scienze Politiche
Ampliamento Polifunzionale
Arcavacata di Rende (CS)
Docente: Alessandro Sicora
Corso di METODI E TECNICHE DEL SERVIZIO SOCIALE
A.A. 2010-2011
SCHEMI ESEMPLIFICATIVI ED INTEGRATIVI
Versione definitiva dd. 24.05.11
CONTENUTO DEL FASCICOLO:
1
Introduzione al lavoro sociale ................................................................................................ 2
1.1 Caratteristiche del lavoro dell’assistente sociale................................................................. 2
1.2 Caratteristiche del servizio sociale italiano ........................................................................ 2
1.3 Definizione di territorio ..................................................................................................... 3
2
Di quale tipo di conoscenza ha bisogno l’assistente sociale per fare “bene” il suo lavoro?
Percorsi per la costruzione di un’epistemologia del Servizio Sociale tra arte e scienza, tra narrazioni
e concetti......................................................................................................................................... 3
3
Multidimensionalità ............................................................................................................... 9
4
Il colloquio d'aiuto ............................................................................................................... 12
4.1 Assiomi della comunicazione .......................................................................................... 12
4.2 Comunicazione e lavoro sociale. Suggerimenti pratici ..................................................... 13
4.3 Tattiche e uso di domande per la conduzione del colloquio .............................................. 13
5
La valutazione...................................................................................................................... 14
5.1 Gli indicatori ................................................................................................................... 14
5.2 Valutazione e progettazione, quando?.............................................................................. 14
5.2.1
valutazione in itinere .............................................................................................. 15
5.2.2
valutazione ex post ................................................................................................. 15
6
Principali modelli teorici di servizio sociale ......................................................................... 16
6.1 Definizioni di modello ..................................................................................................... 16
6.2 Il concetto di "modello" nella ricerca e nella speculazione scientifica. ............................. 16
6.3 Variabili considerate nei modelli del servizio sociale ....................................................... 17
6.4 Evoluzione storica dei modelli del servizio sociale .......................................................... 18
6.5 Servizio Sociale italiano e modelli – anni Ottanta e Novanta ........................................... 19
6.6 Modello psico-sociale ...................................................................................................... 19
6.7 Modello del problem solving ........................................................................................... 20
6.8 Modello centrato sul compito .......................................................................................... 20
6.9 Passaggio dall’epistemologia psicoanalitica a quella sistemica ........................................ 21
6.10
Modello integrato........................................................................................................ 21
7
La documentazione .............................................................................................................. 22
7.1 Accesso alla documentazione della Pubblica Amministrazione ........................................ 22
7.2 Tutela delle persone rispetto al trattamento dati personali e sensibili nell’ambito degli enti
pubblici ..................................................................................................................................... 22
7.3 Dati personali e dati sensibili ........................................................................................... 24
7.4 Dal dato all’azione........................................................................................................... 25
7.5 Definizione di documentazione: ...................................................................................... 25
7.6 Verbale di riunioni........................................................................................................... 26
7.7 Tecniche per la stesura di un verbale ............................................................................... 26
1
I parte
1
Introduzione al lavoro sociale
1.1 Caratteristiche del lavoro dell’assistente sociale1








utilizzo di competenze relazionali e comunicative,
rapporto lavorativo di dipendenza in organizzazioni pubbliche (o comunque non profit) che
erogano servizi,
forte legame tra assistente sociale e organizzazione di appartenenza,
servizio sociale quale “teoria operativa”,
forte intreccio tra aspetti valoriali e contenuti formativi2,
operatività inserita in un campo soggetto a rapidi cambiamenti (e tanto più rapidi sono i
cambiamenti, tanto maggiori sono le esigenze di formazione permanente) che richiedono
all’operatore di “mantenere, aggiornare e qualificare le capacità acquisite ed effettivamente
esercitate”3 tramite la formazione permanente che, in una sorta di causalità circolare, assume
non solo la funzione di risposta al cambiamento4, ma anche il ruolo di strumento promotore del
cambiamento del sistema socio-sanitario5,
esigenza di momenti di formazione interprofessionale legati ad un’operatività che cerca di
ricomporre le complessità della persona-utente mediante il ricorso a forme strutturate e
permanenti di lavoro tra diversi professionisti6 ovvero oscillando tra “istanze di collegialità” e
“domanda di specificità”7,
formazione di base universitaria che solo recentemente (fine anni ’80 – inizio anni ‘90) ha
trovato una sua definitiva collocazione tramite la formulazione di curricula accademici
articolati secondo una specifica visione di “ciò che serve sapere” per fare l’assistente sociale.
1.2 Caratteristiche del servizio sociale italiano8
1. TERRITORIALITA’
 S.S. territoriale (Comune, distretto...) come punto di riferimento per i bisogni di tutta la
popolazione residente sul territorio
 attenzione non a solo “patologie” in atto MA ricerca sui bisogni, organizzazione servizi e
coordinamento risorse per “migliore qualità della vita” della comunità territoriale
1
Rielaborazione da: Sicora, Alessandro. L’assistente sociale riflessivo, Pensa Multimedia, Lecce, 2005, pp. 71 – 72.
Cfr. Giraldo S., “Lavoro dell’assistente sociale ed esigenze formative”, in Bianchi M.e Folgheraiter F., L’assistente
sociale nella nuova realtà dei servizi, Milano, Angeli, pp. 103 – 106 e Fondazione "Emanuela Zancan", “Manifesto
della formazione” in Sarpellon G. e Vecchiato T. (a cura di), Le frontiere del sociale - primo rapporto, Padova,
Fondazione "Emanuela Zancan", 1993
3
Scortegagna R., “La formazione nelle professioni sociali” in La Rivista di Servizio Sociale, anno XXXVIII, n. 4
dicembre 1998, p. 4.
4
Diomede Canevini M., “La formazione degli assistenti sociali: costanti e linee evolutive”, in Coordinamento
Nazionale Docenti di Servizio Sociale, Il Servizio Sociale come processo di aiuto, 3° ed., Milano, Angeli, 1990, p. 129.
5
Cfr. Dal Pra Ponticelli M., Documento di sintesi – Formazione permanente degli operatori sociali e lavoro sociale sul
territorio: possibile ruolo delle Scuole di Servizio Sociale in “Servizi Sociali”, anno VIII - n. 1, 1981, p. 27.
6
Cfr. Neve E., “Integrazione e formazione” in Canevini D. e Vecchiato T. (a cura di), L’integrazione delle
professionalità nei servizi alle persone – Documentazione sui Servizi Sociali n. 51, Padova, Fondazione Emanuela
Zancan, 2002, pp. 79 – 94.
7
Sabatelli E., “La formazione professionale dell’assistente sociale: i problemi attuali e gli orientamenti emergenti”, op.
cit., p. 15.
8 tratto da Dal Pra Ponticelli, Maria. Il servizio sociale oggi in Italia, A.I.DO.S.S, 1993.
2
Corso di Metodi del servizio sociale – Schemi esemplificativi ed integrativi - A. Sicora
2
2. GENERALITA’
 ai servizi sociali territoriali qualunque tipo di problema e utenza
 problemi (mancanza mezzi economici, casa, lavoro; rapporti familiari ...) <--> prestazioni:
assistenza (sussidio, assisistenza domiciliare, ricovero ...), consulenza (= parere di un
professionista su una questione di specifica competenza), case-management (integrazione
risorse)
3. UNITARIETA’ METODOLOGICA
 metà anni ‘70 superamento “metodi” ---> “metodo unico” --> fasi:
1. conoscitiva
2. valutativa
3. propositiva-decisionale
4. attuattiva
5. verifica
4. PLURIFUNZIONALITA’
 svolgimento contemporaneo di funzioni:
1. presa in carico dell’utenza
2. conoscenza dei bisogni e di risorse della comunità (ricerca sociale)
3. elaborazione di progetti di servizi
4. organizzazione e gestione dei servizi dell’Ente
5. animazione e coordinamento di risorse comunitarie
1.3 Definizione di territorio
Per territorio si intende un “sistema spaziale e sociale di dimensioni relativamente ridotte, che
consente alla maggior parte dei suoi membri di avere una conoscenza e una esperienza personale
diretta delle attività, degli orientamenti, della posizione sociale, dei connotati degli altri membri, nel
quale la convivenza entro uno spazio limitato, la particolare cultura e subcultura che si sviluppa, gli
interessi che in esso e per esso nascono, producono una forma peculiare di solidarietà e di identità
soggettiva, tali da legare affettivamente le persone a quel territorio e a quella popolazione più che
ad ogni altro” 9.
2 Di quale tipo di conoscenza ha bisogno l’assistente sociale
per fare “bene” il suo lavoro? Percorsi per la costruzione di
un’epistemologia del Servizio Sociale tra arte e scienza, tra
narrazioni e concetti
(Introduzione al testo: Sicora, Alessandro. L’assistente sociale riflessivo, Pensa Multimedia, Lecce,
2005)
L’esercizio di una professione, qualunque essa sia, tende a tramutarsi, soprattutto in contesti
caratterizzati da un elevato grado di incertezza e instabilità, in una continua sfida per assolvere
funzioni e compiti utilizzando conoscenze e competenze che necessitano di una costante opera di
“manutenzione” intesa sia come adeguamento a contesti operativi mutati che come
approfondimento di contenuti e gesti già noti e sperimentati.
Il giovane o la giovane che, conseguito il titolo abilitante all’esercizio di una professione, si
immette nel mondo del lavoro sperimenta ben presto la difficoltà di utilizzare quale guida all’azione
9
Gallino, Luciano. Dizionario di Sociologia, Utet, Torino, 1978
Corso di Metodi del servizio sociale – Schemi esemplificativi ed integrativi - A. Sicora
3
il bagaglio di conoscenze apprese in sede di formazione di base. D’altro canto, questa, benché
ancora faticosa e sgradevole, è una situazione spesso già in parte affrontata nell’ambito di eventuali
attività di tirocinio o di apprendistato, dove, però, errori e incertezze possono dissolversi in virtù
dello “status” di soggetto in formazione e dell’aiuto prestato da professionisti con consolidata
esperienza e che, formalmente o informalmente, fungono da punto di riferimento del futuro collega.
La difficoltà a cui qui si fa riferimento, e che solo parzialmente viene risolta con
l’accumularsi di anni di lavoro, è quella descritta da Schön quando, a proposito dei medici, rileva
che circa l’85% dei casi affrontati non sono “nei libri” in quanto si riferiscono a costellazioni di
sintomi che si presentano con caratteristiche di unicità e che richiedono di testare nuove diagnosi10.
Per medici, ma anche per infermieri, avvocati, assistenti sociali, ingegneri e ogni altro tipo
di professionista, l’applicazione nella pratica di teorie e tecniche derivate da una ricerca sistematica,
e preferibilmente basata su criteri scientifici, sarebbe efficace solo in un numero limitato di casi di
routine, facili da risolvere in quanto ordinari e ricorrenti. Nell’esercizio di una professione
sarebbero invece molto più frequenti situazioni difficilmente inquadrabili e comprensibili alla luce
delle conoscenze teoriche più accreditate, situazioni in cui l’applicazione di regole e procedure
consolidate darebbe scarsi o addirittura nulli risultati11.
Questa percepita diffusa discrepanza tra “teoria” e “pratica” porta spesso a radicalizzare
l’atteggiamento dei professionisti che, nelle situazioni più estreme, possono cadere nel rifiuto
dell’una a favore dell’altra. Tale fenomeno non è estraneo, soprattutto nelle professioni d’aiuto, ai
processi che, con non poca sofferenza, portano a vere e proprie sindromi di burn-out12. Altro esito,
più intermedio, meno drammatico e probabilmente più costruttivo, è quello che spinge molti a
cogliere nel problema della distanza tra teoria e attività professionale la motivazione per riflettere
sul proprio operato e per approfondire e adeguare le proprie conoscenze mediante letture o corsi di
aggiornamento.
Tra le molte domande suscitate dal problema in discussione tre sembrano puntare
direttamente al cuore della questione che riguarda da vicino tutte le professioni e non solo quella
dell’assistente sociale sulla quale è focalizzato il presente testo:
 quali sono le caratteristiche di un “bravo” professionista, ovvero quali sono le conoscenze e le
competenze che questi deve possedere?
 quali sono e come si costruiscono le conoscenze e le competenze di questo ipotetico e ideale
“bravo” professionista?
 qual è il rapporto tra conoscenze e competenze nell’esercizio di una professione?
In queste note introduttive, il cui contenuto verrà ripreso e ampliato nella parte finale del
presente volume, si cercherà di offrire spunti di riflessione inerenti gli ultimi due quesiti con
specifico riferimento all’assistente sociale, mentre le parti intermedie – occupandosi di formazione
permanente quale momento di arricchimento e adeguamento degli strumenti professionali sia di
natura cognitiva che operativa – punteranno al tema delle conoscenze e competenze necessarie per
considerare capace un operatore sociale.
Schön sostiene che il modello della “Razionalità Tecnica” costituisce la visione della
conoscenza professionale che più di tutte ha influenzato la nostra riflessione sulle professioni e sulle
relazioni fra ricerca, formazione e pratica. L’attività professionale diverrebbe rigorosa a seguito
dell’applicazione di teorie e tecniche a base scientifica e sarebbe caratterizzata dall’adattamento
strumentale dei mezzi ai fini sulla base di conoscenze scientifiche specialistiche.
10
Schön D. A., Educating the Reflexive Practitioner, San Francisco, Jossey-Bass, 1987, p. 35.
Ibid., p. 33 – 35.
12
Non sono neppure estranei a tutto questo neppure i comportamenti di cinismo o di vittimismo che sono frequenti
reazioni a quelle “routine difensive organizzative” che sono state descritte da Argyris e Schön nel loro Organizational
learning II (New York, Addison-Wesley, 1996. cfr. 102).
11
Corso di Metodi del servizio sociale – Schemi esemplificativi ed integrativi - A. Sicora
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“Alla “Razionalità Tecnica” corrisponde un modello di formazione che Schön definisce
“curriculum normativo”13. Secondo tale modello, la competenza pratica diviene professionale
quando la sua capacità di risolvere i problemi si basa su di una conoscenza scientifica sistematica. Il
curriculum normativo presenta così prima la conoscenza di base pertinente, quindi la scienza
applicata ed infine un tirocinio in cui si presume che gli studenti imparino ad utilizzare la
conoscenza appresa per risolvere i problemi della pratica quotidiana”14.
La critica che Schön rivolge a tale sistema, e di cui si è in parte già accennato prima, si
colloca all’interno dell’analisi condotta dall’epistemologia costruttivista sui meccanismi di sviluppo
del sapere scientifico. In tale ambito si sottolineano con forza i limiti di una razionalità che poggia
le sue basi su di un sistema di riferimento oggettivistico che nasconde gli elementi che sarebbero
invece all’origine di gran parte dei successi della ricerca. Questi, secondo Polanyi15, deriverebbero
piuttosto dall’abilità e dalla finezza di fiuto dello scienziato e da elementi, quali la semplicità, la
simmetria e l’economia di una teoria.
L’oggettività completa e rigorosa usualmente attribuita alle scienze esatte sarebbe un falso
ideale in quanto numerosi atti di giudizio personale porrebbero le basi di ogni attività conoscitiva. A
tale visione quasi “crepuscolare” dell’ideale della neutralità scientifica non si sottraggono neppure i
concetti di “prova” e di “probabilità”. Infatti Polanyi sottolinea che “nella natura le cose non
portano l’etichetta di “prova”, ma diventano prove solo nei limiti in cui vengono accettate come tali
da noi che siamo osservatori"16. Inoltre, anche “un asserto di probabilità non può essere
rigorosamente contraddetto da alcun evento, comunque improbabile questo evento possa apparire
alla sua luce. La contraddizione dev’essere riconosciuta da un atto personale di valutazione, che
escluda alcune possibilità come troppo improbabili per essere ammesse come vere”17.
Poiché “una <<asserzione impersonale>> è una contraddizione in termini, come lo sarebbe
un assegno bancario anonimo”18 la conoscenza, ovvero tutto ciò che può essere definito
“comprensione attiva delle cose conosciute”19, sarebbe “conoscenza personale” e in gran parte
patrimonio tacito, per alcuni aspetti “sommerso”, del soggetto.
Tale ottica appare adatta alla riflessione su quel “sapere pratico” richiamato da alcuni a
proposito dell’attività professionale con specifico, ma non esclusivo, riferimento al Servizio sociale.
In tale ambito e, specificatamente, a proposito del rapporto tra chi conosce e ciò che viene
conosciuto, Botturi sostiene che nel “sapere pratico” vi è pieno coinvolgimento del soggetto in
quanto questi modifica atteggiamenti e comportamenti, mentre nel “sapere teorico” sarebbe ancora
possibile una qualche forma di estraniamento dello stesso20. Quando poi soggetto e oggetto del
conoscere (ovvero nel caso in discussione, rispettivamente, assistente sociale e cosiddetto utente),
sono entrambi persone e sono implicate in un rapporto spesso caratterizzato da una forte
partecipazione emotiva, allora inevitabilmente è ben difficile procedere secondo i canoni della
“Razionalità Tecnica” richiamati prima.
Non sembra qui utile attardarsi nel richiamare il lungo e ampio dibattito che tale tema,
quello del distacco emotivo dell’operatore, ha suscitato nel corso dello sviluppo del servizio sociale,
soprattutto nelle fasi in cui si sono ricercate con forza le ragioni legittimanti di una professione
spesso ritenuta debole. Basterà forse ricordare che “un lavoro sociale efficace è veramente
13
Schön D. A., Il professionista riflessivo. Per una nuova epistemologia della pratica professionale, Bari, Dedalo,
1993, p. 49.
14
Cfr. Moro G., “Modelli di transizione formazione – occupazione e mutamento dei modelli di valutazione” in Besozzi
E. (a cura di), Navigare tra formazione e lavoro, Roma, Carocci, 1998, pp. 133 – 141.
15
Polanyi M., La conoscenza personale Verso una filosofia post-critica, Milano, Rusconi, 1990, p. 93.
16
Ibid., p. 110.
17
Ibid., p. 101.
18
Ibid., p. 415.
19
Ibid., p. 69.
20
Botturi F., “Sapere pratico e servizio sociale” in Marzotto C. (a cura di), 2002, Per un’epistemologia del Servizio
Sociale. La posizione del soggetto, Milano, Angeli, p. 31.
Corso di Metodi del servizio sociale – Schemi esemplificativi ed integrativi - A. Sicora
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un’attività professionale, nel senso che impegna la personalità oltre che l’intelligenza del
professionista21”, come affermava Emma Fasolo più di mezzo secolo fa nell’introduzione ad uno
dei primi e più diffusi manuali di formazione al servizio sociale apparsi in Italia.
Nel tornare e nel dare ulteriore sviluppo al tema del “sapere pratico” di cui si è accennato
prima, appare chiaro che tale rapporto tra professionalità, personalità e intelligenza dell’assistente
sociale si può nutrire solo in piccola parte di una forma di conoscenza di tipo paradigmatico o
logico-scientifico, ma necessita di qualcosa che sia più complesso e soprattutto orientato all’azione.
Nell’ambito del servizio sociale, infatti, la teoria non può che essere teoria operativa, per la pratica
sociale22. Come afferma Dal Pra:
“Il servizio sociale, come ogni professione, dispone di un corpo sistematico di conoscenze
teoriche, la cui origine è duplice. Vi è una “teoria della pratica”: è il sapere che si ricava dalla
descrizione e interpretazione della realtà operativa che si fonda su processi osservativi e induttivi
che originano una serie di enunciati ricavati da generalizzazioni empiriche. Esiste poi una una
“teoria per la pratica”, costituita dall’apporto che le diverse impostazioni teoriche delle scienze
sociali possono offrire al servizio sociale. Nel servizio sociale la teoria non rappresenta una
conoscenza per la conoscenza, ma una conoscenza che orienta l’operatività”23.
Accostando a tale enunciazione il pensiero e la terminologia di Schön si potrebbe
aggiungere a queste due una terza declinazione del termine “teoria”. Anche per l’assistente sociale
si può parlare di “teoria nella pratica”, ovvero di un corpo di teorie implicite e “personali” che
guidano l’agire del singolo operatore spesso senza che questo ne sia consapevole, se non in piccola
parte. Far emergere tale patrimonio sommerso è impresa non facile ma può contribuire ad una
migliore comprensione delle ragioni dei successi e dei fallimenti professionali e, in un’ottica più
allargata e aggregata, di quelli organizzativi24.
Azioni e comportamenti del professionista sarebbero la parte visibile di un processo
continuo di adattamenti e rimandi tra azione e conoscenza. Si tratta di una dinamica all’interno della
quale è difficile distinguere le diverse componenti in quanto un “buon professionista “, secondo
Schön, conosce nell’azione e riflette sull’azione e nel corso dell’azione25. Interessante, a proposito
di tale sincronia, la distinzione individuata da Polanyi tra consapevolezza sussidiaria e
consapevolezza focale:
“Quando usiamo un martello per conficcare un chiodo, badiamo sia al chiodo che al
martello, ma in una maniera diversa. Noi osserviamo l’effetto dei nostri colpi sul chiodo e
cerchiamo di manovrare il martello in modo da colpire il chiodo nel modo più efficace. Quando
abbassiamo il martello, non sentiamo che il suo manico ha colpito il palmo della mano con cui la
manovriamo ma che la sua testa ha colpito il chiodo. Tuttavia in un certo senso siamo certamente
attenti alle sensazioni nel palmo della mano e nelle dita che stringono il martello. Esse ci guidano
nel maneggiarlo in maniera efficace e il grado di attenzione che prestiamo al chiodo è prestato nella
stessa estensione ma in un modo diverso a queste sensazioni. La differenza può essere determinata
dicendo che queste non sono, come il chiodo, oggetti della nostra attenzione, ma strumenti di essa.
Esse non vengono seguite in se stesse; noi seguiamo qualcosa di diverso, mentre stiamo in uno stato
di intensa consapevolezza di esse. Io posseggo una consapevolezza sussidiaria della sensazione nel
21
Fasolo E., “Il servizio sociale nel contesto italiano” in Friedlander W. A., Principi e metodi del servizio sociale,
Bologna, Il Mulino, 1963, p. XIII – XIV.
22
Cfr. Bianchi E., “Un nuovo approccio al Servizio Sociale” in Coordinamento Nazionale Docenti di Servizio Sociale,
Il Servizio Sociale come processo di aiuto, Milano, Angeli, 1990, p. 7 e Giraldo S., “Lo stato della conoscenza e
dell’operatività nel Servizio Sociale: prospettive di ricerca e di formazione” in Giraldo S. e Riefolo E. (a cura di), Il
Servizio Sociale: esperienza e costruzione del sapere, Milano, Angeli, 1996, pp. 27 – 37.
23
Dal Pra Ponticelli M., Lineamenti di Servizio Sociale, Roma, Astrolabio, 1987, p. 79.
24
Cfr. Argyris C. e Schön D. A., Organizational learning II, op. cit..
25
Schön D. A., Il professionista riflessivo. Per una nuova epistemologia della pratica professionale, op. cit., p. 76 – 80.
Corso di Metodi del servizio sociale – Schemi esemplificativi ed integrativi - A. Sicora
6
palmo della mano, che si fonde con la mia consapevolezza focale del martellamento del chiodo che
sto facendo26.
Paradossalmente queste due forme di consapevolezza, benché fuse, sono mutuamente
esclusive. In altre parole isolarne una significa creare difficoltà all’emergere dell’altra in quanto la
nostra attenzione riesce a sostenere solo un fuoco alla volta.
Un pianista o un attore che si concentrano rispettivamente sulle dita e sulle parole o i gesti
rischiano di far crollare il livello della loro performance. Per il successo di quest’ultima è necessario
che l’attenzione venga mantenuta sulla totalità della configurazione all’interno della quale il
professionista si trova ad operare27. Per un assistente sociale tale fenomeno potrebbe riguardare, ad
esempio, la fusione della percezione delle sensazioni ed emozioni con la consapevolezza di ciò che
l’operatore stesso sta comunicando in una interazione faccia a faccia con un utente.
La metafora del martello afferrato dalla mano per piantare un chiodo consente di individuare
all’interno del concetto generale di consapevolezza due tipologie, quella sussidiaria e quella focale,
che consentono di individuare, e non solo per le attività manuali, un particolare rapporto tra
soggetto, strumento e azione che valorizza l’abilità piuttosto che la razionalità di chi agisce.
Quest’ultima, l’abilità ovvero la capacità di far fronte a compiti determinati, si struttura in
competenza professionale quando diventa piena capacità di orientamento in un determinato campo
dell’agire del professionista. Molte di queste competenze si sviluppano a partire da abilità personali
che, grazie alla formazione e all’esperienza lavorativa, ricevono nuovo impulso, struttura e
direzione.
Nell’ambito delle professioni di aiuto, ma non solo di queste, le competenze relazionali sono
forse quelle che esemplificano meglio tale dinamica. E’ pur vero, infatti, che ogni persona è in
grado di comunicare poiché acquisisce progressivamente sin dalla nascita tale capacità, ma in sede
di formazione di base e, successivamente, in corsi di aggiornamento, l’operatore affina le sue
modalità di comunicazione in ambito lavorativo. In tal modo viene resa più efficace l’attuazione
degli interventi d’aiuto a favore di individui in difficoltà, soprattutto quando è proprio un certo tipo
di comunicazione (sia sul piano del contenuto che su quello del messaggio di relazione) l’aiuto
stesso offerto per generare un cambiamento nelle persone.
A tale proposito va rilevato inoltre che le competenze comunicative possono essere
migliorate, ma ben difficilmente possono essere trasmesse alla stessa stregua di istruzioni tecniche
specifiche.
In un senso più generale, possiamo dire che, in presenza di una professionalità il cui
esercizio non può essere definito nei dettagli e non può essere trasmesso mediante prescrizioni,
assumono particolare rilevanza, quali forme di trasmissione delle abilità professionali, non solo
l’esempio di un maestro autorevole, ma anche ogni altra forma di diffusione tramite contatti
personali28. Indubbiamente la storia della formazione al servizio sociale in Italia e in Europa è stata
sempre caratterizzata dalla presenza di un tirocinio professionalizzante29 in cui i meccanismi di
trasmissione della conoscenza hanno seguito proprio questa modalità. Nonostante la
“burocratizzazione” del lavoro spesso lamentata dagli assistenti sociali quale tendenza strisciante
che spersonalizza e rende quasi automatica la scelta di prestazioni offerte in risposta alle richieste
degli utenti, anche l’esercizio della professione dell’assistente sociale è ben lontano dal poter essere
dettagliatamente descritto in forma prescrittiva, ma mantiene, nonostante tutto, una sua componente
di “artisticità”. A tale proposito, tra i molti, va ricordato il contributo di Dal Pra quando, rispetto al
dibattito sulla definizione del servizio sociale come arte o scienza, sostiene che l’assistente sociale
deve sviluppare un atteggiamento di creatività nel proprio modo di operare non riuscendo a
26
Polanyi M., La conoscenza personale Verso una filosofia post-critica, Milano, Rusconi, 1990, p. 143.
Ibid., pp.144 – 145.
28
Cfr. Polanyi M., La conoscenza personale Verso una filosofia post-critica, op. cit. , p. 139 – 140.
29
Campanini A. e Frost E. (a cura di), European Social Work, Roma, 2004, Carocci.
27
Corso di Metodi del servizio sociale – Schemi esemplificativi ed integrativi - A. Sicora
7
garantire la scientificità del proprio lavoro attraverso l’integrazione di questi elementi con il rigore
logico e metodologico30.
D’altro canto il “sapere pratico” non è meno rigoroso del pensiero logico. Si tratta
semplicemente di una diversa forma di rigore, ovvero di un “rigore senza esattezza” in quanto trae il
suo punto di forza dall’essere rivolto al conoscere per agire e dall’essere spendibile in situazioni
concrete piuttosto che nella formulazione di leggi universali31.
Ciò comporta che anche i rapporti di causalità ricercati dal professionista siano specifici
rispetto alla situazione e non di carattere generale. Argyris e Schön li definiscono come rapporti di
“design causality” perché si riferiscono alla relazione causale che connette l’intenzione di un attore
all’azione per realizzare tale intenzione32.
Anche per tale ragione il sapere pratico è tipologico e narrativo in quanto costitutivo di
significati. Pur mancando dell’universalità del pensiero paradigmatico o logico-scientifico, è dotato
di un’altra modalità pur sempre universale, ovvero di quella tipologica non caratterizzata da concetti
ma da figure ricomprensive. “Un tipo è un personaggio, una storia, un evento, un caso concreto,
significativi di una struttura intellegibile presente anche in altre realtà simili. Non è un puro
concetto e questo lo rende meno preciso, ma anche ricco di significati determinati e capace di
interpretare la realtà fattuale33”.
Come afferma Bruner, se da un lato il pensiero paradigmatico o logico-scientifico “ricorre
alla categorizzazione o concettualizzazione, nonché alle operazioni mediante le quali le categorie si
costituiscono, vengono elevate a simboli, idealizzate e poste in relazione tra loro in modo da
costruire un sistema” ed “è guidato da ipotesi basate su principi”, quello narrativo invece “si occupa
delle intenzioni e delle azioni proprie dell’uomo o a lui affini, nonché delle vicissitudini e dei
risultati che ne contrassegnano il corso”34.
Un professionista capace è tale anche poiché è in grado di governare consapevolmente la
“conoscenza nell’azione” (knowing-in-action). Questa forma di conoscenza tacita e “sommersa”
che nella vita di tutti i giorni è alla base di operazioni comuni e quasi automatiche quali, ad
esempio, andare in bicicletta o fare delle analisi istantanee da prospetti di bilancio si manifesta nella
pratica professionale quando vi siano azioni che dimostrano abilità delle quali il professionista
stesso non sa fornire una esplicita e convincente spiegazione 35.
Al contempo si rileva spesso una ampia distanza tra le teorie che vengono dichiarate per
descrivere e motivare l’azione e le teorie implicite in questa che, una volta individuate ed espresse,
sono in grado di spiegare meglio delle prime il perché di comportamenti attuati e di direzioni
seguite. Ad illuminare queste aree nascoste, ma estremamente importanti, dell’agire di un
professionista spesso concorrono quelle situazioni di errore o quelle situazioni in cui si diventa
consapevoli di fallimenti, paure e altre circostanze di solito rimosse in quanto sgradevoli.
Tuttavia tali situazioni di limite e di apparente debolezza possono essere trasformate in
opportunità di crescita delle competenze e delle conoscenze.
In tale senso sembra condurre questo primo insieme di riflessioni che, a partire dalla presa
d’atto dei limiti dell’idea stessa di oggettività scientifica, portano a riconoscere e a valorizzare le
potenzialità di una epistemologia del servizio sociale che fa del proprio “sapere pratico” un punto di
forza, non di rango inferiore ad altre forme di conoscenza ritenute più “nobili”. La consapevolezza
che anche l’agire professionale è guidato da “teorie insite nell’azione” spesso distanti dalle teorie
esplicitate, ma altrettanto frequentemente anche più efficaci di queste ultime, impone la necessità di
30
Cfr. Dal Pra Ponticelli M. (a cura di), I modelli teorici del Servizio Sociale, Roma, Astrolabio, 1985.
Botturi F., “Sapere pratico e servizio sociale”, op. cit., pp. 30 – 31.
32
Argyris C. e Schön D. A., Organizational learning II., op. cit. p. 41.
33
Botturi F., “Sapere pratico e servizio sociale”, op. cit., p. 32.
34
Bruner J., La mente a più dimensioni, Roma – Bari, Laterza, 2003, p.17 – 18.
35
Schön D. A., Educating the Reflexive Practitioner, op. cit., p. 25.
31
Corso di Metodi del servizio sociale – Schemi esemplificativi ed integrativi - A. Sicora
8
sviluppare, tra tradizione e innovazione del servizio sociale, nuove forme di “manutenzione” della
professionalità dell’assistente sociale competente.
A questo proposito può essere utile ricordare quanto Dal Pra afferma mentre si esprime in
merito alle modalità di acquisizione degli atteggiamenti professionali:
“Potremmo dire che parlare di acquisizione di atteggiamenti può essere facile, in fondo è
indicare come si dovrebbe essere; il problema più difficile è attuare un processo di formazione che
permetta e promuova tale acquisizione. Si deve sottolineare che l’apprendimento degli
atteggiamenti non è un processo che si realizza solo negli anni della scuola, ma deve continuare
tutta la vita.
Lo strumento più adeguato, sia a livello di formazione di base che di formazione
permanente, è la riflessione critica sul proprio lavoro alla luce di schemi di riferimento teorico. Ciò
presuppone che durante lo svolgersi, a volte frenetico, del proprio lavoro quotidiano si trovi
(volendolo e programmandolo) il tempo di riflettere su ciò che si sta facendo, che si possa compiere
questa riflessione con altri operatori (colleghi di lavoro, un consulente esterno che potrebbe essere
un docente di servizio sociale della Scuola36 di servizio sociale), e che si abbia la capacità di tenersi
continuamente aggiornati, attraverso letture, corsi, ecc., per poter confrontare ciò che si fa con ciò
che si dovrebbe fare”37.
Nel seguire e precisare meglio questa proposta, dopo questo pagine introduttive al tema
della conoscenza e della competenza professionali nel servizio sociale, i prossimi capitoli
svilupperanno più ampiamente due tra i più efficaci strumenti per il continuo miglioramento di un
“bravo” operatore: la formazione permanente e l’attivazione di processi di riflessività compresenti
all’azione. Tale trattazione viene sviluppata in due parti: mentre nella prima l’attenzione è centrata
sugli aspetti più propriamente epistemologici del tema, nella seconda vengono forniti spunti
operativi per lo sviluppo di un assistente sociale riflessivo.
3 Multidimensionalità
Alessandro Sicora
1. Premessa
Un elemento caratterizzante il Servizio sociale, con specifico riferimento a quello italiano, è dato
dal suo rifarsi ad una pluralità di dimensioni con le quali l’assistente sociale si confronta sia su un
piano cognitivo, sia nell’esercizio della sua specifica operatività.
Infatti la “multidimensionalità” (m.) (o pluridimensionalità) viene spesso posta in relazione a
termini quali: intervento, azione sociale e processo di aiuto. Più raramente si parla di “m. dei servizi
sociali”. Ricorrente è inoltre l’accostamento della m. ai concetti di plurifunzionalità e
multidisciplinarità per rafforzare la connotazione dell’assistente sociale quale professionista delle
pluralità sempre teso a comprendere e ricomporre cognitivamente e operativamente la complessità
delle situazioni sociali e di quelle individuali in esse inserite.
Come verrà meglio evidenziato in seguito, è frequente, inoltre, l’utilizzo del termine
“tridimensionalità” in ragione dell’attenzione che l’assistente sociale pone, sia in fase di valutazione
(in questo caso si parla anche di “ottica trifocale”) che d’intervento, a tre ambiti specifici, ovvero
quello dell’utente, della comunità e dell’organizzazione in cui è inserito il professionista.
2. Significati nel Servizio sociale
Dal Pra Ponticelli (1993, p. 12) afferma che “il Servizio Sociale Territoriale Italiano ha sempre una
visione e un’ottica “tridimensionale” in quanto si pone nel punto di intersezione fra l’utente, la
36
Dalla fine degli anni Ottanta le Scuole di servizio sociale hanno cessato di esistere e la formazione di base degli
assistenti sociali è diventata esclusivamente universitaria.
37
Dal Pra Ponticelli M., Lineamenti di Servizio Sociale, op. cit., p. 78.
Corso di Metodi del servizio sociale – Schemi esemplificativi ed integrativi - A. Sicora
9
struttura assistenziale e la comunità allo scopo di promuovere e sostenere legami tra loro esistenti
perché siano funzionali ad una azione di promozione personale e sociale delle persone, dei gruppi,
delle comunità, delle stesse istituzioni assistenziali, pubbliche e private. È pertanto un’attività
professionale complessa caratterizzata dal fatto che deve essere in grado di integrare ed armonizzare
diverse funzioni e differenti compiti e la cui caratteristica peculiare è rappresentata proprio
dall’equilibrio che riesce a trovare tra questi diversi aspetti”.
L’assistente sociale lavora quindi sulle interdipendenze tra utente (e sulla pluridimensionalità dei
suoi bisogni), struttura assistenziale (o ente o istituzione o organizzazione) e comunità. In tal modo
l’operatore è chiamato a ricomporre la complessità delle relazioni esistenti tra questi (ri)costruendo
un contesto di significato nell’ambito del quale orientare il processo d’aiuto attivato. Infatti, sempre
Dal Pra Ponticelli (2000b, p. 60) parla, con riferimento alle specifiche caratteristiche di
pluridimensionalità, di “ottica trifocale”, cioè della “capacità di integrare in una visione di insieme
l’intervento di aiuto-sostegno alla persona-famiglia, la progettazione, organizzazione e gestione di
servizi e strutture quali risorse indispensabili per l’intervento di aiuto alla persona, lo sviluppo e
l’integrazione di risorse di “mondi vitali” al fine di costruire un sistema integrato di prestazioni e
servizi”.
Ferrario (1990, p. 37), invece, inizialmente sostiene che “l’intervento dell’assistente sociale prevede
anche nel caso di un singolo utente attività diversificate e simultanee, che riguardano quattro
dimensioni: il soggetto, il suo ambiente e gli “altri significativi”, l’organizzazione di servizio, la
collettività”. In tale contesto la pluridimensionalità dell’intervento si esprime appunto nella
“simultaneità di azioni rivolte alla persona, ai diversi contesti, al territorio e all’organizzazione” (p.
35). Successivamente, tuttavia, la stessa autrice afferma che l’intervento sociale assume tre
dimensioni “non tanto poiché è indirizzato, a seconda dei casi, alle persone, nella e verso
l’organizzazione, nel e verso il territorio, ma perché, se ben condotto, sviluppa
contemporaneamente questi diversi aspetti” (Ferrario, 1996, p. 45 - 46).
Gui (2008, p. 186 - 187) enfatizza il valore conoscitivo insito nella “trifocalità” intesa sia come
attenzione costante a “vedere con nitidezza i soggetti con cui cooperare”, anche per sfuggire al
rischio di autoreferenzialità dei servizi e di chi opera in essi, che come continua tensione non solo a
riconoscere le “variegate e talvolta deboli espressioni” della comunità quale “soggetto plurale
capace di orientare i fini e i mezzi del proprio benessere”, ma anche ad esercitare una vigile capacità
di lettura nelle istituzioni in cui il professionista agisce.
Tale trifocalità, per lo stesso autore, costituisce in Italia una importante caratteristica distintiva del
Servizio sociale da altre discipline e professionalità. L’attenzione convergente verso i tre elementi
persona-comunità-istituzioni richiama, inoltre, le profonde connessioni esistenti tra gli orizzonti
conoscitivi e di intervento che fanno riferimento alle teorizzazioni in campo psicologico,
sociologico, giuridico-amministrativo e di scienze dell’organizzazione (Gui, 2004, p. 34).
La m. del Servizio sociale si manifesta quindi come capacità sia di lettura delle situazioni
problematiche che di azione su di esse da parte dell’assistente sociale. Tale attitudine si esprime in
relazione alla persona in condizione di bisogno (nonché sui rapporti con i soggetti prossimi
all’utente in quanto componenti il suo ambiente familiare e di vita), al territorio di appartenenza,
ossia alla comunità intesa come intreccio relazionale, e all’organizzazione dalla quale e con la quale
il professionista articola il processo d’aiuto. Dalle relazioni intra e infra tali tre sistemi trae origine
sia il problema che la sua soluzione. Poiché il Servizio sociale è “conoscenza che orienta
l’operatività” (Dal Pra, 1097, p. 79) appare consequenziale che su detti fuochi converga non
solamente l’attenzione del professionista ma anche, come afferma Dal Pra (2000a, pp. 55 – 56),
l’azione
intrapresa
da
quest’ultimo
per
portare
l’”individuo
ad
assumere
atteggiamenti/comportamenti più funzionali, più pertinenti per affrontare e risolvere i suoi
problemi”, la “comunità/ambiente ad acquistare atteggiamenti di maggiore tolleranza, solidarietà,
conoscenza dei problemi dei propri membri” e, infine, “l’istituzione (ente locale, Asl) a rendere le
proprie prestazioni sempre più adeguate alle esigenze della comunità”.
Corso di Metodi del servizio sociale – Schemi esemplificativi ed integrativi - A. Sicora
10
3. Dibattito attuale
Nella pubblicistica del Servizio sociale vi è spesso coincidenza tra pluralità delle dimensioni
d’intervento e pluralità delle funzioni del Servizio sociale come espresso, per citare alcuni autori,
già da Dal Pra Ponticelli (1987) e successivamente da Dellavalle (1995). Quest’ultima richiama le
tre dimensioni sopra individuate elencando le seguenti funzioni del Servizio Sociale: 1. la presa in
carico dell’utenza; 2. la promozione ed l’organizzazione di risorse, istituzionali, formali ed
informali; 3. lo studio dei problemi e delle risorse del territorio e la programmazione di interventi,
all’interno di un progetto globale.
Nella letteratura italiana di Servizio sociale degli ultimi anni, oltre che nelle opere dei teorici
precitati, l’articolazione tridimensionale viene ampiamente riconosciuta come costitutiva del lavoro
dell’assistente sociale da una pluralità di autori tra i quali si citano Campanini (2002, pp. 107 e
109), Andrenacci e Sprovieri (2004, p. 21) e Neve (2008, p. 235). Quest’ultima, come già in
precedenza Ferrario (1996, p. 45), parla anche di ottica bifocale del Servizio sociale come di una
focalizzazione sui meccanismi di interdipendenza tra persona e ambiente inserendo in quest’ultimo i
contesti di vita dell’utente, i soggetti istituzionali, la rete organizzata dei servizi, le risorse esterne
alle persone e gli interessi collettivi, ovvero di componenti che altri attribuiscono al fuoco
“comunità” o “istituzione/organizzazione”.
Inoltre, benché vi sia ormai ampio consenso sull’inserimento del territorio-comunità quale
dimensione dell’intervento sociale, non va tuttavia dimenticato che altri autori (Masini e Sanicola,
1988), pur rimarcando la co-presenza e l’integrazione di tre dimensioni del processo di aiuto, hanno
individuato come fondamentali il rapporto interpersonale, l’utenza (individuo, gruppo, comunità) e
l’organizzazione.
Di segno diverso, infine, Villa (2000, pp. 61 - 106) che, a proposito dei principi del Servizio sociale,
individua quali dimensioni quella filosofica, giuridica, etica a cui accosta una interpretazione
sociologica.
ANDRENACCI R., SPROVIERI S. (2004), Il lavoro sociale individuale: metodologia e tecniche di servizio sociale,
FrancoAngeli, Milano.
CAMPANINI A. (2002), L' intervento sistemico: un modello operativo per il servizio sociale, Carocci, Roma.
DAL PRA PONTICELLI M. (1987), Lineamenti di Servizio Sociale, Astrolabio, Roma.
ID. (1993), Il Servizio Sociale oggi in Italia, Associazione Italiana Docenti di Servizio Sociale - A.I.Do.S.S.
ID. (2000a), I soggetti in alcune teorie del servizio sociale: attualità di un dibattito, in Bianchi E., De Sandre I.,
Solidarietà e soggetti: servizio sociale e teorie di riferimento, Fondazione “Emanuela Zancan”, Padova, pp. 51 – 70.
ID. (2000b), Quali prospettive per il servizio sociale degli anni 2000? Riflessioni ed ipotesi di fronte alla legge quadro
di Riforma dell’Assistenza, in “La Rivista di Servizio Sociale”, n. 3.
DELLAVALLE M. (1995) La pluridimensionalità dell’intervento ed i diversi livelli di responsabilità dell’assistente
sociale, in “La Rivista di Servizio Sociale”, 2, pp. 3 – 12.
FERRARIO F (1990), “La dimensione dell’”ambiente” nel processo di aiuto”, in Coordinamento Nazionale Docenti di
Servizio Sociale, Il Servizio Sociale come processo di aiuto, FrancoAngeli, Milano, pp. 32 - 47.
ID. (1996), Le dimensioni dell’intervento sociale. Un modello unitario centrato sul compito, Carocci, Roma.
GUI L. (2004), Le sfide teoriche del servizio sociale: i fondamenti scientifici di una disciplina, Caroci, Roma.
ID. (2008), “Tre committenti per un mandato”, in Lazzari F., Servizio sociale trifocale, FrancoAngeli, Milano, pp. 169 186.
MAINI R., SANICOLA L. (1988), Avviamento al Servizio Sociale, Carocci, Roma.
NEVE E. (2008), Il servizio sociale: fondamenti e cultura di una professione, 2a ed., Carocci, Roma.
VILLA F. (2002), Dimensioni del servizio sociale: principi teorici generali e fondamenti storico-sociologici, 3 ed., Vita
e pensiero, Milano.
Corso di Metodi del servizio sociale – Schemi esemplificativi ed integrativi - A. Sicora
11
4 Il colloquio d'aiuto
4.1
Assiomi della comunicazione38



“Non si può non comunicare”
esempio: l'uomo che legge il giornale sul treno
contraddizioni e cambio di argomento per squalificare la comunicazione

“Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione di modo che il
secondo classifica il primo ed è quindi metacomunicazione”
“Questo è un ordine”, “Sto solo scherzando”
definizione del sé e dell’altro: (i) conferma, (ii) rifiuto, (iii) disconferma (“buono, molto buono”
detto indifferentemente se minestra buona o bruciata)






“La natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra
i comunicanti”
conflitti su ciò che è causa (es. aggressione) e ciò che è effetto (es. difesa) e corsa agli
armamenti
marito “Io mi chiudo in me stesso perché tu brontoli” VS. moglie “Io brontolo perché tu ti
chiudi in te stesso”
profezia che si autodetermina (“non piaccio a nessuno”  comportamento sospettoso 
diffidenza da parte degli altri  conferma della “profezia”: “non piaccio a nessuno”)

“Gli esseri umani comunicano sia con il modulo numerico che con quello analogico. Il
linguaggio numerico ha una sintassi39 logica assai complessa e di estrema efficacia ma
manca di una semantica40 adeguata nel settore della relazione, mentre il linguaggio
analogico ha la semantica ma non ha alcuna sintassi adeguata per definire in modo che non
sia ambiguo la natura delle relazioni”
Gli esseri umani comunicano sia con il modulo numerico che con quello analogico.Il linguaggio
numerico ha una sintassi logica assai piu’ complessa e di estrema efficacia, ma manca di una
semantica adeguata nel settore della relazione, mentre il linguaggio analogico ha la semantica ma
non ha alcuna sintassi adeguata per definire la natura della relazione.
sintassi = (studio dell') insieme della regole relative ai procedimenti tramite i quali le unità
sintattiche si combinano in frasi e in periodi
semantica = (studio del) significato delle parole; relazione tra segni linguistici e il loro significato
linguaggio analogico : rappresentazione degli oggetti per similitudine (immagini, gesti, ecc.)
linguaggio numerico : rappresentazione degli oggetti per segni convenzionali arbitrari
La comunicazione verbale (numerica) necessita del supporto del messaggio non verbale per
evitare possibili fraintendimenti. Il linguaggio non verbale contiene elementi analogici che si
trasmettono attraverso la postura, la gestualità, il tono della voce, la mimica e che corrispondono,
in parte, a universali del comportamento umano, in parte a codici culturalmente definiti. Ne
consegue un’indicazione di possibili applicazione pratica: è utile ascoltare il livello non verbale e
riconoscere se trasmettiamo messaggi rispettosi della cultura del ricevente in una posizione
38
Watzlawick, Paul; Beavin, Janet Helmick e Jackson, Don D.. Pragmatica della comunicazione umana, Roma,
Astrolabio, 1971, pp. 41-63.
39
per sintassi si intende, in linguistica, l’insieme delle relazioni grammaticali tra le parole che costituiscono una frase o, in generale,
un’espressione linguistica di più elementi e, nel linguaggio filosofico, quella parte della logica, e specificamente della semiotica, che ha per oggetto di
studio le relazioni tra i segni, indipendentemente dai significati (DISC Compact - Dizionario Italiano Sabatini - Coletti, Firenze, Giunti Gruppo
Editoriale, 1997)
40
per semantica si intende, in linguistica, l’analisi e lo studio del linguaggio dal punto di vista del significato e, in logica, lo studio del
rapporto fra i segni e gli oggetti a cui si riferiscono, cioè dei nessi fra i segni linguistici e i loro significati (DISC Compact - Dizionario Italiano
Sabatini - Coletti, Firenze, Giunti Gruppo Editoriale, 1997)
Corso di Metodi del servizio sociale – Schemi esemplificativi ed integrativi - A. Sicora
12
paritaria.

“Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari, a seconda che siano
basati sull’uguaglianza o sulla differenza”
Esempio: Il marito dice alla moglie: “Non mi hai ancora stirato le camice”
Risposta simmetrica della moglie:
Risposta complementare della moglie:
 Ho lavorato tutto il giorno e sono stanca.
 Che sbadata che sono! Le stiro subito!
Stiratele tu!
Risposta del marito:
Risposta del marito:
 simmetrica: Anch'io mi dimentico spesso le
cose. Fai con calma.
 simmetrica: Ogni scusa è buona per non
fare quello che dovresti!
 complementare: E' proprio vero: non ti
 complementare: Non arrabbiarti, cara.
ricordi mai niente!
Posso aspettare quando avrai tempo.
N.B. per una comunicazione efficace e’ importante saper metacomunicare
4.2 Comunicazione e lavoro sociale. Suggerimenti pratici
1.
2.
3.
4.
La comunicazione è tutto il comportamento della persona: “parliamo” con tutto il corpo, non
solo con le parole ----> fare attenzione al tono della voce, ai gesti, al modo di presentarsi, al
tono della voce propri e del nostro interlocutore
Non si può non comunicare (es. il treno e le strategie per evitare un interlocutore inopportuno) --> quale significato ha il silenzio o il ritirarsi della persona?
La comunicazione non è il messaggio che noi mandiamo, ma ciò che l’altro interpreta (es.
fraintendimento tra amici per un mancato saluto) ---> importanza dell’ascolto e del percepire
dal nostro interlocutore i “messaggi di ritorno” (feed-back), ovvero quelle frasi e quei
comportamenti che ci dicono ciò che l’altro ha capito di quanto gli abbiamo comunicato
La comunicazione si realizza su due livelli: quello di contenuto (la “notizia”, l’informazione
che trasmetto) e quello di relazione (l’atteggiamento che definisce il tipo di rapporto tra le due
persone che comunicano; il messaggio, spesso non verbale, che dice “Ecco come mi vedo...
ecco come ti vedo...; es. differenza dell’impatto di una informazione data in tono gentile
rispetto alla stessa informazione data in tono brusco da un impiegato dietro lo sportello di un
ente pubblico) ----> 1. importanza del controllo del tono della voce, dell’uscire dalla logica
della colpa e della rivendicazione (“Come ti è capitato di fare questo?” invece di “Perché hai
fatto questo?”) per comunicare accettazione e calore; 2. importanza della capacità di
“comunicare sulla comunicazione” (es. “Questo è un ordine”, “Sto solo scherzando”, “Stai
parlando sul serio?”, il paradosso del cretese che dice “Tutti i cretesi sono bugiardi”)
4.3 Tattiche e uso di domande per la conduzione del colloquio
1. Espressioni di comprensione e interesse (anche con riferimento all’uso consapevole della
comunicazione non verbale)
2. Ripetizione
dell’ultima/e parola/e pronunciate dall’utente (con tono interrogativo)
3. Chiarificazione e interpretazione
ripetizione di quanto detto dall’utente, ma in un linguaggio più familiare, anche in forma di
domanda
Dovrei capire che lei vuol dire…
Corso di Metodi del servizio sociale – Schemi esemplificativi ed integrativi - A. Sicora
13
Mi sta dicendo che...
Ho sentito che diceva di…
Voleva dire che…
4. Riassunto o ricapitolazione
Vediamo se sono riuscito a capire: da ciò che ho sentito, la sua situazione è così e così…
Per riassumere ciò di cui abbiamo discusso…
Negli ultimi dieci minuti abbiamo parlato… e mi sembra che lei stesse dicendo…
5. Domande
Aperte: Cosa….? Come…? Cosa/come pensa di…? Come si sente….?
Evitare risposte si/no: piuttosto che domandare Le riesce difficile andare avanti con questo
sussidio? Meglio dire “Come è riuscita ad andare avanti con questo sussidio?
Domande investigative: Utente: Sono stanca, Assistente sociale: Cosa la rende così stanca?/Mi può
fare qualche esempio?
Domande investigative ipotetiche: Supponiamo che Lei facesse…. Supponiamo che avesse… Cosa
crede succederebbe se lei dicesse….
6. Domande lineari e domande relazionali
Domande lineari: Come si chiama? Dove abita?...
Domande relazionali: es. domande triadiche o circolari: si rivolgono ad un componente della
famiglia per conoscere come vede la relazione tra altri due componenti, possibilmente alla presenza
di tutti
Come si è comportata sua moglie quando suo figlio è scappato di casa?
Come reagisce sua moglie quando lei si mette a bere?
Domande lineari possono essere “cosa la rende infelice?” o “quando è diventato così infelice?” ,
mentre domande circolari possono essere “cosa fa il suo partner quando lei si sente così infelice?”
5 La valutazione
valutazione = “complesso di attività coordinate, di carattere comparativo, basate sulla ricerca delle
scienze sociali e ispirate ai suoi metodi, che ha per oggetto interventi intenzionali e in quanto tali
dotati di razionalità strumentale o sostantiva, con l’obiettivo di produrre un giudizio su di essi in
relazione al loro svolgersi o ai loro effetti” (Palumbo, 2001: p. 61)
5.1 Gli indicatori
Impossibilità di percezione/osservazione diretta di molti concetti inerenti fenomeni sociali quali
 opinioni e atteggiamenti (es. pregiudizi verso gruppi o minoranze etniche, ecc.)
 valori sociali e modelli culturali (es. laicità)
 processi sociali e fenomeni culturali (es. modernizzazione, disagio/benessere, ecc.)
“Un indicatore è un fenomeno (…) che viene assunto per rivelare la presenza di un altro fenomeno,
non direttamente osservabile” (Nigris 2005: 282)
5.2 Valutazione e progettazione, quando?

prima (ex ante)
informalità (criteri)
 durante (in itinere)
← indicatori di processo
 dopo (ex post)
← indicatori d'esito (efficacia, impatto, efficienza)
Corso di Metodi del servizio sociale – Schemi esemplificativi ed integrativi - A. Sicora
14
5.2.1 valutazione in itinere
→ ritratto funzionamento programma mediante:
 descrizione di:
 chi, cosa, quando
 risorse impiegate (monitoraggio)
 comprensione (v. di processo)
→ feedback (a responsabili/finanziatori/operatori)
→ aggiustamenti in itinere & base dati pro v. ex post (come e perché esiti)
5.2.2 valutazione ex post
valutazione su:
 efficacia (rispetto a ob.)
 impatto (= tutti i cambiamenti)
 rilevanza (= incidenza su problema)
 efficienza (costi/ricavi)
 produttività (risorse/output es. costo unitario 1 h ass. domiciliare)
 riproducibilità
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15
II parte
6 Principali modelli teorici di servizio sociale
6.1 Definizioni di modello41
1. Termine di riferimento ritenuto valido come esempio o prototipo e degno d'imitazione; cosa o
persona assunta come soggetto per un ritratto, un disegno, una costruzione ecc. @ esempio,
esemplare, campione: seguire il m.; un m. da imitare; un nuovo m. di sviluppo; un m. di bontà,
prendere a m. qlcu. o qlco.; tenere a m.
2. Prototipo, tipo: inventare un nuovo m. di televisore; estens. oggetto industriale che riproduce
tale prototipo: il m. di un nuovo aereo; il m. di un’automobile; in sartoria, sagoma in carta delle
parti da riportare su stoffa per ricavarne un vestito: il m. di un abito; estens., il vestito ricavato
da sagome originali: un m. esclusivo
3. Uomo che per professione posa per artisti o che indossa capi d’abbigliamento per fotografie,
sfilate di moda
4. Riproduzione in scala ridotta di strutture edilizie, meccaniche e sim. @ plastico: presentare i
diversi m. di un ponte; riproduzione a scopo didattico di organismi o parti di essi: un m. di
corpo umano
5. Stampo per fusione o per altri tipi di lavorazione: fondere molti vasi con lo stesso m.; anche in
senso fig., la pasta di cui uno è fatto, il carattere, il tipo cui pare ispirarsi: le due sorelle
sembrano fatte con lo stesso m.
6. Nel l. burocratico, modulo a stampa, spesso contrassegnato da una sigla, per usi amministrativi
@ stampato: il m. 101 rilasciato dal datare di lavoro; dichiarazione da presentare su m.
ministeriale
7. Schema teorico scelto come rappresentativo di una classe di fenomeni: m. epistemologico,
economico Il modello matematico, il complesso delle equazioni che descrivono in modo
semplificato le relazioni che si ipotizza possano esistere tra un gruppo di fenomeni per spiegarne
lo svolgimento
6.2 Il concetto di "modello" nella ricerca e nella speculazione
scientifica.
1. "MODELLO" (= classificazione e sintesi di complessità attraverso categorie logiche) come:
1.1. rappresentazione sintetica di fenomeni
1.2. forma esemplare e rappresentativa di una classe di fenomeni
1.3. norma, criterio di comportamento
1.4.
costruzione teorica e artificiale
2. FUNZIONI DEL MODELLO:
2.1. modelli come enunciati descrittivo-esplicativi (a fini "sistematici")  valore euristico
dei modelli (ideal-tipo Weber o tertium comparationis come strumento di indagine per
sistematizzazione razionalizzatrice dei materiali assemblati  ruolo attivo ricercatore in
utilizzazione modello a fini euristici)
2.2. modelli prescrittivi (a fini "assiologici"  assiologia = scienza o teoria dei valori)
3. MODELLI E SERVIZIO SOCIALE: modelli teorici quali schemi teorico-orientativi per:
41
Voce “Modello” in AA.VV. Dizionario della lingua italiana, Giunti, Firenze, 1997
Corso di Metodi del servizio sociale – Schemi esemplificativi ed integrativi - A. Sicora
16
3.1.
3.2.
3.3.
l’esplorazione della realtà
la ricerca di relazione tra dati
la pratica (conoscere per orientare l’operatività)
6.3 Variabili considerate nei modelli del servizio sociale
1. chi ha il problema/chi è l’utente
2. cos’è il bisogno/problema
3. cause del problema
4. area d’azione del servizio sociale
5. livelli a cui opera il servizio sociale
6. chi e con chi opera l’assistente sociale
7. obiettivi
8. risorse
9. fasi
10. mezzi (attraverso cui opera l’ass.soc)
Corso di Metodi del servizio sociale – Schemi esemplificativi ed integrativi - A. Sicora
17
6.4 Evoluzione storica dei modelli del servizio sociale
MODELLI DEL SERVIZIO SOCIALE
(= modelli per la pratica; risultato della mediazione fra
scienze sociali e prassi del Servizio Sociale)
inizio: condizioni ambientali
anni ‘20: scuola diagnostica di M. Richmond
(influenza Freud e centralità di diagnosi
psicologica personalità)
modelli di impostazione medica
(studio-diagnosi-trattamento)
anni ‘30: modello funzionale di V. Robinson
(interesse per integrazione psico-sociale e aspetti
psico-sociali personalità [neofreudiani non
deterministi] e rapporto con ente e operatori)
anni ‘40 -’60: modello psico-sociale di Hollis
(riconoscimento potenzialità della persona
neofreudiani [Anna Freud e Erikson], psicologia
umanistia [Rogers e Maslow]) e problem solving di
Perlman (1957)
modelli di passaggio (fine anni ‘60)
modelli olistici o integrati (dopo ‘70)
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 modello di modifica del comportamento di Yehu (1972)
 modello centrato sul compito di Reid (1972 - 78)
 modello esistenziale di Germaine (1979)
modello unitario
modello integrato di Pincus e Minahan
18
6.5 Servizio Sociale italiano e modelli – anni Ottanta e Novanta42
università quale sede unica della formazione di base a fine anni Ottanta  sviluppo letteratura e
convegni
principali contributi italiani:
AUTORI
ANNO
Milana e Pittaluga
Masini e Sanicola
Campanini e Luppi
Lerma
1983
1988
1988
1992
modello unitario centrato sul compito
Ferrario
1996
anni 90
anni
80
PARADIGMA/ORIENTAMENTO
psicoanalitico
psicosociale
sistemico
sistemico
6.6 Modello psico-sociale43
MODELLO PSICO-SOCIALE (Hollis 1964)
in filone scuola “diagnostica” (studio – diagnosi – trattamento) influenzato da neofreudiani (A. Freud, Erickson) e psicologia umanistica; riferimenti Hollis a teoria dei
sistemi
2. chi ha il problema/chi individuo
è l’utente
3. cos’è il bisogno/
bisogno = “manifestazione di un problema di adattamento sociale, discrepanza nel
4. problema
reciproco adattamento tra l’individuo e le altre persone a cui è legato”44 (ovvero
risposta inadeguata a pressioni ambientali conseguente disfunzioni nel processo di
adattamento e integrazione fra l’individuo e la sua situazione sociale)
5. cause del problema
Cause pregresse, spesso risalenti all’infanzia (teorie psicanalitiche)
6. livelli a cui opera il
Trattamento diretto (utente)* e indiretto (ambiente)  mediazione, chiarificazione,
serv.soc.
informazione, influenza su persone significative
7. con chi opera
Individui
l’ass.soc.
8. obiettivi
 “cambiamento nell’individuo/i o nella situazione o in entrambi”45
 Riflessione sugli aspetti dinamici ed evolutivi dei propri modelli comportamentali +
Cura percezioni distorte di sé e delle situazioni  insight (presa di coscienza
configurazione individuo-situazione  aiuto a comprensione propri pensieri ed
emozioni)
9. fasi
1. f. iniziale (capire ragioni 1° contatto, stabilire rapporto, impeganre utente nel
trattamento, inizio trattamento, studio psicosociale)
2. valutazione dell’utente nella sua situazione (programmazione obiettivi e
trattamento)
10. mezzi (attraverso cui Comunicazione (sostegno, influenza diretta, catarsi, esplorazione, comunicazione
opera ass.soc.)
riflessiva)* 

esplorazione continua
1. fonti teoriche
42
Dal Pra, Maria. I modelli teorici del Servizio Sociale, Roma, Astrolabio, 1985
Elaborazione da Dal Pra Ponticelli, Maria. I modelli teorici del servizio sociale, Roma, Astrolabio, 1985
44
Hollis, Florence. “L’approccio psicosociale nella pratica del servizio sociale”, Dal Pra Ponticelli, Maria. I modelli
teorici del servizio sociale, Roma, Astrolabio, 1985, p.103
45
idem, p. 104
43
Corso di Metodi del servizio sociale – Schemi esemplificativi ed integrativi - A. Sicora
19




11. efficacia
verbalizzazione in accettazione
considerazione riflessiva su complesso individuo-situazione
sostegno verbale
comunicazione di tipo direttivo
Settore medico e psichiatrico
6.7 Modello del problem solving46
PROBLEM SOLVING47
(Perlman 1957 )
n.b. superamento schema
“medico” studio – diagnosi –
trattamento  analisi iniziale
è già trattamento
1. fonti teoriche
2. chi ha il problema/chi
è l’utente
3. cos’è il
bisogno/problema
4. cause del problema
5. livelli a cui opera il
servizio sociale
6. con chi opera
l’assistente sociale
7. quali sono le risorse
8. obiettivi
9. fasi
10.mezzi (attraverso cui
opera ass.soc.)
11.efficacia
conoscenze psicosociali (psicologia dell’Io) e orientamento cognitivistico
individuo
difficoltà nella soluzione dei problemi
1. mancanza di mezzi e risorse, 2. ignoranza o cattiva comprensione dei fatti, 3.
esaurimento energie emotive o fisiche, 4. sentimenti troppo intensi (es. ansia), 5.
cronicizzazione assoggettamento ad emozioni, 6. no sistematicità in pensiero e
azione
livello individuale + alcuni aspetti dell’ambiente
Individui
capacità dell’individuo e dell’assistente sociale
“Il processo di servizio sociale individuale sostiene, integra e fortifica le funzioni
dell’io del cliente”
 immediato: ridurre l’ansia (visione più chiara), diminuire le difese vs. sorgente di
aiuto e apprendere comportamento adeguato
 di fondo: impegnare dinamismo interno per processo di apprendimento sociale
(azioni appropriate sia alla realtà sociale sia al raggiungimento dei propri fini
consapevolmente scelti)  lavoro utente sui propri sentimenti, atteggiamenti, idee
e comportamenti
3. chiarificazione fatti del problema
4. riflessione (penetrare i fatti per coglierne i nessi)
5. decisione (esame congiunto delle alternative e delle conseguenze)
 rapporto professionale
 sistematica discussione e azione su problema
 uso di servizi, prestazioni e risorse
adatto per persone autonome, in crisi temporanea, con incapacità di mediare tra
risorse e problemi
6.8 Modello centrato sul compito48
MODELLO CENTRATO SUL COMPITO (Reid 1972)
1. chi ha il problema/chi
è l’utente
individuo
46
Elaborazione da Dal Pra Ponticelli, Maria. I modelli teorici del servizio sociale, Roma, Astrolabio, 1985
Perlman H., Social Casework: a Problem Solving Process, 1957
48
Elaborazione da Dal Pra Ponticelli, Maria. I modelli teorici del servizio sociale, Roma, Astrolabio, 1985
47
Corso di Metodi del servizio sociale – Schemi esemplificativi ed integrativi - A. Sicora
20
2. cos’è il
bisogno/problema
3. cause del problema
4. area d’azione del
servizio sociale
5. livelli a cui opera il
servizio sociale
6. con chi opera
l’assistente sociale
7. quali sono le risorse
8. obiettivi
9. fasi
10.mezzi (attraverso cui
opera ass.soc.)
11.efficacia
capacità non sfruttate dell’individuo
comportamento errato
attenzione a ciò che l’utente e l’ass.soc. possono cambiare, non alle cause remote
individuale + alcuni aspetti dell’ambiente (influenzare e sensibilizzare persone
significative)
individui
capacità dell’individuo
apprendimento sociale
1. specificazione del problema
2. contrattazione
3. pianificazione del compito (sperimentare nuovi comportamenti)
4. analisi e rimozione ostacoli
5. sperimentazione e attività guidata
6. revisione del compito
7. conclusione
 rapporto professionale
 Ente (“autorità” dell’ass.soc.)
problematica particolare e limitate difficoltà di svolgere dei ruoli
6.9 Passaggio dall’epistemologia psicoanalitica a quella sistemica49



DA:
Trasmissione di energia
Individuo come sistema chiuso
Interesse verso i processi intrapsichici





Causalità lineare
Scarsa attenzione al contesto



Il sintomo come espressione di conflitti
intrapsichici
Interesse verso il passato
Interpretazione e insight come obiettivo
terapeutico





A:
Trasmissione di informazioni
Individuo come sistema aperto
Interesse verso le interrelazioni e i processi
comunicativi
Causalità circolare
Importanza del contesto nello sviluppo del
sintomo
Il sintomo come espressione di una situazione
interpersonale
Interesse verso il presente
Cambiamento come obiettivo terapeutico
6.10 Modello integrato50
MODELLO INTEGRATO (Pincus e Minahan, 1973)
1. chi ha il problema/chi
è l’utente
2. cos’è il
bisogno/problema
3. area d’azione del
servizio sociale
4. livelli a cui opera il
servizio sociale
49
50
sistemi
attributo del rapporto tra persona/-e e risorse
interazione tra persone e loro ambiente sociale
 individuo (problem-solving)
 rapporto (interazione tra bisogni e risorse)
Campanini, Annamaria e Luppi, Francesco. Servizio sociale e modello sistemico, Roma, NIS, 1988
Elaborazione da Dal Pra Ponticelli, Maria. I modelli teorici del servizio sociale, Roma, Astrolabio, 1985
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21
5. chi è l’assistente
sociale
6. con chi opera
l’assistente sociale
7. quali sono le risorse
8. obiettivo
9. fasi
10.mezzi (attraverso cui
opera ass.soc.)
 sistemi (formali e sociali)
agente di cambiamento
sistemi (s. agente, s. di cambiamento, s. cliente, s. bersaglio)
risorse sistemiche (naturali, formali, sociali)
Stabilire, facilitare, modificare i legami tra persone e sistemi di risorse  “aiutare le
persone a sviluppare e usare in modo efficace le capacità personali di reazione e di
problem solvine”
1. individuazione problema
2. instaurazione del rapporto
3. chiarificazione o diagnosi
4. analisi dei possibili obiettivi
5. individuazione delle azioni di cambiamento
6. presa di coscienza del cambiamento
7. conclusione rapporto
 rapporti instaurati con i 4 sistemi coinvolti --> collaborazione/
contrattazione/conflitto
 contratto ass.soc.-sistemi
7 La documentazione
7.1 Accesso alla documentazione della Pubblica Amministrazione
legge 7 agosto 1990 n. 241 Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di
accesso ai documenti amministrativi
“E’ considerato documento amministrativo ogni rappresentazione grafica, fotografica,
elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni, formati dalle
pubbliche amministrazioni o, comunque, utilizzati ai fini dell’attività amministrativa” (art. 22.2)
diritto di accesso  dovere di trasparenza
obbligo mitivazione (presupposti di fatto e ragioni giuridiche) per ogni provvedimento
amministrativo
i cittadini hanno diritto a (art. 10):
 prendere visione degli atti (ma facoltà di differimento se lesione diritto riservatezza terzi o
impedimento o grave ostacolo a svolgimento azione amm.va)  richiesta accesso motivata e
rivolta a P.A. che ha prodotto o detiene stabilmente documento
 presentare memorie scritte e documenti (che la P.A. ha l’obbligo di valutare)
7.2 Tutela delle persone rispetto al trattamento dati personali e
sensibili nell’ambito degli enti pubblici
Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 - Codice in materia di protezione dei dati personali
Art. 18. Principi applicabili a tutti i trattamenti effettuati da soggetti pubblici
1. Le disposizioni del presente capo riguardano tutti i soggetti pubblici, esclusi gli enti pubblici
economici.
2. Qualunque trattamento di dati personali da parte di soggetti pubblici è consentito soltanto per lo
svolgimento delle funzioni istituzionali.
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22
3. Nel trattare i dati il soggetto pubblico osserva i presupposti e i limiti stabiliti dal presente codice,
anche in relazione alla diversa natura dei dati, nonché dalla legge e dai regolamenti.
4. Salvo quanto previsto nella Parte II per gli esercenti le professioni sanitarie e gli organismi
sanitari pubblici, i soggetti pubblici non devono richiedere il consenso dell'interessato.
(omissis)
Art. 19. Principi applicabili al trattamento di dati diversi da quelli sensibili e giudiziari
1. Il trattamento da parte di un soggetto pubblico riguardante dati diversi da quelli sensibili e
giudiziari è consentito, fermo restando quanto previsto dall'articolo 18, comma 2, anche in
mancanza di una norma di legge o di regolamento che lo preveda espressamente.
(omissis)
Art. 20. Principi applicabili al trattamento di dati sensibili
1. Il trattamento dei dati sensibili da parte di soggetti pubblici è consentito solo se autorizzato da
espressa disposizione di legge nella quale sono specificati i tipi di dati che possono essere trattati e
di operazioni eseguibili e le finalità di rilevante interesse pubblico perseguite.
(omissis)
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23
7.3 Dati personali e dati sensibili
DATO PERSONALE:
DATO ANONIMO:
qualunque informazione relativa a persona fisica, persona
giuridica, ente od associazione, identificati o identificabili,
anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi
altra informazione, ivi compreso un numero di
identificazione personale
il dato che in origine, o a seguito di trattamento,
non può essere associato ad un interessato
identificato o identificabile
DATO SENSIBILE
idoneo a rilevare l’origine razziale ed etnica, le
convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le
opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati,
associazioni od organizzazioni a carattere religioso,
filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali
idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale
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24
7.4 Dal dato all’azione
DATO
ELABORAZIONE
AUMENTO DI SIGNIFICATIVITA’
(anche in produzione di documentazione)
INFORMAZIONE
DECISIONE
AZIONE
Dato =
1. espressione generica usata per indicare operandi o fattori costituiti da numeri, caratteri alfabetici
o simboli che designano una qualunque condizione, valore o stato
2. descrizione oggettiva, originaria e non interpretata di un evento
Informazione:
 = insieme di dati memorizzati, classificati, organizzati, messi in relazione e interpretati
nell’ambito di un contesto dotato di significato
 quantità e qualità delle informazioni: la mappa non è il territorio (per andare a Roma serve una
cartina stradale, non una fotografia dell’Italia)
 informazione sociale: pertinente, efficace, efficiente; accessibile, tempestiva, rilevante; di
esercizio (operatività) e di governo
Sistema informativo = trasferimento organizzato d’informazioni in un’organizzazione, ovvero
l’insieme dei metodi, delle procedure e degli strumenti per la gestione (raccolta, classificazione,
associazione, conservazione e reperimento) delle informazione
7.5 Definizione di documentazione:
1. insieme dei dati, dei documenti (= qualsiasi cosa che costituisce materiale d’informazione o che
può essere utile a documentare qualcosa) e simili che consentono di documentare (= comprovare
o dimostrare qualcosa con documenti)
2. operazione di stesura, raccolta e classificazione di materiale informativo e dimostrativo per usi
specifici, collegata in tutto o in parte al sistema informativo dell’ente
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25
7.6 Verbale di riunioni

51
Utile per partecipanti (“memoria” e “oggettivazione” della riunione) e destinatari esterni
(bisogno di informazione)

Segretario: responsabile ufficiale della memorizzazione

Rispetto espressione dei singoli partecipanti

Dosagggio quantità appunti 
1. tipo resoconto, utilizzo e destinatari
2. tipo di conduzione (il moderatore sintetizza i punti chiave e le conclusioni? A voce? Su
lavagna? Su fogli?)
3. rispetto dell’ordine del giorno
4. “clima” della discussione (attenzione a precisione quando esiste disaccordo)

Quale tipo di appunti:
1. esaustivi (es. registrazione audio)
2. selettivi (in dettaglio solo alcuni punti della discussione)
3. imperniati sulle decisioni

1.
2.
3.
4.
5.
Informazioni essenziali:
data e luogo della riunione
obiettivo
nome e funzione dei partecipanti
nome del moderatore (o conduttore o presidente) e del segretario (o verbalista) della seduta
ordine del giorno (se ufficializzato)
7.7 Tecniche per la stesura di un verbale
1)
2)
3)
4)
5)
scrivere rapidamente e con abbreviazioni
ascolto attivo dei punti di vista esposti
individuazione delle parole chiave
sintesi (per riformulare in modo conciso)
scelta dei momenti chiave:
a) proposta di un nuovo tema
b) conclusione-sintesi
6) utilizzo di tabelle e schemi per evidenziare
a) punti di divergenza e convergenza
b) relazioni fra causa ed effetto
Esempi di tabelle:
Esempio: alcuni partecipanti esprimono punti di vista differenti sulle possibili soluzioni di un
problema
Enunciato delle soluzioni
Argomenti a favore
Argomenti contrari
Soluzione 1
…..
…..
Soluzione 2
…..
……
…..
Esempio: in una riunione per lo studio di problemi è possibile prevedere una o più schede per ogni
fase della riunione
51
Fonte: Simonet, Renée e Jean. Scrivere per ricordare, FrancoAngeli
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26
I problemi
Le cause
La decisione
Le soluzioni possibili
Vantaggi
S1
S2
S3
Svantaggi
Le modalità d’azione
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