l`osservatore romano

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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLIV n. 10 (46.552)
Città del Vaticano
mercoledì 15 gennaio 2014
.
La conferenza Ginevra 2 deve garantire la partecipazione inclusiva di tutte le parti coinvolte
Violenti scontri tra polizia ed estremisti islamici
Per la pace in Siria
Si vota in Egitto
sulla nuova Costituzione
La cessazione immediata della violenza in Siria; l’avvio della ricostruzione; il dialogo tra le comunità; i
progressi nella risoluzione dei conflitti regionali; la partecipazione di
tutti gli attori regionali e globali al
processo di pace. Sono questi i presupposti e al tempo stesso gli scopi
che la conferenza internazionale sulla Siria, fissata per il 22 gennaio prima a Montreux e poi a Ginevra, deve prefiggersi per arrivare a una pace duratura. Lo sostiene il documento conclusivo del seminario sulla crisi siriana promosso dalla Pontificia
Accademia delle Scienze e svoltosi
ieri, lunedì 13, in Vaticano. La dichiarazione è stata indirizzata a Papa
Francesco.
Il documento, pur in presenza di
una situazione drammatica, ha
un’impostazione fortemente propositiva. Vi si sostiene, infatti, che l’orrore della violenza e della morte in Siria ha condotto il mondo a una rinnovata riflessione, e quindi a una
nuova possibilità di pace. Di conseguenza, la conferenza, conosciuta
come Ginevra 2, permette al popolo
siriano, alla regione e al mondo intero di concepire un nuovo inizio per
porre fine alla violenza che ha pro-
vocato oltre 130.000 morti e ha lasciato un paese bellissimo nella rovina e nel caos.
«Dobbiamo perciò operare tutti in
armonia e fiducia per tracciare urgentemente un percorso di riconciliazione e ricostruzione», scrivono i
partecipanti al seminario, sostenendo
che «il passo iniziale e più urgente,
che trova d’accordo tutti gli uomini
e le donne di buona volontà, è l’immediato cessate il fuoco e la fine di
ogni tipo di violenza: una fine senza
precondizioni politiche». Tutti i
combattenti interni della regione —
si legge nel documento — «devono
deporre le armi; tutte le potenze
straniere devono adottare misure immediate per fermare il flusso di armi
e il finanziamento delle stesse, che
alimenta l’escalation della violenza».
Interventi umanitari massicci, oggi
ostacolati dai combattimenti, sono
necessari per milioni di siriani che si
trovano nella condizione di profughi, sia sfollati interni sia rifugiati
all’estero, con «privazioni estreme e
potenzialmente letali». Il documento
sollecita dunque a fare in modo che
la Siria possa intraprendere, con il
pieno sostegno finanziario e umano
mondiale, un percorso di ricostruzione, «da iniziare ancor prima che siano risolte tutte le questioni politiche
e sociali». In questo un ruolo privilegiato devono avere i poveri e i giovani ai quali va garantito l’accesso al
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Washington e Mosca
scorgono
spiragli di tregua
DAMASCO, 14. In Siria non si fermano i combattimenti, ma Stati
Uniti e Russia, promotori con
l’Onu della conferenza di pace
fissata per il 22 gennaio, sostengono che vi siano spiragli per arrivare a un cessate il fuoco, almeno in alcune zone, per consentire
gli interventi umanitari. Lo hanno
detto ieri il segretario di Stato
americano, John Kerry, e il ministro degli Esteri russo, Serghiei
Lavrov, dopo la riunione a Parigi
con l’inviato dell’Onu e della Lega araba, Lakhdar Brahimi, per
preparare appunto l’apertura dei
negoziati a Ginevra. Su uno dei
principali nodi diplomatici ancora
non sciolti, cioè la partecipazione
dell’Iran, Kerry ha fatto una parziale apertura. «Accoglieremo con
favore la presenza dell’Iran, se
Teheran parteciperà in linea con
l’obiettivo della conferenza», ha
detto il segretario di Stato americano, secondo il quale tale obiettivo è una transizione politica. In
merito, Kerry ha sottolineato che
l’Iran, principale alleato regionale
del Governo siriano del presidente Bashar Al Assad, deve ancora
comunicare se sostiene o meno
l’accordo della precedente conferenza a Ginevra, del 30 giugno
2012. All’epoca era stato delineato
un piano di uscita dalla crisi che
escludeva la presenza di Assad
nel futuro Governo di transizione. Da parte sua, il ministro degli
Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, ha ribadito ieri che
Teheran non accetterà precondizioni per partecipare alla conferenza. Zarif discuterà della questione tra due giorni a Mosca con
Lavrov.
I capi delle diplomazie statunitense e russa hanno affrontato anche la possibilità di uno scambio
di prigionieri tra Governo siriano
e l’opposizione. Secondo alcune
fonti, la questione è stata sollevata ieri dal presidente del Comitato internazionale della Croce
Rossa, Peter Maurer, ricevuto a
Damasco dal ministro degli esteri
siriano, Walid al Muallim.
L’apertura di corridoi umanitari, di nuovo sollecitata ieri
dall’Onu, e il rilascio dei prigionieri politici sono alcune delle
condizioni poste dalla Coalizione
nazionale siriana, che raccoglie
diversi gruppi di opposizione, per
partecipare alla conferenza. La
Coalizione si pronuncerà in merito venerdì prossimo, dopo un incontro con le autorità russe.
Una bambina estratta dalle macerie durante un bombardamento a Damasco (Reuters)
lavoro e a una formazione che offra
competenze per la ricostruzione.
Accanto a quella materiale è necessaria una ricostruzione spirituale
e comunitaria, nel segno del dialogo
tra le comunità e della riconciliazione «per raggiungere una nuova
comprensione e un ripristino significativo della fiducia, dopo anni di
violenze tra comunità».
Si ritengono inoltre necessarie
nuove forme politiche per garantire
la rappresentanza, la partecipazione,
le riforme, la libertà di espressione e
la sicurezza per tutti i gruppi sociali.
La trasformazione politica non va
considerata un presupposto per porre fine alla violenza, ma piuttosto
deve procedere «di pari passo alla
cessazione della violenza e alla ricostruzione della fiducia».
I partecipanti al seminario sottolineano che la guerra in Siria è stata
alimentata dalle rivalità e dalla profonda sfiducia nella regione, più ancora che dai conflitti interni. «Da un
lato — afferma il documento — questo è promettente. Il popolo siriano
ha convissuto in pace nel corso della
storia, e può tornare a farlo. D’altra
parte, i conflitti regionali che hanno
travolto la Siria vanno affrontati al
fine di creare le condizioni per una
pace duratura». Di conseguenza, «la
conferenza Ginevra 2 deve garantire
la partecipazione inclusiva di tutte le
parti del conflitto, sia all’interno della regione che oltre».
In merito, il seminario ha ritenuto
particolarmente degno di nota il recente accordo tra l’Iran e i membri
permanenti del Consiglio di Sicurezza più la Germania, per raggiungere
un consenso sul programma nucleare
iraniano. «Questo accordo interinale
dà al mondo la grande speranza che
il periodo prolungato di grave sfiducia tra l’Iran e altre nazioni della regione e oltre possa ora essere seguito
da una nuova era di fiducia e persino di cooperazione». Cosa che avverrebbe anche nel caso di un passo
avanti nei negoziati di pace israelopalestinesi, in corso sotto l’egida degli Stati Uniti.
Una donna immerge il dito nell’inchiostro dopo avere votato al Cairo (LaPresse/Ap)
IL CAIRO, 14. Sono iniziate questa
mattina in tutto l’Egitto le operazioni di voto per il referendum sulla nuova Costituzione. Oltre trentamila seggi rimarranno aperti fino
alle 21 e lo stesso sarà anche nella
giornata di domani.
Sono quasi 53 milioni gli aventi
diritto, cui vanno aggiunti i circa
680.000 persone residenti all’estero
che hanno peraltro già votato, l’8 e
il 9 gennaio in ambasciate e consolati. Il primo ministro egiziano ad
interim, Hazem El Beblawi, e il
presidente
ad
interim,
Adly
Mansour, hanno votato a Heliopolis, a nord-est del Cairo. Lo rende
noto il sito del quotidiano «Al
Ahram». Dopo aver votato El Beblawi ha diffuso un comunicato
stampa nel quale invita la popolazione a non aver paura a esprimere
la propria posizione sulla Carta
Duecento persone in fuga dalla guerra muoiono nell’affondamento di un traghetto sovraccarico nel Nilo Bianco
Civili travolti dal conflitto in Sud Sudan
JUBA, 14. La guerra civile che da un
mese dilania il Sud Sudan ha provocato domenica — ma se ne è avuta
notizia solo oggi — una delle più
gravi tragedie dei profughi in anni
recenti. Almeno duecento persone, in
gran parte donne e bambini, sono
morte nell’affondamento nel Nilo
Bianco di un traghetto sul quale stavano cercando di fuggire da Malakal, la capitale dello Stato sud sudanese dell’Alto Nilo.
Nella città, considerata la porta
per il controllo dei giacimenti petroliferi del vicino Stato di Unity, sono
in corso violenti combattimenti tra le
forze fedeli al presidente Salva Kiir
Mayardit e quelle ribelli che fanno
riferimento all’ex vice presidente
Rijek Machar, rimosso dall’incarico
lo scorso luglio e poi accusato di
aver ordito un colpo di Stato. La notizia del tragico naufragio è stata
confermata dal portavoce dell’esercito governativo, Philip Aguer, citato
dalla Bbc, secondo il quale il traghetto era sovraccarico.
Una dura battaglia è stata segnalata ieri anche a Bor, la capitale dello
Stato dello Jonglei che l’esercito governativo ha cercato invano di strap-
pare agli insorti, come ammesso dallo stesso Aguer.
Sempre ieri, la Fao, il fondo delle
Nazioni Unite per l’alimentazione e
l’agricoltura, ha denunciato che il
conflitto minaccia di far aumentare
notevolmente fame e sofferenza umana, cancellando i modesti progressi
realizzati nel settore della sicurezza
alimentare negli ultimi due anni. Sue
Lautze, la rappresentante della Fao
in Sud Sudan, ha ricordato che il
piano delle Nazioni Unite di risposta
alle crisi stima in 61 milioni dollari la
cifra per le attività di assistenza alimentare e per fornire i mezzi di sussistenza alle popolazioni del Paese.
L’attività della Fao punta principalmente ad ottenere sementi, vaccini
per il bestiame, attrezzature per agricoltura, oltre a servizi per le famiglie
vulnerabili rurali e urbane le cui attività produttive e di reddito sono state sconvolte dal conflitto e dal grande numero di rifugiati. In questo
senso, la Fao è anche impegnata nel
Ban Ki-moon a Baghdad invita al dialogo
Quel linguaggio
sperimentale
chiamato mistica
A PAGINA
5
Una famiglia
di nome Bergoglio
STEFANO MASINO
A PAGINA
4
NOSTRE
INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha ricevuto
oggi in udienza Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Óscar Andrés
Rodríguez Maradiaga, Arcivescovo
di
Tegucigalpa
(Honduras).
Attentati nella capitale anche nel giorno della visita del segretario generale dell’O nu
Il secondo volume postumo
de «La fable mystique»
di Michel de Certeau
SYLVIE BARNAY
mitigare l’impatto ambientale degli
sfollati e dei massicci spostamenti
delle popolazioni a causa del conflitto.
Secondo Lautze, è essenziale che
sicurezza e stabilità ritornino in Sud
Sudan, in modo che gli sfollati possano ritornare al più presto alle loro
case, ai loro campi, agli allevamenti e
alle attività di pesca. La rappresentante della Fao ha sottolineato che i
tempi per evitare una catastrofe sono
strettissimi.
fondamentale, emendata rispetto a
quella approvata nel 2012 sotto la
presidenza di Mohammed Mursi.
In quest’ottica, il premier egiziano ha dichiarato che le forze di sicurezza sono state mobilitate per
garantire l’incolumità degli elettori.
Gli estremisti islamici sono comunque scesi in piazza per boicottare il
referendum costituzionale. Scontri
con polizia si segnalano in diverse
città, un’ora dopo l’apertura dei
seggi. Ad Alessandria e nell’Alto
Egitto (sud) gli agenti hanno usato
gas lacrimogeni per disperdere i dimostranti A Beni Suef, a sud della
capitale, un dimostrante è morto
nei disordini. Anche il ministro
della Difesa egiziano, Abdel Fattah
El Sissi, si è recato in un seggio
elettorale a Heliopolis, quello di Al
Kholafaa Al Rashedin, ma in
quanto militare non ha votato.
Ban Ki-moon a Baghdad con il premier iracheno Al Maliki (LaPresse/Ap)
BAGHDAD, 14. È stato esplicito il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon,
nell’invitare i leader iracheni ad affrontare «alla
radice» i problemi legati all’ondata di violenze
che da mesi stanno insanguinando il territorio,
con un pesante bilancio di vittime, anzitutto
tra i civili. Durante la visita, ieri, a Baghdad, il
segretario generale dell’Onu — che ha incontrato, tra gli altri, il primo ministro, lo sciita Nouri Al Maliki — ha esortato le autorità competenti a lavorare per garantire una solida coesione politica e sociale. Nello stesso tempo Ban
Ki-moon si è detto molto preoccupato per la
situazione della sicurezza nel Paese — dove si è
registrato un ritorno dei guerriglieri di Al Qaeda — e per l’intensificarsi delle violenze, verificatesi anche nel giorno della sua visita a Baghdad. Nella capitale, infatti, ventuno persone
sono morte in seguito ad attentati dinamitardi.
L’attacco più sanguinoso è avvenuto nel distretto di Shaab, a maggioranza sciita con un
bilancio di undici civili morti.
Il Santo Padre ha ricevuto
oggi in udienza Sua Eminenza Reverendissima il Signor
Cardinale Severino Poletto,
Arcivescovo emerito di Torino (Italia).
Il Santo Padre ha ricevuto
oggi in udienza Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Peter Kodwo
Appiah Turkson, Presidente
del Pontificio Consiglio della
Giustizia e della Pace.
Il Santo Padre ha ricevuto
oggi in udienza His Grace
Anthony Palmer, Bishop and
International
Ecclesiastical
Officer of Evangelical Episcopal Churches.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 2
mercoledì 15 gennaio 2014
Centinaia i morti e migliaia gli sfollati
Accordi commerciali siglati dal premier Shinzo Abe
I centroafricani
in ostaggio
delle milizie armate
Tokyo acquista gas
dal Mozambico
BANGUI, 14. Il relativo contenimento delle violenze a Bangui, la capitale della Repubblica Centroafricana, seguito alla svolta politica di
venerdì scorso, non ha avuto purtroppo riscontro nel resto del Paese, che resta in ostaggio delle milizie contrapposte. Almeno 120 morti, centinaia di feriti e quattordicimila sfollati compongono il bilancio, ancora provvisorio, diffuso dalla Croce rossa centroafricana sui tre
giorni di violenze nella città nordorientale di Bozoum, seguiti all’annuncio della rimozione dal potere
dei principali leader della Seleka,
la coalizione ex ribelle che nel marzo scorso aveva rovesciato il presidente François Bozizé.
Durante un vertice nella capitale
ciadiana N’Djamena, appunto venerdì scorso, i Paesi della Comunità economica dell’Africa centrale
(Ceeac) avevano ottenuto le dimissioni di Michel Djotodia, del leader della Seleka che si era autoproclamato presidente, e del suo primo ministro, Nicolas Tiangaye.
A Bangui ha assunto ad interim
i
poteri
esecutivi
Alexandre
Ferdinand Nguendet, il presidente
del Consiglio nazionale di transizione (Cnt), una sorta di Parlamento insediato dopo il colpo di
Stato, formato da 135 esponenti che
erano stati tutti portati a N’D jamena per avallare la svolta.
Nguendet deve organizzare l’elezione del futuro presidente di transizione entro quindici giorni e ha
già avviato ieri colloqui con rappresentanti dei partiti politici e della società civile per stilare una lista
di possibili candidati.
Sempre ieri si è avuta notizia che
centinaia di soldati dell’esercito regolare, fuggiti dopo il colpo di
Stato, sono tornati al comando a
Bangui dopo l’appello del capo di
stato
maggiore,
il
generale
Ferdinand Bomboyeke, a rientrare
nelle caserme.
Da parte sua, Nguendet ha assicurato, in un discorso tenuto nel
comando della polizia, che l’anarchia è finita e che non saranno tollerate ulteriori violenze delle milizie e di quanti ha definito amanti
dei saccheggi.
La situazione sul terreno non
sembra però avallare tale affermazioni. Violenze nel fine settimana
erano state segnalate anche a Bangui, dove sono dislocate le truppe
inviate da Parigi e quelle della Misca, la missione originariamente decisa dalla Ceeac, ma poi passata lo
scorso 19 dicembre, per mandato
MAPUTO, 14. Nella tappa in Mozambico della sua prima missione in
Africa, il premier giapponese Shinzo
Abe ha firmato una serie di accordi
commerciali con il presidente Armando Guebuza, tra i quali spiccano
quelli relativi all’acquisto di gas. La
differenziazione delle fonti energetiche è una priorità del Governo giapponese, che ha inviato un percorso
di uscita dal nucleare dopo il grave
incidente nella centrale di Fukushima del marzo 2011. Diverse imprese
giapponesi sono coinvolte nello sviluppo e nello sfruttamento dei giacimenti di gas del Paese africano, così
come in quelli di carbone. Il Governo di Tokyo intende incrementare i
propri investimenti in Mozambico,
attualmente pari al 2,7 per cento del
totale internazionale.
Oltre al gas, Abe e Guebuza hanno indicato l’istruzione, la scienza e
la tecnologia come settori prioritari
degli accordi sottoscritti. Diversi osservatori, peraltro, sottolineano come
altrettanto importanti quelli nel settore dei trasporti. Il Governo di
Guebuza è impegnato in una massiccia politica di sviluppo della viabilità e delle ferrovie, considerata indispensabile per consentire un progresso economico. Il Mozambico,
infatti, ha tuttora, a oltre vent’anni
dalla fine della guerra civile, infrastrutture largamente insufficienti.
dell’Onu, sotto la responsabilità
dell’Unione africana. In questo caso, le fonti locali, pur riferendo di
vittime, avevano però parlato di disordini relativamente contenuti.
Diversa è la situazione nel nordest, dove agli scontri a Bozoum si
sono aggiunti attacchi a numerosi
villaggi dell’area, dove sempre secondo la Croce rossa locale sono
state incendiate milletrecento case.
Protagoniste di questi ultimi massacri di una lunga serie sono state
le milizie della Seleka, ormai in
maggioranza composte da combattenti di matrice fondamentalista
islamica giunti dall’estero, soprattutto da Ciad e Sudan, contro le
quali si battono quelle conosciute
come anti-balaka (balaka significa
machete in lingua locale songo).
Secondo responsabili della comunità cattolica citate dalla Misna,
l’agenzia internazionale delle congregazioni missionarie, a scatenare
le violenze dei miliziani della Seleka sarebbe stata la gioia manifestata dalla popolazione dopo le dimissioni di Djotodia. Le stesse fonti sottolineano che ancora una volta a pagare il prezzo più alto delle
violenze sono stati i civili. Nei ranghi dei gruppi armati contrapposti
le vittime sono state infatti soltanto
cinque.
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CONAKRY, 14. L’insediamento del
nuovo Parlamento della Guinea —
il primo eletto democraticamente
da undici anni a questa parte —
ha posto fine, ieri, alla lunga
transizione politica nel Paese, che
aveva avuto una tappa importante
con l’elezione di Alpha Consé alla presidenza nel 2010, quando
venne anche varata la nuova Costituzione.
Alla presidenza del Parlamento
è stato eletto Claude Kory
Kondiano, del Raggruppamento
del popolo di Guinea (Rpg), il
partito di Condé risultato maggioritario anche nelle legislative
tenute lo scorso settembre, peraltro contestate dall’opposizione.
Nonostante ciò, è evidente che
Kondiano sia stato sostenuto anche da deputati di opposizione o
indipendenti. L’Rpg, infatti, ha 53
seggi
un
Parlamento
(alla
maggioranza assoluta di 58 arriva
con quelli di piccole formazioni
alleate), mentre Kondiano ha
avuto 64 voti di consensi, contro i
48 della candidata dell’opposizione, Marie-Anne Fofana
Kondiano assume un ruolo di
notevole rilievo. In base alla Costituzione, infatti, in caso di impedimento o di vuoto di potere, è
il presidente del Parlamento ad
assumere l’interim della presidenza della Repubblica.
Il premier nipponico Shinzo Abe (Afp)
Il ministro dell’Economia conferma gli obiettivi di contenimento del deficit
La sentenza sulla legge elettorale italiana
Segnali di ripresa
per l’economia spagnola
Depositate le motivazioni
della Consulta
Condanne
per crimini di guerra
in Bosnia
ed Erzegovina
SARAJEVO, 14. I giudici del Tribunale di Sarajevo per i crimini di
guerra hanno condannato, in primo grado, quattro ex militari musulmani bosniaci a complessivi 43
anni di reclusione per delitti contro
civili serbo-bosnici commessi a Kotor Varos, nell’ovest della Bosnia
ed Erzegovina, all’inizio della guerra civile degli anni 1992-1995. I
quattro sono stati riconosciuti colpevoli di aver partecipato a un attacco contro il villaggio di Serdare
dove nel settembre 1992 furono uccise 16 persone. Sempre ieri, , i
giudici del Tribunale di Sarajevo
hanno invece assolto in primo grado due croato-bosniaci dall’accusa
di crimini di guerra commessi nel
1993 a Stolac e Capljina, nel sud
del Paese. Secondo l’accusa i due
avrebbero illegalmente imprigionato civili musulmani della zona e
torturato i prigionieri nel campo di
Dretelj. Il Tribunale ha giudicato
le testimonianze e i riscontri presentati dall’accusa insufficienti per
arrivare a una condanna.
Conclusa
la transizione
politica
in Guinea
La bandiera spagnola sventola vicino alla statua di Cristoforo Colombo a Madrid (Reuters)
MADRID, 14. Segnali di ripresa.
L’economia spagnola è cresciuta
dello 0,3 per cento nel quarto trimestre del 2013. Lo ha annunciato il
ministro dell’Economia di Madrid,
Luis de Guindos, ieri, nel corso di
un’audizione
parlamentare.
De
Guindos ha inoltre dichiarato che,
secondo gli indicatori macroeconomici disponibili, la ripresa della
quarta economia dell’eurozona appare destinata ad accelerare nel corso del 2014.
Secondo il Governo guidato da
Mariano Rajoy, la Spagna centrerà
l’obiettivo, fissato nel 2013, di portare il deficit al 6,5 per cento del prodotto interno lordo per l’insieme
delle pubbliche amministrazioni. Il
ministro de Guindos ha sottolineato
come finora l’azione del Governo
abbia favorito la diminuzione dei
costi di finanziamento dello Stato e
il calo dello spread sul debito, dato
che conferma il recupero della fiducia degli investitori stranieri nel Paese. Il titolare dell’economia ha poi
enumerato, tra i fattori positivi:
l’evoluzione del settore delle esportazioni, nel quale la Spagna è superata dalla sola Germania nell’eurozona, la fine del programma di ristrutturazione delle banche. Infine,
un cambio di tendenza nel settore
immobiliare, che nel primo semestre
del 2014 tornerà a crescere.
ROMA, 14. La Corte Costituzionale
italiana ha depositato lunedì le motivazioni della sentenza con la quale ha dichiarato incostituzionali alcune parti della legge elettorale in
vigore nel Paese. Nelle 26 pagine
di motivazioni la Consulta ha anzitutto ribadito che resta in vigore la
la normativa attuale, pur depurata
dal premio di maggioranza e da integrare con disposizioni che consentano agli elettori di esprimere il
voto di preferenza. Sono questi infatti i due punti della normativa dichiarati incostituzionali. Per la
Corte, in virtù del principio di continuità dello Stato, la sentenza non
tocca gli atti del Parlamento eletto
né ha effetti sull’esito delle elezioni
tenutesi fino ad ora.
Ciò specificato, la Corte ribadisce che i premi di maggioranza
previsti dalla legge alla Camera e
al Senato, sono «manifestamente
irragionevoli», perché il meccanismo ha come effetti una «sovrarappresentazione» della lista che ne
beneficia, con ciò compromettendo
il principio inderogabile dell’uguaglianza del voto e provocando
«un’alterazione profonda del circuito democratico definito dalla
Costituzione». E l’effetto maggiore
si ha al Senato, dove possono
crearsi maggioranze parlamentari
«casuali» e non coincidenti con
l’altra Camera. Riguardo alla que-
stione delle preferenze, la Corte rileva come «alla totalità dei parlamentari eletti» manchi «il sostegno
dell’indicazione personale dei cittadini». E suggerisce liste nelle quali
il numero dei candidati da eleggere
sia tale «da garantire l’effettiva conoscibilità degli stessi e con essa
l’effettività della scelta e della libertà del voto», rispetto invece alle liste lunghe presentate finora.
Per trovare un’intesa sulla controversa riforma della giustizia
Il presidente turco incontra i leader dell’opposizione
ANKARA, 14. Nel clima politico teso
per lo scandalo della corruzione che
ha coinvolto il Governo del premier
turco, Recep Tayyip Erdoğan, è sceso in campo ieri il capo dello Stato,
Abdullah Gül, compagno di partito
ma anche, secondo alcuni, possibile
antagonista di Erdoğan nel prossimo
futuro. Gül ha ricevuto ieri pomeriggio i leader dell’opposizione, scesi in
trincea negli ultimi giorni contro il
disegno di legge presentato dal Governo sulla riforma della giustizia.
Una riforma che l’opposizione teme
miri a porre sotto controllo il Consiglio supremo dei giudici e dei procuratori per insabbiare le indagini
anticorruzione che già hanno coinvolto decine di personalità vicine al
partito islamico di governo Akp.
La riforma della giustizia è stata
subito bollata come incostituzionale
e in violazione della separazione dei
poteri in democrazia dallo stesso
Consiglio supremo dei giudici.
Il premier turco ha reagito alle accuse di corruzione e agli arresti di
nomi eccellenti — fra cui i figli di tre
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
TIPO GRAFIA VATICANA
EDITRICE L’OSSERVATORE ROMANO
Carlo Di Cicco
don Sergio Pellini S.D.B.
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
caporedattore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
direttore generale
ministri — denunciando un complotto contro il suo Governo e puntando
il dito contro il movimento islamico
Hizmet del predicatore Fetullah
Gülen, suo ex-alleato, riparato negli
Stati Uniti. Fra il premier e il movimento Hizmet ora è scontro senza
esclusione di colpi a poche settimane dalle cruciali elezioni amministrative del 30 marzo.
Erdoğan ha rimosso duemila dirigenti della polizia, fra cui i responsabili delle inchieste sullo scandalo
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corruzione e ha destituito due procuratori.
Sulla riforma della giustizia lo
scontro si è fatto incandescente, degenerando anche in rissa in Parlamento. Sono volati insulti, schiaffi,
bottigliette d’acqua e perfino un
ipad. «Se passa buttiamo alla spazzatura 90 anni di progressi democratici» ha detto dopo il colloquio con
Gül il capo dell’opposizione turca,
Kemal Kilicdaroglu, che ha già
preannunciato un ricorso alla Corte
costituzionale.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
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telefono 06 698 99480, 06 698 99483
fax 06 69885164, 06 698 82818,
[email protected] [email protected]
Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
La Commissione
Ue
difende l’operato
della troika
FRANCOFORTE, 14. La troika, ovvero la squadra di esperti composta da Commissione europea,
Banca centrale europea (Bce) e
Fondo monetario internazionale
(Fmi) che ha organizzato e gestito i programmi di assistenza
finanziaria per alcuni Paesi
dell’area euro, «non ha mai imposto le sue condizioni». La
precisazione arriva direttamente
da Bruxelles: lo ha spiegato ieri,
nel corso di un’audizione al Parlamento Ue, il vicepresidente
della Commissione, Olli Rehn.
Secondo Rehn, «le condizioni
sono state concordate con i Paesi beneficiari, e i Governi sono
responsabili davanti ai rispettivi
parlamenti». La stessa definizione di troika, ha detto Rehn, «è
ufficiosa e non mi piace: le tre
istituzioni dialogano e si equilibrano a vicenda».
Il messaggio di Rehn è arrivato proprio nel giorno in cui è
stata presentata la nuova banconota da dieci euro, con innovazioni nella veste grafica e passi
avanti tecnologici tesi a offrire
maggiore protezione dalle possibili contraffazioni. I nuovi biglietti, che come la versione rinnovata del taglio da cinque euro, avranno tutti su un lato l’effigie della dea greca Europa.
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L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 15 gennaio 2014
Ispettori
dell’Aiea
in missione
a Teheran
TEHERAN, 14. Ispettori dell’Agenzia internazionale per l’energia
atomica (Aiea), sono attesi a
Teheran sabato prossimo, 18 gennaio, in quello che viene considerato come un primo passo verso
l’attuazione dell’accordo di Ginevra stipulato a novembre. Lo ha
annunciato l’agenzia di stampa
ufficiale iraniana Irna citando il
portavoce
dell’O rganizzazione
per l’energia atomica iraniana
(Aeoi), Behrouz Kamalvandi.
Il portavoce ha ricordato che la
maggior parte del piano di azione
previsto dall’accordo fra Iran e il
gruppo cinque più uno (Stati
Uniti, Gran Bretagna, Francia,
Russia e Cina, membri permanenti del Consiglio di sicurezza
dell’Onu, più la Germania) fa riferimento a intese fra Teheran e
l’Aiea. «Stiamo discutendo su
ispezioni e supervisione», ha rivelato Kamalvandi affermando che
la presenza degli ispettori è in linea con le disposizioni dell’accordo. Smentendo informazioni rilanciate da media circa l’apertura
di un ufficio Aiea a Teheran, il
portavoce ha detto che la presenza degli ispettori non vuol dire
che questi avranno base in Iran.
In merito alla possibilità di una
revoca parziale delle sanzioni
all’Iran dopo l’accordo di Ginevra, una portavoce dell’alto rappresentante per la Politica estera
e di sicurezza comune dell’Unione europea, Catherine Ashton, ha
affermato ieri che «l’Ue si atterrà
ai suoi impegni e prenderà tutte
le misure necessarie in questa direzione, in modo che ciò che è
stato concordato sia anche realizzato».
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Marcia pacifica di migliaia di manifestanti antigovernativi
Bangkok paralizzata dalle proteste
Un manifestante su un traliccio nella capitale thailandese (LaPresse/Ap)
BANGKOK, 14. Migliaia di manifestanti antigovernativi thailandesi hanno marciato oggi pacificamente verso ministeri e uffici pubblici di
Bangkok, nel secondo giorno di blocco della capitale, organizzato per costringere il primo ministro, Yingluck Shinawatra, alle dimissioni e forzare la cancellazione delle elezioni anticipate previste per il 2 febbraio. Nel Paese la campagna elettorale è già iniziata, nonostante il boicottaggio
dell’opposizione, ma a questo punto non è scontato che il voto si svolgerà.
Gruppi di manifestanti si sono diretti questa
mattina verso il dipartimento delle Dogane e il
quartier generale della polizia. Nonostante molti
dimostranti siano rimasti accampati nelle strade
durante la notte, la partecipazione odierna appare
inferiore a quella di ieri. La circolazione stradale è
fortemente compromessa lungo alcune delle principali vie del centro tuttora occupate, ma ampie
zone di Bangkok continuano a funzionare regolarmente, e molti residenti oggi sono tornati a
scuola o al lavoro con disagi minimi. Yingluck,
che ha temporaneamente spostato il suo ufficio in
un complesso alla periferia nord della capitale, ha
proposto per domani un negoziato con l’obiettivo
di discutere un possibile rinvio del voto. L’ipotesi
è stata però respinta dal leader della protesta, l’ex
vicepremier, Suthep Thaugsuban.
Finora le proteste si sono svolte in modo pacifico e i manifestanti, provenienti in maggioranza
dal sud monarchico-nazionalista o espressione
della borghesia di Bangkok, hanno bloccato il
centro della capitale. Il tutto, infatti, si è svolto in
un clima da festa popolare, nella completa assenza di forze dell’ordine nonostante l’annunciata
mobilitazione di più di ventimila uomini. Le richieste dei manifestanti sono sempre le stesse: avviare un processo di riforme contro la corruzione.
Formato
in Bangladesh
il nuovo
Esecutivo
DACCA, 14. Il primo ministro del
Bangladesh, Sheikh Hasina, che
ha giurato domenica dopo la vittoria nelle contestatissime elezioni
del cinque gennaio scorso — boicottate dall’opposizione e svoltesi
in un clima di violenze con almeno 26 vittime — ha formato un
Governo di 49 membri nel quale
ha tenuto per sé la responsabilità
di sei dicasteri, fra cui Esteri, Interni e Difesa. Lo sottolinea oggi
la stampa bengalese.
Soltanto 15 dei 51 ministri del
suo precedente Governo sono stati riconfermati. Fra gli esclusi gli
ex ministri degli Esteri, Dipu
Moni, e degli Interni, Mohiuddin
Khan Alamgir. Sono invece tornati in gioco numerosi leader storici della Lega Awami che erano
stati messi da parte nella precedente formazione governativa. Il
partito di Sheikh Hasina e i suoi
alleati hanno ottenuto oltre l’80
per cento dei seggi nel Parlamento del Bangladesh.
Ma, nonostante questa schiacciante maggioranza, la premier
deve fare fronte alle pressioni
dell’opposizione e della comunità
internazionale che la invitano a
organizzare un nuovo scrutinio.
Le forze dell’opposizione hanno
minacciato di bloccare il Paese
ma molti esponenti sono stati arrestati durante le elezioni e la leader del Partito nazionalista del
Bangladesh, Khaleda Zia, è stata
di fatto posta agli arresti domiciliari per due settimane e solo sabato scorso è stata autorizzata a
lasciare il suo domicilio. La leader
dell’opposizione ha definito le legislative una farsa e ha chiesto un
nuovo voto organizzato sotto
l’egida di un Governo neutrale.
Mentre forti divergenze impediscono l’adozione della nuova Costituzione
Ricostruiti trecento pezzi pregiati del museo nazionale di Kabul saccheggiato dai miliziani
Celebrato in Tunisia
il terzo anniversario della rivolta
La sfida ai talebani
passa anche attraverso la cultura
TUNISI, 14. I dirigenti tunisini hanno partecipato questa mattina a una
breve cerimonia per il terzo anniversario dell’inizio della rivolta che ha
costretto alla fuga l’ex presidente
Zine El Abidine Ben Ali dando il
via alla primavera araba. Nel Paese
permane però l’incertezza sul calendario dell’adozione della nuova Costituzione, prevista all’origine per
questa giornata simbolica. Infatti,
un terzo degli articoli devono anco-
Tregua armata
nel nord
dello Yemen
SAN’A, 14. L’esercito yemenita è
stato schierato nella provincia
settentrionale di Saada dopo
un’intesa per il cessate il fuoco
tra miliziani salafiti sunniti e ribelli sciiti della comunità zaidita.
L’accordo è stato raggiunto con
la mediazione di una commissione presidenziale, ha detto un responsabile dei servizi di sicurezza
all’agenzia Afp. L’intesa permette
una tregua dopo quattro mesi di
combattimenti tra ribelli sciiti e
salafiti intorno a Dammaj, una
enclave sunnita circondata da territori zaiditi. Il cessate il fuoco
prevede che le due parti in conflitto si ritirino dalle zone dei
combattimenti lasciando le postazioni ai soldati incaricati di far rispettare la tregua. Gli sciiti della
comunità zaidita si erano ribellati
nel 2004 contro il potere dall’allora presidente Ali Abdallah Saleh per denunciare una marginalizzazione politica e sociale. I più
recenti scontri — che hanno causato centinaia di vittime — erano
cominciati alla fine di ottobre in
seguito a un attacco contro una
moschea di Dammaj e si erano
estesi anche alla regione circostante coinvolgendo varie tribù
sunnite che si erano unite alle
forze dei salafiti.
ra essere esaminati dopo 12 giorni di
dibattito.
Il presidente Mocel Marzouki, il
primo ministro dimissionario, Ali
Larayedh, e il suo successore designato, Mehdi Jomaa, hanno assistito all’alza bandiera, in piazza della
Kasbah a Tunisi dove ha sede il Governo, insieme ad alti responsabili
politici e militari. Nel corso della
giornata si svolgeranno numerose
manifestazioni nella capitale, tra
queste quella convocata da Ennhadha, il partito moderato islamico
che ha la maggioranza nell’Assemblea nazionale costituente.
La Tunisia attende entro la fine
della settimana anche la formazione
di un nuovo Governo indipendente,
sotto la guida di Mehdi Jomaa, incaricato di condurre il Paese alle
elezioni. Il nuovo premier è stato
ufficialmente designato venerdì della scorsa settimana, alla fine di lunghe trattative destinate a fare uscire
il Paese dalla profonda crisi politica
nella quale è piombata dopo l’assas-
sinio, attribuito al movimento jihadista, di uno dei leader dell’opposizione, Mohamed Brahmi.
In un discorso ieri alla televisione
il presidente Marzouki — esponente
del Congresso della Repubblica che
fa parte della coalizione governativa
guidata da Ennhadha — ha ammesso che i dirigenti non sono riusciti a
rispondere alle speranze suscitate
dalla rivolta del 2011. «Siamo molto
lontani dall’avere realizzato gli
obiettivi della rivoluzione», ha sottolineato rivolgendo un invito «a
preservare la libertà, un modello
moderno e la sicurezza».
A riprova del clima di tensione
che regna nel Paese, un giovane è
morto in scontri tra militari e uomini armati che hanno attaccato il posto di frontiera con l’Algeria a Bouchebka. Lo riferisce il ministero
dell’Interno sottolineando che il ragazzo, appena diciottenne, partecipava all’attacco ed è stato colpito
mentre tentava di entrare in Algeria
per sfuggire alle forze tunisine.
KABUL, 14. La sfida ai talebani, da
parte degli afghani, passa anche attraverso la via della cultura. A tredici anni dagli attacchi dei miliziani,
nel 2001, trecento dei 2.500 più importanti pezzi del museo nazionale
dell’Afghanistan, a Kabul, sono stati
ricostruiti e molti altri sono in attesa
del loro turno per il restauro. Così
l’Afghanistan, come scrive «The
New York Times», lancia un forte
messaggio ai talebani, accusati per i
saccheggi e le razzie.
«Ci sono tante cose bellissime»
ha
dichiarato
Omara
Khan
Masoudi, direttore del museo bombardato, saccheggiato e ricostruito.
Solo qualche anno fa si elencava
quanto era andato perduto: circa il
settanta per cento delle collezioni
distrutte o rubate. Oggi del museo
si parla per ciò che ha riconquistato.
Negli ultimi anni l’Interpol e l’Unesco hanno collaborato con i Governi di diversi Paesi per sequestrare e
restituire non meno di 857 oggetti,
alcuni dei quali dal valore inestima-
Dodici morti nella città di Campinas
Violenza metropolitana in Brasile
BRASILIA, 14. Almeno dieci persone
sono state uccise in alcune sparatoria avvenute ieri a Campinas, nello
Stato di San Paolo, in Brasile.
L’escalation di violenza ha fatto seguito all’omicidio di un poliziotto
fuori servizio. A riferirlo è stato il
quotidiano «O Estado de S. Paulo», citando fonti della magistratura
locale. La dinamica del massacro
non è ancora chiara. La polizia, che
ha confermato l’accaduto, non ha
comunque voluto fornire particolari. E non sono stati segnalati fermi o arresti. Anche il bilancio è incerto: stando ad alcune fonti, le
vittime sarebbero dodici. Tre persone sono state ricoverate in ospedale. Dopo la catena di omicidi alcune persone si sono lasciate andare
ad atti di teppismo dando alle
fiamme automobili private e mezzi
pubblici.
Un autobus dato alle fiamme nella città paulista (Afp)
bile. Altri undicimila reperti sono
stati restituiti dopo essere stati sequestrati dalle autorità doganali alle
frontiere afghane.
Di recente gli Stati Uniti hanno
finanziato un rafforzamento delle
misure di sicurezza dell’edificio, e
una squadra di archeologi dell’Istituto orientale dell’università di Chicago sta completando un programma triennale per inventariare tutti i
reperti del museo e creare un database digitale.
Si parla poi di custodi del museo
corrotti, che avrebbero permesso il
trafugamento, durante il conflitto,
di più di settecentomila pezzi pregiati. Ma nello stesso tempo si parla
anche e soprattutto di custodi onesti
e coraggiosi che hanno salvato reperti di grande valore dalla furia distruttiva dei talebani.
Al riguardo è da sottolineare il
ruolo svolto proprio dal direttore
del museo, che è uno dei «custodi
delle chiavi», quelle delle camere
blindate in cui erano state nascoste
El Salvador
verso
le presidenziali
SAN SALVAD OR, 14. Trasmesso da
tutte le emittenti televisive del Paese, il primo dibattito della storia politica del Salvador ha visto affrontarsi i cinque candidati che si sfideranno alle presidenziali del prossimo 2 febbraio. Istruzione, sanità, sicurezza, economia sono stati i temi
prioritari indicati da tutti. Divergenti le valutazioni della stampa locale.
I sondaggi più recenti condotti da
tre università nazionali — citati anche dalla Misna, l’agenzia delle congregazioni missionarie — danno in
testa il candidato del Governo di sinistra uscente, Salvador Sánchez
Cerén, espressione dell’ex guerriglia
del Frente Farabundo Martí para la
Liberación Nacional (Fmln), seguito
dallo sfidante della destra Norman
Quijiano, esponente di Arena-Alianza Republicana Nacionalista.
alcune delle opere più preziose del
museo. Omara Khan Masoudi e i
suoi colleghi sono riusciti a proteggere gran parte di questi oggetti durante il periodo di dominazione talebana, nascondendo alcune delle
statue più belle nelle sale del ministero della Cultura o nei depositi
disseminati in tutto il museo. In
programma vi è ora la creazione di
una nuova sede museale, ma al momento mancano i fondi necessari.
Scuola intitolata
al giovane
eroe pakistano
ISLAMABAD, 14. La sua scuola e
uno stadio saranno intitolati ad
Aitazaz, lo studente pakistano, di
14 anni, che nei giorni scorsi ha
compiuto un gesto eroico, lanciandosi su un attentatore suicida,
proprio davanti al suo istituto,
sventando così una strage. Nel
darne notizia, l’«Express News»
riferisce che il Governo della provincia di Khyber-Pakhtunkhwa ha
anche annunciat0 che verranno
stanziati cinque milioni di rupie,
più di trentaquattromila euro, da
destinare alla famiglia di Aitazaz.
La scuola dove è stato compiuto il gesto eroico si chiamava
«Government
High
School
Ibrahimzai»: ora si chiama
«Shaheed Aitazaz Hasan Government High School». Anche
uno stadio, dunque, sarà intitolato al giovane eroe: la struttura è
in via di costruzione.
Come sottolinea l’«Express
News», il sacrificio di Aitazaz ha
contribuito a dare una forte scossa
alla sensibilità dei pakistani, costretti a subire, con scadenza quotidiana, le minacce e le angherie
dei talebani. Il gesto del giovane
studente, scrive il quotidiano, va
recepito come un messaggio rivolto anzitutto a coloro che con
troppa passività vivono una vita
che ogni giorno di più rischia di
essere ostaggio dei miliziani.
L’OSSERVATORE ROMANO
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mercoledì 15 gennaio 2014
Una famiglia di nome Bergoglio
Tra le antiche pagine della «Gazzetta d’Asti»
emergono le tracce della famiglia Bergoglio, e notizie su Rosa Vassallo, nata a Piana Crixia, nell’entroterra ligure, il 27 febbraio 1884, sposata a Torino nel 1907 con Giovanni Bergoglio (Asti, 1884 –
Buenos Aires, 1964), nonno di Papa Francesco.
Rosa negli anni Venti fu dirigente dell’Unione
donne cattoliche di Asti, mentre il figlio Mario faceva parte della Federazione giovanile diocesana.
In archivio è stato ritrovato anche un verbale
dell’Unione femminile cattoliche italiane risalente
al 1924, dove è registrato un intervento della signora Rosa Bergoglio, all’epoca consigliera di mo-
Sulla
«Gazzetta d’Asti»
ralità. La donna — come raccontato da Lucia Capuzzi su «Avvenire» del 12 gennaio — fu un punto
di riferimento per la formazione religiosa del piccolo Jorge Mario.
Questi documenti d’archivio s’intrecciano con
un’altra circostanza curiosa: «Da quando sono nato — scrive Stefano Masino, l’autore della ricerca
svolta su richiesta di monsignor Vittorio Croce, vicario generale della diocesi e direttore della Gazzetta — risiedo in Via Antica Zecca ad Asti, nel
luogo esatto dove abitarono per un certo periodo i
coniugi Bergoglio.
La famiglia infatti tornò ad Asti da Torino (dove si era trasferita il 1° gennaio del 1906) nel 1918:
abitarono dapprima in una casa di via d’Azeglio 6
(ora abbattuta), poi in via Antica Zecca 6, corso
Alessandria 14 e via Fontana 10». Anticipiamo
quanto pubblicherà in una pagina speciale il settimanale diocesano piemontese il prossimo 17 gennaio.
Nonna Rosina e l’Azione cattolica
di STEFANO MASINO
Il piccolo Jorge Mario
E a diciassette anni
papà Mario
tenne una conferenza
sul papato
Quando decise di farsi prete, Jorge Mario Bergoglio, si confidò
con suo padre, Mario Bergoglio. È il Papa stesso a raccontarlo nel
libro di Sergio Rubin e Francesca Ambrogetti Papa Francesco. Il
nuovo Papa si racconta (Salani): «Per prima cosa lo dissi a mio padre e lui reagì bene. Anzi, mi disse che ne era felice. Ero sicuro
che mio padre mi avrebbe capito. Sua madre era stata una persona
estremamente religiosa e lui aveva ereditato da lei quella religiosità
e quella forza, unite al grande dolore dell’abbandono della propria
terra». Come astigiani, terra d’origine della famiglia Bergoglio, e
uomini di fede leggiamo questa testimonianza del Papa con commozione, ma ancor di più per la scoperta che abbiamo fatto in archivio. Nei fogli antichi del settimanale diocesano, fondato nel
1899, è custodita una notizia sorprendente. Mario Bergoglio, figlio
di Rosa e futuro papà del Pontefice, era anch’egli, sulle orme della
madre, iscritto alla Federazione Giovanile Diocesana. E all’età di
17 anni (era nato a Torino il 2 aprile 1908), non ancora diplomato,
tenne alla Fulgor di Asti una conferenza sul Papato.
Nel novembre del 1925, infatti, per iniziativa della presidenza
federale dell’organizzazione (assistente don Filippo Berzano) venne costituita la Scuola Conferenzieri,
che doveva funzionare fino a Natale.
Vennero assegnati vari temi: a Gualtiero
Marello «Come si costituisce un circolo
giovanile»; a Francesco Ghia «Storia
dell’Azione Cattolica»; a Giulio Burattini «Il carattere del giovane»; ad Attilio
Pio «Preghiera, Azione, Sacrificio»; al
signor Torchio «La buona stampa»; a
Giovanni Musso «La Gioventù cattolica». A Mario Bergoglio toccò invece
un argomento, col senno di poi, davvero singolare e speciale: «Il Papato». Ecco il resoconto di quella domenica
straordinaria, pubblicato sulla «Gazzetta d’Asti» del 12 dicembre 1925: «Mario
Bergoglio, studente in ragioneria, svolse
Papà Mario da ragazzo
con calore e forte parola, con frequenti
ed opportuni accenni storici, il tema: “Il
Papato”. Vivamente ascoltato ed applaudito dai compagni dà sicuro affidamento di riuscire un ardente propagandista delle nostre
idealità».
Mario Bergoglio è iscritto all’Unione Giovani di San Martino
di Asti. Tre anni dopo (cfr. «Gazzetta d’Asti» del 14 luglio 1928),
durante la tradizionale Festa del Papa celebrata dai giovani cattolici del Circolo, pronunciò «un bellissimo discorso illustrativo sul
Papato, elevando da ultimo un inno di ammirazione e di lode al
pontefice Pio XI, il Papa dell’Azione cattolica».
Se Mario Bergoglio non fosse emigrato in Argentina all’inizio
del 1929, avrebbe certamente raggiunto i vertici dell’Azione cattolica diocesana. Nel 1928 (cfr. «Gazzetta d’Asti» del 28 aprile 1928)
lo vediamo nei panni di esaminatore, a fianco del vescovo di allora, monsignor Luigi Spandre, in una «Gara catechistica», tenuta
al teatro della Fulgor. Domenica 7 ottobre 1928 recita tra i filodrammatici nel teatrino parrocchiale di San Martino, ad Asti, per
la ripresa delle attività formative dei giovani della Conferenza di
San Vincenzo de’ Paoli, che prevedevano l’assistenza ai poveri a
domicilio e agli infermi dell’ospedale civile. A dicembre dello stesso anno (cfr. «Gazzetta d’Asti» del 15 dicembre 1928), un mese
prima dell’imbarco a Genova per Buenos Aires, Mario Bergoglio
visita, in qualità di «propagandista» della Federazione Giovanile,
il circolo di Castell’Alfero. Trasmetterà, anni più tardi, questo suo
carisma e questa sua grande fede al figlio Jorge. (stefano masino)
l nome di “Rosina” Bergoglio,
come viene affettuosamente
chiamata
sulla
«Gazzetta
d’Asti», appare più volte sul
foglio diocesano. L’8 giugno
1924, in qualità di consigliera per
l’azione sociale, interviene all’annuale
giornata sociale dell’Unione femminile cattolica italiana di Asti: «Ringraziamo il Sacro Cuore che ci ha
benedette dandoci questa giornata:
un grazie alle oratrici e una promessa
di aggiungere nuova lena al nostro
lavoro e spirito di sacrificio perché si
raggiunga l’ideale che ci proponiamo».
Nel 1923 (presidente Clementina
Zopegni) la signora Bergoglio,
all’epoca trentanovenne, è consigliera
per le questioni relative alla moralità.
In associazione conosce Prospera
Gianasso, docente di francese all’Istituto Brofferio, che le insegna la lingua. Rosa, umile ex sarta e moglie di
un portiere poi diventato barista,
I
supplisce alla limitata istruzione con
letture voraci e voglia di apprendere.
Così, sotto la guida del carismatico
assistente ecclesiastico, don Luigi
Goria, Rosa comincia a tenere conferenze e incontri in tutta la provincia.
Quando lascerà l’Italia per una
nuova avventura, Rosa non dimenticherà mai quell’esperienza vissuta
nell’Azione cattolica astigiana a cui
continuerà a iscriversi regolarmente
dalle rive del Plata. E compilerà il
modulo in francese, in omaggio
all’amica Prospera Gianasso.
A pochi mesi dalla sua partenza
per Buenos Aires — domenica 11 marzo 1928 — Rosa viene eletta tra le dirigenti delle Donne cattoliche del
gruppo parrocchiale di Santa Maria
Nuova ad Asti (presidente diocesana
è la signora Santina Rocca). Alla
consigliera Bergoglio viene affidata
la delega per l’azione religiosa. Al
suo fianco sono elette: Giustina Acquaviva, presidente; Amelia Mondo,
vice; Lidia Fantozzi, segretaria; Rosa
Pugno, cassiera; Maria Gatto, per la
Dal Piemonte a Buenos Aires
L’anagrafe del Comune di Asti e l’Archivio di Stato custodiscono atti di
nascita, rogiti notarili, registri scolastici che testimoniano le radici astigiane
della famiglia Bergoglio fin dal trisavolo del Papa Giuseppe Bergoglio, nato a Schierano nel 1816 e sposatosi con Maria Giacchino di Cocconato del
1819. Loro figlio Francesco nasce a Montechiaro nel 1857 e sposa Maria Teresa Bugnano di San Martino al Tanaro, ora San Martino Alfieri, nata nel
1862. Dalla loro unione nascerà Giovanni nel 1884, il nonno del Papa. La
famiglia Bergoglio abita una cascina al Bricco Marmorito della Valleversa
nel comune di Asti, ai confini con Portacomaro. Sono contadini. Il giovane Giovanni, detto Albino, si sposa con Rosa Vassallo di Piana Crixia e
nel 1908 nasce Mario, il futuro padre del Papa. La famiglia apre un negozio di alimentari. Il 1° febbraio 1929 partono per l’Argentina: accettano
l’invito del fratello di Giovanni di lavorare nella fabbrica di pavimentazione impiantata dai Bergoglio a Panará. Si imbarcano sul piroscafo Giulio
Cesare dal porto di Genova destinazione Buenos Aires e scampano per caso a un naufragio: un’altra nave, di cui avevano già preso il biglietto, affondò. In Argentina Mario Bergoglio conosce e sposa Regina Maria Sivori, anche lei emigrata italiana dalla Liguria. Vivono a Boca il quartiere "genovese" di Buenos Aires. Lui lavora per le ferrovie argentine. Il 17 dicembre 1936 nasce Jorge Mario. Fratelli e sorelle del futuro Papa (Marta Regina nata nel 1940, Alberto Horacio, 1942, Maria Elena 1948) sono iscritti
all’anagrafe di Asti, registro Aire degli italiani residenti all’estero.
cultura; Agostina Graglia, per la moralità; Rosa Cugnasco, per l’organizzazione sociale (cfr. la «Gazzetta
d’Asti» del 17 marzo 1928). Santa
Maria Nuova — i Bergoglio abitano
in via Fontana — è la chiesa visitata
da don Bosco nel 1862; vi è parroco,
nel 1928, don Stefano Robino, che
pochi anni prima, nell’ottobre 1919,
ha portato i salesiani ad Asti: l’oratorio sorge su un terreno della parrocchia, tra l’attuale via Don Bosco e
viale Vittoria. Tale chiesa, oggi, fa
parte dell’Unità pastorale più centrale di Asti con San Secondo e San
Silvestro.
Ma di cosa si occupano queste
donne di Chiesa dentro l’organizzazione durante gli anni Venti? Nella
sede di via Morelli 14 vengono tenute (il mercoledì pomeriggio) le «Lezioni sul Vangelo»; in una sala della
casa parrocchiale di Santa Maria
Nuova hanno luogo (la domenica
pomeriggio) le «Conferenze femminili di San Vincenzo», al termine
delle quali viene fatta visita alle ammalate ospitate nel vicino ospedale;
presso l’istituto delle suore stefanine
(in via Gioacchino Testa), si svolge il
ritiro spirituale annuale delle iscritte.
Durante l’anno preparano: la «Giornata pro Sacerdozio», la «Giornata
pro Università cattolica», la «Giornata missionaria», la «Pasqua dei
carcerati»; raccolgono in città e nei
paesi circostanti le offerte per i restauri del duomo di Asti (nel 1928, la
famiglia Bergoglio figura nell’elenco
degli offerenti), allestendo anche un
banco di beneficenza; donano libri
alla biblioteca circolante del carcere
di Asti. E ancora: organizzano gare
catechistiche, partecipano ai Congressi Eucaristici, raccolgono l’Obolo
di San Pietro, pregano per la libertà
religiosa in Messico.
«L’Ufci — scrive la Gazzetta d’Asti
del 10 maggio 1924 — non è una Pia
Congregazione. L’Unione mira bensì
alla formazione cristiana individuale
delle socie, ma vuole anche che si interessino dei problemi che riguardano la famiglia e la società». Rosa
Bergoglio fa suo questo punto del
programma, curando in particolare la
formazione delle giovani iscritte.
Scritta da Roberto Alborghetti
Una storia per immagini
Emigranti italiani appena sbarcati a Buenos Aires
Di Rosa Vassallo e delle origini della famiglia
Bergoglio tratta diffusamente Francesco. Vescovo di
Roma per il mondo, una grande biografia illustrata sul Papa realizzata scritta dal giornalista Roberto Alborghetti. La pubblicazione (Bergamo,
Velar-Elledici, 2013, pagine 264) — caratterizzata
da un apparato fotografico di ben 340 immagini
— porta il lettore dentro la vita di Jorge Mario
Bergoglio, a partire dalle origini astigiane della
sua famiglia. Così, passando per l’avventuroso
viaggio della speranza da Genova a Buenos Aires, per gli anni della formazione giovanile e per
quelli che lo hanno visto provinciale dei gesuiti e
poi vescovo e cardinale, si ricostruiscono fatti e
vicende che hanno segnato la vita del futuro
Papa.
Rosa Vassallo Bergoglio
Scrive sulla sua opera, la «Gazzetta
d’Asti» del 29 gennaio 1927: «La nostra attivissima Consigliera di Azione
morale Sig.ra Rosina Bergoglio con
amore ed intelletto si presta ad un
corso di lezioni per fidanzate che
svolge nella sede del Circolo Femminile di San Martino seguita dal più
crescente interessamento delle circoline. Cosicché due volte alla settimana
le bravi giovani si raccolgono attorno
a Lei per sentire la sua parola di saggia ed esperta mamma che le dispone con delicato sentire ad affrontare i
doveri a cui parecchie di esse sono
chiamate fra poco. (...) Il Consiglio
Diocesano Donne – è grato alla sua
buona collaboratrice che non badando a sacrificio si prodiga per le minori sorelle circoline, svolgendo uno
dei punti fra i più importanti della
vita sociale».
Nonna Rosa Margherita Vassallo
Bergoglio è stata la persona che più
di tutte ha forgiato la fede del nipote
Jorge Mario. È stata lei a insegnargli
a pregare da bambino. Molti anni
prima, ad Asti, fu maestra di fede del
figlio Mario, futuro papà di Papa
Francesco. Riveliamo ora un inedito.
Mario
Bergoglio
fece
parte,
sull’esempio della madre, della Federazione Giovanile Diocesana. Vi entra nel 1928, appena diplomato, dopo aver frequentato le scuole tecniche professionali di Asti. Leggiamo
sulla «Gazzetta d’Asti» del 28 aprile
1928, che il ragioniere Mario Bergoglio figura tra gli esaminatori della
Gara Catechistica diocesana. Presente alla premiazione (200 premi), al
teatro della «Fulgor», il vescovo
monsignor Luigi Spandre (1853, Caselle Torinese – 1932, Asti), che durante il suo lungo episcopato astigiano (1909-1932) diede nuovo impulso
all’Azione cattolica, aderendo alle linee programmatiche di Pio XI.
Rosa Bergoglio, dunque, dalla fine
della grande guerra al gennaio 1929,
abitò con la famiglia in una zona
centrale della città, conobbe da vicino e collaborò con il vescovo Spandre e i sacerdoti della diocesi, frequentando le maggiori chiese e istituti religiosi di Asti.
L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 15 gennaio 2014
pagina 5
Il secondo volume, postumo, de «La fable mystique» di Michel de Certeau
Quel linguaggio sperimentale
chiamato mistica
di SYLVIE BARNAY
ichel de Certeau:
Papa Francesco, riferendosi al gesuita —
storico, filosofo e
fondatore, con Jacques Lacan, della École freudienne
di Parigi — dice che è uno dei suoi
due pensatori francesi preferiti insieme a Henri de Lubac. Tra le sue numerose opere, il primo volume della
Fable mystique, apparso nel 1982,
esplora la figura storica di quella
M
Blaise Pascal
forma d’ingresso nel mistero divino
che definisce la mistica. Il secondo,
pubblicato postumo dalle Éditions
Gallimard, costituisce il seguito di
questa esplorazione, con un’attenzione più particolareggiata al suo contenuto (La Fable mystique (XVIe-XVIIe
siècle), tome II a cura di Luce Giard,
Paris, Gallimard, 2013, pagine 400,
euro 22,9).
L’evento che aveva portato alla
pubblicazione del primo libro era
all’altezza della sua rivoluzione. Michel de Certeau, di fatto, in esso
aveva definito per la prima volta la
mistica cristiana come una fabula,
ossia come un potere della parola.
L’uso corrente del termine solitamente associa racconto d’immaginazione e affabulazione. Ma non è
questo il senso che lo storico e teologo gesuita privilegia. Facendo eco
alla sua radice latina (fari), Michel
de Certeau al contrario rimanda alla
parola della mistica come «scienza
sperimentale delle cose dell’altra vita». A tale riguardo, il XVII secolo
ha innalzato la mistica a «una forma
di conoscenza attraverso l’esperienza». Il lettore non assimilerà neppure questa espressione, presa in prestito da Jean-Joseph Surin, alla definizione che Claude Bernard dava delle
scienze sperimentali come un insieme strutturato di conoscenze che obbedisce a leggi oggettive.
Nella lingua del secolo della Riforma cattolica la scienza designava
una forma di razionalità e non un
insieme teorico destinato a irreggimentare gli oggetti del sapere. Così
nel suo stesso progetto la Fabula mistica ha voluto far intendere nel linguaggio della fine del XX secolo
quello che la lingua stessa cercava di
fare intendere nel XVII secolo: dire
Dio con categorie che non siano più
solo categorie antiche di pensiero e
di autorità, inventare un nuovo linguaggio. Al crocevia della storia,
della teologia, della psicanalisi e delle scienze umane, la lingua di Michel de Certeau, decisamente postmoderna, certamente ci riesce.
Se la mistica del XVII secolo si
narra come fabula è in effetti attraverso una sorprendente invenzione
del linguaggio. Questa messa in parole molto nuova è in primo luogo
la conseguenza degli sconvolgimenti
che fanno vacillare le rappresentazioni tradizionali di Dio, del mondo e
del soggetto. Il progresso delle
scienze, la ragione filosofica, lo sviluppo della critica storica dei testi
sono a loro volta l’espressione di un
oscillare dei tempi medievali verso i
tempi moderni. Pur restando legata
ai presupposti della teologia medievale, la mistica si trova a sua volta
privata di quell’apparato razionale
che le serviva da quadro narrativo.
Per questo, in seguito, diventa una
letteratura di metamorfosi della lingua. In effetti, come si può com-
prendere ed esprimere Dio senza le
categorie antiche di pensiero e di autorità? La mistica trova la sua origine in «ciò che si dice che non si può
dire», come l’ossimoro di san Giovanni della Croce riesce a formulare
in modo radicale. Michel de Certeau
stabilisce che la mistica — come sostantivo non appare prima del XVI
secolo — è proprio per questo una
«scienza paradossale». Il suo sapere
è un ignorare. Il suo dire è l’esaurimento di qualche cosa che non si dice. La sola forma accettabile della
comunicazione della parola mistica
diventa allora quella che le
permette di essere accolta
in ambito letterario. I Dialoghi spirituali del gesuita
Jean-Joseph Surin, all’inizio
sospettato di illuminismo e
di demenza per aver sperimentato sulla sua pelle la
possessione diabolica, ne
sono, ad esempio, una testimonianza diretta. È in effetti al prezzo di un’operazione di trasformazione della parola abitata grazie al
suo inserimento in una forma letteraria, che riesce a
giustificare i “colpi” e i
“fulmini” che caratterizzano
la lingua che Dio parla
all’anima del mistico. La
parola mistica non viene allora comunicata in modo
diretto, ma in maniera rielaborata o estetica. La mistica, di fatto, affonda le proprie dita in una realtà che
solo la finzione letteraria
permette di accettare e
comprendere.
Nella sua epoca, la fabula
mistica è quindi una lingua
sperimentale che non smette di abbandonarsi alla passione della scrittura. Nel suo discorso, tutto è eccesso per giustificare ciò che eccede. La
mistica parla in effetti di quell’arte
di amare Dio in suo figlio attraverso
la grazia dello Spirito Santo che in
realtà non si può raccontare con leparole. Ricorre quindi a una descrizione che cammina attraverso le sensazioni. Mette in scena le sensazioni
— gli effetti, le tracce — che tale
esperienza ha potuto lasciare su un
Nel pensiero medievale, la mistica
sotto la sua forma aggettivale, designa soprattutto “ciò che è nascosto”.
Nell’epoca moderna, il suo uso sotto
forma di sostantivo traduce oramai
la crescente autonomia dei testi e
delle esperienze mistiche.
Il primo volume della Fabula mistica aveva dunque posto in particolare evidenza l’autonomizzazione di
questo campo come sapere, mettendo soprattutto in luce gli apporti
fondamentali dell’influenza spagnola
(san Giovanni della Croce
e santa Teresa d’Ávila). Il
Si tratta di una scienza paradossale
secondo volume è dedicato
alla creazione stessa delIl suo sapere in realtà
l’enunciazione mistica atè la consapevolezza di ignorare
traverso un corpus di testi
fondatori: quelli di Nicola
E il suo dire è l’espressione
Pascal, san Giodi qualche cosa che non si riesce a dire Cusano,
vanni della Croce, JeanJoseph Surin, santa Teresa
l’esperienza di un “io senza io”, vale d’Ávila. Il capitolo su Pascal si concentra, ad esempio, sulla sua stratea dire di un altro che è Dio.
Michel de Certeau riesce in tal gia di enunciazione. Utilizzando in
modo a dimostrare «l’isolamento e particolare i concetti presi dalla sela progressiva oggettivazione del miotica e dalla linguistica, l’analisi
campo della mistica rispetto ad altri fine e precisa mostra che più il dicampi della riflessione teologica e scorso pascaliano si avvicina al suo
della storia della spiritualità» attra- oggetto, più questo sfugge, espresverso un corpus di testi fondatori. sione stessa di ciò che è la mistica. È
in questo “lontano-vicino” del discorso imprigionato in un corpo a
corpo vissuto che Michel de Certeau
descrive che cosa è la mistica.
La sua è molto di più di un’interpretazione. Michel de Certeau ci dà
in realtà una lezione intellettuale
estremamente importante che costituisce anche una possibilità di trasmissione della scienza mistica. Occorre pertanto analizzarla più da vicino. Con il titolo di “storicità mistiche”, il grande testo che introduce il
secondo volume della Fabula mistica
di fatto enuncia «la mistica come
stile».
Per far capire ciò che designa la
mistica come stile, Michel de
Certeau opera per tappe. Riprende,
per esempio, le categorie tradizionali
della filosofia o della teologia associando la teologia negativa del Dio
nascosto alla mistica. Ma mostra anche che queste categorie epistemologiche non sono adeguate, nel senso
che non aderiscono totalmente alMichel de Certeau
l’oggetto che cercano di descrivere.
corpo. La mistica in definitiva si racconta per mezzo di un linguaggio
del corpo che la cultura analitica di
Michel de Certeau riesce a cogliere e
a descrivere perfettamente. La letteratura mistica porta così all’estremo
limite dell’estasi e della follia, dell’amore e dell’abbandono, del sogno
e della sofferenza. Ma fa di questo
limite il luogo della relazione con
Dio, l’“io” di un discorso che è cosciente di essere il campo del-
Gian Lorenzo Bernini, «Estasi di santa Teresa» (1647-1652)
Non riescono a toccare l’“io senza
io”, il “corpo a corpo” del mistico
che cerca di razionalizzare nella
scrittura la sua esperienza del mistero divino. In un certo senso, queste
categorie appartengono a un altro
tempo, quello della fine del XIX secolo e dell’inizio del XX . Si giunge
qui ai limiti delle epistemologie. Ma
la storia è scienza umana, scienza vivente. Si evolve.
Michel de Certeau perciò tenta lo
“stile mistico” come categoria scientifica per non perdere la singolarità
di ogni esperienza mistica in quanto
tale. Così l’indicibile di ogni mistica
— il “non è questo” — può allora
avere il posto che gli spetta senza
perdersi in un’analisi che cerchi dal
punto di vista teologico o filosofico
di nominarlo o di ricondurlo a un
impossibile da pensare, un “nonpensato”.
Il secondo volume di Michel de
Certeau è dunque di fatto l’invenzione di una categoria di pensiero nuova al crocevia della storia, della teologia, della filosofia, della psicanalisi
e della letteratura. La “mistica come
stile” sembra così costituire una nuo-
va categoria di pensiero della fine
del XX secolo, trasmessa dalle scienze umane alla teologia dell’inizio del
XXI. Le scienze religiose hanno la
doverosa funzione di proseguire questo dialogo con la teologia.
Il magnifico lavoro editoriale realizzato da Luce Giard è dunque riuscito a proporre un libro molto importante. Non a caso, un altro libro
di Michel de Certeau, Le christianesisme éclaté, è stato pubblicato nel
1976, periodo in cui un certo Jorge
Mario Bergoglio era provinciale della provincia argentina della Compagnia di Gesù. L’attenzione attualmente rivolta da Papa Francesco alla
ricezione dell’opera dello storico gesuita esprime bene la sua piena sintonia con il superamento delle chiusure teologiche ereditate dal positivismo scientifico attraverso un’attenzione costante ai processi della storia. È anche in armonia con la visione del «cristianesimo come stile» di
cui un altro pensatore gesuita,
Christoph Theobald, ha espresso la
forza teologica per definire l’identità
cristiana nell’epoca della postmodernità.
Come Georges Braque influenzò le avanguardie del Novecento
L’emozione e la regola
di SANDRO BARBAGALLO
Ci sono voluti cinquant’anni dalla morte di
Georges Braque, avvenuta il 31 agosto 1963
nella sua casa parigina, perché il Grand Palais di Parigi ricordasse con una ambiziosa
retrospettiva questo artista tanto celebre
quanto misterioso.
Mentre tutti ricordano la fisionomia e la
fisicità di Picasso, è difficile memorizzare il
volto di Braque. Probabilmente schivo, o
forse troppo concentrato sulle innovative ricerche della sua pittura, Braque si è lasciato
saccheggiare da Picasso, suo vicino di atelier. Al contrario di altri pittori, che si barricavano nei propri studi al passaggio dello
Aveva per il proprio lavoro
il rispetto sacrale di un umile artigiano
E dal silenzio del suo atelier
ha inviato il suo originale contributo
alla nascita del cubismo
“scienziato del furto” — così veniva chiamato
l’artista spagnolo — come racconta Jean
Cocteau. Crudele, ingeneroso, traditore
(persino del più caro amico Apollinaire), Picasso creò intorno a sé una leggenda, dovuta al gossip continuo e sempre rinnovato sui
suoi amori. Leggenda che ne fece un mito
planetario. Intanto Braque pensava a dipingere bene ed ebbe un’unica moglie che morì
prima di lui.
Braque aveva per il proprio lavoro il rispetto sacrale di un umile artigiano. Figlio
d’arte, suo padre e suo nonno erano stati
decoratori d’interni, aveva una naturale dimestichezza con gli attrezzi del mestiere.
Era nato ad Argenteuil-sur-Seine — uno dei
luoghi più amati dagli impressionisti — nel
1882. Forse non è un caso che i suoi primi
quadri fossero ispirati al neoimpressionismo.
Nel 1905, però, scopre la “pittura selvaggia”
del fauvismo al Salon d’Automne. Tre anni
dopo, Guillaume Apollinaire presenta il debutto di Braque nella Galleria Kahnweiler.
Verranno esposti due quadri oggi divenuti
storici: Donna nuda seduta (1907) e Grande
nudo (1907-1908). Quest’ultimo è la risposta
di Braque a Le demoiselles d’Avignon di Picasso e al Nudo blu di Matisse. Il Grande nudo
si avvale di tratti negroidi e di piani del corpo sciabolati in una contorsione acrobatica.
Tutte queste opere sono nate nel 1907. È
la data a cui si fa risalire la nascita del cubismo. Il 1907-1909 è un biennio cruciale per
l’evoluzione della pittura di Braque, che si
avvia senza saperlo verso il cubismo, mentre
ammira Matisse e Gauguin, ma approfondisce soprattutto Cézanne. Una serie di quadri, come Strada all’Estaque (1906) e Viadotto
all’Estaque (1908), sono infatti chiaramente
ispirati ai colori caldi e dorati e alle scansioni ritmiche di Cézanne. Ma è proprio durante la mostra di Braque da Kahnweiler
che il critico Louis Vauxcelles userà per la
prima volta l’espressione «bizzarrie cubiche»
nella recensione apparsa sul Gil Blas del 14
novembre 1908. Evidentemente Vauxcelles
non sapeva spiegare in altro modo la scomposizione del tessuto pittorico in una serie
di trapezi, quadrati, triangoli, sovrapposti
molto armoniosamente.
Oltre a questi paesaggi Braque lavora ad
alcune nature morte in cui inserisce per la
prima volta uno strumento musicale. Il critico Charles Morice scrive così della sua pittura: «Braque ha creato un alfabeto in cui
ogni lettera ha un significato universale. Prima di dichiarare orrendo il suo libro di formule magiche, ditemi se avete cercato di decifrarlo, se ne avete comprese le intenzioni
decorative».
Bisogna però ricordare che il termine “decorativo” che oggi ha un sapore vagamente
dispregiativo, all’epoca stava per “non imitativo”. Lo stesso artista, infatti, dichiara che
«la natura è un mero pretesto per una composizione decorativa, cui si aggiunge il sentimento. Il sentimento suggerisce un’emozione che io traduco in arte». Nel silenzio
del suo atelier Braque ci ha dato un suo originale contributo al cubismo. Anche se a
volte la distanza da Picasso sembra minima,
in lui c’è sempre una maggiore consapevolezza. Non a caso è sua la celebre frase:
«Amo la regola che corregge l’emozione».
Pensando al movimento cubista a posteriori, sappiamo che è stato ripartito in vari
periodi: il proto-cubismo, il cubismo analitico (dalla metà del 1909), il cubismo sintetico
nel 1912. Limitandoci però a Braque, tali periodi diventano difficili da definire, perché il
pittore a volte anticipa, altre scavalca queste
date, teso com’è a una continua ricerca di
soluzioni formali.
Braque e Picasso si erano conosciuti proprio nel 1907 e dalla loro amicizia era nato
un rapporto osmotico che si realizza nei loro
laboratori, in cui i due sembra facciano a
gara a inventare nuove soluzioni pittoriche.
Braque fa una scultura di carta? Picasso realizza la stessa in legno. Braque costruisce un
quadro con un collage di stoffa, carta di
giornale, caratteri tipografici, stampini e nu-
«Fruttiera e carte» (1913)
meri? Picasso ne fa uno simile. Insomma,
per Braque il quadro diventa una sorta di
deposito di messaggi dell’inconscio, di folgorazioni, di ricordi onirici. È comprensibile
come Picasso ne sia affascinato. C’è però in
lui una violenza, una sfida che Braque si rifiuta di usare.
La rassegna appena conclusa al Grand
Palais di Parigi ha dimostrato quanto Braque sia stato importante nell’ambito delle
avanguardie del XX secolo. Lui infatti non fu
solo pittore, incisore, scultore, ma il vero iniziatore del cubismo. A lui si devono, per
esempio, gli effetti plastici dei cosiddetti papiers collés. Allo stesso tempo la mostra ricorda come Braque sia stato un pittore tipicamente francese, erede della tradizione classica di Corot e Chardin, che gli ispirano una
serie di nature morte in cui rivela un gusto
della sintesi che lo rende quasi un precursore dell’astrazione. È questo il caso di Aria di
Bach (1913), così come di Grande natura morta bruna (1932).
L’ambiziosa retrospettiva di tutta la sua
opera, però, ha fatto anche il punto sull’itinerario che l’artista ha percorso a partire dal
periodo fauve fino all’ultimo, il cui acme è
raggiunto dalla serie dei Grandes Ateliers e
alla bellissima serie dedicata agli uccelli. Naturalmente la rassegna ha teso a sottolineare
anche i momenti più innovativi, dando molta importanza ai quadri cubisti, ai canefori
degli anni Venti, fino agli ultimi paesaggi
che tanto piacquero a Nicolas de Staël. Ma
l’esposizione deve anche il proprio interesse
a cinque cabinets documentari, ricchi di foto,
lettere e ricordi inediti di artisti come Man
Ray, Cartier-Bresson, Eric Satie, Pierre Reverdì e René Char.
Braque amava molto Bach e Mozart, che
spesso cita nelle sue nature morte. Nonostante l’accrochage dei vari materiali, in molte
opere di Braque si sente infatti un’atmosfera
solenne e ispirata dalla musica. C’è un quadro, in particolare, Il duo del 1937, in cui la
felicità cromatica dei gialli e dei rosa viene
coniugata con le terre e i bruni. Forse qui
Braque realizza una parafrasi della sua celebre frase: «È l’emozione a correggere la regola».
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
mercoledì 15 gennaio 2014
Denuncia dei cristiani della provincia indonesiana di Aceh
Manifestazione in Pakistan
Niente permessi
per costruire chiese
Giovani di tutte le religioni
per la pace
GIACARTA, 14. Niente più chiese per
la piccola comunità cristiana di
Aceh, provincia indonesiana dell’isola di Sumatra. Le autorità negano infatti l’autorizzazione per la costruzione di nuovi edifici di culto
necessari a soddisfare le esigenze di
una comunità che, pur tra mille difficoltà, risulta in crescita numerica.
Ne dà notizia l’agenzia Fides che riferisce fonti della Chiesa locale.
Nella provincia di Aceh, nota perché ha approvato parti della sharia
nella legge civile, i cristiani, secondo
i dati dell’ultimo censimento relativo al 2010, sono l’1,2 per cento della
popolazione, che in totale conta cir-
ca 4,5 milioni di abitanti. Nel capoluogo Banda Aceh esistono solo tre
chiese (una cattolica e due protestanti) e, anche se la popolazione
cristiana risulta in crescita, gli stretti
requisiti per ottenere autorizzazioni
e le pressioni dei gruppi radicali
islamici sulle autorità civili hanno
reso oltremodo difficile per i non
musulmani costruire nuovi luoghi di
culto. Inoltre, l’attuale governatore
della provincia, Zaini Abdullah,
eletto nel 2012, promuove un dichiarato programma di islamizzazione
della società.
In Indonesia, lo Stato islamico
più popoloso del mondo, le regole
per concedere permessi di costruzione variano da provincia a provincia.
Secondo quanto denunciato da
Zulfikar Muhammad, coordinatore
della Aceh Human Rights Coalition, che raccoglie circa trenta organizzazioni, «queste regole limitano
di fatto le minoranze nella libertà di
praticare la loro fede e non sono
coerenti con la Costituzione indonesiana».
Un’ordinanza emessa nel 2006
dal ministero degli Interni indonesiano stabiliva, come requisiti necessari per la costruzione di un nuovo
luogo di culto, la richiesta firmata
da almeno novanta membri di una
comunità religiosa e, in più, una lettera di sostegno firmata da almeno
sessanta residenti locali, ma non appartenenti alla stessa comunità. Ad
Aceh, nel 2007, la normativa è stata
però modificata in senso più restrittivo dal governatore locale. In questa provincia sono infatti necessarie
le firme di almeno centocinquanta
fedeli e, inoltre, le firme di sostegno
di centoventi residenti. Il risultato è
che con tali requisiti, non solo i cristiani non riescono più a ottenere
nuovi permessi, ma anche alcune sale di preghiera già esistenti sono state chiuse. Nell’ottobre 2012, infatti,
l’amministrazione di Banda Aceh ha
ordinato la chiusura di nove luoghi
di culto appartenenti a cristiani e a
buddisti, citando il mancato rispetto
delle leggi vigenti. In sei casi, sono
risultate decisive le vivaci proteste
dei militanti dell’Islamic Defenders
Front. Sei mesi prima, nel sud della
stessa provincia di Aceh le autorità
avevano ordinato la chiusura di altri
diciassette luoghi di culto cristiani.
Tutto questo, nonostante il Governo
centrale di Giacarta negli ultimi cinque anni abbia più che triplicato i
fondi a disposizione del ministero
per gli Affari religiosi, con l’intento
dichiarato di «sviluppare diversi
programmi volti a creare l’armonia
religiosa nel Paese».
LAHORE, 14. «Il Pakistan di oggi ha
bisogno di un messaggio di pace,
tolleranza, armonia. Anche se professiamo fedi diverse, siamo una sola nazione e possiamo lavorare e
crescere insieme». È quanto afferma
all’agenzia Fides Cecil Shane Chaudhry, direttore esecutivo della commissione “Giustizia e Pace” della
Conferenza episcopale del Pakistan,
in merito al messaggio lanciato da
migliaia di giovani, di tutte le religioni, riunitisi domenica scorsa, in
una grande manifestazione a Lahore, capitale del Punjab, organizzata
dalla stessa commissione episcopale.
Il corteo, composto da giovani
musulmani, cristiani, indù e sikh, ha
attraversato la città lanciando un
messaggio alla politica e alla società: «Noi siamo il futuro del Paese,
vogliamo costruire un futuro fatto
di pace, giustizia, tolleranza, rispetto dell’inalienabile dignità di ogni
essere umano, senza distinzione di
razza, religione, classe sociale».
La manifestazione, che ha l’obiettivo di creare un Pakistan pacifico e
tollerante, ha spiegato Chaudhry,
rappresentava il culmine di un progetto portato avanti dalla Commissione nelle scuole del Punjab: «In
primis ci siamo rivolti agli studenti
delle minoranze religiose (cristiani,
indù e sikh) interagendo con loro e
lasciando emergere gli episodi di discriminazione che sono costretti a
subire. In tal caso cerchiamo di insegnare loro ad affrontarli in maniera non violenta». Il secondo passo è
stato quello di incontrare e coinvolgere i giovani musulmani «per creare in tutti la consapevolezza che
l’armonia e la pace sono un bene
comune e una priorità per l’intera
nazione». Infine, l’organizzazione
del corteo, dove i giovani di fedi diverse hanno camminato fianco a
fianco, per simboleggiare l’anelito di
pace presente nella gioventù pakistana. «È fondamentale — ha spiegato il direttore esecutivo della commissione “Giustizia e Pace” — avviare tale presa di coscienza nelle scuole e nel percorso di istruzione dei
giovani. L’intolleranza e l’odio spesso nascono proprio sui banchi di
scuola. È lasciando penetrare valori
come pace e giustizia nella formazione delle nuove generazioni — ha
concluso Chaudhry — che si gioca il
futuro del Pakistan».
All’inizio dell’anno, i leader cristiani e di altre religioni avevano
lanciato un appello, nel corso di un
incontro interreligioso svoltosi a
Lahore, affinché il 2014 sia «un anno di pace e di riconciliazione».
«La nostra terra del Pakistan — ha
spiegato monsignor Sebastian Fran-
cis Shaw, arcivescovo di Lahore — è
molto fertile per il dialogo e crediamo nel Dio misericordioso che dà
speranza ed energia per vivere insieme. È bello vedere e sentire preghiere per la pace alzarsi da chiese,
moschee, templi indù e sikh: questo
contribuisce a creare un’atmosfera
di armonia nel Paese».
L’arcivescovo ha anche lanciato
un appello affinché «la luce di Dio
illumini l’oscurità nei cuori, portando una speranza di pace». Fra i leader musulmani partecipanti all’incontro di Lahore, Sohail Ahmed
Raza, capo della gioventù musulmana ha espresso l’auspicio che «il
2014 possa essere l’anno di una pace
duratura in Pakistan».
Dello stesso avviso il leader sikh,
Sardar Gernail Sing, il quale ha sottolineato quanto sia necessario «dire
a tutti i nostri figli di essere vicini
gli uni agli altri e di tenere accese le
piccole luci della pace e della riconciliazione, perché il nostro Paese sia
un posto tranquillo dove vivere».
Infine, anche il leader della comunità indù, Bhagat Lal, ha spiegato che «è buona tradizione che leader e credenti di tutte le fedi continuino a incontrarsi spesso: siamo
tutti pakistani e vogliamo la pace
nella nostra patria».
Il bilancio dei volontari di Vis e Avsi a quattro anni dal terremoto di Haiti
Così si può tornare a sorridere
Ricerca di Caritas italiana e Banco farmaceutico su un aspetto poco conosciuto della crisi
Poveri e senza medicine
ROMA, 14. Non c’è solo l’indice della disoccupazione o il dato sulla
chiusura delle imprese. A fotografare in modo impressionante le conseguenze sulla popolazione della crisi
economica ci sono anche i numeri
che riguardano la sanità. Aumenta
infatti in Italia anche la “povertà sanitaria”, cioè quella quota di cittadini che denuncia serie difficoltà
nell’acquisto di medicinali, anche
quelli con prescrizione medica. E
che, sempre più spesso, vi rinuncia.
Negli ultimi sette anni tale percentuale è cresciuta a livelli vertiginosi,
arrivando a toccare il 97 per cento.
E, dunque, se prima la crisi colpiva
le famiglie costringendole a fare a
meno di alimenti, di vestiario e di
generi di consumo, oggi è in difficoltà anche la capacità di procurarsi
le medicine.
È quanto emerge dal dossier realizzato dalla Fondazione Banco Farmaceutico in collaborazione con Caritas italiana. Il rapporto, le cui linee essenziali erano già state anticipate lo scorso agosto in occasione
del Meeting di Rimini, è stato presentato questa mattina, alla presenza
del ministro della Salute, Beatrice
Lorenzin, dal direttore della Caritas
italiana, don Francesco Soddu, e
dai presidenti della Fondazione
Banco Farmaceutico, Paolo Gradnik, e di quello delle Associazioni
cristiane dei lavoratori italiani,
Gianni Bottalico.
I dati emersi dal dossier — come è
spiegato in comunicato — sono il
frutto del lavoro svolto da sette anni, dal 2006 al 2013, dalla Fondazione Banco Farmaceutico che su tutto
il territorio nazionale raccoglie —
grazie alla Giornata Nazionale di
Raccolta del Farmaco e alle donazioni aziendali — e distribuisce medicinali agli enti convenzionati che
ne fanno richiesta. Tra questi le Caritas diocesane, il centro Astalli, la
Comunità di Sant’Egidio solo per
citarne alcuni, tutte realtà che intercettano il disagio sociale in “diretta”. Le categorie che fanno richiesta
di medicinali sono ampie: dalle famiglie numerose agli anziani con
pensione minima, fino agli immigrati, anche irregolari.
I risultati sono stati poi incrociati
con i dati della Caritas italiana provenienti da un campione di 336 centri di ascolto attivi in 45 diocesi. In
termini percentuali l’aumento delle
richieste di farmaci è stato pari al
57,1 per cento in tre anni, anche se
in termini assoluti non è tra le richieste prioritarie. Molto probabilmente, tale forma di richiesta è assorbita da altre voci del sistema di
classificazione. In effetti tre sole voci — richiesta generica di beni primari, richiesta generica di sussidi
economici e assistenza sanitaria —
coprono il 70,4 per cento delle richieste complessive. Per Paolo
Gradnik, «assistiamo a un crescente
bisogno di farmaci da parte delle
più importanti strutture di assistenza caritative. In alcuni casi si tratta
di vera emergenza, a causa dell’aumento della crisi economica che colpisce soprattutto le famiglie. È
quanto mai urgente che la commissione Sanità del Senato approvi in
via definitiva la proposta di legge
che consentirebbe la donazione di
farmaci da parte delle aziende far-
maceutiche. È ora che la politica dia
segnali concreti sul fronte della povertà sanitaria».
Preoccupazione condivisa anche
da don Soddu, per il quale si tratta
di «dati drammatici, ma purtroppo
in linea con quelli della povertà nel
suo complesso. Per invertire la rotta
serve un lavoro comune fatto di alleanze e appare sempre più necessario uno sforzo congiunto, che sappia incrementare la capacità di intercettare le varie situazioni di povertà del territorio».
Con riferimento alla divisione
geografica, nelle regioni settentrionali la povertà sanitaria è cresciuta
del 71,91 per cento, passando da una
richiesta dagli enti assistenziali di
255.783 confezioni di medicinali alle
attuali 439.719. Contemporaneamente, si è registrato un incremento dei
farmaci donati: dalle 192.490 confezioni del 2006 alle 255.338 del 2013.
Nel centro Italia, la richiesta di farmaci è passata dalle 32.718 confezioni del 2006 alle 188.560 del 2013. Al
sud si è passati da 91.890 a 122.600
confezioni richieste dagli enti.
PORT-AU-PRINCE, 14. A quattro anni
dal terribile terremoto di Haiti, uno
dei Paesi più poveri della zona caraibica e dell’America Latina, continua senza sosta l’impegno del Volontariato internazionale per lo sviluppo (Vis) e dell’Associazione volontari per il servizio internazionale
(Avsi) a sostegno delle popolazioni
colpite.
Dal 2010 il Vis non ha mai smesso di lavorare insieme ai salesiani di
don Bosco per migliorare le condizioni di vita di migliaia di bambini
e giovani vulnerabili. Spenti i riflettori internazionali sulla tragedia,
l’associazione ha avviato un programma di intervento pensato da
subito per andare oltre la fase
dell’emergenza, realizzando nel medio e lungo periodo le fasi della ricostruzione e dello sviluppo. Per
l’occasione, il Vis ha redatto un dossier per far conoscere meglio l’impegno dei volontari e dei salesiani a
quattro anni dal sisma del 12 gennaio 2010 che uccise 222.000 persone. «Nonostante la difficile situazione nella quale operiamo e consci
della parzialità del nostro contributo
in una situazione socio-politica
estremamente complessa — si legge
in un comunicato del Volontariato
internazionale per lo sviluppo — siamo felici di poter condividere con
tutti i nostri sostenitori la soddisfazione del lavoro svolto in questi
quattro anni con i salesiani. Insieme, infatti, stiamo migliorando la
condizione di vita di migliaia di
persone ad Haiti. I risultati sono
frutto del lavoro di squadra dei nostri volontari internazionali e dei
donatori pubblici e privati che hanno scelto di sostenere i nostri progetti. Ringraziamo in particolar modo la Caritas italiana, la Conferenza
episcopale italiana (Cei) e ognuno
dei nostri donatori privati».
Nel 2013 il Volontariato internazionale per lo sviluppo ha realizzato
attività di sostegno al diritto all’educazione. Nel programma scolastico
sono stati coinvolti 790 bambini e
bambine in 58 scuole nei Comuni di
Carrefour e di Cité Soleil, dove si
sta ultimando la costruzione della
scuola diocesana “Notre Dame de
Lourdes” a Bàs Fontaine, nel Village de Repatries di Cité Soleil. Inoltre, sono stati formati e aggiornati
ventitré insegnanti delle scuole di
Bàs Fontaine e di Cité Soleil, ed è
stata allestita una mensa scolastica
per garantire a tutti gli allievi un
pasto caldo al giorno.
Anche Avsi prosegue senza sosta
nel suo impegno per la “ricostruzione dell’umano” nell’isola caraibica.
Attualmente, sono centosettantamila
gli sfollati, seicentomila gli haitiani
che vivono in condizioni d’insicurezza alimentare e si registrano più
di cinquantamila nuove infezioni di
colera ogni anno. Il tutto in un contesto di forte decrescita economica.
«È necessario — ha dichiarato
Fiammetta Cappellini, responsabile
dei progetti sull’isola — che la comunità internazionale e i donatori
non abbandonino Haiti. Questo è il
momento di fare un passo ulteriore:
dalla ricostruzione fisica delle case e
delle infrastrutture alla “ricostruzione dell’umano”, affinché le popolazioni colpite tornino a condurre una
vita dignitosa».
L’équipe di Avsi ad Haiti, sin dai
primi giorni dopo il sisma, è stata
accanto alla popolazione terremotata, con attività mirate a contrastare
la malnutrizione e a ricostruire le
strutture comunitarie. Nonostante la
strada verso la ricostruzione rimanga lunga e difficile, in questi anni
Avsi ha fatto partire diciannove
nuove opere: sette scuole, due centri
educativi, sei centri nutrizionali, tre
laboratori artigianali e un ristorante
comunitario. Un lavoro reso possibile da uno staff di circa 180 persone e dalla collaborazione degli amici di Avsi.
L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 15 gennaio 2014
pagina 7
I religiosi e il voto di povertà
La Conferenza episcopale spagnola per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato
Liberati dalla seduzione
del denaro
Verso
un mondo migliore
di TIMOTHY RAD CLIFFE
Uno dei racconti elaborati dalla moderna immaginazione è quello della
ricchezza, ovvero del diventare ricchi. Questa è la meno seducente
delle tre narrazioni che mi accingo a
prendere in considerazione, ma è
anche quella in cui noi religiosi
manchiamo più radicalmente al momento di porla in discussione. Una
volta mi recai a confessare in una
scuola a Berkley, California. Mi fu
detto che alcuni dei ragazzi non
erano cattolici, ma che forse sarebbero venuti da me per ricevere la
benedizione. Quando uno di questi
bambini mi lasciò io gli dissi: «Recita una preghiera per me», egli immediatamente si voltò e disse: «Caro Dio, per favore, concedi a padre
Timothy molti danari, una grande
casa e una macchina lussuosa». Ecco il sogno di molta gente.
Belinda Lipscomb e Melvin
Gentry scrissero una canzone dal titolo: «I wanna be rich» (Voglio diventare ricco): «Voglio danaro, sempre più danaro / desidero un castello nel cielo / Voglio danaro sempre
più danaro / Ma non chiedermi
perché». Non domandare perché, in
quanto il danaro è per molti un fine
in se stesso. È divenuto la maniera
indiscutibile attraverso la quale noi
vediamo il mondo, la metafora fondamentale di ogni valore. Tutto è
“monetarizzato” e tutte le relazioni
sono divenute commerciali. L’arcivescovo di Canterbury ha scritto: «Il
linguaggio del consumatore e del
produttore ha praticamente penetrato tutti i campi della nostra vita sociale, anche quello della educazione
e della sanità e noi dimentichiamo
che è una metafora chiamare consumatore uno studente, un paziente, o
un viaggiatore?». Le università producono la conoscenza.
Karl Polanyi ha descritto come
gradualmente, a partire dal XVI secolo, tutto si sia andato trasformando in beni di consumo fondamentali. I nostri antenati europei non
avrebbero mai potuto immaginare
che ai nostri giorni si sarebbero potuti possedere la terra o l’acqua. Si
può possedere il loro uso, ma mai
in modo assoluto, perché la terra
appartiene al Signore. Essa è stata
affidata alla nostra cura. Ma ora tutto è in vendita. Perfino i genitori
pagano i figli perché contribuiscano
alla vita della famiglia. I poveri vendono la loro prole e l’industria del
sesso sfrutta il corpo delle persone.
Il danaro stesso si è staccato dalla
realtà. Il danaro vende e compra danaro. Ha in gran parte cessato di
avere una qualunque relazione con
le cose reali come la terra, il cibo, le
abitazioni e le belle cose. Philip
Blond ha scritto: «Dal momento in
cui il commercio commercia con se
stesso, esso si separa completamente
dalla economia reale». Il danaro fa
come il re Mida, che trasformava in
oro tutto quel che toccava, e così
moriamo di fame.
Il nostro voto di povertà interpella questo mondo fantastico. Esso
dovrebbe liberarci dalla sua seduzione. Ogni volta che ho incontrato
dei religiosi che vivono una vita
semplice confidando nella liberalità
di Dio, ho potuto constatare come
essi fossero felici e liberi; vivevano
nel mondo reale dove le cose devono essere considerate e apprezzate
per quello che sono e non per quello che valgono. Essi hanno l’immensa ricchezza di poter godere e di
potersi servire di tutto senza la necessità di possedere. Il maestro
Eckart, domenicano tedesco del secolo XIV, disse che se «l’unica preghiera che io abbia mai fatto... fu
grazie, è sufficiente». Il voto di povertà dovrebbe significare che incarniamo la gratitudine, confidando
nel Signore che è il datore di ogni
bene. Questo impegno nei confronti
della povertà ci pone anche in contatto con la sfida più urgente del
nostro tempo: la crescente disuguaglianza tra ricchi e poveri, che sta
lacerando sempre più la società.
Una grande indignazione è esplosa
ed è dilagata in tutto il mondo per
gli scandalosi profitti dei banchieri,
dando luogo a violenti tumulti.
Scott Fitzgerald ha scritto: «Permettetemi di parlarvi delle persone molto ricche. Esse sono diverse da voi e
da me». Vi è un disprezzo crescente
per i poveri. Owen Jones ha asserito in un suo libro recente che i
membri delle classi lavoratrici «sono
demonizzati dalla stampa sensazionalista e le trasmissioni televisive
popolari li presentano come tossico-
mani incapaci di assicurare il benessere, che bevono troppo, fumano
troppo, mangiano troppo, procreano troppo e sono cattivi genitori.
Sono diventati il bersaglio regolare
nel teatro mediatico della crudeltà».
Si considerano i poveri pericolosi,
da rinchiudere o da rendere invisibili. Per questo, tale voto, che sembra
tanto estraneo ai nostri contemporanei, ci aiuta a restare in contatto
con la maggiore sfida del nostro
tempo, la disintegrazione sociale.
Al sinodo sulla vita religiosa nel
1993, il cardinale Etchegaray ci chiese di abbracciare una vita povera.
Questa sfida è fondamentale per la
ripresa della vita religiosa. Un membro di un altro ordine religioso mi
disse che i suoi confratelli facevano
solo un voto, il voto di una vita
agiata e confortevole. Molti entrano
nelle nostre congregazioni non per
abbracciare “Madonna povertà”, ma
per trovare una ricchezza e una sicurezza relative. Se potessimo trovare di nuovo un qualche indizio della
follia dei santi, quali Francesco e
Domenico, e il loro amore per la
semplicità, allora la gente certamen-
Una storia
di fede
«La vita consacrata come
storia di fede» è il titolo
dell’articolo che il maestro
emerito dell’ordine
domenicano ha firmato per
«Omnis Terra», mensile del
Segretariato Internazionale
della Pontificia Unione
Missionaria. Ne pubblichiamo
un estratto dedicato a
«L’attrattiva della bellezza».
te correrebbe in massa a unirsi a
noi.
Nel libro Des hommes et des dieux
intravediamo questa vita semplice e
gioiosa: questi monaci che non possiedono praticamente nulla e condividono la loro vita con quella degli
abitanti musulmani dei villaggi, che
sono quasi ugualmente poveri. I
monaci sopravvivono coltivando la
loro terra e vendendo il loro miele,
abitando in un monastero costruito
rozzamente senza alcun lusso. L’anziano fratello Luca produce delle
bottiglie di vino, poiché essi mangiano e bevono, senza curarsi della
morte, nella gioia e nel dolore, confrontandosi con il loro più profondo
impoverimento, la perdita della loro
vita. All’inizio di quest’anno visitai
la stanza di Christian de Chergé all’Istituto Cattolico di Parigi dove
egli aveva studiato. Lessi sulle pareti
il suo ultimo testamento da leggersi
dopo la sua morte. Un testamento
che è pieno della gioia e della gratitudine di un povero monaco: «Se
arriverà un giorno — e potrebbe essere oggi — che io cada vittima del
terrorismo, che ora sembra voler inglobare tutti gli stranieri che vivono
in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia
si ricordassero che la mia vita è stata
donata a Dio e a questo Paese, e accettassero che il Maestro unico di
ogni vita non è stato estraneo a questa partenza brutale. Per questa vita
perduta, totalmente mia e totalmente loro, io rendo grazie a Dio che
sembra averla voluta interamente
per questa gioia e malgrado tutto. E
anche tu, amico mio dell’ultima ora
— si riferisce alla persona che lo ucciderà — che non saprai quel che
stai facendo, sì, anche per te io dico
questo: “Grazie” e questo “A Dio”
affidando te a questo Dio nel cui
volto io vedo il tuo. E ci sia concesso di ritrovarci, felici “buoni ladroni”, in Paradiso, se piacerà a Dio,
Padre nostro di entrambi. Amen.
Inshallah».
MADRID, 14. La Conferenza episcopale spagnola ha presentato nei
giorni scorsi la campagna «Ha100do
un mundo mejor», in vista della
Giornata mondiale del migrante e
del rifugiato che si celebrerà il 19
gennaio con il tema generale «Migranti e rifugiati: verso un mondo
migliore».
I vescovi iberici, in un comunicato, ricordano che la prima Giornata
ebbe luogo esattamente cento anni
fa, nel 1914, durante il pontificato di
Benedetto XV. E aggiungono, nel loro messaggio, che Papa Francesco
«va avanti e ci incoraggia nei nostri
sforzi, non solo con le parole ma
con la testimonianza della sua vita».
Esplicito il riferimento alla visita del
Pontefice nell’isola di Lampedusa,
«l’icona più significativa di ripetute
tragedie di tanti immigrati che perdono la vita in mare o lungo la strada». I presuli sottolineano che tali
tragedie si sono verificate, e si verificano, in altre zone come il deserto
del Sahara, l’Arizona, la costa sud
della Spagna.
La Conferenza episcopale indica
modelli diversi per “applicare” il
messaggio del Papa alle sfide
dell’immigrazione in Spagna. Un
fenomeno visto come «occasione
per la nuova evangelizzazione», ricordando che la Chiesa è stata sempre con i migranti durante gli ultimi
cento anni, «e noi vogliamo rimanere con loro, condividendo gioie e
speranze, tristezze e angosce, offrendo l’amore e il dinamismo liberatore
che nasce da Gesù Cristo e del suo
Vangelo».
Sul sito web della Chiesa cattolica spagnola è possibile trovare il
messaggio di Francesco, quello dei
vescovi spagnoli, sussidio liturgico e
altro materiale per preparare veglie
di preghiera e incontri. C’è anche
un video che sarà diffuso nelle reti
sociali: è intitolato «One Heart» ed
è stato registrato sulla spiaggia della
Malvarrosa a Valencia il 14 dicembre.
Alla sua realizzazione hanno lavorato, tra gli altri, il Servizio audiovisivo diocesano dell’arcivescovado di
Valencia, il Programma di attenzione sociale e pastorale della Caritas,
varie parrocchie e congregazioni, sacerdoti, religiosi e laici della diocesi
di Valencia. Con un gioco di parole
si sofferma brevemente sull’idea,
universalmente diffusa, che gli immigrati rappresentino un pericolo.
Il video si chiude con uno stralcio
del messaggio per la Giornata pronunciato da Papa Francesco: «È necessario un cambio di atteggiamento
— ha detto il Pontefice — verso i migranti e rifugiati da parte di tutti; il
passaggio da un atteggiamento di
difesa e di paura, di disinteresse o
di emarginazione — che, alla fine,
corrisponde proprio alla “cultura
dello scarto” — ad un atteggiamento
che abbia alla base la “cultura
dell’incontro”, l’unica capace di costruire un mondo più giusto e fraterno, un mondo migliore».
Una realtà del Jesuit Refugee Service France
Benvenuti sul serio
PARIGI, 14. Ci sono tanti modi per
celebrare la Giornata mondiale del
migrante e del rifugiato (domenica
19 gennaio sarà la centesima edizione). Dall’ottobre 2009 il Jesuit
Refugee Service France lo fa attraverso il progetto «Welcome», teso
a creare ospitalità concreta attraverso una rete di famiglie e di comunità disponibili ad accogliere
per un tempo determinato (quattro-cinque settimane) un richiedente asilo o un rifugiato.
Offrire un tetto a delle persone
che non sono ancora ammesse in
un centro di accoglienza per richiedenti asilo e che vivono spesso
in strada «consente loro di respirare un po’, di riposarsi fisicamente
e psicologicamente, di scoprire
realtà diverse dalla propria, di ritrovare speranza e coraggio», affermano gli organizzatori, «e con
la famiglia che apre la sua porta e
il tutore che segue la persona si
stabilisce un rapporto fraterno». Si
tratta di accompagnare una transizione, un passaggio difficile, dalla
richiesta di asilo all’ingresso nei
centri d’accoglienza, all’ottenimento dello stato di rifugiato, fino al
vero e proprio inserimento (quando riesce) nella società francese.
Cinquecento domande all’anno,
trecento solo nella regione parigina, alcune delle quali vengono
prese in carico dal servizio dei gesuiti per seguirne dall’inizio alla fine l’iter burocratico. Fra l’altro, i
legami tra il JrF e altre associazioni
consentono al migrante di beneficiare rapidamente di corsi di lingue, gestiti da volontari, e di limitare al massimo le spese giudiziarie.
Negli anni la rete «Welcome» si
è estesa progressivamente: Parigi e
l’Île-de-France, Lille, Rennes, Brest, Nantes, Orléans, Lione, Marsiglia, Nizza, Clermont-Ferrand, Valence, Dijon, Nevers. Una novantina di famiglie e diciotto comunità
religiose si sono unite per permettere a più di centotrenta richiedenti asilo di “riprendere fiato”.
Inizio della missione del nunzio apostolico in Germania
Monsignor Nikola Eterović, arcivescovo titolare di Cibale, è giunto a
Berlino il 14 novembre scorso.
All’aeroporto di Tegel, è stato accolto da Thomas Pröpstl, vice capo
del Protocollo del ministero degli
Affari esteri, da Essohanam Comla
Paka, ambasciatore del Togo e vice
decano del corpo diplomatico, dal
cardinale Rainer Maria Woelki, arcivescovo di Berlin, dai vescovi
Matthias Heinrich e Wolfgang
Weider, rispettivamente ausiliare e
già ausiliare, da monsignor Tobias
Przytarski, vicario generale della
medesima arcidiocesi, dal gesuita
Hans Langendörfer e da Matthias
Kopp, rispettivamente segretario e
portavoce della Conferenza episcopale tedesca, dai monsignori Tuomo I. Vimpari e Filippo Colnago,
rispettivamente incaricato d’affari
ad interim e segretario della
nunziatura apostolica, da monsignor Karel Simandl e don Jürgen
Doetsch, collaboratori locali della
medesima rappresentanza pontificia.
Il 18 novembre, monsignor Eterović si è recato al ministero degli
Affari esteri per consegnare copia
delle lettere credenziali a Jürgen
Christian Mertens, capo del Protocollo.
La solenne cerimonia di consegna delle lettere credenziali è avvenuta il 20 novembre. Accompagnato da Thomas Pröpstl al palazzo
presidenziale Schloß Bellevue, il
rappresentante pontificio è stato ivi
accolto
da
Jürgen
Christian
Mertens per gli onori militari. Dopo aver firmato il libro d’oro, è stato introdotto nel Langhanssaal, alla
presenza di Joachim Gauck, presidente della Repubblica Federale di
Germania.
Durante il successivo colloquio,
svoltosi nel Salon Luise — alla presenza, oltre che del capo del Protocollo, anche di Michael Georg
Link, ministro di Stato, e della signora Michaela Küchler, consigliere diplomatico presso la Presidenza
federale — il nunzio apostolico ha
trasmesso al presidente Gauck i saluti del Santo Padre, come pure
l’assicurazione della sua preghiera e
della sua grande considerazione nei
riguardi della Germania. Nel ringraziare, il capo dello Stato ha rilevato un rinnovato dinamismo della
Chiesa cattolica in seguito all’elezione del Papa Francesco. Il presidente federale si è detto interessato
alle priorità del Pontificato, in particolare a quelle inerenti a un maggior ruolo dei laici nella Chiesa, al
dialogo tra le religioni e ai rapporti
con i musulmani.
Dopo uno scambio di pareri
sull’importante ruolo della Chiesa
cattolica in Germania, è stato sottolineato come il modello di relazione
tra Chiesa e Stato nella Repubblica
Federale possa servire da esempio
per altre nazioni. Inoltre, è stato
osservato il prezioso ruolo della
Santa Sede, a livello internazionale,
nella promozione della pace, della
giustizia e della riconciliazione, soprattutto in Medio Oriente. Con la
sua generosa attività di assistenza e
di beneficenza verso i più poveri,
gli immigrati e gli esuli, la Chiesa
in Germania, infatti, contribuisce in
modo significativo a tale ruolo universale della Chiesa cattolica.
Nella solennità dell’Immacolata
Concezione della beata Vergine
Maria, monsignor Eterović è stato
presentato nella cattedrale di
Sant’Edvige alla comunità diocesa-
na dal cardinale Woelki: alla solenne concelebrazione eucaristica, oltre
al corpo diplomatico — che viene
invitato ogni anno in tale solennità
già dai tempi difficili del muro che
divideva la città di Berlino — erano
presenti anche esponenti delle missioni linguistiche dell’arcidiocesi. Al
termine della celebrazione, il rappresentante pontificio ha portato il
saluto benedicente del Santo Padre,
presentando altresì l’invito alla speranza e alla gioia, in riferimento alla recente esortazione apostolica
Evangelii gaudium.
L’11 dicembre il nunzio apostolico si è recato a Bonn per una visita
ufficiale alla segreteria della Conferenza episcopale tedesca. In tale
occasione, ha consegnato la lettera
commendatizia del segretario di
Stato, l’arcivescovo Pietro Parolin, a
monsignor Robert Zollitsch, amministratore apostolico di Freiburg im
Breisgau e presidente della Conferenza episcopale tedesca.
Ampio spazio agli eventi, che
hanno segnato l’inizio della missione del nuovo rappresentante pontificio in Germania, è stato dedicato
dai principali media tedeschi.
«Quest’accoglienza — spiega padre
Paul de Montgolfier, direttore di
Jesuit Refugee Service France —
non necessita di un investimento
considerevole». Il rapporto fra chi
accoglie e chi è accolto, scandito
inevitabilmente anche da orari da
rispettare, sfocia spesso nella reciproca fiducia e nell’amicizia e la
maggioranza delle famiglie e delle
comunità non esitano a proporre
la loro ospitalità più volte all’anno,
ma sempre a una persona diversa
per evitare installazione e attaccamento (all’insegna della “giusta distanza”). È l’occasione, dice il gesuita, «per scoprire la ricchezza
delle differenti culture dei propri
ospiti ma anche il loro coraggio e
la loro volontà di andare avanti,
malgrado tutto».
Per Isabella Moulet, coordinatrice nazionale di «Welcome», il
criterio è quello dell’incontro con
la società francese: «Due universi
vengono a contatto. Per chi viene
accolto, anche nei centri cattolici
impegnati, è spesso uno choc, tanto la realtà è sconosciuta. Guidata
dalla spiritualità dell’incontro, tale
esperienza offre anche occasioni
per vivere nel quotidiano l’ecumenismo e il dialogo interreligioso. I
nostri ospiti diventano così ambasciatori del cristianesimo». E non
manca chi, dopo «Welcome», si rivolge a Secours Catholique, a
Emmaüs, alla Croix Rouge.
Quello del Jesuit Refugee Service è un progetto teso alla difesa
degli individui per gravi ragioni
lontani dalla propria patria, alla tutela della loro dignità, del loro diritto alla vita: «Un bambino che
viene al mondo è subito visibile,
poi gli si attribuisce un nome. Ora,
questi individui — sottolinea Isabella Moulet — restano invisibili e,
nella migliore delle ipotesi, diventano un numero in un dossier. Essere in una famiglia, a contatto con
gli altri, rende loro questa visibilità, questo nome. Noi li invitiamo a
esistere là dove lo Stato tende ad
annientarli, facendo pesare su di
essi un sospetto fino alla fine delle
procedure e rifiutando loro durante
tutto questo tempo, perfino anni,
reali mezzi di integrazione».
Lutto nell’episcopato
Monsignor Alphonsus Augustus
Sowada, vescovo emerito di Agats,
in Indonesia, è morto sabato scorso, 11 gennaio, in una casa di riposo ad Onamia, nella diocesi statunitense di Saint Cloud, in Minnesota.
Nel territorio di quest’ultima
diocesi, ad Avon, il compianto presule era nato il 23 giugno 1933. Sacerdote dell’ordine della Santa
Croce (crocigeri) dal 31 maggio
1958, era stato missionario in Indonesia, divenendo vicario generale
dell’arcivescovo
metropolita
di
Merauke. E quando il 29 maggio
1969 era stata eretta la nuova diocesi di Agats, ne era stato nominato
primo vescovo. Il successivo 23 novembre aveva ricevuto l’ordinazione
episcopale. Dopo oltre trent’anni di
ministero, aveva rinunciato al governo pastorale della diocesi indonesiana il 9 maggio 2001.
Le esequie saranno celebrate venerdì 17 gennaio nella cattedrale di
Saint Cloud.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
mercoledì 15 gennaio 2014
Messa del Papa a Santa Marta
Conclusa la visita del cardinale Sandri in Libano
Quattro modelli
Nelle mani di Maria
La gente segue chi insegna come
Gesù, il quale porta con sé la novità
della Parola di Dio, il suo amore. E
non chi — laico, cristiano, sacerdote
o vescovo che sia — è un corrotto e
ha il cuore corrotto. Papa Francesco
è tornato a parlare della testimonianza di fede che devono offrire
quanti, soprattutto in ragione della
loro missione, sono chiamati a trasmetterla al popolo di Dio. E durante l’omelia della messa celebrata
questa mattina, martedì 14 gennaio,
nella cappella di Santa Marta, ha ripetuto che non c’è altra via oltre
quella insegnata da Cristo.
A questo insegnamento fanno riferimento le due letture proposte
dalla liturgia, tratte dal primo libro
di Samuele (1, 9-20) e dal Vangelo
di Marco (1, 21b-28). In esse, ha notato il Pontefice, sono descritti
«quattro modelli di credenti predicatori: Gesù, gli scribi, il sacerdote
Eli, e dietro di lui — non è esplicito,
ma ci sono — i due figli di Eli, sacerdoti».
Gli scribi insegnavano e predicavano ponendo sulle spalle della
gente dei pesi gravosi. «E la povera
gente — ha detto il Papa — non poteva andare avanti». Il rimprovero
che Gesù fa a costoro è di non
muovere neanche un dito per aiutare queste persone. E alla gente poi
dirà: «Fate quello che dicono, ma
non quello che fanno». Gente incoerente, ha spiegato il Pontefice
parlando degli scribi e dei farisei,
che si comportavano «come se bastonassero le persone». E Gesù li
avvertiva «dicendo loro: così facendo, voi chiudete le porte dei cieli;
non lasciate entrare nessuno e neppure voi entrate».
È così che ancora oggi, ha sottolineato il Papa, si usa questo modo
sbagliato di predicare, di insegnare,
di dare testimonianza della propria
fede. «E quanti ce ne sono — si è lamentato — che pensano che la fede
sia così».
Poi il vescovo di Roma si è soffermato sul modo di agire di Eli,
«un vecchio... poveretto» che — ha
confessato — «a me fa una certa tenerezza», ma che tuttavia «non era
un brav’uomo davvero: era un povero prete, debole, tiepido e lasciava
fare, non aveva forza. Lasciava fare
tante cose brutte ai suoi figli.» Il
Santo Padre ha raccontato l’episodio di Eli che scambia per ubriaca
una povera donna che pregava in silenzio, muovendo appena le labbra
per chiedere al Signore la grazia di
un figlio. Essa «pregava come prega
la gente umile, semplicemente, dal
cuore, con angoscia e muoveva le
labbra. Tante donne buone pregano
così nelle nostre chiese e nei nostri
santuari. E questa pregava così,
chiedeva un miracolo. E l’anziano
Eli, poveretto, non aveva niente da
fare. La guardava e pensava: questa
è un’ubriaca. E la disprezzò. Lui era
il rappresentante della fede», colui
che avrebbe dovuto insegnare la fede, ma «il suo cuore non sentiva bene e disprezzò questa signora. Le
dice: vai via, ubriaca!».
«Quante volte il popolo di Dio —
ha constatato il Santo Padre — si
sente non ben voluto da quelli che
devono dare testimonianza, dai cristiani, dai laici cristiani, dai preti,
dai vescovi!». Tornando allora ad
Eli, Papa Francesco ha spiegato perché prova per lui una certa simpatia: «Perché nel cuore ancora aveva
l’unzione. Quando la donna gli
spiega la propria situazione, Eli le
dice: vai in pace, e il Dio di Israele
ti conceda quello che hai chiesto.
Viene fuori l’unzione sacerdotale.
Povero uomo, l’aveva nascosta dentro la sua pigrizia. È un tiepido. E
poi finisce male, poveretto!».
Nel brano della scrittura, ha osservato il Pontefice, i suoi figli non
si vedono, ma erano quelli che gestivano il tempio. «Erano briganti.
Erano sacerdoti — ha detto — ma
briganti. Andavano dietro al potere
e dietro ai soldi; sfruttavano la gente, approfittavano delle elemosine e
dei doni. Dice la Bibbia che prendevano i pezzi più belli dei sacrifici
per mangiare loro. Sfruttavano. Il
Signore li punisce forte, questi
due!».
Per il Papa essi rappresentano «la
figura del cristiano corrotto, del laico corrotto, del prete corrotto, del
vescovo corrotto. Approfittano della
situazione, del privilegio della fede,
di essere cristiani. E il loro cuore finisce corrotto. Pensiamo a Giuda:
ha incominciato forse la prima volta
per gelosia, per invidia, a mettere la
mano nella borsa», e così «il suo
cuore ha incominciato a corromper-
si. Giovanni — l’apostolo buono che
ama tutto il mondo, che predica
l’amore — di Giuda dice: era un ladro. Punto. È chiaro: era corrotto. E
da un cuore corrotto esce anche il
tradimento. Tradisce Gesù».
E infine il modo di predicare di
Gesù. Cosa ha di speciale? Perché
la gente dice: «Questo insegna come uno che ha autorità; questo è un
insegnamento nuovo»? Gesù — ha
affermato il Pontefice — insegnava
la legge, insegnava Mosè e i profeti.
Dove è il nuovo? Ha potere, il potere della santità, perché gli spiriti
impuri se ne vanno. La novità di
Gesù è che porta con sé la parola di
Dio, il messaggio di Dio, cioè
l’amore di Dio per ognuno di noi.
Avvicina Dio alla gente. E per farlo
si avvicina lui. È vicino ai peccatori,
va a pranzo con Matteo, un ladro,
traditore della patria; perdona
quell’adultera che la legge diceva
che doveva essere punita; parla di
teologia con la Samaritana che non
era un “angioletto”, aveva la sua
storia». Gesù dunque «cerca il cuore delle persone, Gesù si avvicina al
cuore ferito delle persone. A Gesù
interessano soltanto la persona e
Dio. E cerca di avvicinare Dio alle
persone e le persone a Dio».
E ancora: «Gesù è come il buon
samaritano che guarisce le ferite della vita. Gesù è l’intercessore che va
solo a pregare in montagna per la
gente, e dà la vita per la gente. Gesù vuole che la gente si avvicini e la
cerca; e si sente commosso quando
la vede come pecore senza pastore.
E tutto questo atteggiamento è
quello che la gente definisce un atteggiamento nuovo. No, non è nuovo l’insegnamento, è il modo di farlo nuovo. La trasparenza evangelica».
«Chiediamo al Signore — ha concluso Papa Francesco — che queste
due letture ci aiutino nella nostra vita di cristiani», perché ognuno, nel
ruolo che è chiamato a svolgere nella missione della Chiesa, non sia
semplicemente legalista, puro ma
ipocrita come gli scribi e i farisei.
L’invito del Pontefice è «a non essere corrotti come i figli di Eli; a non
essere tiepidi come Eli; ma a essere
come Gesù, con quello zelo di cercare la gente, guarire la gente, amare la gente».
Il porporato dinanzi all’icona lignea custodita nel santuario di Nostra Signora dell’Attesa, nel villaggio di Maghdouché
«Attendiamo con te da Gesù, principe della pace, il suo dono sospirato per il Libano, la Siria e tutto il
Medio Oriente». La preoccupazione
del cardinale Leonardo Sandri per
la drammatica situazione della regione mediorientale si è trasformata
in un’accorata preghiera a Maria. Il
prefetto della Congregazione per le
Chiese Orientali l’ha recitata domenica sera, 12 gennaio, nel santuario
di Sayidat Al-Mantara (Nostra Signora dell’Attesa), che si trova nel
villaggio di Maghdouché, nei pressi
di Saïda. È stata una delle ultime
tappe della visita del porporato in
Libano, espressamente inserita nel
programma per rinnovare l’atto di
affidamento alla Madre di Dio e così invocare la sua protezione sui
Paesi del Medio Oriente.
«Vogliamo continuare qui oggi —
ha detto il cardinale — la preghiera
chiesta da Papa Francesco lo scorso
7 settembre, vigilia della festa della
tua nascita, e ripetere l’invocazione
risuonata con forza quella sera: “Finisca il rumore delle armi! Sì, lo vogliamo!”». E rivolgendo la sua invocazione alla Vergine, risuonata come
una promessa di impegno e un’aspirazione a un mondo dove tacciano
le armi, ha aggiunto: «Vogliamo impegnarci tutti, dai responsabili delle
nazioni fino ai più piccoli, a essere
uomini e donne di pace e di riconciliazione. Poni sotto il tuo manto di
Madre tenerissima e dolcissima il
nostro Papa Francesco, e donagli la
forza per continuare a indicarci il
Cristo tuo Figlio».
Preghiera che si è fatta anche gesto concreto di solidarietà e di vicinanza ai profughi siriani ospitati nel
rassemblement di Marj el Khokh, a
Marjayoun, nel sud del Libano, gestito dalla fondazione Avsi. Il porporato ha portato il conforto della
Chiesa intera e ha offerto un contributo per le attività a favore dei rifugiati.
Di accoglienza e di sostegno a
quanti soffrono a causa delle violenze, dei conflitti e delle persecuzioni,
il cardinale aveva parlato anche durante la messa celebrata domenica
mattina, festa del battesimo del Signore, presso il Centro pastorale dei
redentoristi a Zahle. «Mettersi in
cammino verso Dio — aveva detto —
significa magari compiere un passo
di riconciliazione all’interno delle
nostre famiglie, compiere un gesto
di attenzione e accoglienza verso chi
è più povero e sappiamo bene
quanti ne stia ospitando il vostro
Paese in questo momento di guerra
nella vicina Siria». Facendo riferimento alla liturgia, il porporato aveva ricordato che il battesimo «ci fa
entrare nella famiglia dei figli di
Dio, la Chiesa. Siamo, pastori e fedeli, la Chiesa, il popolo santo di
D io».
Ma «se Dio si è messo in cammino, possiamo noi forse stare fermi,
magari arroccati sulle nostre certezze umane più che fondati sulla roccia salda dell’amore di Dio?» si era
chiesto il cardinale. Da qui l’invito
alla fiducia nello Spirito che ci con-
duce «lungo il tempo» e l’avvertimento a non opporre «resistenze,
magari anche con ragionamenti
comprensibili, ma che ultimamente
non lasciano l’ultima parola a Dio,
perché “sia fatta la sua volontà, come in cielo, così in terra”». In particolare, il porporato aveva ricordato
che con il battesimo al fiume Giordano, Gesù «dà inizio alla vita pubblica, che lo porterà a percorrere le
strade della Palestina e ad “adempiere ogni giustizia” con la passione, la croce a Gerusalemme». Proprio a partire dal «momento vertice
della sua presentazione, con i cieli
aperti, la voce del Padre e la discesa
dello Spirito in forma di colomba»,
il Figlio di Dio si mette in cammino. «Vuole raggiungere ogni uomo
— aveva detto — perché l’uomo che
cerca Dio possa sentirne la vicinanza, e chi è lontano o stanco possa
nuovamente mettersi in cammino
verso di lui percependone la presenza». Il porporato aveva concluso affidando tutti all’intercessione di
«colei che si è messa in cammino,
da Nazaret ad Ain Karem, per andare dalla cugina Elisabetta, verso
l’Egitto, per proteggere Gesù neonato dalla violenza cieca di Erode, e
ancora ha camminato seguendo nel
silenzio la sua vita pubblica, la beata Vergine Maria».
Il viaggio del cardinale in Libano
si è concluso con l’incontro con alcuni docenti e studenti dell’università gestita dall’ordine antoniano maronita.
Il cardinale Amato inaugura il trentesimo corso dello Studium
Convegno in Vaticano sull’alcoldipendenza
Costi certi ed equi per le cause di canonizzazione
Meno spirito, per favore
Un «tariffario di riferimento», a cui
postulatori e attori delle cause di canonizzazione devono attenersi, è entrato in vigore all’inizio di quest’anno. Si tratta di una novità ispirata da
un senso di sobrietà ed equità, perché non vi siano «sperequazioni tra
le varie cause». Lo ha annunciato il
cardinale Angelo Amato, prefetto
della Congregazione delle cause dei
santi, durante la prolusione di apertura del trentesimo corso dello Studium del dicastero, lunedì pomeriggio, 13 gennaio, alla Pontificia Università Urbaniana.
È una novità che giunge al termine del lavoro di collaborazione tra la
Congregazione e i vari postulatori,
che in questi mesi hanno risposto
positivamente alla richiesta della
Santa Sede di presentare la rendicontazione delle loro spese. «È bene
che gli attori — ha detto il porporato
— conoscano le spese alle quali vanno incontro, relative sia alle tasse
della Santa Sede sia ai compensi dei
postulatori». Il cardinale ha poi informato che «qualcuno ha anche iniziato a far pervenire qualche offerta
per le cause povere». Da qui l’incoraggiamento a onorare l’invito, «fatto dal nostro regolamento», perché
la Congregazione «possa venire incontro a eventuali richieste da parte
di cause meritevoli di tale sussidio».
Il cardinale ha anche parlato della
prossima canonizzazione di Giovanni XXIII, per la quale — ha chiarito —
non sono stati fatti sconti, né tantomeno Papa Francesco ha esentato
dal miracolo. Il Pontefice «ha solo
ridotto i tempi, per la grande opportunità per la Chiesa intera di celebrare nel 2014 con Giovanni XXIII,
l’iniziatore del concilio Vaticano II, e
con Giovanni Paolo II, il realizzatore
dei fermenti pastorali, spirituali e
dottrinali dei documenti conciliari».
Una precisazione necessaria dopo la
diffusione di notizie non corrette in
merito. Infatti, la Positio di Papa
Roncalli, ha sottolineato il porporato, è piena di resoconti di miracoli e
di fama di segni. Per questo, la sua
La sala degli ex voto nella casa natale di Angelo Giuseppe Roncalli a Sotto il Monte
canonizzazione non è da considerarsi
“equipollente”. Fin dal 3 settembre
2000, da quando cioè Giovanni Paolo II lo proclamò beato, sono pervenute numerose segnalazioni di grazie
e di favori ottenuti per sua intercessione. Segnalazioni che, ha detto il
cardinale prefetto, «provengono da
tutto il mondo, spesso sono accompagnate da documentazione medica,
e attestano che il ricorso del popolo
di Dio all’intercessione del beato è
diffuso, continuo, spontaneo e universale». Queste notizie di grazie ottenute pervengono soprattutto al rettore della casa natale di Roncalli, a
Sotto il Monte (Bergamo), al neo
cardinale Loris Francesco Capovilla,
che fu a lungo segretario personale
del Pontefice, alla postulazione generale dei frati minori di Roma e alla stessa Congregazione delle cause
dei santi. Tra i casi particolarmente
interessanti in proposito, il porporato ha ricordato quello avvenuto nel
dicembre 2002 a Napoli, dove una
signora «ingerì per errore una bustina di cianuro. Invocando il beato si
salvò dall’avvelenamento senza riportare danno ai reni, né alla milza, e
guarendo contestualmente dalla cirrosi epatica». Miracolo che è «parte
integrante del processo di beatificazione e di canonizzazione».
Il cardinale ha poi parlato del
grande lavoro svolto dal dicastero e
ha ricordato che nel 2013 ci sono state 18 cerimonie di beatificazione con
540 nuovi beati, dei quali 528 martiri
e 12 confessori. Sempre lo scorso anno, Papa Francesco ha canonizzato
804 nuovi santi, dei quali 800 martiri e 4 confessori, e ha provveduto a
due canonizzazioni equipollenti:
quelle di Angela da Foligno e di Pietro Favre.
«Tra gli aspetti più significativi di
Papa Francesco — ha confidato il
porporato — è da segnalare l’interesse per la valorizzazione della santità
di sacerdoti e di laici e la preoccupazione per il buon andamento del lavoro del nostro dicastero». Il Pontefice è sempre «pronto ad accogliere
il prefetto per la valutazione e la firma dei decreti, e anche per dare consigli e suggerimenti utili alla nostra
missione».
Il cardinale ha poi ricordato che la
Congregazione, per favorire, fuori
dall’Europa occidentale, la presentazione di modelli concreti di santità,
da sempre «riserva una corsia preferenziale alle cause provenienti
dall’Asia, dall’Africa, dalle Americhe
e anche dall’Europa dell’Est, per le
note vicende circa la feroce persecuzione subita da queste Chiese sotto i
regimi nazisti e comunisti». E ha lamentato che spesso le cause, anche
quelle debitamente maturate, segnano dei notevoli ritardi perché gli attori — vescovi, superiori religiosi o
altri — «sembrano assenti». Per questo, ha auspicato un dialogo più frequente con i superiori del dicastero.
A conclusione della cerimonia di
inaugurazione, don Antonio Manuel
Saldanha e Albuquerque, segretario
dello Studium, ha comunicato alcuni
dati circa il corso di quest’anno, frequentato da 111 studenti provenienti
da 29 Paesi di quattro continenti: 75
dall’Europa, 18 dall’America, 14
dall’Asia, 4 dall’Africa. Il gruppo più
numeroso è quello di nazionalità italiano con 45 studenti. Segue l’India
con 11 e il Brasile con 8. Al quarto
posto il Messico e la Spagna con 5
iscritti. Per quanto riguarda la suddivisione secondo la condizione ecclesiastica, si contano 27 sacerdoti diocesani, 21 sacerdoti religiosi, 3 appartenenti a società di vita apostolica,
24 suore, 4 seminaristi, 31 laici e un
consacrato.
Sono ormai oltre due milioni e
mezzo i morti causati ogni anno
nel mondo dall’abuso di alcol. Ciò
che preoccupa di più è l’aumento
del numero di giovani tra le vittime, il cui limite di età si è progressivamente abbassato sino a raggiungere ormai la soglia dei quindici anni. E per morire a quindici
anni a causa dei danni irreparabili
causati dall’abuso di alcol significa
che la dipendenza risale a un’età
ancor più tenera. Non a caso il
consumo di alcol costituisce il terzo fattore di rischio nel mondo per
carico di malattia e di mortalità
premature. Ecco perché lo spettro
dell’alcoldipendenza fa sempre più
paura. Sono questi i motivi della
scelta della Pontificia Accademia
delle Scienze di scendere decisamente in campo e di riunire, per
una giornata di studio, scienziati e
uomini di Chiesa per focalizzare
l’attenzione su una questione che
compromette lo sviluppo individuale e sociale.
«Alcoldipendenza: un fenomeno
da contrastare per il bene dell’individuo e della società» è il tema
dell’incontro svoltosi questa mattina, martedì 14 gennaio, nella Casina Pio IV, in Vaticano. Gli onori di
casa li ha fatti il vescovo cancelliere Marcelo Sánchez Sorondo, ai
cui saluti inaugurali si sono aggiunti quelli del cardinale Raffaele
Farina. La relazione di apertura è
stata tenuta dal cardinale Óscar
Andrés Rodríguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa e presidente della Caritas Internationalis,
il quale, forte della sua lunga esperienza pastorale, ha posto l’accento
sulle implicanze etiche e morali
delle dipendenze. L’impatto del
consumo di alcol infatti colpisce in
profondità, in quanto danneggia il
benessere e la salute delle persone,
anche di quelle che circondano il
bevitore. Gli esempi che più frequentemente raggiungono gli onori della cronaca sono quelli del
guidatore in stato di ebbrezza che
causa vittime innocenti e dell’ubriaco che scarica la sua violenza contro i primi malcapitati, sempre più spesso i familiari, in particolare donne e bambini.
Si sono poi susseguite le relazioni dei professori Claudio Mencacci, Emanuele Scafato, Luigi Janiri,
i cui interventi — moderati da Stefano Maria Zuccaro — hanno offerto un quadro a dir poco drammatico della situazione, soprattutto
in Europa, che risulta essere la regione del mondo con il più alto livello di consumo di alcol pro-capite, più del doppio della media
mondiale. Si calcola che vi siano
oltre quindici milioni di alcoldipendenti. Negli ultimi 10 anni il
consumo di alcol è rimasto sostanzialmente stabile in Europa ma rimane prioritaria la necessità di ridurre i problemi alcol-correlati nella popolazione. Anche perché alla
comunità costano circa 156 miliardi
l’anno.
Nonostante questi dati le percentuali di trattamento dei pazienti
alcoldipendenti sono molto basse,
meno del 10 per cento. Ciò è dovuto in larga misura ad approcci
terapeutici orientati all’immediato
ottenimento dell’astensione completa. Dalla conferenza è emersa
intanto un’indicazione: dalla dipendenza dall’alcol si può uscire.
Per raggiungere l’obiettivo, stanti
le difficoltà per l’alcolista di astenersi completamente, sembra più
efficace una scelta terapeutica
orientata alla riduzione costante e
progressiva del consumo. Lo scopo
è quello di raggiungere la completa astensione riuscendo a colmare
nel frattempo quel bisogno insoddisfatto nel trattamento della dipendenza. È altrettanto chiaramente emerso però che senza adeguate
politiche e interventi mirati a rendere la comunità umana più sana,
più sicura e più soddisfatta della
propria condizione, ogni sforzo terapeutico è destinato al fallimento.