W. KURZE, C. CITTER, La Toscana, p. 159

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W. KURZE, C. CITTER, La Toscana, p. 159
La Toscana
L’occupazione della Maremma toscana
da parte dei Longobardi* (W. Kurze)
Limitatamente ad una parte della Toscana
proveremo ad affrontare la problematica del seminario secondo due diverse procedure. Carlo
Citter cercherà di sondare le possibilità di interpretazione delle fonti archeologiche, mentre la
mia parte in questo tentativo di collaborazione
interdisciplinare sarà quello dello storico. Nei nostri testi molte risposte a domande e problemi
che sono emersi nel corso del lavoro vengono presentati già come soluzioni. Abbiamo infatti potuto anticipare le necessarie discussioni in lunghe
sedute fra i due autori. Nonostante questo, diverse interpretazioni sono senz'altro da ascrivere alla responsabilità dell'autore che le ha proposte.
Siamo perciò grati a Gian Pietro Brogiolo che ci
ha indotto per qualche tempo a fare nostro quel
modello di cooperazione tra storici e archeologi
che Riccardo Francovich ha una volta così sintetizzato: “il mondo delle cose e quello delle parole
devono interagire per fare storia 1”.
Quasi tutti i documenti scritti, utili alla nostra discussione sono accessibili alla ricerca storica già da più di un secolo - in edizioni comunque utili, pur se non sempre rispondenti agli attuali canoni filologici e diplomistici2. D’altronde
gli storici le hanno sempre frequentemente consultate anche per la risoluzione di problemi non
* Ringrazio vivamente l’amico Roberto Delle Donne per le
correzioni e gli abbellimenti del mio testo italiano.
l Vd. FRANCOVICH 1990, p. 14.
2 Per i documenti lucchesi vd. BARSOCCHINI 1837, 1841. I
documenti già editi da BERTINI 1818, 1836 si trovano nella raccolta di BARSOCCHINI solo come regesti. Dei documenti spoletini ci interessano qui solo quelli del fondo di
Farfa editi come REGESTO DI FARFA I - V. Documenti altomedievali del territorio chiusino sono rimasti solo nel fondo del monastero di S. Salvatore al Monte Amiata, editi nel
CDA I - II. Tutti i documenti che riguardano il periodo precarolingio stanno a disposizione anche in buona e moderna
edizione curata da Schiaparelli, vd. CDL I - II.Per semplifi-
dissimili dei nostri 3. Tuttavia la storiografia è
ancora lontana dall’esaurire a ogni suo aspetto
la straordinaria ricchezza di informazioni che la
tradizione scritta ci ha tramandato. Un avvicinamento alle fonti anche sulla base di una diversa metodologia, lontana dall’atteggiamento positivistico 4, ci aiuterà a dare una rinnovata impostazione alla discussione del tema scelto e oggetto del nostro seminario - almeno per la Toscana.
Come risulta chiaramente dal titolo, il problema centrale è quello degli insediamenti.
Quando però si vuole discutere l’influenza della
frontiera nello sviluppo o nel degrado degli insediamenti, nelle attività di fondazione di città, di
castelli o di villaggi, nella loro scomparsa si deve per forza partire dalla domanda: dove correvano quelle frontiere che forse condizionavano
tali svolgimenti? Dunque cercheremo qui di dare innanzitutto una risposta a tale quesito.
Punto di partenza per la discussione del problema devono essere senza dubbio le informazioni sulla occupazione della Tuscia da parte dei
Longobardi. Su questo evento abbiamo a disposizione come testimonianze dirette solo pochi cenni
nelle fonti narrative. Una informazione - trovata
nei “Gesta di Secondo di Non” - è fornita da Paolo
Diacono nel secondo libro, capitolo 26, della sua
“Storia dei Longobardi”. Egli racconta:
Alboin...invasit omnia usque ad Tusciam, praeter
Romam et Ravennam vel aliqua castra quae
care le note qui citerò soltanto il numero delle edizioni di
BARSOCCHINI, REGESTO DI FARFA e CDA.
3 Cfr. per un esempio riguardante Lucca già le ricerche di
BERTINI 1818, 1836 e i capitoli del libro di SCHNEIDER
1975 relativi all’argomento o anche VOLPE l901,pp. 387
sgg.. Per le ricerche recenti confr. KURZE 1992, pp. 60 sgg..
4 Con questo non voglio sminuire i grandi meriti per esempio degli studi di SCHNEIDER e BERTINI. Vd. nota precedente. Sono ancora sempre fondamentali per le nostre analisi. Vorrei soltanto mostrare un nuovo metodo che ci permette di spremere le vecchie fonti in maniera da arrivare a
nuovi risultati.
erant in maris litore constituta. Cioè Alboino occupò l’Alta Italia e la Toscana con l’eccezione di
Ravenna, Roma e di qualche fortezza sul mare 5 e qui si parla degli anni in cui il re longobardo assediò la città di Pavia, dunque degli anni fra il 569
e il 572 6. Come vedremo più avanti nel nostro discorso, questa informazione di Paolo non si può
accettare alla lettera, neanche supponendo che
nella sua concisa formulazione Roma e Ravenna
starebbero ad indicare le grandi zone intorno alle
due capitali dello Stato bizantino in Italia.
Per interpretare meglio questo passo di Paolo Diacono ci sovvengono due citazioni del Liber
Pontificalis di Agnello Ravennate. Questi nel
capitolo 94 scrive: Post (cioè dopo l’anno 570) ve ro depraedata a Longobardis Tuscia, obsiderunt
Ticinum. Nel novantacinquesimo capitolo si
legge: Post haec vero exierunt Longobardi et
transierunt Tusciam usque ad Romam et ponen tes ignem Petram Pertusam incendio cuncrema verunt. Allora i Longobardi attraversarono la
Tuscia fino a Roma lasciandosi alle spalle Furlo
in fiamme 7.
Non è chiaro, se le diverse formulazioni dei
due cronisti dipendano dalle migliori informazioni di cui Agnello disponeva 8 o da una sua intelligente interpretazione del testo di Paolo o di
Secondo di Non. Ciò che risulta da questi passi è
comunque verosimile, e cioè: nei primi anni in
cui i Longobardi furono in Italia non solo essi
entrarono in Toscana perché sospinti dall’idea
di occuparla, ma anche perché molto spesso i loro guerrieri alla ricerca di bottino tentarono di
compiere razzie di largo raggio nella regione.
Così forse in questo periodo qualche gruppo poté
perfino giungere nelle vicinanze di Roma 9.
Il problema dei Bizantini doveva essere la
mancanza di potenti linee di difesa contro un
nemico che arrivava dal nord-est dell’Italia. I
vecchi punti di difesa contro i Goti in tale situa-
zione servirono a poco. Con tali circostanze si
spiega forse - fra l’altro - anche la rapida avanzata dei Longobardi 10. Del resto un trattato bizantino di strategia e tattica militare, proprio
della fine del VI secolo, rivela chiaramente che
non era più possibile sviluppare linee di difesa
stabili soprattutto per l’esiguità delle forze armate. Agostino Pertusi ha descritto molto bene
la situazione dei difensori bizantini in Italia nel
periodo dell’invasione longobarda. Il sistema di
ritiro su alture fortificate e non facilmente espugnabili creava un tipo di difesa piuttosto permeabile 11, facendo passare senza grandi difficoltà le orde di guerrieri alla ricerca di bottino.
Tali movimenti non comportavano però l’occupazione della Toscana da parte dei Longobardi.
Non per niente non crearono ancora frontiere né
fisse né fluttuanti.
Vi è un altra fonte quasi contemporanea che
rappresenta una sorte di conferma diretta per
una piccola zona della Toscana Maremmana
della situazione finora più generalmente delineata. Nel terzo libro, cap. 11, dei suoi “Dialoghi”, il papa Gregorio Magno racconta alcuni
episodi della vita e della morte del vescovo Cerbonius di Populonia 12. Il prelato aveva fatto costruire il suo sepolcro nella chiesa della sua
città. Sed cum Langobardorum gens in Italiam
veniens, cuncta vastassent, ad Helbam Isolam
recessit. Quando i Longobardi vennero in Italia
distruggendo tutto quanto incontrarono sul loro
cammino, Cerbonius fuggì all’Isola d’Elba. Morì
in esilio, ma prima chiese ai suoi chierici di traslare le sue spoglie mortali nel sepolcro preparato a Populonia. Costoro sollevarono il problema della difficoltà di un viaggio in una zona ubi que eos (cioè i Longobardi) discurrere scimus.
Ma egli rispose che non avrebbero corso nessun
pericolo se avessero effettuato la sepoltura con
rapidità e se fossero tornati subito alla loro na-
5 Secundus di Trento o di Non come fonte per Paulus in generale confr. JACOBI 1877, p. 63, per il capitolo II 26 vd. p.
93; vd. anche per questa problematica MOMMSEN 1880,
spec. pp. 72 sgg..
6 Confr. il commento di Waitz nella sua edizione di PAULUS DIACONUS 1878. Fondamentale per le datazioni di
quel periodo: BERTOLINI 1920, pp. 11 sgg.. La durata
dell’assedio messa in discussione di nuovo da GASPARRI
1978, p. 26 n. 11; vd. anche il commento di L. Capo nella edizione di PAULUS DIACONUS 1992, p. 449. Una vecchia discussione sulla affidabilità della citazione di Paolo ha ripreso BOGNETTI 1953-54, p. 287, Età long. III pp.458 sgg..
Cfr. CONTI 1973, pp. 78 sgg., cioè usque ad Tusciam significherebbe: Tuscia non compresa! Qui non voglio occuparmi
di questa discussione. Il mio parere in breve: non mi sembra
inverosimile che gruppi di guerrieri durante l’ assedio di Pavia avessero fatto anche razzia attraverso l’ Appennino. In
ogni caso mi sembra esagerata l’ affermazione di CONTI
ibid. che il discusso passo di Paolo rispecchiasse “la situazione politica della penisola al più alla metà del settimo se-
colo”. Questo sarebbe anche contrario ai risultati della nostra ricerca qui presentata.
7 AGNELLO RAVENNATE 1878, pp. 337 sgg..
8 Ibid. p. 338 n. 10.
9 I diversi tipi di movimento dei Longobardi durante i primi
tempi seguenti il loro ingresso in Italia per la zona nord-appenninica sono discussi molte volte nella ricerca di BERTOLINI 1920.
10 Il biografo di papa Benedetto I (575 - 579) per esempio
spiega la rapida avanzata con una grande carestia. Vd. LIBER PONTIFICALIS I p. 308.
11 Il trattato è quello del cosiddetto Pseudo-Maurikios; vd.
MAURIKIOS; cfr. PERTUSI 1968, spec. pp. 677 - 688.
12 GREGORIO MAGNO DIALOGHI, pp. 156 sgg. :i fatti qui
usati come base per la mia interpretazione sono stati riferiti a Gregorio dal vescovo Venanzio di Luni; cfr. ibid. pp. 158
sgg..
ve. I chierici rispettarono i suggerimenti del loro vescovo, tornarono in fretta alla nave e partirono per l’Isola d’Elba. Essi ebbero fortuna, perché appena tornati alla nave arrivò a Populonia
il Langobardorum dux crudelissimus Grimarit,
come Cerbonius con senso profetico aveva previsto.
Il racconto di Gregorio rivela le due fasi
dell’invasione longobarda nel Populoniese. Prima vi furono razzie che non portarono a uno stabile controllo della zona, lasciando ad esempio
tempo sufficiente per arrivare con una nave nel
golfo di Baratti, e per portare e seppellire una
salma a Populonia. Solo nella seconda fase si arrivò ad una occupazione del territorio caratterizzata dalla presenza del dux Grimarit di Lucca 13. Da questo momento in poi il Populoniese
fu controllato - almeno in gran parte - dai Lucchesi. Solo da allora si poté parlare di una vera
e propria occupazione.
Dai pochi riferimenti diretti delle fonti narrative possiamo dunque concludere: oltre alle
ricordate razzie, probabilmente non rare, e certamente in seguito a queste rapide incursioni, si
riscontra anche un continuo allargamento
nell’occupazione del territorio toscano da parte
delle forze longobarde, incominciando forse già
dal periodo di re Alboino.
Per più di 20 anni le forze longobarde in Toscana appaiono circondate da ogni parte da
frontiere bizantine che col progredire dell’occupazione venivano continuamente spostate. Solo
a nord c’era una catena di castelli bizantini lungo l’Appennino, ancora fino agli anni di Liutprando - dunque fino alla prima metà dell’otta vo secolo 14. Qui possiamo allora parlare di una
frontiera fissa, una sorta di stabile corridoio bizantino. Ad est, nell’aretino, si trovava invece
una zona con frontiere fluttuanti. Alberto Fatucchi ha già cercato di chiarire quale fosse la situazione 15. A sud-est troviamo poi la striscia di
terra che collegava Ravenna a Roma - una zona
politicamente e strategicamente molto vulnerabile, dove le frontiere subirono diverse fluttuazioni. A sud vi era la frontiera col ducato di Ro-
ma. Di essa ci occuperemo in seguito più dettagliatamente. Ma anche ad ovest, dove per il mare ci si aspetterebbe una frontiera naturale, rimasero invece almeno fino al VII secolo alcune
aree nelle quali le frontiere continuarono a fluttuare perché porti e città di mare - come per
esempio Pisa o Roselle - rimasero ancora a lungo dalla parte di Bisanzio 16.
E chiaro che non è possibile discutere qui
sulla fluttuazione di tutte le frontiere toscane
precedentemente indicate. Ho quindi scelto di
concentrarmi sulla frontiera meridionale per
due ragioni:
1°) Mi sembra che per tale area sia in maggior misura possibile presentare alcuni nuovi risultati frutto di nuove cognizioni o almeno di
punti di vista nuovi su vecchi problemi e vecchi
tentativi di risoluzione.
2°) Per questa zona mi sembra inoltre in
maggior misura possibile integrare il quadro
delineato sulla base delle fonti scritte con alcune informazioni ricavate dalla interpretazione
di fonti materiali già note 17 oppure rilevabili da
eventuali scavi futuri in zone di grande importanza per il nostro problema.
La scelta di occuparci proprio di tale frontiera comporta ancora un altro vantaggio per capire meglio l’andamento della occupazione della
Toscana e cioè: qui possiamo fissare molto precisamente il momento in cui la frontiera fluttuante, da tempo in permanente evoluzione e in continuo spostamento, diventò una frontiera fissa
destinata a durare per quasi un secolo e mezzo.
In altra occasione ho raccolto i riferimenti che
permettono di datare al 593 un accordo fra re
Agilulfo e papa Gregorio Magno. Questo accordo
e stato in sostanza una tregua, un primo ma importante passo per arrivare ad un trattato di pace - un accordo segreto fra due politici realisti
senza alcun consenso dell’esarca bizantino e
dell’imperatore. L’accordo però si rivelò valido
ed ottenne 10 anni più tardi anche il consenso
del nuovo esarca, quando la politica bizantina
mutò nei confronti dei Longobardi 18. Con la
frontiera fissata con questo accordo al fiume Mi-
13 Gregorio lo chiama solo dux Grimarit. ; la ricerca però
con buoni argomenti è d’accordo con la assegnazione a Lucca. Vd. VOLPE 1901, p. 387, CONTI 1962-63, p. 150, JARNUT 1972, p. 359. Con qualche riserva GASPARRI 1978, p.
57 n. 29.
14 Re Liutprando conquistò Frignano e Monteveglio e cosi
solo in quel momento stava a disposizione un altro passo appenninico per la comunicazione fra Austria/Neustria e la
Tuscia; vd. PAULUS DIACONUS 1878, VI cap. 49, p. 181,
1992 p. 350.
15 FATUCCHI 1975, spec. pp. 77 sgg..
16 Per Pisa vd. l’articolo recente di KURZE 1992 con la bibliografia antecedente. Per Roselle mancano ancora accenni
precisi, perché la giustificazione di SCHNEIDER 1975, p.
20 con n. 45, basandosi su DUCHESNE 1905, pp. 390 sgg.
non è più accettabile. Per Cosa e una zona del Monte Argentario; vd. CARDARELLI 1925, p. 79, che parla di “una esigua provincia litoranea che venne assai tardi in potere dei
Longobardi”. L’autore vede la base di questa affermazione
nel fatto che i duchi e la chiesa di Lucca “non ebbero
qui...possedimenti”. Come centro di questa zona lui propone
Orbetello con un punto interrogativo e la eventuale possibilità che si trattasse di Cosa/Ansedonia; vd. ibid pp. 80 sgg. ;
Cfr. ora anche CITTER 1993, spec. pp. 621 sgg..
17 Vd. C. CITTER in questo volume spec. il testo che riguarda la tav. 3.
18 Vd. KURZE 1986, pp. 431 sgg..
gnone, in ca. 23 anni l’occupazione della Maremma, della parte occidentale della Toscana fu
quindi portata a termine. Ora ci occuperemo
delle diverse fasi di questo processo.
Per farmi comprendere meglio voglio prima
darvi un’idea della struttura interna della Toscana medievale. Ho disegnato sulla carta le
diocesi. E questo perché non bastano le nostre
informazioni a disegnare i confini dei territori
con uguale precisione. Purtroppo anche per le
diocesi un disegno così preciso è possibile solo
sulla base delle fonti del Duecento 19. Senz’altro
l’organizzazione del territorio dal tardoantico fino al Duecento è cambiata in molti punti.
Dall’antichità è però rimasto l’organamento
amministrativo in territori cittadini - e proprio
di tale situazione la carta vuole offrire almeno
una vaga idea.
Nell’ambito dei territori longobardi dell’Italia centrale conosciamo tre grandi potentati che
emergono già solo per il nome con cui veniva designata la loro struttura amministrativa: parlo
dei due ducati di Lucca e di Chiusi in Toscana e
del ducato di Spoleto.
In Toscana vi era anche il ducato di Firenze,
di grande importanza per discutere la nostra
problematica in generale 20 ma tuttavia esso
esula dall’ambito di una ricerca che si occupa solo della formazione delle frontiere nel sud della
Toscana.
Gli altri domini longobardi in Toscana sono
tutti gastaldati, territori quindi governati da
funzionari regi cioè da gastaldi 21.
I duchi di Lucca, Chiusi e Spoleto, riuscirono
in pochi anni ad occupare le zone che poi diventarono i territori dei loro ducati. Il ducato di
Lucca si estendeva anche su parti del Pistoiese
e tale città per lungo tempo si trovò completamente sottomessa all’influenza politica lucchese 22. Lucca strappò inoltre anche vaste aree al
territorio pisano inglobandole nel suo ducato 23.
Il territorio di Chiusi si allargò invece verso ove-
st e nel medioevo giunse a comprendere tutta la
zona del Monte Amiata 24. Anche questo cambiamento è dunque da ricondurre al periodo longobardo.
Per i tre grandi potentati ducali troviamo ancora altri chiari indizi di una volontà espansionistica soprattutto verso la zona della Maremma, da Cecina fino a Tarquinia. Questo rientra
in quel movimento di espansione nella Toscana
occidentale culminato nella creazione di una
nuova frontiera col ducato di Roma nell’anno
593 25.
Per capire meglio le diverse fasi di questo
processo, le fonti narrative - con piccole eccezioni, che abbiamo evidenziato - ci aiutano poco 26.
Mentre le pergamene custodite negli archivi cominciano solo coll’ottavo secolo. Così neanche
da esse possiamo aspettarci informazioni dirette. Dobbiamo dunque cercare riferimenti indiretti per trovare una risposta ai nostri quesiti.
Nel nostro caso ciò significa ad esempio far
ricorso alle pergamene come fossero fonti materiali - direi come fossero cocci. Significa avvicinarsi all’analisi di fondi documentari ricorrendo
ad esempio alla statistica, o individuando l’area
di distribuzione geografica dei reperti insomma:
usando proprio un metodo di lavoro più diffuso
tra gli archeologi che tra gli storici.
Fortunatamente proprio per l’ambito territoriale dei tre grandi ducati di Lucca, Chiusi e Spoleto disponiamo di fondi di documenti privati più
o meno ricchi, dall’ottavo al decimo secolo 27, utili ai nostri fini.
Cominciamo con Lucca. I fondi pergamenacei di Lucca sono per l’Altomedioevo i più ricchi
d’Europa. Conservano più di 1000 pergamene
per l’ottavo e nono secolo, e quasi 1000 per il decimo secolo 28. Molte di esse documentano grandi proprietà lucchesi nel Populoniese, nel Rosellano e nel Sovanese. Si tratta di proprietà di enti religiosi di Lucca come il Duomo e altre chiese, ma anche di beni di vescovi, duchi e privati.
19 Parlo delle liste di decime che intorno al 1300 ci danno la
base per una determinazione abbastanza precisa dei confini
diocesani in Toscana; vd. RATIONES DECIMARUM I-II
con le carte topografiche in appendice.
20 HLAWITSCHKA 1960, p. 23, GASPARRI 1978, p. 57.
Conosciamo un duca di Firenze solo da una lettera di papa
Adriano I a Carlo Magno databile al 787 - 791; vd. CODEX
CAROLINUS 1892, pp. 623 sgg. n. 87. Per il periodo longobardo i documenti fiorentini mancano quasi completamente. Con grande probabilità Firenze è stata ducato già dai primi tempi dei Longobardi in Italia. Spero di poter tornare su
questa problematica nel futuro.
21 Sui Gastaldi nel periodo longobardo vd. MOR 1980, pp.
763 sgg. con bibliografia. GASPARRI 1990, p. 261 con n. 55
forse con certa ragione vede discutibile la rigida tesi tradizionale riguardante la posizione di duca e gastaldo fino ad
ora accettata dalla ricerca, che per me però - almeno come
punto di partenza per molte problematiche - sembra ancora
accettabile.
22 Vd. il buon riassunto della ricerca da RAUTY 1988, pp.
67 sgg..
23 KURZE 1992, pp. 55 sgg..
24 Vd. sotto nota n. 67.
25 KURZE 1986, pp. 432 sgg..
26 Vd. supra.
27 Cfr. supra nota n. 3 la raccolta del materiale a disposizione.
28 Per la consistenza del materiale e per avere una idea più
precisa sulla distribuzione cronologica dei documenti del
fondo di Lucca vd. ENDRES 1918 p. 245 n. 12 e SCHWARZMAIER 1971 pp. 1 sgg., Idem 1972, pp. 9 sgg. KURZE 1989,
pp. 1 sgg. e spec. le grafiche pp. 19 sgg..
La consistenza di questo gruppo di documenti, per i secoli dall’VIII al X, è di 113 pezzi 29. Per
mostrare quale sia la loro distribuzione nel tempo, ho approntato anche una statistica. L’elaborazione grafica rivela che le prime pergamene
legate alla proprietà lucchese nella zona della
Maremma, si ritrovano già nella parte più antica del fondo, degli inizi dell’ottavo secolo. Nel
periodo dell’occupazione dell’Italia da parte dei
Franchi, negli anni 60, 70, 80 dell’ottavo secolo,
le attività documentate da queste pergamene
arrivano fino al 20% delle attività documentate
dall’intero fondo 30.
Se ci domandiamo, come sia possibile già in
età longobarda una così estesa proprietà ed una
così intensa attività dei Lucchesi in queste zone
molto lontane dal loro territorio di origine, non
ci resta altra spiegazione che supporre che tale
fenomeno sia da collegare col periodo di occupazione della Toscana da parte dei Longobardi lucchesi s’intende. Solo in quella fase i Lucchesi
ebbero la possibilità, nonché il comprensibile interesse, a ottenere tanti possessi lontani dalla
zona del loro potere centrale. Tale inquadramento cronologico è rafforzato inoltre dal fatto
che già nei primi decenni dopo l’occupazione carolingia i proprietari lucchesi della nostra zona
tentarono di liquidare i loro beni tanto lontani,
poco lucrativi e così difficili da amministrare 31.
Allora, dopo l’ampliamento del territorio verso sud ai danni dei Pisani - guardate le indicazioni sulla carta 32- il dux di Lucca occupò anche
l’area alla bocca della Cecina ed espugnò Populonia.
La fonte di quest’ultimo evento - un episodio
narrato nei dialoghi di Gregorio Magno - la abbiamo già presentata poc’anzi 33. La storiografia
generalmente concorda in una datazione agli
anni 574-76 34. Con un po’ di cautela in più si
possono considerare gli anni settanta del VI secolo come data per la fuga e la morte del vescovo
Cerbonio e per l’occupazione di Populonia da
parte del dux Grimarit.
Una conferma di tale datazione viene da una
lettera di Gregorio Magno del gennaio 591. In
essa Gregorio chiede aiuto al vescovo di Roselle
per rinnovare la vita religiosa nella diocesi di
Populonia rimasta senza vescovo. Il prelato Rosellano avrebbe dovuto ordinare un presbitero
per il duomo e due diaconi e ancora tre presbiteri in diverse parrocchie per soddisfare le esigenze liturgiche della diocesi. Perché - scrive il papa - il servizio liturgico non è assicurato neppu-
29 Cito qui solo il numero di BARSOCCHINI 1837, 1841
coll’anno di stesura del documento in parentesi. Cosi i testi
delle pergamene che BARSOCCHINI solo regestava devono
essere consultati nelle edizioni del CDL e di BERTINI 1818,
1836: 9 (721), 19 (736), 32 (744), 35 (746), 38 (747), 40 (748),
41 (750), 44 (752), 46 (753), 47 (754), 56 (758), 66 (760), 68
(761), 69 (761), 72 (761), 79 (762), 80 (762), 87 (764), 96
(766), 98 (766), 106 (768), 109 (768), 111 (768), 116 (770),
117 (770), 118 (770), 119 (770), 129 (771), 134 (772), 166
(777), 167 (777), 170 (778), 171 (778), 172 (778), 173 (779),
176 (779), 180 (780), 185 (782), 188 (782), 190 (783), 194
(784), 196 (784), 201 (785), 210 (786), 222 (788), 223 (788),
232 (790), 234 (791), 252 (796), 257 ( 796), 260 (797), 291
(800), 303 (802), 313 (803), 324 (805), 338 (807), 346 (807),
365 (809), 369 (810), 391 (814), 418 (818), 477 (826), 478
(826), 490 (827), 493 (827), 500 (829), 514 (831), 562 (839),
570 (840), 576 (841), 646 (847), 728 (856), 731 (856), 759
(862), 764 (863), 804 (867), 812 (872), 855 (874), 919 (882),
923 (882), 934 (884), 991 (893), 1000 (896),1768 (901), 1092
(906), 1113 (908), 1236 (936), 1276 (940), 1277 (940), 1288
(942), 1291 (942), 1293 (942), 1294 (942), 1331 (949), 1335
(951), 1342 (952), 1343 (952), 1352 (953), 1369 (956), 1416
(970), 1419 (970), 1449 (974), 1494 (979), 1516 (980), 1517
(980), 1525 (983), 1530 (983), 1535 (983), 1562 (983), 1607
(986), 1772 (989), l705 (996), 1751 (1000).
30 La statistica elaborata graficamente che riguarda tutto il
fondo è anche basata su BARSOCCHINI 1837, 1841.
31 Significativo in generale per questo è l’ alto numero di affari negli anni 70 e 80 dell’ ottavo secolo come mostra bene
la grafica. Molto chiare per esempio le parole del livellario in
BARSOCCHINI 1837, n. 365 (809) : quia dum tu dominus
Jacobe gratia Dei episcopus substantia ecclesie episcopati
vestri S. Martini, qui est in loco Tucciano fine civitatis Sua nensi, longe a vobis esset, et a pravis hominibus invaderetur,
et cognovissetis ea nimis deserta ac destitutam...
32 Vd. appendice. Cfr. anche KURZE 1992, pp. 55 sgg. con la
carta appendice V.
33 ) Vd. supra.
34 Vd. per esempio VOLPE 1901 p. 387. GREGORIO MAGNO DIALOGHI p. 156 n. 1. LANZONI 1927, I 557. CONTI
1962-63, p. 150. CONTI 1973, p. 102 sposta la data a dopo
591. CONTE 1978, p. 236. GARZELLA 1991, pp. 2 sgg., 4,
etc.
re per i funerali e i battesimi 35.
È evidente che tale situazione, nel Populoniese, non poteva essere insorta di recente. La
richiesta di Gregorio presuppone infatti un progressivo peggioramento ormai di lunga data. Ed
esso sembra coincidere proprio con la data
dell’espugnazione di Populonia negli anni settanta. Dieci - quindici anni sembrano un periodo accettabile per portare una diocesi al riferito
punto di degrado.
In seguito i Lucchesi occuparono una gran
parte del territorio Populoniese. Queste terre
furono poi inserite nella iudiciaria di Lucca 36. Il
centro di quella che potremmo definire la colonia lucchese era la chiesa di S. Regolo dove riposavano le reliquie del vecchio vescovo di Populonia 37; 46 degli 81 documenti tramandati relativi a questo territorio fino all’anno 1000 affrontano problemi concernenti S. Regolo 38.
Le nostre fonti ci mostrano senza dubbio per
la regione l’intensa penetrazione e l’avanzata
organizzazione dei Longobardi di Lucca. In questo periodo possiamo quindi evidenziare con
ogni probabilità nella zona di Populonia una
prima fase di arresto della occupazione lucchese.
Poi l’espansione proseguì verso Roselle e Sovana. Però il numero dei documenti che ci mostrano questi movimenti appare molto più esi-
guo quando lo si paragona a quello relativo al
Populoniese 39.
Nel Rosellano troviamo proprietà lucchesi
nei paraggi di Colonna - oggi nuovamente chiamata Vetulonia - Ravi, Grosseto, Istia e Galliano 40. Anche l’abbazia di S. Bartolomeo di Sestinga, sotto Vetulonia, fu fondata nei primi anni dell’XI secolo sulla proprietà di una famiglia
lucchese 41.
Proprietà e influenza lucchese si ritrovano
anche nel Sovanese, nei paesi di Tucciano, Luciano e Muciano, tutti e tre nella alta valle del
fiume Albenga 42. Non troppo distante da Roccalbegna - dunque nella stessa zona - troviamo
sulla carta a 25.000 un podere S. Regolo - oggi
non più abitato. Più a sud troviamo ancora una
chiesa di S. Regolo a Magliano 43.
S. Regolo della Val di Cornia, di cui abbiamo
già parlato, fu un santo in cui a tal punto i Lucchesi si riconobbero che le sue reliquie già nel
781 furono portate in città 44. La sua scelta come
patrono di chiese e proprietà è quasi sempre
l’indizio di un legame con la città di Lucca.
Come mostra la nostra carta disegnata sulla
base della documentazione qui menzionata, in
prossimità dei punti indicati con le frecce finì
nell’ottavo-nono secolo l’influenza lucchese.
Dobbiamo dedurre, che la penetrazione dei duchi lucchesi nel sesto secolo arrivò agli stessi
35 GREGORII I PAPAE REGISTRUM I n. 15.
36 Base dell’ informazione sempre SCHNEIDER 1975, pp.
116 sgg.. Sulla topografia della regione vd. ancora BERTINI
1818, pp. 20 - 49. Recentemente CECCARELLI LEMUT
1985, pp. 20 - 46. Sulla storia istituzionale del Populoniese
nel periodo carolingio vd. ROSSETTI 1973, pp. 246 sgg..
37 Su S. Regolo cfr. ACTA SS 1. sett. I 223 - 240 spec. p. 226.
Le reliquie furono traslate dalla Val di Cornia a Lucca dove
sono documentate per la prima volta nell’ anno 781. Vd.
BARSOCCHINI 1837 n. 182. Per la datazione vd. GUIDI
1906, pp. 518 sgg..
38 Vd. la statistica.
39 Agli 81 documenti che riguardano il Populoniese se ne
devono aggiungere 12 per il Rosellano e 12 per il Sovanese.
La zona di Vada che in qualche documento sembra essere in
un certo senso collegata col Populoniese e documentata 14
volte. Il numero totale qui è più alto del numero dei documenti perché qualche pergamena riguarda più di una zona.
4 0 BARSOCCHINI 1837,1841, nn. 9 (721), 69 (761), 72
(761), 80 (762), 116 (770), 166 (777), 190 (783), 232 (790),
313 (803), 514 (831), 759 (862), 1276 (940).
41 Sul monastero vd. KEHR 1908, pp. 263 sgg.. Il materiale
pergamenaceo nel fondo S. Agostino dell’Archivio di Stato a
Siena è ancora inedito. Consultabile è solo l’inventario
dell’archivio di LISINI 1908. Qualche documento stampava
BERTOLINI 1774, pp. 209 sgg.. Manca il documento di fondazione della Sestinga. Il collegamento con Lucca risulta
per esempio dal fatto che il monastero fu fondato su una collina chiamata S. Frediano o che la più importante chiesa
della proprietà è S. Martino e S. Cerbone in Caldana. In un
documento del 3 ottobre 1234 viene nominato un vescovo di
Massa come fondatore di Sestinga e viene provato che il ve-
scovo di Grosseto non avesse nessun diritto sopra il monastero. Anche questo distacco da Roselle è un argomento per
il collegamento coll’ambiente lucchese. Cfr. LISINI 1908, p.
253. In questo senso argomenta anche la CECCARELLI LEMUT 1985, p. 34 n. 54.
42 I documenti che riguardano Sovana: BARSOCCHINI
1837 nn. 19 (736), 44 (752), 46 (753), 79 (762), 98 (766), 116
(770), 166 (777), 365 (809), 490 (827), 493 (827), 576 (841),
759 (862). I tre paesi non si trovavano a grande distanza uno
dall’altro come mostrano i documenti citati. Tutti i tre toponimi oggi non esistono più. Per questo non si è mai arrivati
ad una convincente identificazione. La documentazione del
monastero di S. Salvatore al Monte Amiata però permette
ora una precisazione. CDA n. 149 collega Iuniano con la foresta di Litinano nel Sovanese vicino al fiume Albegna. Nei
documenti CDA n. 202, 234, 263, 272, 361, una curtis Iunia no/Iungano è collegata con una chiesa di S. Stefano. In una
lista di Censi (CDA Zl) databile intorno al mille, da pagare
al monastero nella zona di Campusona/Roccalbegna si seguono: S. Stefano, Atriana, Tuscianu, Iunganu, Setzanu. In
CDA n. 234 è collegato anche Iungano con Sezzanu. L’insieme di questa documentazione mette in evidenza che tutte
queste località si trovavano nella zona di Roccalbegna-Triana. Tale identificazione è collegabile anche colla richiesta ai
livellari di diversi contratti lucchesi di portare come angaria
i contributi in natura fino a Roselle. La strada sopra la valle del Trasubbino-Trasubbie verso Istia e Roselle deve avere un tracciato antico.
43 S. Regolo si trova all’altezza di Cana dall’altro lato della
valle del Trasubbino. La canonica di S. Regolo in Magliano
vd. RATIONES DECIMARUM 1932, n. 2886, ibid 1942, n.
2908.
44 Cfr. supra nota n. 37.
TAV. 1 La conquista longobarda della Toscana meridionale.
direttrici della conquista
chiusina
area annessa alla iudiciaria lucchese
area annessa alla iudiciaria chiusina
centri menzionati nel testo
corridoio Roma Ravenna
frontiera fra Tuscia romana e Tuscia longobarda
area di presenza dei Traspadini
punti e si arrestò 45. Concorda pienamente con
questa interpretazione l’osservazione che troviamo indicazioni di proprietà anche degli alleati più o meno coatti dei Lucchesi, cioè dei Pistoiesi, nelle stesse zone, a Cornino-S. Regolo e
a Pereta-Tucciano 46.
Perché la penetrazione dei Lucchesi si fermò
qui? L’occupazione longobarda arrivò molto più
a sud!
Quando Carlo Citter vide per la prima volta
la mia carta preparata per la conferenza al
Monte Barro - che grosso modo corrispondeva a
quella qui pubblicata 47 - mi disse di aver raccolto alcuni indizi archeologici per una linea di difesa dei Romani - Bizantini fra il lago di Bolsena
e il mare. E ciò equivaleva a dire che in questo
caso le ipotesi fatte in base alle fonti archeologiche corrispondevano a quelle costruite da documenti storici.
Date queste premesse, la storia può addurre
ancora altri riferimenti per approfondire l’idea
di questa linea di difesa, e può inoltre avanzare
proposte per una datazione della costruzione e
del crollo di tale sistema.
L’efficienza di questa linea difensiva dipende
fra l’altro da una differenza geomorfologica fra
la parte settentrionale e meridionale della Toscana. Giulio Schmiedt ha descritto bene questa
difformità in una relazione al congresso spoletino sui problemi delle città italiane nel medioe-
45) Vd. carta.
46) Gaidoaldo medico dei re longobardi regalava al monastero di S. Bartolomeo, da lui fondato a Pistoia, beni finibus
Maretima in loco qui nuncupatur Cornino Vd.. CDL II, n.
203 p. 208. RAUTY 1988 pp. 116 sgg.. La proprietà del vescovo di Pistoia delle due pievi in Pereta e Tucciano cono-
sciamo dalla notizia che dava ZACHARIA 1755, p. 212, tirata fuori da un codice del XII secolo dell’archivio di Stato di
Firenze, Capitulo 1138. Vd. ora RAUTY 1988 pp. 248 sgg..
La proprietà di Pisani nel Cornino e in Gavorrano credo
però sia da attribuire a un periodo più tardo quando Pisa era
sotto l’influsso lucchese. Vd. CDL II n. 295, p. 443.
47 Vd.supra.
vo. Le sue parole: “la parte meridionale è costituita essenzialmente da terreni tufacei divisi da
una serie molto raffittita di valli e vallecole...
quella settentrionale in parte collinare o montuosa, presenta valli molto distanziate e caratteristiche litologiche diverse (rilievi argillosisabbiosi, calcarei etc.)” 48.
Da questa caratterizzazione emerge chiaramente che per un esercito in attacco la zona settentrionale presenta assai minori problemi
strategici e tattici. Nella parte meridionale invece, nella cosiddetta zona dei tufi, un esercito
trova molte difficoltà soprattutto quando gli aggressori non hanno familiarità con le complicate strutture geomorfologiche della regione 49.
Come abbiamo visto, le fonti lucchesi ci mostrano bene che l’attacco dei guerrieri di quella
città si è arrestato dinanzi al descritto ostacolo.
La linea di difesa però crollò poco prima del
59350. Questo fatto mostra chiaramente che i
movimenti bellici dei Longobardi che provocarono il crollo, vennero dall’altra parte, arrivarono
dal sud.
Per spiegare la nuova situazione occorre parlare della documentazione pervenutaci relativamente al coinvolgimento degli Spoletini nella
conquista longobarda della Maremma romanobizantina.
Il materiale a nostra disposizione per tale
chiarimento si trova nella ricca tradizione di
Farfa 51. Per questa abbazia - molto favorita dai
duchi di Spoleto - è documentata un’estesa proprietà nelle zone di Viterbo e Tarquinia 52. Punto di partenza per tali accumulazioni di beni
nelle due zone potrebbero essere benissimo - come abbiamo constatato nel caso di Lucca - alcune antiche proprietà di persone strettamente legate all’area Spoletina nel Tarquinese risalenti
all’attività espansionistica dei duchi di Spoleto
nel sesto secolo.
Indicazioni per riconoscere una tale situazione si trovano soprattutto nel Viterbese, dove le
più antiche donazioni in favore di Farfa sono già
del periodo longobardo 53. La cella di S. Maria al
Mignone, vicino Tarquinia è documentata invece per la prima volta solo come dono di Carlo
Magno - seppure in un documento falso 54. Non
c’è dubbio però che nel nono secolo S. Maria è
già proprietà di Farfa 55. Il riferimento nel diploma a Carlo Magno potrebbe essere solo un
accenno alla politica carolingia - riconoscibile
anche altrove - di ampliamento delle responsabilità amministrative delle abbazie del regno
anche verso aree molto lontane dal rispettivo
centro monastico 56. Però, poiché la citazione si
trova inserita in un diploma falso, mi sembra
più probabile che si tratti di un tentativo da parte del monastero di esibire una conferma dei
nuovi sovrani carolingi di una situazione anteriore al loro dominio, e che per i monaci forse
non era più documentabile in altra forma.
È però indubbio il coinvolgimento degli Spoletini nelle attività belliche in Maremma. Abbiamo anche una data sicura collegabile a tale attività. Nel giugno del 592 papa Gregorio lamentava in una lettera che Ariulfo di Spoleto stava
passando all’attacco della città di Sovana 57.
Il duca veniva da sud, la qual cosa vanificò la
linea di difesa che era invece organizzata contro
gli attacchi da nord. In questo modo gli Spoletini riuscirono ad interrompere o almeno ad ostacolare il collegamento della zona di difesa con
Roma, da dove potevano arrivare nuovi contingenti di truppe e probabilmente anche molti
rifornimenti. La citata lettera di Gregorio e
un’altra - contemporanea - ci informano esaustivamente a tal proposito 58. Forse Sovana cadde
già nel 592, o al massimo nell’anno successivo,
48) Vd. SCHMIEDT 1974, p. 576.
49) Cfr. le formulazioni che C. Citter ha trovato per spiegare la problematica in questo stesso lavoro.
50 Vd. KURZE 1986, pp. 431 sgg. e supra cap. 1.
51) Vd. REGESTO DI FARFA
52) Vd. ibid. i docc. 1, 2, 5, 7, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 17, 28,
48, 53, 58, 68, 76, 80 per il periodo longobardo. Il grande interesse dei duchi spoletini per le vicende di Farfa già dal momento della fondazione del monastero mette in rilievo per
diverse situazioni SCHUSTER 1921, pp. 25, 29 - 40.
53 Per la storia di Viterbo nell’Alto Medioevo vd. LANCONELLI 1992, pp. 247 sgg.. Dal periodo longobardo risultano
da questa zona i documenti del REGESTO DI FARFA nn.
41,67,69,74 degli anni prima del 767 - 774. Gli stretti rapporti di questa zona coll’ ambiente spoletino nel periodo longobardo risultano anche dal doc. 92 dell’anno 775. Con questo documento un habitator castri Viterbii fa donazione a
Farfa di tutta la sua proprietà in Viterbo, Tuscania, Norchia
e Castro, super alpes et aliis quibusque locis vel finibus lan gobardorum. Questi beni possedeva tam ex iure parentum
quam ex comparatione vel ex dono regum. Esclude la parte
da lui già regalata a S. Salvatore di Rieti. La circoscritta zona con proprietà del donatore corrisponde perfettamente col
territorio qui in discussione.
54 Nel REGESTO DI FARFA Gregorio di Catino ha copiato
il documento coll’anno 801, cioè come diploma di Carlo Magno, vd. REGESTO DI FARFA n. 273. La sua assegnazione
viene confermata nel suo CHRONICON FARFENSE p. 29.
E. Mühlbacher nella sua edizione dei diplomi di Carlo Magno MGH DD I non ha neanche preso in considerazione questo pezzo come falso di Carlo Magno. Cfr. però la discussione del documento nella edizione MGH DD Karl III.n. 179
pp. 295 sgg. di P. F. Kehr.
55 Cfr. ibid. la introduzione di Kehr al diploma n. 179. Per
la proprietà nella zona vd. TRON 1982, pp. 21 sgg. e SCHUSTER 1921, p. 45.
56 Vd. KURZE 1988, p. 4. Idem 1990, p. 18.
57 GREGORII I PAPAE REGISTRUM II 28.
58 Ibid. II 27, II 28.
in seguito all’intervento di re Agilulfo.
Sembra che nel 592 Gregorio sia riuscito ancora a tenere la situazione sotto controllo. Fece
pace con i Longobardi toscani - probabilmente
con i Lucchesi, forse anche con i Chiusini come
vedremo fra poco 59. Poi provò a tirare dalla sua
parte il duca di Spoleto - pagandolo. Fu l’esarca
romano a compromettere il momento di calma,
riconquistando fra l’altro Sutri, Orte, Bomarzo,
Amelia, Todi e Perugia, città forse - almeno in
parte - precedentemente conquistate dagli Spoletini 60.
Stavolta fu l’energico nuovo re longobardo
Agilulfo, a reagire. Riprese Perugia e marciò su
Roma. Per buona sorte di Gregorio anche Agilulfo voleva la pace. Così papa e re si misero
d’accordo - come ho già accennato - per il rispetto dello status quo ante. Agilulfo restituì Perugia. La città era molto importante per salvaguardare il corridoio che collegava Roma con
Ravenna. Gregorio da parte sua accettò l’allargamento del territorio longobardo verso sud fino
al Mignone 61.
La situazione storica ora descritta permette
un’unica interpretazione, che la parte occupata
dai Longobardi fra la linea di difesa all’altezza
del Lago di Bolsena e del fiume Mignone venisse conquistata definitivamente da re Agilulfo.
Una conferma di ciò si può vedere anche nel fatto che a Tuscania si trova nel periodo longobardo un gastaldo, un rappresentante del re 62.
L’asserzione che la conquista del territorio
fra il lago di Bolsena e il fiume Mignone sia opera di Agilulfo, compiuta con le forze longobarde
dell’Alta Italia, trova conferma anche in una osservazione relativa al materiale pergamenaceo
del fondo di S. Salvatore al Monte Amiata. Nei
documenti di questo monastero si trova un numero piuttosto alto di traspadani, cioè di persone originarie della zona d’oltre Po. Fra gli anni
765 e 808 ho trovato menzionati ben sei di questi uomini. Tutti abitavano in una zona a sudo-
vest del Lago di Bolsena ca. fra Marta - Tuscania - Piansano 63.
Sulla carta ho indicato con un triangolo la zona in cui fra gli indigeni Tuscanesi si trovava
questo gruppo di Longobardi dell’Alta Italia che da tutta la documentazione di S. Salvatore
risultano solo qui. Molto probabilmente si tratta di discendenti di famiglie arrivate coll’esercito di Agilulfo, e che si insediarono in questa zona a sud della vecchia linea di difesa bizantina.
Durante la mia esposizione dell’avanzata dei
Longobardi nella zona di Populonia ho accennato al fatto che la distribuzione quantitativa del
materiale pergamenaceo fornisce forse l’indicazione di una prima battuta di arresto della penetrazione Lucchese. E questo potrebbe rimandare ad un altro tentativo da parte dei Bizantini di bloccare l’avanzata dei Longobardi con una
linea di difesa a sud del territorio Populoniese64.
Per la situazione geomorfologica la zona sembra
molto adatta alla difesa contro un esercito in
movimento. La valle del Bruna e la pianura di
Scarlino - Follonica, cioè gli unici passaggi naturali, sono circondate da alte montagne.
Questa interpretazione è corroborata dalle
fonti che appartengono all’ambito dell’altra potenza ducale toscana qui in discussione, cioè
Chiusi. Il territorio di questa città con grande
probabilità nel periodo etrusco si estendeva solo
fino alle pendici orientali del Monte Amiata 65.
Non ci si aspetta che questa situazione sia mutata di molto in epoca romana 66, ma per accertarsene mancano purtroppo fonti precise. Come
ho già accennato, nel medioevo il territorio e la
diocesi di Chiusi comprendevano tutta la montagna amiatina 67. E questo allargamento del
territorio è da ricondurre al sesto secolo.
L’espansione chiusina in direzione ovest sembra essere arrivata fino al mare nella zona di
Castiglion della Pescaia. Qui troviamo documentate proprietà chiusine al principio del nono
secolo 68. Ma anche in Giuncarico, nella Marem-
59 Ibid. V 36, p. 306. Vd. BERTOLINI 1941, p. 246. Vd.anche il riassunto di KURZE 1986, pp. 431 sgg.. Per la situazione di Chiusi cfr. sotto.
60 Vd. BERTOLINI 1941, pp. 246 sgg., KURZE 1986, pp.
431 sgg..
61 Vd. BERTOLINI 1941, pp. 248 sgg., KURZE 1986, pp.
432 sgg..
62 Il gastaldo Rammingo veniva incaricato dal re Liutprando di accompagnare il papa nelle quattro città che dovevano
essere restituite dopo l’incontro di Terni del 742, vd. LIBER
PONTIFICALIS I, p. 428. BERTOLINI 1941, pp. 482 sgg.,
JARNUT 1972, p. 366 n. XCIII.
63 CDA n. 12 (765) havitator in Marta. n. 34 (787) havitator
vico Mariano. n. 34 (787) de vico Rofinano. n. 39 (791) de vi cu Dianu. n. 42 (793) de S. Ambrosio - si tratta di beni in Ma rano. n. 63 (808) habitator hic Tuscana. Le località sono da
identificare: Marano/Mariano = 2-3 km. sudovest di Pian-
sano. Rofinano = fra Tuscania e lago di Bolsena. Vicu Dianu
= vicino Tuscania oltre il Marta. S. Ambrosio = si tratta
eventualmente di una citazione di Milano ?
64 Vd. supra.
65 Vd. STACCIOLI 1984, la carta a p. 89 e la descrizione del
territorio su p. 373. Cfr. anche le vecchie proposte di PFIFFIG 1966, Karte I in appendice riguardanti questa zona che
in gran parte corrispondono.
66 Questa impressione ci dà almeno una visione generale
della zona del Monte Amiata. Vd. KURZE 1990, pp. 14 sgg..
e la bibliografia nell’ appendice a p. 36.
67 Vd. la carta nell’ appendice delle RATIONES DECIMARUM II.
68 In un diploma di Lodovico I per il monastero di S. Antimo. Vd. REGESTA IMPERII n. 559 del 29 dicembre 814.
Cfr. SCHNEIDER 1975, pp. 123 sgg. con n. 97. Il contenuto
elencato da CANESTRELLI 1910-1912, p. 4.
ma Rosellana, ancora nel periodo longobardo ci
sono beni di un exercitalis di Chiusi 69.
Sulla carta ho collegato con una linea i punti
indicati: Chiusi - Giuncarico - Castiglion della
Pescaia. La situazione grafica ci suggerisce
l’idea che un eventuale arresto dell’avanzata
delle forze lucchesi a nord in una zona grosso
modo compresa fra la montagna di Tirli-Scarlino e quella di Roccastrada dipendesse da una linea di difesa bizantina in questi paraggi. Più
tardi - come nella zona di Sovana - tale linea non
fu più difendibile quando - come a Sovana - i nemici arrivarono alle spalle 70. Dovette dunque
essere l’attacco chiusino ad aprire la strada ai
Lucchesi per arrivare giù fino a Sovana.
Ma questa non sembra l’unica strada imboccata dai Chiusini nella loro espansione. Dalla
documentazione non molto ricca di questa città
risultano nell’ottavo e nel nono secolo tre Chiusini abitanti o possessori nel Sovanese 71. Questo fatto alimenta il sospetto che i Longobardi di
Chiusi siano arrivati nel sesto secolo direttamente a Sovana dalla parte nordest. La qual cosa appare tanto più probabile perché già dal periodo etrusco Sovana era in contatto con Chiusi
e gli etruscologi ipotizzano persino una strada
che collegava i due centri 72. In un documento
del 752 è citato un abitante di Sovana dal quale
ci si aspettava disponibilità a spostare la sua residenza a Chiusi o a Castro 73. Ci si può domandare perché non si ipotizzi anche uno spostamento per esempio a Roselle? Senz’altro quest’uomo potrebbe aver avuto per le sue decisioni
tante ragioni che non conosciamo, però tale situazione potrebbe benissimo essere un tardo riferimento ad una rete di collegamenti con altre
aree che appariva usuale e che corrispondeva
alla vecchia strada da Vulci a Sovana e Chiusi.
Osservazioni di questo tipo permettono di
ipotizzare che anche i Chiusini siano stati coinvolti nella occupazione di Sovana. Dunque che
anch’essi abbiano avuto parte nel trattato di pace che papa Gregorio Magno nell’anno 592 concluse coi Longobardi della Tuscia 74.
Siamo arrivati alla conclusione di questo di-
scorso. Abbiamo individuato due eventuali linee
di difesa bizantina, due frontiere fluttuanti. Per
una, quella a sud di Populonia, gli argomenti sono ancora un po’ vaghi, per l’altra, fra il lago di
Bolsena e la costa tirrenica, gli argomenti sono
già abbastanza convincenti. Abbiamo poi indirizzato l’attenzione alla frontiera del Mignone,
ancora fluttuante fino all’anno 593, poi fissa per
lungo tempo.
Proviamo ora a fare in breve qualche considerazione sulle conseguenze che avevano queste frontiere per lo sviluppo o l’esaurimento
dell’attività insediativa, e per la vita degli abitanti di confine.
Già a prima vista è evidente che nel caso della frontiera fissa le conseguenze furono più gravi. Il nuovo confine creato dal papa e dal re longobardo fu il risultato di accordi presi a tavolino. Rispettava per esempio per lunghi tratti gli
antichi confini dei territori cittadini, ma mostrava anche in diversi punti di corrispondere
ad occasionali frontiere che si erano create perché la base di partenza per le trattative era costituita dai territori raggiunti dagli eserciti in
guerra.
La situazione è riconoscibile molto chiaramente seguendo l’andamento della frontiera così come fu ricostruita con grande precisione da
Fedor Schneider 75. Nella zona della Maremma
Tarquiniese, per esempio, la frontiera col Mignone rispettava gli antichi confini dei territori76. Nella zona di Ferento la nuova frontiera tagliava invece il territorio in due parti. Questo
appare evidente con la riorganizzazione delle
diocesi. Le due parti finirono infatti con l’orientarsi verso i nuovi centri di Tuscania e Bomarzo,
sui due versanti della frontiera 77.
Come ho detto, è proprio questa nuova frontiera fissa che comporta gravi conseguenze per
lo sviluppo degli insediamenti nelle vicinanze.
Nella parte Maremmana va ricordato il caso di
Tarquinia. La città, già da lungo tempo in progressiva decadenza, come sappiamo dal poema
di Rutilio Namaziano del 416 78, sicuramente
soffrì della nuova frontiera che correva molto vi-
69 CDA I nn. 19, 20 del marzo 772.
70 Cfr. supra.
71 CDA I nn. 8 (752), 149 (867/68), 154 (873).
72 BIANCHI BANDINELLI 1929, p. 17 ricostruisce il collegamento stradale fino a Chiusi. Vd. ibid. anche p. 30. MAGGIANI 1985, pp. 84 sgg. accenna alla vicinanza di Sovana
alla valle del Fiora dove passava il commercio fra Vulci e Orvieto/Chiusi. Ibid ipotizza per il VI secolo a.C. la posizione di
Sovana come punto di appoggio di Vulci per il commercio
coll’Etruria settentrionale (ceramica chiusina). A p. 86 per il
terzo secolo a.C. sottolinea la mancanza singolare di connessioni con Vulci e accenna al fatto che l’onomastica in quel
momento dipende da Chiusi e Perugia.
73 CDA I n. 8.
74 Cfr. supra.
75 SCHNEIDER 1975, pp. 24 sgg.. Vd. anche la carta che ci
dà HAMEL 1899, in appendice e la minuziosa ricerca antecedente di ROSSI, EGIDI 1908 passim.
76 DE ROSSI 1875, pp. 104 - 110 a base delle formulazioni delle epigrafi funerarie ha messo in evidenza un vecchio confine fra
Centumcelle (Civitavecchia) e Tarquinia ca. nella valle del Mignone. Con questo corrisponde già il confine del Ager Romanus
prima del 369 a. C. indicato nell’appendice di PFIFFIG 1966.
77 Vd. DUCHESNE 1892, p. 490. JUNG 1903, p. 206.
78 Vd. RUTILIUS NAMATIANUS 1972, I 277 - 292. Per la
situazione in generale vd. SCHNEIDER 1975, p. 132.
cino e perse proprio in questo periodo la sua antica posizione a vantaggio di uno dei futuri centri della Tuscia longobarda: prima del 595 la sede episcopale fu infatti trasferita da Tarquinia a
Tuscania 79.
Diversa dev’essere stata la situazione più ad
est, a Ferento - Bomarzo. Secondo Gregorio Magno 80 questa terra - al contrario della Maremma
- era ricca di popolazione. “Gli uomini qui vivevano assiepati come in un campo di spighe” dice
il papa. E non dice solo che questa zona fu occupata dai Longobardi con attacchi crudeli e sanguinosi, ma usa le parole: “ci afferravano per la
cervice”. Parole che appunto testimoniano che
qui veniva toccata una zona di importanza vitale per il dominio bizantino e per Roma. Poi, commentando la drammatica situazione, Gregorio
disegna un quadro dalle tinte fosche: “i Longobardi” scrive “spopolavano le città, radevano al
suolo i castelli, bruciavano le chiese, devastavano i conventi maschili e femminili. I beni venivano abbandonati dalla gente ed i campi desolati.
Nessun proprietario vi dimorava più. Dove prima c’erano gli uomini ora vivono bestie selvagge.
Non so che cosa sia successo in altre parti del
mondo, ma qui, nella nostra zona, il finimondo
non è solo annunciato ma è già incominciato.”
Che qui la situazione sia stata diversa da
quella della zona Maremmana si vede chiaramente anche dal fatto che la nuova frontiera non
rispettava da questa parte i vecchi confini tra le
città ma tagliava i territori. Così venivano distrutti antichi tramiti di comunicazione costruiti nel corso dei secoli e - cosa ancora più grave la frontiera non permetteva di crearne di nuovi.
Compulsando le leggi longobarde che parlano
della situazione delle frontiere, si deve constatare una grande rigidità, un controllo severo da
parte dell’amministrazione longobarda 81. D’ac-
cordo che le più rigide leggi sono del tempo di
Astolfo, di un periodo cioè di grandi tensioni, in
cui anche il commercio con un romano necessitava del permesso del re 82. Però probabilmente
in questo tempo si stavano solo irrigidendo idee
fondate sulla mentalità longobarda 83.
La zona vicina alla frontiera, un tempo ricca
di genti operose - come abbiamo sentito dal racconto di Gregorio 84 - cominciò gradualmente a
degradarsi mentre un’inversione di tendenza fu
possibile solo quando la frontiera sotto Carlo
Magno fu spostata molto più a nord, e Tuscania
e Sovana diventarono territori dello Stato Pontificio 85. Solo in questo periodo, per esempio, Viterbo e Tarquinia - ora col nome di Corneto - poterono divenire città di grande importanza.
Ma proprio la discussione fra papa Adriano e
Carlo Magno relativa alla formazione dello Stato Pontificio e ai suoi futuri confini 86 richiama
situazioni del sesto secolo rievocate nella nostra
ricerca sull’occupazione della Toscana. Per
esempio la zona che il re franco restituì (cioè Tuscania e Sovana) corrispondeva all’ultima conquista longobarda 87. Quel che Adriano chiedeva
oltre alla parte concessa (cioè Roselle e Populonia) 88 erano i territori occupati e probabilmente
sorvegliati dai Lucchesi, ma non integrati completamente nel loro ducato 89. Oltre a ciò la restituzione di Carlo Magno coincide all’incirca con i
vecchi confini amministrativi di Roma nei limiti
delle 100 miglia 90. Così forse questi confini sono
da mettere in relazione con la linea di difesa
all’altezza del Lago di Bolsena. Tutti questi sono
collegamenti ed intrecci ipotizzabili. Ma prima
di poterli disegnare in un unico quadro, ci sono
ancora molte domande da fare, molte ricerche da
elaborare, molti scavi da eseguire - e speriamo
anche da pubblicare. Fortunatamente la ricerca
storica non finirà mai. Per nostra fortuna.
79 La situazione di Tarquinia e di Tuscania è descritta da SCHNEIDER 1975 pp. 132 sgg.. Manca però l’ accenno ad un vescovo di Tuscania come partecipante al sinodo romano del 5 luglio
595. Vd. GREGORII I PAPAE REGISTRUM 1887 V 57a.
80 GREGORIO MAGNO, DIALOGHIpp. 226 sgg..
81 Vd. EDICTUS LANGOBARDORUM i corrispondenti
cap. pp. 13 126 sgg. 192 sgg.. Per facilitare la consultazione
vd. anche LEGGI DEI LONGOBARDI pp. 14 - 150 ; 242244. Già sotto Rotari (cap. 3) un uomo che tentava di fuggire dal regno (provincia) correva pericolo di morte. Liutprando (cap. 44) faceva controllare anche severamente gli stranieri in un altra iudiciaria. Ratchis (cap. 13) stabiliva che
nessun uomo potesse entrare o uscire- attraverso i confini senza un contrassegno o una lettera del re. Lui cita anche
espressamente i giudici nelle loro iudiciarie nei territori della Tuscia. Vd. anche le note seguenti 82 e 83.
82 Vd. Leges Ahistulfi cap. 4 nell’ EDICTUS LANGOBARDORUM pp. 196 sgg.. LEGGI DEI LONGOBARDI p. 250.
83 Le idee messe in rilievo non si sono sviluppate nel tempo
di Astolfo. La cosa risulta per esempio dal suo cap. 5 dove
stabilisce che le fortificazioni ai valichi di confine che sono in
rovina siano restaurate (clusas qui disruptae sunt ). Ciò ci
mostra che queste opere sono state costruite molto prima
del regno di Astolfo. Vd. EDICTUS LANGOBARDORUM p.
197. LEGGI DEI LONGOBARDI p. 252.
84 Vd. supra.
85 Vd. fra altri spec. la convincente documentazione a base
delle formule di datazione delle pergamene private da HAMEL 1899 pp. 14 sgg. spec. pp. 21 sgg. Sbagliata però è la
ipotesi dell autore che anche Roselle e Populonia siano state cedute al papa. Cfr. ibid. pp. 24 sgg..
86 Come fonti vd. tante lettere del CODEX CAROLINUS.
Sulla formazione vd. ARNALDI 1987.
87 Vd. supra.
88 Vd. CODEX CAROLINUS nn. 79, 80, 84 pp. 611, 613, 620.
89 Vd. supra.
90 Cfr. gli accenni che fa ARNALDI 1986, pp. 66 sgg. riguardanti il vasto settore dei problemi paragonabili e la vasta gamma di confronti possibili a base di fatti somiglianti.
Vd. anche ARNALDI 1987, pp. 138 sgg.
La frontiera meridionale (C. Citter)
L’analisi della documentazione scritta e materiale fornisce una chiara indicazione che
l’area fra il lago di Bolsena ed il mare Tirreno
costituì per un certo periodo una fascia di frontiera. È un aspetto nuovo che solo in questi ultimi anni storici ed archeologi hanno cominciato
ad esaminare con un progetto interdisciplinare.
Nonostante le ricerche sul territorio siano appena iniziate, vi sono già elementi che convergono
in questa direzione e sui quali intendo focalizzare la mia attenzione 91.
1. I precedenti. Evidenza di azioni belliche
che coinvolsero l’area in esame fra V e VI secolo.
Le incursioni gote avevano interessato la Tuscia e forse anche la Toscana meridionale e l’ alto Lazio, come farebbero supporre i provvedimenti imperiali a favore delle regioni suburbicarie 92 ed i numerosi ripostigli monetali databili al V secolo (tav. 2). Al porto Clementino, l’antica Graviscae, fu rinvenuto un tesoretto di 174
solidi aurei di fine IV 93; presso il fosso Castione
a nord di Marsiliana il piatto di A r d a b u r
Aspar94 e a Camporegio, presso l’abitato di Talamonaccio, un ripostiglio di 160 monete di
bronzo tipo AE4 databili ai primi del V secolo 95.
Alla fine del V sembra riferibile l’altro tesoretto
di 33 monete auree rinvenuto in località imprecisata fra Orbetello e Marsiliana 96. Non vi sono
tuttavia elementi che facciano pensare ad un sistema difensivo imperiale in questa zona, mentre più evidente è il quadro per la fascia a ridosso dell’Appennino, dove abbiamo significative
attestazioni epigrafiche 97.
Militari della schola gentilium sono attestati
a Firenze 98, militari della schola tertia scuta riorum erano invece ad Arezzo 99. Ancora a Fi-
renze era un domesticus, ufficiale alle dipendenze del comes domesticorum 100. Notiamo che
sia la schola scutariorum tertia, sia la schola
gentilium seniorum sono citate dalla Notitia Di gnitatum: sub dispositione viri illustris magistri
officiorum 101. Poiché non viene detto il luogo di
insediamento, non è possibile stabilire se queste
truppe erano fin dall’inizio a difesa dell’arco appenninico toscano o se, come mi sembra più ra gionevole, esse furono qui inviate a seguito delle incursioni gote.
Solo con la guerra gotica, a quanto sembra,
alcuni punti lungo la costa, ai quali va aggiunta
91 L’idea è nata da una serie di colloqui fra lo scrivente, Enrica Boldrini e Wilhelm Kurze. È stato quindi elaborato un
progetto che svilupperemo nei prossimi anni e che vede curatore della parte storica W. Kurze e curatori della parte archeologica il sottoscritto per gli aspetti dell’insediamento
fortificato, la Dott.ssa Boldrini per gli aspetti dell’insediamento rupestre, il Dott. Casi e la Prof. Negroni per l’insediamento protostorico e il Dott. Michelucci per il popolamento di età etrusca. La Prof. Onesti Francovich si occuperà della parte linguistica. I dati che esporrò sono il frutto delle continue discussioni con gli altri partecipanti al progetto, dunque non è tutta farina del mio sacco. Devo inoltre
ringraziare W. Kurze per il costante sostegno e i preziosi
suggerimenti che mi ha dato per la stesura di questo testo.
92 C. Th., XI, 28, 7, a.a. 413, esenzione per tutte o quasi le
province suburbicarie. Nel 405 o poco dopo è ricordata una
scorreria di Goti nella Tuscia e nel Piceno, sicuramente precedente a quella di Alarico (Jord., Rom., XXX). Ancora nel
422 gli effetti di quelle incursioni dovevano farsi sentire se
Onorio e Teodosio II devono di nuovo provvedere presso il
comes rerum privatarum a favore del Piceno e della Tuscia
(C. Th. XI, 28, 12).
93 BRUNETTI NARDI 1972, p. 81.
94 TONDO 1986. Il piatto si data al 434, ma ovviamente la
sepoltura deve essere avvenuta in un momento successivo.
95 CIAMPOLTRINI, RENDINI 1988, pp. 523 e sgg..
96 Ibidem, una è di Antemio e gli autori suppongono che anche le altre siano da riferire allo stesso periodo.
97 L’ipotesi è stata formulata per la prima volta in CIAMPOLTRINI 1989 sulla base di indicazioni presenti già in
HOFFMANN 1970.
98 C.I.L., XI, 1708 e 1711. Si devono inoltre aggiungere due
militari il cui corpo di appartenenza è ignoto- C.I.L., XI 1707
e CIAMPOLTRINI 1989 nota 4.
99 Dove è attestata nel 407 una Valeria evidentemente moglie di uno degli ufficiali. Si veda CIAMPOLTRINI 1989.
100 C.I.L., XI, 1731.
101 N.D., pars occ., IX, 7 e 8.
TAV. 2 I ripostigli monetali di V e VI secolo fra bassa
Toscana e alto Lazio.
✱
Ritrovamento di moneta/tesoretto.
probabilmente anche l’isola Martana, furono
utilizzati nei rapidi passaggi di fronte 102.
Alla prima fase della guerra gotica vanno
ascritti la moneta isolata a Bagnacci dell’Osa103
e il più cospicuo rinvenimento di monete di Teodorico al tombolo di Feniglia 104. È superfluo
ricordare che la fortificazione dell’arce di Cosa
si data proprio ai primi decenni del VI e che il
porto di Feniglia fu lo scalo tardoantico e altomedievale del castrum 105.
Il silenzio delle fonti documentarie su attività belliche in questa zona è sempre stato interpretato come assenza di eventi. I dati archeologici di Ansedonia, e forse anche di Talamonaccio e Poggio Cavolo, impongono quanto meno
una revisione del problema 106. Certo l’interesse
principale doveva essere concentrato sulle città
a presidio dei passi appenninici come Lucca, Pistoia, Fiesole e Arezzo, oltre a Chiusi.
Dunque né i comandi bizantini, né quelli goti avevano pianificato sistemi difensivi complessi durante la guerra, ma piuttosto si erano limitati a presidiare alcuni punti strategici. Del resto le alterne vicende ed i veloci cambi di fronte
rendevano impossibile un tipo di strategia basato sulla guerra di posizione.
Di minor valore numismatico, ma di grande
interesse storico anche le monete plumbee di
zecca lunense rinvenute a S. Biagio, sotto la collina di Cosa, e databili alla fine del VI, inizi del
VII secolo 107.
Della fine del VI è anche un solidus di Giustino rinvenuto a il Poderone, località Castellaccio, presso Sorano 108.
Osserviamo, in paragone a territori limitrofi come il Rosellano, che l’unico ripostiglio monetale a conoscenza di chi parla, escluso quello
di Sticciano Scalo che non sembra superare il
III secolo d.C. 109, è quello segnalato presso la
badia di Sestinga. In questo caso doveva trat-
102 Mi riferisco ai siti di Ansedonia, Talamonaccio e forse
anche Poggio Cavolo. Per la bibliografia relativa cfr. FENTRESS et alii 1991, CITTER 1993, FENTRESS 1994, CITTER 1995a. Per l’isola Martana CAGIANO DE AZEVEDO
1977 e 1980, ma si vedano anche le obiezioni di FO 1984-85.
103 Un tremisse di Ildibald citato da CARCHIDIO 1824.
104 GAMURRINI 1868. CIAMPOLTRINI 1993, p. 603.
105 Il porto è testimoniato da uno scarico di anfore e da
strutture murarie. Cfr. CELUZZA, REGOLI 1982, pp. 4446. CELUZZA 1991.
106 In questo senso è già FENTRESS et alii 1991, CITTER
1993 e da ultimo anche FENTRESS 1994.
107 TONDO 1977 propone una datazione, che mi sembra
corretta, al periodo della conquista longobarda della Maremma. Questo ben si accorda con il presidio bizantino
sull’arce di Cosa, che, collegato via mare con Luni, poteva sicuramente ricevere monete di quella città. Non mi sembra
pertanto accettabile la datazione alla seconda metà del VII
tarsi di monete auree bizantine. Ma in questa
zona, come ha mostrato Kurze, avvenne l’ incontro delle direttrici di invasione chiusina e
lucchese, quindi un ritrovamento del genere
non stupisce 110. Che l’insicurezza, almeno con
la guerra gotica, investa anche zone interne
della Toscana ne è esemplare testimonianza il
tesoretto goto di Galognano 111 presso Colle val
d’Elsa nel senese.
2. La frontiera fra bizantini e longobardi
Diverso è invece il quadro per la guerra bizantino-longobarda. Pur nell’assenza di ricerche mirate, l’area fra Sovana e Castro presenta
aspetti di notevole interesse che vanno ad aggiungersi agli indizi forniti dalla documentazione scritta. Esaminerò qui brevemente le necropoli, le epigrafi le modifiche bizantine alla viabilità romana. Vedremo che vi sono anche indizi
di carattere linguistico, ma la ricerca è appena
cominciata e quindi non disponiamo ancora di
dati statistici 112.
2.a. Le necropoli con corredi riferibili ad exer citales.
Cominciamo con i rinvenimenti di necropoli
in cui siano presenti guarnizioni di cintura per
sax o spada e/o parti dell’armamento degli exer citales longobardi. È noto che i Longobardi, durante le fasi della conquista, si limitavano a
presidiare il territorio, cioè i punti strategici,
che spesso erano gli stessi castra bizantini. In
alcuni casi più che di conquista si può addirittura parlare di semplice passaggio di fronte,
poiché molti Longobardi militavano in un primo momento nelle file imperiali. Dunque l’individuazione di elementi riferibili alla presenza
militare ci confermano la natura strategica di
un’area.
proposta in BERTINO 1983, p. 275.
108 CIAMPOLTRINI 1983.
109 MAETZKE 1957.
110 Per il tesoretto cfr. CURRI 1978, p. 112, nota 392. Un
tremisse di Maurizio o Tiberio II è stato segnalato a Castiglione della Pescaia, in evidente associazione al castrum.
Cfr. anche CITTER 1995a. Si veda quanto detto da Kurze in
questo stesso volume.
111 KURZE 1977.
112 Lo studio è curato dalla Prof. Onesti Francovich e parte
da un censimento dei toponimi sulla cartografia IGM al
25.000, sulla cartografia storica e sulla documentazione
d’archivio in un’area compresa fra l’Albegna ed il Marta.
Abbiamo in progetto anche di coinvolgere i gruppi locali per
una ricerca di microtoponomastica. Un’ampia area consente
al dato linguistico di assumere un valore statistico molto più
sicuro dei singoli toponimi.
In tutta la Toscana (tav. 3) abbiamo situazioni del genere nelle sedi amministrative sia
ducati che gastaldati, e nei castra più importanti: cioè a Lucca e Chiusi, Pisa, porto di Lucca e unico impianto funzionante per l’altomedioevo, Volterra. E inoltre Cortona, sulla via
Arezzo-Perugia e a poca distanza dal corridoio
Roma-Ravenna, Piazza al Serchio il castrum
de Carfaniana, Arezzo e Fiesole, cioè i punti
strategici della viabilità appenninica. Anche i
rinvenimenti di Luni vanno interpretati in
questo senso 113. Tutti questi punti possono essere visti sempre in un’ ottica di forte presenza dell’elemento militare. In nessun’altra zona abbiamo rinvenimenti editi di tombe con
corredi riferibili alla sfera degli e x e r c i t a l e s.
Un confronto fra l’area che esamineremo fra
breve ed il vicino rosellano chiarisce ulteriormente alcuni aspetti. In questo territorio, infatti, sono state rinvenute tombe con corredi
nella necropoli di Grancia, riferibile al c a strum di Poggio Cavolo, nella necropoli di Castiglione della Pescaia, riferibile ad un presidio forse chiusino all’ imbocco del Prile con annesso porto, e nella necropoli di Roselle 114. Le
altre necropoli non presentano armi e/o guarnizioni di cintura.
Dunque il rinvenimento di oggetti inquadrabili in questa sfera anche nella zona fra il lago di
Bolsena e il mare deve essere intepretato nello
stesso senso, ma qui abbiamo una particolarità
che non è riscontrabile altrove nei territori della Tuscia longobarda, neanche lungo la frontiera giuridica al Mignone. Mi riferisco alla capillarità dei rinvenimenti costituiti in genere da
deposizioni singole o a piccoli gruppi, sparse nel
territorio, lungo due evidenti direttrici (tav. 3):
una da La Selvicciola verso Castro, Sovana e Saturnia, e l’altra costiera da Cosa verso Roselle:
cioè, grosso modo, lungo l’area interessata dal
passaggio della Clodia e dell’Aurelia. Questo dato deve essere interpretato, a mio parere, come
una diretta occupazione del territorio da parte
del ceto dirigente longobardo o longobardizzato
e può essere la conferma archeologica ai Tran spadini citati dai documenti proprio nell’area
prossima al lago di Bolsena 115.
113 Un primo censimento di questi rinvenimenti è in OTTO
von HESSEN 1971 e 1975. A questo si devono aggiungere
numerosi altri contributi alcuni dei quali citerò in seguito.
Per Volterra in particolare il recente MUNZI 1994, per
Chiusi nuovi dati in PAOLUCCI 1985; per Pisa da ultimo
BRUNI 1994; per l’area maremmana CIAMPOLTRINI
1983. Per Luni si veda CINI et alii 1979/80. Molti contesti
sono ancora inediti, particolarmente nella zona che esaminiamo. Ringrazio il Dott. Incitti del Museo di Ischia di Castro per le preziose segnalazioni. Un censimento capillare
dei rinvenimenti è nel capitolo 4.1.4. della mia tesi di dottorato di prossima pubblicazione (CITTER 1995).
TAV. 3 Elementi riferibili alla presenza militare in Toscana con particolare riferimento all’ area in esame.
●
Sepolture con corredo di armi e/o guarnizioni di cintura per sax/spatha
✸
Iscrizioni di Cosa e dell’ isola Martana
Il sito più importante è certamente la villa
de La Selvicciola, situata in pianura a circa 3
Km. a nordest dal monte Funaiolo presso Canino, che sugli strati di abbandono delle strutture romane presenta una necropoli con molti oggetti di corredo. Qui è stata anche segnalata ceramica longobarda impressa. Il dato, se confermato, costituirebbe, insieme a quelli di altri
due o tre siti rurali sempre nell’area di Castro,
un unicum in tutta la Tuscia longobarda. Infatti neppure a Chiusi e Lucca ho notizia di rinve-
114 In quest’ultimo caso si tratta di un exercitalis con sax
lungo e guarnizione di cintura in ferro ageminato databile
alla seconda metà del VII. Ringrazio M. G. Celuzza per la comunicazione. Per Castiglione della Pescaia CITTER 1995a.
115 Vd. il testo di Kurze. I Traspadini sembrano localizzati,
stando ai documenti, in un’ area più a sud di quella che sto
trattando, ma credo che la sfasatura si possa imputare a difetto di documentazione e che, pertanto, i due dati convergano nel senso di un’ occupazione capillare del territorio da
parte del ceto militare.
nimenti di materiali di questo tipo 116.
Un altro e x e r c i t a l i s, ma apparentemente
senza scudo, fu rinvenuto presso Pitigliano, in
località Crocignanello 117.
Rinvenimenti più isolati, ma ugualmente
importanti sono a Orbetello, dove una fibbia con
placca triangolare ed ardiglione a scudetto 118
consente di dare una consistenza al rinvenimento di monete di Desiderio e al paliotto d’altare datato in genere al IX secolo 119. Credo si
possa ipotizzare che i Longobardi selezionarono
Orbetello in contrapposizione ad Ansedonia che
era stata un presidio bizantino.
A S. Martino sul Fiora è una sepoltura da cui
proviene una guarnizione di cintura completa la
cui decorazione però presenta particolarità finora non riscontrate in ambito toscano 120.
Fra Pitigliano e Saturnia devono essere ubicate le due tombe da cui provengono le due fibbie ad anello con ardiglione a scudetto entrate a
far parte della collezione Ciacci 121.
In località Pian di Lance, il cui toponimo è significativo, fu rinvenuta una cuspide di lancia a
foglia di lauro, tipica della panoplia dei guerrie-
ri longobardi 122.
A Sovana sono state rinvenute tre necropoli
di questo periodo anche se prive di elementi riferibili ad exercitales 123, mentre lo sono due fibbie con placca triangolare del tipo S. Maria di
Zevio, assai comune nella zona maremmana,
purtroppo fuori contesto 124.
Una placchetta trapezoidale traforata pertinente ad una guarnizione in bronzo dello stesso
tipo che abbiamo discusso finora viene anche da
recuperi di superficie da Sorgenti della Nova 125.
A S. Lucia presso Valentano sono stati rinvenuti due sax longobardi 126.
Altre segnalazioni di tombe con corredi di
militari dai Poggi di Castro e nella piana della
bonifica di Canino 127.
Un riesame dei vecchi scavi Paglieri ha permesso di rinvenire oggetti di corredo riferibili a
tombe di età longobarda anche a Vulci 128.
Ugualmente inquadrabile nell’ambito delle
frontiere e nell’occupazione militare del territorio, anche se in un periodo più avanzato è il
guerriero e la guarnizione in ferro ageminato di
fine VII rinvenuti sul colle di Talamonaccio 129.
116 GAZZETTI 1985 e per la villa TOIATI, PANTACOLONE
1985. La necropoli è in corso di studio da parte del Dott. Incitti che ringrazio sinceramente per avermi fornito alcuni dati inediti. La necropoli ha una cronologia piuttosto ampia, ma
sembrano al momento esclusi corredi inquadrabili ancora nel
VI secolo. Sono presenti tutti gli elementi tipici della panoplia
dei guerrieri longobardi. Ricordo che in GAZZETTI 1985 è citato anche un umbone di scudo e che per avere altri scudi dobbiamo andare a Lucca, Pisa, Chiusi e a Piazza al Serchio. Per
la ceramica di età longobarda inclusa anche quella impressa
di tipo pannonico, rimando a GAZZETTI 1985 e a ROSSINI,
SPERANDIO 1985. Non viene specificata l’ubicazione degli
altri siti rurali nella zona di Castro in cui è stata rinvenuta.
In ogni caso sia le necropoli che i siti con ceramica impressa
avvalorano le ipotesi di un presidio militare nell’area di Castro, fatte sulle citazioni documentarie (si veda SCHNEIDER
1975, pp. 129 e sgg.). A Castro sono stati rinvenuti frammenti di decorazione scultorea di IX secolo. Questi sono gli unici
elementi certi sulla frequentazione altomedievale del sito. Ho
ricavato queste informazioni da RASPI SERRA, LAGANARA
FABIANO (a cura di) 1987, scheda 90 p. 55. L’indagine di
GARDNER Mc TAGGART 1985 (pp. 51-55) ha evidenziato
solo un fossato che separa il promontorio dal resto del pianoro, ed un lacerto di muro, sottostante quello del pieno medioevo, costituito da blocchi di tufo di reimpiego. Questa tecnica è
comune anche a Sovana, ma difficilmente databile. Qui tuttavia c’è un terminus ante quem che può consentire di collocarlo
nell’alto medioevo.
117 CIAMPOLTRINI 1983. Era dotato di lancia, speroni,
spada e cintura. La datazione che propongo è entro la prima
metà del VII per la spada che potrebbe essere un sax medio.
118 CIAMPOLTRINI 1983. Per la datazione ritengo che sia
inquadrabile nella prima metà del VII.
119 BISCONTI 1985. CIAMPOLTRINI 1991a. Per le monete
longobarde cfr. CARDARELLI 1924-25, p. 86 nota 1: “monili
d’oro e 80 monete d’oro longobarde di re Desiderio”. I monili
potrebbero essere oggetti di corredo di una tomba di un ricco
guerriero sul tipo di quelle chiusine e lucchesi.
120 CIAMPOLTRINI 1983. Il tipo va assimilato alle guarnizioni cd longobarde, anche se non della forma tradizionale. Secon-
do TORELLI (a cura di) 1992, f. 129, p. 532 le tombe erano due.
121 DONATI, MICHELUCCI 1981, p.282. Queste fibbie, isolate, possono far parte di cinture diverse dal tipo cd longobardo ed avere dunque una datazione più ampia fra VI e VII. Cfr.
comunque JØRGENSEN 1990, tipo Arcisa 5, datata fine VI.
122 PELLEGRINI 1898. Il sito è vicino a Valderigo. Per i confronti si veda von HESSEN 1971, p. 17. Si tratta del tipo comune di lancia in uso presso i Longobardi fra la fine del VI e
la prima metà del VII.
123 È tipico delle necropoli toscane di VI-VII una struttura a
cassone con blocchi di reimpiego da edifici più antichi, come a
Roselle, talora legati con malta. GLi unici elementi di corredo
alcuni vaghi di collana tipo granato di VII. Una placchetta di
cintura proviene dall’altra necropoli presso l’antico frantoio.
Entrambe sono in corso di pubblicazione da parte della Prof.
Negroni dell’Università di Milano e del Prof. Maggiani
dell’Università di Venezia. Gli oggetti della prima sono esposti nei locali del Palazzetto del Pretorio.
124 CIAMPOLTRINI 1983. Entrambe andranno datate entro la prima metà del VII. In questo quadro prende più corpo
la notizia non verificabile del rinvenimento a Sovana di una
tomba di guerriero con vaso di terracotta decorato con impressioni, citato nello stesso contributo di Ciampoltrini, e che
potrebbe essere l’unico capo di ceramica longobarda della Toscana.
125 Materiali in corso di studio presso il Museo Rittatore
Vonwiller di Farnese. Ringrazio il Dott. Casi per la segnalazione.
126 Devo l’informazione al Sig. Luzi della Biblioteca Comunale di Valentano che ringrazio.
127 Devo l’ informazione al Dott. Incitti che ringrazio.
128 Devo l’informazione al Dott. Incitti che ringrazio. Non
sembra però che vi siano corredi di exercitales.
129 Sul colle era quasi sicuramente un castrum bizantino.
Cfr. CITTER 1993, p. 623-4. Dunque anche in questo caso
l’occupazione longobarda andrebbe interpretata nello stesso
senso. Alla funzione di castrum potremmo forse associare anche il nome medievale dell’ area di Talamonaccio, cioè Marte,
in evidente parallelismo con Bomarzo-Polymartium.
I materiali editi dalla Crypta Balbi in Roma
non trovano confronti stringenti con quelli Toscani. Se questo dato venisse confermato in futuro avremmo un altro tassello, oltre a quello
delle ceramiche, che vedremo, per affermare che
la frontiera al Mignone non fu un fatto meramente giuridico, ma ebbe connotati molto forti,
rendendo difficili le possibilità di commercio fra
le due aree. Questo elemento confermerebbe
dunque l’occupazione militare del territorio anche dopo il trattato dei primi del VII 130.
all’occorrenza, poteva sbarcare rinforzi, ma anche rifornimenti. L’occupazione dell’isola, in
un’area prossima ai grandi possedimenti fondiari di Teodato, potrebbe essere databile negli anni
intorno al 538; ma credo poco plausibile che i Bizantini avrebbero poi abbandonato quella posizione così ben fortificata e analoga all’isola comacina133. I Longobardi non potevano raggiungerla,
mentre gli imperiali potevano sbarcare in qualunque punto delle rive del lago e portare un attacco ad eventuali infiltrazioni nemiche.
2.b. Le epigrafi
Oltre ai significativi dati delle necropoli, anche l’epigrafia potrebbe venire in nostro aiuto. In
tutta la Toscana meridionale e nell’alto Lazio sono pervenute a noi, e pubblicate in vario modo,
solo 2 iscrizioni riferibili alla sfera militare/amministrativa tardoantica. La prima è quella di
Orbetello, che potrebbe provenire da Cosa 131, la
seconda è dall’isola Martana e potrebbe citare un
ufficiale dell’annona militare forse durante la
guerra gotica 132. In tal caso vi sarebbe conferma
di un presidio delle isole e forse anche di uno o più
punti di approdo sulla costa. Notiamo che le due
iscrizioni sono agli estremi dell’area che abbiamo
individuato come fascia di frontiera. Cosa era collegata ad un porto dove la marina imperiale,
2.c. Le modifiche bizantine alla viabilità ro mana nell’area fra il lago di Bolsena e il mare
Lo studio della viabilità di VI-VII secolo fornisce ulteriori elementi. In particolare l’attenta analisi dell’Anonimo ravennate che, come è stato dimostrato, utilizza in alcuni tratti fonti molto vicine al suo tempo 134. Si tratta di fonti di cancelleria
imperiale, facilmente reperibili a Ravenna. Di recente in generale per l’Italia settentrionale è stato
sostenuto che risalgano all’età gota, ma, almeno
per la Toscana, queste devono essere posteriori 135.
Un esempio chiaro è l’ elenco delle province italiane al cap. IV, 39 dove egli dichiara esplicitamente:
Item provincia Rome Tuscia insignis nobilissima.
item provincia quae dicitur Tuscia. item provincia
Maritima Italorum, quae dicitur Lunensis et Vi -
130 Per i materiali dell’ergasterion della Crypta Balbi cfr.
RICCI 1994. In questo quadro di frontiera forte va letto anche l’andamento del popolamento rurale ed urbano. Sono
pochi al momento gli studi sulla fascia compresa fra il Mignone e il Fiora, ma ricordo che già DELOGU 1990 aveva
supposto un forte declino delle città poste sulle frontiere ed
il caso di Tarquinia sembra rientrare bene in questo quadro,
dal momento che il suo vescovo fu trasferito a Tuscania proprio negli anni ‘90 del VI secolo, come ha mostrato Kurze in
questo stesso volume.
1 3 1 CITTER 1993. In base alla datazione proposta da
BROWN 1984 (appendice - indice prosopografico, Sergius
12)al VI secolo, ho cercato di collegare questo dato con l’ evidenza archeologica di un coevo castrum ad Ansedonia (per i
cui dettagli rimando a FENTRESS et alii 1991 e FENTRESS 1994). Sulla derivazione del nome Ansedonia dal
Greco (’
) o dalle lingue germaniche (*Anso = divinità, cfr. FENTRESS 1994) attendiamo uno studio più accurato da parte dei linguisti. La forma medievale è Ansidonia.
132 CAGIANO DE AZEVEDO 1977 propende per questa interpretazione riprendendo EGGER 1960, mentre DEGRASSI 1958 e 1959 riteneva che si trattasse di parte di un nome
goto di incerta identificazione. L’epigrafe, di cui quest’ultimo riproduceva una foto, è mutila, ma possediamo la parte
sinistra, e poiché tutte le righe cominciano con una nuova
parola, anche la riga 4 con Bearco deve intendersi in questo
senso. Una datazione al periodo goto, in base ai caratteri paleografici, era proposta dallo stesso Degrassi. Bearco è latinizzazione del Greco
come ha sottolineato EGGER
1960 (che integra Bearco de numero...) Analogie in averitia
per avaritia e honorerii per honorari. La forma è attestata
anche in DU CANGE 1958, s.v.
. Per quanto riguarda le
presunte fortificazioni altomedievali sull’isola martana il
testo di CAGIANO DE AZEVEDO 1980 è privo di fonda-
mento archeologico. L’unico dato è la presenza di elementi
scultorei coevi alla citazione della chiesa di S. Stefano (CDA
92 a.a. 823) segnalati da RASPI SERRA, LAGANARA FABIANO (a cura di) 1987, scheda 187.
133 Il carme poetico dell’Appendix Maximiani è datato con
esattezza al 535 da FO 1984-85. In esso l’autore loda una
fortezza fatta costruire da Teodato. Con solide argomentazioni Fo confuta l’ipotesi di CAGIANO DE AZEVEDO 1980
che l’anonimo poeta si riferisca necessariamente all’isola
martana. Potrebbe infatti trattarsi di qualunque punto lungo le rive del lago o sulla costa maremmana che risponda alle caratteristiche di essere quasi interamente circondato
dalle acque e in posizione elevata ed inaccessibile. L’isola
era comunque un punto strategico. In questo quadro non andrebbe esclusa a priori neppure l’arce di Cosa e dunque
prenderebbe corpo l’ipotesi di FENTRESS 1994 della derivazione del nome Ansedonia da *Anso. Occorre scavare all’
isola martana per avere qualche dato su cui poter continuare la discussione.
134 Sulla datazione di AR si veda FUNAIOLI 1916, MAZZARINO 1965, MANSUELLI 1973.
135 SETTIA 1993 che, pur non affrontando in particolare
il caso toscano, suppone in generale una datazione più alta per le fonti dell’Anonimo ravennate. Per l’area che ci interessa è sufficiente uno sguardo alla descrizione della
Cassia per notare che si tratta, in effetti di un elenco di ca stra attivi a partire dall’invasione longobarda. Vengono infatti citati, oltre a Forum Cassii , Beturbon (Viterbo), Bal neon Regis (Bagnoregio) e Orbevetus (Orvieto) che in alcun
modo potevano stare sul tracciato della Cassia romana, ma
che, non a caso, riprendono parte di un antico tracciato
etrusco. Cfr. la carta pubblicata da CRISTOFANI (a cura
di) 1984, p. 15. Questo consente di datare la fonte del ravennate con una certa approssimazione. Dopo che la fron-
●
castrum presunto
tratto di strada accertato e/o ricostruibile
(foto aerea, allineamento siti, ecc.)
tratto di strada presunto
il diverticolo Saturnia-Ad Novas d e l l ’
anonimo ravennate
altre località menzionate nel testo
via Clodia
via Aurelia Vetus
via Aemilia Scauri
TAV. 4 Ipotesi ricostruttiva del sistema di fortificazioni bizantine, e della rete viaria secondo l’anonimo
ravennate fra bassa Toscana e alto Lazio.
gintimilii et ceterarum civitatum. que provincia
iuxta Mare Gallicum confinalis existit de super
scripta Provincia Septimania. È evidente che questa fonte deve essere datata fra gli inizi del VII secolo e il 643/4. Infatti da un lato presuppone il formale riconoscimento dell’esistenza di una Tuscia
longobarda, frutto del trattato di pace del 605, e
dall’altro che Luni e le altre città liguri non sono
ancora state conquistate da Rotari.
Nell’elenco di località costiere fra Roma e Genova, l’Anonimo ha come fonte principale la ta bula peutingeriana, di cui copia, tranne qualche
svista, forse imputabile alle trascrizioni successive, l’intero tracciato. Ma in alcuni punti egli
aggiunge anche nuovi tracciati, che si dipartiva-
no da quello principale per collegare località
nell’interno. Non si tratta, come vedremo, di
strade nuove nel senso che sono state costruite
in tempi vicini a quelli in cui l’Anonimo scrive; si
tratta sempre di selezioni fra i numerosi percorsi di età romana disponibili, ma queste selezioni
hanno una logica solo se le inquadriamo nel sistema difensivo bizantino della Tuscia. Osserviamo che queste anomalie sono concentrate in
tre blocchi: la Lunigiana, il tratto interno fra
Vada e Pisa e la zona che stiamo esaminando.
La situazione lunigianese è stata già ampiamente studiata da Conti 136 e mi sembra che un
caso analogo si sia verificata nell’area in esame
(tav. 4).
tiera fu fissata agli inizi del VII le fonti bizantine, le sole di
cui l’Anonimo poteva disporre, non avrebbero potuto registrare modifiche ai tracciati viari antichi in aree longobarde. Orvieto fu interessata dalla guerra gotica (PROCOPIO,
VI, XI, 1 ’
) quindi è probabile che i comandi bizantini già avessero redatto documenti cui l’Anonimo ha
attinto. Ma mi sembra possibile che Orvieto sia citata anche da Giorgio Ciprio intorno agli anni ‘80 ( ’
). Per
alcuni commenti al testo di Giorgio Ciprio per la Toscana
rinvio al cap. 3. 2. 1. 2. della mia tesi di dottorato di prossima pubblicazione (CITTER 1995). Comunque sia quella
fonte dell’Anonimo ravennate non può essere anteriore al
538-40 e posteriore al 605. Propendo per una stesura intorno agli anni ‘80 su materiale anche più antico.
136 Per la Lunigiana cfr. CONTI 1967, in particolare il cap.
1. Non è completamente d’accordo sull’identificazione di alcuni punti LUSUARDI SIENA 1982, ma ciò non cambia la
sostanza del lavoro di Conti. Ho affrontato questo aspetto
per la Toscana meridionale in maniera molto più analitica
di quanto sia possibile in questa sede nel cap. 3.3. della mia
tesi di dottorato di prossima pubblicazione (CITTER 1995).
Ne fornisco qui una breve sintesi.
______
..........
———-
✱
c
av
as
L’autore conosceva perfettamente il tracciato dell’Aurelia vetus, infatti lo troviamo elencato come lo riporta la tabula peutingeriana da Al sium in poi fino a Vada, eccetto alcune modifiche di cui discuteremo 137.
Tabula Peutingeriana
Anonimo Ravennate
Ostia Tiberiana
Portum Augusti
Lorio
bebiana
alsium
pyrgos
punicum
castro novo
centumcellis
mindo fl.
gravisca
tabellaria
martha
foro aureli
armenita
ad nonas
succosa
cosa
albinia fl.
telamone
hasta
umbro fl.
saleborna
maniliana
populonio
vadis volateris
Astium
Pyrgos
Punicum
Castro novo
Centum cellis
Minium
Tuvelari
Gravisca
Martha
Forum Aurelii
Armenta
Ad novas
Succosa
Cosa
Ad portum Cossam
Albilia
Telamone
Asta
Umbrone
Salembro
Malliana
Populion
Badis Volatianis
L’Anonimo ravennate deve aver avuto di
fronte, oltre alla tabula peutingeriana, un documento di cancelleria bizantina che riportava un
137 AR IV, 32: item iuxta Mare Gallicum est civitas que di citur... e comincia con Vibo Valenzia.
138 CELUZZA 1991, p. 64.
139 FENTRESS et alii 1991.
140 MILLER 1916, commento al tratto 48. Notiamo che il
tratto in questione spostato “per errore” dal copista è in
realtà di 10 cm di lunghezza, un po’ troppo forse per presumere simili sviste. Inoltre il problema della distanza di 8 miglia fra Cosa e Saturnia, palesemente errata (reale 23 circa),
può essere risolto supponendo un primo errore con la perdita di una X, e con la successiva copia lo scambio della X per
V, pertanto da XXIII > XIII > VIII (ricordo che abbiamo una
copia di terza mano). Tralasciamo qui l’ identificazione di
Succosa con Capalbio che non ha alcun fondamento, anche
basandosi solo sul buon senso, poiché doveva trovarsi sotto
il colle di Cosa, notiamo che da Siena a Saturnia Miller traccia una linea retta e calcola le distanze a prescindere da ogni
considerazione sulla natura dei luoghi e su un riscontro oggettivo. Questo sistema mostra le sue più evidenti lacune
nell’area populoniese rosellana. La sequenza di tabula peu tingeriana a partire da Populonio è Maniliana XII, Salebor na VIIII, Umbro fl. XII. Egli parte da Populonia e pone Ma-
porto di Cosa dopo Cosa, cioè a nord, mentre
quello di età tardo-repubblicana ed alto-imperiale era a sud. Come è stato sottolineato 138
questa citazione deve essere riferita al porto di
Feniglia, in uso nel tardo-impero e fino al VII secolo, e non al porto tardo-repubblicano ubicato a
sud. Quel porto era una delle basi della flotta bizantina strettamente collegato al castrum che si
insedia sull’arce della città antica 139.
Oltre Roselle le fonti bizantine non hanno registrato modifiche forse perché non vi fu tempo
per provvedere ad un sistema difensivo in piena
regola. Infatti le località dell’Anonimo ravennate seguono senza mutamenti quelle della tabula
peutingeriana fino a Vada.
Le informazioni dell’Anonimo però non si
fermano qui. Egli riporta un collegamento viario fra Saturnia ed il mare, ma non con Cosa,
tratto che pure conosceva perché riportato dalla
tabula peutingeriana che è la sua fonte principale, bensì con un altro sito: Ad Novas. Occorre
qui fare chiarezza.
Nella sua edizione della tabula peutingeria na, Miller propone di spostare il tratto che unisce Saturnia con Cosa ad un altro tracciato stradale, quello che univa Siena con Chiusi, ritenendo, sono le sue parole, che “ le distanze sono
troppo grandi, i collegamenti sarebbero assurdi
e le stationes non si potrebbero collegare in modo soddisfacente” 140. Dunque la correzione non
è motivata da considerazioni di carattere filologico, ma basata solo sulle conoscenze archeologiche del tempo. Dobbiamo inoltre osservare
che Miller prescinde da ogni osservazione geografica nel tracciare i collegamenti viari, calcolando le distanze in linea retta. La moderna ricerca archeologica ha individuato, mediante ricognizioni ed analisi della foto aerea, gran parte
niliana presso Montioni vecchio, in collina a quota 266 m
slm e ad una distanza in linea d’aria di 19 miglia. Quindi
prosegue, con lo stesso sistema, scendendo nella valle del
Pecora e risalendo sino a quota 229 m slm a Scarlino, dove
ubica Maniliana, mentre Saleborna sarebbe a Castiglione
della Pescaia. È evidente l’impossibilità di sostenere queste
identificazioni, in considerazione del fatto che le strade romane come l’Aurelia erano state progettate per lunghi collegamenti ed il sali-scendi proposto dal Miller assomiglia più
ad un tracciato medievale che collega castelli di sommità.
La ricerca archeologica ha permesso in questo secolo di rinvenire sia tratti basolati, sia siti identificabili come mansio nes, pertanto il lavoro del Miller può costituire oggi solo uno
spunto e niente più. Anche la successiva opera di RADKE
1973, pur con i numerosi dati archeologici già prodotti, prescinde totalmente da considerazioni di carattere topografico, come se le strade fossero delle entità scollegate dal territorio in cui scorrevano. Nel 1973 erano già disponibili per
l’Aurelia ad esempio: DE ROSSI (a cura di) 1968 e SORDI
1971. Per il tratto in questione egli addirittura suppone un
errore grafico: la strada Ad Novas - Saturnia porterebbe in
realtà a Vali (RADKE 1973; col. 1624).
dei tracciati antichi, confermando le indicazioni
fornite dalla tabula peutingeriana. In particolare il collegamento Saturnia-Cosa, è stato ricostruito già da oltre un decennio.
Come abbiamo detto, però, l’Anonimo ravennate non riporta solo questo collegamento, ma
anche un altro che sempre da Saturnia arriva
ad un Ad Novas. L’identificazione di questo sito
è abbastanza facile, perché l’Anonimo stesso ci
dice che sta sul mare Tirreno, ed è compreso fra
Forum Aurelii (presso Montalto di Castro) e Cosa. A ragione, pertanto, è stato proposto di identificarlo con il grosso complesso archeologico di
S. Angelo, al km 124 della SS 1 Aurelia 141. Fra
quei due punti, però, l’Aurelia aveva due tracciati, uno lungo la costa, l’altro interno ricalcato
più o meno dalla statale attuale. S. Angelo stava sul tracciato interno, mentre la tabula peu tingeriana cita un ad nonas, che deve stare sul
percorso costiero 142. Dunque in teoria:
- ad nonas di tabula peutingeriana non è Ad
Novas citata dal ravennate,
- le due coincidono e possiamo ragionevolmente supporre un errore di trascrizione, fatto
del tutto plausibile.
Nel primo caso possiamo identificare Ad No vas con il sito di S. Angelo, nel secondo caso dovremmo cercare ad nonas = Ad Novas sul tracciato costiero descritto dalla tabula. Ritengo più
probabile il primo caso. Il ravennate potrebbe
aver avuto di fronte la tabula che citava un ad
nonas e la sua fonte più recente che citava Ad
Novas, entrambe nella stessa area e con nomi
simili. Non conoscendo i luoghi può aver pensato che fossero lo stesso sito. Ma ciò che qui interessa è che il ravennate lo ha collegato con Saturnia: un tratto che la sua fonte principale, la
tabula peutingeriana, non riporta.
La ricognizione archeologica ha segnalato diversi tratti di strade utilizzate durante l’età romana in questa zona 143. Li ho posti in pianta cer-
cando di integrare le lacune (tav. 4). Ne viene
fuori un quadro che concorda perfettamente con
quanto descritto dall’Anonimo ravennate. È infatti visibile un percorso che da S. Angelo proseguiva per il castello di Scerpena, il medievale ca strum Elza, e da qui aveva una triforcazione: un
lato verso Vulci, l’altro verso la strada SaturniaMarsiliana, il terzo in direzione di Manciano e
quindi Saturnia. È quest’ ultima direttrice che
mi sembra la più indicata, in quanto è la più breve fra i due punti. Più avanti l’ Anonimo ritorna
su questo tracciato, e ce lo descrive partendo dalla costa. Abbiamo infatti: Martha, Foro Aureli,
Armenta, Novas, Saturnie, Subcosa, Cosa, Per tum 144. Ovvero l’Anonimo vuole dire che proseguendo lungo l’Aurelia, ad un certo punto, c’è un
diverticolo all’altezza di Ad Novas, che porta a
Saturnia. Da qui poi si può tornare verso l’Aurelia a Cosa (ed è il tratto riportato anche dalla ta bula peutingeriana). È evidente che egli aveva
sotto mano ancora le sue due fonti: la tabula peu tingeriana che riportava il diverticolo SaturniaCosa, e la fonte imperiale più recente che riportava un diverticolo più arretrato.
Sappiamo che la prima non ha segnato tutti i
percorsi romani realmente esistenti, ma solo alcuni, quelli che erano ritenuti più importanti. La
nota del ravennate mi induce a ipotizzare che fra
i molti diverticoli che dall’Aurelia - Aemilia
Scauri andavano verso l’interno, uno avesse assunto particolare importanza, in età bizantina
forse perché si trovava ad una certa distanza
dalla linea dell’Albegna. Come ha mostrato Kurze i Longobardi lucchesi si erano fermati a nord
del fiume. Pertanto questo diverticolo costa-interno consentiva di muoversi più al sicuro.
In questo nuovo assetto viario Tuscania sembra
il punto più arretrato, poiché da lì partono tutte le
strade che attraversano l’area dei tufi. Sovana è invece il punto più avanzato: da qui parte poi una direttrice già in uso in età preromana verso Chiusi 145.
141 ATTOLINI et alii 1982, sito PR 1.
142 L’ipotesi di un duplice tracciato costiero/interno per risolvere i problemi della presenza di una via Aurelia vetus e
di una via Aemilia Scauri, è già stata sostenuta da COARELLI 1988. Lo studio della DE ROSSI 1960 sul tratto Roma-Forum Aurelii aveva permesso di individuarli sul terreno con chiarezza ed altri elementi possediamo per il cosano
(FENTRESS 1984) e per il Volterrano-Pisano (SORDI
1971). Al di là dell’ identificazione delle singole stazioni di
posta, che qui non interessa, è importante notare che i due
unici miliari fra Roma e Pisa sono stati rinvenuti lungo il
percorso interno e sono relativi all’Aemilia Scauri. Inoltre
l’evidente differenza nel numero (34 contro 17) e nel nome
dei punti di sosta citati dalla tabula peutingeriana e dall’ iti nerarium Antonini fra Roma e Luni non può essere spiegata che raccordando questa evidenza a quella topograficamente dimostrata, dell’esistenza di due tracciati. Dunque la
tabula peutingeriana segue quello costiero e cioè l’Aurelia
vetus, mentre l’itinerarium Antonini quello interno cioè l’Ae -
milia Scauri . Ho affrontato questo argomento in maniera
più dettagliata nel cap. 3.3. della mia tesi di dottorato di
prossima pubblicazione (CITTER 1995). Sulla filosofia alla
base dei due interventi, che il numero e la posizione delle
stazioni di posta conferma, rimando a COARELLI 1988. La
ricognizione archeologica di cui alla nota prec. ha permesso
di individuare sul tratto costiero un ponte sul Chiarone (PR
31) e poco distante una necropoli (PR 7) in uso fino al tardoantico. Poiché questo punto si trova a 9 miglia da Cosa e
da Forum Aurelii propongo l’identificazione con ad nonas.
Le correzioni che propongo sono dettate dal buon senso, poiché località come Cosa, Armenta, (fiume Fiora), Norta (fiu me omonimo), Forum Aurelii (Montaldo - vedi nota 155) sono note, è questo un punto dove la Tabula presenta un testo
alterato, mentre per il tratto Cosa - Populonia non sono necessarie correzioni
143 Si veda in particolare ATTOLINI et alii 1982, fig. 5.
144 AR, V, 2.
145 La via era già stata supposta da BIANCHI BANDINEL-
2.d. I riflessi dello stato di guerra sul popola mento.
Lo studio e l’individuazione di aree di frontiera, aspetto generalmente ignorato dagli archeologi nelle ricostruzioni sul popolamento rurale tardoantico e altomedievale, può contribuire invece a chiarirne le caratteristiche. La recente ricerca ha permesso di appurare la presenza in vaste aree della Toscana meridionale,
ma anche nel nord, di un tipo di insediamento i
cui connotati sono nettamente distinti da quelli
del paesaggio dei latifondi caratterizzato dalle
ultime ville e villaggi ancora legati all’economia
tardo-imperiale. Questo fenomeno cominciò forse già nella seconda metà del V secolo, ma assunse caratteri di generalità nel VI e fino alla
prima metà del VII secolo. Confrontando il modello archeologico con le fonti storiche si può andare oltre la semplice registrazione di un fenomeno e cercare di inquadrarlo in un contesto più
ampio. Il problema della sicurezza e lo stato di
guerra pressoché continuo giocò un ruolo decisivo nel determinare i processi di trasformazione
del popolamento rurale ed urbano. In sintesi ecco gli elementi caratterizzanti questo popolamento intermedio 146:
3. Conclusioni.
Ogni dato può essere interpretato anche in
altro modo, se preso singolarmente, tuttavia la
soluzione proposta consente di raccogliere tutti
gli elementi in un unico quadro. A questo potrebbero aggiungersi i dati linguistici. La ricerca in corso sembra infatti confermare la presenza di toponimi di origine greca e germanica nella fascia che dal lago di Bolsena arriva al mare
147 , caratterizzandosi in maniera molto differente, anche per questo aspetto, da territori come il
rosellano dove i toponimi greci sono assenti 148.
La ricerca archeologica dovrà ora verificare questa ipotesi ed in particolare su tre fronti:
1. come era delimitata questa fascia, cioè
quali erano i punti nodali;
2. quando ha cominciato a funzionare;
3. quando ha esaurito la sua funzione.
La ricerca che abbiamo cominciato e di cui
abbiamo qui fornito i primi elementi, ha dunque
come fine ultimo la più completa comprensione
della dinamica del popolamento rurale ed urbano in questo delicato periodo di transizione.
L’approccio interdisciplinare, non trascurando
nessun tipo di dato, consentirà di dare una visione tridimensionale a fenomeni sui quali troppo spesso la ricerca fornisce solo immagini bidimensionali.
3.1. Come era delimitata questa fascia, cioè
quali erano i punti nodali (tav. 4).
La prima domanda è certamente la più difficile. Occorrono ricerche puntuali e scavi per dare risposte attendibili. Questo contributo vuole
essere uno stimolo alla ricerca e non pretende
certo di fornire risultati. Per il momento possiamo dunque avanzare delle ipotesi che hanno il
solo scopo di orientare l’indagine e niente più.
L’area è chiaramente individuata da alcuni
elementi geografici che devono aver avuto una
grande importanza per chi pianificava un sistema difensivo: fiumi (Marta, Fiora, Albegna), laghi (Bolsena), mare. A questo si aggiunge che a
sud del Fiora e fin quasi alle porte di Roma il territorio è caratterizzato in prevalenza da un particolare tipo di conformazione geologica, la cosiddetta area dei tufi, che conferisce al paesaggio
un aspetto molto peculiare: profonde ed incassate vallecole che separano lunghi promontori.
L’area dei tufi si presta benissimo ad una difesa
imperniata sul controllo della viabilità, per
l’abbondanza dei promontori sfruttabili, per la
presenza di numerosi siti protostorici e etruschi
LI 1929, p. 27 e sgg.. Notiamo per inciso che Sovana dista così solo 80 Km. da Chiusi e che la strada passa per Sarteano,
località di rinvenimento della tomba dell’arciere degli inizi
del VII secolo (cfr. PAOLUCCI 1985 e CIAMPOLTRINI
1992). Si veda inoltre CRISTOFANI (a cura di) 1984, tavola
a p. 15, che però non viene illustrata. Ho discusso questo
aspetto con il Dott. Ciacci dell’Università di Siena, che ringrazio. Si veda inoltre quanto detto da Kurze alla nota 72.
146 Sul popolamento di questo periodo una sintesi per la Toscana meridionale è in CAMBI et alii 1994. Un quadro più
ampio per le aree costiere è nel cap. 3.1. della mia tesi di dottorato di prossima pubblicazione (CITTER 1995). Qui do anche un maggiore risalto all’aspetto militare e ai problemi
dell’insicurezza che vengono generalmente relegati a margine di una modellistica sulla dinamica del popolamento incentrata sui soli aspetti economici, che pur spiegando molti
fenomeni, non possono esaurire la materia ed in sostanza
impediscono di dare del dato archeologico una lettura in
chiave storiografica più ampia.
147 Devo queste informazioni alla Prof. Onesti Francovich
che sta conducendo l’ indagine.
148 BATTISTI 1963. Ovviamente è presto per trarre qualunque conclusione, ma non è forse un caso che questi indizi siano concentrati nella fascia fra il lago di Bolsena e il mare. Una
ricerca a tappeto potrà consentire di valutare statisticamente
l’incidenza di toponimi germanici e greci su vasta scala.
1) persistenza degli insediamenti sui paesaggi antichi;
2) assenza di gerarchie;
3) tendenza all’autarchia;
4) estrema povertà delle strutture;
5) distribuzione lungo tutta l’area costiera ed
in molte aree interne.
che già avevano una cortina difensiva e un fossato a separarne la punta terminale dal resto del
pianoro. Un esercito che avesse tentato di penetrare verso sud dall’interno avrebbe dovuto passare dalle strade data la natura del terreno.
Dunque in quest’area presidiare i nodi stradali
significava avere il controllo del territorio.
Possiamo ipotizzare tre linee più o meno parallele, lungo i fiumi, raccordate alla linea costiera di più sicura definizione grazie alle ricerche archeologiche.
civitas romana 151. Essa è dotata infatti di un
territorium che confina con quello della civitas
Ad Novas che sta sul mare 152, mentre nel corso
del VII o dell’VIII dovrebbe essere stata
abbandonata, come attesta Paolo Diacono 153.
Questa linea deve aver funzionato, perché
l’attacco lucchese si fermò sullo spartiacque fra
Ombrone e Albegna.
3.1.a.
Saturnia e Marsiliana potrebbero essere stati punti della prima linea, quella sull’Albegna,
che si raccordava sulla costa a Cosa/Ansedonia,
mentre S. Angelo/Ad Novas potrebbe essere stato il raccordo fra prima e seconda linea 149. La
città di Saturnia è ricordata dall’Anonimo ravennate come civitas. E poiché sembra che le ultime attestazioni di vita urbana siano da attribuire al medio impero 150, il titolo ed il contesto
della citazione potrebbero riferirsi più ad un distretto amministrativo bizantino che all’antica
3.1.b.
Una seconda linea lungo il Fiora poteva prevedere i castra di Sovana, Castro e La Selvicciola 154. Non abbiamo al momento alcun elemento
su Vulci, ma la sua posizione sarebbe ideale come punto estremo verso sud e di facile collegamento con S. Angelo/Ad Novas. La Selvicciola
può essere identificata con la mansio di Materno
sulla Clodia 155. I materiali longobardi attestano, indirettamente, che questo punto era di vitale importanza per il controllo della viabilità e
soprattutto del territorio.
La lettera di Gregorio ai magistri militum
Mauricius e Vitalianus non fa menzione di un
comandante militare a Sovana, e questo pone
149 Il sito di S. Angelo ha restituito una grande quantità di
materiali fino a tutto il VI secolo - ATTOLINI et alii 1982,
pp. 364 e ss. Il fatto che sia in pianura non deve stupire, l’ essenziale era presidiare le strade.
150 Nel III secolo, cfr. CELUZZA (a cura di) 1993, p. 206.
151 Poiché le fonti di Anonimo ravennate sono del VI secolo,
il termine civitas, unitamente alla menzione di un territorio, attribuito sia a Saturnia che a Ad Novas, un abitato che
non era stato municipio romano (anche se non si volesse accettare l’ identificazione qui proposta), mi sembra si possa no inquadrare nell’ambito della creazione di nuovi distretti
amministrativi bizantini dipendenti da castra, come ad Ansedonia, detta c i v i t a s nel falso diploma di Carlo Magno
dell’805. In questo caso è ancora più evidente la cesura dal
cambiamento del nome. Il termine non poteva riferirsi
all’antica Cosa di cui si era persa la memoria. Da Saturnia
viene una coppa forse di imitazione della sigillata africana
forma HAYES 1972, 99 con croce incisa sul cavetto (motivo
Atlante 311 di prima metà VI). Credo si tratti di un rinvenimento da tomba, dato che è un pezzo integro, analogamente
al caso fiesolano (cfr. OTTO von HESSEN 1971, tav. 27, 1).
Il pezzo è al Museo archeologico di Grosseto, ringrazio la
dott. Celuzza per avermene concesso la visione. Insediamento sparso, quasi sicuramente frequentazione necropolare di ville romane, è segnalata sulle terrazze di travertino
dell’area di Saturnia per il VI secolo (CAMBI, FENTRESS
1989, p. 83).
152 Ad Novas viene citata fra Forum Aurelii e Succosa in
Anonimo ravennate IV, 32, mentre in IV, 36 dice esplicitamente Item iuxta Romam via Aurelia est civitas que dicitur
(...) Saturnia, que coniungitur cum territorio civitatis que di citur Ad Novas, que est, ut praediximus, iuxta mare Galli cum. Questa opinione era già stata espressa da SCHNEIDER 1975, p. 128, nota 104.
153 Deinde Saturnus, Iovem filium e Grecia fugiens, quae ex
eius nomine Saturnia dicta est, cuius ruinae actenus cernen tur in finibus Tusciae haut procul ab Urbe- P.D., H.R., I, 1.
154 Sovana aveva sicuramente mura cittadine nel IX secolo
(intro muro cibe Suan[a] -CDA 164 a.a. 866). Ritengo improbabile che il Papa potesse costruire un nuovo muro di cinta
a Sovana nel IX secolo sul modello delle fortezze laziali. È
più probabile che si trattasse del vecchio muro etrusco, magari restaurato, che rimase in piedi almeno fino alla realizzazione del nuovo impianto nel XII-XIII secolo. SCHNEIDER 1980, p. 17 sostiene che Sorano presso Sovana deve essere stato un castrum a difesa della città. Come per gli altri
al momento non abbiamo prove materiali, quindi dobbiamo
sospendere il giudizio, ma l’ipotesi è suggestiva e mi limito a
notare che Sorano sta sulla via Sovana-Chiusi di cui alla nota 145. Sull’ipotesi di un’identificazione con il
di
Giorgio Ciprio rimandiamo in attesa di scavi, ma certo è
suggestiva.
155 Il posizionamento di Materno ha suscitato un ampio dibattito. Mi sembra che la soluzione più logica e più semplice
sia un’ubicazione alla villa romana de La Selvicciola. Il sito si
trova a 13 miglia da Tuscania, anziché le 12 segnalate dalla
Tabula Peutingeriana e ritengo che la perdita di una I o, meglio, la natura molto accidentata dei luoghi, rendano plausibile lo scarto. Da qui a Saturnia, seguendo il tracciato indicato dalle recenti ricognizioni (cfr. GAZZETTI 1985a), sono
esattamente fra 18 e 19 miglia, così come riporta la Tabula
Peutingeriana. Il sito era certamente importante perché continuò a lasciare traccia documentaria, analogamente a quanto succede per molte mansiones. Abbiamo infatti citato si mulque decem et novem ... fundorum Maternum nel privilegio di Leone IV della metà del IX secolo. Cfr. RASPI SERRA,
LAGANARA FABIANO (a cura di) 1987, p. 182 e sgg. Sulla
persistenza di popolamento sulle mansiones romane nell’alto medioevo rimando al cap. 3.3. della mia tesi di dottorato di
prossima pubblicazione (CITTER 1995). Un caso vicino è Fo rum Aurelii da ubicare ai piedi del colle di Montalto di Castro, citato da CDA 26 e 43 rispettivamente a.a. 774-5 e 794
come chiesa di S. Andrea in Foro. Poco più a nord era la cur tis Astiano (CDA 203 a.a. 973) sulla mansio di Hasta, presso
Alberese. Un’identificazione in questo senso è già in QUILICI GIGLI 1970 p. 22, nota 10 seguendo l’ Halotemius che genericamente la poneva a 3 miglia a sud di Castro.
un problema: c’era un presidio militare in quella città nel 592? 156 Ritengo di sì. Gregorio ha
contatti con i vertici militari, e nel particolare
caso i due magistri militum dovevano essere i
due preposti al controllo della zona che gravita
fra il Fiora e Orvieto. Non credo possibile che il
Papa potesse scrivere ad ogni singolo ufficiale al
comando di un castrum, cioè di poche decine di
soldati. Anche la logica vuole che ci si rivolga ai
superiori che soli hanno la visione d’insieme. E
inoltre dalla lettera sembra di capire che a Sovana si fosse verificato uno dei mille casi di non
piena sintonia fra la volontà della popolazione e
quella dei militari, di cui la storia dell’Italia e
della Toscana tardoantica è piena. Il papa è terrorizzato all’idea di perdere Sovana, e questo significa che la città aveva assunto un ruolo di
primo piano. Le azioni di Ariulfo, che evidentemente aveva fatto capire al Papa di essere riuscito a convincere i Sovanesi a stare dalla sua,
prendevano alle spalle il sistema difensivo bizantino, vanificandolo, e quindi lasciando aperta la porta per Roma 157.
3.1.c.
La terza linea sul Marta poteva prevedere
Tuscania e Tarquinia oltre all’isola Martana o
un qualunque altro punto sulle rive del lago 158.
Si è visto che la sua posizione è in tutto simile a
quella dell’Isola Comacina, con la sola differenza di essere ancora più irraggiungibile per i
Longobardi che a quel momento non disponevano di navi.
L’efficacia di questo sistema, se dimostrato
su base archeologica, consisterebbe nel presidiare contemporaneamente i fiumi e le strade,
cioè il massimo risultato con il minimo sforzo.
È noto che le frontiere tardoantiche non erano
del tipo limes renano o vallum Hadriani, cioè difese a sbarramento fisso, ma difese elastiche in
profondità 159. Questa strategia, caratteristica
dei secoli III e IV, era dettata dalla necessità di
difendere il difendibile di fronte ad un nemico
che poteva sfondare il fronte con ingenti forze.
Ma era un sistema che funzionava fintanto che si
poteva disporre di un numero consistente di
truppe e di un apparato logistico alle spalle quale era ancora quello imperiale. Nel VI secolo, periodo che ci interessa più da vicino, la strategia di
difesa fu ulteriormente semplificata 160. Un exer citus era in genere costituito da un minimo di 3
ad un massimo di 5 numeri, cioè da 900 a 2500 effettivi. Non si presidiava più una linea di contor-
156 E sempre da quella lettera sembra di capire che Ariulfo
aveva una base a Narni, cioè un ottimo trampolino per arrivare a Sovana passando per Bolsena.
157 Vd. nota 58.
no ad un territorio, ma i punti nevralgici, disponendo le fortificazioni prevalentemente in sommità e lungo le vie di accesso. Caso esemplare la
Lunigiana dove è stato ipotizzato un sistema che
prevedeva torri di avvistamento in profondità
lungo le valli ed i valichi appenninici, in contatto
con un castrum da cui poteva partire la risposta
161. Non si voleva, né si poteva impedire che piccoli gruppi entrassero nelle maglie della difesa,
ma si voleva tentare di impedire il passaggio di
grossi eserciti barbarici che, per la presenza di
carri, donne e bambini, dovevano utilizzare le
strade per muoversi. La stessa linea Roma-Ravenna non fu mai impermeabile e non doveva esserlo. La difesa bizantina nella Tuscia suburbicaria non mirava dunque a preservare un territorio dalle invasioni, e gli effettivi a disposizione
non lo avrebbero consentito, ma ad impedire attacchi a Roma. È in questo senso che dobbiamo
intendere le fortificazioni costiere lungo l’Aure lia-Aemilia Scauri, e quelle interne lungo la Clo dia, vero asse portante della viabilità tardoantica in questa regione. A questo si aggiunga che i
bizantini avevano la convinzione che i Longobardi fossero insofferenti della disciplina, del freddo
e del caldo, quindi poco adatti a sostenere lunghi
assedi a castra ben disposti, e inoltre non possedevano nozioni in campo poliorcetico. La risposta
adottata era la migliore sintesi possibile fra esigenze e disponibilità. Qualche volta, come in Lunigiana e a sud dell’Albegna, essa fu efficace, almeno per un certo tempo.
3.2-3. Quando ha cominciato a funzionare e
quando ha esaurito la sua funzione.
Come abbiamo visto ci sono elementi per dire
che una presenza militare bizantina nell’area è
databile già dalla guerra gotica, seppure in forma ancora non organica come una frontiera richiede, per il semplice fatto che una frontiera
non c’era ancora. Gli unici dati archeologici in
nostro possesso per valutare una presenza longobarda, e quindi l’avvenuta conquista, sono i
corredi tombali in cui, a conoscenza dello scrivente, non vi sono oggetti della seconda metà del
VI secolo. Quindi possiamo dire che l’area era
longobarda agli inizi del VII secolo. Per quanto
riguarda l’impianto i dati archeologici non possono al momento venire in aiuto. Questo andrà
comunque collocato intorno alla metà degli anni
‘70, in fase con la conquista di Populonia ad opera dei Lucchesi e forse con le coeve incursioni
chiusine verso il rosellano ed il sovanese.
158 Vd. CAGIANO DE AZEVEDO 1980.
159 Per tutti questi aspetti cfr. LUTTWAK 1986.
160 PERTUSI 1968.
161 CHRISTIE 1989.
È tuttavia evidente che dopo la conquista si
avviò una capillare occupazione militare dell’
intera regione compresa fra il Fiora ed il lago di
Bolsena, non solo i punti strategici, dunque, ma
anche le campagne, da parte dei Longobardi
dell’Italia settentrionale. In questo senso vanno
la disposizione delle necropoli, la cronologia dei
corredi e la ceramica longobarda della zona (se
venisse accertata una sua provenienza dal
nord). Una situazione così diversa rispetto a
tutta la Tuscia longobarda. E proprio in questa
fascia si presenta un aspetto tipico delle aree di
frontiera. Abbiamo infatti una singolare concentrazione di attestazioni di cambiamenti delle sedi vescovili, cioè della gerarchia interna fra
i centri abitati 162.
La presenza di una frontiera influenzò lo sviluppo del popolamento sia rurale che urbano,
l’economia e il tessuto sociale di una regione.
Dopo la conquista longobarda le merci mediterranee continuano ad arrivare nella Liguria bizantina, mentre con la fine del VI secolo possiamo datare le ultime produzioni presenti lungo la
costa toscana. Nuove attestazioni materiali di
circolazione di prodotti, questa volta di area
campano-laziale, sono databili, non a caso, solo
a partire dalla fine dell’VIII e soprattutto nel IX
secolo, cioè con la fine della frontiera. Questi
elementi sono in sintonia anche con i dati numismatici: le coniazioni toscane, infatti, non si ritrovano in area bizantina laziale 163.
Compito dell’archeologia è ora quello di muoversi su due fronti: da un lato cercare dati diretti sull’insediamento, dall’altro verificare sulla
base della cultura materiale l’effettivo grado di
permeabilità o impermeabilità della frontiera.
(Wilhelm Kurze - Carlo Citter)
162 Da Visentium il vescovo va a Castro (castrum Balenti )
da Tarquinia a Tuscania sede di gastaldo, da Ferentis fu ricavato Bomarzo (castrum Polymartium), da Volsinii ad Orvieto ( ’
di PROCOPIO VI, XI, 1 e il c a s t r u m
’
citato da Giorgio Ciprio), da una località ancora
da individuare a Sovana, infine un nuovo vescovato viene
istituito nel castrum di Bagnoregio (Balneum regis). Si veda
quanto detto già da SCHNEIDER 1975, pp. 45 e ss. e da
Kurze in questo testo.
163 Per quanto riguarda gli effetti della frontiera si veda
quanto già espresso da DELOGU 1980, pp. 160 e ss. e ribadito in DELOGU 1994, pp. 15 e sgg.. I Longobardi non
avrebbero provocato fratture su un tessuto integro, ma
avrebbero accelerato i processi di disgregazione già in atto.
In questo senso si può parlare, sono parole di Delogu, di continuità nel senso del processo di rottura, ed è l’unica continuità ammissibile. Altri dati in base alla numismatica in
ARSLAN 1994, p. 507. La circolazione di moneta toscana in
Italia padana e meridionale comincia solo nella seconda
metà dell’VIII secolo. Per i dati attualmente disponibili sulle ceramiche, una breve sintesi in CITTER cs 1.
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