Paola Tabet Dal dono alla tariffa: e relazioni

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Paola Tabet Dal dono alla tariffa: e relazioni
Il testo che segue è una versione tradotta e rielaborata da Paola Tabet di una sua relazione tenuta a Parigi il
12/6/1985 presso l’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales al seminario “Anthropologie et Sociologie des
sexes” diretto da N.C. Mathieu. Pubblico la parte introduttiva e quella conclusiva, il testo completo è in DWF, n.1 Mi
piace non mi piace, 1986. Per info: [email protected]
Paola Tabet
Dal dono alla tariffa: e relazioni sessuali implicanti compenso
Il tema di questo seminario è l'esame delle forme di sessualità basate su compenso. Ma perché
non dire forme di prostituzione?
1) Perché il termine prostituzione (ciò che banalmente si intende con prostituzione) non coprirebbe
tutti i tipi di relazioni sessuali di cui voglio parlare, e 2) perché questo termine è fortemente
marcato, fortemente definito, vi si includono una serie specifica di fatti cui si da una connotazione
morale negativa, e soprattutto perché si ha l'aria di sapere precisamente, già a priori, di che cosa
si parla, qualcosa su cui tutti sarebbero d'accordo come definizione, che tutti conoscerebbero “da
sempre” (si vedano le solite battute pesanti che la gente, i giornali ecc. non si stancano né
vergognano di ripetere, tipo: “il mestiere più vecchio del mondo”). Tutti insomma “sanno bene”
quali sono i contenuti e le caratteristiche di questo fenomeno. In particolare nelle nostre società
occidentali questo termine indica l'occupazione e il tipo di vita, lo statuto, (lo “stato”) di una
categoria di donne - le prostitute - come separate, distinte totalmente dalle altre donne: dunque le
donne oneste, le presenti e future madri-spose da un lato e dall'altro le puttane “quelle che si vendono per denaro”. Una scissione assai forte, quasi ci fosse una differenza di essenza tra i due
gruppi.
La separazione è così segnata ideologicamente, così pesante dal punto di vista della morale comune che ci si immagina che nessuna donna, a meno che non vi sia costretta a forza, potrebbe
trovarsi nel gruppo delle prostitute. La prostituzione sarebbe dunque una forma di schiavitù, in
senso proprio e non metaforico, delle donne [Barry-1979: Walkowitz 1980 e 1984; DuBois &
Gordon 1984].
Questa concezione della prostituzione è stata sottoposta a critica e dimostrata non valida per
alcune delle forme presenti in Europa nel secolo scorso, dal lavoro di Judith Walkowitz. Questa,
studiando l'Inghilterra dell'Ottocento, ha mostrato come negli strati popolari la separazione così
netta tra prostitute e donne per bene, cioè la formazione di una categoria di donne che diviene
addirittura un gruppo di paria, «an outcast group», è il prodotto di specifici interventi e misure
politico-legislative.
In particolare attraverso le leggi sulla repressione delle malattie veneree, donne che per periodi
determinati della loro esistenza, decidevano di vendere - fuori del matrimonio -servizi sessuali, le
donne cioè delle classi più povere che passavano periodi relativamente brevi, due o tre anni della
loro vita, prostituendosi, venivano individuate, schedate e marcate. Si produceva così una
separazione di queste donne rispetto alla loro classe di origine e al loro ambiente e ciò facilitava il
passaggio a rapporti e situazioni in cui la vendita di servizi sessuali che fino ad allora era stata
un'attività in prevalenza gestita individualmente dalle donne, diventava invece oggetto di controllo
e sfruttamento maschile. Le leggi, nonostante le lotte che culminano nella loro abrogazione, hanno
un effetto chiaro e immediato: l'età media delle donne individuate come prostitute aumenta
considerevolmente nei due decenni successivi alla loro entrata in vigore; in particolare si raddoppia
o addirittura si triplica il numero di prostitute sopra i trenta anni.
La normativa antivenerea e gli interventi repressivi connessi hanno radicalizzato la situazione.
Le donne entrate in questa occupazione hanno ormai gravissime difficoltà ad uscirne: la
prostituzione da lavoro momentaneo diventa una condizione, le donne che la esercitano una
categoria rigida, fissa, ghettizzata. In questo seminario vorrei presentare e discutere i primi risultati
di un lavoro iniziato circa tre anni fa. Si è trattato in primo luogo di lavorare, attraverso lo spoglio
della documentazione etnoantropologica e anche di parte di quella storica disponibile, alla
definizione dell'oggetto, di individuare il campo stesso della ricerca.
Non la prostituzione dunque, ma le relazioni sessuali tra uomo e donna che implicano una
transazione economica.
Caratteristica comune delle forme prese in esame è che la direzione dello scambio è definita e
fissa: da parte femminile è dato un servizio o prestazione, variabile in natura e durata,
comprendente l'uso sessuale; da parte maschile è dato un compenso o retribuzione di varia entità
e natura e comunque collegato all'uso sessuale possibile della donna, alla sua accessibilità
sessuale. Da questa delimitazione del campo di indagine restano escluse dunque sia le relazioni
omosessuali che si definiscano o meno come prostituzione, sia relazioni sessuali tra uomo e
donna in cui la transazione economica non sia nella direzione indicata (casi tipo “un uomo da
marciapiede” ecc.) benché il loro uso a fini comparativi possa a tratti essere utile.
Il percorso che seguirò nel seminario partirà dal mostrare in primo luogo che vi è un continuum
nelle forme di relazione sessuale tra uomo e donna, implicanti uno scambio sessuo-economico.
Invece di una dicotomia netta, postulata da alcune società, tra matrimonio e rapporti amorosi da un
lato e prostituzione dall'altro, sarà perciò esplorata la variazione degli elementi comuni alle diverse
relazioni. In particolare cercherò di mostrare come il continuum riguardi: 1) le persone; 2) le
modalità della relazione; 3) l'aspetto economico della relazione. Attraverso l'analisi delle varie
forme di scambio della sessualità sarà possibile porre in discussione le rappresentazioni comuni di
prostituta e prostituzione e i tratti particolari che si ritiene definiscano la relazione di prostituzione
rispetto ad altre forme di relazioni sessuali.
Ma dire continuum delle forme di relazioni sessuali significa che non vi siano fratture? Che non è
possibile stabilire delle linee di demarcazione tra i vari tipi di rapporti? O che si tratta piuttosto di
operare uno spostamento o una dissoluzione dell'attuale concetto di prostituzione, dimostratosi
inservibile ed ideologicamente tarato? È quello che discuterò come secondo punto dei seminario.
Un'avvertenza: prenderò in considerazione situazioni ed esempi della storia delle società europee
e occidentali in genere e, in misura più ampia, materiali delle società etnologiche. Questo rilievo
dato alle società etnologiche deriva 1) dall'essere l'etnologia il mio terreno di studio specifico e 2)
dalla necessità per un'indagine comparativa e in specie per una ricerca che come la mia si
propone di costruire una tipologia delle relazioni sessuo-economiche tra uomo e donna, di avere la
più ampia serie di forme di rapporti e di contesti in cui questi si inseriscono. Ciò non significa
affatto invece che i fenomeni presi in esame e di cui darò gli esempi più disparati per illustrare le
variazioni possibili di un elemento o dell'altro, non riguardino le nostre società e direttamente noi
oggi.
[…]
Riepiloghiamo la situazione. Da un lato sono classificate nella categoria “puttane” «prostitute»
donne i cui comportamenti mostrano tratti eterogenei e in particolare dagli esempi dati abbiamo
visto che un comportamento può essere definito prostituzione o una donna puttana anche quando
manchi uno o persine ambedue gli elementi comunemente considerati fondamentali per la
definizione di prostituzione, la retribuzione del rapporto o servizio sessuale e la “promiscuità”.
Questi tratti non sono quindi la condizione necessaria di tale definizione. Dall'altro lato sono
classificate diversamente, alcune come prostituzione ed altre no, relazioni che contengono questi
due tratti “base”. O per dirla in termini correnti: una donna può avere molte relazioni remunerate e
non essere definita puttana (caso trobriandese), e può non avere una molteplicità di rapporti e non
essere remunerata, ma averne uno solo non pagato ed essere considerata puttana o “promiscua”
(caso Irigwe o caso ebraico citato).
Siamo allora di fronte a definizioni legate a fatti di costume in sé arbitrari come voleva Malinowski,
a bizzarrie o variazioni culturali delle diverse società, o possiamo ravvisare in questa varietà di
definizioni una logica di fondo? Possiamo trovare a un livello diverso da quello costituito dai vari
tratti manifesti una qualche unità nei fenomeni esaminati? Io penso che vi siano una logica e una
coerenza soggiacenti a questa varietà e incoerenza apparente. Ciò che sembra unire situazioni
così differenti a giustificare la loro denominazione con gli stessi termini (ossia il farne una
categoria) non sono né la remunerazione data alla donna per il servizio sessuale, per diffusa che
essa sia, né la promiscuità, ma piuttosto l'uso della sessualità delle donne al di fuori o contro le
strutture di scambio delle donne.
Quest'uso della sessualità è dunque un uso “non corretto” e può essere a) l'uso da parte della
donna della sua propria sessualità, “non corretto” e (o “a-buso”) in quanto in contrasto con le
regole di scambio: la donna che non è di se stessa ma oggetto di scambio tra gruppi di uomini
utilizza se stessa, si pone come soggetto. Che quest'uso comprenda o no una remunerazione è un
dato importante per definire altri aspetti della relazione ma non importa qui. Vi può essere b) il
caso di uso “non corretto” delle donne contro le regole di scambio e circolazione matrimoniale in
cui non entri affatto la scelta o decisione della donna; si può trattare di una utilizzazione totale
imposta dal solo interesse di un gruppo maschile, di una donna catturata, resa schiava, prostituita:
ciò rappresenta, in rapporto al sistema della parentela, al sistema di scambio delle donne e
reciprocità tra uomini, una rottura del circuito di reciprocità.
Nei due casi, sia per propria scelta o per costrizione economica o per imposizione violenta una
donna è sottratta allo scambio (che ciò permanga o sia un dato momentaneo interesserà poi per
costruire una tipologia di questi rapporti). Nei due casi dunque il dato comune è l'uscita dal circuito
di reciprocità tra uomini.
La categoria prostituta o puttana, prostituzione, non è qualcosa che si possa distinguere e definire
per un proprio contenuto concreto o per tratti specifici, ma è una categoria definita da una
relazione: questa categoria è una funzione delle regole di proprietà sulla persona delle donne nelle
differenti società. Di queste regole essa è più precisamente la trasgressione, la rottura. E si
presenta come scandalo proprio perché si tratta delle grandi regole, delle regole fondamentali su
cui si basa la famiglia, la riproduzione, le regole della circolazione delle donne tra gruppi di uomini
come oggetti di scambio, in breve dello scambio delle donne. Fa scandalo perché siamo di fronte
ai grandi pilastri dei rapporti sociali tra i sessi. La trasgressione è perciò sottolineata dal carattere
di orrore, di tabù, che tocca così frequentemente questo ordine di fenomeni.
Questa è dunque l'unità soggiacente alle definizioni dal contenuto in apparenza così disparato,
l'unità ideologica che ne fa ad ogni passo un discorso sul e del potere maschile per diverso che
questo potere sia nelle sue espressioni e forme nelle varie società.
E ci spiega perché certe forme di relazione su compenso non siano affatto trasgressive - quelle
trobriandesi ad esempio o quelle delle iniziazioni come lo tsa-rance - giacché esse si trovano
sull'asse stesso della organizzazione sociale del matrimonio in tali società, e trasgressive (i. e.
puttane) invece sono, come nel caso trobriandese visto, quelle donne che assumono più iniziativa
o gestione della loro sessualità di quanto il sistema così “libero” voglia concedere. L'unità così
definita comprende insieme forme in cui le donne si pongono o cercano di porsi in qualche misura
come soggetti e altre in cui il loro stato di oggetto è prevalente.
Comprende dunque - per ragioni espositive ne faccio dei tipi assoluti, ma abbiamo visto che
considerando le cose da altre angolazioni si possono stabilire delle serie di variazioni graduali da
un tipo all'altro - quattro grandi categorie:
1. le donne che trasgrediscono le regole e usano direttamente il loro corpo come strumento di
lavoro in un rapporto al limite non di sessualità ma di servizio sessuale chiaramente definito (i.e.. le
prostitute nel senso ristretto del termine).
2. le donne che usano la propria sessualità anche senza remunerazione ma fuori dalle regole della
circolazione matrimoniale stabilite dalla propria società.
3. le donne di cui viene fatto uso con la violenza (più o meno aperta e materiale ma vi andrebbero
incluse anche forme di ricatto, estorsione o costrizione psichica), ma fuori ancora una volta dalle
regole di scambio matrimoniale: è il caso della violenza sessuale individuale o di gruppo, violenza
che le varie società tendono quasi sempre a distinguere - pur costruendole uno spazio di esercizio
- dallo stupro “rituale”, quello delle iniziazioni ad esempio, o da quello matrimoniale “legittimo”,
presente nelle cerimonie nuziali di tante popolazioni. Non è lo stupro individuale o anche collettivo
infatti che è visto come irregolare né tantomeno la reificazione della donna, ma il suo contesto
“fuori regola”.
4. le forme di schiavitù sessuale, di prostituzione coatta dove viene fatto uso improprio delle donne
ancora una volta rispetto alle regole della circolazione delle donne e dello scambio reciproco tra
gruppi di uomini. Non è dunque definito prostituzione il servizio sessuale a molteplici partners
imposto alla moglie hima dal marito. Queste forme coatte si distinguono da quelle viste prima
(punto 1) in cui le donne entrano in transazioni economiche che implicano l'uso del loro sesso o
meglio in genere il loro servizio sessuale a) per la loro durata indefinita: la donna non ha in genere
facoltà di uscirne, può essere messa anzi nella impossibilità di lasciare la prostituzione (regole dei
bordelli, minacce o punizioni fisiche ecc.); b) perché la donna non è una delle parti dello scambio
ma uno strumento scambiato e offerto per il profitto, economico, politico o simbolico poco importa,
di altri da lei [una documentazione contemporanea recente in Barry, Bunch e Castley 1984].
Questa relazione, per quanto per i punti a) b) si possa avvicinare al matrimonio o a molte sue
forme, ne differisce tra l'altro per un aspetto importante. La donna essendo stata sottratta alla
legge di scambio matrimoniale tra gruppi non ha neppure quell'appoggio né quella tutela da parte
della sua parentela che è presente in qualche modo nel rapporto matrimoniale. Questa forma
appartiene a un sistema di rapporti sociali e di sfruttamento diverso da quello dei rapporti di
parentela e matrimonio e fa invece parte dei sistemi di proprietà e utilizzazione degli esseri umani
che sono definiti come schiavitù.
Ancora una volta l'elemento pertinente della definizione o classificazione non è il servizio
reso, il lavoro fatto o la parte del corpo usata, ma la relazione sociale di cui la prestazione fa
parte.
Da questa ridefinizione dunque comincia il lavoro vero e proprio di distinzione e di analisi dei tipi di
relazioni sessuali implicanti compenso e la loro ricontestualizzazione nelle strutture sociali di cui
fanno parte. La definizione proposta è tuttavia troppo larga, giacché comprende anche altre forme
di trasgressione e di rottura delle regole sociali di proprietà della persona delle donne che non
rientrano direttamente e specificatamente nel campo di indagine che ho scelto. Come trasgressioni
più o meno gravi anche esse subiscono vari gradi di ostracismo sociale, dallo scherno all'orrore.
Tale è la rottura “ad uso interno”, patriarcale, della reciprocità dello scambio, l'incesto [Lévi-Strauss
1967], fatto così frequentemente unito nelle nostre società alle storie di prostituzione [Buttafuoco
1985] e fenomeno tanto diffuso quanto occultato. Per certi aspetti è da unire alle forme viste sopra
(punto 3).
Tale è il nubilato, dove una donna resta fuori dell'uso sessuale e della circolazione matrimoniale,
con le forme di scherno o ridicolo che spesso la colpiscono.
Tale infine è il lesbismo, duplice trasgressione in cui non una ma due (o più) donne insieme
escono dal circuito di scambio delle donne tra uomini, circuito di alienazione della nostra
sessualità.
http://laboratoriodonnae.wordpress.com/2013/02/10/relazioni-sessuali-implicanti-compenso/