l`osservatore romano
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Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLIV n. 10 (46.552) Città del Vaticano mercoledì 15 gennaio 2014 . La conferenza Ginevra 2 deve garantire la partecipazione inclusiva di tutte le parti coinvolte Violenti scontri tra polizia ed estremisti islamici Per la pace in Siria Si vota in Egitto sulla nuova Costituzione La cessazione immediata della violenza in Siria; l’avvio della ricostruzione; il dialogo tra le comunità; i progressi nella risoluzione dei conflitti regionali; la partecipazione di tutti gli attori regionali e globali al processo di pace. Sono questi i presupposti e al tempo stesso gli scopi che la conferenza internazionale sulla Siria, fissata per il 22 gennaio prima a Montreux e poi a Ginevra, deve prefiggersi per arrivare a una pace duratura. Lo sostiene il documento conclusivo del seminario sulla crisi siriana promosso dalla Pontificia Accademia delle Scienze e svoltosi ieri, lunedì 13, in Vaticano. La dichiarazione è stata indirizzata a Papa Francesco. Il documento, pur in presenza di una situazione drammatica, ha un’impostazione fortemente propositiva. Vi si sostiene, infatti, che l’orrore della violenza e della morte in Siria ha condotto il mondo a una rinnovata riflessione, e quindi a una nuova possibilità di pace. Di conseguenza, la conferenza, conosciuta come Ginevra 2, permette al popolo siriano, alla regione e al mondo intero di concepire un nuovo inizio per porre fine alla violenza che ha pro- vocato oltre 130.000 morti e ha lasciato un paese bellissimo nella rovina e nel caos. «Dobbiamo perciò operare tutti in armonia e fiducia per tracciare urgentemente un percorso di riconciliazione e ricostruzione», scrivono i partecipanti al seminario, sostenendo che «il passo iniziale e più urgente, che trova d’accordo tutti gli uomini e le donne di buona volontà, è l’immediato cessate il fuoco e la fine di ogni tipo di violenza: una fine senza precondizioni politiche». Tutti i combattenti interni della regione — si legge nel documento — «devono deporre le armi; tutte le potenze straniere devono adottare misure immediate per fermare il flusso di armi e il finanziamento delle stesse, che alimenta l’escalation della violenza». Interventi umanitari massicci, oggi ostacolati dai combattimenti, sono necessari per milioni di siriani che si trovano nella condizione di profughi, sia sfollati interni sia rifugiati all’estero, con «privazioni estreme e potenzialmente letali». Il documento sollecita dunque a fare in modo che la Siria possa intraprendere, con il pieno sostegno finanziario e umano mondiale, un percorso di ricostruzione, «da iniziare ancor prima che siano risolte tutte le questioni politiche e sociali». In questo un ruolo privilegiato devono avere i poveri e i giovani ai quali va garantito l’accesso al y(7HA3J1*QSSKKM( +&!"!=!#!\! Washington e Mosca scorgono spiragli di tregua DAMASCO, 14. In Siria non si fermano i combattimenti, ma Stati Uniti e Russia, promotori con l’Onu della conferenza di pace fissata per il 22 gennaio, sostengono che vi siano spiragli per arrivare a un cessate il fuoco, almeno in alcune zone, per consentire gli interventi umanitari. Lo hanno detto ieri il segretario di Stato americano, John Kerry, e il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov, dopo la riunione a Parigi con l’inviato dell’Onu e della Lega araba, Lakhdar Brahimi, per preparare appunto l’apertura dei negoziati a Ginevra. Su uno dei principali nodi diplomatici ancora non sciolti, cioè la partecipazione dell’Iran, Kerry ha fatto una parziale apertura. «Accoglieremo con favore la presenza dell’Iran, se Teheran parteciperà in linea con l’obiettivo della conferenza», ha detto il segretario di Stato americano, secondo il quale tale obiettivo è una transizione politica. In merito, Kerry ha sottolineato che l’Iran, principale alleato regionale del Governo siriano del presidente Bashar Al Assad, deve ancora comunicare se sostiene o meno l’accordo della precedente conferenza a Ginevra, del 30 giugno 2012. All’epoca era stato delineato un piano di uscita dalla crisi che escludeva la presenza di Assad nel futuro Governo di transizione. Da parte sua, il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, ha ribadito ieri che Teheran non accetterà precondizioni per partecipare alla conferenza. Zarif discuterà della questione tra due giorni a Mosca con Lavrov. I capi delle diplomazie statunitense e russa hanno affrontato anche la possibilità di uno scambio di prigionieri tra Governo siriano e l’opposizione. Secondo alcune fonti, la questione è stata sollevata ieri dal presidente del Comitato internazionale della Croce Rossa, Peter Maurer, ricevuto a Damasco dal ministro degli esteri siriano, Walid al Muallim. L’apertura di corridoi umanitari, di nuovo sollecitata ieri dall’Onu, e il rilascio dei prigionieri politici sono alcune delle condizioni poste dalla Coalizione nazionale siriana, che raccoglie diversi gruppi di opposizione, per partecipare alla conferenza. La Coalizione si pronuncerà in merito venerdì prossimo, dopo un incontro con le autorità russe. Una bambina estratta dalle macerie durante un bombardamento a Damasco (Reuters) lavoro e a una formazione che offra competenze per la ricostruzione. Accanto a quella materiale è necessaria una ricostruzione spirituale e comunitaria, nel segno del dialogo tra le comunità e della riconciliazione «per raggiungere una nuova comprensione e un ripristino significativo della fiducia, dopo anni di violenze tra comunità». Si ritengono inoltre necessarie nuove forme politiche per garantire la rappresentanza, la partecipazione, le riforme, la libertà di espressione e la sicurezza per tutti i gruppi sociali. La trasformazione politica non va considerata un presupposto per porre fine alla violenza, ma piuttosto deve procedere «di pari passo alla cessazione della violenza e alla ricostruzione della fiducia». I partecipanti al seminario sottolineano che la guerra in Siria è stata alimentata dalle rivalità e dalla profonda sfiducia nella regione, più ancora che dai conflitti interni. «Da un lato — afferma il documento — questo è promettente. Il popolo siriano ha convissuto in pace nel corso della storia, e può tornare a farlo. D’altra parte, i conflitti regionali che hanno travolto la Siria vanno affrontati al fine di creare le condizioni per una pace duratura». Di conseguenza, «la conferenza Ginevra 2 deve garantire la partecipazione inclusiva di tutte le parti del conflitto, sia all’interno della regione che oltre». In merito, il seminario ha ritenuto particolarmente degno di nota il recente accordo tra l’Iran e i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza più la Germania, per raggiungere un consenso sul programma nucleare iraniano. «Questo accordo interinale dà al mondo la grande speranza che il periodo prolungato di grave sfiducia tra l’Iran e altre nazioni della regione e oltre possa ora essere seguito da una nuova era di fiducia e persino di cooperazione». Cosa che avverrebbe anche nel caso di un passo avanti nei negoziati di pace israelopalestinesi, in corso sotto l’egida degli Stati Uniti. Una donna immerge il dito nell’inchiostro dopo avere votato al Cairo (LaPresse/Ap) IL CAIRO, 14. Sono iniziate questa mattina in tutto l’Egitto le operazioni di voto per il referendum sulla nuova Costituzione. Oltre trentamila seggi rimarranno aperti fino alle 21 e lo stesso sarà anche nella giornata di domani. Sono quasi 53 milioni gli aventi diritto, cui vanno aggiunti i circa 680.000 persone residenti all’estero che hanno peraltro già votato, l’8 e il 9 gennaio in ambasciate e consolati. Il primo ministro egiziano ad interim, Hazem El Beblawi, e il presidente ad interim, Adly Mansour, hanno votato a Heliopolis, a nord-est del Cairo. Lo rende noto il sito del quotidiano «Al Ahram». Dopo aver votato El Beblawi ha diffuso un comunicato stampa nel quale invita la popolazione a non aver paura a esprimere la propria posizione sulla Carta Duecento persone in fuga dalla guerra muoiono nell’affondamento di un traghetto sovraccarico nel Nilo Bianco Civili travolti dal conflitto in Sud Sudan JUBA, 14. La guerra civile che da un mese dilania il Sud Sudan ha provocato domenica — ma se ne è avuta notizia solo oggi — una delle più gravi tragedie dei profughi in anni recenti. Almeno duecento persone, in gran parte donne e bambini, sono morte nell’affondamento nel Nilo Bianco di un traghetto sul quale stavano cercando di fuggire da Malakal, la capitale dello Stato sud sudanese dell’Alto Nilo. Nella città, considerata la porta per il controllo dei giacimenti petroliferi del vicino Stato di Unity, sono in corso violenti combattimenti tra le forze fedeli al presidente Salva Kiir Mayardit e quelle ribelli che fanno riferimento all’ex vice presidente Rijek Machar, rimosso dall’incarico lo scorso luglio e poi accusato di aver ordito un colpo di Stato. La notizia del tragico naufragio è stata confermata dal portavoce dell’esercito governativo, Philip Aguer, citato dalla Bbc, secondo il quale il traghetto era sovraccarico. Una dura battaglia è stata segnalata ieri anche a Bor, la capitale dello Stato dello Jonglei che l’esercito governativo ha cercato invano di strap- pare agli insorti, come ammesso dallo stesso Aguer. Sempre ieri, la Fao, il fondo delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, ha denunciato che il conflitto minaccia di far aumentare notevolmente fame e sofferenza umana, cancellando i modesti progressi realizzati nel settore della sicurezza alimentare negli ultimi due anni. Sue Lautze, la rappresentante della Fao in Sud Sudan, ha ricordato che il piano delle Nazioni Unite di risposta alle crisi stima in 61 milioni dollari la cifra per le attività di assistenza alimentare e per fornire i mezzi di sussistenza alle popolazioni del Paese. L’attività della Fao punta principalmente ad ottenere sementi, vaccini per il bestiame, attrezzature per agricoltura, oltre a servizi per le famiglie vulnerabili rurali e urbane le cui attività produttive e di reddito sono state sconvolte dal conflitto e dal grande numero di rifugiati. In questo senso, la Fao è anche impegnata nel Ban Ki-moon a Baghdad invita al dialogo Quel linguaggio sperimentale chiamato mistica A PAGINA 5 Una famiglia di nome Bergoglio STEFANO MASINO A PAGINA 4 NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto oggi in udienza Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Óscar Andrés Rodríguez Maradiaga, Arcivescovo di Tegucigalpa (Honduras). Attentati nella capitale anche nel giorno della visita del segretario generale dell’O nu Il secondo volume postumo de «La fable mystique» di Michel de Certeau SYLVIE BARNAY mitigare l’impatto ambientale degli sfollati e dei massicci spostamenti delle popolazioni a causa del conflitto. Secondo Lautze, è essenziale che sicurezza e stabilità ritornino in Sud Sudan, in modo che gli sfollati possano ritornare al più presto alle loro case, ai loro campi, agli allevamenti e alle attività di pesca. La rappresentante della Fao ha sottolineato che i tempi per evitare una catastrofe sono strettissimi. fondamentale, emendata rispetto a quella approvata nel 2012 sotto la presidenza di Mohammed Mursi. In quest’ottica, il premier egiziano ha dichiarato che le forze di sicurezza sono state mobilitate per garantire l’incolumità degli elettori. Gli estremisti islamici sono comunque scesi in piazza per boicottare il referendum costituzionale. Scontri con polizia si segnalano in diverse città, un’ora dopo l’apertura dei seggi. Ad Alessandria e nell’Alto Egitto (sud) gli agenti hanno usato gas lacrimogeni per disperdere i dimostranti A Beni Suef, a sud della capitale, un dimostrante è morto nei disordini. Anche il ministro della Difesa egiziano, Abdel Fattah El Sissi, si è recato in un seggio elettorale a Heliopolis, quello di Al Kholafaa Al Rashedin, ma in quanto militare non ha votato. Ban Ki-moon a Baghdad con il premier iracheno Al Maliki (LaPresse/Ap) BAGHDAD, 14. È stato esplicito il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, nell’invitare i leader iracheni ad affrontare «alla radice» i problemi legati all’ondata di violenze che da mesi stanno insanguinando il territorio, con un pesante bilancio di vittime, anzitutto tra i civili. Durante la visita, ieri, a Baghdad, il segretario generale dell’Onu — che ha incontrato, tra gli altri, il primo ministro, lo sciita Nouri Al Maliki — ha esortato le autorità competenti a lavorare per garantire una solida coesione politica e sociale. Nello stesso tempo Ban Ki-moon si è detto molto preoccupato per la situazione della sicurezza nel Paese — dove si è registrato un ritorno dei guerriglieri di Al Qaeda — e per l’intensificarsi delle violenze, verificatesi anche nel giorno della sua visita a Baghdad. Nella capitale, infatti, ventuno persone sono morte in seguito ad attentati dinamitardi. L’attacco più sanguinoso è avvenuto nel distretto di Shaab, a maggioranza sciita con un bilancio di undici civili morti. Il Santo Padre ha ricevuto oggi in udienza Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Severino Poletto, Arcivescovo emerito di Torino (Italia). Il Santo Padre ha ricevuto oggi in udienza Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Il Santo Padre ha ricevuto oggi in udienza His Grace Anthony Palmer, Bishop and International Ecclesiastical Officer of Evangelical Episcopal Churches. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 mercoledì 15 gennaio 2014 Centinaia i morti e migliaia gli sfollati Accordi commerciali siglati dal premier Shinzo Abe I centroafricani in ostaggio delle milizie armate Tokyo acquista gas dal Mozambico BANGUI, 14. Il relativo contenimento delle violenze a Bangui, la capitale della Repubblica Centroafricana, seguito alla svolta politica di venerdì scorso, non ha avuto purtroppo riscontro nel resto del Paese, che resta in ostaggio delle milizie contrapposte. Almeno 120 morti, centinaia di feriti e quattordicimila sfollati compongono il bilancio, ancora provvisorio, diffuso dalla Croce rossa centroafricana sui tre giorni di violenze nella città nordorientale di Bozoum, seguiti all’annuncio della rimozione dal potere dei principali leader della Seleka, la coalizione ex ribelle che nel marzo scorso aveva rovesciato il presidente François Bozizé. Durante un vertice nella capitale ciadiana N’Djamena, appunto venerdì scorso, i Paesi della Comunità economica dell’Africa centrale (Ceeac) avevano ottenuto le dimissioni di Michel Djotodia, del leader della Seleka che si era autoproclamato presidente, e del suo primo ministro, Nicolas Tiangaye. A Bangui ha assunto ad interim i poteri esecutivi Alexandre Ferdinand Nguendet, il presidente del Consiglio nazionale di transizione (Cnt), una sorta di Parlamento insediato dopo il colpo di Stato, formato da 135 esponenti che erano stati tutti portati a N’D jamena per avallare la svolta. Nguendet deve organizzare l’elezione del futuro presidente di transizione entro quindici giorni e ha già avviato ieri colloqui con rappresentanti dei partiti politici e della società civile per stilare una lista di possibili candidati. Sempre ieri si è avuta notizia che centinaia di soldati dell’esercito regolare, fuggiti dopo il colpo di Stato, sono tornati al comando a Bangui dopo l’appello del capo di stato maggiore, il generale Ferdinand Bomboyeke, a rientrare nelle caserme. Da parte sua, Nguendet ha assicurato, in un discorso tenuto nel comando della polizia, che l’anarchia è finita e che non saranno tollerate ulteriori violenze delle milizie e di quanti ha definito amanti dei saccheggi. La situazione sul terreno non sembra però avallare tale affermazioni. Violenze nel fine settimana erano state segnalate anche a Bangui, dove sono dislocate le truppe inviate da Parigi e quelle della Misca, la missione originariamente decisa dalla Ceeac, ma poi passata lo scorso 19 dicembre, per mandato MAPUTO, 14. Nella tappa in Mozambico della sua prima missione in Africa, il premier giapponese Shinzo Abe ha firmato una serie di accordi commerciali con il presidente Armando Guebuza, tra i quali spiccano quelli relativi all’acquisto di gas. La differenziazione delle fonti energetiche è una priorità del Governo giapponese, che ha inviato un percorso di uscita dal nucleare dopo il grave incidente nella centrale di Fukushima del marzo 2011. Diverse imprese giapponesi sono coinvolte nello sviluppo e nello sfruttamento dei giacimenti di gas del Paese africano, così come in quelli di carbone. Il Governo di Tokyo intende incrementare i propri investimenti in Mozambico, attualmente pari al 2,7 per cento del totale internazionale. Oltre al gas, Abe e Guebuza hanno indicato l’istruzione, la scienza e la tecnologia come settori prioritari degli accordi sottoscritti. Diversi osservatori, peraltro, sottolineano come altrettanto importanti quelli nel settore dei trasporti. Il Governo di Guebuza è impegnato in una massiccia politica di sviluppo della viabilità e delle ferrovie, considerata indispensabile per consentire un progresso economico. Il Mozambico, infatti, ha tuttora, a oltre vent’anni dalla fine della guerra civile, infrastrutture largamente insufficienti. dell’Onu, sotto la responsabilità dell’Unione africana. In questo caso, le fonti locali, pur riferendo di vittime, avevano però parlato di disordini relativamente contenuti. Diversa è la situazione nel nordest, dove agli scontri a Bozoum si sono aggiunti attacchi a numerosi villaggi dell’area, dove sempre secondo la Croce rossa locale sono state incendiate milletrecento case. Protagoniste di questi ultimi massacri di una lunga serie sono state le milizie della Seleka, ormai in maggioranza composte da combattenti di matrice fondamentalista islamica giunti dall’estero, soprattutto da Ciad e Sudan, contro le quali si battono quelle conosciute come anti-balaka (balaka significa machete in lingua locale songo). Secondo responsabili della comunità cattolica citate dalla Misna, l’agenzia internazionale delle congregazioni missionarie, a scatenare le violenze dei miliziani della Seleka sarebbe stata la gioia manifestata dalla popolazione dopo le dimissioni di Djotodia. Le stesse fonti sottolineano che ancora una volta a pagare il prezzo più alto delle violenze sono stati i civili. Nei ranghi dei gruppi armati contrapposti le vittime sono state infatti soltanto cinque. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt 00120 Città del Vaticano [email protected] http://www.osservatoreromano.va CONAKRY, 14. L’insediamento del nuovo Parlamento della Guinea — il primo eletto democraticamente da undici anni a questa parte — ha posto fine, ieri, alla lunga transizione politica nel Paese, che aveva avuto una tappa importante con l’elezione di Alpha Consé alla presidenza nel 2010, quando venne anche varata la nuova Costituzione. Alla presidenza del Parlamento è stato eletto Claude Kory Kondiano, del Raggruppamento del popolo di Guinea (Rpg), il partito di Condé risultato maggioritario anche nelle legislative tenute lo scorso settembre, peraltro contestate dall’opposizione. Nonostante ciò, è evidente che Kondiano sia stato sostenuto anche da deputati di opposizione o indipendenti. L’Rpg, infatti, ha 53 seggi un Parlamento (alla maggioranza assoluta di 58 arriva con quelli di piccole formazioni alleate), mentre Kondiano ha avuto 64 voti di consensi, contro i 48 della candidata dell’opposizione, Marie-Anne Fofana Kondiano assume un ruolo di notevole rilievo. In base alla Costituzione, infatti, in caso di impedimento o di vuoto di potere, è il presidente del Parlamento ad assumere l’interim della presidenza della Repubblica. Il premier nipponico Shinzo Abe (Afp) Il ministro dell’Economia conferma gli obiettivi di contenimento del deficit La sentenza sulla legge elettorale italiana Segnali di ripresa per l’economia spagnola Depositate le motivazioni della Consulta Condanne per crimini di guerra in Bosnia ed Erzegovina SARAJEVO, 14. I giudici del Tribunale di Sarajevo per i crimini di guerra hanno condannato, in primo grado, quattro ex militari musulmani bosniaci a complessivi 43 anni di reclusione per delitti contro civili serbo-bosnici commessi a Kotor Varos, nell’ovest della Bosnia ed Erzegovina, all’inizio della guerra civile degli anni 1992-1995. I quattro sono stati riconosciuti colpevoli di aver partecipato a un attacco contro il villaggio di Serdare dove nel settembre 1992 furono uccise 16 persone. Sempre ieri, , i giudici del Tribunale di Sarajevo hanno invece assolto in primo grado due croato-bosniaci dall’accusa di crimini di guerra commessi nel 1993 a Stolac e Capljina, nel sud del Paese. Secondo l’accusa i due avrebbero illegalmente imprigionato civili musulmani della zona e torturato i prigionieri nel campo di Dretelj. Il Tribunale ha giudicato le testimonianze e i riscontri presentati dall’accusa insufficienti per arrivare a una condanna. Conclusa la transizione politica in Guinea La bandiera spagnola sventola vicino alla statua di Cristoforo Colombo a Madrid (Reuters) MADRID, 14. Segnali di ripresa. L’economia spagnola è cresciuta dello 0,3 per cento nel quarto trimestre del 2013. Lo ha annunciato il ministro dell’Economia di Madrid, Luis de Guindos, ieri, nel corso di un’audizione parlamentare. De Guindos ha inoltre dichiarato che, secondo gli indicatori macroeconomici disponibili, la ripresa della quarta economia dell’eurozona appare destinata ad accelerare nel corso del 2014. Secondo il Governo guidato da Mariano Rajoy, la Spagna centrerà l’obiettivo, fissato nel 2013, di portare il deficit al 6,5 per cento del prodotto interno lordo per l’insieme delle pubbliche amministrazioni. Il ministro de Guindos ha sottolineato come finora l’azione del Governo abbia favorito la diminuzione dei costi di finanziamento dello Stato e il calo dello spread sul debito, dato che conferma il recupero della fiducia degli investitori stranieri nel Paese. Il titolare dell’economia ha poi enumerato, tra i fattori positivi: l’evoluzione del settore delle esportazioni, nel quale la Spagna è superata dalla sola Germania nell’eurozona, la fine del programma di ristrutturazione delle banche. Infine, un cambio di tendenza nel settore immobiliare, che nel primo semestre del 2014 tornerà a crescere. ROMA, 14. La Corte Costituzionale italiana ha depositato lunedì le motivazioni della sentenza con la quale ha dichiarato incostituzionali alcune parti della legge elettorale in vigore nel Paese. Nelle 26 pagine di motivazioni la Consulta ha anzitutto ribadito che resta in vigore la la normativa attuale, pur depurata dal premio di maggioranza e da integrare con disposizioni che consentano agli elettori di esprimere il voto di preferenza. Sono questi infatti i due punti della normativa dichiarati incostituzionali. Per la Corte, in virtù del principio di continuità dello Stato, la sentenza non tocca gli atti del Parlamento eletto né ha effetti sull’esito delle elezioni tenutesi fino ad ora. Ciò specificato, la Corte ribadisce che i premi di maggioranza previsti dalla legge alla Camera e al Senato, sono «manifestamente irragionevoli», perché il meccanismo ha come effetti una «sovrarappresentazione» della lista che ne beneficia, con ciò compromettendo il principio inderogabile dell’uguaglianza del voto e provocando «un’alterazione profonda del circuito democratico definito dalla Costituzione». E l’effetto maggiore si ha al Senato, dove possono crearsi maggioranze parlamentari «casuali» e non coincidenti con l’altra Camera. Riguardo alla que- stione delle preferenze, la Corte rileva come «alla totalità dei parlamentari eletti» manchi «il sostegno dell’indicazione personale dei cittadini». E suggerisce liste nelle quali il numero dei candidati da eleggere sia tale «da garantire l’effettiva conoscibilità degli stessi e con essa l’effettività della scelta e della libertà del voto», rispetto invece alle liste lunghe presentate finora. Per trovare un’intesa sulla controversa riforma della giustizia Il presidente turco incontra i leader dell’opposizione ANKARA, 14. Nel clima politico teso per lo scandalo della corruzione che ha coinvolto il Governo del premier turco, Recep Tayyip Erdoğan, è sceso in campo ieri il capo dello Stato, Abdullah Gül, compagno di partito ma anche, secondo alcuni, possibile antagonista di Erdoğan nel prossimo futuro. Gül ha ricevuto ieri pomeriggio i leader dell’opposizione, scesi in trincea negli ultimi giorni contro il disegno di legge presentato dal Governo sulla riforma della giustizia. Una riforma che l’opposizione teme miri a porre sotto controllo il Consiglio supremo dei giudici e dei procuratori per insabbiare le indagini anticorruzione che già hanno coinvolto decine di personalità vicine al partito islamico di governo Akp. La riforma della giustizia è stata subito bollata come incostituzionale e in violazione della separazione dei poteri in democrazia dallo stesso Consiglio supremo dei giudici. Il premier turco ha reagito alle accuse di corruzione e agli arresti di nomi eccellenti — fra cui i figli di tre GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile TIPO GRAFIA VATICANA EDITRICE L’OSSERVATORE ROMANO Carlo Di Cicco don Sergio Pellini S.D.B. vicedirettore Piero Di Domenicantonio caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione direttore generale ministri — denunciando un complotto contro il suo Governo e puntando il dito contro il movimento islamico Hizmet del predicatore Fetullah Gülen, suo ex-alleato, riparato negli Stati Uniti. Fra il premier e il movimento Hizmet ora è scontro senza esclusione di colpi a poche settimane dalle cruciali elezioni amministrative del 30 marzo. Erdoğan ha rimosso duemila dirigenti della polizia, fra cui i responsabili delle inchieste sullo scandalo Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va corruzione e ha destituito due procuratori. Sulla riforma della giustizia lo scontro si è fatto incandescente, degenerando anche in rissa in Parlamento. Sono volati insulti, schiaffi, bottigliette d’acqua e perfino un ipad. «Se passa buttiamo alla spazzatura 90 anni di progressi democratici» ha detto dopo il colloquio con Gül il capo dell’opposizione turca, Kemal Kilicdaroglu, che ha già preannunciato un ricorso alla Corte costituzionale. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 La Commissione Ue difende l’operato della troika FRANCOFORTE, 14. La troika, ovvero la squadra di esperti composta da Commissione europea, Banca centrale europea (Bce) e Fondo monetario internazionale (Fmi) che ha organizzato e gestito i programmi di assistenza finanziaria per alcuni Paesi dell’area euro, «non ha mai imposto le sue condizioni». La precisazione arriva direttamente da Bruxelles: lo ha spiegato ieri, nel corso di un’audizione al Parlamento Ue, il vicepresidente della Commissione, Olli Rehn. Secondo Rehn, «le condizioni sono state concordate con i Paesi beneficiari, e i Governi sono responsabili davanti ai rispettivi parlamenti». La stessa definizione di troika, ha detto Rehn, «è ufficiosa e non mi piace: le tre istituzioni dialogano e si equilibrano a vicenda». Il messaggio di Rehn è arrivato proprio nel giorno in cui è stata presentata la nuova banconota da dieci euro, con innovazioni nella veste grafica e passi avanti tecnologici tesi a offrire maggiore protezione dalle possibili contraffazioni. I nuovi biglietti, che come la versione rinnovata del taglio da cinque euro, avranno tutti su un lato l’effigie della dea greca Europa. Concessionaria di pubblicità Il Sole 24 Ore S.p.A System Comunicazione Pubblicitaria Aziende promotrici della diffusione de «L’Osservatore Romano» Intesa San Paolo Alfonso Dell’Erario, direttore generale Romano Ruosi, vicedirettore generale Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 Società Cattolica di Assicurazione [email protected] Banca Carige Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 15 gennaio 2014 Ispettori dell’Aiea in missione a Teheran TEHERAN, 14. Ispettori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), sono attesi a Teheran sabato prossimo, 18 gennaio, in quello che viene considerato come un primo passo verso l’attuazione dell’accordo di Ginevra stipulato a novembre. Lo ha annunciato l’agenzia di stampa ufficiale iraniana Irna citando il portavoce dell’O rganizzazione per l’energia atomica iraniana (Aeoi), Behrouz Kamalvandi. Il portavoce ha ricordato che la maggior parte del piano di azione previsto dall’accordo fra Iran e il gruppo cinque più uno (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina, membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu, più la Germania) fa riferimento a intese fra Teheran e l’Aiea. «Stiamo discutendo su ispezioni e supervisione», ha rivelato Kamalvandi affermando che la presenza degli ispettori è in linea con le disposizioni dell’accordo. Smentendo informazioni rilanciate da media circa l’apertura di un ufficio Aiea a Teheran, il portavoce ha detto che la presenza degli ispettori non vuol dire che questi avranno base in Iran. In merito alla possibilità di una revoca parziale delle sanzioni all’Iran dopo l’accordo di Ginevra, una portavoce dell’alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea, Catherine Ashton, ha affermato ieri che «l’Ue si atterrà ai suoi impegni e prenderà tutte le misure necessarie in questa direzione, in modo che ciò che è stato concordato sia anche realizzato». pagina 3 Marcia pacifica di migliaia di manifestanti antigovernativi Bangkok paralizzata dalle proteste Un manifestante su un traliccio nella capitale thailandese (LaPresse/Ap) BANGKOK, 14. Migliaia di manifestanti antigovernativi thailandesi hanno marciato oggi pacificamente verso ministeri e uffici pubblici di Bangkok, nel secondo giorno di blocco della capitale, organizzato per costringere il primo ministro, Yingluck Shinawatra, alle dimissioni e forzare la cancellazione delle elezioni anticipate previste per il 2 febbraio. Nel Paese la campagna elettorale è già iniziata, nonostante il boicottaggio dell’opposizione, ma a questo punto non è scontato che il voto si svolgerà. Gruppi di manifestanti si sono diretti questa mattina verso il dipartimento delle Dogane e il quartier generale della polizia. Nonostante molti dimostranti siano rimasti accampati nelle strade durante la notte, la partecipazione odierna appare inferiore a quella di ieri. La circolazione stradale è fortemente compromessa lungo alcune delle principali vie del centro tuttora occupate, ma ampie zone di Bangkok continuano a funzionare regolarmente, e molti residenti oggi sono tornati a scuola o al lavoro con disagi minimi. Yingluck, che ha temporaneamente spostato il suo ufficio in un complesso alla periferia nord della capitale, ha proposto per domani un negoziato con l’obiettivo di discutere un possibile rinvio del voto. L’ipotesi è stata però respinta dal leader della protesta, l’ex vicepremier, Suthep Thaugsuban. Finora le proteste si sono svolte in modo pacifico e i manifestanti, provenienti in maggioranza dal sud monarchico-nazionalista o espressione della borghesia di Bangkok, hanno bloccato il centro della capitale. Il tutto, infatti, si è svolto in un clima da festa popolare, nella completa assenza di forze dell’ordine nonostante l’annunciata mobilitazione di più di ventimila uomini. Le richieste dei manifestanti sono sempre le stesse: avviare un processo di riforme contro la corruzione. Formato in Bangladesh il nuovo Esecutivo DACCA, 14. Il primo ministro del Bangladesh, Sheikh Hasina, che ha giurato domenica dopo la vittoria nelle contestatissime elezioni del cinque gennaio scorso — boicottate dall’opposizione e svoltesi in un clima di violenze con almeno 26 vittime — ha formato un Governo di 49 membri nel quale ha tenuto per sé la responsabilità di sei dicasteri, fra cui Esteri, Interni e Difesa. Lo sottolinea oggi la stampa bengalese. Soltanto 15 dei 51 ministri del suo precedente Governo sono stati riconfermati. Fra gli esclusi gli ex ministri degli Esteri, Dipu Moni, e degli Interni, Mohiuddin Khan Alamgir. Sono invece tornati in gioco numerosi leader storici della Lega Awami che erano stati messi da parte nella precedente formazione governativa. Il partito di Sheikh Hasina e i suoi alleati hanno ottenuto oltre l’80 per cento dei seggi nel Parlamento del Bangladesh. Ma, nonostante questa schiacciante maggioranza, la premier deve fare fronte alle pressioni dell’opposizione e della comunità internazionale che la invitano a organizzare un nuovo scrutinio. Le forze dell’opposizione hanno minacciato di bloccare il Paese ma molti esponenti sono stati arrestati durante le elezioni e la leader del Partito nazionalista del Bangladesh, Khaleda Zia, è stata di fatto posta agli arresti domiciliari per due settimane e solo sabato scorso è stata autorizzata a lasciare il suo domicilio. La leader dell’opposizione ha definito le legislative una farsa e ha chiesto un nuovo voto organizzato sotto l’egida di un Governo neutrale. Mentre forti divergenze impediscono l’adozione della nuova Costituzione Ricostruiti trecento pezzi pregiati del museo nazionale di Kabul saccheggiato dai miliziani Celebrato in Tunisia il terzo anniversario della rivolta La sfida ai talebani passa anche attraverso la cultura TUNISI, 14. I dirigenti tunisini hanno partecipato questa mattina a una breve cerimonia per il terzo anniversario dell’inizio della rivolta che ha costretto alla fuga l’ex presidente Zine El Abidine Ben Ali dando il via alla primavera araba. Nel Paese permane però l’incertezza sul calendario dell’adozione della nuova Costituzione, prevista all’origine per questa giornata simbolica. Infatti, un terzo degli articoli devono anco- Tregua armata nel nord dello Yemen SAN’A, 14. L’esercito yemenita è stato schierato nella provincia settentrionale di Saada dopo un’intesa per il cessate il fuoco tra miliziani salafiti sunniti e ribelli sciiti della comunità zaidita. L’accordo è stato raggiunto con la mediazione di una commissione presidenziale, ha detto un responsabile dei servizi di sicurezza all’agenzia Afp. L’intesa permette una tregua dopo quattro mesi di combattimenti tra ribelli sciiti e salafiti intorno a Dammaj, una enclave sunnita circondata da territori zaiditi. Il cessate il fuoco prevede che le due parti in conflitto si ritirino dalle zone dei combattimenti lasciando le postazioni ai soldati incaricati di far rispettare la tregua. Gli sciiti della comunità zaidita si erano ribellati nel 2004 contro il potere dall’allora presidente Ali Abdallah Saleh per denunciare una marginalizzazione politica e sociale. I più recenti scontri — che hanno causato centinaia di vittime — erano cominciati alla fine di ottobre in seguito a un attacco contro una moschea di Dammaj e si erano estesi anche alla regione circostante coinvolgendo varie tribù sunnite che si erano unite alle forze dei salafiti. ra essere esaminati dopo 12 giorni di dibattito. Il presidente Mocel Marzouki, il primo ministro dimissionario, Ali Larayedh, e il suo successore designato, Mehdi Jomaa, hanno assistito all’alza bandiera, in piazza della Kasbah a Tunisi dove ha sede il Governo, insieme ad alti responsabili politici e militari. Nel corso della giornata si svolgeranno numerose manifestazioni nella capitale, tra queste quella convocata da Ennhadha, il partito moderato islamico che ha la maggioranza nell’Assemblea nazionale costituente. La Tunisia attende entro la fine della settimana anche la formazione di un nuovo Governo indipendente, sotto la guida di Mehdi Jomaa, incaricato di condurre il Paese alle elezioni. Il nuovo premier è stato ufficialmente designato venerdì della scorsa settimana, alla fine di lunghe trattative destinate a fare uscire il Paese dalla profonda crisi politica nella quale è piombata dopo l’assas- sinio, attribuito al movimento jihadista, di uno dei leader dell’opposizione, Mohamed Brahmi. In un discorso ieri alla televisione il presidente Marzouki — esponente del Congresso della Repubblica che fa parte della coalizione governativa guidata da Ennhadha — ha ammesso che i dirigenti non sono riusciti a rispondere alle speranze suscitate dalla rivolta del 2011. «Siamo molto lontani dall’avere realizzato gli obiettivi della rivoluzione», ha sottolineato rivolgendo un invito «a preservare la libertà, un modello moderno e la sicurezza». A riprova del clima di tensione che regna nel Paese, un giovane è morto in scontri tra militari e uomini armati che hanno attaccato il posto di frontiera con l’Algeria a Bouchebka. Lo riferisce il ministero dell’Interno sottolineando che il ragazzo, appena diciottenne, partecipava all’attacco ed è stato colpito mentre tentava di entrare in Algeria per sfuggire alle forze tunisine. KABUL, 14. La sfida ai talebani, da parte degli afghani, passa anche attraverso la via della cultura. A tredici anni dagli attacchi dei miliziani, nel 2001, trecento dei 2.500 più importanti pezzi del museo nazionale dell’Afghanistan, a Kabul, sono stati ricostruiti e molti altri sono in attesa del loro turno per il restauro. Così l’Afghanistan, come scrive «The New York Times», lancia un forte messaggio ai talebani, accusati per i saccheggi e le razzie. «Ci sono tante cose bellissime» ha dichiarato Omara Khan Masoudi, direttore del museo bombardato, saccheggiato e ricostruito. Solo qualche anno fa si elencava quanto era andato perduto: circa il settanta per cento delle collezioni distrutte o rubate. Oggi del museo si parla per ciò che ha riconquistato. Negli ultimi anni l’Interpol e l’Unesco hanno collaborato con i Governi di diversi Paesi per sequestrare e restituire non meno di 857 oggetti, alcuni dei quali dal valore inestima- Dodici morti nella città di Campinas Violenza metropolitana in Brasile BRASILIA, 14. Almeno dieci persone sono state uccise in alcune sparatoria avvenute ieri a Campinas, nello Stato di San Paolo, in Brasile. L’escalation di violenza ha fatto seguito all’omicidio di un poliziotto fuori servizio. A riferirlo è stato il quotidiano «O Estado de S. Paulo», citando fonti della magistratura locale. La dinamica del massacro non è ancora chiara. La polizia, che ha confermato l’accaduto, non ha comunque voluto fornire particolari. E non sono stati segnalati fermi o arresti. Anche il bilancio è incerto: stando ad alcune fonti, le vittime sarebbero dodici. Tre persone sono state ricoverate in ospedale. Dopo la catena di omicidi alcune persone si sono lasciate andare ad atti di teppismo dando alle fiamme automobili private e mezzi pubblici. Un autobus dato alle fiamme nella città paulista (Afp) bile. Altri undicimila reperti sono stati restituiti dopo essere stati sequestrati dalle autorità doganali alle frontiere afghane. Di recente gli Stati Uniti hanno finanziato un rafforzamento delle misure di sicurezza dell’edificio, e una squadra di archeologi dell’Istituto orientale dell’università di Chicago sta completando un programma triennale per inventariare tutti i reperti del museo e creare un database digitale. Si parla poi di custodi del museo corrotti, che avrebbero permesso il trafugamento, durante il conflitto, di più di settecentomila pezzi pregiati. Ma nello stesso tempo si parla anche e soprattutto di custodi onesti e coraggiosi che hanno salvato reperti di grande valore dalla furia distruttiva dei talebani. Al riguardo è da sottolineare il ruolo svolto proprio dal direttore del museo, che è uno dei «custodi delle chiavi», quelle delle camere blindate in cui erano state nascoste El Salvador verso le presidenziali SAN SALVAD OR, 14. Trasmesso da tutte le emittenti televisive del Paese, il primo dibattito della storia politica del Salvador ha visto affrontarsi i cinque candidati che si sfideranno alle presidenziali del prossimo 2 febbraio. Istruzione, sanità, sicurezza, economia sono stati i temi prioritari indicati da tutti. Divergenti le valutazioni della stampa locale. I sondaggi più recenti condotti da tre università nazionali — citati anche dalla Misna, l’agenzia delle congregazioni missionarie — danno in testa il candidato del Governo di sinistra uscente, Salvador Sánchez Cerén, espressione dell’ex guerriglia del Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional (Fmln), seguito dallo sfidante della destra Norman Quijiano, esponente di Arena-Alianza Republicana Nacionalista. alcune delle opere più preziose del museo. Omara Khan Masoudi e i suoi colleghi sono riusciti a proteggere gran parte di questi oggetti durante il periodo di dominazione talebana, nascondendo alcune delle statue più belle nelle sale del ministero della Cultura o nei depositi disseminati in tutto il museo. In programma vi è ora la creazione di una nuova sede museale, ma al momento mancano i fondi necessari. Scuola intitolata al giovane eroe pakistano ISLAMABAD, 14. La sua scuola e uno stadio saranno intitolati ad Aitazaz, lo studente pakistano, di 14 anni, che nei giorni scorsi ha compiuto un gesto eroico, lanciandosi su un attentatore suicida, proprio davanti al suo istituto, sventando così una strage. Nel darne notizia, l’«Express News» riferisce che il Governo della provincia di Khyber-Pakhtunkhwa ha anche annunciat0 che verranno stanziati cinque milioni di rupie, più di trentaquattromila euro, da destinare alla famiglia di Aitazaz. La scuola dove è stato compiuto il gesto eroico si chiamava «Government High School Ibrahimzai»: ora si chiama «Shaheed Aitazaz Hasan Government High School». Anche uno stadio, dunque, sarà intitolato al giovane eroe: la struttura è in via di costruzione. Come sottolinea l’«Express News», il sacrificio di Aitazaz ha contribuito a dare una forte scossa alla sensibilità dei pakistani, costretti a subire, con scadenza quotidiana, le minacce e le angherie dei talebani. Il gesto del giovane studente, scrive il quotidiano, va recepito come un messaggio rivolto anzitutto a coloro che con troppa passività vivono una vita che ogni giorno di più rischia di essere ostaggio dei miliziani. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 mercoledì 15 gennaio 2014 Una famiglia di nome Bergoglio Tra le antiche pagine della «Gazzetta d’Asti» emergono le tracce della famiglia Bergoglio, e notizie su Rosa Vassallo, nata a Piana Crixia, nell’entroterra ligure, il 27 febbraio 1884, sposata a Torino nel 1907 con Giovanni Bergoglio (Asti, 1884 – Buenos Aires, 1964), nonno di Papa Francesco. Rosa negli anni Venti fu dirigente dell’Unione donne cattoliche di Asti, mentre il figlio Mario faceva parte della Federazione giovanile diocesana. In archivio è stato ritrovato anche un verbale dell’Unione femminile cattoliche italiane risalente al 1924, dove è registrato un intervento della signora Rosa Bergoglio, all’epoca consigliera di mo- Sulla «Gazzetta d’Asti» ralità. La donna — come raccontato da Lucia Capuzzi su «Avvenire» del 12 gennaio — fu un punto di riferimento per la formazione religiosa del piccolo Jorge Mario. Questi documenti d’archivio s’intrecciano con un’altra circostanza curiosa: «Da quando sono nato — scrive Stefano Masino, l’autore della ricerca svolta su richiesta di monsignor Vittorio Croce, vicario generale della diocesi e direttore della Gazzetta — risiedo in Via Antica Zecca ad Asti, nel luogo esatto dove abitarono per un certo periodo i coniugi Bergoglio. La famiglia infatti tornò ad Asti da Torino (dove si era trasferita il 1° gennaio del 1906) nel 1918: abitarono dapprima in una casa di via d’Azeglio 6 (ora abbattuta), poi in via Antica Zecca 6, corso Alessandria 14 e via Fontana 10». Anticipiamo quanto pubblicherà in una pagina speciale il settimanale diocesano piemontese il prossimo 17 gennaio. Nonna Rosina e l’Azione cattolica di STEFANO MASINO Il piccolo Jorge Mario E a diciassette anni papà Mario tenne una conferenza sul papato Quando decise di farsi prete, Jorge Mario Bergoglio, si confidò con suo padre, Mario Bergoglio. È il Papa stesso a raccontarlo nel libro di Sergio Rubin e Francesca Ambrogetti Papa Francesco. Il nuovo Papa si racconta (Salani): «Per prima cosa lo dissi a mio padre e lui reagì bene. Anzi, mi disse che ne era felice. Ero sicuro che mio padre mi avrebbe capito. Sua madre era stata una persona estremamente religiosa e lui aveva ereditato da lei quella religiosità e quella forza, unite al grande dolore dell’abbandono della propria terra». Come astigiani, terra d’origine della famiglia Bergoglio, e uomini di fede leggiamo questa testimonianza del Papa con commozione, ma ancor di più per la scoperta che abbiamo fatto in archivio. Nei fogli antichi del settimanale diocesano, fondato nel 1899, è custodita una notizia sorprendente. Mario Bergoglio, figlio di Rosa e futuro papà del Pontefice, era anch’egli, sulle orme della madre, iscritto alla Federazione Giovanile Diocesana. E all’età di 17 anni (era nato a Torino il 2 aprile 1908), non ancora diplomato, tenne alla Fulgor di Asti una conferenza sul Papato. Nel novembre del 1925, infatti, per iniziativa della presidenza federale dell’organizzazione (assistente don Filippo Berzano) venne costituita la Scuola Conferenzieri, che doveva funzionare fino a Natale. Vennero assegnati vari temi: a Gualtiero Marello «Come si costituisce un circolo giovanile»; a Francesco Ghia «Storia dell’Azione Cattolica»; a Giulio Burattini «Il carattere del giovane»; ad Attilio Pio «Preghiera, Azione, Sacrificio»; al signor Torchio «La buona stampa»; a Giovanni Musso «La Gioventù cattolica». A Mario Bergoglio toccò invece un argomento, col senno di poi, davvero singolare e speciale: «Il Papato». Ecco il resoconto di quella domenica straordinaria, pubblicato sulla «Gazzetta d’Asti» del 12 dicembre 1925: «Mario Bergoglio, studente in ragioneria, svolse Papà Mario da ragazzo con calore e forte parola, con frequenti ed opportuni accenni storici, il tema: “Il Papato”. Vivamente ascoltato ed applaudito dai compagni dà sicuro affidamento di riuscire un ardente propagandista delle nostre idealità». Mario Bergoglio è iscritto all’Unione Giovani di San Martino di Asti. Tre anni dopo (cfr. «Gazzetta d’Asti» del 14 luglio 1928), durante la tradizionale Festa del Papa celebrata dai giovani cattolici del Circolo, pronunciò «un bellissimo discorso illustrativo sul Papato, elevando da ultimo un inno di ammirazione e di lode al pontefice Pio XI, il Papa dell’Azione cattolica». Se Mario Bergoglio non fosse emigrato in Argentina all’inizio del 1929, avrebbe certamente raggiunto i vertici dell’Azione cattolica diocesana. Nel 1928 (cfr. «Gazzetta d’Asti» del 28 aprile 1928) lo vediamo nei panni di esaminatore, a fianco del vescovo di allora, monsignor Luigi Spandre, in una «Gara catechistica», tenuta al teatro della Fulgor. Domenica 7 ottobre 1928 recita tra i filodrammatici nel teatrino parrocchiale di San Martino, ad Asti, per la ripresa delle attività formative dei giovani della Conferenza di San Vincenzo de’ Paoli, che prevedevano l’assistenza ai poveri a domicilio e agli infermi dell’ospedale civile. A dicembre dello stesso anno (cfr. «Gazzetta d’Asti» del 15 dicembre 1928), un mese prima dell’imbarco a Genova per Buenos Aires, Mario Bergoglio visita, in qualità di «propagandista» della Federazione Giovanile, il circolo di Castell’Alfero. Trasmetterà, anni più tardi, questo suo carisma e questa sua grande fede al figlio Jorge. (stefano masino) l nome di “Rosina” Bergoglio, come viene affettuosamente chiamata sulla «Gazzetta d’Asti», appare più volte sul foglio diocesano. L’8 giugno 1924, in qualità di consigliera per l’azione sociale, interviene all’annuale giornata sociale dell’Unione femminile cattolica italiana di Asti: «Ringraziamo il Sacro Cuore che ci ha benedette dandoci questa giornata: un grazie alle oratrici e una promessa di aggiungere nuova lena al nostro lavoro e spirito di sacrificio perché si raggiunga l’ideale che ci proponiamo». Nel 1923 (presidente Clementina Zopegni) la signora Bergoglio, all’epoca trentanovenne, è consigliera per le questioni relative alla moralità. In associazione conosce Prospera Gianasso, docente di francese all’Istituto Brofferio, che le insegna la lingua. Rosa, umile ex sarta e moglie di un portiere poi diventato barista, I supplisce alla limitata istruzione con letture voraci e voglia di apprendere. Così, sotto la guida del carismatico assistente ecclesiastico, don Luigi Goria, Rosa comincia a tenere conferenze e incontri in tutta la provincia. Quando lascerà l’Italia per una nuova avventura, Rosa non dimenticherà mai quell’esperienza vissuta nell’Azione cattolica astigiana a cui continuerà a iscriversi regolarmente dalle rive del Plata. E compilerà il modulo in francese, in omaggio all’amica Prospera Gianasso. A pochi mesi dalla sua partenza per Buenos Aires — domenica 11 marzo 1928 — Rosa viene eletta tra le dirigenti delle Donne cattoliche del gruppo parrocchiale di Santa Maria Nuova ad Asti (presidente diocesana è la signora Santina Rocca). Alla consigliera Bergoglio viene affidata la delega per l’azione religiosa. Al suo fianco sono elette: Giustina Acquaviva, presidente; Amelia Mondo, vice; Lidia Fantozzi, segretaria; Rosa Pugno, cassiera; Maria Gatto, per la Dal Piemonte a Buenos Aires L’anagrafe del Comune di Asti e l’Archivio di Stato custodiscono atti di nascita, rogiti notarili, registri scolastici che testimoniano le radici astigiane della famiglia Bergoglio fin dal trisavolo del Papa Giuseppe Bergoglio, nato a Schierano nel 1816 e sposatosi con Maria Giacchino di Cocconato del 1819. Loro figlio Francesco nasce a Montechiaro nel 1857 e sposa Maria Teresa Bugnano di San Martino al Tanaro, ora San Martino Alfieri, nata nel 1862. Dalla loro unione nascerà Giovanni nel 1884, il nonno del Papa. La famiglia Bergoglio abita una cascina al Bricco Marmorito della Valleversa nel comune di Asti, ai confini con Portacomaro. Sono contadini. Il giovane Giovanni, detto Albino, si sposa con Rosa Vassallo di Piana Crixia e nel 1908 nasce Mario, il futuro padre del Papa. La famiglia apre un negozio di alimentari. Il 1° febbraio 1929 partono per l’Argentina: accettano l’invito del fratello di Giovanni di lavorare nella fabbrica di pavimentazione impiantata dai Bergoglio a Panará. Si imbarcano sul piroscafo Giulio Cesare dal porto di Genova destinazione Buenos Aires e scampano per caso a un naufragio: un’altra nave, di cui avevano già preso il biglietto, affondò. In Argentina Mario Bergoglio conosce e sposa Regina Maria Sivori, anche lei emigrata italiana dalla Liguria. Vivono a Boca il quartiere "genovese" di Buenos Aires. Lui lavora per le ferrovie argentine. Il 17 dicembre 1936 nasce Jorge Mario. Fratelli e sorelle del futuro Papa (Marta Regina nata nel 1940, Alberto Horacio, 1942, Maria Elena 1948) sono iscritti all’anagrafe di Asti, registro Aire degli italiani residenti all’estero. cultura; Agostina Graglia, per la moralità; Rosa Cugnasco, per l’organizzazione sociale (cfr. la «Gazzetta d’Asti» del 17 marzo 1928). Santa Maria Nuova — i Bergoglio abitano in via Fontana — è la chiesa visitata da don Bosco nel 1862; vi è parroco, nel 1928, don Stefano Robino, che pochi anni prima, nell’ottobre 1919, ha portato i salesiani ad Asti: l’oratorio sorge su un terreno della parrocchia, tra l’attuale via Don Bosco e viale Vittoria. Tale chiesa, oggi, fa parte dell’Unità pastorale più centrale di Asti con San Secondo e San Silvestro. Ma di cosa si occupano queste donne di Chiesa dentro l’organizzazione durante gli anni Venti? Nella sede di via Morelli 14 vengono tenute (il mercoledì pomeriggio) le «Lezioni sul Vangelo»; in una sala della casa parrocchiale di Santa Maria Nuova hanno luogo (la domenica pomeriggio) le «Conferenze femminili di San Vincenzo», al termine delle quali viene fatta visita alle ammalate ospitate nel vicino ospedale; presso l’istituto delle suore stefanine (in via Gioacchino Testa), si svolge il ritiro spirituale annuale delle iscritte. Durante l’anno preparano: la «Giornata pro Sacerdozio», la «Giornata pro Università cattolica», la «Giornata missionaria», la «Pasqua dei carcerati»; raccolgono in città e nei paesi circostanti le offerte per i restauri del duomo di Asti (nel 1928, la famiglia Bergoglio figura nell’elenco degli offerenti), allestendo anche un banco di beneficenza; donano libri alla biblioteca circolante del carcere di Asti. E ancora: organizzano gare catechistiche, partecipano ai Congressi Eucaristici, raccolgono l’Obolo di San Pietro, pregano per la libertà religiosa in Messico. «L’Ufci — scrive la Gazzetta d’Asti del 10 maggio 1924 — non è una Pia Congregazione. L’Unione mira bensì alla formazione cristiana individuale delle socie, ma vuole anche che si interessino dei problemi che riguardano la famiglia e la società». Rosa Bergoglio fa suo questo punto del programma, curando in particolare la formazione delle giovani iscritte. Scritta da Roberto Alborghetti Una storia per immagini Emigranti italiani appena sbarcati a Buenos Aires Di Rosa Vassallo e delle origini della famiglia Bergoglio tratta diffusamente Francesco. Vescovo di Roma per il mondo, una grande biografia illustrata sul Papa realizzata scritta dal giornalista Roberto Alborghetti. La pubblicazione (Bergamo, Velar-Elledici, 2013, pagine 264) — caratterizzata da un apparato fotografico di ben 340 immagini — porta il lettore dentro la vita di Jorge Mario Bergoglio, a partire dalle origini astigiane della sua famiglia. Così, passando per l’avventuroso viaggio della speranza da Genova a Buenos Aires, per gli anni della formazione giovanile e per quelli che lo hanno visto provinciale dei gesuiti e poi vescovo e cardinale, si ricostruiscono fatti e vicende che hanno segnato la vita del futuro Papa. Rosa Vassallo Bergoglio Scrive sulla sua opera, la «Gazzetta d’Asti» del 29 gennaio 1927: «La nostra attivissima Consigliera di Azione morale Sig.ra Rosina Bergoglio con amore ed intelletto si presta ad un corso di lezioni per fidanzate che svolge nella sede del Circolo Femminile di San Martino seguita dal più crescente interessamento delle circoline. Cosicché due volte alla settimana le bravi giovani si raccolgono attorno a Lei per sentire la sua parola di saggia ed esperta mamma che le dispone con delicato sentire ad affrontare i doveri a cui parecchie di esse sono chiamate fra poco. (...) Il Consiglio Diocesano Donne – è grato alla sua buona collaboratrice che non badando a sacrificio si prodiga per le minori sorelle circoline, svolgendo uno dei punti fra i più importanti della vita sociale». Nonna Rosa Margherita Vassallo Bergoglio è stata la persona che più di tutte ha forgiato la fede del nipote Jorge Mario. È stata lei a insegnargli a pregare da bambino. Molti anni prima, ad Asti, fu maestra di fede del figlio Mario, futuro papà di Papa Francesco. Riveliamo ora un inedito. Mario Bergoglio fece parte, sull’esempio della madre, della Federazione Giovanile Diocesana. Vi entra nel 1928, appena diplomato, dopo aver frequentato le scuole tecniche professionali di Asti. Leggiamo sulla «Gazzetta d’Asti» del 28 aprile 1928, che il ragioniere Mario Bergoglio figura tra gli esaminatori della Gara Catechistica diocesana. Presente alla premiazione (200 premi), al teatro della «Fulgor», il vescovo monsignor Luigi Spandre (1853, Caselle Torinese – 1932, Asti), che durante il suo lungo episcopato astigiano (1909-1932) diede nuovo impulso all’Azione cattolica, aderendo alle linee programmatiche di Pio XI. Rosa Bergoglio, dunque, dalla fine della grande guerra al gennaio 1929, abitò con la famiglia in una zona centrale della città, conobbe da vicino e collaborò con il vescovo Spandre e i sacerdoti della diocesi, frequentando le maggiori chiese e istituti religiosi di Asti. L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 15 gennaio 2014 pagina 5 Il secondo volume, postumo, de «La fable mystique» di Michel de Certeau Quel linguaggio sperimentale chiamato mistica di SYLVIE BARNAY ichel de Certeau: Papa Francesco, riferendosi al gesuita — storico, filosofo e fondatore, con Jacques Lacan, della École freudienne di Parigi — dice che è uno dei suoi due pensatori francesi preferiti insieme a Henri de Lubac. Tra le sue numerose opere, il primo volume della Fable mystique, apparso nel 1982, esplora la figura storica di quella M Blaise Pascal forma d’ingresso nel mistero divino che definisce la mistica. Il secondo, pubblicato postumo dalle Éditions Gallimard, costituisce il seguito di questa esplorazione, con un’attenzione più particolareggiata al suo contenuto (La Fable mystique (XVIe-XVIIe siècle), tome II a cura di Luce Giard, Paris, Gallimard, 2013, pagine 400, euro 22,9). L’evento che aveva portato alla pubblicazione del primo libro era all’altezza della sua rivoluzione. Michel de Certeau, di fatto, in esso aveva definito per la prima volta la mistica cristiana come una fabula, ossia come un potere della parola. L’uso corrente del termine solitamente associa racconto d’immaginazione e affabulazione. Ma non è questo il senso che lo storico e teologo gesuita privilegia. Facendo eco alla sua radice latina (fari), Michel de Certeau al contrario rimanda alla parola della mistica come «scienza sperimentale delle cose dell’altra vita». A tale riguardo, il XVII secolo ha innalzato la mistica a «una forma di conoscenza attraverso l’esperienza». Il lettore non assimilerà neppure questa espressione, presa in prestito da Jean-Joseph Surin, alla definizione che Claude Bernard dava delle scienze sperimentali come un insieme strutturato di conoscenze che obbedisce a leggi oggettive. Nella lingua del secolo della Riforma cattolica la scienza designava una forma di razionalità e non un insieme teorico destinato a irreggimentare gli oggetti del sapere. Così nel suo stesso progetto la Fabula mistica ha voluto far intendere nel linguaggio della fine del XX secolo quello che la lingua stessa cercava di fare intendere nel XVII secolo: dire Dio con categorie che non siano più solo categorie antiche di pensiero e di autorità, inventare un nuovo linguaggio. Al crocevia della storia, della teologia, della psicanalisi e delle scienze umane, la lingua di Michel de Certeau, decisamente postmoderna, certamente ci riesce. Se la mistica del XVII secolo si narra come fabula è in effetti attraverso una sorprendente invenzione del linguaggio. Questa messa in parole molto nuova è in primo luogo la conseguenza degli sconvolgimenti che fanno vacillare le rappresentazioni tradizionali di Dio, del mondo e del soggetto. Il progresso delle scienze, la ragione filosofica, lo sviluppo della critica storica dei testi sono a loro volta l’espressione di un oscillare dei tempi medievali verso i tempi moderni. Pur restando legata ai presupposti della teologia medievale, la mistica si trova a sua volta privata di quell’apparato razionale che le serviva da quadro narrativo. Per questo, in seguito, diventa una letteratura di metamorfosi della lingua. In effetti, come si può com- prendere ed esprimere Dio senza le categorie antiche di pensiero e di autorità? La mistica trova la sua origine in «ciò che si dice che non si può dire», come l’ossimoro di san Giovanni della Croce riesce a formulare in modo radicale. Michel de Certeau stabilisce che la mistica — come sostantivo non appare prima del XVI secolo — è proprio per questo una «scienza paradossale». Il suo sapere è un ignorare. Il suo dire è l’esaurimento di qualche cosa che non si dice. La sola forma accettabile della comunicazione della parola mistica diventa allora quella che le permette di essere accolta in ambito letterario. I Dialoghi spirituali del gesuita Jean-Joseph Surin, all’inizio sospettato di illuminismo e di demenza per aver sperimentato sulla sua pelle la possessione diabolica, ne sono, ad esempio, una testimonianza diretta. È in effetti al prezzo di un’operazione di trasformazione della parola abitata grazie al suo inserimento in una forma letteraria, che riesce a giustificare i “colpi” e i “fulmini” che caratterizzano la lingua che Dio parla all’anima del mistico. La parola mistica non viene allora comunicata in modo diretto, ma in maniera rielaborata o estetica. La mistica, di fatto, affonda le proprie dita in una realtà che solo la finzione letteraria permette di accettare e comprendere. Nella sua epoca, la fabula mistica è quindi una lingua sperimentale che non smette di abbandonarsi alla passione della scrittura. Nel suo discorso, tutto è eccesso per giustificare ciò che eccede. La mistica parla in effetti di quell’arte di amare Dio in suo figlio attraverso la grazia dello Spirito Santo che in realtà non si può raccontare con leparole. Ricorre quindi a una descrizione che cammina attraverso le sensazioni. Mette in scena le sensazioni — gli effetti, le tracce — che tale esperienza ha potuto lasciare su un Nel pensiero medievale, la mistica sotto la sua forma aggettivale, designa soprattutto “ciò che è nascosto”. Nell’epoca moderna, il suo uso sotto forma di sostantivo traduce oramai la crescente autonomia dei testi e delle esperienze mistiche. Il primo volume della Fabula mistica aveva dunque posto in particolare evidenza l’autonomizzazione di questo campo come sapere, mettendo soprattutto in luce gli apporti fondamentali dell’influenza spagnola (san Giovanni della Croce e santa Teresa d’Ávila). Il Si tratta di una scienza paradossale secondo volume è dedicato alla creazione stessa delIl suo sapere in realtà l’enunciazione mistica atè la consapevolezza di ignorare traverso un corpus di testi fondatori: quelli di Nicola E il suo dire è l’espressione Pascal, san Giodi qualche cosa che non si riesce a dire Cusano, vanni della Croce, JeanJoseph Surin, santa Teresa l’esperienza di un “io senza io”, vale d’Ávila. Il capitolo su Pascal si concentra, ad esempio, sulla sua stratea dire di un altro che è Dio. Michel de Certeau riesce in tal gia di enunciazione. Utilizzando in modo a dimostrare «l’isolamento e particolare i concetti presi dalla sela progressiva oggettivazione del miotica e dalla linguistica, l’analisi campo della mistica rispetto ad altri fine e precisa mostra che più il dicampi della riflessione teologica e scorso pascaliano si avvicina al suo della storia della spiritualità» attra- oggetto, più questo sfugge, espresverso un corpus di testi fondatori. sione stessa di ciò che è la mistica. È in questo “lontano-vicino” del discorso imprigionato in un corpo a corpo vissuto che Michel de Certeau descrive che cosa è la mistica. La sua è molto di più di un’interpretazione. Michel de Certeau ci dà in realtà una lezione intellettuale estremamente importante che costituisce anche una possibilità di trasmissione della scienza mistica. Occorre pertanto analizzarla più da vicino. Con il titolo di “storicità mistiche”, il grande testo che introduce il secondo volume della Fabula mistica di fatto enuncia «la mistica come stile». Per far capire ciò che designa la mistica come stile, Michel de Certeau opera per tappe. Riprende, per esempio, le categorie tradizionali della filosofia o della teologia associando la teologia negativa del Dio nascosto alla mistica. Ma mostra anche che queste categorie epistemologiche non sono adeguate, nel senso che non aderiscono totalmente alMichel de Certeau l’oggetto che cercano di descrivere. corpo. La mistica in definitiva si racconta per mezzo di un linguaggio del corpo che la cultura analitica di Michel de Certeau riesce a cogliere e a descrivere perfettamente. La letteratura mistica porta così all’estremo limite dell’estasi e della follia, dell’amore e dell’abbandono, del sogno e della sofferenza. Ma fa di questo limite il luogo della relazione con Dio, l’“io” di un discorso che è cosciente di essere il campo del- Gian Lorenzo Bernini, «Estasi di santa Teresa» (1647-1652) Non riescono a toccare l’“io senza io”, il “corpo a corpo” del mistico che cerca di razionalizzare nella scrittura la sua esperienza del mistero divino. In un certo senso, queste categorie appartengono a un altro tempo, quello della fine del XIX secolo e dell’inizio del XX . Si giunge qui ai limiti delle epistemologie. Ma la storia è scienza umana, scienza vivente. Si evolve. Michel de Certeau perciò tenta lo “stile mistico” come categoria scientifica per non perdere la singolarità di ogni esperienza mistica in quanto tale. Così l’indicibile di ogni mistica — il “non è questo” — può allora avere il posto che gli spetta senza perdersi in un’analisi che cerchi dal punto di vista teologico o filosofico di nominarlo o di ricondurlo a un impossibile da pensare, un “nonpensato”. Il secondo volume di Michel de Certeau è dunque di fatto l’invenzione di una categoria di pensiero nuova al crocevia della storia, della teologia, della filosofia, della psicanalisi e della letteratura. La “mistica come stile” sembra così costituire una nuo- va categoria di pensiero della fine del XX secolo, trasmessa dalle scienze umane alla teologia dell’inizio del XXI. Le scienze religiose hanno la doverosa funzione di proseguire questo dialogo con la teologia. Il magnifico lavoro editoriale realizzato da Luce Giard è dunque riuscito a proporre un libro molto importante. Non a caso, un altro libro di Michel de Certeau, Le christianesisme éclaté, è stato pubblicato nel 1976, periodo in cui un certo Jorge Mario Bergoglio era provinciale della provincia argentina della Compagnia di Gesù. L’attenzione attualmente rivolta da Papa Francesco alla ricezione dell’opera dello storico gesuita esprime bene la sua piena sintonia con il superamento delle chiusure teologiche ereditate dal positivismo scientifico attraverso un’attenzione costante ai processi della storia. È anche in armonia con la visione del «cristianesimo come stile» di cui un altro pensatore gesuita, Christoph Theobald, ha espresso la forza teologica per definire l’identità cristiana nell’epoca della postmodernità. Come Georges Braque influenzò le avanguardie del Novecento L’emozione e la regola di SANDRO BARBAGALLO Ci sono voluti cinquant’anni dalla morte di Georges Braque, avvenuta il 31 agosto 1963 nella sua casa parigina, perché il Grand Palais di Parigi ricordasse con una ambiziosa retrospettiva questo artista tanto celebre quanto misterioso. Mentre tutti ricordano la fisionomia e la fisicità di Picasso, è difficile memorizzare il volto di Braque. Probabilmente schivo, o forse troppo concentrato sulle innovative ricerche della sua pittura, Braque si è lasciato saccheggiare da Picasso, suo vicino di atelier. Al contrario di altri pittori, che si barricavano nei propri studi al passaggio dello Aveva per il proprio lavoro il rispetto sacrale di un umile artigiano E dal silenzio del suo atelier ha inviato il suo originale contributo alla nascita del cubismo “scienziato del furto” — così veniva chiamato l’artista spagnolo — come racconta Jean Cocteau. Crudele, ingeneroso, traditore (persino del più caro amico Apollinaire), Picasso creò intorno a sé una leggenda, dovuta al gossip continuo e sempre rinnovato sui suoi amori. Leggenda che ne fece un mito planetario. Intanto Braque pensava a dipingere bene ed ebbe un’unica moglie che morì prima di lui. Braque aveva per il proprio lavoro il rispetto sacrale di un umile artigiano. Figlio d’arte, suo padre e suo nonno erano stati decoratori d’interni, aveva una naturale dimestichezza con gli attrezzi del mestiere. Era nato ad Argenteuil-sur-Seine — uno dei luoghi più amati dagli impressionisti — nel 1882. Forse non è un caso che i suoi primi quadri fossero ispirati al neoimpressionismo. Nel 1905, però, scopre la “pittura selvaggia” del fauvismo al Salon d’Automne. Tre anni dopo, Guillaume Apollinaire presenta il debutto di Braque nella Galleria Kahnweiler. Verranno esposti due quadri oggi divenuti storici: Donna nuda seduta (1907) e Grande nudo (1907-1908). Quest’ultimo è la risposta di Braque a Le demoiselles d’Avignon di Picasso e al Nudo blu di Matisse. Il Grande nudo si avvale di tratti negroidi e di piani del corpo sciabolati in una contorsione acrobatica. Tutte queste opere sono nate nel 1907. È la data a cui si fa risalire la nascita del cubismo. Il 1907-1909 è un biennio cruciale per l’evoluzione della pittura di Braque, che si avvia senza saperlo verso il cubismo, mentre ammira Matisse e Gauguin, ma approfondisce soprattutto Cézanne. Una serie di quadri, come Strada all’Estaque (1906) e Viadotto all’Estaque (1908), sono infatti chiaramente ispirati ai colori caldi e dorati e alle scansioni ritmiche di Cézanne. Ma è proprio durante la mostra di Braque da Kahnweiler che il critico Louis Vauxcelles userà per la prima volta l’espressione «bizzarrie cubiche» nella recensione apparsa sul Gil Blas del 14 novembre 1908. Evidentemente Vauxcelles non sapeva spiegare in altro modo la scomposizione del tessuto pittorico in una serie di trapezi, quadrati, triangoli, sovrapposti molto armoniosamente. Oltre a questi paesaggi Braque lavora ad alcune nature morte in cui inserisce per la prima volta uno strumento musicale. Il critico Charles Morice scrive così della sua pittura: «Braque ha creato un alfabeto in cui ogni lettera ha un significato universale. Prima di dichiarare orrendo il suo libro di formule magiche, ditemi se avete cercato di decifrarlo, se ne avete comprese le intenzioni decorative». Bisogna però ricordare che il termine “decorativo” che oggi ha un sapore vagamente dispregiativo, all’epoca stava per “non imitativo”. Lo stesso artista, infatti, dichiara che «la natura è un mero pretesto per una composizione decorativa, cui si aggiunge il sentimento. Il sentimento suggerisce un’emozione che io traduco in arte». Nel silenzio del suo atelier Braque ci ha dato un suo originale contributo al cubismo. Anche se a volte la distanza da Picasso sembra minima, in lui c’è sempre una maggiore consapevolezza. Non a caso è sua la celebre frase: «Amo la regola che corregge l’emozione». Pensando al movimento cubista a posteriori, sappiamo che è stato ripartito in vari periodi: il proto-cubismo, il cubismo analitico (dalla metà del 1909), il cubismo sintetico nel 1912. Limitandoci però a Braque, tali periodi diventano difficili da definire, perché il pittore a volte anticipa, altre scavalca queste date, teso com’è a una continua ricerca di soluzioni formali. Braque e Picasso si erano conosciuti proprio nel 1907 e dalla loro amicizia era nato un rapporto osmotico che si realizza nei loro laboratori, in cui i due sembra facciano a gara a inventare nuove soluzioni pittoriche. Braque fa una scultura di carta? Picasso realizza la stessa in legno. Braque costruisce un quadro con un collage di stoffa, carta di giornale, caratteri tipografici, stampini e nu- «Fruttiera e carte» (1913) meri? Picasso ne fa uno simile. Insomma, per Braque il quadro diventa una sorta di deposito di messaggi dell’inconscio, di folgorazioni, di ricordi onirici. È comprensibile come Picasso ne sia affascinato. C’è però in lui una violenza, una sfida che Braque si rifiuta di usare. La rassegna appena conclusa al Grand Palais di Parigi ha dimostrato quanto Braque sia stato importante nell’ambito delle avanguardie del XX secolo. Lui infatti non fu solo pittore, incisore, scultore, ma il vero iniziatore del cubismo. A lui si devono, per esempio, gli effetti plastici dei cosiddetti papiers collés. Allo stesso tempo la mostra ricorda come Braque sia stato un pittore tipicamente francese, erede della tradizione classica di Corot e Chardin, che gli ispirano una serie di nature morte in cui rivela un gusto della sintesi che lo rende quasi un precursore dell’astrazione. È questo il caso di Aria di Bach (1913), così come di Grande natura morta bruna (1932). L’ambiziosa retrospettiva di tutta la sua opera, però, ha fatto anche il punto sull’itinerario che l’artista ha percorso a partire dal periodo fauve fino all’ultimo, il cui acme è raggiunto dalla serie dei Grandes Ateliers e alla bellissima serie dedicata agli uccelli. Naturalmente la rassegna ha teso a sottolineare anche i momenti più innovativi, dando molta importanza ai quadri cubisti, ai canefori degli anni Venti, fino agli ultimi paesaggi che tanto piacquero a Nicolas de Staël. Ma l’esposizione deve anche il proprio interesse a cinque cabinets documentari, ricchi di foto, lettere e ricordi inediti di artisti come Man Ray, Cartier-Bresson, Eric Satie, Pierre Reverdì e René Char. Braque amava molto Bach e Mozart, che spesso cita nelle sue nature morte. Nonostante l’accrochage dei vari materiali, in molte opere di Braque si sente infatti un’atmosfera solenne e ispirata dalla musica. C’è un quadro, in particolare, Il duo del 1937, in cui la felicità cromatica dei gialli e dei rosa viene coniugata con le terre e i bruni. Forse qui Braque realizza una parafrasi della sua celebre frase: «È l’emozione a correggere la regola». L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 mercoledì 15 gennaio 2014 Denuncia dei cristiani della provincia indonesiana di Aceh Manifestazione in Pakistan Niente permessi per costruire chiese Giovani di tutte le religioni per la pace GIACARTA, 14. Niente più chiese per la piccola comunità cristiana di Aceh, provincia indonesiana dell’isola di Sumatra. Le autorità negano infatti l’autorizzazione per la costruzione di nuovi edifici di culto necessari a soddisfare le esigenze di una comunità che, pur tra mille difficoltà, risulta in crescita numerica. Ne dà notizia l’agenzia Fides che riferisce fonti della Chiesa locale. Nella provincia di Aceh, nota perché ha approvato parti della sharia nella legge civile, i cristiani, secondo i dati dell’ultimo censimento relativo al 2010, sono l’1,2 per cento della popolazione, che in totale conta cir- ca 4,5 milioni di abitanti. Nel capoluogo Banda Aceh esistono solo tre chiese (una cattolica e due protestanti) e, anche se la popolazione cristiana risulta in crescita, gli stretti requisiti per ottenere autorizzazioni e le pressioni dei gruppi radicali islamici sulle autorità civili hanno reso oltremodo difficile per i non musulmani costruire nuovi luoghi di culto. Inoltre, l’attuale governatore della provincia, Zaini Abdullah, eletto nel 2012, promuove un dichiarato programma di islamizzazione della società. In Indonesia, lo Stato islamico più popoloso del mondo, le regole per concedere permessi di costruzione variano da provincia a provincia. Secondo quanto denunciato da Zulfikar Muhammad, coordinatore della Aceh Human Rights Coalition, che raccoglie circa trenta organizzazioni, «queste regole limitano di fatto le minoranze nella libertà di praticare la loro fede e non sono coerenti con la Costituzione indonesiana». Un’ordinanza emessa nel 2006 dal ministero degli Interni indonesiano stabiliva, come requisiti necessari per la costruzione di un nuovo luogo di culto, la richiesta firmata da almeno novanta membri di una comunità religiosa e, in più, una lettera di sostegno firmata da almeno sessanta residenti locali, ma non appartenenti alla stessa comunità. Ad Aceh, nel 2007, la normativa è stata però modificata in senso più restrittivo dal governatore locale. In questa provincia sono infatti necessarie le firme di almeno centocinquanta fedeli e, inoltre, le firme di sostegno di centoventi residenti. Il risultato è che con tali requisiti, non solo i cristiani non riescono più a ottenere nuovi permessi, ma anche alcune sale di preghiera già esistenti sono state chiuse. Nell’ottobre 2012, infatti, l’amministrazione di Banda Aceh ha ordinato la chiusura di nove luoghi di culto appartenenti a cristiani e a buddisti, citando il mancato rispetto delle leggi vigenti. In sei casi, sono risultate decisive le vivaci proteste dei militanti dell’Islamic Defenders Front. Sei mesi prima, nel sud della stessa provincia di Aceh le autorità avevano ordinato la chiusura di altri diciassette luoghi di culto cristiani. Tutto questo, nonostante il Governo centrale di Giacarta negli ultimi cinque anni abbia più che triplicato i fondi a disposizione del ministero per gli Affari religiosi, con l’intento dichiarato di «sviluppare diversi programmi volti a creare l’armonia religiosa nel Paese». LAHORE, 14. «Il Pakistan di oggi ha bisogno di un messaggio di pace, tolleranza, armonia. Anche se professiamo fedi diverse, siamo una sola nazione e possiamo lavorare e crescere insieme». È quanto afferma all’agenzia Fides Cecil Shane Chaudhry, direttore esecutivo della commissione “Giustizia e Pace” della Conferenza episcopale del Pakistan, in merito al messaggio lanciato da migliaia di giovani, di tutte le religioni, riunitisi domenica scorsa, in una grande manifestazione a Lahore, capitale del Punjab, organizzata dalla stessa commissione episcopale. Il corteo, composto da giovani musulmani, cristiani, indù e sikh, ha attraversato la città lanciando un messaggio alla politica e alla società: «Noi siamo il futuro del Paese, vogliamo costruire un futuro fatto di pace, giustizia, tolleranza, rispetto dell’inalienabile dignità di ogni essere umano, senza distinzione di razza, religione, classe sociale». La manifestazione, che ha l’obiettivo di creare un Pakistan pacifico e tollerante, ha spiegato Chaudhry, rappresentava il culmine di un progetto portato avanti dalla Commissione nelle scuole del Punjab: «In primis ci siamo rivolti agli studenti delle minoranze religiose (cristiani, indù e sikh) interagendo con loro e lasciando emergere gli episodi di discriminazione che sono costretti a subire. In tal caso cerchiamo di insegnare loro ad affrontarli in maniera non violenta». Il secondo passo è stato quello di incontrare e coinvolgere i giovani musulmani «per creare in tutti la consapevolezza che l’armonia e la pace sono un bene comune e una priorità per l’intera nazione». Infine, l’organizzazione del corteo, dove i giovani di fedi diverse hanno camminato fianco a fianco, per simboleggiare l’anelito di pace presente nella gioventù pakistana. «È fondamentale — ha spiegato il direttore esecutivo della commissione “Giustizia e Pace” — avviare tale presa di coscienza nelle scuole e nel percorso di istruzione dei giovani. L’intolleranza e l’odio spesso nascono proprio sui banchi di scuola. È lasciando penetrare valori come pace e giustizia nella formazione delle nuove generazioni — ha concluso Chaudhry — che si gioca il futuro del Pakistan». All’inizio dell’anno, i leader cristiani e di altre religioni avevano lanciato un appello, nel corso di un incontro interreligioso svoltosi a Lahore, affinché il 2014 sia «un anno di pace e di riconciliazione». «La nostra terra del Pakistan — ha spiegato monsignor Sebastian Fran- cis Shaw, arcivescovo di Lahore — è molto fertile per il dialogo e crediamo nel Dio misericordioso che dà speranza ed energia per vivere insieme. È bello vedere e sentire preghiere per la pace alzarsi da chiese, moschee, templi indù e sikh: questo contribuisce a creare un’atmosfera di armonia nel Paese». L’arcivescovo ha anche lanciato un appello affinché «la luce di Dio illumini l’oscurità nei cuori, portando una speranza di pace». Fra i leader musulmani partecipanti all’incontro di Lahore, Sohail Ahmed Raza, capo della gioventù musulmana ha espresso l’auspicio che «il 2014 possa essere l’anno di una pace duratura in Pakistan». Dello stesso avviso il leader sikh, Sardar Gernail Sing, il quale ha sottolineato quanto sia necessario «dire a tutti i nostri figli di essere vicini gli uni agli altri e di tenere accese le piccole luci della pace e della riconciliazione, perché il nostro Paese sia un posto tranquillo dove vivere». Infine, anche il leader della comunità indù, Bhagat Lal, ha spiegato che «è buona tradizione che leader e credenti di tutte le fedi continuino a incontrarsi spesso: siamo tutti pakistani e vogliamo la pace nella nostra patria». Il bilancio dei volontari di Vis e Avsi a quattro anni dal terremoto di Haiti Così si può tornare a sorridere Ricerca di Caritas italiana e Banco farmaceutico su un aspetto poco conosciuto della crisi Poveri e senza medicine ROMA, 14. Non c’è solo l’indice della disoccupazione o il dato sulla chiusura delle imprese. A fotografare in modo impressionante le conseguenze sulla popolazione della crisi economica ci sono anche i numeri che riguardano la sanità. Aumenta infatti in Italia anche la “povertà sanitaria”, cioè quella quota di cittadini che denuncia serie difficoltà nell’acquisto di medicinali, anche quelli con prescrizione medica. E che, sempre più spesso, vi rinuncia. Negli ultimi sette anni tale percentuale è cresciuta a livelli vertiginosi, arrivando a toccare il 97 per cento. E, dunque, se prima la crisi colpiva le famiglie costringendole a fare a meno di alimenti, di vestiario e di generi di consumo, oggi è in difficoltà anche la capacità di procurarsi le medicine. È quanto emerge dal dossier realizzato dalla Fondazione Banco Farmaceutico in collaborazione con Caritas italiana. Il rapporto, le cui linee essenziali erano già state anticipate lo scorso agosto in occasione del Meeting di Rimini, è stato presentato questa mattina, alla presenza del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, dal direttore della Caritas italiana, don Francesco Soddu, e dai presidenti della Fondazione Banco Farmaceutico, Paolo Gradnik, e di quello delle Associazioni cristiane dei lavoratori italiani, Gianni Bottalico. I dati emersi dal dossier — come è spiegato in comunicato — sono il frutto del lavoro svolto da sette anni, dal 2006 al 2013, dalla Fondazione Banco Farmaceutico che su tutto il territorio nazionale raccoglie — grazie alla Giornata Nazionale di Raccolta del Farmaco e alle donazioni aziendali — e distribuisce medicinali agli enti convenzionati che ne fanno richiesta. Tra questi le Caritas diocesane, il centro Astalli, la Comunità di Sant’Egidio solo per citarne alcuni, tutte realtà che intercettano il disagio sociale in “diretta”. Le categorie che fanno richiesta di medicinali sono ampie: dalle famiglie numerose agli anziani con pensione minima, fino agli immigrati, anche irregolari. I risultati sono stati poi incrociati con i dati della Caritas italiana provenienti da un campione di 336 centri di ascolto attivi in 45 diocesi. In termini percentuali l’aumento delle richieste di farmaci è stato pari al 57,1 per cento in tre anni, anche se in termini assoluti non è tra le richieste prioritarie. Molto probabilmente, tale forma di richiesta è assorbita da altre voci del sistema di classificazione. In effetti tre sole voci — richiesta generica di beni primari, richiesta generica di sussidi economici e assistenza sanitaria — coprono il 70,4 per cento delle richieste complessive. Per Paolo Gradnik, «assistiamo a un crescente bisogno di farmaci da parte delle più importanti strutture di assistenza caritative. In alcuni casi si tratta di vera emergenza, a causa dell’aumento della crisi economica che colpisce soprattutto le famiglie. È quanto mai urgente che la commissione Sanità del Senato approvi in via definitiva la proposta di legge che consentirebbe la donazione di farmaci da parte delle aziende far- maceutiche. È ora che la politica dia segnali concreti sul fronte della povertà sanitaria». Preoccupazione condivisa anche da don Soddu, per il quale si tratta di «dati drammatici, ma purtroppo in linea con quelli della povertà nel suo complesso. Per invertire la rotta serve un lavoro comune fatto di alleanze e appare sempre più necessario uno sforzo congiunto, che sappia incrementare la capacità di intercettare le varie situazioni di povertà del territorio». Con riferimento alla divisione geografica, nelle regioni settentrionali la povertà sanitaria è cresciuta del 71,91 per cento, passando da una richiesta dagli enti assistenziali di 255.783 confezioni di medicinali alle attuali 439.719. Contemporaneamente, si è registrato un incremento dei farmaci donati: dalle 192.490 confezioni del 2006 alle 255.338 del 2013. Nel centro Italia, la richiesta di farmaci è passata dalle 32.718 confezioni del 2006 alle 188.560 del 2013. Al sud si è passati da 91.890 a 122.600 confezioni richieste dagli enti. PORT-AU-PRINCE, 14. A quattro anni dal terribile terremoto di Haiti, uno dei Paesi più poveri della zona caraibica e dell’America Latina, continua senza sosta l’impegno del Volontariato internazionale per lo sviluppo (Vis) e dell’Associazione volontari per il servizio internazionale (Avsi) a sostegno delle popolazioni colpite. Dal 2010 il Vis non ha mai smesso di lavorare insieme ai salesiani di don Bosco per migliorare le condizioni di vita di migliaia di bambini e giovani vulnerabili. Spenti i riflettori internazionali sulla tragedia, l’associazione ha avviato un programma di intervento pensato da subito per andare oltre la fase dell’emergenza, realizzando nel medio e lungo periodo le fasi della ricostruzione e dello sviluppo. Per l’occasione, il Vis ha redatto un dossier per far conoscere meglio l’impegno dei volontari e dei salesiani a quattro anni dal sisma del 12 gennaio 2010 che uccise 222.000 persone. «Nonostante la difficile situazione nella quale operiamo e consci della parzialità del nostro contributo in una situazione socio-politica estremamente complessa — si legge in un comunicato del Volontariato internazionale per lo sviluppo — siamo felici di poter condividere con tutti i nostri sostenitori la soddisfazione del lavoro svolto in questi quattro anni con i salesiani. Insieme, infatti, stiamo migliorando la condizione di vita di migliaia di persone ad Haiti. I risultati sono frutto del lavoro di squadra dei nostri volontari internazionali e dei donatori pubblici e privati che hanno scelto di sostenere i nostri progetti. Ringraziamo in particolar modo la Caritas italiana, la Conferenza episcopale italiana (Cei) e ognuno dei nostri donatori privati». Nel 2013 il Volontariato internazionale per lo sviluppo ha realizzato attività di sostegno al diritto all’educazione. Nel programma scolastico sono stati coinvolti 790 bambini e bambine in 58 scuole nei Comuni di Carrefour e di Cité Soleil, dove si sta ultimando la costruzione della scuola diocesana “Notre Dame de Lourdes” a Bàs Fontaine, nel Village de Repatries di Cité Soleil. Inoltre, sono stati formati e aggiornati ventitré insegnanti delle scuole di Bàs Fontaine e di Cité Soleil, ed è stata allestita una mensa scolastica per garantire a tutti gli allievi un pasto caldo al giorno. Anche Avsi prosegue senza sosta nel suo impegno per la “ricostruzione dell’umano” nell’isola caraibica. Attualmente, sono centosettantamila gli sfollati, seicentomila gli haitiani che vivono in condizioni d’insicurezza alimentare e si registrano più di cinquantamila nuove infezioni di colera ogni anno. Il tutto in un contesto di forte decrescita economica. «È necessario — ha dichiarato Fiammetta Cappellini, responsabile dei progetti sull’isola — che la comunità internazionale e i donatori non abbandonino Haiti. Questo è il momento di fare un passo ulteriore: dalla ricostruzione fisica delle case e delle infrastrutture alla “ricostruzione dell’umano”, affinché le popolazioni colpite tornino a condurre una vita dignitosa». L’équipe di Avsi ad Haiti, sin dai primi giorni dopo il sisma, è stata accanto alla popolazione terremotata, con attività mirate a contrastare la malnutrizione e a ricostruire le strutture comunitarie. Nonostante la strada verso la ricostruzione rimanga lunga e difficile, in questi anni Avsi ha fatto partire diciannove nuove opere: sette scuole, due centri educativi, sei centri nutrizionali, tre laboratori artigianali e un ristorante comunitario. Un lavoro reso possibile da uno staff di circa 180 persone e dalla collaborazione degli amici di Avsi. L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 15 gennaio 2014 pagina 7 I religiosi e il voto di povertà La Conferenza episcopale spagnola per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato Liberati dalla seduzione del denaro Verso un mondo migliore di TIMOTHY RAD CLIFFE Uno dei racconti elaborati dalla moderna immaginazione è quello della ricchezza, ovvero del diventare ricchi. Questa è la meno seducente delle tre narrazioni che mi accingo a prendere in considerazione, ma è anche quella in cui noi religiosi manchiamo più radicalmente al momento di porla in discussione. Una volta mi recai a confessare in una scuola a Berkley, California. Mi fu detto che alcuni dei ragazzi non erano cattolici, ma che forse sarebbero venuti da me per ricevere la benedizione. Quando uno di questi bambini mi lasciò io gli dissi: «Recita una preghiera per me», egli immediatamente si voltò e disse: «Caro Dio, per favore, concedi a padre Timothy molti danari, una grande casa e una macchina lussuosa». Ecco il sogno di molta gente. Belinda Lipscomb e Melvin Gentry scrissero una canzone dal titolo: «I wanna be rich» (Voglio diventare ricco): «Voglio danaro, sempre più danaro / desidero un castello nel cielo / Voglio danaro sempre più danaro / Ma non chiedermi perché». Non domandare perché, in quanto il danaro è per molti un fine in se stesso. È divenuto la maniera indiscutibile attraverso la quale noi vediamo il mondo, la metafora fondamentale di ogni valore. Tutto è “monetarizzato” e tutte le relazioni sono divenute commerciali. L’arcivescovo di Canterbury ha scritto: «Il linguaggio del consumatore e del produttore ha praticamente penetrato tutti i campi della nostra vita sociale, anche quello della educazione e della sanità e noi dimentichiamo che è una metafora chiamare consumatore uno studente, un paziente, o un viaggiatore?». Le università producono la conoscenza. Karl Polanyi ha descritto come gradualmente, a partire dal XVI secolo, tutto si sia andato trasformando in beni di consumo fondamentali. I nostri antenati europei non avrebbero mai potuto immaginare che ai nostri giorni si sarebbero potuti possedere la terra o l’acqua. Si può possedere il loro uso, ma mai in modo assoluto, perché la terra appartiene al Signore. Essa è stata affidata alla nostra cura. Ma ora tutto è in vendita. Perfino i genitori pagano i figli perché contribuiscano alla vita della famiglia. I poveri vendono la loro prole e l’industria del sesso sfrutta il corpo delle persone. Il danaro stesso si è staccato dalla realtà. Il danaro vende e compra danaro. Ha in gran parte cessato di avere una qualunque relazione con le cose reali come la terra, il cibo, le abitazioni e le belle cose. Philip Blond ha scritto: «Dal momento in cui il commercio commercia con se stesso, esso si separa completamente dalla economia reale». Il danaro fa come il re Mida, che trasformava in oro tutto quel che toccava, e così moriamo di fame. Il nostro voto di povertà interpella questo mondo fantastico. Esso dovrebbe liberarci dalla sua seduzione. Ogni volta che ho incontrato dei religiosi che vivono una vita semplice confidando nella liberalità di Dio, ho potuto constatare come essi fossero felici e liberi; vivevano nel mondo reale dove le cose devono essere considerate e apprezzate per quello che sono e non per quello che valgono. Essi hanno l’immensa ricchezza di poter godere e di potersi servire di tutto senza la necessità di possedere. Il maestro Eckart, domenicano tedesco del secolo XIV, disse che se «l’unica preghiera che io abbia mai fatto... fu grazie, è sufficiente». Il voto di povertà dovrebbe significare che incarniamo la gratitudine, confidando nel Signore che è il datore di ogni bene. Questo impegno nei confronti della povertà ci pone anche in contatto con la sfida più urgente del nostro tempo: la crescente disuguaglianza tra ricchi e poveri, che sta lacerando sempre più la società. Una grande indignazione è esplosa ed è dilagata in tutto il mondo per gli scandalosi profitti dei banchieri, dando luogo a violenti tumulti. Scott Fitzgerald ha scritto: «Permettetemi di parlarvi delle persone molto ricche. Esse sono diverse da voi e da me». Vi è un disprezzo crescente per i poveri. Owen Jones ha asserito in un suo libro recente che i membri delle classi lavoratrici «sono demonizzati dalla stampa sensazionalista e le trasmissioni televisive popolari li presentano come tossico- mani incapaci di assicurare il benessere, che bevono troppo, fumano troppo, mangiano troppo, procreano troppo e sono cattivi genitori. Sono diventati il bersaglio regolare nel teatro mediatico della crudeltà». Si considerano i poveri pericolosi, da rinchiudere o da rendere invisibili. Per questo, tale voto, che sembra tanto estraneo ai nostri contemporanei, ci aiuta a restare in contatto con la maggiore sfida del nostro tempo, la disintegrazione sociale. Al sinodo sulla vita religiosa nel 1993, il cardinale Etchegaray ci chiese di abbracciare una vita povera. Questa sfida è fondamentale per la ripresa della vita religiosa. Un membro di un altro ordine religioso mi disse che i suoi confratelli facevano solo un voto, il voto di una vita agiata e confortevole. Molti entrano nelle nostre congregazioni non per abbracciare “Madonna povertà”, ma per trovare una ricchezza e una sicurezza relative. Se potessimo trovare di nuovo un qualche indizio della follia dei santi, quali Francesco e Domenico, e il loro amore per la semplicità, allora la gente certamen- Una storia di fede «La vita consacrata come storia di fede» è il titolo dell’articolo che il maestro emerito dell’ordine domenicano ha firmato per «Omnis Terra», mensile del Segretariato Internazionale della Pontificia Unione Missionaria. Ne pubblichiamo un estratto dedicato a «L’attrattiva della bellezza». te correrebbe in massa a unirsi a noi. Nel libro Des hommes et des dieux intravediamo questa vita semplice e gioiosa: questi monaci che non possiedono praticamente nulla e condividono la loro vita con quella degli abitanti musulmani dei villaggi, che sono quasi ugualmente poveri. I monaci sopravvivono coltivando la loro terra e vendendo il loro miele, abitando in un monastero costruito rozzamente senza alcun lusso. L’anziano fratello Luca produce delle bottiglie di vino, poiché essi mangiano e bevono, senza curarsi della morte, nella gioia e nel dolore, confrontandosi con il loro più profondo impoverimento, la perdita della loro vita. All’inizio di quest’anno visitai la stanza di Christian de Chergé all’Istituto Cattolico di Parigi dove egli aveva studiato. Lessi sulle pareti il suo ultimo testamento da leggersi dopo la sua morte. Un testamento che è pieno della gioia e della gratitudine di un povero monaco: «Se arriverà un giorno — e potrebbe essere oggi — che io cada vittima del terrorismo, che ora sembra voler inglobare tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita è stata donata a Dio e a questo Paese, e accettassero che il Maestro unico di ogni vita non è stato estraneo a questa partenza brutale. Per questa vita perduta, totalmente mia e totalmente loro, io rendo grazie a Dio che sembra averla voluta interamente per questa gioia e malgrado tutto. E anche tu, amico mio dell’ultima ora — si riferisce alla persona che lo ucciderà — che non saprai quel che stai facendo, sì, anche per te io dico questo: “Grazie” e questo “A Dio” affidando te a questo Dio nel cui volto io vedo il tuo. E ci sia concesso di ritrovarci, felici “buoni ladroni”, in Paradiso, se piacerà a Dio, Padre nostro di entrambi. Amen. Inshallah». MADRID, 14. La Conferenza episcopale spagnola ha presentato nei giorni scorsi la campagna «Ha100do un mundo mejor», in vista della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato che si celebrerà il 19 gennaio con il tema generale «Migranti e rifugiati: verso un mondo migliore». I vescovi iberici, in un comunicato, ricordano che la prima Giornata ebbe luogo esattamente cento anni fa, nel 1914, durante il pontificato di Benedetto XV. E aggiungono, nel loro messaggio, che Papa Francesco «va avanti e ci incoraggia nei nostri sforzi, non solo con le parole ma con la testimonianza della sua vita». Esplicito il riferimento alla visita del Pontefice nell’isola di Lampedusa, «l’icona più significativa di ripetute tragedie di tanti immigrati che perdono la vita in mare o lungo la strada». I presuli sottolineano che tali tragedie si sono verificate, e si verificano, in altre zone come il deserto del Sahara, l’Arizona, la costa sud della Spagna. La Conferenza episcopale indica modelli diversi per “applicare” il messaggio del Papa alle sfide dell’immigrazione in Spagna. Un fenomeno visto come «occasione per la nuova evangelizzazione», ricordando che la Chiesa è stata sempre con i migranti durante gli ultimi cento anni, «e noi vogliamo rimanere con loro, condividendo gioie e speranze, tristezze e angosce, offrendo l’amore e il dinamismo liberatore che nasce da Gesù Cristo e del suo Vangelo». Sul sito web della Chiesa cattolica spagnola è possibile trovare il messaggio di Francesco, quello dei vescovi spagnoli, sussidio liturgico e altro materiale per preparare veglie di preghiera e incontri. C’è anche un video che sarà diffuso nelle reti sociali: è intitolato «One Heart» ed è stato registrato sulla spiaggia della Malvarrosa a Valencia il 14 dicembre. Alla sua realizzazione hanno lavorato, tra gli altri, il Servizio audiovisivo diocesano dell’arcivescovado di Valencia, il Programma di attenzione sociale e pastorale della Caritas, varie parrocchie e congregazioni, sacerdoti, religiosi e laici della diocesi di Valencia. Con un gioco di parole si sofferma brevemente sull’idea, universalmente diffusa, che gli immigrati rappresentino un pericolo. Il video si chiude con uno stralcio del messaggio per la Giornata pronunciato da Papa Francesco: «È necessario un cambio di atteggiamento — ha detto il Pontefice — verso i migranti e rifugiati da parte di tutti; il passaggio da un atteggiamento di difesa e di paura, di disinteresse o di emarginazione — che, alla fine, corrisponde proprio alla “cultura dello scarto” — ad un atteggiamento che abbia alla base la “cultura dell’incontro”, l’unica capace di costruire un mondo più giusto e fraterno, un mondo migliore». Una realtà del Jesuit Refugee Service France Benvenuti sul serio PARIGI, 14. Ci sono tanti modi per celebrare la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato (domenica 19 gennaio sarà la centesima edizione). Dall’ottobre 2009 il Jesuit Refugee Service France lo fa attraverso il progetto «Welcome», teso a creare ospitalità concreta attraverso una rete di famiglie e di comunità disponibili ad accogliere per un tempo determinato (quattro-cinque settimane) un richiedente asilo o un rifugiato. Offrire un tetto a delle persone che non sono ancora ammesse in un centro di accoglienza per richiedenti asilo e che vivono spesso in strada «consente loro di respirare un po’, di riposarsi fisicamente e psicologicamente, di scoprire realtà diverse dalla propria, di ritrovare speranza e coraggio», affermano gli organizzatori, «e con la famiglia che apre la sua porta e il tutore che segue la persona si stabilisce un rapporto fraterno». Si tratta di accompagnare una transizione, un passaggio difficile, dalla richiesta di asilo all’ingresso nei centri d’accoglienza, all’ottenimento dello stato di rifugiato, fino al vero e proprio inserimento (quando riesce) nella società francese. Cinquecento domande all’anno, trecento solo nella regione parigina, alcune delle quali vengono prese in carico dal servizio dei gesuiti per seguirne dall’inizio alla fine l’iter burocratico. Fra l’altro, i legami tra il JrF e altre associazioni consentono al migrante di beneficiare rapidamente di corsi di lingue, gestiti da volontari, e di limitare al massimo le spese giudiziarie. Negli anni la rete «Welcome» si è estesa progressivamente: Parigi e l’Île-de-France, Lille, Rennes, Brest, Nantes, Orléans, Lione, Marsiglia, Nizza, Clermont-Ferrand, Valence, Dijon, Nevers. Una novantina di famiglie e diciotto comunità religiose si sono unite per permettere a più di centotrenta richiedenti asilo di “riprendere fiato”. Inizio della missione del nunzio apostolico in Germania Monsignor Nikola Eterović, arcivescovo titolare di Cibale, è giunto a Berlino il 14 novembre scorso. All’aeroporto di Tegel, è stato accolto da Thomas Pröpstl, vice capo del Protocollo del ministero degli Affari esteri, da Essohanam Comla Paka, ambasciatore del Togo e vice decano del corpo diplomatico, dal cardinale Rainer Maria Woelki, arcivescovo di Berlin, dai vescovi Matthias Heinrich e Wolfgang Weider, rispettivamente ausiliare e già ausiliare, da monsignor Tobias Przytarski, vicario generale della medesima arcidiocesi, dal gesuita Hans Langendörfer e da Matthias Kopp, rispettivamente segretario e portavoce della Conferenza episcopale tedesca, dai monsignori Tuomo I. Vimpari e Filippo Colnago, rispettivamente incaricato d’affari ad interim e segretario della nunziatura apostolica, da monsignor Karel Simandl e don Jürgen Doetsch, collaboratori locali della medesima rappresentanza pontificia. Il 18 novembre, monsignor Eterović si è recato al ministero degli Affari esteri per consegnare copia delle lettere credenziali a Jürgen Christian Mertens, capo del Protocollo. La solenne cerimonia di consegna delle lettere credenziali è avvenuta il 20 novembre. Accompagnato da Thomas Pröpstl al palazzo presidenziale Schloß Bellevue, il rappresentante pontificio è stato ivi accolto da Jürgen Christian Mertens per gli onori militari. Dopo aver firmato il libro d’oro, è stato introdotto nel Langhanssaal, alla presenza di Joachim Gauck, presidente della Repubblica Federale di Germania. Durante il successivo colloquio, svoltosi nel Salon Luise — alla presenza, oltre che del capo del Protocollo, anche di Michael Georg Link, ministro di Stato, e della signora Michaela Küchler, consigliere diplomatico presso la Presidenza federale — il nunzio apostolico ha trasmesso al presidente Gauck i saluti del Santo Padre, come pure l’assicurazione della sua preghiera e della sua grande considerazione nei riguardi della Germania. Nel ringraziare, il capo dello Stato ha rilevato un rinnovato dinamismo della Chiesa cattolica in seguito all’elezione del Papa Francesco. Il presidente federale si è detto interessato alle priorità del Pontificato, in particolare a quelle inerenti a un maggior ruolo dei laici nella Chiesa, al dialogo tra le religioni e ai rapporti con i musulmani. Dopo uno scambio di pareri sull’importante ruolo della Chiesa cattolica in Germania, è stato sottolineato come il modello di relazione tra Chiesa e Stato nella Repubblica Federale possa servire da esempio per altre nazioni. Inoltre, è stato osservato il prezioso ruolo della Santa Sede, a livello internazionale, nella promozione della pace, della giustizia e della riconciliazione, soprattutto in Medio Oriente. Con la sua generosa attività di assistenza e di beneficenza verso i più poveri, gli immigrati e gli esuli, la Chiesa in Germania, infatti, contribuisce in modo significativo a tale ruolo universale della Chiesa cattolica. Nella solennità dell’Immacolata Concezione della beata Vergine Maria, monsignor Eterović è stato presentato nella cattedrale di Sant’Edvige alla comunità diocesa- na dal cardinale Woelki: alla solenne concelebrazione eucaristica, oltre al corpo diplomatico — che viene invitato ogni anno in tale solennità già dai tempi difficili del muro che divideva la città di Berlino — erano presenti anche esponenti delle missioni linguistiche dell’arcidiocesi. Al termine della celebrazione, il rappresentante pontificio ha portato il saluto benedicente del Santo Padre, presentando altresì l’invito alla speranza e alla gioia, in riferimento alla recente esortazione apostolica Evangelii gaudium. L’11 dicembre il nunzio apostolico si è recato a Bonn per una visita ufficiale alla segreteria della Conferenza episcopale tedesca. In tale occasione, ha consegnato la lettera commendatizia del segretario di Stato, l’arcivescovo Pietro Parolin, a monsignor Robert Zollitsch, amministratore apostolico di Freiburg im Breisgau e presidente della Conferenza episcopale tedesca. Ampio spazio agli eventi, che hanno segnato l’inizio della missione del nuovo rappresentante pontificio in Germania, è stato dedicato dai principali media tedeschi. «Quest’accoglienza — spiega padre Paul de Montgolfier, direttore di Jesuit Refugee Service France — non necessita di un investimento considerevole». Il rapporto fra chi accoglie e chi è accolto, scandito inevitabilmente anche da orari da rispettare, sfocia spesso nella reciproca fiducia e nell’amicizia e la maggioranza delle famiglie e delle comunità non esitano a proporre la loro ospitalità più volte all’anno, ma sempre a una persona diversa per evitare installazione e attaccamento (all’insegna della “giusta distanza”). È l’occasione, dice il gesuita, «per scoprire la ricchezza delle differenti culture dei propri ospiti ma anche il loro coraggio e la loro volontà di andare avanti, malgrado tutto». Per Isabella Moulet, coordinatrice nazionale di «Welcome», il criterio è quello dell’incontro con la società francese: «Due universi vengono a contatto. Per chi viene accolto, anche nei centri cattolici impegnati, è spesso uno choc, tanto la realtà è sconosciuta. Guidata dalla spiritualità dell’incontro, tale esperienza offre anche occasioni per vivere nel quotidiano l’ecumenismo e il dialogo interreligioso. I nostri ospiti diventano così ambasciatori del cristianesimo». E non manca chi, dopo «Welcome», si rivolge a Secours Catholique, a Emmaüs, alla Croix Rouge. Quello del Jesuit Refugee Service è un progetto teso alla difesa degli individui per gravi ragioni lontani dalla propria patria, alla tutela della loro dignità, del loro diritto alla vita: «Un bambino che viene al mondo è subito visibile, poi gli si attribuisce un nome. Ora, questi individui — sottolinea Isabella Moulet — restano invisibili e, nella migliore delle ipotesi, diventano un numero in un dossier. Essere in una famiglia, a contatto con gli altri, rende loro questa visibilità, questo nome. Noi li invitiamo a esistere là dove lo Stato tende ad annientarli, facendo pesare su di essi un sospetto fino alla fine delle procedure e rifiutando loro durante tutto questo tempo, perfino anni, reali mezzi di integrazione». Lutto nell’episcopato Monsignor Alphonsus Augustus Sowada, vescovo emerito di Agats, in Indonesia, è morto sabato scorso, 11 gennaio, in una casa di riposo ad Onamia, nella diocesi statunitense di Saint Cloud, in Minnesota. Nel territorio di quest’ultima diocesi, ad Avon, il compianto presule era nato il 23 giugno 1933. Sacerdote dell’ordine della Santa Croce (crocigeri) dal 31 maggio 1958, era stato missionario in Indonesia, divenendo vicario generale dell’arcivescovo metropolita di Merauke. E quando il 29 maggio 1969 era stata eretta la nuova diocesi di Agats, ne era stato nominato primo vescovo. Il successivo 23 novembre aveva ricevuto l’ordinazione episcopale. Dopo oltre trent’anni di ministero, aveva rinunciato al governo pastorale della diocesi indonesiana il 9 maggio 2001. Le esequie saranno celebrate venerdì 17 gennaio nella cattedrale di Saint Cloud. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 mercoledì 15 gennaio 2014 Messa del Papa a Santa Marta Conclusa la visita del cardinale Sandri in Libano Quattro modelli Nelle mani di Maria La gente segue chi insegna come Gesù, il quale porta con sé la novità della Parola di Dio, il suo amore. E non chi — laico, cristiano, sacerdote o vescovo che sia — è un corrotto e ha il cuore corrotto. Papa Francesco è tornato a parlare della testimonianza di fede che devono offrire quanti, soprattutto in ragione della loro missione, sono chiamati a trasmetterla al popolo di Dio. E durante l’omelia della messa celebrata questa mattina, martedì 14 gennaio, nella cappella di Santa Marta, ha ripetuto che non c’è altra via oltre quella insegnata da Cristo. A questo insegnamento fanno riferimento le due letture proposte dalla liturgia, tratte dal primo libro di Samuele (1, 9-20) e dal Vangelo di Marco (1, 21b-28). In esse, ha notato il Pontefice, sono descritti «quattro modelli di credenti predicatori: Gesù, gli scribi, il sacerdote Eli, e dietro di lui — non è esplicito, ma ci sono — i due figli di Eli, sacerdoti». Gli scribi insegnavano e predicavano ponendo sulle spalle della gente dei pesi gravosi. «E la povera gente — ha detto il Papa — non poteva andare avanti». Il rimprovero che Gesù fa a costoro è di non muovere neanche un dito per aiutare queste persone. E alla gente poi dirà: «Fate quello che dicono, ma non quello che fanno». Gente incoerente, ha spiegato il Pontefice parlando degli scribi e dei farisei, che si comportavano «come se bastonassero le persone». E Gesù li avvertiva «dicendo loro: così facendo, voi chiudete le porte dei cieli; non lasciate entrare nessuno e neppure voi entrate». È così che ancora oggi, ha sottolineato il Papa, si usa questo modo sbagliato di predicare, di insegnare, di dare testimonianza della propria fede. «E quanti ce ne sono — si è lamentato — che pensano che la fede sia così». Poi il vescovo di Roma si è soffermato sul modo di agire di Eli, «un vecchio... poveretto» che — ha confessato — «a me fa una certa tenerezza», ma che tuttavia «non era un brav’uomo davvero: era un povero prete, debole, tiepido e lasciava fare, non aveva forza. Lasciava fare tante cose brutte ai suoi figli.» Il Santo Padre ha raccontato l’episodio di Eli che scambia per ubriaca una povera donna che pregava in silenzio, muovendo appena le labbra per chiedere al Signore la grazia di un figlio. Essa «pregava come prega la gente umile, semplicemente, dal cuore, con angoscia e muoveva le labbra. Tante donne buone pregano così nelle nostre chiese e nei nostri santuari. E questa pregava così, chiedeva un miracolo. E l’anziano Eli, poveretto, non aveva niente da fare. La guardava e pensava: questa è un’ubriaca. E la disprezzò. Lui era il rappresentante della fede», colui che avrebbe dovuto insegnare la fede, ma «il suo cuore non sentiva bene e disprezzò questa signora. Le dice: vai via, ubriaca!». «Quante volte il popolo di Dio — ha constatato il Santo Padre — si sente non ben voluto da quelli che devono dare testimonianza, dai cristiani, dai laici cristiani, dai preti, dai vescovi!». Tornando allora ad Eli, Papa Francesco ha spiegato perché prova per lui una certa simpatia: «Perché nel cuore ancora aveva l’unzione. Quando la donna gli spiega la propria situazione, Eli le dice: vai in pace, e il Dio di Israele ti conceda quello che hai chiesto. Viene fuori l’unzione sacerdotale. Povero uomo, l’aveva nascosta dentro la sua pigrizia. È un tiepido. E poi finisce male, poveretto!». Nel brano della scrittura, ha osservato il Pontefice, i suoi figli non si vedono, ma erano quelli che gestivano il tempio. «Erano briganti. Erano sacerdoti — ha detto — ma briganti. Andavano dietro al potere e dietro ai soldi; sfruttavano la gente, approfittavano delle elemosine e dei doni. Dice la Bibbia che prendevano i pezzi più belli dei sacrifici per mangiare loro. Sfruttavano. Il Signore li punisce forte, questi due!». Per il Papa essi rappresentano «la figura del cristiano corrotto, del laico corrotto, del prete corrotto, del vescovo corrotto. Approfittano della situazione, del privilegio della fede, di essere cristiani. E il loro cuore finisce corrotto. Pensiamo a Giuda: ha incominciato forse la prima volta per gelosia, per invidia, a mettere la mano nella borsa», e così «il suo cuore ha incominciato a corromper- si. Giovanni — l’apostolo buono che ama tutto il mondo, che predica l’amore — di Giuda dice: era un ladro. Punto. È chiaro: era corrotto. E da un cuore corrotto esce anche il tradimento. Tradisce Gesù». E infine il modo di predicare di Gesù. Cosa ha di speciale? Perché la gente dice: «Questo insegna come uno che ha autorità; questo è un insegnamento nuovo»? Gesù — ha affermato il Pontefice — insegnava la legge, insegnava Mosè e i profeti. Dove è il nuovo? Ha potere, il potere della santità, perché gli spiriti impuri se ne vanno. La novità di Gesù è che porta con sé la parola di Dio, il messaggio di Dio, cioè l’amore di Dio per ognuno di noi. Avvicina Dio alla gente. E per farlo si avvicina lui. È vicino ai peccatori, va a pranzo con Matteo, un ladro, traditore della patria; perdona quell’adultera che la legge diceva che doveva essere punita; parla di teologia con la Samaritana che non era un “angioletto”, aveva la sua storia». Gesù dunque «cerca il cuore delle persone, Gesù si avvicina al cuore ferito delle persone. A Gesù interessano soltanto la persona e Dio. E cerca di avvicinare Dio alle persone e le persone a Dio». E ancora: «Gesù è come il buon samaritano che guarisce le ferite della vita. Gesù è l’intercessore che va solo a pregare in montagna per la gente, e dà la vita per la gente. Gesù vuole che la gente si avvicini e la cerca; e si sente commosso quando la vede come pecore senza pastore. E tutto questo atteggiamento è quello che la gente definisce un atteggiamento nuovo. No, non è nuovo l’insegnamento, è il modo di farlo nuovo. La trasparenza evangelica». «Chiediamo al Signore — ha concluso Papa Francesco — che queste due letture ci aiutino nella nostra vita di cristiani», perché ognuno, nel ruolo che è chiamato a svolgere nella missione della Chiesa, non sia semplicemente legalista, puro ma ipocrita come gli scribi e i farisei. L’invito del Pontefice è «a non essere corrotti come i figli di Eli; a non essere tiepidi come Eli; ma a essere come Gesù, con quello zelo di cercare la gente, guarire la gente, amare la gente». Il porporato dinanzi all’icona lignea custodita nel santuario di Nostra Signora dell’Attesa, nel villaggio di Maghdouché «Attendiamo con te da Gesù, principe della pace, il suo dono sospirato per il Libano, la Siria e tutto il Medio Oriente». La preoccupazione del cardinale Leonardo Sandri per la drammatica situazione della regione mediorientale si è trasformata in un’accorata preghiera a Maria. Il prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali l’ha recitata domenica sera, 12 gennaio, nel santuario di Sayidat Al-Mantara (Nostra Signora dell’Attesa), che si trova nel villaggio di Maghdouché, nei pressi di Saïda. È stata una delle ultime tappe della visita del porporato in Libano, espressamente inserita nel programma per rinnovare l’atto di affidamento alla Madre di Dio e così invocare la sua protezione sui Paesi del Medio Oriente. «Vogliamo continuare qui oggi — ha detto il cardinale — la preghiera chiesta da Papa Francesco lo scorso 7 settembre, vigilia della festa della tua nascita, e ripetere l’invocazione risuonata con forza quella sera: “Finisca il rumore delle armi! Sì, lo vogliamo!”». E rivolgendo la sua invocazione alla Vergine, risuonata come una promessa di impegno e un’aspirazione a un mondo dove tacciano le armi, ha aggiunto: «Vogliamo impegnarci tutti, dai responsabili delle nazioni fino ai più piccoli, a essere uomini e donne di pace e di riconciliazione. Poni sotto il tuo manto di Madre tenerissima e dolcissima il nostro Papa Francesco, e donagli la forza per continuare a indicarci il Cristo tuo Figlio». Preghiera che si è fatta anche gesto concreto di solidarietà e di vicinanza ai profughi siriani ospitati nel rassemblement di Marj el Khokh, a Marjayoun, nel sud del Libano, gestito dalla fondazione Avsi. Il porporato ha portato il conforto della Chiesa intera e ha offerto un contributo per le attività a favore dei rifugiati. Di accoglienza e di sostegno a quanti soffrono a causa delle violenze, dei conflitti e delle persecuzioni, il cardinale aveva parlato anche durante la messa celebrata domenica mattina, festa del battesimo del Signore, presso il Centro pastorale dei redentoristi a Zahle. «Mettersi in cammino verso Dio — aveva detto — significa magari compiere un passo di riconciliazione all’interno delle nostre famiglie, compiere un gesto di attenzione e accoglienza verso chi è più povero e sappiamo bene quanti ne stia ospitando il vostro Paese in questo momento di guerra nella vicina Siria». Facendo riferimento alla liturgia, il porporato aveva ricordato che il battesimo «ci fa entrare nella famiglia dei figli di Dio, la Chiesa. Siamo, pastori e fedeli, la Chiesa, il popolo santo di D io». Ma «se Dio si è messo in cammino, possiamo noi forse stare fermi, magari arroccati sulle nostre certezze umane più che fondati sulla roccia salda dell’amore di Dio?» si era chiesto il cardinale. Da qui l’invito alla fiducia nello Spirito che ci con- duce «lungo il tempo» e l’avvertimento a non opporre «resistenze, magari anche con ragionamenti comprensibili, ma che ultimamente non lasciano l’ultima parola a Dio, perché “sia fatta la sua volontà, come in cielo, così in terra”». In particolare, il porporato aveva ricordato che con il battesimo al fiume Giordano, Gesù «dà inizio alla vita pubblica, che lo porterà a percorrere le strade della Palestina e ad “adempiere ogni giustizia” con la passione, la croce a Gerusalemme». Proprio a partire dal «momento vertice della sua presentazione, con i cieli aperti, la voce del Padre e la discesa dello Spirito in forma di colomba», il Figlio di Dio si mette in cammino. «Vuole raggiungere ogni uomo — aveva detto — perché l’uomo che cerca Dio possa sentirne la vicinanza, e chi è lontano o stanco possa nuovamente mettersi in cammino verso di lui percependone la presenza». Il porporato aveva concluso affidando tutti all’intercessione di «colei che si è messa in cammino, da Nazaret ad Ain Karem, per andare dalla cugina Elisabetta, verso l’Egitto, per proteggere Gesù neonato dalla violenza cieca di Erode, e ancora ha camminato seguendo nel silenzio la sua vita pubblica, la beata Vergine Maria». Il viaggio del cardinale in Libano si è concluso con l’incontro con alcuni docenti e studenti dell’università gestita dall’ordine antoniano maronita. Il cardinale Amato inaugura il trentesimo corso dello Studium Convegno in Vaticano sull’alcoldipendenza Costi certi ed equi per le cause di canonizzazione Meno spirito, per favore Un «tariffario di riferimento», a cui postulatori e attori delle cause di canonizzazione devono attenersi, è entrato in vigore all’inizio di quest’anno. Si tratta di una novità ispirata da un senso di sobrietà ed equità, perché non vi siano «sperequazioni tra le varie cause». Lo ha annunciato il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, durante la prolusione di apertura del trentesimo corso dello Studium del dicastero, lunedì pomeriggio, 13 gennaio, alla Pontificia Università Urbaniana. È una novità che giunge al termine del lavoro di collaborazione tra la Congregazione e i vari postulatori, che in questi mesi hanno risposto positivamente alla richiesta della Santa Sede di presentare la rendicontazione delle loro spese. «È bene che gli attori — ha detto il porporato — conoscano le spese alle quali vanno incontro, relative sia alle tasse della Santa Sede sia ai compensi dei postulatori». Il cardinale ha poi informato che «qualcuno ha anche iniziato a far pervenire qualche offerta per le cause povere». Da qui l’incoraggiamento a onorare l’invito, «fatto dal nostro regolamento», perché la Congregazione «possa venire incontro a eventuali richieste da parte di cause meritevoli di tale sussidio». Il cardinale ha anche parlato della prossima canonizzazione di Giovanni XXIII, per la quale — ha chiarito — non sono stati fatti sconti, né tantomeno Papa Francesco ha esentato dal miracolo. Il Pontefice «ha solo ridotto i tempi, per la grande opportunità per la Chiesa intera di celebrare nel 2014 con Giovanni XXIII, l’iniziatore del concilio Vaticano II, e con Giovanni Paolo II, il realizzatore dei fermenti pastorali, spirituali e dottrinali dei documenti conciliari». Una precisazione necessaria dopo la diffusione di notizie non corrette in merito. Infatti, la Positio di Papa Roncalli, ha sottolineato il porporato, è piena di resoconti di miracoli e di fama di segni. Per questo, la sua La sala degli ex voto nella casa natale di Angelo Giuseppe Roncalli a Sotto il Monte canonizzazione non è da considerarsi “equipollente”. Fin dal 3 settembre 2000, da quando cioè Giovanni Paolo II lo proclamò beato, sono pervenute numerose segnalazioni di grazie e di favori ottenuti per sua intercessione. Segnalazioni che, ha detto il cardinale prefetto, «provengono da tutto il mondo, spesso sono accompagnate da documentazione medica, e attestano che il ricorso del popolo di Dio all’intercessione del beato è diffuso, continuo, spontaneo e universale». Queste notizie di grazie ottenute pervengono soprattutto al rettore della casa natale di Roncalli, a Sotto il Monte (Bergamo), al neo cardinale Loris Francesco Capovilla, che fu a lungo segretario personale del Pontefice, alla postulazione generale dei frati minori di Roma e alla stessa Congregazione delle cause dei santi. Tra i casi particolarmente interessanti in proposito, il porporato ha ricordato quello avvenuto nel dicembre 2002 a Napoli, dove una signora «ingerì per errore una bustina di cianuro. Invocando il beato si salvò dall’avvelenamento senza riportare danno ai reni, né alla milza, e guarendo contestualmente dalla cirrosi epatica». Miracolo che è «parte integrante del processo di beatificazione e di canonizzazione». Il cardinale ha poi parlato del grande lavoro svolto dal dicastero e ha ricordato che nel 2013 ci sono state 18 cerimonie di beatificazione con 540 nuovi beati, dei quali 528 martiri e 12 confessori. Sempre lo scorso anno, Papa Francesco ha canonizzato 804 nuovi santi, dei quali 800 martiri e 4 confessori, e ha provveduto a due canonizzazioni equipollenti: quelle di Angela da Foligno e di Pietro Favre. «Tra gli aspetti più significativi di Papa Francesco — ha confidato il porporato — è da segnalare l’interesse per la valorizzazione della santità di sacerdoti e di laici e la preoccupazione per il buon andamento del lavoro del nostro dicastero». Il Pontefice è sempre «pronto ad accogliere il prefetto per la valutazione e la firma dei decreti, e anche per dare consigli e suggerimenti utili alla nostra missione». Il cardinale ha poi ricordato che la Congregazione, per favorire, fuori dall’Europa occidentale, la presentazione di modelli concreti di santità, da sempre «riserva una corsia preferenziale alle cause provenienti dall’Asia, dall’Africa, dalle Americhe e anche dall’Europa dell’Est, per le note vicende circa la feroce persecuzione subita da queste Chiese sotto i regimi nazisti e comunisti». E ha lamentato che spesso le cause, anche quelle debitamente maturate, segnano dei notevoli ritardi perché gli attori — vescovi, superiori religiosi o altri — «sembrano assenti». Per questo, ha auspicato un dialogo più frequente con i superiori del dicastero. A conclusione della cerimonia di inaugurazione, don Antonio Manuel Saldanha e Albuquerque, segretario dello Studium, ha comunicato alcuni dati circa il corso di quest’anno, frequentato da 111 studenti provenienti da 29 Paesi di quattro continenti: 75 dall’Europa, 18 dall’America, 14 dall’Asia, 4 dall’Africa. Il gruppo più numeroso è quello di nazionalità italiano con 45 studenti. Segue l’India con 11 e il Brasile con 8. Al quarto posto il Messico e la Spagna con 5 iscritti. Per quanto riguarda la suddivisione secondo la condizione ecclesiastica, si contano 27 sacerdoti diocesani, 21 sacerdoti religiosi, 3 appartenenti a società di vita apostolica, 24 suore, 4 seminaristi, 31 laici e un consacrato. Sono ormai oltre due milioni e mezzo i morti causati ogni anno nel mondo dall’abuso di alcol. Ciò che preoccupa di più è l’aumento del numero di giovani tra le vittime, il cui limite di età si è progressivamente abbassato sino a raggiungere ormai la soglia dei quindici anni. E per morire a quindici anni a causa dei danni irreparabili causati dall’abuso di alcol significa che la dipendenza risale a un’età ancor più tenera. Non a caso il consumo di alcol costituisce il terzo fattore di rischio nel mondo per carico di malattia e di mortalità premature. Ecco perché lo spettro dell’alcoldipendenza fa sempre più paura. Sono questi i motivi della scelta della Pontificia Accademia delle Scienze di scendere decisamente in campo e di riunire, per una giornata di studio, scienziati e uomini di Chiesa per focalizzare l’attenzione su una questione che compromette lo sviluppo individuale e sociale. «Alcoldipendenza: un fenomeno da contrastare per il bene dell’individuo e della società» è il tema dell’incontro svoltosi questa mattina, martedì 14 gennaio, nella Casina Pio IV, in Vaticano. Gli onori di casa li ha fatti il vescovo cancelliere Marcelo Sánchez Sorondo, ai cui saluti inaugurali si sono aggiunti quelli del cardinale Raffaele Farina. La relazione di apertura è stata tenuta dal cardinale Óscar Andrés Rodríguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa e presidente della Caritas Internationalis, il quale, forte della sua lunga esperienza pastorale, ha posto l’accento sulle implicanze etiche e morali delle dipendenze. L’impatto del consumo di alcol infatti colpisce in profondità, in quanto danneggia il benessere e la salute delle persone, anche di quelle che circondano il bevitore. Gli esempi che più frequentemente raggiungono gli onori della cronaca sono quelli del guidatore in stato di ebbrezza che causa vittime innocenti e dell’ubriaco che scarica la sua violenza contro i primi malcapitati, sempre più spesso i familiari, in particolare donne e bambini. Si sono poi susseguite le relazioni dei professori Claudio Mencacci, Emanuele Scafato, Luigi Janiri, i cui interventi — moderati da Stefano Maria Zuccaro — hanno offerto un quadro a dir poco drammatico della situazione, soprattutto in Europa, che risulta essere la regione del mondo con il più alto livello di consumo di alcol pro-capite, più del doppio della media mondiale. Si calcola che vi siano oltre quindici milioni di alcoldipendenti. Negli ultimi 10 anni il consumo di alcol è rimasto sostanzialmente stabile in Europa ma rimane prioritaria la necessità di ridurre i problemi alcol-correlati nella popolazione. Anche perché alla comunità costano circa 156 miliardi l’anno. Nonostante questi dati le percentuali di trattamento dei pazienti alcoldipendenti sono molto basse, meno del 10 per cento. Ciò è dovuto in larga misura ad approcci terapeutici orientati all’immediato ottenimento dell’astensione completa. Dalla conferenza è emersa intanto un’indicazione: dalla dipendenza dall’alcol si può uscire. Per raggiungere l’obiettivo, stanti le difficoltà per l’alcolista di astenersi completamente, sembra più efficace una scelta terapeutica orientata alla riduzione costante e progressiva del consumo. Lo scopo è quello di raggiungere la completa astensione riuscendo a colmare nel frattempo quel bisogno insoddisfatto nel trattamento della dipendenza. È altrettanto chiaramente emerso però che senza adeguate politiche e interventi mirati a rendere la comunità umana più sana, più sicura e più soddisfatta della propria condizione, ogni sforzo terapeutico è destinato al fallimento.