“rigore” in matematica
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“rigore” in matematica
064. D’Amore B. (1984). Il cosiddetto “rigore” in matematica. Il Periodico di Matematica. 3-4, 76-82. [Questo articolo è stato ripubblicato su: Insegnare, 2, 1985, 55-59]. Il cosiddetto “ rigore ” in matematica Bruno D’Amore N.R.D., Dipartimento di Matematica, Università di Bologna Tra gli insegnanti di matematica (e non solo tra i più anziani) è molto diffusa l’idea che anche in didattica a “basso” livello scolastico si debba sempre pretendere una trattazione rigorosa della matematica; questa richiesta spesso si estrinseca solo in un formalismo esasperato o in un uso antiquato e desueto del linguaggio nel quale la matematica è espressa. Questo tipo di insegnanti hanno dalla loro parte un autorevole personaggio, Giuseppe Peano, il quale pressappoco così si esprime: l’insegnamento della matematica deve essere rigoroso a qualunque livello scolare; se una dimostrazione si fa, dev’essere rigorosa; se tale non può essere per l’età o l’immaturità del discente, allora piuttosto non si faccia. Il primo a “trasgredire” questa sorta di “assioma didattico”, però, è... proprio lo stesso Peano. Genio di multiformi interessi, quando gli chiesero di stendere appunti su esercizi di matematica (in particolare di aritmetica) per bambini in età elementare, egli si dovette render conto, probabilmente giocherellando come era solito fare con i bambini con i quali amava circondarsi a Cavoretto, che c'è rigore e rigore. Il suo celebre e simpatico libretto Giochi di aritmetica e problemi interessanti (1) lo vede impegnato in un'opera di divulgazione matematica riuscita proprio perché si sente, nelle mani di un grande, l’inutilità del ricorso al “ rigore ” matematico in cambio di una maggiore comprensione e fruibilità dell’argomento. Sembra 1 G. Peano, Giochi di aritmetica e problemi interessanti, edizione 1983, Sansoni, Firenze, presentazione di G. C. Argan, prefazione di U. Bottazzini. quasi dire, ma non lo dice esplicitamente: non importa come le cose si facciano o si dicano; quel che conta è che il messaggio arrivi a destinazione e che il fanciullo si faccia una sua personale idea di matematica. Fautore di un “fare la matematica attraverso la soluzione di problemi appositamente costruiti”, Peano riporta nel suo libretto alcuni celebri problemi (2). “10.-Data l’altezza dell’albero maestro d’una nave, trovare l’età del capitano” (3). Non c’è pretesa di scherzo, si tratta di un vero e proprio problema con dati mancanti ma... reperibili. Infatti, per risolvere il quesito, dice Peano, occorre solo sapere in quale porto è ancorata la barca, andare alla capitaneria di porto e desumere dall’altezza dell’albero il nome della nave e quindi quello del capitano, dopo di che recarsi all’ufficio d’anagrafe ed informarsi sull’età del capitano. “Chi deve risolverli, cercherà gli elementi che mancano”. Analogo al 10 è il problema 11, dice Peano. “11.-Si domanda quanto vale l’argento contenuto in una moneta d’argento da 1 lira, coniata prima del 1914” (4). Può sfuggire l’analogia fra i due problemi; ma anche in questo caso occorre fare una ricerca per raccogliere i dati necessari a risolvere il problema. Seguendo i curiosi problemi di Peano, vengono in mente i problemi con dati da ricercare cui si fa spesso cenno da parte dei didatti della matematica, ancora oggi; e viene in mente il tema “Problemi” nei nuovi programmi di matematica per la scuola elementare. Torniamo all’idea di “rigore”. Anche ad un più alto livello scientifico, questa è un’idea imprecisa, spesso solo personale, comunque mutevole nel tempo ed influenzata da vere e proprie mode. Gli Elementi di Euclide sono stati considerati esempio di rigore dai suoi tempi (300 a. C.) fino al XVIII secolo. Avrebbero dovuto essere un esempio perenne, ma poi si sono 2 A pag. 60. Con il suo solito gusto per la ricerca storica, Peano attribuisce il problema al filosofo Richard, Revue de Métaphisique, 1920. 4 La prima edizione del libretto è del 1924, Paravia, Torino (l’edizione moderna è però tratta dalla seconda, 1925, sempre Paravia); le monete d’argento da 1 lira erano ufficialmente ancora in circolazione ma di fatto scomparse per l’incetta dei collezionisti, anche perché il valore intrinseco era quasi il doppio del loro valore nominale. 3 cominciate a trovare varie manchevolezze; anzi, tutta una fetta di storia della geometria è una sequenza di ricerche fatte da studiosi che si sono affannati ad eliminare “nei” dalla trattazione di Euclide, cioè a correggere e renderne più rigorosi i passi. L’opera più famosa di Hilbert (e siamo a cavallo tra la fine del secolo scorso e l’attuale) è proprio una revisione sistematica e rigorosa della esposizione della geometria di Euclide. Paragonando i due livelli di rigore, oggi può sembrare impossibile che si sia potuta considerare “esemplarmente rigorosa” un’opera così lacunosa qual è quella di Euclide (5). Basti pensare che non v’è esposta un’idea corretta di continuità, che è dato per scontato che se una retta passa per un punto interno ad una circonferenza, allora la retta e la circonferenza hanno due punti in comune. Si pensi poi alla nascita del Calcolo e alle esortazioni dei Maestri a continuare nella ricerca e nell’uso di questo potente strumento: la fede nella sua correttezza e fondatezza vi verrà col tempo! Si pensi all’idea di continuità ed all’assoluta mancanza di rigore che ne ha caratterizzato la nascita; si pensi all’idea di curva, alla definizione di Jordan, alla creazione (sempre di Peano) di una curva che riempie uno spazio piano, quindi alla difficoltà che ha avuto il matematico di definire in termini rigorosi un’idea semplice e naturale, che ogni bambino di scuola elementare già implicitamente possiede, l’idea di curva. E infine, ma non perché sia l’ultimo esempio possibile, si pensi al “rigore” con il quale si è andata definendo nei millenni quell’idea semplicissima (all’apparenza) che è l’angolo. Ai tempi di Euclide, angolo formato da due linee (non necessariamente rette) era la loro “ inclinazione reciproca ”. Definizione rigorosa? Con leggeri mutamenti, la definizione è rimasta la stessa addirittura fino al 1700, finché si è arrivati all’idea attuale: la parte di piano compresa tra le due semirette (aventi l’origine in comune) che sono i lati dell’angolo. Ma, didatticamente, l’idea è proprio così felice? Questa “ parte di piano ” è infinita. E se prendiamo un 5 Naturalmente, tenendo conto di tutti i fattori, specie storici, non si può che restare ancora oggi sbalorditi di fronte ad un’opera monumentale come gli Elementi di Euclide... e si capisce perfettamente perché per duemila anni essa sia stata esempio di rigore in matematica (e non solo in matematica!). altro angolo di ampiezza minore, anche quello è infinito. Ma il secondo infinito è più piccolo del primo. E allora li trasportiamo l’uno sull’altro, fino a farne coincidere origine ed un lato, per vedere se l’altro lato è “ compreso ” nel primo angolo; ma se le ampiezze sono uguali, ma le parti disegnate dai lati sono diverse, che cosa succede? Crediamo tutti che un bambino di 8 anni riesca a capire davvero idee simili, se ci si incaponisce a parlarne in questo modo astratto, solo perché c’è chi ritiene che esso sia “rigoroso?”. Questo esempio ci porta a parlare del “rigore” in didattica, più precisamente nella didattica elementare e media. C’è una esasperata paura di mancare di rigore nella mentalità dell’insegnante elementare e medio, paura che, per eccesso di ricercatezza, lo porta talvolta a rendere eccessivamente formali alcune presentazioni di argomenti peraltro facili e naturali. Per esempio, l’introduzione dell’idea di numero naturale come cardinale attraverso una meticolosa successione di fasi, dalla raccolta di sacchettini contenenti oggetti, alla partizione in classi di equivalenza, va benissimo (anche se non bisogna dimenticare l’approccio “ordinale” all’idea di numero per privilegiare quello “cardinale”); ma non occorre enfatizzare troppo questa introduzione, formalizzandola eccessivamente, addirittura arrivando a parlare in generale (nella scuola elementare!) dell’idea di “passaggio al quoziente”. Così, non si deve esagerare con eccessi formali nella giustificazione delle operazioni aritmetiche attraverso un meccanismo di tipo insiemistico (aggettivo, non sostantivo). Un altro esempio, le cosiddette “ rispostine ”. All’inizio davo poco peso alla cosa, ma poi mi sono accorto che un gran numero di insegnanti in corsi tenuti in tutta Italia dimostrava una titubanza enorme, quasi il terrore, di fronte a come sistemare le risposte parziali durante la fase di soluzione di un problema caratterizzato da più operazioni. Se per me, matematico, la cosa è del tutto priva di interesse, ciò non toglie che per l’insegnante elementare la cosa sia importante; che metodo seguire, mi chiedono, quasi che si tratti di questione matematica; ed è difficile far capire che così non è. Un altro esempio: la sistemazione delle “ marche ” del S.M.D. è oggi regolata dalle norme internazionali alle quali, finalmente, la Repubblica Italiana si è degnata di uniformarsi nel 1982 (D.P.R. n. 802 12 agosto 1982). La marca va dopo il numero, non sottolineata, non corsiva, senza punto, m sta per metro, g per grammo (alla faccia di tutte le indicazioni che si trovano sui prodotti in vendita nei supermercati...). Nonostante questa sicurezza sul come comportarsi, ancora molti sono i dubbi, i patemi d’animo, il terrore di sbagliare! Un’insegnante di San Lazzaro mi ha detto che lei non se la sente di uniformarsi perché se al bambino dice: 12,7 m lui potrebbe capire che i metri sono i 7...; mentre invece, se dice: m 12,7 lui senz’altro capisce che i metri sono i 12. Bé: meglio ribellarsi ad una norma internazionale, sapendo di fare anarchia, pur di ottenere un (dubbio) vantaggio di comprensione, piuttosto che uniformarsi solo per convenzione... ma senza convinzione. Che dire poi dell’uso della virgola? Da quando si parla di calcolatrici tascabili, nella scuola elementare, se ne sentono di tutti i colori; ma diversi insegnanti mi hanno detto che loro rifiutano di usare quel mezzo per via della differenza tra la sua scrittura e quella usuale. In che cosa risiede tale differenza? Nell’uso del punto (nel modo anglosassone) in luogo della virgola (nel modo latino). Con il punto i bambini si confondono. E pensare che Peano, proprio nel libretto citato all’inizio, scrive 12·5 per dire 12,5; e non credo che ciò si debba considerare “ errore ” o mancanza di rigore o fonte di confusione. Viceversa, non si dà quasi importanza a macroscopici errori, molto rilevanti. Per esempio, sono ancora tanti i bambini (e gli insegnanti) che sembrano chiamare “rombo” un quadrato che ha la proprietà di “avere le diagonali rispettivamente verticale ed orizzontale”! Sembra quasi che questa sia un’inezia trascurabile, di fronte alla ricerca sublime di rigore nel linguaggio matematico. Occorre, a mio avviso, essere più elastici nell’idea di rigore e riservare invece più energie nel tentativo di correggere gli errori veri e propri, purtroppo assai diffusi tra i nostri insegnanti. È vero che l’attività matematica abitua al rigore (anche mentale), ma troppi credono che ciò dipenda soprattutto dall’abitudine al rigore formale della lingua comune quando essa è utilizzata per la matematica. Non è così. È la matematica stessa, di per sé, ad essere fonte di organizzazione logica delle idee, non il linguaggio naturale del quale si fa uso per parlarne. C’è, è vero, un legame che si instaura tra linguaggio della matematica e linguaggio comune del quale si fa uso per parlare di matematica; ma non è certo il fatto che solo nei libri di matematica si trovino modi di dire desueti e da tempo abbandonati a rendere corretto il linguaggio (per esempio, in quale altro testo, di quale altra materia, si trova ancora oggi una frase che comincia con “Dicesi”, se non in un libro di matematica?). Non è certo questa l’idea di linguaggio rigoroso; non è vero che una definizione matematica non si possa “ tradurre ” in un linguaggio normale, abituale, accessibile a tutti. Va detto infine che la grammatica della matematica (se mi è permesso questo modo di dire) non è la grammatica della lingua naturale, ma un’altra cosa (ci si muove su livelli linguistici diversi); l’aspetto sintattico del linguaggio matematico si acquisisce lentamente, nel tempo, non si deve memorizzare o anticipare tutto, come si tende a fare nella speranza dì un sommo rigore, di fatto fallace (per esempio, quando qualche anno fa si tendeva a svolgere nel primo ciclo tutta la teoria degli insiemi per creare il linguaggio “rigoroso” di base; linguaggio che, poi, non si sapeva come usare, tant’è vero che moltissimi maestri dicevano che in terza dovevano ricominciare tutto da capo, dimenticando quel che avevano fatto fino a quel punto...). Se la matematica è metodo, modo di esporre i fatti della realtà, modo di pensare e di atteggiarsi, allora non è necessario essere perfettamente rigorosi per conoscerla ed usarla; mai visto un capomastro misurare l’altezza di un muro con un micrometro di Palmer o con un calibro... Basta e avanza un metro snodabile, piegato e rotto, con un potenziale di errore stimato altissimo. Un buon capomastro privo di esasperato rigore è pur sempre un buon capomastro. La pretesa di rigore eccessivo cozza poi duramente contro le ricerche nel campo psicologico che non possiamo più far finta di ignorare per l’importanza che esse hanno avuto nel campo della didattica, specie matematica. L’infante, il fanciullo, l’adolescente hanno bisogno di concretizzare, di fare, di creare la propria matematica, di costruirsi da sé il proprio metodo matematico, di reinventare ogni volta il proprio personale linguaggio matematico, per poterlo davvero possedere. Il vecchio proverbio cinese diceva: se ascolto, dimentico se vedo, ricordo se faccio, capisco; ma si potrebbe aggiungere: solo lo strumento che ho creato io stesso, mi appartiene davvero.