La diaspora della collezione numismatica di Alfonso II d`Este1

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La diaspora della collezione numismatica di Alfonso II d`Este1
CARLO POGGI
La diaspora della collezione numismatica di Alfonso II d’Este1
In molte collezioni numismatiche vi sono monete,
prevalentemente greche e romane, recanti un piccolo
intarsio ovale –d’argento o d’oro– sul quale è stata
punzonata una piccola aquila. Da oltre tre secoli si
protrae una querelle, che si ravviva periodicamente, relativa all’identificazione della collezione originaria alla
quale appartennero quando vennero così contromarcate2. L’attribuzione è sempre oscillata tra la famiglia dei
Gonzaga, signori di Mantova e quella degli Estensi
duchi di Ferrara e poi di Modena.
L’esame di circa un migliaio di esemplari con la contromarca, osservati sino ad oggi, ha permesso di constatare come l’inserimento dell’intarsio non sia l’unica
modifica fisica subita dalle monete. In particolare, come
si è già notato, alcune di esse presentano asportazioni di
metallo effettuate per poterle accomodare su piedistalli:
molte altre recano segni di lima per regolarizzarne i
bordi6. Tale intervento deve essere ricondotto ad un
innesto delle monete all’interno di cornici o “tavolette”,
Ho già affermato come tali esemplari debbano riferirsi alla collezione ducale estense, dell’epoca di Alfonso
II (1559-1597), che ne affidò le cure, in momenti
successivi, a Enea Vico e a Pirro Ligorio, due dei più
celebri antiquari del tempo3.
1. Questa ricerca è stata possibile grazie al finanziamento del progetto Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, ricerca fondamentale orientata: Collezionismo, cultura numismatica e formazione delle
istituzioni pubbliche fra XVI e XX secolo coordinato dalla prof. Emanuela
Ercolani Cocchi.
2. Per una storia delle diverse attribuzioni e la bibliografia precedente cfr. Simonetta B., Riva R.: “Aquiletta” estense o “aquiletta “gonzaga?, in NAC, VIII, 1979, pp. 359-373 e Poggi C.: Le collezioni
numismatiche estensi tra XVII e XVIII secolo: “un prezioso avanzo” in Sovrane Passioni. Studi sul collezionismo Estense. Milano 1998 pp.
215-237.
3. Ho proposto per la prima volta l’attribuzione ad Alfonso II in
Poggi C. (1998) op. cit. p. 220 riprendendola con elementi che
giudico decisivi in Poggi C.: La collezione numismatica di Alfonso
II d’Este: una attribuzione delle monete recanti la cosiddetta
“aquiletta estense o gonzaga” in Proceedings of the 3rd International
Numismatic Congress in Croatia, Pula 2002, pp. 189-200.
Quest’ultimo lavoro prende le mosse dal classico lavoro di
Cavedoni, C.: Delle monete antiche in oro un tempo del Museo
Estense descritte da Celio Calcagnini, intorno all’anno MDXL,
memoria dell’abate sig. d. Celestino Cavedoni letta nell’adunanza
del 13 maggio 1825. In Memorie della Reale Accademia di Scienze Lettere
e d’Arti di Modena, tomo I, parte III, 1825 pp. 77-112.
4. L’avanzamento di questa ricerca è stato possibile grazie alla cortesia di molti conservatori numismatici che mi hanno consigliato e
agevolato nelle ricerche dei materiali. Chi volesse discutere alcuni
di questi temi o segnalarmi monete estensi presso collezioni pubbliche o private può contattarmi al seguente indirizzo: Carlo
Poggi, via Misley 12/3 41100 Modena, Italia [email protected]
5. Corradini E.: Le spoliazioni francesi delle collezioni dei duchi
d’Este e Cavani P.: Le spedizioni degli oggetti d’arte della Galleria
delle Medaglie a Venezia in Modena napoleonica nella cronaca di Antonio
Rovatti, Modena repubblicana 1798-99, Modena 1996, pp. 11 - 39, 6.
6. Poggi C.: (2002) op. cit. p. 196. La maggior parte delle monete
d’oro reca questi segni; che potrebbero essere dovuti ad una tosatura. Le monete non sembrano, però, aver subito una significativa
riduzione ponderale che giustifichi economicamente l’intervento.
Potrebbero, ancora, essere tracce di saggi effettuati a Venezia o a
Firenze per verificarne la qualità dell’oro, ma i segni ricorrono
lungo tutto il bordo della moneta e non in un solo punto.
Da alcuni anni ho iniziato un censimento di tutti i
materiali recanti il contrassegno, per preparare un’edizione di una delle più vaste fra le collezioni cinquecentesche di monete classiche4.
Le monete contromarcate costituiscono una parte
scelta della raccolta, che andò dispersa a causa delle
difficoltà finanziarie degli Estensi dopo l’abbandono di Ferrara nel 1598; in queste pagine si presenterà un quadro sintetico, frutto di mie indagini
d’archivio, relativo alle vicende che ne hanno determinato una prima diaspora, fornendo così nuovi riscontri al loro definitivo riconoscimento. La
dispersione di tutte le monete, oggi in decine di
collezioni europee, ebbe infatti origine dalla città di
Modena, dove la corte Estense si era trasferita nel
1598, ed avvenne a più riprese dal 1599 sino all’età
napoleonica5. Originariamente le monete dei tre
metalli dotate di contromarca, per quanto si è potuto stimare, dovevano essere un numero compreso tra
1.500 e 2.500 esemplari, che sembrano essere selezionati all’interno di una collezione composta di
almeno 12.000 pezzi, la cui stima potrebbe forse
anche giungere a 15.000.
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modalità espositiva già riscontrata per il XVI secolo in
ambiti diversi, tra i quali proprio quello ferrarese7.
Monete alterate in questo modo dovevano essere abbastanza comuni, a giudicare dalla testimonianza più tarda
del francese Louis Jobert: “Non si deve tuttavia lasciarsi
ingannare da certe Medaglie, ch’essendo state incassate in piccole
cornici o di metallo, o di corno, o di legno, hanno gli orli limati,
essendo stato necessario il renderle rotonde, perché ciò non fa che
non sieno buone ed antiche”8.
ne finanziaria15. Il duca fu così costretto ad attuare una
politica di ridimensionamento della corte, procedendo alla
dismissione di alcune residenze ducali fuori dallo stato.
Certo è che le monete furono contromarcate in corrispondenza di un intervento di allestimento del medagliere che pensiamo possa essere collocato nell'ultimo
trentennio del ’5009. È possibile sia quello al quale fa
riferimento un documento anonimo intitolato “Ordine
da tenersi ne l’accommodar le Medaglie de l'Illustrissimo et
Eccellentissimo Signor Duca di Ferrara”, già segnalato da
Elena Corradini ed edito da Federica Missere Fontana,
databile al secondo cinquecento e contenente le disposizioni per una sistemazione delle monete delle
collezioni ducali ferraresi10. Tale assetto (cfr. tab. I)
comprendeva otto diverse sezioni e risulta assai interessante l’istituzione in questa occasione di una “successione di Medaglie battute da’Provincie di Grecia in honor
d'Imperatori Romani” con il proposito di “ampliarla più che
si può, perché sarà nuova et al mio parer assai rara”11.
7. Di un inserimento delle monete entro tavolette fa cenno una nota
lettera di Celio Calcagnini a Bonaventura Pistofilo, nella quale si
sottolinea come potessero essere viste da ambo i lati senza toccarle. Il riferimento è stato interpretato in maniera differente;
Corradini E.: Il Medagliere dei duchi d’Este: i 550 anni di una
collezione, in Actes du Xie congrès international de numismatique,(Bruxelles,
8-13 septembre 1991), Louvain la Neuve 1993, p. 406 lo ritiene relativo alla collezione ducale, mentre altri pensano sia proprio della
collezione del Pistofilo; cfr. Missere Fontana F.: Raccolte numismatiche e scambi antiquari del Cinquecento. Gli Stati Estensi, in
Atti e Memorie dell’Accademia Nazionale di Scienze Lettere e Arti di Modena,
serie VII, XI, 1993, p.217 e Missere G.- Missere Fontana F.: Una
silloge numismatica del secolo XVI: Celio Calcagnini e la raccolta estense,
Modena 1993 p. 27 n. 332 e 334.
8. La scienza delle medaglie. Nuova edizione con annotazioni storiche e critiche tradotta dal francese dal padre Alessandro Pompeo Berti, Venezia 1756 p. 226, traduzione italiana dell’opera di Louis Jobert, La Science des Médailles, edita
a Parigi nel 1693 che conobbe numerosissime edizioni e traduzioni.
9. È possibile che le monete siano state adattate a cornici e piedistalli in un momento precedente rispetto all’apposizione della contromarca e possano essere compatibili con l’assetto che
conosciamo per la collezione di Ercole II. L’inserimento dell’intarsio, la cui impronta costituisce un segno di proprietà e deve aver
avuto la funzione di impedire sottrazioni o sostituzioni, potrebbe
anche essere stato deciso proprio in seguito all’abbandono delle
cornici stesse che garantivano agli esemplari una migliore protezione dai furti.
10. Cfr. Corradini E.: (1993) cit. p. 409 e Missere Fontana F.: (1993)
op. cit. pp. 229-230, 250.
11. Cfr. Tabella I, n. 3.
12. Per la datazione del manoscritto di Calcagnini cfr. Missere G.Missere Fontana F.: op. cit. p. 21.
13. Per la figura di Pirro Ligorio cfr. Schreurs A.: Antikenbild und
Kunstanschauungen des neapolitanischen Malers, Architekten und Antiquars
Pirro Ligorio (1513-1583), Colonia, 2000; Per le collezioni di antichità ferraresi Corradini E.: Le raccolte estensi di antichità. Primi
contributi documentari, in L’impresa di Alfonso II. Saggi e documenti
sulla produzione artistica a Ferrara nel secondo Cinquecento, a cura di
J.Bentini e L. Spezzaferro, Bologna 1987, Corradini E.: (1993) op.
cit., p. 403-414 e Missere Fontana F.: (1993) op. cit. pp. 213-256.
14. Per la ricostruzione degli avvenimenti politici relativi alle vicende
di Alfonso II e Cesare d’Este cfr. Chiappini L.: Gli Estensi, Milano
1967, pp. 266-390.
15. Nel 1594 l’imperatore Rodolfo II aveva riconfermato ad Alfonso
II i diritti sui feudi di Modena e Reggio in cambio di 400000
scudi. Cesare si trovò ad affrontare ingentissime spese per condurre sfortunate battaglia legali; inoltre, nel 1598, ebbe inizio la
secolare contesa relativa all’investitura imperiale (e perciò di pertinenza estense) del feudo di Comacchio, passato alla Chiesa assieme a Ferrara.
16. Sullo Spaccini (1570-1636) cfr. Biondi A.: Giovanni Battista
Spaccini (1570-1636) e la tradizione delle cronache modenesi, in
Spaccini G. B:, Cronaca di Modena, anni 1588-1602, a cura di Biondi
A., Bussi R., Giovannini R, Modena 1993, p. IX-XXII.
Il 10 febbraio 1599 Giovan Battista Spaccini, “guadiagioie” di Isabella di Savoia d’Este e autore di una
cronaca ben informata di ciò che accadeva presso la
corte di Modena, annotò questa notizia16:
Il documento, variamente attribuito al Vico o al
Ligorio, è di particolare interesse perché forse testimonia l’ultima configurazione della collezione all’interno del castello di Ferrara. Probabilmente si tratta
del terzo intervento di riordino, a partire da quello
registrato dall’inventario del Calcagninini intorno agli
anni 1538-154112 al quale dovrebbe esserne seguito
un successivo dovuto al soggiorno a Ferrara del Vico
dal 1563 al 1567 che parrebbe ulteriormente modificato da queste ultime istruzioni, verosimilmente
Ligoriane e riferibili al noto progetto di “anticario”
successivo al terremoto del 1571 al quale l’antiquario
napoletano lavorò negli anni 1571-157413.
I pegni veneziani.
Nel febbraio 1599 Modena ospitava da appena un anno
la corte di Cesare d’Este che si era trasferita nella nuova
capitale il 30 gennaio 1598, dopo che la morte senza eredi
di Alfonso II aveva obbligato gli Este a cedere Ferrara al
papato14. Lo Stato Estense, ridotto ai soli feudi imperiali
e costretto a rinunciare ad una parte rilevante del suo
territorio e delle sue risorse, era in una precaria situazio-
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LA DIASPORA DELLA COLLEZIONE NUMISMATICA DI ALFONSO II D ’ESTE
“Adì 10, è partito il conte Bonifazio Canossa a tuore 50.000
scuti per Sua Altezza, avendovi dato 4 vezzi di perle, et altri tanti
diamanti di valore di 4000 scuti l’uno, et altri argenterii di peso
libbre 1000 insieme con vasi indorati, et poi tanti bene sul
Ferrarese. Il conte poi vi fa la sigurtà che in termino, credo io, di
quattro anni averli rescosso; tutto questo roba importa 200 milla
scuti, tutti questi dinari si sono pagati a Cesare per la investita
di Comachio, Argenta, et altri castelli imperiali...”17
conservati i preziosi, aveva arrecato seri guasti agli
imballaggi; le montature delle gemme andavano disgregandosi; le monete, ossidatesi, vennero trovate
incollate fra loro e furono riposte entro sacchetti
sigillati essendo marcite le cassette entro le quali
erano contenute23. Il 17 febbraio 1601 Contarini, tra
i maggiori collezionisti di antichità del tempo, affermava di avere stipulato un patto con il defunto
Bonifacio Canossa per entrare immediatamente in
possesso di alcune monete di bronzo e d’argento nel
caso che non fosse stata pagata la rata del prestito;
ma l’accordo non sembra essere gradito né autorizzato da Cesare d’Este24. Contarini appare desideroso
di appropriarsi degli oggetti impegnati e avanza
innumerevoli difficoltà alla risoluzione del contratto. Nel corso del 1602 insorsero nuovi problemi nel
riscuotere alcuni dei pegni nelle mani del Contarini,
aggravati dal fatto che Galeazzo Canossa non poteva
recarsi a Venezia essendo ricercato dalla giustizia25.
Ma, nel novembre dello stesso anno, le monete d’oro
Erano comprese in questo carico quattro “cassette” di
monete d’oro d’argento e di bronzo18. Tale transazione è oggetto dalla corrispondenza intercorsa fra il
duca, gli ambasciatori estensi a Venezia e i conti
Bonifacio e Galeazzo Canossa, prestanome del duca
per ottenere il prestito presso la Zecca di Venezia19.
La famiglia Canossa, che possedeva nel proprio
palazzo veronese un prezioso museo dotato di una
consistente collezione di antichità, per tutto il
Cinquecento fu al centro del vivacissimo mercato
antiquario veneto. Girolamo, padre di Galeazzo,
condivise il soggiorno di Alfonso II d’Este in Francia
nel 1558. Più tardi i Canossa ebbero rapporti assai
stretti con gli Estensi che ne protessero le attività e
se ne servirono per svolgere affari di diversa natura.
Allo stesso tempo i Canossa mantennero forti legami con i Gonzaga che si servirono proprio delle consulenze dei patrizi veronesi per acquistare antichità
in più di un’occasione20 e ricorsero ai loro sevigi per
impegnare partite di gioielli e argenti presso il
Monte di Pietà di Verona21. Este e Gonzaga si avvalsero contemporaneamente dei Canossa, che svolsero
per entrambi una funzione di collegamento con i
Monti di Pietà del Veneto dove le due casate riversarono, a più riprese, ingenti quantità di oggetti preziosi. Questa posizione ambivalente deve avere
spesso determinato, nella prima metà del ‘600, passaggi di materiali da una corte all’altra all’insaputa
delle due casate.
17. Spaccini G. B.: op. cit. p. 211. Cesare d’Este impegna gioielli e
argenterie del valore di 200000 scudi in cambio di un prestito ad
interesse di 50000 da restituire ratealmente in quattro anni. Non
era la prima volta che un duca estense impegnava parte della collezione numismatica; era già accaduto nel 1512; cfr. Corradini E.:
(1993) op. cit. p. 406.
18. Archivio di Stato di Modena, Archivio Segreto Estense (d’ora in
poi ASMo), Ambasciatori, Venezia b.88, Alfonso Mella a Giovan
Battista Laderchi, Venezia, 28 ottobre 1600.
19. Le fonti maggiori sono in ASMo, Ambasciatori, Venezia b. 88,
Lettere di Alfonso Mella; ASMo, Particolari, b. 274 e b. 277, lettere di Bonifacio e Galeazzo Canossa.
20. Brown C. M.: La Galleria della Mostra e le trattative veneziane e
romane del Duca Vincenzo Gonzaga (1589-1605) per l’acquisto
di antichità in Venezia e l’archeologia. Un importante capitolo nella storia del
gusto dell’antico, Venezia 1990, Roma 1990 pp. 61-7.
21. A Galeazzo Canossa è affidato un pegno di gioie gonzaga datato
1606 cfr. Sermidi M.: Le collezioni gonzaga. Il carteggio tra Venezia e
Mantova (1588-1612), Milano 2003 p. 420-21 documento n. 815.
22. Federico Contarini è tra i massimi collezionisti veneziani di antichità e partecipa all’allestimento dello Statuario della Serenissima
che lui stesso inaugura nel 1596; figura di primo piano della vita
politica veneziana è il maggior responsabile dell’estradizione di
Giordano Bruno dallo Stato di Venezia nel 1593. Cfr. Cozzi G.:
Federico Contarini: un antiquario veneziano tra Rinascimento e
Controriforma, e Cipollato M. T.: L’eredità di Federico Contarini:
gli inventari della collezione e degli oggetti domestici entrambi in
Boll. Ist. Storia della Società e dello Stato veneziano, III 1961 pp. 190-253.
La collezione di antichità della famiglia Contarini venne poi
acquistata nel 1661 da Carlo II Gonzaga Nevers; cfr. Brown C. M.:
op. cit. pp. 66-67.
23. ASMo, Ambasciatori, Venezia b.88, Alfonso Mella a Giovan Battista
Laderchi, Venezia, 28 ottobre 1600.
24. ASMo, Ambasciatori, Venezia b.88, Alfonso Mella a Cesare d’Este,
Venezia, 17 febbraio 1601.
25. ASMo, Particolari b. 277, Galeazzo Canossa a Cesare d’Este,Verona
10 luglio 1602.
L’operazione veneziana subì alcuni imprevisti che rischiarono di impedire il recupero dei pegni turbando
il corso naturale del contratto. La sera dell’8 giugno
1600, giorno della festa del Corpus Domini, Ciro,
Bonifacio e Alberto Canossa vennero assassinati in
un agguato a Verona. Galeazzo successe a Bonifacio,
il fratello defunto, nel ruolo di titolare del prestito
ottenuto con i pegni estensi. Poco dopo il Canossa,
l’ambasciatore estense Alfonso Mella e Federico
Contarini, quell’anno “depositario” in zecca, si
incontrarono a Venezia per controllare lo stato dei
pegni22. L’umidità, propria dei magazzini dove erano
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CARLO POGGI
Malaspina, ambasciatore fiorentino del duca di
Modena. L’inventario registrava un sacchetto contenente 710 “medaglie” d’oro del peso di 14 libbre e 9
once cioè 5008,17 grammi d’oro, in media 7,05 grammi per moneta, dato compatibile con la natura composita del nucleo estense presso il Museo di Firenze,
che per larga parte è costituito da aurei imperiali
romani e da altre monete d’oro più leggere: greche,
romane e bizantine34. Furono stimate 1455 ducati,
cioè poco meno di 2.05 ducati per moneta, e la valutazione avviene al prezzo di 3,44 grammi per ducato
come semplice oro a peso. Si tratta certamente di
monete antiche, e una parte di esse è da identificarsi
con i circa 240 esemplari contrassegnati da aquiletta
provenienti dalle raccolte medicee ancora conservati
presso il Museo Archeologico di Firenze.
furono riscattate e custodite a entro un sacco sigillato affidato a mani sicure26. Alcuni pegni estensi, in
particolare i diamanti e le perle, vennero riscossi per
poi essere immediatamente ricollocati su altri monti
di pietà italiani, in particolare a Verona, o venduti,
come attesta la serie di contatti con gioiellieri e mercanti ebrei mantenuta dal Mella nel periodo immediatamente successivo27. Alcuni di anni dopo le
monete d’oro, ritornate in mano agli Este, saranno
depositate presso il Monte di Pietà Firenze.
Non è facile seguire la sorte dei singoli oggetti; per
riscuotere i preziosi veneziani il duca ricorse ad ulteriori prestiti presso altre città italiane28. È ancora lo
Spaccini ad informarci di come, il 17 marzo 1603,
fossero recuperate da Venezia “due carra d’argenteria”
ancora non rientrati e che i “Veneziani non avevano troppa
voglia di restituirla”29.
Le monete e i gioielli vennero presi in consegna nel
guardaroba a Palazzo Pitti, e custoditi all’interno di
un forziere entro involucri sigillati. L’8 gennaio 1626
vennero avviate le pratiche per la riscossione di gran
Un anno dopo, il 16 febbraio 1604, la famiglia
Canossa cedette a Vincenzo Gonzaga una Madonna
attribuita a Raffaello, poi denominata La Perla, in cambio della quale ottenne l’investitura del feudo di
Calliano nel Monferrato (oggi in provincia di Asti)30.
In questo stesso frangente Galeazzo Canossa spedì a
Vincenzo I Gonzaga “bona parte delle robe del studio”;
invio che comprese dipinti e “anco le medaglie, delle qualli se bene Vostra Altezza Serenissima non ne ha gusto; tuttavia
sia più che sicura che è tutta roba fiorita; et forse col tempo, gli
potriano esser care…”31. Il Canossa ritiene la qualità di
queste “medaglie” talmente elevata da vincere il ben
noto disinteresse del duca Vincenzo per le monete
antiche32. È assai facile che fra queste monete ve ne
fossero di quelle estensi, restate in mano ai Canossa in
seguito ai movimenti di pegni e di denaro da loro condotti per conto degli Este.
26. ASMo, Ambasciatori, Venezia b.88, Alfonso Mella a Cesare d’Este,
Verona, 30 novembre, 1602. È da verificare l’eventuale origine
estense di un cospicuo lotto di monete d’oro (del peso di 164
oncie e ¼) impegnato sul Monte di Pietà di Verona intorno al
1609 da un documento dell’Archivio Gonzaga cfr. Sermidi M.: op.
cit. p. 477. Tale dato è da valutare in rapporto all’attività dei
Canossa qui considerata (cfr. nota n. 21).
27. ASMo, Ambasciatori, Venezia b.88, 1602, Alfonso Mella a Cesare
d’Este, Venezia, 28 dicembre 1602.
28. Lo spazio ridotto di questa sede non consente un’analisi maggiormente dettagliata dei documenti relativi ai pegni veneziani e fiorentini che sono in corso di edizione e si proporranno in un saggio
successivo che esaminerà anche le dispersione secondarie delle
monete.
29. Spaccini G. B., Cronaca di Modena, anni 1603-1611 a cura di Biondi
A., Bussi R., Giovannini R, Modena 1999, p. 8.
30. Il quadro, oggi attribuito all’opera congiunta di Raffaello e Giulio
Romano, era nella collezione veronese della famiglia Canossa;
venne acquistato da Vincenzo I Gonzaga e passò nella collezione
reale inglese dopo la vendita del 1627-28. Nel 1649, dopo l’esecuzione di Carlo I d’Inghilterra, fu acquistato dal re di Spagna
Filippo IV, ed è oggi al Museo del Prado. Cfr. Checa F.: La dispersione spagnola dei quadri di Mantova, in Gonzaga. La Celeste Galleria.
L’esercizio del collezionismo, Ginevra-Milano 2002 p. 252.
31. Il documento, già segnalato dal Luzio, è ora trascritto da Sermidi
M., op. cit. p. 49, 363.
32. L’inserimento dell’intarsio con aquiletta è stato in passato erroneamente attribuito proprio a Vincenzo I Gonzaga; cfr. Simonetta B.,
Riva R., Ancora sull’ aquiletta gonzaga e non estense, in NAC, XII,
1983, p. p. 335.
33. Il pegno è documentato da un abbondante carteggio e da numerose copie di inventari sommari custoditi sia a Modena che a Firenze;
si cita per tutti il fascicolo più significativo conservato presso
l’Archivio di Stato di Firenze, Monte di Pietà nel Bigallo, n. 691 dal
quale sono tratte le notizie qui utilizzate.
34. Si sono considerate le misure fiorentine per l’oro (libbra di g.
339,54, oncia di g. 28, 29).
I pegni fiorentini
Nel 1609 si concluse la trattativa per il definitivo
possesso estense del ducato di Sassuolo, dopo la
morte violenta di Marco Pio nel 1599. Il duca dovette pagare pagare alla famiglia Pio 215000 scudi romani. Le ricorrenti guerre contro i Lucchesi per il
dominio della Garfagnana, ultima quella del 1613,
acuirono le necessità di contante delle casse ducali.
Il 6 agosto 1614 un cospicuo nucleo di gioielli di proprietà estense venne impegnato presso il Monte di
Pietà a Firenze33. L’affare fu affidato a Manfredi
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LA DIASPORA DELLA COLLEZIONE NUMISMATICA DI ALFONSO II D ’ESTE
parte dei pegni, riconsegnati all’ambasciatore il 14
dello stesso mese. A Firenze restarono, però, le 710
monete d’oro, il cui deposito si protrasse sino al
1646, quando il Provveditore del Monte decise di
procedere alla vendita delle monete, ancora sigillate
nella reggia. Una disposizione del granduca Ferdinando
II e di Leopoldo de’Medici gli impedì di procedere alla
vendita, poiché i due Medici dichiararono la necessità di
confrontarle con quelle conservate nel loro “guardaroba”
per effettuare eventuali scambi con quelle di migliore
conservazione35. Evidentemente, una volta constatata la
qualità degli esemplari, li trattennero presso di loro36.
Le “medaglie del sacco”
Negli stessi anni in cui le monete estensi arricchivano
molte collezioni, la comunità di antiquari che risiedeva in Italia alimentava la voce dell’esistenza in
Mantova di una collezione numismatica appartenuta
ai Gonzaga, le cui monete, dotate della contromarca di
una piccola aquila, si sarebbero disperse dopo il saccheggio subito dalla città nel 1630. In passato si è
ritenuta decisiva per l’attribuzione gonzaghesca la testimonianza del lionese Jean Huguetan, fra i primi a
raccogliere questa diceria relativa alle “medaglie del
sacco”41.
Nel ventennio successivo, per opera della cerchia di
antiquari in contatto con Leopoldo, alcuni di questi
esemplari d’oro con aquiletta raggiunsero diverse raccolte europee, in seguito a doni o scambi. In questa
serie di monete che lasciò Firenze erano alcune decine
di aurei, prevalentemente romani repubblicani, diversi
aurei di Nerone (rappresentate nella collezione estense in grande quantità) e qualche moneta d’oro greca.
La fonte più interessante per questo problema è, invece, la lettera di Francesco Gottifredi al cardinale
Camillo Massimo datata 14 marzo 166142. Da questo
documento si può desumere che:
35. Archivio di Stato di Firenze, Monte di Pietà nel Bigallo, n. 691, documento datato 6 luglio 1646, probabilmente la risposta granducale
alla richiesta del provveditore del Monte di Pietà di prendere possesso delle monete.
36. La lettera del 1646 fa riferimento ad un interesse congiunto di
Ferdinando e Leopoldo. Già il Cavedoni aveva ipotizzato come le
monete d’oro estensi potessero essere giunte nella collezione di
Leopoldo, cfr. Cavedoni C., op. cit. p. 108-109.
37. Per la data dell’arrivo a Parigi cfr. Cavedoni C., op. cit. p. 85.
38. Cfr. Molinari M. C., Gottifredi Francesco, in Dizionario Biografico
degli Italiani, vol. 58, Roma, 2002 pp. 161-164.
39. Pesaro, Biblioteca Oliveriana, ms. 76, carta non numerata. Nel
1659 un suo corrispondente chiede se per caso fosse ancora in
possesso delle monete auree che aveva visto presso di lui cinque
anni prima.
40. Pesaro, Biblioteca Oliveriana, ms. 76, carta non numerata. La
moneta di Giuba è descritta in Cavedoni C., op. cit. p. 93.
41. Cfr. Huguetan J.: Voyage d’Italie curieux et noveau, Lione 1681 p. 249
e Simonetta B., Riva R.: (1983) op. cit p. 336, dove questo viaggio italiano viene datato agli anni 1653-54. Si può pensare, invece, che questa notizia sia il frutto dell’intervento editoriale di Jacob
Spon, anche lui Lionese, che partecipa alla redazione dell’opera nel
1681 dieci anni dopo la morte dell’Huguetan, apponendovi una
ricca appendice sulle collezioni e i musei italiani. Anche Spon è
autore di un diario di viaggio in Italia, Grecia e Levante datato
1675-1676. Volendo ritenere corretta l’attribuzione all’Huguetan
della testimonianza relativa alle medaglie dal sacco mantovano
occorre ricordare che questi non poteva averle viste a Mantova, dal
momento che il sacco era avvenuto nel 1630 e pertanto sia
Huguetan che Spon devono essersi basati sulle medesime notizie
raccolte nell’ambiente antiquario italiano della seconda metà del
‘600.
42. Pesaro, Biblioteca Oliveriana, ms. n. 76, carta non numerata.
Ringrazio Maria Cristina Molinari, che mi ha segnalato questo
documento, per aver discusso con me alcuni problemi relativi alla
collezione di Cristina di Svezia.
La scelta di alcuni esemplari che uscirono da Firenze
–già dal 1663 erano nelle collezioni reali francesi–
venne certamente operata da un buon conoscitore di
numismatica: vi erano alcuni pezzi rarissimi ma anche
dei falsi di buona qualità (fig. 1 e 2)37.
È possibile che in questa dispersione secondaria degli
aurei estensi abbia avuto un ruolo Francesco
Gottifredi (1595-1669), personaggio centrale della
cultura numismatica del XVII secolo in stretti rapporti con Leopoldo de’Medici, la cui figura, mal
conosciuta sino a pochi anni addietro, sta emergendo
in tutto il suo rilievo grazie agli studi di Maria
Cristina Molinari38. La rete di relazioni del Gottifredi
e la distribuzione geografica dei suoi corrispondenti
ci sembra compatibile con la dispersione di alcuni
aurei che deve essere avvenuta intorno agli anni ’50 e
’60 del XVII secolo. Le lettere del Gottifredi testimoniano un’abbondanza di monete d’oro che passano
per le sue mani nel 165439. Una lettera del 7 febbraio
1654 accenna ad un esame di 20 monete d’oro effettuato dal Gottifredi e dall’abate francese Pierre
Seguin; tra queste risultano tre monete di Giuba,
forse falsi moderni, già registrate in sei esemplari nelle
collezioni estensi prima del 1541; una di queste
potrebbe essere la moneta con aquiletta poi segnalata
dal Mionnet nelle collezioni reali francesi40.
99
CARLO POGGI
1. Nella collezione di Cristina di Svezia, che
Gottifredi riordina nel 1661, vi sono alcuni pezzi
recanti l’aquiletta estense
2. Che tali monete sono già comunemente note con
il nome di “medaglie dell’assedio di Mantova”
3. Che monete con questa contromarca sono già ben
conosciute al Gottifredi e al suo corrispondente.
Deve essere appartenuto a questo nucleo il medaglione
di Adriano, oggi al Cabinet des Médailles, già nella collezione del Gottifredi poi nella collezione di Cristina di
Svezia e quindi a Parigi dal 1799. La presenza di questa
ed altre monete con aquiletta nella collezione di Cristina
è stata messa in rapporto con il saccheggio, operato
dagli Svedesi nel 1648, della città di Praga dove era
giunta parte delle collezioni gonzaga dal sacco mantovano43. È effettivamente possibile che alcune di queste
monete siano giunte nella collezione gonzaga attraverso
la famiglia Canossa nel 1604 e poi, trasportate a Praga
nel 1630, in seguito ai saccheggi svedesi siano confluite
nella collezione di Cristina per poi giungere a Roma. Ma
questo non è l’unico percorso possibile.
In realtà sappiamo molto poco delle collezioni numismatiche dei Gonzaga e della loro dispersione; di certo
monete sicuramente provenienti dal sacco di Mantova
erano presenti a Trento presso la collezione Galasso il
5 novembre 1663 e alcune di queste furono cedute a
Lodovico Moscardo che nel 1668 le diceva presenti
nella sua collezione44. Altre monete potrebbero essere
quelle segnalate nel XVIII secolo in una collezione
privata, forse italiana, da Felice Caronni45.
Non è quindi detto che queste poche monete siano
giunte alla regina Cristina attraversando il sacco mantovano e poi quello praghese; più facilmente possono
essere comparse sul mercato veneto nella prima metà
del ’600 (provenendo da cessioni degli ambasciatori
estensi) o da quella parte di collezioni trafugate da
Mantova che non avevano lasciato l’Italia dopo il
1630. Ancora, potrebbero provenire da una già documentata spedizione di doni del duca Cesare d’Este alla
corte praghese dell’imperatore Rodolfo II d’Asburgo46.
Si deve alla vasta circolazione dei pezzi usciti da
Modena nel 1599 (e forse in parte confluiti nelle
collezioni gonzaga) l’origine del mito antiquario delle
“medaglie del sacco”, che è ancora vivo introno al 1720
come ci testimonia Scipione Maffei47.
Un’ulteriore causa dell’equivoco può essere individuata
nel fatto che a Firenze, negli stessi anni, erano contemporaneamente depositate presso lo stesso Monte di
Pietà grosse quantità di gioielli di proprietà gonzaga, e
può esservi stata confusione nell’addebitare ad essi il
pegno delle monete d’oro che rimasero sigillate nei forzieri per oltre un trentennio, anche se gli antiquari medicei del ‘700 ne conoscevano bene l’origine modenese48.
Alla presenza di monete estensi nella collezione di
Cristina è forse da collegarsi un’analogo segno di appartenenza del tutto simile all’aquiletta, per forma (ovale),
dimensioni, posizione nella moneta (dietro la nuca
dell’imperatore) e modalità di apposizione dell’intarsio
argenteo che questa volta è punzonato con una C coronata, tradizionalmente attribuita alla collezione della
regina di Svezia (fig. 3). Tre sono le ipotesi percorribili
per spiegarne l’origine:
•
•
•
un fenomeno imitativo della contromarca estense
un restauro di monete estensi dalle quali era stato
rimosso il precedente inserto
una modifica del marchio di appartenenza per rilevarne l’avvenuto passaggio di proprietà49.
43. Molinari M. C.: Nota sull’antiquaria numismatica a Roma ai tempi
del Bellori, in L’idea del bello. Viaggio per Roma nel Seicento con Giovan Pietro
Bellori, a cura di Borea E. e Gasparri C., Roma, 2000 p. 569 n. 14.
44. Moscardo L.: Historia di Verona, Verona 1668, XII, 486. Morselli R.: Le
collezioni gonzaga. L’elenco dei beni del 1626-1627, Milano, 2000 p.169.
45. “E” cosa notabile che tuttora si veggano dispersi degli avanzi d’allora, essendo
caduta nelle mie stesse mani un’edizione elzeviriana di Tito Livio col nome e
stemma de’Duchi Gonzaghi, ed avendo io scoperto in mani oscure un ricco
Medagliere, che il proprietario asserisce provenire dalla nota rivoluzione”
Caronni F.: Lezione accademica di un preciso Istorico della presa e saccheggio
di Mantova del MDCXXX, Mantova, 1788, p. 38 n. 1. La notizia
potrebbe, però, essere una duplicazione di quella riportata dal
Moscardo nella sua Historia.
46. Il pittore Hans von Aachen, in una lettera del 5 gennaio 1604, ringrazia delle spedizioni di monete antiche inviate in dono da Cesare
all’imperatore Rodolfo II assieme ad una scultura del Giambologna
e invita il duca Cesare a inviare alla corte imperiale “altre simili
medaglie” cfr. Corradini E.: La galleria sacra e la galleria profana: la
propaganda dinastica tra Sei e Settecento, in Il Palazzo Ducale di
Modena, Modena 1999 p. 253-254. Non sappiamo quantificare quale
parte della collezione estense raggiunse le raccolte imperiali, certo è
che gli esemplari destinati ad essere inviati a Praga dovettero essere
di grande qualità, a giudicare dalla soddisfazione esternata dal von
Aachen e dalla rinnovata richiesta di nuovi doni per l’imperatore, che
Cesare d’Este non poteva non assecondare di fronte alla debole contingenza politica del ducato di Modena e Reggio in quegli anni.
47. Poggi C.: (1998) op. cit. p. 215.
48. Vi sono diversi documenti relativi a pegni Gonzaga della prima metà
del ‘600: Archivio di Stato di Firenze, Monte di Pietà nel Bigallo, n. 683.
49. Geibler H.: Die Münzsammlung der Königin Christina von
Schweden, in Corolla Numismatica: Numismatic Essays in honour of B. V.
Head, Oxford, 1906 p. 385 n. 5. Non mi è stato possibile sino ad
ora esaminare direttamente alcuno di questi esemplari.
100
LA DIASPORA DELLA COLLEZIONE NUMISMATICA DI ALFONSO II D ’ESTE
Tra le monete estensi contromarcate si trovano
alcuni falsi rinascimentali di produzione evidentemente anteriore alla data del suo inserimento (cfr.
fig. 1). Vi sono, infine, differenti tipi di falsi collegabili alle nostre monete. Il mondo collezionistico
riconobbe sempre nella contromarca estense un elemento distintivo di un nobile pedigree della moneta;
come tale venne riprodotto in un falso tetradramma di Eliocle attribuito a Carl Becker e poi contomarcato con una approssimativa imitazione
dell’aquiletta estense50.
Sezione
L’estrema qualità di alcuni pezzi estensi ne fece un
modello per altre riproduzioni di età moderna, che
ebbero una circolazione abbastanza ampia. Intorno al
1910, presso la località di Suomenniemi nella provincia
di Savo nella Finlandia Orientale, una ragazza rinvenne
una moneta in riva ad un lago, che fu poi edita come la
più antica moneta rinvenuta in Finlandia. La moneta,
uno statere di Eraclea, venne in seguito riconosciuta
come un falso, una fusione in ottone argentato prodotta attraverso il calco di un esemplare con aquiletta
conservato nelle collezioni di Berlino (fig. 5)51.
Ordine da tenersi ne l’accommodar le Medaglie
de l’Illustrissimo et Eccellentissimo Signor Duca di Ferrara
1
Una successione d’Imperatori cominciando da Iulio Cesare sin quanto si troveranno con elegger le
più belle Medaglie che ci Sieno. Di Metallo, D’Oro, e, D’Argento
2
Una successione d’Imperatori simile, pigliando ciascuno con tutti i rovesci da lui fatti, uno per sorte,
col metter innanzi le Medaglie che mostreranno l’effigie diminor età, o, che per 1’ordin de l’Istoria
di quel che sarà nel rovescio, si potrà far giuditio che fossero battute prima, ponendo in ultimo quelle che saran battute doppo la morte, cosi Consecrationi, come restituite da’ successori
3
Una successione simile di Medaglie battute da’ Provincie di Grecia in honor d’Imperatori Romani,
con ampliarla piu che si può, perche sarà nuova et al mio parer assai rara
4
Consoli, Pretori, Questori di Provincie, Consolari, Parenti d’Imperatori, et altri illustri Romani,
disposti secondo l’ordine de l’Istoria piu che si potrà. L’altre Medaglie si lasseran come stanno
5
Una succession di Donne illustri Romane ciascuna con i rovesci che si troveranno di loro, una per
ciascuna sorte
6
Medagliette d’Argento romane, col segno del Denaro, o, di equal peso, e, vario rovescio, una per
ciascuna sorte
7
Tutte le Provincie di Grecia successivamente e, le Medaglie delle Città Greche
8
Gli huomini, o, Donne Illustri che si troveranno Greci, con piu ordine che si potrà
Tabella I (cfr. nota 10)
50. Gerin D., Becker et les monnaies bactriennes du Cabinet de France,
BSFN, 38 n. 5, 1983, p. 321-323.
51. Devo la notizia alla cortesia di Tuukka Talvio, che mi ha riassunto
i contenuti del testo finlandese di Tudeer, L. O. Th.: Vanhin
Suomessa löydetty raha, in Juhlajulkaisu E. G. Palménin 70-vuotispäiväksi, Helsingfors 1919, pp. 12-19. L’esemplare berlinese è stato
recentemente edito da Weisser B., Münzen aus Sizilien und
Unteritalien als historische und kunstgeschichtliche Quelle, in Die
griechische Klassik - Idee oder Wirklichkeit, Mainz 2002, pp. 593-598.
101
CARLO POGGI
Didascalie
1. C.SERVEILI M.F. - falsificazione rinascimentale in oro
D/ Testa elmata di Roma a d.; nel campo a s. corona e
segno di valore.
Sotto ROMA; inserto d’argento ovale con aquiletta
estense
R/ Dioscuri a cavallo; in esergo C.SERVEILI M.F.
Parigi, Cabinet des Médailles, nelle collezioni estensi prima
del 1541.
Falso che riproduce il denario d’argento RRC 239/1.
2) CN.LENTVL - statere d’oro
D/ Testa laureata di Giove a d.; inserto d’argento ovale con
aquiletta estense
R/ Aquila su fulmine rivolta a d.; sotto CN LENTVL
Parigi, Cabinet des Médailles, nelle collezioni estensi prima
del 1541.
RRC 549/1.
3) Gordiano I - Sesterzio (238 d.C.)
D/ IMP CAES M ANT GORDIANVS AFR AVG busto laureato a
d.; inserto d’argento ovale con C coronata
R/ VICTORIA AVGG, Vittoria incedente a s. Con palma e
corona; S C
Asta Classical Numismatic Group, Triton V, 15 gennaio
2002, n. 2053.
RIC 12.
4) Eliocle (135-110 a.C.) - Tetradramma - falso del Becker
D/ Busto di Eliocle con diadema a d.; punzonatura con
falsa aquiletta estense
R/ BASILEWS HLIOKLEOUS DIKAIOU Zeus stante
con scettro e fulmine; nel campo a s. monogramma.
De Foville, J., Les monnaies grecques et romaines de la collection
Prosper Valton, Parigi 1912, p. 115 n. 1926; Gerin D.: op. Cit.
5) Heraclea - statere - falso
D/ Testa di Atena con elmo decorato con Scilla a s. ; sotto
A. ; aquiletta estense
R/ Eracle strangola il leone; nel campo a s. A arco e mazza;
HRAKLHIWN
Falso in ottenuto da un calco di un esemplare forato
del museo di Berlino
Friedländer J., von Sallet A.: Königlische. Museen zu
Berlin, Beschreibung der antiken Münzen, III:2, pp. 321-2.
Cfr. Rutter N.K., Historia numorum, Italy, n. 1376.
102
LA DIASPORA DELLA COLLEZIONE NUMISMATICA DI ALFONSO II D ’ESTE
Fig. 1
Fig. 2
Fig. 3
Fig. 4
Fig. 5
103