AUTISMO in Italia - ProgettoautismoFVG

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AUTISMO in Italia - ProgettoautismoFVG
AUTISMO in Italia:
Un disagio sociale spesso sconosciuto.
Tante domande e poche risposte alle famiglie
di Annalisa Anastasi
Un bambino autistico ogni centocinquanta nati. Sono queste le ultime stime
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che riguardano una serie di sindromi di
natura neurobiologica, le cui origini non sono del tutto chiare. Negli anni ’50-’60, Bruno
Bettelheim conia il termine “madre frigorifero”, uno dei punti di scontro più accesi della
psichiatria. Bettelheim, sulla scia delle teorizzazioni di Leo Kanner (colui che per primo,
contemporaneamente ad Hans Asperger, identifica tale patologia negli anni '40), ritiene
che l'autismo infantile sia dovuto ad uno stile relazionale freddo e distaccato da parte dei
genitori, in particolare delle madri. Questo modello esplicativo e terapeutico è stato
oggetto di aspre critiche, prima in America e successivamente in Europa, anche per via
della progressiva diffusione di teorie biologiche, supportate scientificamente, rispetto
alle precedenti e fuorvianti teorie psicogene.
Situazione italiana
In Italia il ritardo culturale per la riabilitazione dell'autismo si fa sentire ancora oggi e
questo mentre i casi aumentano e comportano la necessità di approntare un sistema
integrato d’interventi al fine di realizzare un tempestivo programma di educazione
globale individualizzato. Tali azioni richiedono un progetto che coinvolga diversi attori:
la famiglia, le ASL, i medici di famiglia e i pediatri di base, gli enti privati, la scuola, gli
enti locali, le cooperative sociali e l’Università. I dati italiani appaiono con tutta
evidenza sottostimati rispetto a quelli americani e inglesi, più attenti a queste criticità. Il
12 novembre 2009 in Inghilterra è stato approvato l’Autism Act, che sancisce l’obbligo
legale di fornire servizi e il sostegno adeguato alle persone adulte con autismo. Anche il
Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha promosso, tra i primi atti d’insediamento,
una strategia concreta per cercare di dare una risposta a questo problema. Negli U.S.A.,
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inoltre, gli screening prescolastici sono ampiamente effettuati e sono forniti trattamenti
successivi. In Italia il numero di persone con autismo supera i casi di celiachia, cecità e
sindrome di Down. Eppure, mancano servizi diffusi sul territorio, che tengano conto di
questa realtà. Una delle poche regioni italiane che si è attivata in questo senso, almeno a
livello legislativo regionale, assieme al Piemonte e alle Marche, è la Toscana che ha
stilato l’unico documento ufficiale con i dati relativi ai casi presenti in tale realtà (BUR
del 24/12/2008).
Situazione in Friuli Venezia Giulia
In Friuli Venezia Giulia, invece, non esiste un Osservatorio sull’autismo che permetta un
serio monitoraggio delle persone diversamente abili presenti sul territorio, con i dati
relativi a Comuni e Province di appartenenza, punto di partenza per analizzarne la
diffusione, verificare la presenza di servizi sul territorio e dare fattive risposte alle
famiglie in grave disagio. Uno screening di questo tipo non sarebbe di difficile
realizzazione, si potrebbe acquisire con il confronto tra i dati depositati presso l’Ufficio
scolastico regionale, le Neuropsichiatrie infantili, le strutture private convenzionate per i
minori e gli ambiti socio-assistenziali nonché i Comuni di residenza per le persone con
handicap in età adulta.
Il disturbo autistico solitamente esordisce nei primi tre anni di vita e con modalità spesso
subdole e mal definite. Intorno ai diciotto mesi o comunque entro i tre anni, i bambini
con tale disabilità subiscono un repentino calo della capacità di comunicare; il numero
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delle parole imparate fino a quel momento inizia a ridursi e, nella maggior parte dei casi,
si arriva alla perdita totale del linguaggio. Sono bambini che si rinchiudono totalmente in
se stessi perché non riescono più a sostenere gli stimoli che arrivano loro dal mondo
circostante. Esistono vari livelli di questa sindrome, alla quale la televisione e il cinema
si sono interessati fornendo un’idea parziale o sbagliata su questo disturbo neurologico,
che si manifesta con sintomatologie molto più gravi e drammatiche e, tendenzialmente,
occupandosi di una sola tipologia di casi: gli Asperger, vale a dire gli autistici ad alto
funzionamento. Non esiste attualmente alcuna cura in grado di poter “guarire” una
persona con autismo, ma quello che potrebbe fare la differenza, per molti di questi
soggetti, risulta una diagnosi entro i due o tre anni di vita, seguita da un intervento
intensivo cognitivo-comportamentale, in grado di migliorare in modo significativo la
qualità della vita di tali persone, dei loro cari e della comunità in cui vivono.
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Gli aspetti legislativi sono l'ossatura portante per dare forza agli interventi. In ambito
legislativo, nel nostro Paese si possono individuare alcune tappe fondamentali in
materia: la legge 104 del febbraio 1992 che affronta punti importanti per la cura,
riabilitazione, rimozione ostacoli, mobilità e compiti delle Regioni e dei Comuni in tutti
casi di handicap e quindi anche per l'autismo .
Il consiglio direttivo della Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e
dell’Adolescenza (SINPIA) ha successivamente approvato, nel marzo del 2005, uno dei
documenti più importanti sul tema, redatto a livello nazionale.
La legge 67 del marzo 2006 “Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità
vittime di discriminazioni” incentiva la piena attuazione del principio di parità di
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trattamento e pari opportunità per tutte le persone affette da handicap, anche se colpite in
maniera indiretta. Nel 2008 si è svolto il Tavolo Nazionale per l’Autismo promosso dal
Ministero della Salute, in collaborazione con le associazioni dei familiari, che costituisce
una pietra miliare nella storia italiana di approccio all’autismo, anche se questo non
viene applicato completamente. Il Servizio Sanitario Nazionale assicura, inoltre,
specifici livelli essenziali di assistenza.
Ma la situazione italiana nelle prassi ci conferma che le leggi non bastano. Le famiglie
hanno bisogno di un sistema di servizi sociali e sanitari integrati, che abbia come
presupposto quello di essere condiviso, partecipato e al servizio della comunità. Questo
può accadere solo con l'attenta erogazione di mirati finanziamenti, dopo uno scrupoloso
monitoraggio sul territorio a livello regionale.
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