La Vacanza - CompraeBook

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La Vacanza
Scritto e ideato da
Carlo Fulgheri
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Lunedì
Quella mattina Simona era di pessimo umore. Uno stato
di malessere l’aveva tediata tutta la notte, costringendola
a rigirarsi nel sacco a pelo che condivideva con Alessandro, ma lui come al solito dormiva beatamente, inconsapevole del suo tormento e del mondo intero. Non c’era
stato nulla da fare, nemmeno le gomitate che gli aveva
inferto nelle parti molli avevano sortito l’effetto desiderato, si era voltato di fianco dandole la schiena e aveva
continuato a ronfare. Aveva la sensazione di essere imprigionata in un labirinto e per quanto si sforzasse non
riusciva a trovare una via d’uscita, a scacciare i pensieri
che l’angosciavano e che rimestava all’infinito senza
concludere niente di positivo. Doveva sfogarsi, ne aveva
un improrogabile bisogno. Doveva parlargli della sua delusione, delle aspettative mancate di quella vacanza e di
come ne aveva preso atto durante la notte. E intanto si ripeteva tutta la tiritera che aveva in serbo di rinfacciargli.
Erano in quel luogo da una settimana, avevano consumato metà del tempo di cui disponevano senza attuare nemmeno uno dei loro proponimenti. Non solo non erano
riusciti a rendere quella vacanza memorabile e a consolidare di conseguenza la loro relazione, si stavano addirit5
tura annoiando, sprecavano il tempo in attività che facevano di tutto per evitare persino tra le mura domestiche.
Vecchi! Le sembrava di trascorrere una vacanza da vecchi. Macché…! Conosceva dei vecchi che avevano molta più iniziativa di loro, che avrebbero trovato il modo di
rendere sublime, una simile occasione. Si era seduta e
dopo aver lanciato una rapida occhiata attraverso il telo,
si era portata le mani sul volto. A occhio e croce dovevano essere le nove, l’alba, rispetto ai loro orari. Alessandro si era mosso e per un attimo aveva sperato di potergli
rovesciare addosso il suo rammarico, invece si era disteso meglio che aveva potuto, completamente sopraffatto
dal torpore e ciò aveva causato in lei una specie di astio
nei suoi riguardi. Sapeva di non avere niente da rimproverargli, però il suo malessere la spingeva ad addebitargli la responsabilità, quasi che questo suo attegiamento
potesse lenire in qualche modo la sua ansia. Si era posta
ancora una volta l’ennesima domanda. Di cosa poteva
lamentarsi? E la risposta era stata identica a quelle che si
era già data. Quel posto era un sogno e ne era stata entusiasta fino alla sera prima, ma quell’idea, quasi impalpabile in un primo momento, senza rendersene conto l’aveva nutrita fino a che era divenuta un’ossessione e al momento non riusciva più a contrastare il suo desiderio inconfessabile. Non poteva rimproverare niente a nessuno,
ma non riusciva a mettersi il cuore in pace, persistendo e
ingigantendo la smania per quel capriccio, fino a renderne indispensabile il compimento. Aveva fatto un ulteriore sforzo per far emergere la persona razionale che era in
lei, constatando per l’ennesima volta la sua ingratitudine
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nei confronti di tutti coloro che la favorivano. Di cosa
poteva lamentarsi della sua vita di tutti i giorni? In casa
era dispensata da quasi tutte le faccende in ragione del
fatto che era l’ultima nata e la tenevano tutti su un palmo
di mano. Gli amici la riverivano, il fidanzato era un pezzo di pane e le consentiva tutta la libertà che si prendeva,
e non era poca. Sì, però quel tarlo era latente e non l’abbandonava nonostante la sua logica, rendendo il suo bisogno improrogabile almeno quanto irrealizzabile. Con
uno scatto si era alzata ed era uscita dalla tenda, ricevendo una folata d’aria fresca e balsamica che aveva respirato avidamente. Si era guardata attorno e aveva individuato spunti ulteriori per incrementare la sua disistima,
maledicendo l’incapacità di recidere in modo netto i pensieri che l’angustiavano. Quel posto era veramente un incanto; meritava tutt’altro che la sua ingratitudine, meritava anche senza strafare e forse era solo questione di meritarselo. Aveva respirato ancora, quasi a nutrirsi di quei
profumi e poi si era stirata in tutta l’estensione delle
membra, ricevendone una sensazione piacevolissima.
“Si sta troppo bene.” Aveva pensato, tentando di galvanizzare il suo umore con un minimo di ottimismo, poi si
era voltata con l’intento di fare una panoramica dell’accampamento. Era tutto bello e romantico, quasi una favola, ma non era quello che voleva lei. E dire che con
una banale variante, quel posto e quella vacanza avrebbero potuto rasentare la perfezione. In maniera quasi automatica, aveva raggiunto un grosso ginepro a cui era
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appesa un’amaca e vi si era stesa. Si stava dondolando
beatamente in quella frescura quando il volto aveva assunto una delle sue espressioni enigmatiche indecifrabili,
dalla quale si poteva prevedere unicamente che l’azione
conseguente non sarebbe rientrata nei canoni costituiti.
Scesa dall’amaca aveva recuperato un foulard rosa dalla
borsa in paglia che teneva appesa a un ramo e se l’era legato alla vita; era l’unico indumento che teneva indosso.
“Bene, adesso diamoci da fare.” Aveva pensato mentre si
dirigeva a passi lesti verso la duna che delimitava a est il
loro accampamento. Quel sentiero appena percettibile
l’aveva tentata più volte, da quando avevano piantato la
tenda in quel luogo, ma le radici sporgenti e i rami di ginepro che si strofinavano in volto, l’avevano dissuasa regolarmente dopo i primi passi. Sì, ma in quelle occasioni
non era pervasa dal tumulto che stava sperimentando al
momento. A passi decisi aveva imboccato il viottolo, incurante della prima manata in pieno volto che aveva ricevuto da un ramo che non aveva scorto. Effettivamente
il tragitto si stava rivelando ancora più impegnativo di
quanto avesse previsto e già dopo il primo tratto l’impeto iniziale era stato parzialmente fiaccato, però non voleva rinunciare, forse quello era un modo per ritrovare il
suo solito equilibrio. “Non è detto che debba raggiungere lo scopo con la forza brutta.” Aveva pensato mentre si
preparava ad affrontare la salita con più calma, intercalandola con soste sempre più frequenti, indotte dalla
mancanza più assoluta di fiato. Ansimava ma, qualcosa
dentro di lei la spingeva a proseguire, una specie di euforia che le faceva apparire la sua risolutezza come un me8
rito. Nei tratti scoperti del sentiero si guardava attorno ad
ammirare il panorama e quello splendore le colmava gli
occhi, e le narici, i profumi balsamici e le spezie che
prosperavano intorno, accentuando in lei uno stato d’animo più positivo. Intanto il sole cominciava a picchiare,
intensificando la fatica della ragazza e i suoi ansimi. La
fronte era imperlata e i raggi vi si riflettevano, rendendo
quelle goccioline simili a brillanti che lei regolarmente
dissolveva col dorso della mano. In prossimità della vetta, la salita si era fatta più ripida e la vegetazione più
bassa, quasi aderente al suolo. La sabbia a quel punto era
meno compatta; la brezza e la calura ne avevano evaporato tutta l’umidità e ciò rendeva estremamente impegnativo e faticoso ogni passo. Simona arrancava, dando
fondo a tutte le energie, emettendo veri e propri rantoli,
ma era imperterrita verso il suo obiettivo, tanto che percorsi ancora una cinquantina di metri che a lei erano parsi chilometri, si era lasciata andare come un sasso sul cucuzzolo. Era rimasta bocconi per alcuni minuti, fino a
quando aveva recuperato un minimo di energie, quindi si
era seduta con i gomiti sulle ginocchia e le mani sul volto ancora paonazzo. Era stremata, ma soddisfatta della
sua impresa, orgogliosa di aver superato se stessa. Si era
lasciata cullare per qualche minuto da quella piacevole
sensazione di appagamento e poi, guadagnata la posizione eretta, si era orientata verso il panorama circostante,
portando la mano aperta sulla fronte per ripararsi dalla
luce, incurante della sabbia che aveva aderito sulle sue
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forme rendendole animalesche, più sensuali che mai. La
spiaggia si estendeva a perdita d’occhio per una larghezza di almeno cinquanta metri, quindi andava ad addensarsi a ridosso delle dune, sulle quali avevano attecchito
un numero imprecisato di ginepri che le coprivano quasi
del tutto. Il mare digradava dal trasparente al verde chiaro, per diventare celestino a ridosso degli scogli di granito e poi blu intenso in lontananza. Nelle sue immediate
vicinanze poteva scorgere dei cespugli d’erba ancora
verde e dei gigli di mare, sulle infiorescenze dei quali si
posavano degli insetti, alle cui spese cercava di banchettare una lucertola. Simona era ingorda di quel panorama
e di quegli odori; le provocavano un’emozione che non
riusciva a definire e che non si discostava di molto da
un’eccitazione vera e propria. Ruotando il busto aveva
cercato di inglobare tutto il territorio raggiungibile dal
suo sguardo, quasi cercasse qualcosa, o qualcuno, ma
per quanto si sforzasse non riusciva a intravvedere, o a
udire altro che i campanacci di un gregge di capre che
pascolava sulla collina antistante, ricoperta per intero
dalla macchia mediterranea. Si era concentrata ancora,
nell’intento di localizzare un suono che le era parso di
udire in lontananza, forse un grido, o forse un fischio rivolto alle capre. Aveva anche ipotizzato che potesse trattarsi solo di un miraggio acustico indotto dai suoi bisogni, ma doveva verificarlo, voleva dare ascolto al suo
istinto e gli dava corda, portandone all’estremo il compiacimento e mortificando la ragione. Aveva respirato
ancora una volta quei profumi che la rendevano ebbra,
spazzando tutte le ragioni che potevano dissuaderla dai
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suoi propositi e aveva imboccato un sentierino che sprofondava nell’avvallamento tra due dune. Aveva deglutito, pervasa da un’ansia languida che le causava forti contraccolpi nel petto, quando il cuore martellava per un
nonnulla, o stimolato dai suoi pensieri più spinti. Si era
fermata a riflettere sulle cause del suo stato d’animo, ma
non aveva voluto approfondire nell’immediato, pregustando il momento in cui sarebbero emerse autonomamente. Forse era quel luogo, o peggio ancora la sua natura, che coglieva ogni occasione per insinuarle pensieri
che gli altri facevano di tutto per reprimere e che invece
lei coltivava fino all’estrema immaginazione, dalla più
labile origine fino a farli quasi materializzare. Non era il
caso che mentisse a se stessa; perché negare l’evidenza
dei fatti? Perché non ammettere che il fuoco che aveva
addosso poteva essere spento unicamente da una trasgressione? E che fosse una trasgressione doveva valutalo lei, il suo istinto, la sua anima. In quelle circostanze,
avere rapporti col suo fidanzato non sortiva il benché
minimo effetto, anzi, accentuavano i suoi bisogni e le
provocavano repulsione. Meglio guardarsi dentro. Molto
meglio far emergere i pensieri folli; ammettere che l’idea
che aveva dato origine a quella scarpinata, l’aveva già rimestata durante la notte come antidoto alla sua insoddisfazione e poi aveva continuato a coltivarla al risveglio,
quasi potesse sortire una rivalsa, una bestemmia contro
le convenzioni. In quel momento aveva considerato che
avrebbe anche potuto prostituirsi, o addirittura accedere
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a un prostituto; sapeva che si sarebbe sentita appagata
solo frantumando le regole che imprigionavano il suo
temperamento e che ammansivano i benpensanti. Fortunatamente si era trattato solo di un conato di rabbia che
aveva lasciato campo libero al buonumore subito dopo,
manifestato da un sorriso che le aveva illuminato il volto. Chissà cos’avrebbero pensato i suoi amici e il suo fidanzato, se li avesse resi partecipi dei motivi che l’avevano spinta a cimentarsi nella sua escursione solitaria?
Che si era ingaggiata nella sua impresa con la folle speranza di incontrare uno sconosciuto e di farsi una bella
trombata senza cerniera. Quell’idea le faceva inturgidire
le parti intime; in quel momento se avesse avuto poteri
magici avrebbe fatto materializzare lo sconosciuto; lì,
davanti a lei, col cazzo già in tiro. Quel posto però era
deserto. Non avevano incontrato nessuno per una settimana intera e anche la domenica, i bagnanti si sarebbero
potuti contare con le dita. E dire che erano i primi di giugno. Si era fatta scivolare una mano davanti agli occhi,
quasi a evidenziare il suo precario equilibrio mentale.
Però cercava di immaginare la faccia dello sconosciuto,
al vederla comparire nelle sue condizioni.
“Ma sì, dai, percorriamo questo bellissimo sentiero e poi
rientriamo.” Si era detta rivolgendosi a se stessa in terza
persona; quasi che il distacco servisse a scongiurare le
forze antagoniste ai suoi desideri; che nel tragitto, se la
fortuna non le riservava di meglio, almeno l’opportunità
di cogliere qualcuno in atteggiamenti intimi non glielo
negasse. Il sentiero a quel punto era ombreggiato dalla
duna, poiché le girava a mezza costa. I ginepri erano gio12
vani ma molto fitti e le oscuravano ogni visibilità, quindi
aveva allungato ulteriormente il passo; ormai rassegnata
a una ricerca sicuramente infruttuosa, quando una voce
appena percepibile aveva attratto la sua attenzione. Si
era fermata, voleva capire da quale direzione proveniva
e subito dopo vi si era diretta con passi felpati. Era sotto
di lei una ventina di metri, seduto all’ombra di un grosso
pino alla base della duna, però, se voleva sentire la conversazione rischiava di farsi scorgere. Aveva fatto ancora
alcuni passi e si era acquattata. Forse era un capraio. Chi
poteva starsene in quel luogo con pantaloni di velluto a
righe, una camicia a quadri e gli scarponi ai piedi? Simona aveva valutato in quarant’anni l’età approssimativa
dello sconosciuto, anche se la consistente alopecia poteva trarla in errore, ma era un dettaglio che al momento
non destava in lei un particolare interesse; la conversazione invece, quella avrebbe voluta coglierla nei minimi
dettagli e a tale scopo aveva aguzzato le antenne e trattenuto il respiro. “Sono al solito posto” – aveva detto lo
sconosciuto, rivolto all’interlocutore che stava all’altro
capo del telefono – “ti aspetto, ma non tardare.” Scambiata ancora qualche frase aveva chiuso la conversazione
per alzarsi decisamente in piedi e guardarsi intorno; poi
aveva steso un telo alla base del pino e vi si era adagiato;
puntando lo sguardo nella direzione dov’era accovacciata lei. “E adesso che faccio?” Si era chiesta rendendosi
conto che al minimo movimento poteva essere scorta.
Mentre lei faceva queste considerazioni, l’individuo in
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questione si era portato la mano alla fronte per scrutare
nella sua direzione, quasi non ritenesse plausibile ciò che
gli rendeva lo sguardo, poi aveva desistito e con assoluta
noncuranza aveva raccolto il telo e si era allontanato.
“Bene” – aveva pensato Simona a quel punto – “adesso è
proprio ora di rientrare.” E si era avviata per il sentiero
che era nuovamente in pieno sole. Aveva percorso alcuni
metri a passi decisi ma poi si era accovacciata di nuovo.
“Oggi non ho ancora fatto la pipì, sarà meglio farla adesso, altrimenti nel tragitto corro il rischio di farmela addosso.” Era in quella posizione intenta ai suoi bisogni,
quando aveva udito un latrato nelle immediate vicinanze
e un fruscio tra i cespugli. Una frazione di secondo,
quindi un grosso cane le era andato addosso e l’aveva rovesciata, avventandosi immediatamente con ampie leccate nella sua parte intima. Simona non sapeva cosa fare,
aveva paura che l’animale potesse reagire in modo aggressivo a una sua eventuale resistenza, però non aveva
potuto fare a meno di gridare e di trascinarsi all’indietro
strisciando il sedere sulla sabbia, seguita dal cane che
non aveva intenzione di desistere. Era un animale di
grossa taglia, bianco e dal pelo raso, comunque, ancora
giovane e giocherellone e, almeno in apparenza, senza
propositi ostili. Il suo interesse sembrava mosso unicamente dal sesso di lei, a giudicare dalla sua eccitazione,
resa evidente dal membro sguainato, di dimensioni nettamente superiori a quelli dei maschi conosciuti fino ad allora. Simona si era parzialmente rincuorata e con uno
sforzo estremo per vincere la paura, aveva allungato la
mano per fare una carezza all’animale, nel tentativo di
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stabilire un rapporto amichevole che la mettesse al riparo
da eventuali pericoli. Il cane aveva sollevato la testa per
fissarla in faccia, poi si era voltato di lato ad annusare
l’aria ed era rimasto in quella posizione per qualche secondo. Approfittando di quel momento di distrazione apparente, Simona si era voltata sulle ginocchia con l’intenzione di alzarsi e scappare, ma non aveva fatto i conti
con l’animale che approfittando di quella posizione le
era andato sopra e con un colpo vigoroso l’aveva inchiodata sotto di lui, dando il via a una successione di movimenti veloci e sostenuti.
“Aiuto!” Aveva gridato a quel punto Simona, prendendo
atto amaramente dell’imprevedibile e inaspettata evoluzione degli avvenimenti, sbalordita al pensiero che proprio a lei potesse capitare una cosa del genere.
“Aiuto!” Aveva urlato con quanto fiato aveva in corpo,
pur sapendo che l’unica persona che aveva intravisto in
zona si era appena allontanata. Intanto l’animale era imperterrito su di lei, la teneva immobilizzata con le zampe
anteriori e si muoveva con una foga inaudita che gli provocava un respiro fragoroso. Non sapeva cosa fare, ma
qualcosa, forse l’istinto di sopravvivenza la consigliava
di aspettare, di non provocare in lui reazioni che potevano risultare irrimediabili.
“Aiuto!” Aveva gridato ancora, nonostante fosse certa
che il suo richiamo sarebbe stato inascoltato.
“Dev’esserci un modo per liberarmi” – pensava mentre
cercava di resistere all’irruenza del cane e malediva i
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pensieri folli che aveva coltivato in mattinata – “ma se
non mi riesce di allontanarlo, spero almeno che si stanchi presto e non mi faccia male.”
“Aiuto!” Aveva gridato ancora, cercando di dominare il
panico che poteva dettarle gesti inconsulti, ma era sul
punto di lasciarsi andare al pianto e allo scoramento, in
conseguenza della presa d’atto d’essere in balia degli
eventi. Ormai era in preda alla disperazione più totale,
quando aveva sentito dei passi che si avvicinavano in
quella direzione a velocità sostenuta, e infatti, qualche
attimo dopo aveva intravisto dei pantaloni di velluto a righe.
“Aiutami…” Aveva implorato rivolta allo sconosciuto
che si era fermato a poco più di un passo da lei.
“Lo farei volentieri” – le aveva risposto lui – “però ho
paura che possa diventare aggressivo e farti male; devi
resistere fino a quando finisce, vedrai che non ci vuole
molto.
Per fortuna l’amplesso del cane non era durato più di
dieci minuti e quando si era staccato, l’individuo che Simona aveva qualificato quale pastore l’aveva cacciato in
malo modo.
“Cavolo,” – aveva sussurrato in maniera quasi impercettibile quell’individuo rivolgendosi a Simona, che intanto
si era lasciata cadere al suolo stremata dalla tensione che
le aveva provocato quell’esperienza – “in tutta la mia
vita non avevo mai assistito a uno spettacolo così eccitante. Tuttavia certe pratiche non sono consigliabili senza l’ausilio di un complice.” Aveva aggiunto alzando il
tono della voce. “Gli animali sono imprevedibili. Se pro16
prio volevi vivere quest’esperienza, considerato che le
occasioni con l’altro sesso non ti mancheranno di certo,
dovevi cercare qualcuno che ti aiutasse e un cane più
mansueto. Quello era un cane davvero possente e se
morde può fare molto male.”
Simona l’aveva guardato sbalordita.
“Questo è pazzo!” Aveva pensato.
“Ma, non crederai che sia stata una mia iniziativa,
spero?”
“E perché? Non saresti mica la prima … ci sono tante
donne a cui piace giocare con gli animali; del resto se
non c’è un minimo di collaborazione, è un approccio che
risulta alquanto improbabile. A volte si comincia per gioco e poi, quando si perde il controllo, la paura prende il
sopravvento.
“No, io non volevo, mi è saltato addosso e quando mi
sono voltata per scappare si è approfittato di me. Io non
volevo.” Aveva ribadito Simona guardando l’uomo di
sottecchi, non avendo il coraggio di sollevare lo sguardo
dal suolo.
“Va bene, ti credo. Probabilmente quello è un cane allenato a queste pratiche e l’esperienza gli ha facilitato
l’approccio.”
Simona intanto si era accovacciata stando sui piedi, col
volto appoggiato alle ginocchia e le braccia che avvolgevano le gambe.
“Dai, non farne un dramma, è finita bene ed è questo che
conta. In definitiva da tutte le esperienze possiamo trarre
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profitto. Tieni, pulisciti.” Aveva concluso lo sconosciuto
porgendole delle salviette. Simona aveva allungato la
mano stando tuttavia a testa bassa.
“Chissà cosa penserai di me, dato il mio abbigliamento?
È che in questi giorni non ho mai incontrato nessuno e
quindi ho ecceduto in sicurezza.”
“Voglio rassicurarti,” – le aveva risposto lo sconosciuto
acquattandosi a sua volta – “innanzitutto il mio parere;
non ci conosciamo e quindi non può incidere nelle tue
relazioni sociali. Tutto dipende dall’ottica da cui guardiamo le cose, dalla mia, ora che è passata e che sei incolume, posso confidartelo, ho percepito un’eccitazione
mai sperimentata prima, ancora non riesco a togliermi la
scena dagli occhi.
Simona l’aveva guardato in volto, poi nella direzione
della cerniera dei pantaloni e aveva potuto constatare che
non stava mentendo. Lei certo non avrebbe potuto dire
altrettanto, la paura che il cane potesse morderla l’aveva
praticamente paralizzata e quell’amplesso le era sembrato interminabile.
“Il mio ragazzo mi aveva detto che certe donne si fanno
leccare dal proprio cane ma, mai avrei creduto che potesse capitarmi una cosa del genere; se non fosse successo a
me, ne avrei persino riso.”
“Forse è l’atteggiamento giusto anche in questa occasione,” – aveva sussurrato lui – “in fondo cosa cambia se te
la prendi?”
Simona aveva sollevato lo sguardo e l’aveva indirizzato
verso quello dell’uomo, sostenendolo per la prima volta
e vedendo la sua espressione, ricordando i motivi che
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l’avevano spinta a farsi quella scarpinata, non aveva saputo trattenere un sorriso
“Ecco, brava. In fondo che te ne frega? Non ti ha fatto
nemmeno un graffio e in più hai fatto un’esperienza che
in un momento di follia potrai raccontare, o addirittura
ripetere.” Simona l’aveva puntato nuovamente ed aveva
fatto un gesto col quale voleva significare che quella
prospettata, era la più improbabile delle ipotesi; poi si
era guardata, quasi fossero necessarie conferme o verifiche dello stato nel quale si trovava al momento ed era
scoppiata a ridere.
“Guarda;” – gli aveva detto – “se mi gira sono capace di
qualunque trasgressione, ma non credo che di mia volontà possa ripetere una cosa del genere.”
L’uomo l’aveva guardata ed aveva espresso un sorriso
incredulo, valutando che una ragazzina come quella che
aveva davanti non potesse avere un gran repertorio di
esperienze e ancora meno di trasgressioni.
“Certo, è una trasgressione anche andare in giro nudi,
pur se farlo in un luogo deserto potrebbe sminuirla.” Le
aveva risposto con una punta di sarcasmo.
Simona aveva percepito in pieno il significato delle parole e soprattutto dello sguardo dell’interlocutore ed era
tornata a ridere.
“Guarda, proprio stamane sono uscita con la speranza di
incontrare uno sconosciuto e farmi una bella scopata
senza problemi; uno qualsiasi, senza badare all’aspetto, e
tu sei stato l’unico individuo che ho visto nel circonda19
rio. Volevo sedurti ma non ne ho avuto il coraggio, e poi
ti sei allontanato. E invece,” – aveva aggiunto Simona
marcando le ultime parole – “mi è capitata questa disavventura.”
“Non dubito che tu l’abbia vissuta male,” – aveva proferito l’uomo in un tono un po’ incerto – “però, io sono ancora sconvolto per l’eccitazione che mi ha provocato e,
spero che non te ne abbia a male, ma devo alleviare assolutamente questa tensione.”
Così dicendo si era slacciato i pantaloni e aveva preso a
masturbarsi. Simona era a un passo da lui e poteva vederlo nei minimi dettagli, percepire la foga di quei gesti,
immaginare negli occhi socchiusi dell’uomo le immagini
che stava rivivendo e che gli facevano emettere una specie di lamento: ummm.
“Diamine,” – aveva pensato – “credevo di averne avuto
abbastanza per oggi e invece questo mi sta facendo eccitare … sono proprio una baldracca.”
Intanto lo sconosciuto continuava imperterrito, aumentando semmai d’intensità, sia i movimenti che i mugolii
ed infine balbettando parole appena percettibili.
“Vedere quell’animale che ti stantuffava la figa in quel
modo mi ha sconvolto, avrei voluto infilare anche il mio
cazzo insieme al suo e venirti dentro con lui.”
Simona era diventata paonazza, passato il pericolo l’idea
non le dispiaceva affatto e poi vedere l’uomo in quell’atteggiamento la turbava, ne percepiva la tensione emotiva
che gli traboccava da tutti i pori. Senza dire una sola parola si era voltata per posizionarsi in modo analogo a
quello in cui l’aveva sorpresa il cane e un attimo dopo
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subiva il secondo assalto della giornata, vigoroso allo
stesso modo, o forse ancora di più.
“Cavolo,” – aveva proferito quasi in un rantolo lo sconosciuto – “oggi è la mia giornata fortunata, forse la più
fortunata della mia vita, appena finisco con te devo incontrarmi con Maria e anche lei ci da dentro senza ritegno.” Dette queste parole l’uomo si era staccato e si era
lasciato cadere nella sabbia ansimando.
“Sei venuto?” Gli aveva chiesto Simona che era sul punto di godere pure lei.
“No, mancava poco e ho voluto prendere una pausa, perché sono convinto che un’occasione simile non mi capiterà mai più, quindi voglio che duri ancora.”
“Sì, però io devo andare, non posso trattenermi oltre.”
Gli aveva risposto lei.
“Dai, fammi finire e poi potrai andartene per i fatti tuoi.”
L’aveva quasi implorata lui e senza aspettare risposta le
era entrato dentro, incurante della sabbia che gli si era
incollata al pene. Aveva ripreso con un ritmo lento, rotatorio, con l’evidente intento di protrarre l’amplesso il più
a lungo possibile, di godersi quel sesso sfacciatamente,
da cialtrone, quasi fosse un trofeo su cui esercitare le sue
voglie tronfie, ma data un’occhiata fulminea all’orologio
aveva accelerato immediatamente i movimenti, facendoli
diventare frenetici, tanto che in pochi minuti erano crollati ambedue ansimanti sulla sabbia.
“Io mi chiamo Antonio.” Le aveva confidato lui appena
ripreso fiato.
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“Ed io devo rientrare subito.” Gli aveva risposto lei.
“Mi piacerebbe accompagnarti, ma Maria arriva da un
momento all’altro e se non mi trova s’incazza maledettamente.” Aveva proferito lui in tono di scusa.
“Posso assicurati che non è il caso, anzi, se malauguratamente dovessimo rincontrarci fammi un favore, fai finta
di non avermi mai conosciuta. Quello di oggi è un fatto
fine a se stesso e tale deve restare.”
“Come vuoi.” Le aveva detto lui conciliante, nel frattempo che si allacciava i pantaloni; poi ambedue avevano
fatto per allontanarsi ma, solo dopo pochi passi, Simona
si era fermata, folgorata da un sospetto improvviso.
“Senti un po’!” Aveva gridato, esercitando al contempo
una torsione del busto per orientare lo sguardo nella direzione dello sconosciuto, che al suono della voce si era
fermato e voltato a sua volta.
“Com’è che sei arrivato al momento opportuno, se prima
eri andato via?”
“È stata una coincidenza.” Le aveva risposto lui sfuggente e impaziente di riprendere la sua andatura.
“Non lo so, mi sta venendo il dubbio che tu sia un gran
figlio di puttana!” Gli aveva gridato lei caricando quelle
parole di tutta la rabbia che le stava salendo dallo stomaco.
Antonio si era portato le mani sui fianchi e puntato lo
sguardo a sostenere quello di Simona, non aveva saputo
trattenere un risolino beffardo.
“Ma che vuoi? Ti ho vista sulla duna e non credevo ai
miei occhi. Questa sta cercando cazzo – ho pensato – ed
io ho tanta voglia di divertirmi. Ci siamo divertiti, non ti
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basta?”
Se tutto si limitasse a questo non avrei niente da ridire,”
– gli aveva risposto Simona con un tono carico di rancore – “ma adesso sto cominciando a pensare che tu abbia
delle responsabilità anche a proposito di quel che è successo prima col cane e se questo è vero, sei un gran bastardo”
“Pensala come vuoi … ma quel cane è il mio più grande
amico. Trascorriamo insieme gran parte della giornata e
spesso mi fa compagnia anche alla sera, mica potevo negargli una scopata con una troietta come te? Ci dividiamo tutto, noi. Sono stato io a insegnargli come sottomettere le cagne in calore e devo dire che ha imparato bene
la lezione, e adesso vai e non rompere i coglioni!” Dette
queste parole, Antonio si era voltato ed era sparito dietro
i cespugli.
Simona si era allontanata da quel luogo con la testa frastornata, non riusciva a mettere ordine nei pensieri e fare
una valutazione consapevole di quel che le era accaduto.
Aveva indovinato il sentiero ricalcando le sue stesse impronte fino a raggiungere nuovamente la vetta della duna
e poi aveva ripreso la discesa. Il sentiero a quel punto le
sembrava più impegnativo, ma forse ciò era dovuto alla
stanchezza, o allo stato d’animo, totalmente soverchiato
dal rancore e dalla disistima nei suoi stessi confronti.
Scansando rami e radici aveva raggiunto un punto dal
quale poteva scorgere l’accampamento e i suoi compagni
di avventura, e a quel pensiero non aveva potuto fare a
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meno di riflettere su quella parola. In mattinata, tutto il
suo essere bramava di viverne una, di trasformare quella
tranquilla e noiosa vacanza in un’avventura infinita e al
momento tutto ciò le appariva inverosimile. Era stanca,
doveva riposarsi, quindi si era seduta in un punto ombreggiato. Era in quella posizione da alcuni minuti e non
aveva potuto fare a meno di riconsiderare le cause del
suo malessere. Perché stava così male? Non certo per
una scopata che aveva persino invocato. No, era l’umiliazione, che non riusciva a digerire; o forse qualcosa di
più profondo che metteva in crisi le sue convinzioni, la
sua stessa concezione della vita, che lei immaginava libera e plasmabile dalla sua iniziativa. Se aveva immaginato quell’avventura in maniera così diversa, allo stato
dei fatti, tutte le altre sue prospettive dovevano confrontarsi con le medesime incognite ed il futuro roseo che
aveva vagheggiato per se stessa veniva frantumato.
Quell’idea le provocava un’ansia lancinante, insopportabile, da farla stare male fisicamente. Le era piombata addosso come una valanga, un’eruzione di gas solforici che
le rendevano problematico il respiro, che la induceva a
desiderare l’annullamento della sua esistenza, il disgregamento del suo essere, un ricongiungimento con la polvere che le aderiva ai piedi. Sentiva il suo equilibrio vacillare, sollecitato dal desiderio quasi disumano di annullare quel lasso di tempo maledetto e la consapevolezza
che ciò non sarebbe stato possibile. Quella presa d’atto
ingigantiva la sua angoscia e faceva sorgere in lei una
specie di presagio: che l’episodio vissuto poteva rappresentare la causa di un addio definitivo ai suoi affetti e al
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suo modo di essere; alla sua spigliatezza, alla sua beata
incoscienza, al suo modo di concepire i rapporti umani.
Si sentiva risucchiata in un abisso nero che non le lasciava intravvedere vie d’uscita. Quella condizione di scoramento esacerbante si era protratto per un tempo che a lei
era parso interminabile, ma ad un certo punto qualcosa
in lei si era destato, contrapponendosi a quel desiderio di
sprofondamento. Non poteva e non voleva lasciarsi soverchiare alla prima occasione che le cose le andavano
storte; il suo carattere allegro e propositivo non poteva
tollerarlo, del resto si trattava della prima delusione cocente, a dispetto di un’infinità di esperienze esaltanti che
l’avevano resa persino viziata. Cavolo, se quella era la
vita, chissà quante disavventure avrebbe dovute superare… Doveva cominciare a temprarsi e lottare per affermarsi, così come fanno tutti gli altri di fronte alle incognite del vivere quotidiano. Quello era un cafone di sicuro, del resto lei non stava cercando un principe e se non
si fosse messa a indagare, al momento nei suoi pensieri
sarebbe rimasto solo l’aspetto piacevole della vicenda,
una perfetta scopata senza cerniera, proprio alla maniera
di Erica Jong, il suo idolo incontrastato. Chissà quanti
cafoni frequentiamo normalmente e non si rivelano, e
noi continuiamo a fidarci di loro senza sapere mai con
chi abbiamo a che fare. Almeno questo, non avendo
niente da perdere si è palesato per quello che è, un merdoso al quale bisognerebbe schiacciare i coglioni con
una pietra, ma che non fosse troppo grande, in modo da
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essere necessari un infinità di colpi per eseguire l’opera.
Intanto si era levata nuovamente in piedi e aveva ripreso
la discesa, questa volta di umore nettamente più allegro
di quanto non fosse stata fino a pochi attimi prima, quasi
che fosse sufficiente aver immaginato il supplizio, perché venisse inflitto automaticamente da una qualche entità.
“Però, scopata da un cane...” E non riusciva a trattenere
un sorriso.
“Scopata da un cane … non voglio immaginare cosa
avrebbero da ridire Piero e Francesca e soprattutto Alessandro, se venissero a sapere una cosa del genere.” Coltivando quel pensiero balordo si era fermata di nuovo
per spiarli da una distanza più ravvicinata, accovacciandosi sui piedi per non essere scorta. Era in quella posizione, seminascosta tra i cespugli, quando aveva sentito
che qualcosa; sperma misto a sabbia le colava dalla vagina. “Quel bastardo!” Aveva pensato vaporizzando lampi
d’odio e di disgusto. “Mi ha preso per una latrina…”
Con uno sforzo estremo, al di sopra delle capacità che si
riconosceva, aveva rimosso quei pensieri. Voleva essere
certa che gli amici non potessero cogliere alcun turbamento nel suo sguardo. Con questo proposito aveva ripreso a osservare l’accampamento.
Alessandro stava armeggiando con una canna da pesca,
come al suo solito. Sembrava tranquillo, nonostante
mancasse da alcune ore, del resto non era certamente un
tipo apprensivo. Raramente l’aveva visto perdere le staffe e anche in quelle occasioni, quando gli altri sarebbero
andati in escandescenze, lui aveva mantenuto comunque
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il controllo. Era un tipo abbastanza in carne, ma non
obeso, comunque non riusciva a preoccuparsi nemmeno
per i problemi che affliggono la gran parte delle persone,
figuriamoci se un po’ di ciccia poteva nuocergli al sonno. Di lì a qualche mese avrebbe compiuto diciannove
anni, quasi uno più di lei ed era alto un metro e settantacinque centimetri. Un gigante, rispetto alla sua statura,
tanto che non mancava di rimarcare bonariamente che
era bassa un metro e cinquantadue. Ciononostante era il
più accanito estimatore delle sue forme e gli occhi gli ardevano di desiderio come il primo giorno, quando se la
vedeva gironzolare intorno completamente nuda, come
nell’occasione di quel campeggio.
Piero era steso su un’amaca, concentrato su una delle sue
riviste che lo assorbivano completamente, in conseguenza della necessità di essere sempre informato, come soleva dire quando gli facevano notare la sua assenza. Era il
più grande di loro: aveva ventotto anni ed era molto riservato, l’unico che aveva opposto resistenza per adeguarsi al loro costume adamitico, il più attaccato ai suoi
principi un po’ retrò che gli altri canzonavano ad ogni
occasione. Comunque, era una persona piacevole e propositiva, anche se a volte tracimava in escandescenze
contro il sistema che a suo avviso non gli permetteva di
far emergere le sue potenzialità e lo relegava ai margini.
Fisicamente era longilineo, qualche centimetro più alto
di Alessandro; di carnagione scura, così come gli occhi e
i capelli e, doveva ammetterlo, a corredo di un volto dai
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lineamenti marcati, possedeva una bocca molto sensuale.
Francesca coltivava la sua abbronzatura in disparte.
Sembrava una mulatta ma non le bastava, ne curava tutti
i dettagli, stimolata dalla sua vanità, pienamente consapevole di quanto quel colore esaltasse i suoi lineamenti,
accentuandone la già non comune gradevolezza. Aveva
venticinque anni, era nel pieno della sua bellezza, nonostante qualche chilo in eccesso, per smaltire i quali si riproponeva di incominciare una dieta alla prima occasione. I capelli lunghi e castani li teneva legati alla nuca;
erano un accessorio a cui dedicava attenzioni continue
per tenerli sempre in condizioni ottimali. Simona le voleva bene, ma per certi aspetti la invidiava, in particolar
modo per l’altezza che non si discostava da quella del ragazzo.
Finalmente si era decisa a raggiungerli, rintuzzando
quell’aspetto del suo carattere egocentrico e irriverente
che per sbalordirli la spingeva a raccontare la sua avventura; comunque, non riusciva a trattenere un risolino beffardo, all’idea della presumibile reazione.
“Toh, è arrivata la ninfa dei boschi” – aveva esordito
Alessandro quando l’aveva intravista comparire dal sentiero – “ed è anche di ottimo umore” – aveva continuato,
guardando nella sua direzione con un certo cipiglio.
“Chissà cos’avrà combinato?” Aveva insinuato Piero. “Io
al tuo posto non mi sentirei tanto tranquillo.” E aveva
caricato quelle affermazioni di sospetti inenarrabili, pur
sapendo che avrebbero lasciato del tutto indifferente il
giovane amico. Simona aveva fatto orecchie da mercante
e si era diretta verso la tanica che tenevano appesa a un
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ramo nelle vicinanze.
“E no!” Aveva gridato Piero, a rammentare gli accordi
stabiliti in considerazione delle difficoltà a reperire l’acqua dolce, con i quali si erano impegnati ad usarla solo
alla sera, prima di andare a letto. Simona si era voltata e
fatti alcuni passi nella sua direzione gli si era parata davanti, tenendo le mani sui fianchi, quasi a implorare un
po’ di pietà. Simona era davvero mignon, ma questo non
sminuiva certo la grazia del suo aspetto e le proporzioni
quasi perfette, e questo quasi, non è riferito a un difetto,
semmai a un’eccedenza che molte donne ed altrettanti
uomini bramano possedere, anche se in ottica diversa. Il
seno di Simona era di notevoli proporzioni: quarta, o forse quinta misura, ma non era la dimensione, la qualità
che calamitava gli sguardi dei due maschi del gruppo e
di tutti quelli che avevano la fortuna di poterlo ammirare, bensì la consistenza. In effetti erano turgidi, talmente
gonfi da renderne la pelle lucida e per quanto possa sembrare banale l’ accostamento, al suo incedere vibravano
impercettibilmente, allo stesso modo della gelatina quando è molto densa. Il sedere era arrotondato e sodo e spesso lo faceva guizzare quasi come un tic, esattamente
come nell’occasione narrata, quando era in condizioni
d’incertezza, o aspettava il consenso ad una sua richiesta. Il ventre era piatto, le gambe diritte ed una leggera
peluria dorata le copriva a malapena il monte di venere,
lasciando immaginare senza troppi patemi d’animo i dettagli del sesso. Simona era in attesa di un ripensamento
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di Piero, mentre lui la guardava imperterrito in volto, rimirandone i tratti estremamente piacevoli, le smorfie
della bocca, che in altre occasioni, nelle quali credeva di
essere inosservata, aveva potuto cogliere nell’elargire
baci immaginari, o in altre attività sulle quali è meglio
soprassedere. I capelli neri li portava alla maschiaccio, in
modo tale da accentuare il suo carattere trasgressivo e gli
occhi, il più delle volte socchiusi a causa dell’eccesso di
luce, erano di un celeste talmente chiaro che le pagliuzze
verdi, sembrava galleggiassero su un liquido brillante.
Ripensando a questo particolare, Piero si era reso conto
che lo mettevano a disagio, talmente erano penetranti.
Avrebbe voluto essere inflessibile, conoscendo la malizia
della ragazza e la sua attitudine ad evadere i criteri a cui
si assoggettavano tutti gli altri, ma vedersela lì davanti,
quasi a bramare una indulto, lo aveva intenerito, quindi
aveva sollevato il busto dall’amaca per darle il suo consenso, anche se con parole poco riguardevoli, ma a quel
punto era intervenuta Francesca.
“Ti accompagno io Simona, dai che andiamo a fare il bagno.” Così dicendo si era alzata dallo stuoino e l’aveva
raggiunta per puntare poi in direzione della spiaggia.
“È tutta la mattina che stiamo a pigrire” – era intervenuto Alessandro a quel punto – “dai Piero, che una nuotata
fa bene anche a noi.” E si erano avviati tutti in quella direzione.
Mezz’ora dopo erano rientrati, alquanto galvanizzati dal
contatto col liquido alcalino e dalla goliardia a cui si lasciavano andare ogni volta, quando andavano a bagnarsi.
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Si erano buttati sugli stuoini posizionati alla base della
duna, il punto più soleggiato dell’accampamento, circondato quasi per intero dai ginepri, alcuni dei quali sicuramente secolari. La tenda di Piero, il primo arrivato in
quel luogo, all’incirca da una settimana, era piazzata perfettamente alla base di due ginepri affiancati che la riparavano dal sole a tutte le ore del giorno. Era una tenda a
casetta con una bella verandina, sotto la quale avevano
sistemato il tavolo, e di lato, sempre all’ombra, avevano
ricavato il reparto cucina. La tenda di Simona e Alessandro era senz’altro più modesta, di quelle che ormai si vedevano raramente; loro l’avevano acquistata in uno di
quei magazzini di generi paramilitari, dovendo tener
conto delle loro finanze che provenivano esclusivamente
dalla bontà dei familiari. Era una tenda di tipo canadese,
con due paletti interni che la tenevano tesa alla meglio e
come se ciò non bastasse, alla notte dovevano dividerla
anche col cane di Alessandro: una femmina di dalmata.
Era il secondo anno che per puro caso s’incontravano in
quel luogo e in quel periodo ed essendo arrivati per ultimi, con gli spazi già occupati da Piero e Francesca quasi
per intero, avevano dovuto piazzare la loro tenda in una
posizione poco felice, ma ciò non aveva rappresentato
solo svantaggi, forse al contrario ne avevano tratto beneficio, giacché inteneriti per la loro condizione, gli amici
li avevano invitati a fare uso delle loro comodità senza
remore, per cui in pratica condividevano tutto.
Erano stesi al sole da un quarto d’ora, quando Piero ave31
va sollevato il braccio per consultare l’orologio.
“Cavolo, io ho fame! Possibile che a voi non infastidiscano i crampi allo stomaco?”
“Si sta troppo bene” – gli aveva risposto Francesca senza
sollevare nemmeno lo sguardo – “e poi quando ricapita
di poter prendere il sole completamente nudi? No, non
voglio rinunciare a questa meraviglia per niente al mondo.”
“Sono pienamente d’accordo con te” – era intervenuto a
quel punto Alessandro – “però io preferisco starmene all’ombra.” Ed aveva agito di conseguenza, alzandosi con
un’agilità insospettata per dirigersi verso una delle amache.
“Io non so come facciano quelle due a starsene tutto il
giorno a friggere al sole? Secondo me sono masochiste.”
Aveva farfugliato durante il breve tragitto.
“Sai che ero giunto alle stesse conclusioni anch’io…” –
aveva rincarato la dose Piero, alzandosi a sua volta –
“però io ho troppa fame e preferisco preparare un poco
di pasta a olio e aglio. Mi si è scavata una specie di trincea dentro lo stomaco, se non mangio al più presto dovrete portarmi al pronto soccorso per farmi una flebo.”
Gli altri l’avevano guardato con evidente soddisfazione.
A parte la pigrizia, accentuata dall’eccesso di calura di
quella circostanza, anche quando si erano prodigati impegnandosi al massimo, ogni volta che si erano cimentati
nelle arti culinarie era stato un disastro. Piero era l’unico
in grado di imbastire un pranzo e anche se nell’occasione aveva prospettato uno dei piatti più semplici, almeno
non si finiva a scatolette e verdura.
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“Quest’aria è veramente insidiosa, ” – aveva continuato
Piero indirizzandosi verso il punto in cui tenevano le stoviglie – “mi stimola l’appetito, mi rende vorace, dipendente dal cibo.”
“L’unica cosa che ci manca qui è un cuoco, altrimenti saremmo come dei dell’olimpo, tanto si sta bene. Sole,
mare, aria buona e la veduta più bella del mondo.” Alessandro aveva proferito queste parole stiracchiandosi nell’amaca, lasciando agli altri l’onere d’interpretare a cosa
si riferisse effettivamente, al panorama, o alle ragazze
che si crogiolavano al sole come due lucertole.
“Sì, sì, è vero!” Gli aveva fatto eco Francesca.
“Io non mi muovo da qui per niente al mondo, con i vestiti mi sembra di essermi levata tutti i condizionamenti
che ci ha imposto la nostra società bigotta.”
Mezz’ora dopo, comunque, quando la pasta era pronta
per essere scolata, tutti avevano ritenuto più utile prodigarsi per allestire la tavola e anche Simona non si era
fatta pregare, anche se normalmente tendeva a scansare
questo tipo di attività.
“Vedo che i nobili propositi, in vista di un piatto di pasta
se ne vanno puntualmente a farsi friggere.” Li aveva
canzonati Piero, mentre versava le porzioni.
Simona gli aveva lanciato uno dei suoi sguardi enigmatici a libera interpretazione, ma che poteva anche essere
un rimprovero.
“Sono troppo giovane, il carattere si rafforza con gli
anni. Per adesso non riesco a resistere alle lusinghe dei
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beni terreni, forse in un prossimo futuro.”
“Non preoccuparti, hai tutto il tempo per imparare che i
beni terreni vanno conquistati, del resto ci sono anche le
stoviglie da lavare.” Le aveva risposto Piero, punzecchiando la ragazza sul suo punto debole.
“Da te questo non me lo sarei aspettata, credevo che fossi contro lo sfruttamento minorile. Guardami come sono
esile e indifesa!” Aveva ribattuto lei alzandosi in piedi a
sostegno di quelle parole.
“Povera figlia, non vorrei che ti si rovinassero i denti da
latte. Tua madre non me ne voglia ma, ho l’impressione
che tu sia già una gran figlia di puttana.”
Francesca e Alessandro erano scoppiati a ridere, poi quest’ultimo era intervenuto, apparentemente in difesa della
ragazza ma nella sostanza per rincarare la dose.
“Questa compagnia è proprio malandata; si trattano così
i minorenni? Guarda che le metti malizia. Lei non è abituata a un linguaggio così scurrile.”
“È vero” – aveva replicato Francesca – “è talmente timida e introversa che a volte mi chiedo se sono io ad essere
ritardata, o lei molto precoce, perché sinceramente mi
sono resa conto che ne sa più di me!”
“Questo è dovuto alla mia presa di coscienza che ho tanto da imparare” – si era difesa Simona – “per cui faccio
di tutto per documentarmi. Sono arrivata a un’età in cui
le scelte che farò saranno determinanti per il resto della
mia vita, in conseguenza di ciò, è necessario che mi applichi per colmare le mie lacune.”
Tra frecciatine e allusioni avevano consumato il pasto
frugale, dopo il quale i discorsi erano divenuti più seri e
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ognuno di loro aveva preso a raccontare aneddoti e fatti
della loro vita che ritenevano significativi. Si erano fermati a lungo a conversare, passando dal serio al faceto e
viceversa. Dal giorno che si erano incontrati, meravigliati della coincidenza che si verificava per il secondo anno
consecutivo, avevano messo tutto in comune, anche se
nella prima settimana la diffidenza reciproca li aveva limitati, ma a quel punto erano calate tutte le barriere e la
curiosità aveva prevalso sui pregiudizi. Non si erano lasciati neppure per il sonnellino pomeridiano e con la
scusa che lo spazio nella tenda di Piero era maggiore, si
erano buttati in un groviglio insidioso, ma che non era
andato oltre il piacevole contatto della pelle. Nel pomeriggio avevano riconquistato i loro posti strategici, fino a
quando gli era parsa l’ora giusta per avviarsi verso la
spiaggia, a non più di trenta metri di distanza.
La spiaggia era deserta e questo particolare li faceva sentire i padroni del mondo. Il sole era alto e inondava tutto
della sua calura e della sua luce, facendo evaporare dalla
macchia circostante un intenso aroma che impregnava
l’aria e li stimolava a respirare a pieni polmoni. La sabbia era candida, a tratti quasi vergine e scricchiolava sotto i loro piedi: cric, cric. Il silenzio era attenuato solo
dalle loro voci e da qualche raro gabbiano che emetteva
urli dall’alto delle sue evoluzioni. Il mare era quasi piatto, solo qualche increspatura all’orizzonte interrompeva
l’uniformità di quella tavola blu. Camminavano rivolgendosi le solite menate, con le quali tenevano i proble35
mi lontani dai loro ragionamenti, piccoli a grandi che
fossero. A un tratto, quasi avessero avvertito un segnale,
avevano preso a correre verso l’acqua, provocando
schizzi e spuma con i piedi e con le mani e rompendo
quel silenzio con le loro urla fragorose, quasi che comportarsi da imbecilli rappresentasse il massimo del godimento. Poi si erano allontanati, ognuno per i fatti suoi.
Arrivato a un punto in cui l’acqua gli giungeva al torace,
Piero si era fermato, consapevole dei limiti che la sua
qualità di nuotatore gli imponevano, ma nell’occasione
non aveva voglia di recriminare sulle cause che l’ avevano escluso dall’accesso ai beni più elementari per un isolano, né sulle condizioni economiche della sua famiglia
e degli svantaggi di risalire la china con le uniche sue
forze. Era in vacanza, forse l’unica a cui poteva accedere
per l’intero anno e non voleva rovinarla. Pochi attimi
dopo, Francesca lo aveva raggiunto e gli si era avvinghiata addosso baciandolo appassionatamente. Lui aveva
risposto prontamente all’abbraccio, accarezzandole al
contempo la pelle bagnata.
“Ciao amore, finalmente posso abbracciarti.” Gli aveva
sussurrato lei tutta tenera.
“Perché, prima c’era qualcuno che te lo proibiva?” Le
aveva chiesto lui sorpreso.
“Ma dai, eravate tutti presi da Simona e non me la sono
sentita.” Aveva mormorato guardandolo di sottecchi.
“Non sarai mica gelosa?” Le aveva chiesto incredulo.
“Da te non me lo aspetterei proprio. E poi” – aveva continuato mitigando a stento la polemica – “stiamo insieme, condividiamo tutto, mi avete costretto a svestirmi
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per non essere preso di mira come un alieno e sarebbe
ben strano che nella nostra condizione ignorassimo qualcuno.”
“Forse mi sbaglio, ma nel tuo sguardo mi era sembrato
di cogliere un interesse più profondo” Aveva insinuato
lei senza troppa convinzione.
“Non voglio negare che in altre circostanze avrei potuto
farci qualche pensierino, del resto sfido chiunque a resistere alla sensualità che emana, ma tra noi c’è qualcosa
che ci mette al riparo da ogni rischio … noi ci amiamo,
lo ricordi?
“Amore, non me ne importa niente. Si sta talmente bene,
figurati se voglio lasciarmi condizionare da queste amenità. Dai facciamo l’amore” – gli aveva sussurrato con la
voce rotta dall’emozione – “lo sai che farlo in acqua mi
eccita da morire.”
“Ma sei matta?” Le aveva risposto Piero, che però era alquanto lusingato dall’iniziativa della ragazza.
“Mica siamo soli.”
“E che ce ne importa? Tanto non ci vedono. Qui l’acqua
è alta e poi, vedi che hai voglia anche tu…” Aveva insistito lei allungando la mano verso le sue parti intime che
mostravano segni inequivocabili di desiderio.
“Dai vieni, abbracciami.” Le aveva sussurrato Piero in
tono di complicità.
Francesca aveva soddisfatto subito la richiesta del compagno ed aveva preso a baciarlo appassionatamente, eccedendo, forse, perché lui si era staccato di colpo.
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“Accidenti, mi hai fatto male. Sei una ventosa!” Aveva
gridato lui dolorante, poi però, per paura che potesse offendersi o contenersi nei suoi slanci, aveva cambiato atteggiamento.
“La mia amata ventosa. Dai, amore, abbracciami.”
L’aveva avvolto con le braccia intorno al collo, quindi
con una manovra piuttosto impegnativa gli si era abbarbicata, stringendolo con le gambe intorno ai fianchi e cominciando a muoversi in modo deciso. Piero era barcollato, a causa del peso e della posizione instabile.
“Piano; piano; che corriamo il rischio di affogare.”
Francesca sembrava non averlo sentito e aveva continuato imperterrita a strusciarsi contro di lui e a mormorare
parole sconnesse.
“Toccami amore, toccami; mettimi le mani sul sedere; lo
sai che le tue mani sul mio corpo mi fanno morire.”
Piero cercava di soddisfare le richieste della ragazza nonostante la posizione e la partecipazione emotiva che lo
impegnava completamente.
“Amore dammene una goccia!” Aveva continuato lei
baciandolo e strusciandogli i seni sul petto.
“Ma quale goccia? Amore mio, io mi sforzo di resistere
perché voglio che duri il più a lungo possibile.”
“Anch’io tesoro mio, però è da stamane che immagino
questo momento; per tutto il tempo non aspettavo altro
che l’occasione per stare insieme. Ero talmente eccitata
che mi è costata una fatica indicibile resistere alla tentazione di toccarmi davanti a tutti. Io non resisto già più.”
Piero aveva cercato di bilanciare il peso della compagna
inarcandosi all’indietro, però in questo modo la penetra38
zione era divenuta più profonda e Francesca aveva perso
definitivamente il controllo, lasciandosi andare senza
freni.
“Dai, io non resisto più, vieni anche tu!” Gli aveva urlato, sussultando e baciandolo con trasporto.
“Sei l’amore mio.” Gli aveva confidato poi tutta tenera,
baciandolo ancora sulle guance.
“Sei una traditrice!” Aveva risposto lui fingendo di essere contrariato.
“L’hai fatto finire subito, mentre io avrei voluto che durasse all’infinito.”
“Ingordo, hai l’occhio più grande della bocca.” Lo aveva
canzonato prendendolo poco sul serio.
Dopo alcuni minuti, nei quali avevano lasciato che si attenuassero i segni dei loro abbracci, si erano diretti verso
la spiaggia mano nella mano, ridendo e spruzzandosi con
quella rimasta libera. Poi si erano lasciati andare sul bagnasciuga, stremati e felici, riassaporando nella loro
mente i bei momenti appena vissuti.
Qualche tempo dopo erano stati raggiunti dai loro amici
che subito gli avevano proposto una passeggiata in direzione di una cala nelle vicinanze e si erano avviati verso
quell’insenatura punzecchiandosi e coccolandosi a vicenda.
Avevano bighellonato per quei lidi alla ricerca di improbabili nascondigli segreti che ognuno immaginava di utilizzare per i propri fini, lasciando liberi di esulare i bambini che erano in loro. All’imbrunire erano tornati verso
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l’accampamento, stanchi e affamati.
“Adesso ci facciamo una bella doccia.” Aveva sentenziato Francesca avviandosi verso la tanica appesa al ramo.
“Io mi lavo per prima e poi, nel frattempo che vi lavate
anche voi, preparo la cena.”
Tutti avevano acconsentito di buon grado, attivandosi al
contempo per ordinare le proprie cose o prepararsi alla
fase successiva della giornata. Piero aveva recuperato
una ricarica per la lampada a gas che credeva perduta e
che invece era scivolata in un vano nascosto del baule
dell’auto e quindi la stava montando per tenerla pronta
all’occasione. Alessandro stava trafficando per l’ ennesima volta con la canna da pesca e Simona era in attesa
che finisse Francesca, col suo bell'asciugamano sottobraccio. Cogliendo Piero nella sua attività, non aveva
potuto fare a meno di gridare il suo entusiasmo: “Evviva,
stanotte si gioca a carte fino a notte alta!”
“Simoo.” L’aveva chiamata a quel punto Alessandro.
“Che ne dici se io vado a buttare la lenza? Chissà che
non riesca a prendere qualche pesciolino per la cena di
stanotte.”
“Dai, vai. Io nel frattempo mi preparo, ma non tardare,
voglio che mi ripari con l’asciugamano mentre mi lavo.”
“Ma, Simo...” – le aveva risposto lui stupito – “eri nuda
tutto il giorno e adesso ti metti problemi per farti vedere
mentre ti lavi?”
“Tu fregatene e poi fatti i cazzi tuoi!” Gli aveva risposto
lei, decisa e dolce allo stesso tempo.
“Va bene, se lo dici tu, io obbedisco.” Le aveva risposto
Alessandro, che come al solito non aveva nessuna voglia
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di avventurarsi in una discussione che non avrebbe sortito alcun esito.
Dopo una cena improvvisata, la serata era trascorsa tranquilla. I quattro amici avevano giocato a carte per alcune
ore, dopodiché le due coppie si erano ritirate nelle rispettive tende.
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Martedì
Il giorno seguente il cielo era terso, il sole splendeva più
che mai, ma la brezza che aveva spirato il giorno prima
attenuando la calura si era diradata durante la notte, tanto
che già in prima mattinata, in conseguenza dell’esposizione ai raggi solari, l’aria all’interno della tenda di
Alessandro e Simona era diventata irrespirabile, per cui
si erano recati immediatamente in spiaggia per rinfrescarsi. L’acqua era tiepida e non avevano saputo resistere
all’invito che rappresentava per i loro giochi, immancabilmente da lazzaroni, con i quali si provocavano vicendevolmente. Era il loro modo di amarsi, avaro di tenerezze e prodigo di sfide, quella perenne che Simona si
concedeva in conseguenza dell’indulgenza bonaria di
Alessandro, protettivo anche quando rispondeva ai suoi
attacchi, che in certe occasioni gli elargiva con indubbia
grinta; tuttavia, anche quel giorno quella lotta era servita
ad esaltare il loro umore, tanto che rientrati all’accampamento, a Francesca, pur se ancora assonnata non erano
sfuggite le loro moine.
“Beati, perché non mi avete svegliato?” Aveva chiesto rivolgendosi a loro con un tono di approvazione e di complicità.
“È una parola” – le aveva risposto Alessandro con un
tono che voleva rimarcare la pigrizia dell’interlocutrice –
“a quest’ora saremmo ancora qui, ad aspettare che tu
prendessi coscienza.”
Francesca non aveva saputo trattenere un sorriso, provo42
cato dalla consapevolezza che l’interlocutore aveva colpito nel segno, comunque, immaginando che anche loro
avessero fame, li aveva invitati a fare colazione con lei.
“Tanto sono certa che Piero arriva da un momento all’altro, diversamente mi avrebbe avvertita.” Aveva affermato invitandoli ad accomodarsi, ed infatti poco dopo era
apparso con un fascio di canne in spalla.
“Dove le hai prese?” Gli aveva chiesto Alessandro.
“Qui vicino, nella laguna ce ne sono tante. Voglio fare
un pergolato per estendere la veranda, almeno saremmo
tutti all’ombra, all’ora dei pasti.”
Finita la colazione e rassettato alla meno peggio, i quattro amici si erano dedicati alle attività che avevano scelto. Alessandro stava armeggiando con un mulinello che
non voleva saperne di arrotolare la lenza; Piero completamente assorbito dalla messa in opera del pergolato e
Simona e Francesca prendevano il sole sugli stuoini.
Erano le undici, il sole era una palla di fuoco che avrebbe scoraggiato chiunque, ma loro erano imperterrite, l’una vicina all’altra, ambedue con una rivista in mano, cercando d’ingannare quella che ormai era solo una sofferenza resa sopportabile unicamente dalla vanità, in prospettiva del rientro tra i mortali.
Simona ogni tanto spiava i ragazzi dal nascondiglio rappresentato dalla sua rivista. Erano ambedue assorbiti
completamente dalla loro attività e non le degnavano
della minima considerazione. Al momento stava valutando il fidanzato, cercando di individuare le ragioni per cui
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stavano insieme, o perlomeno quelle che la facevano
propendere in tal senso. Era così accondiscendente …
mai una scenata, un rimprovero, e dire che le sue amiche
non facevano altro che lamentarsi dei loro fidanzati, definendoli con appellativi affatto lusinghieri, tra i quali il
più ricorrente era egoista. A quanto dicevano loro, erano
gelosi senza giustificato motivo, quindi soffrivano come
minimo di manie d’inferiorità. Certo, Alessandro non era
un adone, comunque, era piacevole e sapeva colmare le
sue carenze con un carattere estroverso che non l’annoiava mai, al contrario di certi fighetti che puntavano tutto
sull’aspetto, ma che erano di un’insipienza inaudita. E
poi, cosa che non le dispiaceva affatto, era porcello
quanto basta, una qualità che li accomunava forse più di
ogni altra. Se c’era qualcosa di storto tra loro, quella era
lei, con le sue cadute d’interesse ricorrenti che vanificavano puntualmente tutti i loro progetti, ultimo dei quali,
il proposito di trascorrere una vacanza all’insegna del
sesso sfrenato. Poi le cose erano andate in tutt’altro
modo. L’incontro imprevisto con gli amici conosciuti
l’anno prima aveva cambiato il suo umore e gli aveva
imposto una sorta di castità forzata, a cui non avevano
trasgredito nemmeno una volta da quando erano arrivati.
Quando attraversava queste crisi, ogni volta prendeva in
considerazione l’idea di mollarlo, convinta che potesse
fare tranquillamente a meno di lui, quasi rappresentasse
un peso che intralciava
i suoi movimenti. Poi puntualmente tornava sui suoi passi e lo rivalutava, in conseguenza della svalutazione del suo ghiribizzo del momento. No, era lei che evadeva reiteratamente tutti gli impe44
gni, che gli buttava addosso i sui problemi, finti o reali
che fossero. A volte si chiedeva come facesse a sopportarla.
Si era voltata per qualche minuto e poi era tornata a sbirciare, questa volta nella direzione di Piero.
Doveva ammettere che aveva fatto in fretta ad adeguarsi.
I primi giorni che si era denudato, in conseguenza delle
loro sollecitazioni, sembrava un pesce fuor d’acqua, talmente era goffo. Viveva la sua incapacità a reprimere
l’erezione come un’onta che lo sminuiva nella dignità,
che lo rendeva fragile ed esposto al giudizio degli altri
inquilini di quel microcosmo, ai quali non poteva negare
l’evidenza delle sue sensazioni, indotte da fattori ormonali, o stimolate da desideri inconfessabili.
Lei del resto riusciva a sorprendere persino sé stessa, riflettendo sulla sua volubilità, e l’interesse che al momento provava per lui ne era una dimostrazione palese e confermava, se ce ne fosse stato bisogno, la sua totale inaffidabilità. A quel punto le era venuto in mente l’episodio
del loro incontro, proprio in quel luogo l’anno prima.
Francesca le era piaciuta subito ma lui, lui lo aveva trovato insulso, privo di qualsiasi attrattiva, incompatibile
addirittura, con i suoi gusti e col suo modo di porsi. Il
mutamento repentino del suo metro di valutazione era
avvenuto per puro caso, almeno inizialmente; anche se al
momento poteva giurare che la sua rivalutazione sarebbe
stata inevitabile vivendoci a stretto contatto, così com’era avvenuto.
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La sua mania di sbirciare non era una cosa recente, l’aveva sempre avuta, anche se del tutto innocente fino al
periodo della sua adolescenza. Poi, il desiderio di scoprire i lati nascosti delle persone si era fatto più insidioso,
un capriccio con il quale conviveva, non senza difficoltà,
fino al momento in cui aveva cominciato a compiacersene. In effetti, una sera della vacanza dell’anno prima, se
n’era andata in giro solitaria tra le dune, spinta da quel
desiderio stravagante di mettersi alla prova. Vagava senza una meta, affidandosi al caso, o al suo intuito, quando
aveva sentito delle voci. Subito aveva aguzzato le orecchie per adoperarle come un radar, e loro non l’avevano
tradita. Aveva scalato la duna strisciando come una serpe
e arrivata in cresta, sempre appiattita, li aveva scorti nel
versante opposto, a un metro da lei, avvinghiati ai piedi
di un ginepro contorto dalla furia dei venti invernali. Stavano facendo l’amore ed erano talmente concentrati nelle loro evoluzioni che non si erano accorti di lei. Se
avesse allungato un braccio avrebbe potuto lambirli.
Quasi li rivedeva. Quella scena le aveva provocato un rimescolamento tale che a stento aveva repulso il desiderio di rivelarsi, di insinuarsi tra di loro e ricevere le carezze di ambedue i contendenti. Sì, perché tale le era apparsa quella monta, una lotta che aveva lo scopo di imporre il predominio di uno dei due; con strumenti che sarebbero auspicabili per tutte le guerre. A quel pensiero
non aveva potuto fare a meno di considerare che in tale
ipotesi, lei si sarebbe arruolata in ruolo permanente effettivo.
Era stata abile, perché loro non si erano accorti di lei no46
nostante non li avesse persi di vista un solo attimo, sbirciando i dettagli dell’amplesso. Non si erano accorti, nonostante una libidine incontenibile l’avesse spinta a masturbarsi furiosamente, e dal giorno era cambiato il suo
modo di porsi nei confronti di Piero, tanto che al momento era tutta un fuoco che non riusciva ad estinguere.
Quell’immagine le era rimasta talmente impressa che per
lungo tempo aveva accompagnato i suoi deliri notturni e
i toccamenti lascivi. Aveva stimolato le sue fantasie e avvelenato il rapporto con Alessandro; reo unicamente di
essere disponibile, mentre l’altro continuava ad essere irraggiungibile.
Quella smania, lo sapeva bene, le sarebbe passata solo in
conseguenza di un approccio carnale con l’oggetto dei
suoi desideri e in altre circostanze non avrebbe esitato a
proporsi, non avrebbe avuto remore, ma era legata da
una sincera amicizia, anzi, da un vero e proprio affetto a
Francesca e ciò le impediva di farle una simile carognata; però lei stava male e non riusciva a contenersi. Si rigirava sullo stuoino incessantemente, con in mano quella
rivista di cui non sapeva che farsene, se non per spiare,
ora l’uno, ora un altro dei suoi amici.
Gira e rigira si era portata nelle immediate vicinanze di
Francesca e dopo una serie innumerevole di tentennamenti, si era lanciata in un’impresa di sondaggio.
“Franci, tu l’hai mai fatto l’amore prolungato?
Francesca si era voltata verso di lei pensando di non aver
capito bene.
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“Amore prolungato? È la prima volta che ne sento parlare.”
“Me ne ha parlato una mia amica” – le aveva confidato
Simona con tono di complicità – “pare che provochi un
orgasmo sconvolgente che ti lascia in uno stato di trance
per un tempo indefinibile. Lei dice che è un’esperienza
indimenticabile, dopo la quale ha trovato finalmente il
coraggio di lasciare il ragazzo con cui stava da una vita e
che non riusciva a stimolarle che reazioni di fastidio, per
andare a convivere con un uomo più grande di lei di vent’anni.”
Francesca aveva fatto una smorfia con la quale rendeva
evidente il suo scetticismo.
“Secondo me, la tua amica stava con un ragazzo imbranato, o che non le andava più a genio e poi, quando l’ha
fatto con qualcuno che ha saputo stimolarla, ha provato
un normalissimo orgasmo che a lei è apparso sublime.
Ma, tu perché non lo provi, considerato che a quanto mi
è parso di capire, l’idea non ti dispiace affatto.
Simona aveva lasciato trascorrere una manciata di secondi che le erano serviti a valutare se valesse la pena di
continuare l’argomento, comunque, almeno una risposta
gliela doveva, considerando che il quesito l’aveva posto
lei.
“Ci abbiamo provato un’infinità di volte, ma Alessandro
è cromosomicamente negato per queste cose. Appena lo
mette dentro si muove come un forsennato; non riesce a
resistere, fermo. Se lo scopo è quello di venire, dice, che
senso hanno questi sistemi contorti? Io sono soddisfattissimo del mio orgasmo e stare fermo in quelle condizioni
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lo valuto più come una tortura che un piacere.”
“Per una volta mi trovo d’accordo con Alessandro” Le
aveva risposto lei ridendo.
“E tu, con Piero come ti trovi?”
Francesca aveva percepito immediatamente delle insidie
riposte in quella domanda, del fatto che l’avrebbe messa
nella condizione di svelare aspetti della sua vicenda con
Piero che fino a quel momento avevano coperto, ad ogni
modo, il tempo in cui non sarebbe stato più possibile tacere si stava avvicinando, tanto valeva farlo subito, senza tergiversare oltre.
“La nostra è una bellissima amicizia; per i rapporti fisici
ci lasciamo guidare unicamente dall’istinto e ci troviamo
bene, anche se mi rendo conto che questo metodo funziona in ragione del fatto che ci vediamo episodicamente
e le raffinatezze invece, vengono stimolate da rapporti
assidui, per fare in modo di renderli sempre allettanti. Ci
vogliamo bene, ci apprezziamo ma, non so cosa succederà alla fine di questa vacanza, anzi, molto probabilmente
finirà anche la nostra relazione.”
Simona aveva aguzzato le orecchie ed espresso una
smorfia di delusione, sapeva che una simile eventualità
avrebbe rappresentato anche l’interruzione definitiva dei
rapporti tra loro quattro e a ciò non si era ancora preparata mentalmente.
“Piero è davvero un uomo intrigante, non credo che tu
voglia lasciartelo sfuggire.”
“È molto più che intrigante ed io mi trovo benissimo con
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lui, purtroppo dalla vita non possiamo avere tutto.”
Francesca aveva pronunciato quelle parole a bassa voce,
con una punta amara che ne aveva deformato il tono.
Simona aveva atteso qualche minuto per metabolizzare
le confidenze dell’amica, poi si era levata in piedi per
scuotere lo stuoino e orientarlo in modo tale che il sole
le risultasse perpendicolare, infine vi aveva ripreso posto, effettuando un’infinità di tentativi prima di trovare la
posizione giusta. Non sapeva cosa dire, tutte le parole le
sembravano fuori luogo, o forse era lei che stava caricando di un peso eccessivo il valore di quelle affermazioni, considerato che quelle decisioni dovevano essere
frutto di un accordo preliminare. Comunque fosse, non
aveva saputo trattenere uno slancio di solidarietà e d’affetto.
“Franci, ti voglio bene.” Le aveva sussurrato dalla sua
posizione.
“Anch’io, tu e Alessandro mi ispirate tanta tenerezza.”
“Tu per me sei come una sorella maggiore, anzi, no, sei
un’amica da emulare, il ché equivale a molto, molto,
molto di più.” Francesca aveva percepito nelle parole di
Simona tutta la carica emotiva che vi aveva impresso e
non aveva resistito alla necessità di ricambiare con uno
dei suoi migliori sorrisi.
“Simona sei unica, mi fai sciogliere il cuore.”
Erano trascorsi altri minuti nei quali il silenzio aveva
prevalso, dettato più che altro dall’ansia che attanagliava
Simona, che avrebbe voluto affrontare un argomento che
si presentava sempre più ostico. Era stata sul punto di
spararlo nel discorso più volte, come faceva abitualmen50
te quando voleva provocare, però ogni volta aveva desistito per non ferire la sensibilità di Francesca, per non
danneggiare irrimediabilmente la loro amicizia, ma intanto l’ansia la divorava, costringendola a rigirarsi continuamente, senza mai trovare una posizione adeguata, ingigantendo il desiderio di appagare le sue brame fino a
renderle improrogabili, indispensabili nell’immediato.
“Senti Francesca, ma, a te che effetto fa il sole sulla piricochina? A me eccita tanto.
Francesca si era voltata nuovamente nella sua direzione,
e non aveva potuto celare un sorriso che era al tempo
stesso di sorpresa e disapprovazione.
“Certo che per te i freni inibitori sono proprio degli sconosciuti … comunque, devo ammettere che è piacevole.”
“Uffa, di certe cose non si sa mai con chi parlarne; tu
non hai bisogno di un confronto? Non la senti la necessità di capire se sei un caso unico, o se fai parte della normalità delle persone?”
“Scusami.” Le aveva risposto lei pentita. In effetti aveva
dovuto interrompere più volte la lettura di un articolo
che le interessava, e ciò l’aveva infastidita, ma quello
avrebbe potuto riprenderlo in qualunque momento, la
coltura dell’amicizia invece ha i suoi tempi e non bisogna transigere mai. “Mi sono sempre ritenuta una persona con la quale è possibile discutere degli argomenti più
disparati, ma a volte mi rendo conto che il perbenismo
della nostra società riesce a condizionare persino me, nonostante abbia messo insieme una collezione non indiffe51
rente di scelte controcorrente.”
Simona aveva aguzzato le orecchie. Chissà cosa intendeva l’amica per scelte controcorrente? Era curiosa ma non
se la sentiva di fare domande dirette, quindi aveva ripreso in mano la rivista e si era posizionata in modo da poter scrutare nuovamente i maschi della comitiva, ma loro
erano imperterriti nelle loro attività, tanto valeva starsene in disparte. La necessità di sapere però aveva frantumato ben presto i suoi propositi, quindi era tornata alla
carica.
“Sei gelosa?” Le aveva chiesto morsicandosi le labbra
subito dopo.
“Simona…” - aveva risposto lei con una sottile punta di
fastidio per l’ennesima interruzione della lettura – “credevo avessi superato l’età dei perché? Ad ogni modo, bisogna vedere cosa s’intende per gelosia. Per certe cose lo
sono, per altre no, e poi bisogna essere coerenti con se
stessi, non bisogna pretendere dagli altri quello che non
siamo capaci di dare noi.”
A quel punto Francesca aveva fatto una breve pausa,
quasi volesse cogliere l’occasione per riflettere pure lei
sull’argomento per la prima volta.
“Più che essere gelosa ho bisogno di non essere tradita;
apparentemente potrebbe apparire la stessa cosa ma, al
contrario, vuol dire stabilire con l’altro un rapporto di fiducia reciproca, un rapporto di stima e di sincerità sul
quale poter contare sempre. Per quanto riguarda i rapporti fisici; li considero uno strumento per provare piacere, per appagare la nostra emotività, la passione, il sentimento. Sarei gelosa se il mio uomo si lasciasse coinvol52
gere dal sentimento, non del rapporto in sé stesso. Se riesce ad avere rapporti senza lasciarsi coinvolgere dalla
passione, allora non sono gelosa e a quanto ne so, gli uomini vivono il sesso in modo diverso da noi, riescono a
scindere abbastanza bene le due cose.”
“Non solo gli uomini, te lo assicuro; io per esempio …
ma forse è meglio che per una volta tenga per me i miei
pensieri.”
Francesca aveva posato la rivista sulla sabbia e sollevato
il busto, scaricando il peso sul braccio destro e appoggiando la testa sulla mano, per poi puntare lo sguardo
stupito verso la giovane amica.
“Devo ammetterlo, non finisci mai di stupirmi. Cosa
c’è? Quali sarebbero i pensieri che vuoi censurare?”
Simona l’aveva guardata corrucciata, tormentando il
giornale che aveva in mano, sfogliandolo ancora una
volta senza il minimo interesse.
“Il fatto è che non vorrei ti offendessi, che tutto continuasse tra noi come adesso, anche se dovessi confessarti
cose sulle quali potremmo essere in pieno dissenso; insomma, cose a cui sono disposta a rinunciare in conseguenza del bene che ti voglio.”
“Amore dai, di qualsiasi cosa si tratti, giuro che non intaccherà minimamente il nostro affetto reciproco.”
Francesca aveva fatto quell’affermazione convinta che
nessuno dei desideri di Simona potesse intaccare minimamente i suoi interessi o ferire la sua sensibilità e per
rassicurarla ulteriormente, aveva dato a quella frase un
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tono pacato e amichevole che fugasse qualsiasi tentennamento dai propositi dell’amica. Il viso di Simona si era
illuminato. Si era guardata attorno per assicurarsi che i
maschi non potessero udirla nelle sue confidenze e aveva
rivolto lo sguardo ancora titubante all’indirizzo di Francesca.
“Volevo; mi piacerebbe provare quella cosa di cui ti ho
parlato.”
“Che ti è successo?” Le aveva chiesto Francesca ridendo
“Ti conosco per essere la più spigliata delle ragazze e
non immaginavo nemmeno che potessi avere dei tentennamenti, che riuscissi persino a balbettare poi, era fuori
discussione.”
A quel punto Simona aveva deglutito, la voce le si era
deformata per l’incertezza, tuttavia, con un estremo sforzo di incoscienza, aveva proseguito: “mi piacerebbe provare quella cosa con Piero, ma senza passione, non devi
preoccuparti.”
Dette queste parole, Simona aveva abbassato nuovamente lo sguardo e si era rannicchiata, quasi in attesa di uno
schiaffo. Francesca aveva lasciato trascorrere qualche
minuto; voleva riflettere bene prima di prendere qualunque decisione o dire qualsiasi cosa, voleva capire cosa
avrebbe provocato in lei quella eventualità. Il silenzio
dell’amica, impegnata in una concentrazione resa evidente dai tratti, appariva a Simona interminabile, accentuando la sua insicurezza ed il conseguente disagio. In
effetti, Francesca non aveva impiegato molto a prendere
la sua decisione, maturata da considerazioni che per certi
versi avevano sorpreso persino se stessa e non aveva sa54
puto trattenere un sorriso che le aveva irradiato il volto.
“Amore, vieni abbracciami! Di te non sono gelosa. Non
potrei mai essere gelosa, ti voglio bene.” Dette queste
parole le due amiche si erano abbracciate gioiosamente
ed avevano preso a rotolare sulla sabbia, ridendo fragorosamente. I due maschi, ignari delle ragioni che avevano provocato quelle effusioni, al vederle non avevano
potuto fare a meno di ridere pure loro.
“Bene, bene, visto che fino ad ora vi siete divertite, che
ne direste di preparare il pranzo?”
Piero aveva pronunciato quelle parole con una sorta di
sadismo, ben consapevole di quale sofferenza rappresentasse per loro quella prospettiva e sotto sotto gongolava
nell’attesa della prevedibile reazione, invece, contrariamente alle sue aspettative, avevano accolto la proposta
di buon grado, rispondendo all’unisono: “Va bene, oggi
ci sacrifichiamo noi.” E si erano avviate verso il reparto
cucina.
Dopo quindici minuti circa, Simona aveva suonato la
campana per il pranzo, battendo un cucchiaio su una padella.
“Forza, a tavola, sfaticati! Affrettatevi a rendere lode al
frutto del nostro ingegno e della nostra maestria!”
In breve erano state raggiunte da Alessandro e da Piero,
ambedue piacevolmente sorpresi per la rapidità con la
quale avevano allestito la tavola, che era apparecchiata
di tutto punto.
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“Bisogna ammettere che le ragazze hanno un pizzico di
inventiva in più; guarda com’è apparecchiata la tavola!
Sembra di essere al ristorante.” Alessandro aveva espresso il concetto in maniera entusiasta, rivolgendosi a Piero
che si stava accomodando in quel momento.
“Il bello deve ancora avvenire.” Aveva ribattuto Simona.
“Ecco a voi le portate!” Dette queste parole, Francesca si
era affacciata dal reparto cucina, ricavato sotto un ginepro poco distante.
“Vedo che vi siete sbizzarrite; tonno e insalata di pomodoro, ci vuole veramente una grande maestria per preparare una squisitezza come questa. Complimenti!” Le
aveva apostrofate Piero mimando un inchino.
Consumato il pranzo, annaffiato da ottimismo e allegria,
i quattro si erano rifugiati nella tenda di Piero, la più riparata e fresca tra le due. All’interno della tenda si erano
dilungati nei discorsi frivoli e spensierati che avevano
caratterizzato il desinare, anche se a qualcuno calava la
palpebra, particolarità indotta dall’abitudine al pisolino
pomeridiano. Simona invece era insolitamente vivace, o
forse irrequieta, sempre sul punto di spararne una delle
sue che poi deglutiva rimandandola all’indietro, fino a
quando finalmente, con un estremo atto di coraggio e di
incoscienza si era lanciata nei suoi propositi.
“Ragazzi, io devo parlarvi di una mia idea. Spero che la
valuterete con la giusta attenzione, perché in caso affermativo daremo una propulsione megagalattica alla nostra
vacanza.”
I presenti l’avevano degnata del minimo di attenzione di
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cui erano capaci, immaginando che di lì a poco avrebbe
esposto una delle sue solite idee strampalate, ma subito
dopo si erano dovuti ricredere, perché nell’occasione si
era persino superata, lasciandoli senza parole per alcuni
minuti.
“Mi auguro che l’imbarazzo mi permetta di trovare le
parole giuste, perché anche la forma, spesso è determinate per acquisire il consenso.”
“Ho capito, vuoi essere votata alle prossime elezioni.”
Le aveva risposto Piero prendendola poco sul serio.
“Non si tratta di questo, anche se in un prossimo futuro
non è detto che non possa accadere. È che volevo fare in
modo che la nostra vacanza divenisse un fatto memorabile per ognuno di noi, che servisse a farci capire come
siamo veramente, come ci comporteremmo se la nostra
situazione attuale fosse definitiva. Voglio capire attraverso questa esperienza, come agivano i nostri antenati dell’età della pietra o su di lì, quando ancora non erano condizionati dalle nostre convezioni sociali. Rimane sottinteso che per una simile esperienza è necessaria la piena
disponibilità di ognuno di noi.” Espresso il concetto, Simona li aveva puntati uno ad uno, cercando di soppesare
il loro interesse, perché da quello che riusciva a percepire nei loro volti, sarebbe dipeso il prosieguo del ragionamento. Lo scetticismo prevaleva ancora, ma la curiosità
di capire cos’aveva escogitato nell’occasione sollecitava
l’attenzione degli astanti e ciò era stato sufficiente a farla
proseguire.
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“Io propongo di dare una svolta radicale alla relazione
del gruppo, di stravolgere i legami di copia e renderci disponibili ai desideri del momento di ognuno di noi; condizione unica, la messa al bando della violenza.” Francesca non aveva potuto fare a meno di sorridere, considerando che l’amica non aveva perso tempo per trovare
una strategia che le facesse raggiungere lo scopo. Alessandro non aveva avuto reazioni palesi, ma in cuor suo
sperava che l’idea della ragazza ricevesse il consenso degli altri due, perché la prospettiva non gli dispiaceva affatto, anche perché avrebbe potuto interrompere l’astinenza a cui era sottoposto suo malgrado. Piero era stato
il più scettico, consapevole che una simile eventualità
l’avrebbe esposto alle sue debolezze e minato l’autocontrollo, lo strumento su cui faceva affidamento per affermare il suo modello di vita. L’idea certo non gli dispiaceva, era la contropartita, che lo dissuadeva dall’accettare una simile prospettiva.
“Cosa intendi dire, esattamente?” Aveva chiesto, più che
altro per mettere in difficoltà Simona e farla desistere dai
suoi propositi.
“Quello che avete capito benissimo, che ognuno di noi
possa scegliere con chi dare sfogo ai suoi desideri sessuali del momento. Bene o male mi sono resa conto dell’interesse reciproco e allora perché non dare forma concreta ai desideri? Abbiamo quest’opportunità, sfruttiamola; probabilmente un’occasione simile non ci capiterà
più.” Piero si era sentito il più toccato dalle insinuazioni
di Simona e a tale proposito scuoteva la testa, cercando
di mitigare un sorriso che a tratti appariva beffardo, co58
munque, era stata Francesca e non lui, ad intervenire.
“Guarda Simona, mi sembra di averti già detto che ho
un’ampia collezione di esperienze controcorrente, ma la
tua proposta le batte tutte, tuttavia sarei propensa ad accettare, anche se devo mettere in chiaro che io sono attratta da uomini più maturi di me e per Alessandro non
provo nessuna attrazione, solo tenerezza. Piero, cosa ne
pensi?”
Piero era imbarazzato, stava lottando come un ossesso
per scongiurare quella parte di sé che bramava la sua affermazione e alla quale non aveva mai permesso che rapide boccate d’aria. Aveva tanto faticato per reprimere i
suoi istinti primordiali, per educarsi a vivere in una società convenzionale, e poi temeva d’incrinare il rapporto
con Francesca, per la quale avrebbe rinunciato a qualsiasi altra esperienza.
“Non lo so, sinceramente non mi sento pronto, non ho
ben presente come, ma ho l’impressione che in qualche
modo questa proposta vada a cozzare con i miei principi,
o forse, forse ho paura che in una situazione simile venga compromessa la nostra integrità.”
Il volto di Simona era divenuto paonazzo. Quelle parole
le avevano causato una cocente delusione; infatti, fino a
quel momento era fermamente convinta che nella loro
minuscola comunità, ognuno di loro esprimesse i propri
pensieri candidamente e invece Piero le stava dimostrando il contrario.
“A questo punto direi che la mia proposta viene a cade59
re.” Aveva bisbigliato con voce mogia, appena percettibile.
Francesca aveva sollevato la testa per indirizzare lo
sguardo verso Alessandro; fino a quel momento l’aveva
puntato verso i piedi, concentrata a seguire le dita delle
mani che ne ridisegnavano i contorni. Era seduta su un
cuscinetto gonfiabile che adoperava solitamente quando
prendeva la tintarella, raggomitolata a ridosso delle cosce, con le ginocchia che le sfioravano il mento. Alessandro aveva percepito l’attenzione di Francesca quasi
fosse stata palpabile ed aveva sollevato lo sguardo, distogliendo l’interesse che fino a quel momento era stato
calamitato da un particolare preciso, verso il quale aveva
indirizzato rapide occhiate, al fine di non venire intercettato, cercando di simulare un distacco che era ben lungi
dal suo modo d’essere; quel particolare che la posizione
di Francesca gli concedeva con dovizia di dettagli ed al
quale era tutt’altro che indifferente. Ciononostante aveva
recitato bene la sua parte, perché tutti avevano avuto
l’impressione che si fosse destato solo in quel momento,
addebitando la sua aria sorniona a congetture lontane dai
loro discorsi e dalle loro passioni. Aveva sollevato il
capo dalla mano e si era raddrizzato, con grande sollievo
del braccio e del gomito in particolare, su cui gravava il
peso fino a quel momento, e aveva rivolto lo sguardo indagatore verso di loro. A quel punto aveva espresso la
sua opinione.
“Io, dopo la premessa di Francesca, sarei l’unico a non
avere interesse a fare questa esperienza, però accetto! In
primo luogo perché una simile eventualità mi permette60
rebbe di essere me stesso in ogni circostanza, senza dovermi impegnare per forza in atteggiamenti di simulazione per mantenere un comportamento altrimenti censurabile dalla morale comune. Sono con Simona a prescindere, anche se in certe occasioni mi sorprende in contropiede, però devo ammettere che almeno stavolta ero parte
integrante dei suoi progetti, anche se avrebbe potuto agire in funzione del soddisfacimento dei suoi desideri in
maniera più egoistica. Per come la conosco, non credo
che sia mossa da fini statistici, ma unicamente dal desiderio di sperimentare le sue emozioni, quelle causate
dalle azioni più trasgressive, quelle che ti mettono il sangue in subbuglio e il cuore in agitazione. Tu che sei più
grande di me, caro Piero, dovresti saperlo che le donne
quando vogliono raggiungere uno scopo, anche quello
più biasimevole, devono trovare il modo di elevarlo al
rango di nobiltà, anche l’azione più stravagante. Se nelle
tue vene scorre lo stesso sangue che scorre nelle mie,
non credo che tu non abbia mai desiderato di toccarle le
tette, o il sedere; la cosa mi stupirebbe alquanto. Del resto, per come la conosco, sono più che sicuro che lei
aveva già fatto dei progetti nei tuoi confronti, anzi, la
vera sorpresa per me, è stata la sua capacità di resistere a
palparti, quando in certe occasioni avevi il cazzo in tiro.”
“Non sono mica un mattone!” Gli aveva risposto Piero
contrariato. “Simona è un boccone che farebbe gola alla
maggior parte dei maschi, ma non è l’unica. Secondo la
tua logica dovremmo saltare addosso a tutte le belle ra61
gazze che incontriamo per strada, vanificando le regole
che ci hanno tramandato i nostri antenati per permetterci
di vivere in una società organizzata. È giusto che ognuno
di noi eserciti il più rigido autocontrollo, non ne convieni?”
“Evidentemente viviamo una filosofia della vita differente; noi ci prodighiamo per realizzare persino i sogni,
oltre che i desideri, mentre tu li dividi nettamente dalla
prassi, quindi è perfettamente inutile che ti lamenti per le
opportunità che la società non ti consente, perché in un
modo o nell’altro sei tu che le vanifichi.”
Alessandro aveva disarmato Piero, in quel momento si
era reso conto che la necessità di rassicurare Francesca
riguardo alla sua centralità, rischiava di renderlo ridicolo
e poco credibile, fortunatamente, senza volerlo Simona
era intervenuta in suo aiuto. La sua affermazione precedente l’aveva toccata nel vivo, tanto che lo stava ancora
studiando stupita; forse non si era espressa bene.
“Sono perfettamente d’accordo con te. Giuro che quando
qualcuno per strada fa apprezzamenti nei miei confronti,
e posso assicurarti che accade spesso, la cosa mi fa imbestialire. La mia proposta era ispirata dal desiderio di
realizzare un’esperienza quasi sicuramente unica nella
nostra vita. Mi sarebbe piaciuto verificare fin dove posso
arrivare, se i vantaggi a vivere in una società organizzata
sono minori o maggiori di quelli di cui può privilegiarsi
il componente di una tribù della Papuasia.”
Piero aveva scosso la testa, anche se intravvedeva nell’ultima affermazione di Simona, l’opportunità di rientrare in gioco e rimediare all’atteggiamento poco credi62
bile che aveva assunto fino a quel momento.
“Vedi? Tu la poni sul piano scientifico ed è qui che non
ci troviamo; io sarei disposto ad accettare solo se diciamo chiaramente che vogliamo toglierci la soddisfazione
di vivere una settimana in promiscuità, solo a questa
condizione, senza ipocrisia! Alessandro, Francesca, cosa
ne pensate?”
“Cosa vuoi che ne pensi?” Gli aveva risposto Francesca
guardandolo in volto. “Prendiamoci meno sul serio, in
definitiva, non credo che una simile esperienza possa
compromettere il nostro futuro, al limite può allargarci la
vista.”
“Quindi, se siamo tutti d’accordo, da questo momento in
poi possiamo scatenare la nostra libido?” La domanda di
Piero, più che al gruppo nel suo insieme era rivolta a
Francesca, che con uno sguardo inequivocabile gli aveva
confermato il concetto appena espresso.
A quel punto Simona era intervenuta nuovamente per
precisare il suo pensiero.
“No, avevo dimenticato una cosa importante ed è meglio
precisarla prima. Accettare di intraprendere questa esperienza, equivale alla stipula di un contratto; ebbene, qual
è la clausola principale di questo contratto? Ognuno di
noi deve assumere l’impegno che allo scadere della vacanza, o quando uno qualsiasi del gruppo lo ritenga necessario, o voglia far marcia indietro per motivi suoi, tutto deve tornare allo stato originario e ognuno sarà tenuto
a mantenere le distanze dettate dalle regole costituite.
63
Nel frattempo, ognuno di noi potrà sbizzarrirsi in proposte e atti, quelli che la sua libidine gli stimola, senza però
forzare la volontà del partner del momento.
“Brava Simona, finora hai dettato le regole; a te tocca la
prossima mossa, iniziare il gioco.”
Simona si era voltata verso di lui e con le mani tremanti,
aveva preso le sue mani e se le era portate sul seno, poi
l’aveva guardato diritto negli occhi.
“Allora nel gioco sei coinvolto anche tu e se accetti, devi
assecondarmi in tutto.” Nonostante la determinazione
che l’aveva contraddistinta fino a quel momento, la voce
di Simona era apparsa incerta, deformata da fattori emotivi, ed era il volto, divenuto paonazzo, a rendere lampante il subbuglio di cui era preda. Piero aveva guardato
ancora una volta nella direzione di Francesca, che gli
aveva confermato il suo assenso con un cenno del capo.
“Va bene, però, prima spiegami di cosa si tratta.”
Simona si era voltata in modo che tutti potessero guardarsi in faccia.
“È un gioco che coinvolge tutti più o meno direttamente,
anche se noi ne saremo i protagonisti, comunque non potremmo sottrarci alle richieste di palesare le nostre sensazioni.”
Ciò detto, Simona si era alzata ed aveva raccolto uno dei
plaid che utilizzavano per coprirsi durante la notte, col
quale aveva confezionato uno schienale imbottito, la cui
spalliera era riprodotta dal frigo portatile.
“Ecco, tu dovrai sistemarti con la schiena appoggiata su
questo divaneto, voglio provare con te, un’esperienza
che con Alessandro non mi è mai riuscita, l’amore pro64
lungato. Nella pratica dovrei fare quasi tutto io, perché il
gioco consiste nel muoversi il meno possibile; da parte
mia ho aggiunto il coinvolgimento degli altri, a cui dovremmo raccontare tutto quello che proviamo.”
“Non so perché ho deciso di accettare” – era sbottato
Piero – “sono in una condizione di estremo imbarazzo.
Solitamente queste sono cose private, adesso non solo
mi accingo a farle in pubblico ma, addirittura davanti
alla ragazza con cui sto e al tuo fidanzato; rischio di trasformare una cosa estremamente piacevole in un
incubo!”
“Puoi ancora tirarti indietro!” L’aveva apostrofato Alessandro.
“Se non riesci a entrare nello spirito del gioco, non hai
alcun obbligo. Se veramente l’hai desiderata, eventualità
che non mi stupirebbe affatto e che sarebbe del tutto normale, questo è il momento di lasciare da parte l’ipocrisia
e di buttarti con un minimo di lussuria e di malizia in
questa esperienza. Magari l’avessi avuta io, una proposta
simile.”
“Hai ragione, visto che siamo tutti d’accordo, perché
devo mettermi problemi proprio io?” Gli aveva risposto
Piero mentre si accingeva a occupare il posto che gli
aveva preparato Simona, rendendo evidente in questo
modo il suo stato di estrema eccitazione.
“Dai Simona, scusami se fino ad ora mi sono comportato
come un ragazzino presuntuoso, anziché mostrarmi
estremamente lusingato per le tue attenzioni. Ti prometto
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che cercherò di essere degno della situazione.”
“Sì, ma un altro giorno!” – gli aveva risposto lei imbronciata – “oggi mi hai proprio smontata!” Così dicendo si
era avvicinata ad Alessandro e gli aveva appoggiato la
schiena sulle gambe, usandole come spalliera.
Era calato il silenzio e un’atmosfera di estremo imbarazzo che aveva convinto Alessandro e Simona ad alleggerire gli amici della loro presenza. Erano rimasti in disparte
tutto il pomeriggio e anche la sera, durante la quale
Alessandro aveva assecondato la ragazza in tutto e per
tutto, accompagnandola infine in una passeggiata che si
era rivelata estenuante.
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68
Mercoledì
La mattina dopo, Simona era ancora di pessimo umore e
questo alterava il suo bioritmo. La più grande dormigliona del palazzo, come l’apostrofava spesso sua madre, era
diventata insonne. A giudicare dalla luce che filtrava dal
telo non dovevano essere nemmeno le otto e lei si sentiva in un giaciglio di spine. Aveva tentato di riprendere
sonno un’infinità di volte, ma non c’era stato verso; doveva alzarsi, pur sapendo che gli altri non l’avrebbero
fatto prima delle dieci. All’esterno l’aria era ancora frizzante e ciò era bastato a svegliarla del tutto. Si era buttata su un’amaca e si era trovata una delle riviste di Piero
tra le mani: “Bleah” – aveva sogghignato in gesto di disgusto e lanciandola lontano, quasi fosse appestata. Non
le andava nemmeno quella posizione. Il suo umore e
l’autostima sarebbero potuti andare a braccetto, forse
strisciando per terra, per quanto il loro livello era basso e
l’evidenza dei fatti non sarebbe sfuggita nemmeno alla
più distratta delle persone, osservandone i ghigni del
volto.
“Devo fare qualcosa.” Si era detta, alzandosi dall’amaca
con uno scatto per dirigersi verso borsa dove teneva gli
indumenti. Non li indossava dal giorno dell’arrivo al
campeggio, quindi aveva recuperato dei pantaloncini
aderenti a righe variopinte e una maglietta celeste, e poi
dei sandali in plastica che solitamente adoperava quando
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andavano sugli scogli. “Bene,” – aveva pensato – “vediamo se una bella camminata riesce a farmi sbollire.”
Un attimo dopo era già sulla spiaggia, indecisa sulla direzione da scegliere, ma in breve il desiderio di costeggiare lo stagno aveva prevalso, quindi vi si era diretta. A
un tratto si era resa conto che la peculiarità di quel luogo
che più d’ogni altra all’ertava i suoi sensi, in quell’occasione era il silenzio. Quasi l’atterriva, tanto era preponderante e irreale, ma l’aria era davvero piacevole e le
dava un vigore insolito, accentuato dalla sua condizione
di nervosismo e di delusione che non riusciva a smaltire.
Simona aveva ripensato al traffico della via dove abitava
e di tutto il tragitto che doveva percorrere per andare a
scuola e non aveva potuto fare a meno di pensare che
quelli erano due mondi distinti e paralleli. Gli unici rumori, quella mattina, erano rappresentati dalla risacca e
dagli ululati dei gabbiani che si lanciavano in acqua
come saette. Arrivata in prossimità dello stagno si era
fermata ad ammirare alcuni fenicotteri rosa che trascorrevano il tempo col capo dentro l’acqua, quindi si era lasciata andare a confronti tra la loro e la sua resistenza.
“Beati, che vita spensierata dev’essere la loro…” Poi
aveva dato un taglio a quei pensieri e ripreso il suo cammino, per tornare indietro subito dopo, colpita da un particolare cui in precedenza non aveva dato il rilievo dovuto. Sulla sinistra, a ridosso dello stagno aveva intravisto
una stradina appena tracciata. Sembrava un dipinto, uno
di quei quadri romantici dei tempi andati, ma quel posto
era fuori dal tempo, lo aveva considerato anche qualche
attimo prima.
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“Vediamo quali sorprese ci riserva ancora questo luogo.”
Si era detta, e aveva imboccato la stradina, con un umore
alquanto rasserenato rispetto al risveglio. La massicciata
doveva essere molto antica e la sabbia l’aveva riconquistata quasi per intero; a tratti però riemergeva Il ciottolame, a testimoniare che vi era stato un intervento umano.
Il percorso era segnato da due strisce appena percettibili,
dovute quasi sicuramente agli automezzi dei bagnanti
che riuscivano con chissà quali espedienti ad arrivare sin
lì, ma per il resto, la superficie era coperta da un’erbetta
fine e rada, di un verde tenue che stava per cedere definitivamente al giallo della paglia. Ai bordi dello stagno, a
delimitare in maniera netta i contorni della carreggiata,
una sfilza di acacia; molte delle quali secche e punteggiate dai tarli, e una miriade di altri animaletti ed insetti,
popolavano il substrato di foglie addensate alla loro
base. Dalla parte opposta, a ridosso delle dune e poi
sparpagliati in ogni dove, prosperavano i ginepri, confermando che erano loro, la vegetazione dominante. A un
tratto la stradina svoltava a gomito e quando l’aveva raggiunto, Simona aveva potuto verificare che proseguiva
ancora per qualche centinaio di metri alla base delle
dune e poi si allontanava verso una serie di costruzioni
appena percettibili. Aveva camminato ancora per un centinaio di metri, quindi si era fermata nelle vicinanze di
un ovile che aveva conosciuto sicuramente tempi migliori, dando rifugio e sostentamento a una comunità di persone che a loro volta se ne prendevano cura. Al momen71
to era completamente in rovina. Il tetto era scivolato di
lato, lasciando scoperte le travi annerite e la pittura azzurrognola della parete. L’ovile vero e proprio, però, doveva essere ancora attivo, lo intuiva dal calpestio evidente all’imboccatura dello sgangherato cancelletto, inclinato al suolo quasi del tutto, e poi c’erano dei recipienti
che brillavano al sole, appesi a un pergolato ricoperto di
canne ancora verdi. Era ferma in contemplazione di quel
luogo, quando aveva sentito un latrato e le si era accapponata la pelle. Si era guardata intorno girando il collo
come una civetta, tuttavia non era riuscita a scorgere nulla di preoccupante; forse era lontano e ne aveva percepito l’eco. Quelle considerazioni, comunque, non erano
state sufficienti a rasserenarla, per cui si era indirizzata
immediatamente verso un sentiero che aveva intravisto
sulla sua sinistra, sperando in cuor suo che la riportasse
verso l’accampamento. Sì, ne era sicura, quei viottoli s’inerpicavano inevitabilmente verso la vetta delle dune e
una volta in cima avrebbe potuto individuare le tende
senza problemi. Subito dopo aveva già impresso un certo
vigore all’andatura, incurante del sole che martellava su
di lei senza ritegno. Fortunatamente nel tragitto i tratti
scoperti si alternavano a quelli all’ombra dei ginepri e
aveva modo di ristorarsi. Camminava, rapita completamente dai suoi pensieri, quando una voce l’aveva fatta
trasalire.
“Ciao, come stai?” Le aveva chiesto il bastardo.
Aveva fatto alcuni passi all’indietro, frenando a stento la
collera che doveva essere ben manifesta nei suoi tratti.
“Sei tu, brutto bastardo?” Gli aveva risposto senza esita72
zione.
Lui aveva fatto una smorfia, quasi avesse ricevuto un
ceffone che però riteneva inevitabile.
“Hai ragione, mi sono comportato male. Ci ho pensato
per tutto il tempo e per quanto al momento possa risultare inefficace, ti chiedo ugualmente scusa.”
“Ma quali scuse?” Gli aveva risposto lei inviperita. “Non
ci sono scuse che tengano. Le scuse si possono accettare
quando uno sbaglia senza cattiveria, ma tu sei il più infido verme che abbia incontrato fino ad ora e le tue azioni
erano più che consapevoli, non credo assolutamente che
possa ricrederti!” Ed aveva calcato la voce sul concetto
appena espresso.
“Hai ragione, mi sono comportato in maniera inqualificabile, ma mi hai fatto perdere le staffe e non sono riuscito a controllarmi, ho detto cose che non pensavo. Del
resto non sopporto gli ipocriti e il tuo comportamento, a
un certo punto mi è sembrato tale, quasi volessi negare
che ambedue cercavamo la stessa cosa.”
“Ma che cazzo dici?” Gli aveva risposto lei con un tono
che non lasciava margini a una possibile giustificazione.
“Sono stata la prima ad ammettere che stavo cercando
qualcuno con cui trombare senza problemi di sorta, questo non vuol dire che devo farmi fottere dal primo cane
che capita. Ma tu sei un bastardo e non puoi capire.”
“No, posso assicurarti che ci ho riflettuto e mi sono reso
conto dell’errore. Il fatto è che io e Maria ci giochiamo
sempre, quindi ho preso la cosa con leggerezza, conside73
rando che un gioco piacevole per noi, poteva essere gradito anche ad altri. Del resto posso giurartelo, anche se
sono certo che tu non mi crederai; il cane non l’ho sguinzagliato io. È che lui è abituato a giocare con noi e vedendoti in abiti succinti ha immaginato di poter partecipare al solito gioco e l’ha fatto con naturalezza.”
Antonio aveva espresso il concetto con lo sguardo chino;
sembrava veramente avvilito, contrariato dal fatto che si
era reso responsabile di un’azione che lui non aveva voluto, almeno inizialmente e che poi si era resa irrimediabile
“Quando mi sono reso conto di quel che stava accadendo
mi sono precipitato per evitare il peggio, ma a quel punto non c’era più niente da fare.”
“Sei un infido verme e non m’importa delle tue giustificazioni, sono niente, confronto all’umiliazione che ho
subìto, e poi questa Maria… ” Simona si era morsicata le
labbra ed aveva tranciato il discorso per non andare oltre, del resto aveva pronunciato quelle parole in modo
tale da rendere più che evidente il disprezzo e il disgusto
che le provocava quel nome, comunque una frecciata al
cianuro non gliela aveva risparmiata.
“Certo che dev’essere proprio un bel soggetto, se si presta a giochi del genere.”
“Fai presto a sparare giudizi morali,” – le aveva risposto
lui risentito – “quindi non è nemmeno il caso di continuare; vai pure che non mi va di sprecare fiato. Le persone beghine solitamente cerco di evitarle.”
Simona si era fermata qualche attimo a riflettere, considerando che anche il suo comportamento non sarebbe
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stato giudicato teneramente dalla maggior parte delle
persone, quindi la rabbia che aveva determinato il suo atteggiamento fino a quel momento, era calata di colpo.
“Com’è che esercitate questa passione?” Gli aveva chiesto in tono più moderato.
“Non lo so; è colpa mia, o forse merito, dato che noi ci
divertiamo molto. In parte le cose che ti ho detto l’altra
volta sono vere, io e il cane trascorriamo insieme gran
parte della giornata e si è stabilito un legame per certi
versi morboso, quindi condividiamo tutto.”
Dette queste parole, Antonio le aveva puntato lo sguardo
e rivolto un sorriso strano, coadiuvato da un gesto delle
mani che stava a significare: sono fatto così, che posso
farci?
“Almeno è sincero.” Aveva pensato Simona guardandolo
diritto negli occhi, poi gli aveva chiesto: “E questa Maria?” L’uomo aveva taciuto per un momento, quasi avesse un dovere di riservatezza che non voleva violare fino
in fondo, poi si era deciso.
“Eravamo fidanzati, e già allora le facevo le mie proposte indecenti, e lei s’incazzava perché non riesco a essere
diverso. Le dicevo sempre che mi piaceva da morire, che
sarei voluto morire a furia di trombarla, ma non riuscivo
mai a dirle: “Ti amo”. Lei è figlia di un confinante e ci
conosciamo da sempre, ma un giorno mi ha lasciato e se
né andata a vivere in città, dove si è anche sposata. Un
giorno, quando ormai non speravo d’incontrarla più, è
venuta a far visita ai suoi e casualmente ci siamo rivisti.
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È stata come una scintilla, abbiamo ripreso a frequentarci e lo facciamo ogni volta che riesce a liberarsi dai suoi
impegni. Dice che solo qui riesce a essere vera, a essere
se stessa senza doversi dare per forza un contegno, come
fa in città. Al primo appuntamento, a costo di rovinare
tutto ancora una volta, le ho fatto la proposta che mi balenava per la testa da tempo e lei mi ha detto: “Lo sapevo che non avresti saputo trattenerti. E dai, facciamo
questa prova, non sarà mica la fine dell’universo.”
Abbiamo messo la museruola al cane, gli abbiamo fasciato le zampe anteriori con dei tovaglioli e così è iniziato il nostro ménage senza ipocrisie. Quelle le riserva
al suo mondo in città.” Antonio aveva fatto una breve
pausa e poi aveva ripreso: “Le ho parlato di te e mi ha
detto che le sarebbe piaciuto conoscerti, ma che ormai
avevo rovinato tutto.”
Simona era ammutolita, per quanto potessero risultare
discutibili le tendenze del suo interlocutore, raramente
aveva conosciuto una persona così vera. Poteva anche
essere detestabile ma almeno era possibile evitarlo a
priori.
“Sei sicuro che lei non lo faccia per accontentarti?” Gli
aveva chiesto, ritenendo impossibile che una donna si
sottoponesse volontariamente a simili pratiche.
“E chi cazzo glielo fa fare?” Le aveva risposto lui in
tono perentorio. “Mica siamo innamorati. Sia io, che lei,
ci incontriamo per dare sfogo alla nostra lussuria, quindi
non possono esistere barriere morali, dobbiamo cercare
unicamente la nostra soddisfazione e questa è una cosa
che ci piace oltremodo.”
76
Era calato il silenzio per qualche attimo, poi lui aveva
osato: “ Perché non provi? Se giochiamo noi tre insieme,
posso assicurarti che non te ne pentirai.”
Simona, che fino a pochi attimi prima era saldamente
convinta delle sue idee, aveva sentito un brivido lungo la
schiena e un languore intenso che l’aveva attraversata
dallo stomaco in giù, facendole inturgidire gli organi più
sensibili, poi balbettando aveva proferito: “Veramente
non so. Se sia il caso, volevo dire.”
“E dai, vedrai che questa volta faremo in modo che tutto
vada per il meglio, che l’esperienza di stamane rimanga
un ricordo indelebile nei tuoi pensieri.”
A Simona tremavano le gambe, era in un stato di agitazione che per quanto si sforzasse non era in grado di celare. Antonio aveva colto la palla al balzo, le aveva teso
la mano e l’aveva guidata verso una radura sabbiosa
poco distante, poi aveva steso il telo che teneva nello
zaino.
“Dai, siediti. Tranquillizzati. Vedrai che va tutto alla meraviglia; adesso chiamo il cane.” Infatti aveva emesso un
sibilo subito dopo. “Adesso arriva.”
Simona era accovacciata sul telo, incapace di ragionamenti che non includessero il desiderio di provare quell’esperienza e all’idea tramava letteralmente. Vedendola
in quello stato, Antonio le aveva chiesto se avesse avuto
un ripensamento, o se avesse paura.
“No” – gli aveva risposto lei balbettando – “l’idea che
qualcuno mi guardi mentre trombo m’infiamma come
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una torcia, è la cosa che mi eccita di più in assoluto.”
Il cane era arrivato subito dopo trotterellando e con la
bocca semiaperta si era diretto verso il suo padrone, scodinzolando e facendogli le feste.
“Vieni Dingo, vieni.”Così dicendo l’aveva afferrato per
la collottola e gli aveva messo la museruola che teneva
nello zaino e poi, con estrema calma gli aveva avvolto le
zampe anteriori con dei tovaglioli, quindi si era avvicinato a Simona e l’aveva aiutata a spogliarsi, toccando
con mano i brividi che emanava.
“Dai, mettiti nella posizione giusta.” Le aveva sussurrato. “Se vuoi gli tolgo la museruola, è un animale mansueto e in queste occasioni pensa a tutt’altro che a mordere; al contrario, gli diamo la possibilità di mostrarti la
sua gratitudine.”
“Fai tu.” Gli aveva detto lei, completamente frastornata
dagli avvenimenti. Appena tolta la museruola, l’animale
si era subito esibito in una sequenza di slinguate che inizialmente avevano fatto irrigidire Simona, per poi farla
contorcere su se stessa ed emettere una serie di gemiti
incontenibili.
“Dai, adesso dati da fare che oggi la nostra amica
vuole.” Aveva detto Antonio rivolgendosi al cane, che si
era prodigato prontamente dando inizio a una manovra
con la quale dava tutto sé stesso, con colpi rapidi e vigorosi. Simona, appoggiata sulle mani e sulle ginocchia
reggeva a stento l’irruenza dell’animale, perciò aveva assunto una posizione che gli facilitasse al massimo i movimenti, inclinando il busto verso il basso e il bacino all’indietro. Il pensiero che Antonio la osservasse da dietro
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e le sollecitazioni dell’amplesso le avevano fatto perdere
ogni inibizione e si era lasciata andare a una sequela di
mugolii e di gemiti liberatori che avevano contagiato anche l’unico spettatore.
“Minchia, è uno spettacolo che può far perdere la ragione” – aveva balbettato Antonio – “io devo sfogarmi in
qualche modo.” Ciò detto si era seduto di fronte a Simona e sfoderati gli attributi le aveva implorato: “Dammi
un po’ di sollievo, per favore.” Lei aveva aperto gli occhi, tenuti socchiusi fino a quel momento e l’aveva colto
in una erezione incontenibile, quindi, istintivamente,
poiché non era in grado di intendere del tutto, aveva preso ad agire su quell’arnese con una foga che non aveva
niente da invidiare a quella dell’animale che la stava
squassando. Il suo era diventato un vero e proprio risucchio, col quale sollecitava il membro dell’antagonista in
maniera vorticosa, tanto che in pochi minuti si era irrigidito e le aveva vuotato tutto il suo contenuto, tracimato
poi dagli angoli della bocca di lei. Anche il cane aveva
terminato la sua corsa e si era acquattato nelle vicinanze,
lasciando Simona sul telo, in preda a movimenti convulsi.
Quando si era reso conto che lei aveva ripreso fiato, Antonio si era avvicinato ad accarezzarle la schiena e le
aveva sussurrato: “Se vuoi lo caccio via, perché quello in
un attimo è di nuovo in tiro e può ripetersi per quattro o
cinque volte senza il minimo problema.” Simona si era
voltata verso il cane che già si stava rialzando dalla posi79
zione in cui si era acquattato poco prima.
“Vedi cosa ti dicevo?” – aveva aggiunto lui – “è di nuovo pronto.”
Simona non aveva risposto, sentiva il cane che le stava
leccando il sedere, che le insinuava la lingua attraverso
le cosce, quindi si era posizionata di nuovo sulle ginocchia, allargando le gambe il tanto giusto, quello che l’esperienza le aveva insegnato per facilitare i movimenti
dell’animale, che, per niente infiacchito le stava dando
un altro assalto più vigoroso del precedente, ammesso
che una simile ipotesi fosse possibile. A un certo punto
non era più in grado di controllarsi, gli orgasmi arrivavano a raffica. Aveva abbassato il busto e posizionato la
vagina in modo tale che l’animale ne godesse a suo piacimento completo, rantolando senza contegno. Antonio
si era denudato e assisteva alla scena steso col ventre
sulla sabbia, seguendo a tratti il ritmo dell’amplesso,
quasi volesse fecondarla. In breve il cane si era staccato
nuovamente e Simona era crollata sul telo. A quel punto
lui aveva emesso un sibilo ed il cane, con manifesta ritrosia e lamenti si era allontanato. Col volto stravolto dal
desiderio, Antonio si era sollevato per portarsi nelle immediate vicinanze di Simona e incurante della sabbia di
cui era ricoperto, l’aveva afferrata al bacino con ambedue le mani e aveva dato inizio a una serie di colpi violentissimi, accompagnati da vere e proprie urla. “Dai che
godiamo insieme bella troiona, dai che ti spacco la figa.”
E intanto si dimenava come un forsennato, al punto che
in tre minuti erano ambedue stesi al suolo in preda a sussulti che li squassavano in tutto il corpo. Quando si era80
no ripresi e guardati in volto, non avevano potuto fare a
meno di scoppiare in una sonora risata.
“Che scopata, ragazzi,” - aveva detto Simona ridendo –
“ma, tu che gusto ci provi a riempirmi la passera di sabbia?”
“Sinceramente non so cosa risponderti, però mi piace, è
una cosa istintiva che fa parte del gioco della mia lussuria e quindi non voglio pormi limiti.”
“Potevi graffiarmi…” – gli aveva risposto lei in tono
canzonatorio.
“Ma dai, avevi la figa così aperta e bagnata che ci stavano tranquillamente due cazzi.” Le aveva risposto lui ridendo.
“Tu ad avere modi gentili, proprio non ci riesci.” L’aveva rimbrottato lei, senza la minima convinzione che potesse sortire qualche effetto.
“Sono fatto così, e ti do un consiglio, casomai dovessimo rivederci, da soli o con Maria. Se vuoi raggiungere
l’apice della lussuria, non devi censurare nessuna delle
spinte che ti suggerisce l’istinto.”
“Ci penserò.” Gli aveva risposto lei rivestendosi. Poi,
quando si stavano allontanando, ognuno per i fatti suoi,
lui le aveva gridato: “Vai e fai felice il mondo!”
Simona aveva proseguito per la via che costeggiava lo
stagno, anche se a tratti se ne allontanava alcune centinaia di metri, per poi aderire nuovamente fino a lambirlo.
Non l’aveva mai esplorata, ma avrebbe giurato che a un
certo punto si sarebbe ricongiunta con quella che percor81
revano quando dal loro accampamento si recavano in
paese. Camminava a passo cadenzato, voleva rientrare al
più presto per non fare impensierire Alessandro, anche
se gli aveva lasciato un messaggio per avvertirlo della
sua passeggiata. Un po’ si sentiva in colpa, ed era stato
inevitabile riflettere sulla correttezza del suo comportamento. In una settimana non si era mai concessa, ma su
quest’aspetto del loro rapporto avevano discusso più volte e lei era stata chiara fin dall’inizio: che mai avrebbe
ceduto all’abitudine e al senso del dovere, che l’unico
stimolo capace di muoverla sarebbe stato il desiderio.
Del resto, la loro era una relazione inconsueta. Stavano
insieme, e i motivi non erano pochi: perché avevano affinità di vedute, perché erano complici, perché concepivano i rapporti fisici come un espediente per esaltare il loro
ego, ma per il resto era stata chiarissima.
“Io non mi sposerò mai” – gli aveva detto fin da principio – “quindi, se vuoi instaurare una relazione al fine di
creare le condizioni per farti una famiglia, non sono la
persona giusta.” Ad Alessandro era scappato da ridere:
“Ma tu mi ci vedi con delle responsabilità?” Le aveva
chiesto. E con queste premesse avevano siglato il loro
patto. Sì, però lei stava trombando quasi tutti i giorni e a
lui toccava di lavorare di mano … sinceramente non era
sicura che avrebbe accettato un simile comportamento
da parte sua. Aveva lo sguardo torvo, non le piaceva essere in torto e si mordicchiava le labbra, poi, a un tratto
le era tornato il sorriso, quasi fosse pervenuta a una considerazione ovvia: “Che c’entra, lui è maschio, mica abbiamo le stesse esigenze.”
82
Era rientrata verso le undici e trenta, dopo aver constatato che il suo intuito non l’aveva tradita, a proposito della
confluenza delle strade. Nel tragitto, dopo essersi messa
il cuore in pace riguardo alle sue responsabilità nei confronti di Alessandro, il pensiero era andato subito a quell’inetto di Piero. Ma chi credeva di essere? Se aveva
qualche problema non era certo quello di reperire pretendenti, semmai di respingerli. Altroché, se ce n’erano di
individui che non perdevano occasione per infilarle gli
occhi nella scollatura della maglietta, a volte ostentatamente e lei ne rideva. Aveva coltivato una sorta di rancore che gliel’aveva reso indigesto, che l’aveva fatta propendere per l’interruzione del campeggio anzitempo, ma
poi aveva pensato ad Alessandro e non voleva essere
troppo egoista. Aveva i suoi metodi, per vendicarsi. Era
consapevole che l’indifferenza è la lama più tagliente,
quindi, né broncio né dispetti puerili, la noncuranza sarebbe stato l’atteggiamento giusto nei suoi riguardi e
quel pensiero la faceva gongolare.
“Com’è andata la passeggiata?” Le aveva chiesto Alessandro appena l’aveva intravista, compiacendosi nel vederla di buon umore.
“Bene, amore mio. Mi sono stancata parecchio ma sto
bene.” E l’aveva cinto con un braccio.
Anche Francesca le era andata incontro, consapevole
delle debolezze dell’animo femminile e di quanto possa
ferirlo un rifiuto, decisa quindi a fare da mediatrice e
tentare di sanare le incomprensioni.
83
“Amore, lascia che ti abbracci, è bastata un’assenza di
poche ore e già mi mancavi.”
Simona aveva cinto anche lei col braccio libero e le aveva schioccato un bacio sulla guancia.
“Ti voglio benissimo.” Le aveva detto sorridendo beatamente.
“Tu non sai quanto t’invidio, io non avrei mai avuto il
coraggio di allontanarmi di qui da sola, per non parlare
della pigrizia, quella è la mia maledizione.”
Avevano riso e subito dopo Francesca aveva proposto:
“Dai, preparati che andiamo in spiaggia, altrimenti si fa
troppo tardi per il pranzo.”
In spiaggia li attendeva Piero, che dopo innumerevoli
tentativi per convincere gli amici in tal senso, vi si era
recato solitario. Era steso ad ammirare le onde che quel
giorno erano parecchio impetuose, nonostante l’assenza
più assoluta di brezza.
“Sono la conseguenza di qualche perturbazione che si è
sviluppata al largo.” Aveva asserito lui, indicando il gorgoglio delle onde. “È un’ottima occasione per giocarci,
considerato che qui il mare è quasi sempre piatto.” Gli
altri non se l’erano fatti ripetere e si erano spinti immediatamente in giochi goliardici che in breve li aveva rinfrancati, facendo dimenticare a Simona tutti i suoi propositi. Ciononostante, quel pomeriggio le coppie si erano
appartate ognuna per conto proprio e Simona aveva avuto modo di rinsaldare il suo rapporto con Alessandro, coprendolo di attenzioni, così come accadeva ogni volta
quando veniva disillusa dall’invaghimento di turno. Si
erano ritirati in un’insenatura in cui le onde si allungava84
no aderendo all’arenile per diversi metri, spingendo verso quel luogo ossi di seppia o scheletri di ricci, ma anche qualche bottiglia che li aveva fatti navigare con l’immaginazione su possibili messaggi lasciati da naufraghi
sconosciuti. Verso le venti si erano ricongiunti con gli
amici, con i quali avevano deciso di chiudere la giornata
in bellezza recandosi al bar, a circa due chilometri di distanza. Quando si erano preparati, rispolverando abiti
adatti per l’occasione, Simona non aveva potuto fare a
meno di proclamare la sua gioia: “Che bello, abbiamo
fatto i conti, stasera possiamo permetterci anche il gelato.”
Si erano avviati per il sentiero appena tracciato, prima
tra i ginepri, alcuni dei quali veramente maestosi e poi
costeggiando uno specchio d’acqua residuo delle mareggiate invernali, ma che in certe occasioni resisteva anche
per tutta l’estate. Al suo interno avevano attecchito canne e giunchi e non era raro intravedere delle folaghe o
addirittura dei germani che vi sguazzavano, confermando con la loro presenza le ottime condizioni ambientali
di quel luogo. Avevano condotto con loro anche il cane,
che di quando in quando abbaiava all’indirizzo dei volatili, tentando anche qualche rincorsa nel tentativo di un
improbabile cattura. L’animale era talmente infervorato
che più di una volta si era buttato all’inseguimento delle
folaghe che si portavano in prossimità della riva, ma era
riuscito unicamente a bagnarsi e a schizzare anche i
quattro amici che camminavano senza fretta, orientando85
si alla luce di una luna maestosa. Arrivati al bar, avevano
potuto constatare che era praticamente deserto, comunque si erano accomodati in attesa che l’esercente si avvicinasse al loro tavolo. Alessandro aveva posto mano al
borsellino, dal quale aveva recuperato un pugno di monete che una volta contate, erano risultate tremila lire.
Era la somma destinata alle spese voluttuarie. Gli restavano diecimila lire e quella cifra gli sarebbe dovuta bastare fino alla domenica, quando i genitori sarebbero
passati a prenderli in auto. Era il loro modo di intrattenere una vita mondana. Certo, quel luogo non poteva paragonarsi a Rimini o a Riccione, ma a loro bastava, anzi,
erano sicuri che quello era il posto più bello del mondo.
Qualche minuto dopo il barista si era avvicinato e avevano ordinato l’agognato gelato. Alessandro non aveva trascurato nemmeno un pensiero per Lilla, la sua cagna; a
lei aveva destinato la parte inferiore del cono che aveva
riempito del suo gelato.
“Non te lo meriteresti…” – le aveva detto, provocando
un suo lamento, subito mitigato da una carezza sul capo.
“È inutile che ti lamenti, perché a causa tua devo rinunciare a parte del mensile che mi passa mio padre, brutta
bastarda.”
“Come mai?” Gli aveva chiesto Francesca.
“Non sembra vero nemmeno a me” – aveva bofonchiato
Alessandro con lo sguardo rivolto all’animale – “perché
fino a quest’inverno non ci aveva dato grattacapi. È sempre stata docilissima e mai avremmo immaginato che potesse rivelarsi pericolosa per qualcuno. Noi eravamo
tranquilli ma lei...” – aveva proseguito afferrando alla
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collottola la cagna che a quel gesto aveva guaito, quasi
che quelle rivelazioni la ferissero nell’orgoglio – “una
sera, inaspettatamente ha aggredito la nostra colf, provocandole una profonda cicatrice sul volto, di conseguenza
dobbiamo pagarle la plastica.”
Alessandro aveva strusciato una mano sul dorso dell’animale e aveva proseguito, quasi si rivolgesse direttamente
all’interessata.
“E chi ne fa le spese sono io. Mio padre ha deciso che,
quale proprietario e responsabile dell’animale, debba essere io ad accollarmi le spese mediche per le cure della
colf, quindi mi ha decurtato drasticamente il mensile che
mi passava. Del resto in famiglia ero il solo a volerla e
gli altri si sono adattati in funzione del fatto che sono il
più giovane, che gli animali esercitano una funzione pedagogica. Se fossi stato ancora minorenne me la sarei cavata a buon mercato, ma da quando ho cominciato a reclamare i miei diritti da adulto, mio padre ha colto l’occasione per mettermi di fronte ai doveri e lo fa continuamente, è diventato una palla impossibile.”
“Condivido perfettamente la linea di tuo padre” – aveva
affermato Francesca, che non aveva saputo trattenere un
sorriso accondiscendente nei confronti del giovane amico – “ti sta mettendo di fronte alle tue responsabilità, in
considerazione che presto o tardi dovrai tenerne conto
comunque.”
“Può darsi, però, quando si è in prima persona a pagare, i
principi ci appaiono meno encomiabili di quanto non
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possano esserlo dall’esterno. In effetti mi sono stati tolti
tutti gli spazi di manovra per la mia vita sociale e posso
garantirti che mi pesa parecchio.”
“È una specie di fatalità, la stessa che può capitarci se
abbiamo un incidente che ci lascia menomati; per quanto
possiamo recriminare, il destino è segnato. Il tuo, invece,
è solo un disagio temporaneo e prima o poi ti rivelerà i
suoi vantaggi.”
“Cavolo, stai diventando saggia” – le aveva risposto
Alessandro – “è l’unico aspetto che non mi piace di te.”
E tutti erano scoppiati a ridere.
“E tuo padre invece?” Aveva chiesto Piero rivolgendosi
a Simona. “Tuo padre lavora ancora in quell’ente pubblico?”
“Certo, fino a che non va in pensione, ma ce ne vuole
ancora … e poi lui spera che sia il più tardi possibile;
dice che non si può vivere con sei donne in casa.”
“Sei donne?” Aveva chiesto Piero aguzzando le orecchie
E che ha, l’harem?”
“Ma quale harem, è che siamo cinque figlie femmine,
più mia madre, e praticamente lo tartassiamo di continuo
dal primo minuto che mette piede in casa. Dice che è più
rispettato in ufficio e che noi siamo delle isteriche, o addirittura maniache, che non è possibile essere controllati
persino in bagno.
“Allora falle tu, le pulizie” – gli ripete mia madre – “visto che vuoi una persona appresso per rassettare.”
“Mi avete costretto a un comportamento da
femminucce” – ci rimprovera lui – “ma guarda se un
uomo deve sedersi per fare la pipì…”
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E tu non gocciolare.” Gli ripetiamo noi.”
“Accidenti, cinque femmine… Però, ci davano dentro
tua madre e tuo padre. Stai attento Alessandro, che tra un
po’ ti tocca fare la pipì seduto.”
Alessandro aveva lasciato cadere l’insinuazione, forse
non l’aveva nemmeno sentita, perché in quel momento
un’altra preoccupazione gli era balenata per la testa.
“Nooh, nella fretta ho dimenticato la lenza in acqua!
Spero proprio di ritrovarla, quando rientriamo.”
“Dai, corriamo, a volte non abbia abboccato qualche balena!” Aveva insistito Piero col suo sfottò.
Intanto era trascorsa una buona mezz’ora e gli avventori
del bar erano aumentati di numero. A un tavolo accanto
si era accomodato un signore in età avanzata che sorseggiava la sua bevanda in silenzio, lanciando sguardi furtivi al loro indirizzo; alle parole di Alessandro, però, non
aveva resistito alla tentazione di commentare.
“Va bene puntare sulla fortuna, ma in certe occasioni si
sfida il calcolo delle probabilità.” Aveva esordito rivolgendosi a loro con cipiglio da competente. “Nella zona
dove siete accampati voi, gli unici pesci che si avvicinano a riva sono predatori: Mormore, Orate, Spigole; anche se dovessero abboccare, subito dopo è necessario tirare la lenza in riva, altrimenti a furia di divincolarsi la
strappano, oppure si liberano a costo di ferirsi.”
Alessandro aveva fatto spallucce, sentendosi toccato in
prima persona, quindi aveva risposto candidamente:
“Sono un dilettante, non ho nessuna esperienza.”
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“Beata gioventù” – aveva mormorato il vecchio – “ai
miei tempi, allora sì che abboccavano e non c’era nemmeno bisogno di ingegnarsi tanto, né di predisporre metodi raffinati, ma ormai sono relegati solo nella memoria
di noi vecchi e non torneranno più.” Parlava lentamente,
quasi si rivolgesse a sé stesso, rinvangando le vicissitudini di un periodo che non interessava più nessuno.
“In ottantadue anni, ne ho viste di cose… Questo posto
non lo riconosco; sembra un altro mondo, sia per la conformazione del territorio che è completamente cambiato,
che per le persone, superficiali da renderle inverosimili.
Ho visto dove siete accampati, vi ho notato perché in
quella zona conduco il mio gregge di capre, dato che non
ho mai smesso di esercitare il mestiere che ho imparato
quando ero ancora bambino e che mi ha consentito di allevare la mia numerosa famiglia, e che ancora oggi mi
permette di dare una mano ai miei figli, anche se sono
tutti sposati ed hanno figli a loro volta.”
L’uomo aveva fatto una lunga sosta e i ragazzi si erano
scambiati occhiate con le quali s’interpellavano sulle
possibili ragioni che avevano indotto il signore in questione a sceglierli per le sue rimembranze. Non avevano
di meglio da fare e per una volta, la curiosità di ascoltare
le ragioni di una generazione così lontana dalla loro, li
aveva spinti a sollecitare le confidenze dello sconosciuto, che intanto sorseggiava beatamente la sua bevanda.
Valutando l’aspetto e l’età dichiarata non avrebbero potuto che congratularsi per le sue eccellenti condizioni fisiche. Sì, i capelli erano canuti e così pure la barba, tenuta corta e curata, ma i tratti del volto visibili erano lisci e
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levigati, completamente privi di rughe e le mani ancora
energiche.
“Com’era questo posto, ai tempi della sua gioventù?”
Gli aveva chiesto Francesca che sembrava la più interessata ai discorsi del vecchio.
“Devo confessare che in parte mi sono disamorato e mi
viene la malinconia se ripenso a come l’ho conosciuto.
Proprio lì, nella zona dove avete fissato le vostre tende,
il panorama era completamente diverso; le dune erano
alte anche cento metri e di ginepri millenari ce n’erano
fino al bagnasciuga.
Pescavamo secondo il bisogno del momento e non tornavamo mai a mani vuote. Qui, nei pressi dello stagno” –
ed aveva indirizzato lo sguardo in quella direzione, a una
ventina di metri dal bar – “allora costruzioni non ce n’erano e tutt’intorno era fitto di canneti e di altri arbusti
che voi non conoscete neppure. Mi ero costruito una
chiatta con delle fibre vegetali e con quella lo attraversavo in lungo e in largo, nel frattempo che le capre pascolavano sulla collina. D’inverno mi arrangiavo con una
fiocina, dato che l’acqua era troppo fredda, ma d’estate,
nei punti che avevo imparato a riconoscere, m’immergevo per ore. Quanti pesci di prim’ordine abbiamo mangiato nella mia famiglia … di quelli che oggi è raro trovare
anche al mercato, perché i signori se li accaparrano direttamente dai pescatori. Muscoli, arselle, anguille, orate,
persino spigole, per quanto loro preferiscano acque più
alte. Avevo un bel gregge a quei tempi, ma la nostra vera
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fortuna è stata lo stagno, che ha contribuito a sfamare me
e la mia numerosa famiglia. E pensare che in un primo
momento, quando io e mio fratello ci eravamo divisi le
proprietà di mio padre, mi ero sentito defraudato, essendo toccati a lui i terreni a monte, che io ritenevo più redditizi. Poi mi sono reso conto della fortuna sfacciata che
aveva rappresentato per me quel sorteggio. Qui intorno,
allora c’era da perdersi, talmente era intricato il groviglio della vegetazione e noi ne eravamo i fruitori incontrastati e potevamo alternare i frutti del mare con la selvaggina, perché allora c’era un’incredibile abbondanza
anche di quella. Se oggi i miei figli sono sistemati, anche
se a loro non basta mai quello che hanno, questo è stato
possibile grazie al fatto che per anni ho potuto mettere
da parte l’intero ricavato del mio gregge, grazie alla generosità della natura.
Certo che allora questo posto non era frequentato come
adesso; la statale era sterrata e in condizioni tali da scoraggiare anche i più intrepidi, e poi la moda dei bagni e
della tintarella non esisteva ancora, i più esercitavano
professioni agricole e ne avevano più che abbastanza
della calura e della pelle cotta dal sole inclemente. Poteva arrivare qualcuno a curiosare la domenica; allora il
mezzo di locomozione più diffuso era la motocicletta e
al vederli, in noi destavano solo sospetti, ma era cosa
rara. In questa zona abitavamo solo noi pastori e anche
tra di noi ci frequentavamo poco, quando era estremamente necessario, presi com’eravamo dalle cadenze del
nostro lavoro e dalla distanza delle abitazioni che dovevamo raggiungere sempre a piedi o a dorso di mulo. Ci
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riunivamo nel periodo della tosatura, perché allora avevamo anche pecore, e nell’occasione festeggiavamo alla
grande, ma per il resto, non immaginavamo nemmeno
cosa fossero il turismo e la villeggiatura; eravamo fuori
dal mondo.
“Bei tempi, quelli!” Aveva esordito Piero, approfittando
della pausa dell’anziano oratore, consapevole che disgraziatamente non erano riproponibili.
“Finora l’ho ascoltato con vivo interesse, ma a questo
punto non posso fare a meno di chiederle delucidazioni
riguardo a un particolare che mi ha molto colpito: che
fine hanno fatto le dune? Mi riferisco a quelle alte cento
metri, perché al momento non superano i trenta, o al
massimo quaranta, quarantacinque metri.”
“Eeh, voi non potete sapere, la maggior parte delle persone non sanno, perché ancora oggi la sensibilità ambientale è praticamente inesistente, soprattutto in coloro
che hanno responsabilità politiche, che la sacrificano volentieri sull’altare del consenso. Purtroppo non solo le
dune, qui tutto è stato devastato in favore di interessi che
non avevano niente da spartire con quelli collettivi. Gli
amministratori di allora erano convinti di poter affondare
le mani in un eldorado senza fine e anche un numero esiguo di posti di lavoro valeva bene la dissoluzione di
qualsiasi bene ambientale. Probabilmente sono stati questi calcoli a consentire la concessione per una cava di
sabbia in questa zona, anche se poi i costi sono stati cento volte più elevati dei ricavi. Noi, anche se consapevoli
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dei nostri limiti, ci siamo opposti con tutte le nostre forze, ma eravamo solo quattro pastori ignoranti che non
volevano la polvere nelle loro case e per tapparci la bocca hanno spianato la strada che passa qui a fianco, attraverso lo stagno e la laguna di rimpetto al mare. Nel volgere di una manciata d’anni, hanno raso al suolo tutto il
possibile, fino al momento in cui veniva individuato un
altro luogo da desertificare, ed io ne sono stato testimone, constatando personalmente che non era solo la sabbia, il bene che ci avevano sottratto, che tutto l’ecosistema ne aveva risentito, che il nostro mondo era mutato irrimediabilmente e non sarebbe più tornato come lo avevamo conosciuto.”
“Quindi, questo era un autentico paradiso?” Gli aveva
chiesto Francesca che non aveva perso una parola e lo
ascoltava ammaliata.
“Oh sì, lo era, ma noi allora non lo sapevamo apprezzare, l’abbiamo capito dopo, quando non c’era più; quando
è andata via la compagnia della cava, lasciando di tutto,
a cominciare dai rottami dei mezzi in disuso, per finire
con le azioni peggiori che si potessero immaginare, vere
e proprie chiazze di gasolio fuoriuscito dai serbatoi.
Adesso viene molta gente che rimane estasiata per la
bellezza del posto, io li guardo e li compatisco.”
A quel punto si era avvicinato il gestore del bar ed aveva
sussurrato qualcosa all’orecchio dell’anziano signore, il
quale si era levato in piedi e dopo aver salutato i giovani
interlocutori si era allontanato. “Bene, io adesso devo
andare, continuate a divertirvi e trascorrete una buona
vacanza.” I quattro amici, che in un primo momento si
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erano prestati per pura cortesia a fare da uditorio al monologo dell’ottuagenario, si erano sentiti quasi orfani subito dopo, in conseguenza della curiosità che aveva destato in loro e che non potevano soddisfare.
“Guarda un po’, Simo” – aveva sussurrato Alessandro rivolgendosi alla fidanzata qualche minuto dopo, indicandole con lo sguardo una coppia che stava a un tavolo in
disparte – “quella non è la tua vicina di casa? La moglie
del commercialista ... quella che ci ha invitato a farle visita il giorno che ci siamo incontrati alla fiera.” Simona
aveva sollevato lo sguardo ed era trasalita, effettivamente la donna che stava al tavolo con Antonio, abitava nel
palazzo di fronte al loro e mai avrebbe immaginato che
potesse avere una relazione, considerato il rilievo sociale
che rivestivano in zona. Era ancora impegnata in tali
considerazioni quando i loro sguardi si erano incrociati e
a quel punto Maria le aveva fatto un cenno di saluto con
la mano. Lei aveva risposto con un mezzo sorriso e poi
si era voltata in direzione degli amici.
“Che ne dite della mia proposta di rientrare?”
“Pienamente d’accordo.” Avevano risposto all’unisono
Piero e Francesca, alzandosi dai loro posti per dirigersi
all’uscita del locale. Il racconto del vecchio aveva reso
tutti un po’ malinconici, però erano decisi a non lasciarsi
condizionare, del resto a loro quel posto piaceva ugualmente, perciò si erano avviati verso l’accampamento ridendo e scherzando.
La sera era fresca e anche se il tragitto era breve, non
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avevano potuto fare a meno d’indossare l’indumento di
riserva che si erano portati appresso.
“Dai, le carte ci aspettano!” Aveva gridato Simona mimando al contempo una specie di danza Sioux.
“Oggi maschi contro femmine, vi diamo una bella batosta!”
“Ti piacerebbe?” Le aveva risposto Alessandro in tono di
sfida.
“Mica sei a casa tua!” Non aveva nemmeno terminato la
frase che si era già pentito, ricordando di aver toccato un
tasto dolente, perché Simona non accettava che altri, oltre a lei, facessero apprezzamenti nei confronti del padre,
ma almeno per quella volta aveva fatto finta di non sentire.
Arrivati all’accampamento, in pochi minuti avevano allestito il tavolo ed avevano giocato per un’ora buona.
“Basta” – aveva detto Piero ad un certo punto – “io mi
corico, domani mattina bisogna andare assolutamente in
paese per fare un po’ di spesa. Non è rimasto quasi più
niente e non possiamo stare a digiuno. Chi viene con
me?”
“Cavolo, proprio domani che mi sono organizzato per alzarmi all’alba e provare se a quell’ora riesco a pescare
qualcosa.” Aveva sbottato Alessandro, ma poi, consapevole di non potersi esimere da quell’incombenza, aveva
cambiato tono.
“Va bene, vorrà dire che l’esperimento è rimandato ad
un’altra occasione. A che ora partiamo?”
Piero a quel punto aveva cercato alternative, puntando lo
sguardo verso le altre componenti la comitiva.
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Francesca aveva guardato il compagno con un’aria che
chiedeva indulgenza.
“Tesoro, lo sai che sono una pigrona, proprio non ce la
faccio ad alzarmi prima delle dieci.”
A quel punto, sorprendendo tutti i presenti, Simona si era
fatta avanti con un gesto che sapeva di eroico, proponendosi quale volontaria per affrontare l’impresa titanica.
“Ho capito... Ale, svegliami quando ti alzi, mi sacrifico
io.”
A Piero non era rimasto che prendere atto della situazione.
“Allora siamo d’accordo, partiamo verso le otto, così
mangiamo qualcosa al bar. È rimasto mezzo litro di latte
e un paio di biscotti, in questo modo lasciamo la colazione anche per chi resta.”
Alessandro aveva ficcato una mano nella tasca ed estratto il portafogli, ne aveva recuperato l’unica banconota.
“Tieni, te la do adesso, nel caso non dovessimo incontrarci prima che partiate.”
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Giovedì
Il giorno seguente, Alessandro era rientrato all’accampamento verso le dieci. Aveva pescato sei mormore ed era
raggiante. Francesca non aveva certo lesinato i complimenti, nonostante si fosse svegliata da pochi minuti e
quindi ancora parzialmente intontita.
“Guarda, se non sapessi che hai consegnato i tuoi ultimi
averi a Piero, penserei che le hai comprate. Sono bellissime e anche di taglia notevole. Sei stato veramente formidabile. Vedrai, stasera facciamo il fuoco e le festeggeremo a dovere.”
Dopo aver incassato gli entusiastici complimenti da parte di Francesca, Alessandro si era dato da fare per allestire la colazione che avrebbe dovuto consumare in sua
compagnia e anche quella era stata un’ennesima occasione per protrarre il loro fervore, stimolato dalla narrazione epica dell’impresa. Entusiasmo che l’aveva spinto ad
occuparsi nuovamente della sua attrezzatura immediatamente dopo, riponendo in maniera quasi maniacale lenza
e mulinello. Nel frattempo Francesca si era diretta in
spiaggia, dove l’attendeva una placida giornata di sole
ed il mare piatto e lucente. Nel volgere di mezz'ora,
Alessandro aveva sbrigato tute le sue incombenze ed era
rimasto in compagnia di un’esuberanza mai sperimentata
prima. Quella pesca inaspettata l’aveva caricato di un’e99
nergia incontenibile che lo obbligava a muoversi di continuo; doveva trovare il modo di scaricarla, forse facendo una passeggiata, o ancora meglio una corsa lungo la
spiaggia, respirando a pieni polmoni quell’aria satura di
iodio e di profumi di resina. Raggiunto l’arenile già scaldava i muscoli e non gli importava della sua scarsa propensione al movimento; doveva bruciare quell’eccedenza con cui non aveva mai familiarizzato e che alterava la
sua personalità, per la quale amici e conoscenti lo canzonavano volentieri. Un breve scatto a capo chino, poi aveva allungato lo sguardo per orientassi nella giusta direzione e subito si era fermato, quando aveva inquadrato la
sagoma di Francesca, a una cinquantina di metri da lui.
Era distesa con la faccia rivolta verso il mare, intenta a
leggere una rivista appoggiata sulla sabbia. Le sue natiche sode e abbronzate emergevano dal resto del corpo,
rimandando bagliori al riflesso dei raggi solari. Si era incamminato nella sua direzione e qualche minuto dopo
l’aveva raggiunta. Era concentrata nella lettura e al contempo dondolava le gambe, che teneva sollevate con la
pianta dei piedi rivolte verso l’alto, ma lui non se n’era
stupito, lo faceva spesso, quando era in quella posizione.
Era arrivato dietro di lei con passo felpato, ma ciò era
dovuto più alla sofficità della sabbia che a una scelta
ponderata, comunque aveva constatato che era talmente
immersa nei suoi pensieri che non si era accorta di lui.
Dalle cosce divaricate poteva intravedere un ciuffetto di
peli e la spaccatura della vagina che formava un tutt’uno
con la fenditura del sedere. Non era certo la prima volta
che la vedeva nella sua intimità, anzi, quando nel pome100
riggio si riunivano nella tenda, gli era capitato di venire
persino a contatto con le sue parti intime, ma in quella
circostanza c’era qualcosa di diverso ed un tuffo al cuore
l’aveva scosso in tutto il suo essere, per dilungarsi poi
quasi istantaneamente verso gli organi genitali.
Si era avvicinato ancora, godendosi quella visione dalla
distanza più ravvicinata possibile, combattuto tra il piacere che ricavava nell’ammirare quelle fattezze e il pensiero che forse sarebbe stato meglio proseguire per la sua
corsa, ma quella era un’opzione immensamente al di sopra della sua forza di volontà, che in quel momento doveva combattere con un’avversario mostruosamente più
cocciuto di lui e che aveva smesso di pendere come un
verme. Non riusciva muovere un passo dalla sua posizione, le natiche di Francesca, così sode e prepotenti erano
come una calamita da cui non sapeva scostare lo sguardo. In quel momento aveva pensato che era lui che lo comandava con subdoli stratagemmi, ma era uno stato di
fatto a cui si era assoggettato da tempo e che solo Simona con i suoi modi riusciva a controvertere, e in altre circostanze, il deterrente era rappresentato dalla consapevolezza dell’emarginazione che sarebbe conseguita ad essergli completamente succube.
Aveva tranciato quei pensieri, considerando che non poteva starsene in silenzio all’infinito, che doveva pur rivelarsi all’amica.
“Ciao…” Le aveva detto esitante e la voce gli era uscita
con una specie di gorgoglio strano.
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“Che fai, rimani in piedi?” Gli aveva chiesto lei voltando
il capo nella sua direzione per qualche secondo e tornando a concentrarsi nella lettura subito dopo.
Non aveva risposto, era in uno stato di agitazione che gli
chiudeva la gola, che al massimo avrebbe potuto emettere rumori indecifrabili, da plantigradi. Si era inginocchiato immediatamente dietro di lei. Da quella posizione
poteva vederla nel dettaglio delle sue parti intime, esaltando all’eccesso il suo stato d’animo. Si sentiva spinto
da una forza che frantumava il suo autocontrollo, completamente soverchiato da quell’essere primitivo che
aveva incatenato dentro di lui e che al momento si era liberato per reclamare il suo diritto ad esistere. Aveva allungato le mani, quasi a sincerarsi che l'immagine che lo
abbacinava non fosse un miraggio, utilizzando gli arti
quale strumento di verifica, diritte verso quelle natiche
che erano diventate tutto il suo orizzonte, ma aveva esitato per qualche tempo, fino a quando quell’animale si
era sbarazzato degli intermediari e aveva preso il comando dei suoi sensi in prima persona, compreso l’olfatto,
inebriato da un odore irresistibile di femmina; quindi si
era trascinato fino a lambirla, strusciandosi sull’oggetto
del desiderio.
Lei era rimasta nella sua posizione e senza nemmeno
voltarsi gli aveva detto: “Ho capito, sei venuto a reclamare la parte che ti riserva il contratto che abbiamo stipulato l’altro ieri.
Senza proferire parola le aveva allargato le cosce, poi era
tornato a palparle il sedere. Il cuore aveva accelerato
bruscamente i battiti, in preda a un’emozione inenarrabi102
le che quasi lo stordiva, ma che non era sufficiente a farlo desistere. Ormai era determinato a proseguire nella
sua azione, incurante di tutti i risvolti che poteva contenere. Si era lanciato in una sequela di baci sulla scultura
che lo aveva ammaliato, soffermando le labbra su quel
contatto, respirando intensamente quell’odore di figa che
gli arrivava fino al cuore, in modo tale che poteva solo
accentuare la sua condizione e l’evoluzione di quelle gesta era stata la più spontanea, infatti si era proposto con
lunghe pennellate della lingua su quelle stesse parti, quasi fosse ingordo di una delizia di cui era spalmata; senza
fare distinzioni, dalla vagina per tutta l’arco delle natiche
ed oltre. Era estasiato, ma i suoi desideri si evolvevano
di minuto in minuto, quindi aveva ripreso a strusciare il
pene sul sedere di lei; azione resa più scorrevole in conseguenza della saliva di cui l’aveva inondata, coltivando
l’attimo successivo, il momento in cui con un colpo deciso le era penetrato nella parte più intima e calda, lasciandosi andare a colpi davvero irruenti, seguendo solo
il suo famelico istinto. In quel movimento, che in breve
era divenuto frenetico, gli si era liberata la gola, per cui
emetteva gridi rauchi ed ogni sorta di rumori.
Francesca era rimasta immobile tutto il tempo.
“È troppo bello, troppo!”
Aveva urlato Alessandro mentre stava per venire, inondandole le natiche del suo umore, per poi lasciarsi andare sfinito al fianco della ragazza.
“Ma, davvero ti è piaciuto?” Gli aveva chiesto lei stupi103
ta.
“Io non ho mosso un muscolo, come puoi aver provato
piacere?”
Alessandro si era voltato e le aveva puntato gli occhi nei
suoi, rinfrancato all’idea che non se l’era presa a male.
“È stato bellissimo, anche se non ho capito bene quali
siano le cause. Forse il fascino del proibito, ma non è
solo questo; qualcosa mi sfugge. È un piacere diverso da
quello che provo quando faccio l’amore con Simo; qualcosa che ha a che fare con l’emozione a cui mi ero preparato l’altro ieri, prima che andasse a vuoto il programmino che aveva prospettato nella vostra tenda. Guarda,
non racconto balle, ho di nuovo voglia. Forse con la sua
proposta ha dato il via e reso concepibili pensieri che
fino a quel momento avevo censurato nettamente.”
Francesca aveva abbassato lo sguardo verso i suoi attributi, constatando che effettivamente era in preda a una
nuova, energica erezione e non aveva saputo trattenere
una smorfia.
“Io gli uomini non li capirò mai!”
Quasi non l’avesse sentita, Alessandro aveva allungato
nuovamente la mano verso il sedere di lei accarezzandolo voluttuosamente, poi verso la vagina. Francesca l’aveva guardato in volto: “Ho capito, ci vuoi provare ancora;
vediamo se riesci almeno a capire quali sono le ragioni
che ti provocano piacere in questa situazione.”
Alessandro aveva ripreso ad accarezzarla, nel tentativo
di soddisfare la bramosia delle sue mani, quasi a indagare sulla sua pelle, a memorizzare le sensazioni che gli
provocava quel contatto; poi le era montato sopra, ripe104
tendo i movimenti di prima, ma questa volta più sicuro
di sé, più deciso, più forte! Il fiato gli usciva dalla bocca
e dal naso con violenza. Ansimava e i suoi gemiti riecheggiavano in tutta la spiaggia, ignaro delle convenzioni e privo d’inibizione alcuna, permettendo agli istinti
più primordiali di guidare i suoi movimenti. Dopo una
decina di minuti, nei quali non si era certo risparmiato,
con uno sbuffare tremendo si era accasciato sulla sabbia.
Era steso ai piedi di lei, il torace scosso da un respiro
violento che aveva impiegato alcuni minuti a tornare alla
normalità, e quando finalmente aveva riconquistato la
parola le aveva detto: “Ti giuro, è stato più bello di prima, se la cosa è possibile, perché già la prima volta è stato bellissimo.”
Francesca l’aveva guardato ridendo.
“Stavolta avrai capito le cause, spero.”
“Dentro di me so perfettamente di cosa si tratta, però
non riesco ancora a farlo emergere. È la realizzazione di
un sogno, quello di ogni uomo che vedendo una donna
che stimola il suo istinto, inaspettatamente trova in lei
una disponibilità immediata, senza corteggiamenti né
coinvolgimento affettivo; solo per appagare la carne, la
parte animalesca che è in ognuno di noi e che teniamo
relegata per tutta la vita, se non in rare eccezioni. Però
non è solo questo, c’è qualcos’altro che non riesce ad
emergere.”
“Quindi devo dedurre che hai bisogno di un’altra
prova?”
105
“È così!” Le aveva risposto candidamente.
Francesca l’aveva guardato con una punta d’ironia.
“Attento, se comincio a prenderci gusto anch’io, poi
sono cazzi tuoi, perché fino ad oggi l’ho sempre fatto in
conseguenza della passione che mi provocava il mio
uomo. Non so cosa potrebbe accadere se mi lasciassi andare al gusto di trombare solo per far godere la mia passera … forse in una simile circostanza, tu non mi saresti
sufficiente.”
“Sarebbe il completamento del sogno” – aveva risposto
lui – “perché in tal caso saremmo mossi dall’identico
presupposto.”
Conclusa la frase, Alessandro aveva ripreso ad accarezzarla, ma partendo un po’ più alla lontana; dal collo, con
morsettini leggeri, per poi scendere lungo la schiena con
la lingua sguainata, fin sul sedere, che era il suo punto di
attrazione principale; su quelle natiche sode e forti. Si
era soffermato in quel punto con le mani, quasi a farne
un calco da tenere in serbo nel momento del bisogno.
Così facendo, il gioco gli era sfuggito di mano; non era
più la ragione a guidarlo nei movimenti, usurpata dalla
frenesia che lo muoveva con i suoi fili. Si strusciava su
Francesca quasi volesse avvolgerla, inglobarla; voleva
assaporarla fin nei minimi particolari. Sapeva che al terzo assalto avrebbe avuto una resistenza e una durata
maggiore delle precedenti. Era tormentato, per quanto
potesse esserlo nelle sue condizioni, da un pensiero che
non riusciva a contrastare, un’idea sulla cui opportunità
era incerto; forse Francesca non avrebbe gradito, però
non era nelle sue facoltà resistere a quell’impulso, quindi
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aveva lasciato da parte ogni ritegno facendosi guidare
ancora una volta dall’istinto, che a quel punto era un sodomita puro. Non gli bastava, era diventato ingordo; da
vero animale, quale sentiva di essere in ogni sua parte,
aveva iniziato un nuovo gioco, alternandosi tra l’ano e la
vagine di lei, con colpi a volte violenti, altrimenti teneri
e rotatori. Francesca aveva accennato a un minimo di
collaborazione, assumendo una posizione tale da facilitargli il gioco e questa partecipazione, anche se minima,
aveva dato nuovo vigore alla sua già ridondante erezione. Galvanizzato dal pieno controllo del suo membro che
gli garantiva una resistenza ulteriore, si era prodigato in
quell’assalto tra rantoli e urla. L’aria che gli usciva dalle
nari e dalla bocca sembrava spinta da un mantice. Il suo
assalto era diventato frenetico. Francesca si era posizionata nel modo migliore che aveva potuto, in maniera che
i suoi colpi non trovassero ostacoli, che potessero battere
proprio lì. Ormai ansimava pure lei allo stesso suo ritmo,
all’unisono. Quando si era resa conto che Alessandro
stava per cedere, allora gli aveva urlato con tutto il fiato
che aveva in gola: “Non venire ancora; resisti brutto bastardo che sto per godere anch’io!”
Due minuti dopo si erano lasciati andare sulla sabbia in
preda a sussulti e ansimi violenti e quando si erano ripresi, si erano scoperti sul bagnasciuga, a rinfrescarsi con
l’acqua che li lambiva.
“Giuro che non avrei mai immaginato di provare un’esperienza simile” – gli aveva confessato Francesca –
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“non ho mai desiderato di darti un bacio e per me, posso
assicurarti che sono parte inscindibile del rapporto, eppure ho goduto, mi sembra di essere una sconosciuta.”
“Non preoccuparti, non l’ho desiderato nemmeno io,
però è stata un’esperienza estremamente esaltante, mi
sentivo quasi una divinità che si attribuisce da sé il permesso di godere, nei tempi e nei modi che gli sono più
congeniali. Ero ebbro di lussuria e questo non era dovuto
solo alla tua avvenenza, alla tua incerta disponibilità, alla
gratuità, quanto all’occasione di poter soddisfare la mia
libido, unicamente quella, per l’autocompiacimento del
mio cazzo. Tutti i miei attributi, i miei istinti repressi si
sono liberati e hanno goduto senza limiti. Mi sento bene,
come forse non è mai successo in vita mia, libero e appagato. Forse, in qualche modo è stato un piacere paragonabile a quello che potevano provare i nostri progenitori
dell’età della pietra, forse, inconsapevolmente Simona
aveva fatto centro.”
“Può darsi che tu abbia ragione” – gli aveva risposto
Francesca – “io però non mi sento di ricercare le cause
profonde, in questo momento mi è venuto un desiderio e
voglio soddisfarlo. Voglio trombarti io, allo stesso modo
che hai fatto tu con me, sempre che tu abbia ancora energie sufficienti.”
Ciò detto si era voltata e aveva preso in mano il membro
di Alessandro, che al momento aveva necessità di essere
rincuorato, quindi aveva preso a masturbarlo, mentre lui
stava steso sulla schiena. Nel volgere di pochi minuti,
con l’ausilio delle mani e della bocca l’aveva risuscitato,
poi si era messa cavalcioni su di lui rivolgendogli la
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schiena.
“Tu devi stare fermo come ho fatto io.” Gli aveva ordinato con la voce resa rocca dall’emozione; quindi aveva
abbassato il ventre e inglobato il pene di lui, che era nuovamente turgido come al primo assalto. A quel punto
Francesca aveva preso a muoversi; lentamente, con movimenti rotatori, in una danza cadenzata che interrompeva a tratti, quando dava degli affondi sui quali indugiava
per alcuni secondi.
Si muoveva assecondando la sua libido e col cervello in
fiamme, sconvolto da ogni sorta di pensiero. Sensi di
colpa, determinati da condizionamenti morali che non
disconosceva del tutto, o dalla consapevolezza che quel
che stava facendo non era pienamente corretto nei confronti del suo uomo, ma in quella circostanza, quelle
considerazioni, anziché smorzare l’entusiasmo col quale
si prodigava, accentuavano la sua lascivia, spronata dal
piacere di infrangerle, o per il gusto del proibito.
“Accidenti” – aveva pensato – “questo gioco mi piace.
Vuoi vedere che anche noi donne possiamo scopare solo
per il gusto del piacere fine a se stesso?” A quel punto i
pensieri erano venuti meno, soverchiati da un languore
che non riusciva a controllare, che si era impadronito di
lei e governava la sua iniziativa con una determinazione
che le era sconosciuta fino ad allora. Il cuore le martellava come un maglio, tanto che aveva sentito la necessità
di una pausa, aderendo il più possibile al ventre di Alessandro e che le era servita per modificare la sua posizio109
ne. Sempre dandogli le spalle aveva appoggiato le ginocchia sulla sabbia, per inchinarsi fino a sfiorare il suolo
con il volto, in modo che i movimenti del ventre fossero
liberi completamente. Vedendola in quella posizione,
nell’atto di mostrarsi sfacciatamente a lui, Alessandro le
aveva insinuato le mani tra le cosce per allargarle il sesso e scrutarla in quell’amplesso in maniera spudorata.
“Così, così!” Gli aveva gridato lei, impegnandosi in movenze che caricavano oltremodo la sua ostentazione ed il
ritmo del respiro, ma anziché rallentare e dare sollievo ai
suoi organi sollecitati allo spasimo, quasi in una sfida
con sé stessa, aveva dato più vigore agli affondi, rincorrendo una sensazione che conosceva bene e che sarebbe
sopraggiunta da un momento all’altro come una specie
di esplosione. Un orgasmo irruento e liberatorio che aveva inondato il ventre di lui e riecheggiato la spiaggia delle sue grida. Si era fermata, spinta dalla necessità di riprendere fiato ed era rimasta in quella posizione senza
staccarsi, perché non aveva intenzione di interrompere.
Quel piacere inconsueto anziché placarla l’aveva stimolata a perseverare, a spingersi nella ricerca di stimoli ancora più profondi, poiché in cuor suo li riteneva possibili; era solo questione di volere, di far partecipare al gioco
l’immaginazione e lei al riguardo sapeva di non avere rivali. Quindi si era prodigata ancora in movimenti tra i
più lascivi, ritenendo l’occasione quella giusta per attuare i suoi pensieri più spinti e proibiti. Alessandro era solo
un oggetto, il mezzo per raggiungere i suoi scopi, le
mani che la stimolavano in tal senso, strusciando su di
lei fameliche. Gli orgasmi si susseguivano, spingendola
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ad accelerare il ritmo, fino a quando Alessandro non aveva più resistito a un ruolo passivo e si era posizionato in
ginocchio dietro di lei, infliggendole dei colpi veramente
irruenti che in breve li aveva sfiniti; a quel punto si erano lasciati andare nuovamente sul bagnasciuga.
“Cazzo!” Aveva detto Francesca quando si erano ripresi
“Oggi mi sono scoperta come non credevo di essere,
come non credevo fosse possibile. Bisogna che questa rimanga un’esperienza fine a sé stessa, perché non so dove
potrei arrivare se mi lasciassi andare agli stimoli a cui mi
conduce la mia presa di coscienza.”
“Ora sono io a non capire” – aveva risposto Alessandro,
apostrofando le parole con una smorfia del volto.
“Voi due siete veramente strani, avete paura di voi stessi,
di mostrarvi per quello che siete in virtù di una morale
che a parole aborrite, ma che nella pratica sostenete e le
date vigore.”
Si erano intanto fatte le dodici e lentamente si erano avviati vesso le tende, raggiungendole quasi in contemporanea con Piero e Simona.
La visita in paese doveva essere stata proficua, perché
apparivano di ottimo umore, in vena di scherzare, con
continue battute maliziose e allusive. Con le altre provviste avevano portato una panada di anguille, della frutta
e anche una bottiglia di vermentino che aveva contribuito largamente a rallegrare il pranzo, che quel giorno si
era dilatato fino al tardo pomeriggio. L’avevano allestito
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come un banchetto, una specie di festa che li aveva resi
euforici, nell’ormai abituale intrattenimento pomeridiano
all’interno della tenda di Piero. Vestivano il loro consueto costume adamitico, stesi su un unico plaid, facendo a
gara a dire cose futili, con l’unico intento di prolungare
l’ottimo umore di quel pomeriggio. Solo Alessandro era
un tantino assente, perso nei suoi pensieri, nonostante si
sforzasse di tenere almeno un orecchio attento ai loro discorsi balordi. Aveva colto qualcosa nell’atteggiamento
della ragazza e consapevole di quanto fosse vulcanica e
priva di inibizioni, il suo cervello aveva preso a galoppare amaramente, ma non per gelosia, semmai per essere
rimasto escluso da eventuali sue iniziative. La sua immaginazione gli stava facendo rivivere in modo quasi reale,
il mosaico della mattinata di Piero e Simona, che lui stava montando con dovizia di particolari. Li vedeva, erano
davanti a lui e non potevano mentirgli, non potevano privarlo di quella gioia. Era ancora esaltato per le ore che
aveva vissuto in compagnia di Francesca, ma per quanto
avesse goduto, per quanto quell’esperienza fosse stata
travolgente ed essenziale per la sua crescita, se fosse stato possibile l’avrebbe sacrificata per assistere alle scene
che stava immaginando e che gli provocavano un’eccitazione incontenibile, da fargli persino male. No, non c’era
nient’altro che lo mandasse in delirio più di quell’idea,
che in quel momento era divenuta quasi una necessità;
vedere un altro uomo che la trombava di brutto. Stava ricostruendo minuto per minuto, parola per parola tutto il
loro itinerario, in una sorta di pathos che lo coinvolgeva
completamente.
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“Allora, come va Simona, sei ancora in collera per il mio
comportamento dell’altro giorno?” Lei non si sarebbe lasciata sfuggire di sicuro una simile occasione.
“Ma no, ho capito. Probabilmente per il modo in cui mi
sono posta avrei messo in imbarazzo chiunque, e poi tu
non volevi esporti di fronte a Francesca, però sono stata
sincera, non puoi immaginare quanto ho desiderato di
toccarti il cazzo.”
A quel punto Piero aveva rallentato quasi di sicuro per
capire dai suoi tratti cosa le passasse veramente per la testa.
“Ti è passata dunque, considerato il tempo del verbo che
hai adoperato.”
“Per niente” – gli avrebbe risposto lei – “vorrei succhiartelo fino a sfinirti.”
E l’azione, ne era certo, doveva essere stata un tutt’uno
col pensiero. Poi, la mattinata doveva essere stata tutto
un susseguirsi di fermate e di trombate selvagge, sfruttando ogni angolo che permetteva un minimo di riservatezza; per garantire quella di Piero, perché a lei non sarebbe importato di essere vista. Immaginava la fica di Simona arroventata dall’infinita serie di penetrazioni, e i
lavaggi con acqua fresca a cui era dovuta ricorrere per
lenirla almeno in parte.
“Cosa ti è successo? Oggi sei così assente…” L’aveva
destato Simona, e a quella sollecitazione era tornato tra
di loro.
“Scusatemi, pensieri.” Aveva risposto lui cercando di
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mascherare le sue emozioni.
Aveva ripreso consapevolezza, constatando che per
quanto fosse impudica la loro tenuta, e le movenze che
permettevano dettagli abbastanza definiti, non riuscivano
ad esaltarlo quanto i pensieri che aveva appena reciso.
Lo spazio sulla sinistra, a ridosso del telo, era occupato
da Francesca e Piero risiedeva al suo fianco, una coscia
stesa al suolo e l’altra che faceva leva sul piede, in modo
tale da permettergli di reggere il braccio sul ginocchio e
la nuca appoggiata al palmo della mano. Simona era seduta di fronte a lui. Al momento appariva pensierosa, lo
sguardo puntato verso i piedi e le mani appoggiate all’indietro a reggerne il peso. Alessandro aveva fatto giusto
in tempo a mettere a fuoco la scena, quindi, quasi a farsi
perdonare i minuti in cui si era estraniato, l’aveva attratta
a sé, per accarezzarle la schiena subito dopo. Lei l’aveva
abbracciato sul tronco, mettendosi quasi orizzontale ed
era stato inevitabile trovarsi la sua mano sul sedere,
pronta a carezze tra le più sconvenienti, in presenza di
estranei. Era tornato tra loro, tuttavia non riusciva ad abbandonare completamente i pensieri di prima, anzi, voleva fare il possibile per farli concretizzare nell’immediato.
“Guarda Piero.” Aveva detto rompendo il silenzio, e la
voce gli era uscita con tono disarmonico, provocato dall’incertezza sull’opportunità di ciò che si apprestava a
fare. “Guarda che bel bocconcino ti sei perso l’altro giorno.” E aveva caricato quelle parole in modo tale da rimarcare tutte le opportunità mancate, gettando un’esca
subdola, quasi a continuare la pesca che quel giorno si
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era rivelata davvero generosa e ricca di promesse future.
“Guarda che tette!” Aveva continuato, tenendole alla
base con ambedue le mani, esponendole in tutta l’esuberanza. “E la passerina? Tocca tocca, ha una fighetta da
sballo.” Gli amici avevano percepito a stento il significato delle sue parole, tanto erano state deformate in una
specie di guaito stridulo, d’altro canto ne era certo, senza
una spallata, il diaframma che li inibiva non sarebbe
crollato. Piero era anche lui euforico, sembrava aver lasciato in paese tutti i pregiudizi che aveva esposto il
giorno precedente.
“Hai ragione, sono stato uno stupido, ma se dovesse ricapitare l’occasione non me la lascio sfuggire di certo,
meglio togliersi un desiderio che lasciarlo macerare e
imputridire, col rischio di provocare vere e proprie infezioni.”
A quel punto Alessandro aveva deciso di spingersi fino
in fondo giocando la carta risolutiva e presa la mano di
Simona l’aveva guidata verso il membro di Piero, muovendola in su e in giù alcune volte.
“Guarda. Guarda come ti vuole.”
“Ti eccita! Ti eccita l’idea di vedermi trombare con un
altro.” Gli aveva detto lei mostrando un sorriso malizioso e allungando l’altra mano verso il membro di lui con
carezze tra le più impudiche.
“Minchia, non ti ho mai visto col cazzo così duro, a momenti esplode; comunque va bene, dal momento che io
non sono meno porca di te, ti accontento, sempre che
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Piero sia d’accordo.”
“Perché, ti sembra ci sia bisogno di una conferma?” Le
aveva chiesto Francesca presentandogli l’erezione di
Piero con la mano aperta.
Superato ogni dubbio, Simona si era voltata verso Piero
per accarezzargli il petto. La trama che stavano intessendo si evolveva sicuramente in modo più disinvolto di
come si era concretizzata il giorno precedente, forse anche a causa dell’euforia generata dal vino, o forse dalla
consapevolezza della piena approvazione da parte dei rispettivi partner. Dopo i primi approcci per saggiare la disponibilità reciproca, Simona aveva perso la titubanza
iniziale, lasciando che il suo istinto la guidasse nei movimenti e in quel momento era il pene di lui che calamitava la sua attenzione e ne muoveva il desiderio, per cui si
era concentrata su quell’attributo con carezze ancora timide e delicate ma tali da provocarne un’ulteriore impennata.
“Vado bene?” Gli aveva chiesto sollevando lo sguardo
verso i suoi occhi.
“Non potresti fare di meglio” – le aveva risposto Piero
accarezzandola a sua volta – “contrariamente a quello
che pensavo, la loro presenza mi provoca un’emozione
inconsueta che non avevo mai provato, una specie di
esaltazione che non saprei nemmeno descrivere.”
“Stiamo provando le stesse sensazioni.” Aveva confermato lei, incapace di celare il progressivo rossore del
volto.
“Certo l’imbarazzo rimane, ma sono sicuro che sapremmo superarlo egregiamente.”
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“Sono imbarazzata anch’io, però devo riconoscere che il
mio esibizionismo latente ne trae grande giovamento e
ciò si ripercuote sul desiderio, che se ne fotte di tutti i
pregiudizi.” Intanto Alessandro si era dato da fare, preparando di persona lo schienale su cui avrebbe dovuto
appoggiarsi Piero, in modo analogo a quello che aveva
allestito la ragazza il pomeriggio precedente. A quel punto le carezze di Simona, da timide si erano fatte più insinuanti, spingendosi a elargire baci sul membro di lui,
che in breve si erano evoluti in un vero e proprio risucchio, provocando i suoi gemiti e l’inarcamento all’indietro. Qualche minuto dopo, con una mossa rotatoria che
aveva coinvolto anche gli altri presenti nella tenda, a
causa dello spazio esiguo, Piero si era spostato nella direzione del sesso di lei e si erano trovati ambedue a darsi
piacere con la bocca, mentre il loro respiro era diventato
violento, accompagnato da languidi mugugni. Nella loro
dinamica cozzavano continuamente con gli altri componenti del gruppo che li accarezzavano a loro volta, quando erano nelle immediate vicinanze. Il corpo a corpo dei
due amanti era in continua evoluzione; Piero si era portato sopra la ragazza e l’aveva fatta sua senza difficoltà,
allagata com’era dai suoi baci. A un certo punto Simona
si era divincolata. “Ti vengo sopra io” – gli aveva detto
in uno stato confusionale – “ il pensiero che gli altri mi
osservino quando scopo mi manda in delirio.” Si era distesa su di lui e aveva preso a muovere il bacino esibendosi in maniera sfacciata, accelerando progressivamente
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fino a rendere i movimenti frenetici.
“A questo ritmo vengo subito.” Le aveva gridato lui,
quindi si era fermata.
“Prendimi da dietro.” Gli aveva risposto lei mettendosi
in posizione. Piero si era approntato ad esaudire le sue
richieste, quindi aveva ripreso l’amplesso con movimenti languidi, tali da permettergli di riassorbire la spinta all’eiaculazione che lei gli aveva provocato poco prima, in
modo da protrarlo il più a lungo possibile. “Più forte. Più
forte. Fottimi più forte!” Erano state le parole di Simona,
ormai fuori controllo.
“Ti faccio vedere io, cosa intende dire.” E senza esitare
oltre, Alessandro si era imposto con un gesto felino col
quale lo aveva sostituito, infliggendole colpi tra i più vigorosi: spla, spla, spla. L’esibizione, tuttavia, più che a
una dimostrazione di come doveva procedere Piero, era
determinata dal suo bisogno improrogabile di dare sollievo alla sua tremenda erezione. Tanto era entrato nella
parte che in breve era venuto spruzzando la schiena della
ragazza fino ai capelli.
“Così, così, però voglio Piero.” Aveva gridato Simona
con la voce che era diventata un rantolo. Piero aveva riconquistato il suo posto, cimentandosi in movimenti che
in breve si erano sincronizzati con quelli di lei, sempre
più forti, provocando in loro i gemiti antecedenti lo sfinimento. Stavano per cedere ma Simona voleva che durasse ancora, quindi si era staccata con uno scatto, interrompendo quel formicolio che era la premessa di uno
sconvolgimento irrefrenabile.
“Cambiamo posizione.” Aveva proposto con un tono
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quasi gutturale, causato dall’estremo stato di eccitazione
che ne aveva deformato i tratti, rendendoli simili a quelli
di un felino.
“Va bene.” Aveva bisbigliato Piero quasi inconsciamente, considerando che quella sosta gli permetteva rimandare ulteriormente la scarica che lo avrebbe reso inoperativo per qualche tempo.
“Adesso vai piano, altrimenti non resisto; prima l’ho fermato in extremis.”
“Va bene.” Le aveva risposto lui conciliante, mentre affondava dentro di lei per placcare gli stimoli irrefrenabili
che gli provenivano dal basso ventre.
“Quando vengo spostati di lato, per favore.” Aveva implorato lei, in un tono quasi incomprensibile. I propositi
della ragazza, di protrarre il rapporto più a lungo, avevano dovuto fare i conti con i loro attributi, già sollecitati
all’estremo, tanto che gli si era avvinghiata con braccia e
gambe sulla schiena e facendo leva su quell’appoggio
aveva dato impulso a movimenti violenti e incontrollati,
a tratti velocissimi, per fermarsi del tutto poi, aderendo
per quanto era possibile al bacino di lui. Con una simile
sequenza non era possibile resistere oltre, infatti avevano
rinunciato ambedue a protrarre ulteriormente l’amplesso,
muovendosi in modo davvero frenetico, mentre i loro
volti assumevano connotati indecifrabili: gioia, dolore,
rabbia.
“Non resisto più!” Erano state le ultime parole di Simona, che con un guizzo si era divincolata da quell’abbrac119
cio, mossa da scosse incontenibili; inarcata nell’atto di
lasciar fuoriuscire schizzi violenti dal sesso in tutte le direzioni, verso Alessandro e Francesca che in quel momento si trovavano proprio di fronte a lei. Mentre si
asciugava il volto col dorso della mano, Alessandro non
aveva potuto fare a meno di esprimere le sensazioni che
gli avevano provocato quell’amplesso.
“È stato uno spettacolo sconvolgente. Ho provato un’emozione che ancora non riesco a controllare, che ancora
non è appagata. Se troviamo il modo di rendere più partecipe e attivo tutto il gruppo, allora sarà il massimo.”
“Devo ammetterlo” Aveva aggiunto Francesca – “anche
se i fatti si sono svolti in modo completamente diverso
da quello che ci aveva prospettato Simona.”
“È vero; che ne è stato dell’amore prolungato? Io avevo
persino preparato lo schienale.”
“Sarà per un’altra volta.” Gli aveva risposto Simona
quando aveva riacquistato lucidità e ripreso il controllo
dei movimenti.
“Non credo che Piero abbia voglia di ricominciare.”
“E tu? Tu lo rifaresti?” Le aveva chiesto Francesca, nonostante intuisse la risposta con buona approssimazione.
“Se vi dicessi di no, racconterei una tremenda bugia, tanto vale che vi dica la verità. Sì, lo rifarei.”
“Non avevo dubbi, però fa sempre piacere sapere che si
può contare sulla tua sincerità, almeno se devo correre ai
ripari, posso intuire in anticipo quand’è il momento.”
“Lei è la voce dell’innocenza” – aveva aggiunto Alessandro – “e in conseguenza di ciò, ottiene sempre quello
che desidera.”
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“Sì, però per quell’esperienza dovrà aspettare un’occasione in cui saranno soli, adesso come hai detto giustamente tu, è meglio che il gioco ci coinvolga tutti, non
credi?”
“Non aspetto altro.” Le aveva risposto Simona abbracciandola.
Quella sera, tornati dalla spiaggia si erano prodigati per
allestire un fuoco. Alessandro e le ragazze avevano raccolto un bel fascio di rami secchi che poi avevano sistemato a capanna, ma erano tutti non fumatori e non possedevano accendini, quindi si erano lanciati in un’impresa titanica: accendere il fuoco sfregando i rami tra di
loro. Piero li aveva osservati in disparte, curioso di vedere fino a che punto sarebbero arrivati, ma l’attesa era stata breve, infatti dopo una decina di minuti si erano resi
conto che con quel sistema non sarebbero mai riusciti
nel loro intento.
“Mi sa che dovremmo trovare un altro modo, per cucinare le mormore.” Aveva sentenziato Simona, sfinita come
gli altri due di soffiare inutilmente.
“Io direi che una danza propiziatrice non sarebbe male.”
Aveva proposto Piero a quel punto. Le ragazze si erano
guardate in volto ed erano scoppiate a ridere, quindi l’avevano assecondato, danzando intorno alla pila di legna.
Piero a quel punto aveva acceso un fornello ed arrotolata
la pagina di una rivista le aveva dato fuoco all’apice,
quindi l’aveva gettata sotto la legna pronunciando queste
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parole: “Che fuoco sia!”
“Ecco la nostra divinità!” Avevano esclamato le ragazze
genuflettendosi ai suoi piedi, per coprirlo di sberleffi subito dopo.
La cena era servita da apoteosi per Alessandro, l’eroe del
giorno in conseguenza della magnifica impresa, per la
quale aveva incassato gli elogi incondizionati per l’ennesima volta, ma lui aveva avuto la sensazione che gli amici gli erano stati riconoscenti più per altre ragioni che per
quelle alimentari.
Avevano dialogato per una mezz’ora buona, poi con fare
rituale, si era caricato l’attrezzatura per la pesca in spalle
e si era diretto verso la spiaggia.
Aveva piantato la canna e se ne stava seduto su una balza
sabbiosa. Una decina di minuti dopo, anche Francesca si
era diretta in quella direzione. Quando l’aveva intravisto
in lontananza, le era apparso come un elfo a cui era stato
assegnato il compito di custodire quei luoghi. Lo aveva
sorpreso mentre si faceva scivolare la sabbia dalla mano
ad imbuto, quasi fosse una clessidra.
“Che fai? Calcoli il tempo con la sabbia?” Gli aveva
chiesto incuriosita.
“No, riflettevo sulle vicende che ci ha raccontato quel signore, ieri sera. Stavo immaginando di avere poteri magici. Senti la sabbia! È liscia e levigata, sembra seta.
Chissà come sarà triste quella che è stata asportata da
qui? Allora era un tutt’uno con l’ambiente circostante, ne
era parte integrante e ne è stata mozzata. Se avessi i poteri di cui ti parlavo, farei in modo di farla convergere
nuovamente nella sua spiaggia per riunirsi agli altri gra122
nelli. Immagina la sabbia che si stacca dagli intonaci,
che li disgrega, creando crepe nelle case, e poi, trascinata
dalla brezza ritrova la strada verso il mare.”
Francesca l’aveva guardato perplessa.
“Mi lasci senza parole, mai avrei immaginato che potessi
ospitare simili pensieri, ti credevo un materialista perfetto!”
Alessandro si era voltato nella direzione di lei e non aveva potuto trattenere un sorriso.
“Non è che non lo sia, è che non conosco altri modi per
porre rimedio al male che ci facciamo, pensando al tornaconto del momento e mai alle conseguenze delle nostre azioni.”
Erano rimasti in silenzio per alcuni minuti, attenti al rumore della risacca, poi Alessandro si era rivolto a Francesca: “Come mai non sei rimasta di là? Ero convinto
che stare in contemplazione ti annoiasse a morte.”
“No, non stasera, e poi credo sia più giusto dare anche a
loro, le stesse opportunità che ci siamo presi noi stamane, non credi?”
Alessandro aveva annuito e aveva ripreso ad occuparsi
delle lenze.
“Però non è giusto.” Aveva affermato Simona quando
Francesca era rientrata al campo.
“A cosa ti riferisci?” Le aveva chiesto lei mettendosi sulla difensiva, nel timore volesse accusarla di qualcosa che
era venuta a sapere di lei e Alessandro.
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“Guarda!” – le aveva detto levandosi in piedi – “io sono
praticamente implume e ciò rende evidenti le mie forme
più intime, mentre tu hai una bellissima pelliccetta che ti
mette al sicuro dagli sguardi.” Prima Piero e poi anche
Francesca erano scoppiati in una risata fragorosa che
aveva richiamato anche Alessandro, accorso per la curiosità di capire a cosa fosse dovuta tanta ilarità.
“Va bene” – le aveva risposto dopo aver ripreso fiato –
“domani mi raso, in questo modo saremo alla pari.”
“Sì, domani, ma se ci attardiamo ancora, lo cogliamo
oggi stesso.” Aveva detto Piero consultando l’orologio.
“Io sono tornata con l’intenzione di mettermi a letto.”
Gli aveva risposto Francesca indirizzandosi verso la tenda.
“Ma prima bisogna spegnere il fuoco.” Aveva aggiunto
Piero che si sentiva in dovere di garantire la sicurezza di
tutti.
“Posso provarci io!” Si era proposta Simona che al momento era acquattata nelle vicinanze e subito era passata
all’azione, portando le mani all’indietro ed inarcandosi,
per indirizzare la sua pioggia dorata sul fuoco.
“Simona sei una spudorata” – l’aveva rimbrottata il ragazzo – “ti ho supplicata una vita per convincerti a lasciarti osservare in certe situazioni e adesso ti esibisci
davanti a tutti senza ritegno.”
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Venerdì
La mattina dopo, quando Francesca era uscita dalla tenda per andare a lavarsi il volto all’acqua della tanica,
aveva intravisto Simona intenta a vestirsi.
“Come mai?” Le aveva chiesto.
“Ho rovistato in tutto l’accampamento e posso assicurarti che non abbiamo un solo paio di forbici.” Ed il tono
era stato tale da far ritenere improrogabile reperirle.
Francesca aveva espresso il suo scetticismo con una
smorfia del volto: “Embé?” – aveva controbattuto.
Simona l’aveva guardata come se un’anguilla le stesse
sfuggendo di mano: “Non vorrai ritrattare la promessa di
ieri notte, spero?”
Il gesto della mano di Francesca era stato quasi automatico, infatti se l’era portata alla tempia facendola oscillare alcune volte e poi aveva proseguito verso il suo obiettivo.
“Questa non ci sta con la testa.”
“Può darsi, ma forse so dove reperirle e dopo ti faccio la
festa.” Le aveva risposto ridendo.
A quelle parole, Francesca aveva capito qual era il cruccio dell’amica e si era associata alla sua risata.
“Se aspetti che faccia colazione ti accompagno.” Le aveva promesso, caricando quelle parole in modo tale da
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evidenziare l’eccezionalità di quell’impegno, in conseguenza della sua pigrizia proverbiale. Simona era incerta
sull’opportunità di farsi accompagnare, perché in definitiva le seccava svelare il genere di persona a cui aveva
intenzione di chiedere in prestito le forbici e il modo in
cui si erano conosciuti, ma a quel punto, Francesca si era
rivelata talmente determinata che non aveva nemmeno
tentato di dissuaderla, quindi si erano avviate sulla
spiaggia nella direzione dello stagno.
“Carino questo gonnellino” – aveva affermato Simona
tastandone il tessuto con le dita – “è così morbido che ti
si adagia sulle forme in maniera perfetta.”
“Sì, mi piace, ma anche i tuoi pantaloncini e soprattutto
la maglietta, non sono niente male in quanto a esca, ti
stanno talmente aderenti che non è certo difficile immaginare come sei fatta sotto.”
“Be, i pantaloncini sono più pratici perché non devi scorticarti il cervello per decidere cosa mettere sotto, anche
se le gonne sono senz’altro più sexy.”
A quel punto Francesca si era fermata ed il volto aveva
assunto un’espressione corrucciata.
“Disdetta, mi hai messo talmente in apprensione che ho
dimenticato di metterle, e adesso che faccio?”
“Forse è il caso che torni indietro, perché la persona alla
quale stiamo andando a chiedere le forbici, è già maniaca di per sé, figuriamoci se ti vede la pelliccetta … chi lo
ferma, quello lì?”
Non è detto che debba vedermi… Se rimango ritta, la
gonna mi copre e poi mi hai incuriosita; ma, tu com’è
che lo conosci?”
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“Se te lo raccontassi non mi crederesti” – le aveva risposto Simona ridendo – “oppure ti convinceresti definitivamente della mia pazzia e siccome ambedue le alternative
sono poco esaltanti, non te lo racconto affatto.”
“Oggi sei più misteriosa del solito, o forse solo più stravagante.” Aveva concluso Francesca mentre acceleravano il passo, dettato dall’andatura di Simona che l’aveva
sostenuto fino all’imboccatura della stradina verso cui
erano dirette.
“Che ne dici di questo posto? Le aveva chiesto quando
erano arrivate a destinazione. “Non lo trovi affascinante
anche tu?”
“Affascinante? Io direi che mi lascia senza fiato, mi
sembra di essermi catapultata indietro di mille anni; ma
come l’hai scoperto?
“Per puro caso, un giorno che ero particolarmente delusa
e incazzata. Guarda” – aveva continuato poi – “dobbiamo arrivare fino a quel curvone; quando siamo lì, se non
dovessimo incontrare quella persona, abbiamo due alternative: tornare indietro, o proseguire fino alla laguna.”
“Io voglio proseguire” le aveva risposto Francesca –
“questo posto mi piace troppo e voglio arrivare fino in
fondo.”
“A proposito del punto a cui arrivare, se il tizio dovesse
chiederci di trombare in cambio delle forbici, tu che
fai?”
“Ma, allora sei pazza veramente…” – le aveva risposto
Francesca battendosi una mano aperta sulla fronte – “ in
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primo luogo non so nemmeno se mi piace e poi, un minimo di rispetto, glielo dovremmo pure ai nostri fidanzati,
non ti pare?”
“Ma, non eri arrivata alla presa d’atto che puoi scopare
solo per il gusto di godere? Se non c’è passione, mica lo
tradisci il tuo fidanzato.”
“Alessandro ti ha detto tutto, a quanto pare.” Le aveva
risposto contrariata.
“Sì, te lo raccomando quello lì, prova a chiedergli qualcosa quando dorme e poi mi racconti.”
Francesca era scoppiata a ridere: “Allora è così che lo
tieni sotto controllo?”
Arrivate in prossimità dell’ovile, Simona si era affacciata nel tentativo di scorgere eventuali presenze, senza rilevarne alcuna.
“Mi sa che abbiamo fatto il viaggio a vuoto.” Aveva confidato all’amica. Si erano guardate attorno ancora per
qualche minuto e poi avevano fatto per proseguire, ma in
quel momento avevano sentito una voce provenire da un
viottolo.
“Mi stavi cercando?” Aveva chiesto lui, sbucando subito
dopo dai cespugli.
“Può darsi.” Erano state le uniche parole di Simona.
“Ciao” – aveva sortito lui con tono mieloso – “ti porto
un’ambasciata di Maria. Mi ha raccomandato di chiederti di andarla a trovare quando rientri, dice che le piacerebbe approfondire la conoscenza.”
“Ci penserò.” Aveva risposto lei, sempre in tono laconico, poi, quasi le fosse venuto in mente proprio in quel
momento, gli aveva chiesto se per caso avesse delle for128
bici.
“Qualcosa ce l’avrei, anche se non sono vere e proprie
forbici, però non credo che voi sareste in grado di adoperarle.”
“Ci hai preso per handicappate?” E le parole erano state
accompagnate da un gesto molto eloquente.
“È inutile che stiamo a tergiversare” – aveva tagliato
corto Antonio, “ve le mostro e poi mi direte. Venite, sul
retro del rudere ho due stanzette ancora in buone condizioni; niente di particolare, una cucina e una camera per
riposarmi quando sono in zona.” Ciò detto le aveva precedute nella direzione dovuta e poco dopo erano di fronte a una costruzione riattata alla meglio e dipinta di bianco.
“Di solito la casa è chiusa, ma ieri è venuto a trovarmi
mio cugino e si è stabilito qui per qualche giorno, però
adesso dev’essere in giro.” Ciò detto aveva spinto decisamente la porta. Subito dopo si erano trovate nel primo
ambiente, arredato con vecchi mobili da cucina e un divano accostato alla parete opposta.
“Accomodatevi che vi verso da bere, non voglio che si
dica in giro che il sottoscritto manca in ospitalità.” E
aveva aperto il frigorifero a sostegno delle sue affermazioni.
“Dai, cosa prendete?”
“Veramente non vorremmo disturbare, siamo venute per
le forbici.” Gli aveva detto Simona, sorpresa per quell’accoglienza.
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“Ogni cosa a suo tempo” – aveva risposto lui indicando
le possibilità di scelta offerte dal suo frigo – “comunque
se volete un consiglio, questa è una bevanda preparata da
me, a base leggermente alcolica ma molto rinfrescante,
sarebbe un peccato non provarla.
“Vada per questa bevanda.” Aveva detto Francesca con
l’intenzione di non tirarla troppo per le lunghe e accomodandosi sul divano subito dopo.
Antonio ne aveva versato tre bicchieri, due dei quali li
aveva offerti alle ospiti.
“Minchia, questo è forte! Aveva esclamato Simona.
“Macché, è solo il primo impatto, poi scende che è una
meraviglia.” Ed aveva impresso il tono giusto alle parole, in modo da sdrammatizzare quelle di lei.
“E per quanto riguarda le forbici? Gli aveva chiesto
Francesca nel frattempo che sorseggiava la bibita.
“Ah, ecco, sono queste, ma non credo che voi sappiate
adoperarle.” Aveva mormorato lui staccando un esemplare di cesoie dalla parete dov’erano appese; di quelle
che i pastori adoperano per la tosatura delle pecore.
Le ragazze avevano fatto un gesto di delusione, al quale
era seguito solo un: “E cos’è quella roba?”
“Cosa vi avevo detto? Almeno aveste portato con voi
l’oggetto da tagliare, io con queste sono un maestro.”
Simona non aveva potuto fare a meno di ridere, seguita
subito dopo da Francesca che istantaneamente si era portata una mano alla gonna, ricordando che nella posizione
in cui si trovava al momento, il suo interlocutore non
aveva dovuto impegnare molta della sua fantasia per indovinare com’era fatta sotto.
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“Vediamo se indovini?” Gli aveva chiesto Simona, con
un sorriso da carognetta stampato sul volto che le aveva
fatto guadagnare immediatamente una manata sulla coscia da Francesca.
“Più che indovinare ci spero, e ne sarei ben lieto.” Aveva
risposto lui indirizzando lo sguardo verso l’inguine di
Francesca, che aveva stretto le cosce e posato ambedue
le mani nella zona incriminata per proteggerla dallo
sguardo indagatore.
“Anche lei non vede l’ora.” Aveva insinuato Simona divertita, provocando la reazione immediata dell’amica.
“Ma allora sei proprio una carogna! Ma, ti sembrano
cose da dire?”
“Dai, l’hai promesso ieri sera, non puoi tirarti indietro a
questo punto, altrimenti sei una spergiura e considerate
le condizioni ambientali, direi proprio che non hai alternative.”
“Ma io non ci penso nemmeno … mica sono pazza!”
Espresso il concetto, Francesca aveva sorbito la bevanda
di colpo, ricevendone subito una vampata di calore che
le aveva tolto il respiro.
“Accidenti, questo è fuoco! Che ci hai messo dentro?”
“Non preoccuparti” – aveva risposto lui ridendo – “è
solo un potentissimo afrodisiaco.” Subito dopo però,
aveva impersonato un’aria rassicurante.
“Senti, ho visto come sei fatta dal momento stesso in cui
ti sei accomodata sul divano, a questo punto si tratta solo
di un’operazione meccanica che ti consentirebbe di man131
tenere la parola data. Decidi tu, se non ti va' riappendo le
cesoie.”
Francesca era diventata incandescente. Aveva guardato
in volto Simona con un’aria di rimprovero e poi Antonio,
e dopo aver deglutito si era espressa: “E va bene, facciamo questo maledetto taglio, almeno la finiamo una volta
per tutte.”
“Era ora!” Aveva esclamato Simona divertita, ma contorcendosi subito dopo in conseguenza del pizzico che le
aveva inferto Francesca.
Antonio intanto si era avvicinato alla porta che dava nella camera attigua e l’aveva aperta, lasciando intravvedere un letto matrimoniale ed altri mobili di recupero che
l’arredavano.
“Ti ho detto che so adoperare molto bene queste cesoie,
però le precauzioni non sono mai troppe e non vorrei infliggerti nemmeno il graffio più insignificante, quindi
dovrai stare perfettamente immobile. Dai, sdraiati nel
letto che è questione di un minuto.”
Francesca aveva fatto per alzarsi e in quel momento si
era resa conto di avere le gambe molli e la stabilità motoria non andava certo meglio, comunque si era sforzata
di raggiungere il letto, ma nel breve tragitto era barcollata più volte.
“Quella bevanda mi ha stordita, sarà che non sono abituata a bere alcolici, ma sono tutta un fuoco.”
“Vedrai che passa subito.” L’aveva rassicurata Antonio
con voce suadente – “e poi l’effetto sarà semplicemente
piacevole.”
Intanto Francesca si era lasciata andare sul letto con le
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gambe penzoloni, raggiunta quasi subito da Simona che
si era seduta sul bordo alla sua destra. Antonio aveva terminato la sua bibita con calma, quindi le aveva raggiunte, inginocchiandosi in prossimità delle gambe di Francesca.
“Questa la togliamo.” Aveva mormorato sbottonando la
gonna di Francesca e sfilandola subito dopo, trovandosi
in mano una striscia di tessuto che non era più larga di
una sciarpa.
“Non che potesse nascondere molto nemmeno stando in
piedi ma, è sempre meglio eccedere in prudenza.”
Lei aveva sollevato appena la testa e spalancato gli occhi. “Cavolo, siamo già a questo punto?” Aveva affermato con voce appena percettibile.
Antonio aveva preso le cesoie in mano e ne aveva tastato
il filo della lama, poi le aveva posate sotto il letto, infine
aveva preso Francesca per le cosce portandosele sulle
spalle e si era lanciato in una sequela di baci e di slinguate sul sesso di lei.
“No, non voglio!” Aveva gridato lei cercando di resistere, ma lui non aveva demorso, anzi, si era fatto più deciso di prima, provocando i contorcimenti di Francesca,
che a quel punto aveva preso a mugolare.
“Sarebbe un peccato rasare questa bella topina.” Aveva
bofonchiato lui in un momento che si era fermato a riprendere fiato. Simona era praticamente a contatto con
loro, con gli occhi puntati sulla scena, partecipava emotivamente a quell’incontro, quasi ne fosse la regista. Dopo
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alcuni minuti di quelle effusioni, infatti, aveva incitato
Antonio: “Dai, adesso trombala!”
“No, non voglio!” Aveva gridato Francesca strisciando
all’indietro.
“Ma quale non voglio, smettila di fare la ritrosa.” Le
aveva detto Simona portandosi nelle sue immediate vicinanze, poi rivolgendosi ad Antonio gli aveva intimato:
“Dai, mettiglielo in culo!” E si era prodigata per aiutarlo
a vincere la resistenza dell’amica.
L’amplesso era iniziato da pochi minuti sotto lo sguardo
attento di Simona, quando qualcuno si era affacciato alla
porta.
“Qui si festeggia alla grande.” Aveva detto un signore
sulla cinquantina, dal portamento e l’abbigliamento ben
poco agreste, appoggiato con la mano allo stipite della
porta. Antonio si era voltato, staccandosi subito dopo.
“Ciao Mario! Mi trovi in condizioni poco presentabili,
ma lo sai come sono fatto … ogni lasciata è persa e queste puttanelle, la volevano proprio una passatina.”
“Non preoccuparti, siamo uomini; tolgo il disturbo e ripasso più tardi.”
“Che dici?” Gli aveva risposto lui alzandosi dal letto per
andargli incontro. “Non farei un simile affronto nemmeno al mio cane. Spogliati che ci divertiamo e non badare
a ciò che dicono, è tutta scena per darsi un contegno, ma
se le lasciamo andare all’asciutto, poi rimpiangono l’avventura mancata per anni.”
“Sì.” – aveva confermato Simona con la voce resa rocca
dall’emozione – “trombatela in due che me lo voglio
proprio godere, questo spettacolo.”
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“Ma sei impazzita?” Le aveva gridato Francesca stringendole un braccio.
“Quanto la fai lunga” – le aveva risposto lei spazientita –
“e la tua collezione di scelte controcorrente, dov’è andata a finire?”
Intanto, Antonio le aveva raggiunte nuovamente nel letto
ed aveva invitato Francesca ad andargli sopra. Simona
aveva notato che Mario si stava spalmando il membro
con un panetto di burro; lo faceva in maniera meticolosa,
cercando di farne aderire il più possibile, quindi si era
portato in prossimità del letto per posizionarsi a ridosso
della coppia che al momento si muoveva languidamente.
A quel contatto Francesca si era fermata per ricevere
l’altro inquilino, cercando di contenere i brividi che le
provocavano quell’idea, ma subito dopo aveva gridato:
“Stai sbagliando, mi stai mettendo anche quello nella
passera; mi fa male!”
“È solo il primo impatto” – aveva risposto lui – “l’ho
sempre desiderato, non dirmi di no.”
“Ahh, mi state squartando, toglilo immediatamente.”
Aveva gridato ancora lei.
“Ma cosa vi viene in mente? Pensate che possa dilatarsi
all’infinito?” Aveva continuato dopo che il dolore si era
attenuato.“Non sono mica una vacca!” E si era lasciata
andare nuovamente a movimenti lenti e cadenzati tra i
due maschi, aspettando che l’altro le entrasse sul retro,
mentre il formicolio alla vagina non cessava. In quel momento le era venuto un sospetto, si era portata una mano
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in quel punto e poi aveva gridato ancora: “Ma, ci siete
ancora tutt’eddue. Bastardi, me la state slabbrando.”
Nonostante le esternazioni, però, non aveva cessato di
dimenarsi tra i due e in breve aveva accelerato i movimenti e i mugolii, che rilasciava simili a vere e proprie
urla.
“Datevi da fare brutti bastardi che sto cominciando a
prenderci gusto.” E si erano impegnati in movimenti che
erano diventati immediatamente convulsi. Simona aveva
gli occhi puntati sui dettagli della scena, si era denudata
ed aveva preso a masturbarsi in maniera furiosa.
“Non ci crederai, però mi brucia ancora.” Aveva confessato Francesca nella via del ritorno, quasi a cercare la
complicità dell’amica, alla quale non era sfuggita la sua
espressione compiaciuta e maliziosa.
“E ci credo; non volevi, non volevi e poi non ti bastava
più, e meno male che non c’era più burro … per colpa
tua, io sono rimasta all’asciutto.”
Erano scoppiate a ridere, poi Simona, quasi le fosse balenata un’idea improvvisa e rivelatrice, le aveva chiesto:
“Ma, a proposito della passione, sei certa che potresti
escluderla completamente da questa scopata?”
Francesca l’aveva guardata perplessa, aveva strabuzzato
gli occhi e poi le aveva risposto: “Di quale scopata stai
parlando?”
Arrivate in spiaggia, avevano trovato Piero e Alessandro
che stavano scuotendo gli asciugamano prima di rientrare.
“Benarrivate” – gli avevano detto – “noi rientriamo a
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preparare il pranzo, se volete vi lasciamo gli asciugamano, ma non tardate.”
“Grazie.” Avevano risposto all’unisono e si erano lanciate in acqua.
Quel pomeriggio spirava una brezza veramente piacevole e i quattro amici avevano deciso di trascorrerlo in
spiaggia, equipaggiati di bibite, frutta e un’ombrellone.
“Io mangio una pesca” – aveva esordito a un certo punto
Francesca – “volete favorire?” Aveva aggiunto nell’atto
di aprire la borsa frigo.
“Ma, e queste forbici, cosa ci fanno qui?” Aveva chiesto
incredula, rivolgendosi a Piero.
“Alessandro mi ha detto che le stavate cercando, e la regola più elementare, quando non si trova un oggetto, è di
chiedere, o no?
A quelle parole, Simona era scoppiata in una risata inarrestabile che presto aveva contagiato anche gli altri, tanto che aveva dovuto levarsi in piedi e piegarsi su se stessa, per iniziare poi una specie di danza tribale, nutrita da
parole il cui senso non era comprensibile a tutti.
“Ti faccio la festa. Ti faccio la festa.” Poi si era chinata
in direzione dell’amica e le aveva sussurrato: “Ogni promessa è debito.”
“E vada per questa depilazione.” Le aveva risposto accondiscendente.
“Tu vai a recuperare un rasoio” aveva ordinato Simona
al ragazzo – “che le cose fatte a metà non mi piacciono.
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Nel frattempo le accorcio lo scalpo, gliela voglio fare liscia come quella di una neonata.”
Il gioco, comunque, non aveva coinvolto solo Simona,
erano tutti puntati su quell’operazione e offrivano appoggio morale.
Quando le era parso di aver raggiunto il massimo della
perfezione, Simona aveva raccolto una manciata d’acqua
e l’aveva gettata sul pube di Francesca, divenuto ormai
implume, poi si era inginocchiata davanti a lei, chinandosi fin quasi a lambirla.
“Vediamo se ci sono imperfezioni.” Aveva proferito soffermandosi in quella posizione, nella quale offriva spudoratamente il sesso agli sguardi dei due maschi. Qualche secondo dopo, il tempo che le era stato necessario
per vincere definitivamente ogni riluttanza, si era tuffata
sguainando la lingua con rapide pennellate nel sesso dell’amica, che inizialmente aveva tentato di resistere ma,
subito dopo, considerando che quelli sarebbero stati
giorni di sesso sfrenato, l’aveva lasciata fare.
“Guarda guarda, sei ambidestra.” Le aveva gridato Alessandro che al momento le stava alle spalle, approfittando
della posizione favorevole per farla sua con un colpo
secco e dando il via a una sequenza sempre più forte e
veloce.
“Dai Piero, dai che la prendiamo a turno, oggi mi voglio
proprio divertire. Dai che le facciamo passare i bollenti
spiriti.”
Lui non si era fatto pregare, tanto che dopo una serie di
scambi, Francesca aveva cercato una risposta alla sua
curiosità: “Dimmi un po’, sei capace di riconoscere chi ti
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sta prendendo?”
Simona aveva sollevato la testa e tra i mugugni le aveva
risposto: “Non è difficile, quel bastardo di Alessandro mi
prende come una vera e propria puttana, se potesse, oltre
al cazzo infilerebbe pure le mani. Mi fruga e si strofina
come un animale, invece Piero è più dolce, è sempre attento a non causare il minimo dolore.”
“Può darsi, fatto sta che ultimamente quei due ci hanno
preso gusto e trombano solo te, ci sarà pure un motivo.”
“È semplice, io rappresento l’amante, la troia che si deve
godere al momento opportuno, mentre tu sei l’emblema
della moglie su cui riporre la fiducia e costruire la famiglia. Sinceramente non t’invidio, da questo punto di vista.”
*
*
*
“Basta! Ho riso troppo e sono esausta” – aveva gridato a
un certo punto Simona nel tardo pomeriggio – ho sabbia
dappertutto: dentro le orecchie, nelle narici, sotto le unghie, per non parlare dei capelli, mi sembra di esserne
piena persino lì.”
“Non sei la sola” – le aveva risposto Francesca – “però
ci siamo divertite un sacco a scivolare dalle dune, e a
quei mascalzoni li abbiamo praticamente annientati.
Guarda come sono stravolti, non pensavo che noi donne
fossimo più resistenti di loro.”
“Sicuro, vorrei vedere te, se fossi stata tutto il pomerig139
gio a trombare e venire quattro o cinque volte, se saresti
in condizioni migliori.”
Francesca le aveva cinto un braccio sulle spalle e si era
lasciata andare in una risata che le proveniva dal profondo.
“Sì, li hai stremati, però, tu a differenza di loro sei ancora vispa e vegeta.”
“Io in condizioni di promiscuità divento insaziabile, figurati che quando avevo quindici anni, in occasione di
una gita scolastica verso la Francia … quasi mi vergogno
a raccontarlo.” Le aveva confidato a quel punto facendo
una pausa.
“Cosa potrai aver fatto più di scopare.” Le aveva detto
Francesca ridendo.
“Va bene, tanto l’opinione che ti sei fatta di me, non potrà peggiorare ulteriormente.
In un primo momento, in conseguenza delle remore di
mio padre, non mi ero iscritta, per cui io ed una mia amica eravamo le uniche che non avrebbero dovuto partecipare alla gita. Ricordo che avevo preso la cosa come una
tragedia, tanto che facevo di tutto per rendere la vita impossibile in famiglia. Qualche giorno prima della partenza, in conseguenza della mediazione tra mia madre ed il
padre della mia amica, perché in quella circostanza era la
madre a porre il diniego, si decise che anche noi avremmo fatto parte del gruppo. Questa premessa per spiegare
la ragione per cui alla fine ci eravamo trovate in un albergo diverso da quello del resto della classe, infatti, arrivati a destinazione, i responsabili del gruppo si erano
resi conto di non aver pernottato per me e per la mia
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amica. Come se non bastasse, l’albergo era al completo e
si erano dovuti prodigare per trovarne uno che ospitasse
anche noi, ad alcune centinai di metri dal primo. Ricordo
che l’avevamo presa molto male, perché ritenevamo che
nell’ambito del gruppo scolastico avremmo potuto divertirci molto di più e le nostre rimostranze erano state tali
che le insegnati, fatte le dovute raccomandazioni, ci avevano lasciate con una sorta di compassione. Ci eravamo
attardate nella sala a guardare la TV, annoiate a morte ed
eravamo in procinto di rientrare in camera per dormire,
quand’erano comparsi una dozzina di ragazzi, tutti più
grandi di noi, anche loro in trasferta, ma per un torneo di
calcetto. Avevamo fatto subito amicizia, tanto che la mia
amica aveva individuato uno di loro che le piaceva molto e si era fermata a tubare con lui anche quando io e gli
altri ragazzi ci eravamo diretti verso le rispettive camere,
che erano poi risultate sullo stesso piano. Ricordo che indossavo un gonnellino azzurro a coste e una camicetta
color perla in raso. Ero una specie di bomboniera, ma allora l’abbigliamento lo decideva più che altro mia madre, condizionato tuttavia dai capricci di cui doveva tenere conto quando gli acquisti non mi andavano a genio.
Mi ero avviata verso la mia camera, dialogando con i ragazzi che erano diretti verso la loro e quando ero sul
punto di accomiatarmi, uno di loro mi aveva infilato una
mano sotto la gonna per palparmi. Mi ero voltata di scatto per mollargli un sonoro ceffone, che avevo frenato
solo quando la mano era risultata aderente al volto di lui,
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che già si accingeva a incassarlo. In quel momento avevo avuto un ripensamento e anziché colpirlo, avevo deviato la mano verso la cerniera dei suoi pantaloni e gli
avevo afferrato l’uccello. Non riprovarci, gli avevo detto, altrimenti te lo succhio qui davanti a tutti. Giuro che
in quel momento ero convinta che una simile ipotesi l’avrebbe reso paonazzo dalla vergogna ed infatti, lui era
arretrato di qualche passo, ma tutti gli altri si erano fatti
avanti. Sentivo le loro mani dappertutto, fameliche, mi
frugavano senza ritegno. La maggior parte delle mie
coetanee, in una simile situazione sarebbero scappate urlando disperatamente, almeno credo; a me invece, quella
situazione aveva fatto ribollire il sangue ed anziché respingerli, avevo allungato le mani a mia volta verso i
loro attributi, indugiando compiaciuta. Li avevo seguiti
in una camera allestita per ospitarli tutti e in breve eravamo nudi; una situazione che aveva esaltato ulteriormente
la mia libidine, mossa principalmente dal mio esibizionismo innato e dai palpeggiamenti che non erano cessati
un istante, mentre io mi destreggiavo come un’ingorda,
con le mani e con la bocca. Durante la notte non avevamo fatto altro che trombare in tutte le posizioni. Li desideravo tutti e volevo esaudire tutte le loro richieste. I
loro occhi erano puntati su di me e mi divoravano nelle
posizioni che assumevo, le più provocatorie di cui ero
capace; mentre le loro parole, sconce e ingiuriose, anziché ferirmi accentuavano la mia carica. Ero piena di cazzi: nella fica, nel culo, in bocca, nelle mani, ma sempre
attiva, sempre promotrice dell’iniziativa. Pensa che
quando sono entrata in doccia, ero talmente incrostata di
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sperma in tutte le parti del corpo che quasi non riuscivo
a levarmelo di dosso. Il giorno dopo, la mia amica mi
aveva confidato esultante che col tipo si erano perfino
baciati ed io avevo lasciato che si gongolasse a quel pensiero, rammaricandomi del fatto che in conseguenza di
ciò, non avevo potuto provare anche lui.”
Francesca l’aveva ascoltata sconcertata e scettica allo
stesso tempo, tanto che le aveva posto una domanda che
a suo avviso l’avrebbe messa in condizione di smentirsi.
“Quindi non ti ha dissuaso nemmeno l’idea che potessero ingravidarti?”
“No, non sarebbe stato possibile, ero con Alessandro già
da un anno e mia madre, conoscendo il mio temperamento, mi aveva fatto prescrivere subito la pillola.
“Quindi lui sa di quest’esperienza?” Le aveva chiesto
Francesca in tono provocatorio.
“Mica parlo nel sonno, io. Lui sa che non sono fedele e
questo basta. Le mie avventure sono cose mie e non
devo spiegazioni a nessuno.” Simona aveva scandito le
parole e poi aveva proseguito: “Ci laviamo la bocca con
i buoni propositi, ma se li attuiamo roviniamo tutto. Io
sono sufficientemente egoista per volere ambedue le situazioni: la libertà ed il fidanzato e su questo siamo addivenuti a un accordo oltre il quale non c’è più niente da
aggiungere.
Del resto non so quale sarà la tua condotta con Piero, riguardo all’avventura di oggi, hai intenzione di raccontargli tutto?” Francesca era rimasta in silenzio, con lo
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sguardo perso verso l’orizzonte. Si sentiva in colpa e le
ragioni erano molteplici: in primo luogo perché si era
sentita di giudicare l’amica per le sue azioni e poi, perché non poteva fare altro che darle ragione. Erano tutti
bei discorsi: la correttezza, la fiducia; tutte cose che pretendiamo dagli altri, ma quando siamo noi a mancare, allora vediamo i fatti da ottiche diverse e l’indulgenza ci fa
perdonare le azioni più riprovevoli.
Quando mai gli avrebbe potuto raccontare quello che era
successo? Non l’avrebbe riconosciuta di sicuro. Gli sarebbe apparsa come un’estranea, non come un individuo
con sfaccettature diverse, e si sarebbero lasciati con
odio, o perlomeno con risentimento.
“Hai ragione, o si basano i rapporti come hai fatto tu con
Alessandro, oppure bisogna votarsi alla santità, perché la
coerenza in un rapporto di coppia convenzionale, sarebbe impossibile altrimenti.”
Simona l’aveva abbracciata e le aveva elargito una serie
di bacetti sulle guance.
“Dai che ci facciamo un bel bagno, in questo modo ci laviamo di tutto, compresi i pensieri.”
“Sì, dai, così dopo possiamo dedicarci alla cena con calma. Dobbiamo farci onore, non devono rimpiangere le
mormore che ha pescato Ale, altrimenti si convincono
che noi siamo solo un peso.”
La proposta di Francesca era stata subito fatta sua anche
da Simona, per cui si erano buttate in acqua continuando
a giocare con allegria per una mezzora buona, dopodiché
erano rientrate al loro accampamento.
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*
*
*
“Io ho freddo e sonno e mene vado a dormire” – aveva
bofonchiato ad un tratto Francesca posando le carte – “e
poi domani mattina voglio svegliarmi presto, voglio godermi l’aurora.”
Così dicendo si era alzata dal suo posto strategico di
fronte ad Alessandro, infatti, per evitare le solite discussioni, quando giocavano a carte scambiavano le coppie.
“Buonanotte a tutti, e tu amore non tardare, altrimenti mi
addormento.”
Anche Alessandro e Simona, a quel punto si erano diretti
verso la loro tenda. Erano stanchissimi, tanto che persino
quel minimo tragitto gli era apparso un’impresa. Spenta
la lampada a gas, Piero aveva recuperato la torcia elettrica e si era introdotto nella tenda, dove nel frattempo,
Francesca si era quasi addormentata, ma in quello stato,
anche se confusamente era riuscita a proferire: “Dai,
amore, abbracciami, così mi concili sogni belli.”
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Sabato
Al momento del risveglio Piero si era reso conto di essere solo e ricordando il proposito che Francesca aveva
espresso la sera precedente, si era subito preparato per
raggiungerla.
Il sole non era ancora sorto, ma c’era quel bagliore che
ne precede la nascita di pochi minuti. Aveva lanciato
un’occhiata verso la tenda dei vicini e aveva dovuto
prendere atto che dormivano ancora. Attraverso il telo
poteva indovinare il corpo del cane, che a causa dello
spazio esiguo si era ricavato una nicchia spingendolo
fuori dal piano di appoggio. Non aveva potuto fare a
meno di sorridere, pensando che nonostante gli sforzi
per comportarsi da duri, alla fine erano persino romantici
e disposti a sacrificare le comodità della famiglia, pur di
stare insieme e a contatto con la natura. Scosso il capo a
sottolineare il concetto, si era avviato verso la spiaggia,
alla ricerca di Francesca.
Nel frattempo, come in un rito che si ripete dall’era dei
tempi, il sole aveva fatto la sua comparsa trionfale. Era
un’enorme palla infuocata che rifletteva la sua lunga scia
in mare, tingendolo di rosso vivo. Aveva camminato a
passi lesti verso lo stagno e poi risalito la duna per allungare lo sguardo, col quale aveva colto Francesca sul bagnasciuga, a qualche centinaio di metri. Il sole a quel
punto era splendente e la irradiava alle spalle, facendone
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vibrare i contorni. L’aveva guardata a lungo, prima di essere scorto, spiandola nella sua aria trasognata e quando
finalmente l’aveva intravisto, allora aveva preso a chiamarlo e a fare gesti con le mani, a sostegno delle grida,
provocando la fuga dei gabbiani che beccavano nelle immediate vicinanze
“Dai, vieni, pigrone, vieni che ti faccio vedere una
cosa.”
Si era avviato verso di lei più rapidamente che aveva potuto ma, arrivato in prossimità della laguna che divide in
due la striscia di sabbia bianchissima, si era incantato a
guardare alcuni fenicotteri rosa che pascolavano tranquilli; erano enormi. Non aveva saputo resistere all’impulso di avvicinarsi; avrebbe voluto toccarli, ma si erano
allontanati immediatamente verso l’interno dello stagno.
A quel punto aveva ripreso il cammino verso la sua meta
e in pochi minuti l’aveva raggiunta.
“Hai visto com’erano belli?” Le aveva chiesto quando
l’aveva raggiunta.
“Erano loro, che volevi mostrarmi.”
“Oh sì, erano bellissimi, ma io volevo farti vedere un’altra cosa…” Così dicendo gli aveva preso la mano e l’aveva guidata verso il suo sesso.
“Ti piace?”
“Accidenti, vuoi vedere che mi diventi una porca pure
tu” – le aveva detto ridendo – “e come se non bastasse,
fai leva sulle mie debolezze per concupirmi.”
Senza prenderlo affatto sul serio, gli aveva afferrato la
mano per guidarlo in un punto che aveva scelto.
“Dai, vieni tontolone, è un’ora che ti aspetto, vieni che
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facciamo l’amore sul bagnasciuga.”
“Ma, tu sei matta. Vuoi farmi morire di polmonite?
Guarda, lì c’è un cantuccio tra due balze ed è irradiato
dal sole, quello sarà il nostro nido.”
“Povero, quanto è gracilino lui” – l’aveva canzonato,
strusciandogli il corpo al contempo – “non sei all’altezza
di possedere una fuoriserie, però l’hai voluta, quindi devi
trattarla bene, altrimenti ti toccherà accontentarti di
un’utilitaria.”
“La fuoriserie ha le ruote sgonfie” L’aveva stuzzicata ridendo.
“Sgonfie? Qui di sgonfio non c’è niente, tocca, tocca.” E
intanto persistevano nel corpo a corpo, provocandosi a
vicenda, fino a ché non avevano raggiunto il punto indicato da Piero, sempre con Francesca che comandava l’iniziativa.
“Aiuto, aiuto, mi stanno violentando!” Aveva gridato lui
fingendo di non gradire le sue attenzioni, che nel frattempo si erano fatte più spinte e decise.
“Ti stanno violentando?” Gli aveva fatto eco lei. “Eppure non si direbbe, a giudicare dal coso che ti ritrovi.”
A quel punto anche Piero si era lasciato andare e l’aveva
abbracciata appassionatamente.
“Ciao amore mio” – le aveva detto come se si incontrassero solo in quel momento – “lo sai che sei un bocconcino davvero stuzzicante? Io ti mangerei.” E aveva emesso
un ruggito da felino: graummm, simulando di morderle
il collo.
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Così, giocando, si erano lasciati prendere dalla passione
che li aveva subito sopraffatti, guidando i loro movimenti fino a divenire un abbraccio totale, fino a farli perdere
coscienza. Erano avvinghiati l’un l’altro, ignari del corpo che in quel momento era solo uno strumento per darsi
amore, per regalarsi l’anima. Non avevano più la cognizione del tempo, non percepivano ciò che li circondava,
né le forme o i contorni, in un delirio completo.
Quando si erano ripresi, avevano riflettuto proprio su
quest’aspetto della loro relazione, sulla differenza tra libidine e sentimento: lo strumento per solleticare l’ego il
primo, quello per donarsi l’altro.
“Bene, forse è il caso di rientrare” – gli aveva detto lei a
quel punto – “lo sai che ho un appetito vorace? E se non
lo soddisfo al più presto, finisco per divorare te,
uaammm.
*
*
*
Al momento di fare colazione si erano riuniti tutti intorno al tavolo.
“Abbiamo finito nuovamente le scorte” – li aveva informati Piero – “questi due giorni dovremmo mangiare pasta all’olio e aglio.”
Nessuno aveva osato aggiungere altro, era calato come
un gelo e avevano percepito che era finito il tempo dei
giochi, che da quel momento in poi, ognuno avrebbe ripreso il suo ruolo.
Subito dopo il pasto si erano ritirati apaticamente verso
le attività che si erano scelti la sera precedente, ma senza
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il minimo entusiasmo; meccanicamente, irriconoscibili,
rispetto ai giorni precedenti.
In mattinata, una coppia di tedeschi aveva fissato la tenda nelle vicinanze, lanciando al contempo segnali amichevoli che erano la premessa per instaurare rapporti più
cordiali, ma loro, pur essendo consapevoli che in altre
occasioni li avrebbero accolti con entusiasmo, avevano
risposto con sufficienza, degnandoli del minimo della
cortesia dovuta agli sconosciuti.
L’indice dell’umore non era in discesa, ma in caduta libera. Nemmeno la proposta di Alessandro, con la quale
li aveva invitati a una specie di via crucis nei luoghi più
suggestivi, per i quali si erano entusiasmati durante quella vacanza, era riuscita a scuoterli più di tanto e vi avevano aderito come degli zombi. In quello stato si erano
trovati tra gli scogli, senza proferire parola, ognuno per
proprio conto, coltivando la malinconia che quei luoghi
esacerbava.
Erano state le grida di Simona, a scuoterli.
“Queste sono cozze!” Aveva esclamato, e a quel grido
erano accorsi tutti, recuperando improvvisamente le
energie.
“Brava Simona.” Avevano gridato gli altri dopo essersi
accertati che si trattava veramente di cozze.
“E ce ne sono parecchie, qui rischiamo di procurarci il
pranzo e la cena.” Aveva aggiunto Alessandro abbracciando la ragazza.
“Caspita, io non le avevo mai viste se non nel banco del
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pescivendolo” – aveva aggiunto ancora Francesca – “ma
come facciamo a staccarle, e soprattutto a portarle all’accampamento?”
“Bisogna aguzzare l’ingegno” – le aveva risposto Piero –
“ed approfittare delle circostanze, quelle che ci hanno
consigliato di vestirci per l’occasione, quindi adopereremo le nostre magliette come contenitori e qualche scaglia per staccarle dagli scogli.”
La mattinata era trascorsa senza che se ne rendessero
conto ed erano colmi di gioia, almeno quanto le loro magliette di cozze.
“Sì, oggi sarò il cuoco di questo fichissimo ristorante” –
aveva improvvisato Piero – “mi raccomando l’abbigliamento, che sia intonato a ciò che l’occasione prevede.”
“Io gradirei degli spaghetti alle cozze, ma con molto
aglio e prezzemolo.” Era stata l’ordinazione di Simona.
“Ed io una porzione abbondante di cozze alla marinara.”
Aveva aggiunto ancora Francesca.
“Dobbiamo procurarci dei limoni, perché io ho un palato
più raffinato e le gradisco all’ostrica.” Aveva concluso
Alessandro.
“Va bene, già che ci sei procurati anche un bicchierino di
brandy, che per le cozze alla marinara equivale alla ciliegina sulla torta…” – gli aveva risposto Piero – “e adesso
diamoci da fare che l’accampamento è lontano.”
Si erano incamminati, ma fatti pochi passi, Alessandro si
era rivolto a Simona: “Amore, dammi anche le tue, non
voglio che mi stramazzi al suolo per la fatica.” E lei non
aveva potuto fare a meno di schioccargli un bacio su una
guancia. A quel punto anche Piero si era sentito in dove152
re di seguire l’esempio di Alessandro, ma Francesca non
aveva voluto saperne, in virtù della coerenza col diritto
alla parità che sponsorizzava ad ogni occasione.
*
*
*
Piero e Francesca si erano conosciuti l’anno prima sulla
nave che fa la spola tra l’isola e il continente.
Lui rientrava dopo aver vissuto alcuni anni in una città
del nord, nella quale si era trasferito per ragioni di lavoro. Lei veniva a trovare i parenti dei genitori, che erano
di origine isolana. Aveva rimandato l’incombenza di
mese in mese, nonostante le insistenze del padre che l’aveva delegata ad espletare certe pratiche in suo nome, e
finalmente, a metà maggio si era decisa.
Sulla nave, trovandosi vicini di poltrona, avevano colto
l’occasione per intavolare discorso e lui le aveva parlato
con tanto entusiasmo della sua terra, che lei, alcuni giorni dopo, annoiandosi a casa degli anziani parenti, gli
aveva proposto di farle da cicerone.
Piero aveva accettato con entusiasmo e nel momento non
aveva fatto obiezioni alla condizione che lei gli aveva
imposto: che mai, avrebbe dovuto farle domande sulla
sua vita privata.
Se n’erano andati in giro per tutta l’estate e in breve tempo era nata una profonda amicizia.
Era stata un’estate memorabile, di entusiasmo, di emozioni, di incontri interessanti; in luoghi che non era pos153
sibile dimenticare e del resto non avrebbero mai potuto
scordare quella magica, irripetibile stagione.
Quell’anno avevano conosciuto anche Simona e Alessandro per la prima volta e ora che stavano per consumare le vacanze del secondo anno, Piero cominciava a pentirsi della sua promessa. Rammentava bene che in quell’occasione, quando Francesca era andata via, gli aveva
chiesto di non cercarla e lei non si era fatta viva fino a
tre settimane prima.
L’aveva chiamato a metà maggio e gli aveva proposto,
se a lui faceva piacere, di trascorrere una breve vacanza
insieme, visto che era riuscita a ricamarsi quindici giorni
tutti per lei.
A quel punto, un tarlo gli rodeva lo stomaco, ma sapeva
che non poteva farci niente, che avanzare delle pretese,
significava allontanarla prima ancora del tempo stabilito.
Non poteva farci niente, ma ciò non era sufficiente ad alleviare la sua angoscia, a fargli accettare il momento del
distacco. Guardava gli amici che avevano riacquistato
una momentanea spensieratezza in conseguenza del cibo
che si erano conquistato e si rendeva conto che lui era
l’unico a non avere ragioni per gioire. Guardava Francesca e persino la sua allegria gli sembrava fuori luogo,
date le circostanze, anche se poteva essere solo un contegno, come quello che cercava di mostrare lui, per non rovinare la festa anche agli altri.
Avevano pranzato facendo baldoria, però non erano riusciti a protrarlo come in altre occasioni, anzi, appena era
stato possibile, ognuno aveva preso a ritirare le cose e gli
oggetti che riteneva non dovessero tornargli più utili.
154
Quella sera, tuttavia, avevano deciso di recarsi al bar per
chiudere la vacanza in bellezza.
Si erano preparati con cura, ripescando tra gli abiti il più
decoroso che si erano portato e si erano inoltrati nel sentiero che gli era divenuto familiare; senza nessun entusiasmo, a qualche decina di metri una coppia dall’altra.
Ad un certo punto, Francesca gli aveva stretto la mano e
gli aveva rivelato una confidenza che Simona le aveva
fatto a sua volta. Piero aveva ascoltato con estrema attenzione: “Simona mi ha rivelato che al rientro da questa
vacanza, ha intenzione di lasciare Alessandro. Me lo ha
confidato mentre facevamo i bagagli.”
“E tu ci credi?” Le aveva risposto lui, manifestando
un’espressione di scetticismo.
“Quei due sono complementari, hanno stabilito una complicità tale, che anche se dovessero lasciarsi, non potrebbe essere che per un periodo breve, quello necessario a
soddisfare l’egocentrismo del momento, ma quando dovranno confrontarsi con la mediocrità ed il perbenismo
dilagante, allora si cercheranno di nuovo e se uno dei
due in quel momento non sarà più disponibile, l’altro lo
rimpiangerà per moltissimo tempo. Insieme sono liberi
ambedue, possono fare le esperienze che vogliono;
chiunque altro tenterebbe di castrare i loro slanci. Lo capiranno presto.”
“Probabilmente hai ragione” – gli aveva risposto Francesca – “però per il momento, i propositi di Simona sono
questi, il futuro non è pronosticabile.”
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“Lei si sente un po’ superiore, ma questo è dovuto unicamente ai corteggiamenti continui che deve fronteggiare.
Il distacco da lui, la riporterà con i piedi per terra.”
Piero aveva concluso drasticamente il discorso e allungato il passo per raggiungere gli amici. Voleva evitare ad
Alessandro l’umiliazione di sentirsi a scrocco, quindi doveva fare le ordinazioni, infatti, arrivati a destinazione si
era premunito di avvertire il barista che il conto l’avrebbe pagato lui. Francesca invece era mossa da altre preoccupazioni, le parole di Piero, a proposito della confidenza che gli aveva rivelato, manifestavano chiaramente la
sua opinione riguardo all’evoluzione della loro storia e
ciò avrebbe reso molto più difficile e doloroso il distacco. Più ci pensava e più quelle considerazioni l’ amareggiavano, ritenendo a quel punto che il suo invito a trascorrere insieme quella vacanza, si stava rivelando inopportuno. Forse aveva giocato con i suoi sentimenti, anche se non l‘aveva voluto di proposito e una simile idea
le era insopportabile.
Si erano accomodati da pochi minuti, quando i loro vicini di tenda, con il linguaggio internazionale dei gesti, li
avevano invitati al loro tavolo. Qualche attimo a schermare con gli sguardi tra di loro e poi avevano accettato.
Il jouke box suonava una canzone malinconica, premonitrice: “Come un addio, l’estate tra noi due, ma l’estate
somiglia a un gioco, l’estate sai, dura poco. L’autostrada
è la, ma ci allontanerà.”
La conversazione con la coppia di tedeschi avveniva per
monosillabi, a gesti: volevano sapere se il posto era tranquillo, quanto sarebbe durata la loro vacanza, e quando
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avevano saputo della partenza imminente, li avevano invitati ad annegare il dispiacere nella birra. Simona da
parte sua non si era fatta pregare, facendo gli onori anche da parte degli altri tre, che invece erano poco propensi ad esagerare col bere. I primi sintomi di quel che
sarebbe accaduto, non avevano tardato a manifestarsi,
evidenziati dalle richieste di Simona, affinché Francesca
l’accompagnasse in bagno, sempre più frequenti, tanto
che lei aveva espresso caldamente la volontà di rientrare.
“Andiamo via, Simona è ubriaca fradicia.” Aveva detto
rivolta agli altri due.
Subito dopo si erano accomiatati dai loro vicini, nonostante le insistenze a fermarsi più a lungo, con le quali
avrebbero voluto renderli partecipi della serata dedicata
alla baldoria e alla trasgressione, però, nonostante fossero consapevoli che in altre occasioni quella poteva essere
un’amicizia interessante, non si erano lasciati condizionare e si erano avviati per il sentiero che li avrebbe condotti alle tende. Simona era in uno stato confusionale e
Francesca e Alessandro avevano dovuto sorreggerla per
un buon tratto.
“Bisogna farle bere caffè.” Aveva sentenziato Alessandro
preoccupato.
“Va bene, come arriviamo alla tenda lo facciamo subito.”
Gli aveva risposto Francesca.
Arrivati in prossimità della laguna si erano fermati a riposare su dei blocchi di granito.
“Fermiamoci a riposare, io non ce la faccio più, sono
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stremata.” Aveva proferito Francesca a mezza voce.
“Simo, siediti su questa roccia.” Le aveva detto Alessandro, imprimendo alle parole e ai gesti tutta la premura di
cui era capace. Era fortemente preoccupato, in primo
luogo perché non aveva mai visto la ragazza in simili
condizioni, poi, in considerazione delle responsabilità di
cui l’avevano caricato i genitori di lei, al fine di concederle il permesso per quella vacanza. Quasi ad accentuare la sua ansia, Simona aveva vomitato la cena e la birra
che aveva ingurgitato e per quanto avesse fatto il possibile per consolarla e alleviare il suo malore, lo stato d’animo di lei non ne aveva tratto alcun giovamento.
Quando finalmente si era ripresa dal malore causato dal
rigurgito ed alleggerita dall’alcol, anziché rasserenarsi,
la ragazza si era lasciata andare a un vero e proprio scoramento.
“Non ci vedremmo più. Non ci vedremmo più, questa è
l’ultima volta che stiamo insieme.” Ripeteva piangendo.
“Ma cosa dici?” Cercava di consolarla Alessandro.
“Noi veniamo qui tutti gli anni. Certo che ci rivedremmo
e poi siamo amici, ci rivedremmo di certo.”
“Non ci vedremmo più, io lo so, è per questo che ho bevuto tutta l’ora. Non ci vedremmo più.” Continuava,
piangendo e asciugandosi le lacrime con le mani.
“Io vi amo, ma non ci vedremmo più.”
“Anche noi ti vogliamo bene” – tentava di consolarla
Piero, trattenendo a stento le lacrime – “ma sono sicuro
che avremmo ancora tante occasioni per rivederci. Abbiamo tanto tempo davanti a noi.”
“Non ci vedremmo più.”
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E il pianto era sempre più accorato, sempre più travolgente.
“Dai che c’incamminiamo” – aveva detto Francesca a
quel punto – “altrimenti la finiamo qui a piangere tutti
come cretini.”
Avevano ripreso la marcia verso la tenda, dove avevano
preparato subito il caffè, ma lo stato d’animo della ragazza non era mutato, non smetteva di piangere e di ripetere: “Non ci vedremmo più!”
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Domenica
La notte a volte fa miracoli e quella appena trascorsa,
sembrava aver rasserenato le coscienze e rimarginato le
ferite. Quel mattino, infatti, nessuno sembrava ricordare
le vicende della sera precedente, quando si erano ritrovati al tavolo della colazione, l’ultimo oggetto che avevano
in serbo di ritirare. Simona si era addormentata di colpo
e poi aveva dormito come un sasso, almeno a sentire la
versione di Alessandro, poco propenso a dar credito ai
suoi incubi. Tutti, ad ogni modo, in quell’occasione avevano manifestato un certo benessere, fittizio o reale che
fosse. Dentro, ognuno macinava le sue angosce, ma per
una sorta di pudore, nessuno voleva rivelarle. Tutti tranne Francesca, che appariva piuttosto affaticata, come se
non avesse dormito affatto, e anche in quel momento era
assente, imbronciata, contrariata del fatto che non potesse parlare dei suoi crucci.
Per tutta la notte non aveva fatto altro che rigirarsi e svegliarsi di soprassalto, come se le mancasse l’aria, in uno
stato d’ansia pauroso e con attacchi di tachicardia.
Era arrivato il momento tanto temuto, quello di dare
l’addio definitivo a quei luoghi che l’avevano incantata e
ancora e soprattutto a Piero. La vacanza era finita.
Era arrivato il tempo della consapevolezza, quello posticipato nel tempo e che le era apparso lontanissimo fino a
161
qualche giorno prima.
“Ma perché la vita era così crudele? Che cosa aveva fatto di male? In fondo, l’unica sua colpa era quella di avere amato. Sinceramente, con spontaneità, senza calcoli.
A questo era dovuta anche la sua gravidanza da adolescente diciassettenne e il conseguente matrimonio riparatore che ne aveva appena compiuto diciotto. Erano due
ragazzetti che per il perbenismo della gente venivano
tolti ai giochi e costretti a vivere una vita da adulti. Responsabilità troppo grande, per loro, originata dal semplice desiderio di vivere un’avventura che si era trasformata in un incubo. Il trauma si era acuito ulteriormente
al momento del parto, allorché il bimbo era nato morto,
ma avevano parlato tanto e imparato a volersi bene. Intanto erano trascorsi degli anni e il dolore li aveva accomunati, ma le ragioni che avevano determinato la loro
unione non esistevano più, anche se nel frattempo era
scaturita una bell’amicizia. Erano stati sul punto di separarsi, invece avevano deciso di realizzare le loro aspirazioni nella complicità reciproca e si erano regalati la libertà di vivere la vita liberamente, confidandosi persino
le passioni del momento, ma tutto doveva avvenire nel
riserbo più assoluto. Lei, in questo peregrinare in cerca
di affetti e di sensazioni, aveva incontrato un uomo molto più maturo di lei, col quale aveva instaurato una relazione stabile che le dava la sicurezza e la serenità che
aveva sempre cercato. Poi, in un momento di crisi, casualmente aveva incontrato Piero, e al rientro, oltre ai
sensi di colpa per essersi lasciata andare in quell’avventura, aveva dovuto fronteggiare anche le pretese del ma162
rito che le aveva chiesto un ritorno a responsabilità più
convenzionali. Si era stancato di vivere una relazione
ambigua e a quel punto, o individuavano degli stimoli
per investire in quel rapporto, oppure bisognava dargli
un taglio netto, e a tale scopo le aveva dato tempi decisionali precisi. La vacanza, in effetti, sarebbe dovuta servire a farla propendere verso una stabilizzazione dei rapporti consolidati, in una sorta di addio alle esperienze
puerili e alle relazioni lasciate in forse.
Ma perché la società è così miope? Perché non poteva
vivere liberamente tutti i suoi amori, tutti i suoi affetti?
Cosa toglieva all’uno, quando dava i suoi baci all’altro?
No, era sicura, Piero non avrebbe capito, i suoi amori
non avrebbero capito. Se gliene avesse parlato, avrebbe
rovinato per sempre anche i suoi ricordi, che seppur
amareggiati dall’addio, erano pur sempre di una bellissima storia di passione e di amore. Quanto avrebbe voluto
fermare il tempo. Quanto avrebbe voluto avere la possibilità di manifestare liberamente l’amore per i suoi tre
uomini.
*
*
*
Quella domenica la spiaggia era affollatissima.
I quattro amici erano affamati; avevano fatto un’abbondante colazione e vi si erano diretti per prendere le ultime ore di sole di quella vacanza, indossando i costumi
163
per la prima volta, dopo averli scartati dalle buste.
Alessandro, Simona, Piero e Francesca, erano pieni di
attenzioni, gli uni nei confronti degli altri, manifestando
apertamente il loro affetto.
A un tratto, Francesca si era rivolta a Piero e gli aveva
sussurrato ciò che le passava nel cervello in quel momento.
“Come sarebbe bello se potessimo stare sempre qui.”
“Sarebbe bellissimo, purtroppo mancano i presupposti,
sia economici che di disponibilità da parte tua.”
Francesca aveva percepito tutta l’amarezza che lui aveva
caricato in quelle parole; una lama sottile che le aveva
attraversato le viscere.
“Come vorrei parlarti, se tu potessi capire.” Gli aveva risposto lei, frenando a stento le lacrime.
“Posso capire tutto, tutto! L’unica cosa che non capisco è
perché dobbiamo lasciarci.”
Piero si era immusonito, apertamente contrariato da
quello che per lui era un atto di prepotenza da parte della
donna che amava.
“Se ti dicessi le cose che mi stanno a cuore, sono sicura
che non mi ameresti più, la nostra unica possibilità di
vita in comune è questa, tutto il resto ci divide. Restiamo
qui e sarò tua per sempre!”
“Rimanere qui è un sogno, sai bene che non è possibile.”
Le aveva risposto lui, più scettico che mai. Francesca si
era soffermata a riflettere per alcuni minuti e infine il
volto le si era illuminato.
“Mi è venuta un’idea, forse è possibile.”
Dette queste parole sembrava un’altra donna, era di nuo164
vo raggiante come nei momenti più belli di quella vacanza. Si era alzata dall’asciugamani che divideva con Piero
e si era diretta in acqua.
“Non farlo, è pericoloso!” Aveva Tentato di dissuaderla
lui.
Lei sembrava non averlo nemmeno sentito e aveva continuato la sua maratona verso l’acqua, lasciandolo in apprensione nonostante le parole di Simona e Alessandro,
che avevano cercato di minimizzare dicendo che non
avevano mai osservato orari per fare il bagno.
Nel tragitto, alcuni ragazzi che giocavano in spiaggia,
non si erano trattenuti dal fare apprezzamenti nei suoi
confronti; parole che erano arrivate persino all’orecchio
di Piero: “Minchia, sei uno schianto; fermati a giocare
con noi!” Lei aveva riso, ma senza rallentare il passo
verso la sua meta. Piero aveva consultato l’orologio,
aveva la sensazione che fosse caricato all’indietro per
fermarsi a un minuto preciso di quel giorno: meno quindici, meno quattordici, meno tredici… Dieci minuti
dopo, a una cinquantina di metri da loro avevano notato
dei movimenti strani, la gente vi si dirigeva di corsa.
“Cosa sarà successo?” Aveva chiesto Piero agli amici.
“Vado a vedere.” Aveva risposto Alessandro, alzandosi
in piedi di scatto per dirigersi in quella direzione e accelerando il passo immediatamente.
Dopo un tempo che sarebbe stato in grado di calcolare
solo l’orologio di Piero, dal punto in cui si trovava, senza curarsi minimamente del tono della voce che gli usci165
va stridula e gutturale, Alessandro aveva urlato con tutto
il fiato che aveva.
“Piero! Piero, corri!” E continuava ad urlare, mostrando
il viso stravolto e inondato da un fiume di lacrime.
“Cos’è successo?” Aveva domandato Piero, senza riuscire ad alzarsi dalla sua posizione. Simona l’aveva guardato restandone frastornata, non riconosceva in lui l’uomo
che era stato il loro punto fermo di quella vacanza, le
sembrava un vecchio. “Cos’è successo?” Aveva ripetuto
Piero con un fil di voce che a stento riusciva a percepire
egli stesso, più che altro per chiedere una conferma.
È Francesca, è proprio lei … è morta!” Gli aveva risposto Alessandro, anche lui irriconoscibile, nei tratti e per
l’età, che gli aveva caricato vent’anni sulle spalle.
Vedendo gli amici stravolti, in una maschera di dolore e
d’incredulità, Simona aveva cercato d’immaginarsi a sua
volta, indovinando l’aspetto dalle sensazioni che provava: uno sfinimento infinito ed un tremore che non le permetteva di coordinare i gesti. In quel momento aveva
percepito l’intero dramma della sua amica, nel momento
in cui doveva essersi resa conto di quel che le stava accadendo. Il terrore stampato negli occhi, il dolore e la
consapevolezza che era alla fine del suo percorso, i gesti
inconsulti dettati dall’istinto di sopravvivenza e la resa,
determinata dall’annebbiamento delle facoltà mentali.
Chissà se in quegli attimi aveva avuto un pensiero anche
per loro? Quali erano state le sue priorità? Passava al vaglio mentalmente quelle sensazioni, senza distogliere gli
occhi dal volto di Piero, di un pallore mortale e dall’espressione incredula, e le labbra che l’avevano ammalia166
ta, completamente esangui.
Piero aveva tentato uno scatto per avviarsi in quella direzione, ma le gambe erano diventate pesanti. Aveva la
sensazione che fossero lunghissime, che per muoverle
fosse necessario un marchingegno che assorbiva più
energie di quelle di cui disponeva. Con uno sforzo sovrumano era riuscito a raddrizzarsi e a raggiungere le
spoglie di Francesca, il volto una maschera di lacrime e
di disperazione.
“Nooooooo” Aveva gridato Piero e quell’urlo gli proveniva dai meandri più profondi delle viscere.
“Perché l’hai fatto? Io potevo capire … io sapevo! Ho
vegliato i tuoi incubi tutta la notte e nel sonno mi avevi
rivelato tutti i tuoi stati d’animo. Avevo capito, mi bastava sapere che mi amavi.
Noooo, io non sono capace di seguirti, non ho il tuo coraggio! Perché l’hai fatto? Perché non hai avuto fiducia
in me?”
“Non voleva morire, ha lottato con tutte le sue forze per
venire a riva; è morta per congestione.
Non l’ha fatto apposta, è stato un incidente.” Aveva detto
uno dei bagnanti.
Intanto, anche Simona e Alessandro, che fino a quel momento erano rimasti inebetiti ed incerti sul da farsi l’avevano raggiunto e avevano preso ad accarezzare il volto
esangue di Francesca, cercando al contempo di consolarlo.
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Erano ancora insieme loro quattro, ma Simona non si era
sbagliata col suo pianto premonitore e l’orologio di Piero
aveva segnato l’ora esatta per fermarsi. Erano insieme
per l’ultima volta, pronti a essere scagliati per orizzonti
diversi, ma quel giorno non lo avrebbero dimenticato.
Intanto, tutta la spiaggia gli si era addensata attorno e gli
aveva oscurato il sole.
168
169
Indice generale
La Vacanza.............................................................................. 3
Lunedì..................................................................................... 5
Martedì.................................................................................. 42
Mercoledì.............................................................................. 69
Giovedì..................................................................................99
Venerdì................................................................................ 125
Sabato..................................................................................147
Domenica............................................................................ 161
170