Il Gambero rosso della Louisiana

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Il Gambero rosso della Louisiana
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Ente Tutela Pesca
Friuli Venezia Giulia
Il Gambero rosso
della Louisiana
Aspetti ecologici, biologici e gestionali
in Friuli Venezia Giulia
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Realizzazione
Ente Tutela Pesca del Friuli Venezia Giulia
Testi
Giorgio De Luise
Foto
L’immagine n. 6 è di N. Bressani, l’immagine n. 36 è di M. Ginaroli,
le immagini n. 53, 54 sono di Juza Photo, l’immagine n. 55 è di
L. Dorigo, le immagini n. 48, 58, 59 sono di S. Devetti,
l’immagine di pag. 47 è del Museo di Storia naturale di Venezia,
le restanti immagini sono di G. De Luise.
Foto di copertina
Nivardo Bressani
Informazioni
Ente Tutela Pesca del Friuli Venezia Giulia
Via Colugna, 3 - 33100 - Udine
Tel. 0432 551211
e-mail: [email protected]
Impaginazione e stampa
Tipografia Moro Andrea - Tolmezzo - 2010
Per la citazione di questo volume si raccomanda la seguente dizione
De Luise G., 2010
Il Gambero rosso della Louisiana.
Aspetti ecologici, biologici e gestionali in Friuli Venezia Giulia
Ente Tutela Pesca del Friuli Venezia Giulia, Udine: 1-52
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Sommario
Premessa
5
Distribuzione Italiana
7
Distribuzione del Procambarus clarkii nella Regione FVG
10
Riconoscimento della specie Procambarus clarkii
14
Biologia ed Ecologia
21
Le tane del Procambarus clarkii
31
Predatori naturali
42
Gestione e controllo
44
Segnali ambientali riconducibili
alla presenza del Procambarus clarkii
46
Principale bibliografia consultata
50
Ringraziamenti
52
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L
o studio di quanto accade nelle nostre acque è sempre stato uno
dei connotati fondamentali nell’azione dell’Ente Tutela Pesca. Sol-
tanto conoscendo le dinamiche degli ecosistemi siamo infatti in grado
di comprendere come intervenire per difenderle e gestirle, garantendo
così anche alle generazioni future il godimento di questo patrimonio
naturale.
Questo libro, dedicato al gambero rosso della Louisiana, un nuovo e
poco gradito ospite delle acque regionali, che sta mettendo a repentaglio
le specie che da sempre hanno abitato i nostri fiumi, conferma appieno
la filosofia operativa dell’ETP. La struttura, ancora una volta, diventa
protagonista di un’azione di studio e contenimento di animali che,
provenienti da altri ecosistemi e purtroppo maldestramente gestiti
dall’uomo, stanno colonizzando il nostro ambiente. Su questo versante
l’Ente vanta, purtroppo, una lunga esperienza, perché da tempo è
impegnato nel limitare la diffusione della savetta e del siluro che tanti
danni arrecano ai delicati equilibri delle popolazioni ittiche autoctone.
L’arrivo di questo crostaceo, considerato a livello mondiale tra le
specie più invasive, apre un nuovo fronte. Come sempre l’ETP, oltre sulle
sue competenze, potrà contare anche sulla collaborazione insostituibile
degli appassionati ai quali è dedicata questa pubblicazione, frutto di
un lungo e meticoloso lavoro di studio. Il volume curato da Giorgio De
Luise, oltre a riassumere l’intensa campagna di rilevamenti avviata negli
anni scorsi in regione, contiene tutte le indicazioni utili per imparare a
riconoscere il Procambarus clarkii. L’Ente conta anche di aggiornare costantemente le mappe della sua diffusione proprio grazie alle segnalazioni di quanti frequentano le acque regionali.
Il Presidente dell’Ente Tutela Pesca
del Friuli Venezia Giulia
Loris Saldan
5
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Presentazione ETP
L
’ETP ha compiti istituzionali molto ampi in materia di studio e salvaguardia della fauna ittica,
nonché di miglioramento della naturalità dei corsi d’acqua e delle altre acque interne della
regione FVG. La Regione stessa riconosce appieno la valenza ricoperta dagli ecosistemi connessi
alle acque interne, per le funzioni ambientale, turistica, produttiva e socio-culturale. Da quasi 40
anni, la legge regionale quadro in materia è infatti del 1971, si è infatti individuato nella gestione pubblica della pesca sportiva esercitata nelle acque interne, lo strumento cardine per il
governo della biodiversità degli ecosistemi acquatici, compresi quelli inseriti nella rete Natura
2000, anche attraverso un’importantissima presenza del volontariato che alimenta sia la vigilanza (guardie ittiche volontarie) e sia il monitoraggio della fauna (operatori ittici). La Regione
inoltre, grazie all’impegno che ha avuto nel campo dell’ittiologia, con le ricerche ed i risultati
conseguiti dal lontano 1988, soprattutto per quanto riguarda l’allevamento ed il ripopolamento,
rappresenta ancor oggi uno dei punti di riferimento del mondo scientifico europeo in relazione
all’astacologia, tanto da vedersi attribuiti citazioni e meriti anche a livello europeo. Sono trascorsi solo quattro anni da quando, nel novembre 2006, è stato presentato e pubblicato dall’Ente
Tutela Pesca il libro sui crostacei d’acqua dolce presenti nelle nostre acque che, tra le numerose
notizie sulla loro biologia, forniva i risultati dell’ultimo censimento di questa importante fauna
acquatica, rilevante bio-indicatore dello stato di salute dei corsi d’acqua. Sono state così identificate tre specie presenti, tutte autoctone. A differenza di molte altre Regioni italiane, la nostra era considerata dagli addetti ai lavori, sino a quel momento, un’ “isola felice”, in quanto
ancora immune da altre specie alloctone di gamberi, presenti invece anche nel vicino Veneto, con
particolare riferimento alla fattispecie del cosiddetto gambero rosso della Louisiana: il Procambarus clarkii , uno degli ultimi regali faunistici provenienti dalle Americhe.
Seguendo le numerose indicazioni pervenute da più parti, circa la possibile presenza
del Procambarus clarkii in Friuli Venezia Giulia, nel 2009 l’Ente ha promosso un monitoraggio su
alcune acque interne, i cui risultati hanno evidenziato c0me, nonostante gli sforzi profusi per
tutelare le specie di gamberi autoctoni, questo crostaceo alloctono sia abbondantemente presente oggi anche nella nostra Regione.
A detta degli esperti, questo fatto rappresenta un serio problema, certamente da non
sottovalutare per tutta una serie di implicazioni, sia dal punto di vista faunistico e sia per l’ambiente stesso che, come già accade in altre parti, subisce notevoli alterazioni. Per questo motivo,
sulla scorta dei risultati emersi dallo specifico studio, l’Ente ha voluto raccogliere in questa guida,
le indicazioni utili a tutti coloro che operano sul territorio, per poter riconoscere agevolmente il
Procambarus clarkii, anche attraverso i segni e i danni provocati all’ambiente acquatico.
Grazie anche alle indicazioni di tutti coloro che avranno modo di incontrarlo o di osservare i corsi d’acqua, l’Ente potrà intervenire in tempo relativamente breve e tenere sotto controllo l’avanzata di questa nuova specie che, di fatto, rappresenta un reale problema per la fauna
e per l’ambiente, da gestire attivando una serie di precise iniziative, indispensabili per far fronte
alla sua espansione e avviare un mirato piano di intervento per controllarne la presenza.
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Premessa
Q
uando nel Novembre 2006 sono stati presentati i risultati dell’ultimo
censimento dei crostacei d’acqua dolce nel Friuli Venezia Giulia (concluso nel 2004), nelle acque regionali erano presenti esclusivamente
specie autoctone ovvero: l’Astacus astacus (1) o gambero nobile, l’Austropotamobius pallipes (2): il gambero comune, l’Austropotamobius torrentium (3): il gambero di torrente ed il Potamon fluvialis1 (4): il granchio
d’acqua dolce.
1 (G. De Luise, 2006. I crostacei decapodi d’acqua dolce in Friuli Venezia Giulia. Recenti acquisizioni sul
comportamento e sulla distribuzione nelle acque dolci della Regione.
Venti anni di studi e ricerche. Marzo
2006, p 91. Ente Tutela Pesca - Regione Friuli Venezia Giulia)
In seguito ad alcune segnalazioni di agenti di vigilanza ittico venatoria del corpo forestale regionale e dell’Ente Tutela Pesca sulla presunta presenza di un altro gambero, nel 2009 è stato promosso
dall’Ente stesso uno specifico monitoraggio a carattere preliminare
su alcune acque della nostra Regione; la ricerca ha interessato 20 Sta-
7
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1. Suddivisione della
Regione Friuli Venezia Giulia
in 15 Collegi di Pesca
(in conformità dell’art. 27 del
D.P.G.R. 16/11/72 n.04003/81)
2. Procambarus
clarkii sorpreso a terra in
un’ area limitrofa alla roggia
di Palma (UD)
8
zioni individuate in base alle indicazioni avute, ovvero nei Collegi di
Pesca n.2, 3,12,14,15.
1. Collegio di Gorizia
2. Collegio di Sagrado – Monfalcone - Trieste
3. Collegio di Pordenone
4. Collegio di Sacile
5. Collegio di Maniago – Barcis
6. Collegio di Spilimbergo
7. Collegio di S. Vito al Tagliamento
8. Collegio di Pontebba
9. Collegio di Tolmezzo
10. Collegio di Gemona – S. Daniele
11. Collegio di Tarcento – Nimis
12. Collegio di Udine
13. Collegio di Cividale del Friuli
14. Collegio di Codroipo – Latisana
15. Collegio di Cervignano – Palmanova
A supporto e ad integrazione dei dati ottenuti dai campionamenti diretti, è stata anche realizzata un’ulteriore indagine utilizzando uno specifico questionario elaborato ed indirizzato ai pescatori di mestiere operanti
nelle acque dolci del FVG, finalizzato ad una migliore conoscenza sulla
eventuale presenza della specie in oggetto, in modo da ottenere un quadro generale che, seppur preliminare, fosse più aggiornato. I risultati
hanno accertato che in alcuni corsi d’acqua regionali risulta ben presente
anche un altro crostaceo estraneo alla nostra fauna: il Procambarus clarkii meglio noto come gambero rosso della Louisiana.
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Distribuzione Italiana
D
a molti anni gli studiosi di tutto il mondo, ed in particolare quelli europei si stanno confrontando sulle problematiche legate alla presenza nelle acque dolci di specie di crostacei aliene. A tal proposito
grande attenzione è stata rivolta all’invasione di una di quelle: il Procambarus clarkii (o gambero rosso della Louisiana, conosciuto anche
con il nome di gambero killer); si tratta di un crostaceo d’acqua dolce
originario degli Stati centro-meridionali nordamericani oggi presenta
una distribuzione praticamente cosmopolita, essendo stato ormai introdotto in tutti i Continenti con esclusione dell’Australia, dell’Artide e
dell’Antartide.
Alcuni aspetti della biologia di P. clarkii (Huner & Lindqvist, 1995),
quali la respirazione subaerea (Huner & Barr, 1991), il comportamento
alimentare generalista ed opportunista (Mills et al., 1994), l’alta fecondità (Huner, 1988), la resistenza alle malattie (Lindqvist & Huner, 1999),
e l’estrema plasticità del suo ciclo biologico (Gherardi et al., 1999) lo
hanno reso particolarmente adatto ad esperienze di acquacoltura
anche a livello amatoriale.
2.1. Esemplare di
P. clarkii allevato
per acquariologia
Grazie a queste caratteristiche è attualmente considerato il gambero
di fiume più diffuso al mondo, con popolazioni naturalizzate praticamente in ogni Continente.
In Italia, a scopo di allevamento e a partire dal 1987, è stato importato
dalla Spagna, dove era presente già dal’72. Al pari di altre nazioni eu-
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ropee, l’inadeguatezza di molti stabilimenti di acquacoltura ha determinato anche nella nostra penisola la fuga di alcuni esemplari e la successiva stabilizzazione di popolazioni riproduttive in habitat naturali.
P. clarkii è oggi presente in numerosi stagni, laghi e corsi d’acqua di diverse Province dell’Italia settentrionale e centrale (Gherardi et al., 1999),
dove, a differenza di quelle della specie nativa Austropotamobius pallipes italicus, le popolazioni sembrano crescere rapidamente.
In Italia, in cui la prima popolazione riproduttiva documentata è
stata individuata in Piemonte nel 1989 (Del Mastro, 1992, 1999), la specie è ormai diffusa in molte Regioni: Lombardia, Liguria ed Emilia Romagna (Mazzoni et al., 1996); Toscana (Baldaccini 1995; Gherardi et al.,
1999); Umbria (Dorr et al., 2003); Marche (Gabucci et al. , 1990); Lazio
(Gherardi et al., 1999); Abruzzo (Gherardi et al., 1999); Sicilia (D’Angelo
& Lo Valvo, 2003). Nel 2005 la presenza di P. clarkii è stata pure accertata in alcuni corsi d’acqua della Sardegna centrosettentrionale.
Attualmente è stato rinvenuto anche nel territorio veneziano, ed ora
anche in Friuli Venezia Giulia.
3. Province italiane
dove sono attualmente presenti
in natura popolazioni di P. clarkii;
in verde il FVG
Ormai il gambero della Louisiana è ritenuto dalla maggior parte degli
studiosi la specie aliena più dannosa presente in Italia dove in alcune
zone della Lombardia, ad esempio, oggi rappresenta l’invertebrato di
10
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grossa taglia più comune.
Un quadro abbastanza esaustivo della sua presenza e distribuzione,
può fare riferimento alla seguente descrizione presentata nel 1997 nel
corso di uno specifico Convegno sull’argomento e parzialmente revisionata ed aggiornata nel 2008.
A. pallipes
A. torrentium
A. astacus
P. leniusculus
O. limosus
A. leptodactylus
C. destructor
P. clarkii
4. G. De Luise, A. Sabbadini 1997. Conservation and Enhancement of native crayfish of
Italy. Roundtable The introduction of alien species of crayfish in Europe, How to make the best of
a bad situation? Firenze, 24-27 Settembre 1997. Aggiornato al 2008
11
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Distribuzione del Procambarus clarkii nella Regione Friuli Venezia Giulia
I
l ritrovamento di Procambarus clarkii in alcune acque della nostra Regione ha confermato la presenza di questa specie che, nei siti indagati
e puntualmente georeferenziati, è risultata essere anche elevata, con
percentuali stimate oscillanti da 1,7 a 3 individui/m2. Nell’interpretazione dei dati emersi sono state utilizzate le due seguenti Tabelle:
Tab 1. Indice di
abbondanza di Moyle
& Nichols (1973)
modificato
Numero individui osservati
su un tratto lineare di 50 mt
1-2
3 - 10
11 - 20
21 - 50
Oltre 50
Indice di Abbondanza
Tab 2. Indice di
struttura di popolazione
Livello di struttura della popolazione
Popolazione strutturata
Popolazione non strutturata
con dominanza di individui giovani
Popolazione non strutturata
con dominanza di individui adulti
Indice di Struttura
1
1
2
3
4
5
2
3
Di seguito si riportano sinteticamente i rispettivi Indici di abbondanza
e di struttura delle popolazioni catturate, i cui valori sono stati assegnati in modo oggettivo in base al numero e soprattutto alle classi di
età e di lunghezza rilevate:
Collegio n.
2
3
12
14
14
14
15
15
Indice di
abbondanza
5
3
4
2
2
3
3
3
Indice di
struttura
1
1
1
2
1
1
1
1
Nonostante che la verifica sia stata condotta solo su alcuni e precisi
punti, dai dati della Tabella riassuntiva emerge comunque uno stato di
12
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fatto che vede la presenza di questo gambero purtroppo ben consolidata e ben radicata con tutti gli effetti negativi (ambientali, fisici e faunistici) conseguenti.
Questa situazione è particolarmente evidente soprattutto in una zona
del monfalconese compresa in un’area SIC (Siti di Importanza Comunitaria) molto vasta (IT333005). In questa zona bisognerà approntare
delle soluzione tecniche e pratiche sul lungo periodo, pena la futura alterazione dell’intero territorio, e dove questi animali dovranno essere
gestiti secondo le vigenti e specifiche normative comunitarie.
Gli animali catturati invece nel
Collegio n.14 e nella fattispecie nel Fiume Torsa, ma soprattutto nel Fiume Stella, pur
non propriamente coincidenti
con l’area SIC (IT 3320026),
sono con tutta probabilità
ben presenti anche in questa
zona protetta.
5. Parte della
cattura effettuata nell’area
SIC IT333005 nel 2009
6. Esemplare adulto catturato nel fiume Stella
13
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2 Dove è riportato il reticolo relativo alla Carta Tecnica Regionale
ed ogni bollino rosso indica il foglio 1:5000 entro cui è compresa
la località di ritrovamento.
3 Ovvero la loro capacità di compiere anche grandi spostamenti.
14
La Cartina che segue2, evidenzia l’areale presunto del P. clarkii sul territorio regionale, ed i ritrovamenti accertati durante i campionamenti.
È chiaro che la presenza anche nelle acque regionali di questa fauna
indigena, deriva da una sua introduzione volontaria a scopo sia di pesca
sportiva, sia per utilizzarla come esca viva (a detta degli esperti altamente attrattiva verso alcune specie ittiche), sia alimentare, e sia a
scopo amatoriale; tutti questi fattori rappresentano infatti, la principale causa della sua rapida espansione osservata in tutta Europa negli
ultimi anni; tali pratiche di transfaunazione attiva hanno sicuramente
contribuito alla rapida diffusione della specie, amplificata anche dalla
vagilità3 intrinseca di questi animali.
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7. Preparativi per il monitoraggio
del P. clarkii in un area all’interno di
una azienda agricola in provincia di Gorizia
8. Esemplare di P. clarkii
mentre si alimenta in
un canale in pieno giorno
15
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Riconoscimento della specie Procambarus clarkii
S
e comparato ai generi Astacus e Austropotamobius presenti nella
nostra Regione, il genere Procambarus al quale appartiene il P. clarkii e che conta oltre 140 specie, si differenzia agevolmente per molteplici caratteristiche.
Osservando la morfologia di questi animali, si possono apprezzare
macroscopiche differenze soprattutto per quanto riguarda la loro struttura e soprattutto la colorazione del loro corpo; al genere Astacus appartengono animali capaci di raggiungere taglie elevate (talora fino a
300 gr.), al contrario degli individui del genere Austropotamobius che,
invece, se rapportati ai primi, risultano di piccola taglia (raggiungono
solo in casi eccezionali 130 gr.).
9. Comparazione morfologica generale delle specie presenti in Friuli Venezia Giulia
Austropotamobius pallipes
16
Austropotamobius torrentium
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Se si osserva un Procambarus clarkii, lo si distingue immediatamente
dai gamberi nostrani principalmente per l’intensa colorazione rossa del
suo esoscheletro, particolarmente accentuata sulle chele degli esemplari adulti.
Procambarus clarkii
Astacus astacus
17
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4 G. De Luise (2003) Guida ai crostacei d’acqua dolce del Friuli Venezia Giulia pp.31- Ente Tutela
Pesca del Friuli Venezia Giulia.
Le Principali caratteristiche morfologiche sulle quali si basa il riconoscimento delle specie di gamberi attualmente presenti nelle nostre
acque, oltre alle dimensioni e alle tipiche colorazioni del corpo4 riguardano soprattutto il rostro con il cefalotorace, le chele e l’addome.
10. Comparazione dei cefalotoraci delle quattro specie:
A) Austropotamobius pallipes, B) Austropotamobius torrentium,
C) Astacus astacus, D) Procambarus clarkii.
Nello specifico:
Il cefalotorace del Pallipes termina con un rostro a forma triangolare, depresso dorso ventralmente i cui bordi si presentano convergenti
anteriormente in modo regolare verso l’apice;
sulla faccia superiore è presente una cresta
mediana (Cr) poco marcata e non denticolata;
dietro il solco cervicale (Sc) sono presenti lateralmente delle spine (Sp) abbastanza evidenti. I solchi bradiocardici (sbc) sono ben
evidenti, distanziati e quasi paralleli.
11. Particolare del cefalotorace di un A. pallipes
18
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Il cefalotorace del Torrentium termina con un rostro a forma leggermente allungata e proporzionalmente più sviluppato di quello del
pallipes, i cui bordi convergono leggermente verso la parte anteriore a forma di triangolo equilatero; sulla faccia anteriore non
ci sono creste medio dorsali; dietro il solco cervicale (Sc) lateralmente non sono mai presenti spine, ma solo delle leggere
protuberanze arrotondate. I due solchi bradiocardici (sbc)
sono ben marcati e distanziati.
12. Particolare del cefalotorace di un A. torrentium
Il cefalotorace dell’Astacus, più robusto e largo delle
altre due specie, termina con un rostro snello a forma
di grondaia, con i bordi lisci e quasi paralleli; la parte
terminale ha una forma triangolare ben marcata. E’
provvisto di una cresta mediana (Cr) nettamente dentellata (carattere che si può maggiormente apprezzare esaminando il rostro di profilo); dietro il solco
cervicale (Sc) sono presenti da una a due spine (Sp). I
due solchi bradiocardici (Sbc) risultano arcuati e distanziati tra loro.
13. Particolare del cefalotorace di un A. astacus
19
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Il cefalotorace del Procambarus appare marcatamente granuloso e
rugoso sia prima, sia dopo il solco cervicale (Sc).
Il rostro, piuttosto breve e stretto, assume una forma triangolare
che si allarga progressivamente dall’apice alla base, con i margini laterali provvisti di una sola spina post orbitale. La cresta
mediana è assente ed i solchi bradiocardici (Sbc), a differenza delle altre tre specie, sono uniti nella linea mediana.
14. Particolare del cefalotorace di un P. clarkii
Un’ulteriore caratteristica distintiva ben evidente è l’addome
che, al di là della tipica colorazione dei gamberi nostrani, nel
P. clarkii presenta delle bande scure sulla parte dorsale.
15. Comparazione degli addomi delle quattro specie:
1) Austropotamobius pallipes, 2) Austropotamobius torrentium, 3) Astacus astacus, 4) Procambarus clarkii
20
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Comparando inoltre tra loro le chele delle 4 specie, si possono agevolmente osservare le evidenti e macroscopiche differenze tra quelle delle
specie autoctone e quella del clarkii.
16. A.pallipes
La chela è robusta e tozza con una
superficie finemente granulosa, sul
dito fisso è ben evidente uno scalino
sul margine interno
17. A.torrentium
La chela, che raggiunge maggiori dimensioni nella femmina, appare robusta, tozza e scabra con le ganasce
adornate di tubercoli ed incisure di
colore giallo aranciato
Sc
18. A.astacus
La chela è grossa e robusta
con le ganasce provviste di
evidenti tubercoli, con incavature lungo tutte le
dita; sul dito fisso è ben
evidente uno scalino (Sc)
sul margine interno, ed
una parte concava che, delimitata da due tubercoli.
Ventralmente entrambe le
chele assumono un tipico
colore rosso carminio più o
meno intenso, sovente
tendente all’arancio
19. P.clarkii
Le chele sono ben sviluppate con le
loro ganasce rugose, uncinate ed ornate di tubercoli e spinule rosse, con
i margini le cui rientranze - opposte
fra loro - formano un organo di presa
estremamente efficace. Sul carpopodite dei due chelipedi è ben visibile
un robusto ed arcuato sperone, accompagnato da spine più piccole
21
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A differenza delle nostre specie autoctone infine, se si osserva la parte
ventrale di un maschio di clarkii in periodo riproduttivo, sono ben visibili alla base del 3° e 4° paio di pereiopodi dei piccoli denti uncinati.
Tale particolarità, esclusiva della famiglia dei Cambaridi, aiuta a trattenere la femmina durante l’accoppiamento.
20. Maschio di
Procambarus clarkii in
posizione ventrale
con i denti uncinati
ben visibili in P3 e P4
5 Vengono emesse nel corso
dell’accoppiamento che si
svolge in modo simile alle
altre specie di gamberi;
sono una sorta di cilindretti
contenenti gli spermatozoi che,
a contatto con l’acqua,
solidificano in una specie di
placca che li conserva
attivi per un lungo periodo.
21. Femmina di clarkii
in posizione ventrale dove
risultano ben visibili gli sbocchi
dei due ovidutti (OD) in P3
e l’annulum ventralis (AV)
22
Nella femmina di questa specie poi, le spermatofore5 del maschio vengono ricevute negli appositi ricettacoli seminali che, nei Cambaridi per
l’appunto, formano una caratteristica struttura impari mediana, conosciuta con il nome di annulum ventralis.
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Biologia ed Ecologia
I
risultati ottenuti da numerose ricerche condotte, hanno permesso di
definire un quadro sintetico che evidenzia alcune tra le caratteristiche
eco-etologiche della specie Procambarus clarkii che ne favoriscono una
rapida diffusione in natura:
- il suo ciclo biologico altamente plastico, che riflette il ciclo idrogeologico e le variazioni della temperatura dell’acqua delle aree invase
(Gutierrez -Yurrita et al., 1999);
- la resistenza a stress ambientali, quali temperature estreme (Gherardi & Holdich, 1999; Paglianti & Gherardi, 2002), l’assenza di acqua
superficiale, salinità, le basse concentrazioni di ossigeno e la presenza di agenti inquinanti (Gherardi et al., 2002a);
- l’uso di tane, come risorsa fondamentale in alcuni momenti delicati
del ciclo vitale (muta e riproduzione) e
in condizioni ambientali estreme (disseccamento ed elevate temperature);
- l’elevata capacità di dispersione attiva
(Gherardi et al., 2000; Gherardi et al.,
2002b;Gherardi & Barbaresi, 2000;
Gherardi et al., 2002c, Barbaresi et al.,
2004b);
- le abitudini alimentari generaliste (Gherardi et al., in prep.);
- la superiorità competitiva rispetto alle
specie indigene per le maggiori dimensioni, le chele più grandi ed efficienti e
la maggiore aggressività (Gherardi &
Cioni, 2004).
P. clarkii è un crostaceo estremamente rustico e scavatore, a sviluppo molto rapido,
originario da corpi idrici lentici e lotici caldi
ove si è adattato anche a luoghi e periodi
nei quali le acque possono mancare per molti mesi all’anno.
Per questo motivo trova l’ambiente ideale nelle paludi anche solo stagionalmente allagate, nei terreni agricoli ad inondazione periodica
come le risaie, nel greto fangoso di corsi d’acqua periodicamente in
secca, come pure in canali di bonifica e nelle loro innumerevoli diramazioni; ciò non toglie comunque, che questo gambero non abiti pure
in corsi d’acqua perenni, anche di grandi dimensioni.
22. Comparazione
delle diverse forme
(F1 e F2-pag.23)
e colorazioni dei chelipedi,
riscontrata in alcuni
soggetti catturati
23
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E’ stato accertato che, laddove presente, tende a prendere il
sopravvento su altri animali, sia crostacei, sia pesci non predatori,
diventando in pochissimo tempo - anche a causa dell’assenza di
specifici predatori naturali – l’anello più forte della catena ecologica.
In ambiente naturale, il suo ciclo biologico generalmente non supera i
12-18 mesi (Souty-Grosset et al., 2006); è quindi un gambero dalla vita
breve ma dalla eccezionale fertilità.
23. Due soggetti F 1 catturati nelle acque del FVG
24. Veduta ventrale di tre femmine
catturate nel 2009 nelle acque del FVG:
comparazione tra le due forme con
l’evidente dimorfismo
24
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P. clarkii può essere considerata una specie cosiddetta r-selezionata,
una strategia riproduttiva, questa, tipica dei colonizzatori e di animali
che vivono in ambienti instabili. Presenta infatti un’elevata fecondità
(300-600 uova), una rapida crescita, una maturità precoce (raggiunta a
3-5 mesi di età e ad una lunghezza totale di 55-125 mm), associata ad
una riproduzione annuale multipla. Nella famiglia di appartenenza del
Procambarus, quella dei Cambaridi, una volta raggiunta la maturità biologica, si osserva6 l‘alternanza di due differenti forme, definite forma I (F1)
e forma II (F2). La forma I corrisponde al gambero sessualmente attivo e
viene mantenuta durante tutto il periodo riproduttivo; essa comporta alcune importanti modifiche morfologiche particolarmente evidenti nel ma-
6 a differenza degli Astacidi
(ovvero dei gamberi autoctoni
europei).
25. Due P. clarkii,
a dx forma sessualmente attiva
F1, a sinistra la forma
sessualmente inattiva F2
26. Femmina
ovifera di P. clarkii
schio osservando soprattutto le chele che, in questa fase, si allungano e
si irrobustiscono (foto 22). La colorazione generale del corpo, prima dai
toni tenui e smorti, grigiastro,talora di colore marrone cangiante al verde7
(vedi immagine n.42), in F1 assume una tinta uniforme rosso scuro, su cui
spiccano i tubercoli spinosi rosso rubino di tutto l’esoscheletro.
Nella femmina invece, tali modifiche risultano meno spettacolari e si
limitano semplicemente ad un ingrossamento delle chele.
7 All’occhio di un profano
potrebbe essere confuso
con il gambero comune.
25
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8 Come avviene per le specie di
gamberi che conosciamo.
In condizioni normali, alcune settimane dopo l‘accoppiamento (nelle
femmine circa tre dopo la schiusa delle uova) il gambero va incontro
ad una muta passando nuovamente alla forma II, sessualmente inattiva: le chele risultano più corte e sottili, la colorazione è meno accentuata, si nota l’assenza di uncini, ed i gonopodi del maschio si
presentano poco sclerificati. La forma I subentrerà nuovamente, con
una muta, al successivo periodo riproduttivo.
In realtà, in specie come Procambarus frequentemente si può osservare, una volta raggiunta la maturità sessuale, solo la forma I caratteristica, questa, evidente soprattutto nei soggetti che vivono in acque
costantemente calde. Il passaggio dalla fase I alla fase II e viceversa,
come già detto avviene attraverso una muta, ma non sono tuttora
chiari i fattori che inducono maschi maturi a non esplicare la propria
attività riproduttiva almeno per un dato periodo. I risultati di alcuni
studi in tal senso (es. Barbaresi et al., 2004), indicano chiaramente che
la forma I é più rappresentata nelle classi di taglia maggiori e la forma
II in quelle di taglia minore. Il ciclo di maturazione delle uova dura da 6
settimane a 8 mesi (in rapporto alla qualità del sito), l‘incubazione propriamente detta, invece, da 2-3 settimane a 2-3 mesi, sempre in rapporto alla temperatura dell’acqua. Durante questa fase, la femmina
non tiene continuamente sommerse le uova8 in quanto, nell’habitat caratteristico di questa specie, l‘acqua (nel periodo riproduttivo, ovvero
nei mesi più caldi) è carente di ossigeno, per cui è preferibile che le uova
stesse siano esposte sovente all’aria dove, grazie al movimento incessante dei pleopodi ai quali sono attaccate, possono ricevere l’ossigeno
necessario al loro sviluppo. La crescita è assai rapida, a temperature
comprese fra 20°C e 30°C, il giovane nato può mutare ogni 5-10 giorni;
27. Giovani larve 0+
catturate in provincia di Gorizia
26
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in natura la maturità sessuale, come già visto,
in condizioni ottimali del sito acquatico è
raggiunta in 3-5 mesi, ovvero tra i 5 ed i 12
cm di lunghezza.
Alle nostre latitudini, ed in modo particolare quando l’allagamento dei terreni ha
una durata sufficiente, la specie presenta
di solito almeno due generazioni all’anno;
in altre tipologie di corsi d’acqua a carattere perenne, invece, si è visto che questi
crostacei sono in grado di raggiungere persino
quattro successive deposizioni annuali.
In relazione principalmente alle condizioni idrologiche e alla temperatura dell’acqua (Gutierrez- Yurrita et al., 1999) il ciclo biologico del P.
clarkii si è dimostrato estremamente plastico, con il raggiungimento
della maturità sessuale in molti casi, ad una taglia che può variare da
meno di 45 mm a più di 125 mm, eccezionalmente 150. Un individuo di
P. clarkii può superare i 50 g di peso già all’età di 3-5 mesi, ed una femmina di 10 cm di lunghezza può produrre fino a 600 uova per ciascuna
deposizione. Come già ricordato, lo sviluppo dei piccoli dipende molto
dalla temperatura: esso avviene in circa 2-3 settimane a 22°C, mentre
risulta praticamente fermo al di sotto dei 10°C. Le femmine di questa
specie, al pari di tutti gli altri crostacei acquidulcicoli, hanno un’estrema
cura della loro prole, che proteggono e trasportano anche per lungo
tempo, permettendo così ai piccoli di completare il loro sviluppo, non
appena le condizioni ambientali diventano favorevoli.
Dopo essersi allontanati dalla madre, i giovani crostacei – come già ricordato - mutano frequentemente e per almeno due settimane si alimentano voracemente, assumendo nel frattempo un aspetto
simile all’ adulto (Hunter e Barr, 1994, in Ackefors, 1999).
Le temperature ottimali per questa specie si collocano tra i 21ed i 27C°, con un blocco della crescita a temperature inferiori a 12° C
(Ackefors, 1999); è pure in grado di sopportare condizioni ambientali estreme
e vivere a temperature fino a 35°C, limite massimo per la sua sopravvivenza. Esperimenti di laboratorio
28. Giovane
esemplare di c.a. 4 cm.
catturato nel corso
della presente indagine
29. P. clarkii in tana
27
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30. Rappresentazione
schematica del percorso di due
P. clarkii dotati di microsegnalatore (immagine al centro)
che in particolari condizioni
possono spostarsi anche
velocemente come ben si
vede dal tracciato.
Da Gherardi & Barbaresi
(2001) modificato
9 Tale comportamento è completamento diverso da quello
dei gamberi autoctoni che, al
contrario, seguono delle precise
tappe biologiche dettate, in
questo caso, dai gradi giorno
dell’acqua come peraltro avviene per le specie ittiche.
28
hanno inoltre appurato la capacità di P. clarkii di sopravvivere e mantenere elevati tassi di accrescimento a temperature maggiori di quelle
tollerate dal gambero autoctono (Austropotamobius pallipes), indicando una maggiore possibilità della prima specie di occupare così pure
ambienti soggetti a inquinamento termico (Paglianti e Gherardi, 2004).
Da un punto di vista comportamentale è interessante notare che P.
clarkii alterna due modelli di attività, una fase errante, senza alcuna periodicità quotidiana, caratterizzata da picchi di breve ed elevata velocità
di locomozione ed una fase più statica, durante la quale il gambero si
nasconde durante il giorno nelle gallerie delle sue tane, emergendo
solo al crepuscolo per alimentarsi.
Durante la fase errante, i maschi riproduttori sono in grado di spostarsi
fino a 17 km in quattro giorni coprendo un’area estremamente vasta.
Questa attività intensa aiuta senza dubbio la dispersione di questa
specie (Gherardi e Barbaresi, 2000. Infrastruttura nazionale biologica
dell’informazione (NBII) & IUCN/CSD invasive specie Specialist Group).
Quando il clarkii avverte lo stimolo migratorio esso può percorrere lunghe distanze (anche 3 Km in una notte), spostandosi senza apparenti
problemi fuori dall’acqua anche durante il giorno.
Il loro successo come colonizzatori è dovuto anche ad una loro tipica
strategia definita a sviluppo ritardabile9.
Quando arriva in un ambiente, il gambero della Louisiana ne prende rapidamente possesso, occupando qualsiasi habitat molto in fretta, grazie
anche al fatto che può adattarsi alle condizioni ambientali più diverse,
colonizzando persino le acque salmastre dove, a differenza dei nostri crostacei è in grado di sopravvivere fino a valori del 20‰, tollerando senza
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problemi periodi di disseccamento ed acidità dell’acqua, e potendo vivere in un intervallo di pH compreso fra 5,6 e 10,4. Si ritrova pure in ambienti asfittici con l’Ossigeno inferiore ad 1 mg/l; ciò è possibile grazie
alla particolare conformazione della sua camera branchiale che, al pari
di altri crostacei, basta che contenga una minima quantità d’acqua per
31. Esemplare di
P. clarkii in acque basse alla
ricerca di alimento
32. Uno dei tanti
canali presenti nell’Area
SIC 333005
29
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10 Questa struttura ghiandolare, svolge in parte un’azione
paragonabile a quella del fegato dei vertebrati; è formata
da numerose cavità dove giungono gli alimenti liquidi e dove
grassi, proteine e carboidrati,
vengono digeriti grazie agli enzimi secreti dalla ghiandola,
33. Immagine al
microscopio di Microcystis
aeruginosa
30
poter sfruttare sia l’ossigeno acquatico, sia quello atmosferico integrando al bisogno la respirazione acquatica con quella aerea (Huner &
Barr1984); in tal modo il clarkii può così rimanere in acque calde con
temperature di 25°C addirittura in anaerobiosi totale fino a 12 ore; lo
stesso accade in acque più fredde con valori inferiori a 10°C, dove sopravvive senza apparenti problemi per alcune settimane. In caso di
anossia ambientale, può raggiungere le acque basse delle rive od uscire
sulla terra ferma proseguendo le sue normali attività. Ciò spiega come
questa specie sia capace di restare vitale per lungo tempo all’interno
delle profonde tane anche se il sito è stato prosciugato, sfruttando
l’umidità del terreno.
Un’ulteriore caratteristica che lo contraddistingue dai gamberi presenti
nelle nostre acque, è la resistenza che questa specie manifesta a moderate quantità di inquinanti, decisamente superiori a quelle tollerate
dalle nostre specie, tanto da rappresentare un serio rischio per la contaminazione dei livelli superiori della catena trofica, uomo incluso; ciò
a causa principalmente dell’accumulo di metalli pesanti all’interno dei
tessuti dell’animale, in particolare nell’epatopancreas10 e sul suo esoscheletro. Esiste quindi un reale problema di possibile non commestibilità legata evidentemente al luogo dove questi gamberi sono stati
pescati, con la conseguente possibilità che le sostanze assorbite dall’animale lo contaminino irrimediabilmente. Utilizzato anche a scopo
alimentare, questo crostaceo potrebbe risultare un vettore (ad esempio di piombo) anche per l’uomo.
In assenza di certificazioni sanitarie, quindi, la specie se utilizzata a
scopo alimentare, potrebbe costituire un pericolo per la salute umana,
non quanto per i livelli di metallo pesante accumulato nella parte edi-
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bile, ma soprattutto per le elevate concentrazioni presenti nel contenuto intestinale (spesso difficile da eliminare), derivanti dal sedimento
introdotto con alimentazione. Un ulteriore problema è quello dell’altrettanto reale possibilità per questi crostacei di contaminare animali predatori (uomo compreso) con delle tossine. A tal proposito negli ultimi anni,
la crescente eutrofizzazione delle acque dolci ha causato la formazione
di consistenti fioriture di
cianobatteri che, in determinate condizioni ambientali,possono produrre
tossine che si accumulano nelle acque e nella
fauna ittica, determinando rischi elevati per la
salute umana (Carmichael e Falconer, 1993;
Cox et al, 2005).
Si tratta di sostanze che
vengono conglomerate nelle singole alghe, soprattutto nella loro parete cellulare, e rilasciate poi nelle acque a seguito del loro progressivo
invecchiamento o della loro morte.
Attualmente, in Italia, molte Regioni sono interessare al problema delle
fioriture e l’elenco stilato dal Ministero della Salute (1997) – pur datato - comprende 60 specie di alghe tossiche; alcune di queste, però, rilasciano sostanze il cui effetto tossico può colpire anche organismi
animali, dai piccoli invertebrati acquatici, ai pesci, agli uccelli interessando alla fine anche l’uomo; è questo il caso della Microcystis aeruginosa ed i connessi problemi che può causare.
La sua fioritura si manifesta solitamente a partire dalla seconda metà
della primavera, per tutta l’estate e l’autunno ma si sono registrati
anche casi di fioriture invernali. Le tossine prodotte, dette microcistine,
hanno un effetto epatotossico sui mammiferi, sugli uccelli e sui pesci
e, di conseguenza, anche sull’uomo. Da recenti studi si è accertato che
molte specie ittiche tendono ad accumulare la microcistina nei propri
tessuti ed in particolare nel fegato con ovvi pericoli per il consumatore
(Ade e Funari, I999).
Per questo motivo il consumo di pesci o crostacei può essere potenzialmente pericoloso anche fuori dai periodi di fioritura algale, provo-
34. Fioritura di
Microcystis aeruginosa
osservata nel lago
di Massaciuccoli
31
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35. Distribuzione
in Italia della Microcystis
aeruginosa
11 O cefali
32
cando danni cellulari accumulabili nel tempo; l’organo bersaglio è il fegato ma la tossina sembra esercitare anche un’attività di promotore
tumorale (Ade e Funari, I999). A parità di peso, le microcistine sono 20
volte più potenti dell’acido cianidrico e della stricnina (Bruno et
al.,2004). Dal momento che non esistono antidoti per le tossine prodotte dai cianobatteri (Morari, 1999), risulta essenziale garantire la sicurezza sanitaria del prodotto pescato e commercializzato in aree con
presenza di tale fenomeno
algale.
E’ quello che è accaduto
qualche tempo fa nel lago
di Massaciuccoli dove, proprio durante il periodo
estivo quando l’attività di
pesca è più produttiva, nell’intero bacino sono stare
messe in atto misure cautelative di divieto di pesca a
causa delle consistenti fioriture di M. aeruginosa (Simoni et al., 2004). Sebbene
non fossero stare osservate
morie di pesci e di gamberi
attribuibili a tali esplosioni algali (Simoni et al.,2004), le concentrazioni
di microcistina rinvenute sono risultate superiori al limite raccomandato, inducendo i Comuni del comprensorio ad emanare nel 2002 e nel
2003, il divieto di pesca di entrambe le specie a Massaciuccoli (Simoni
et al.,2004). Da analisi effettuate su campioni dell’ittiofauna prelevati
durante detto fenomeno, è risultato che le maggiori concentrazioni di
microcistina erano presenti, oltre che nel fegato dei Muggini11, nella
parte anteriore (cefalotorace) di P. clarkii (Simoni et al.,2004). con concentrazioni medie di 218.9 μg/kg e le massime di 1092μg/kg. Un dato
rassicurante è comunque che nella parte edule del gambero, la tossina
è stata riscontrata in quantità minimali anche se l’intestino, l’organo
che risulta il maggior accumulatore, spesso viene ingerito dal consumatore assieme all’addome. Tuttavia, l‘asportazione del telson del gambero ne comporta la rimozione, escludendolo quindi dal consumo
(Vasconcelos et al., 2001).
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Le tane del Procambarus clarkii
La tolleranza del P. clarkii a condizioni ambientali estreme può essere
messa in relazione sia ad adattamenti fisiologici sia al suo comportamento di scavo ed occupazione delle caratteristiche tane.
Tali strutture, infatti rappresentano per questa specie una risorsa fondamentale, sia per la difesa da predatori in momenti critici del ciclo vitale, quali la muta e la riproduzione, sia per le condizioni di assenza di
acqua superficiale e di temperature estreme. In ambienti idonei, lo
scavo può essere intensivo e produrre danni, ben documentati nel caso
di aree agricole.
La plasticità comportamentale della specie è confermata anche dalle
sue abitudini trofiche; a tal proposito,infatti, a seconda degli ambienti
l’animale passa da una dieta detritivora ad una basata sul consumo di
materiale vegetale fresco e viceversa, con una netta variazione della
proporzione tra il materiale vegetale e quello animale ingeriti, a favore
del secondo. Quando poi le risorse sono limitate, il clarkii si nutre di ciò
che è maggiormente disponibile nell’habitat.
Nel corso di eventi siccitosi o, comunque, durante i
periodi asciutti si ritira nelle tane, scavate fino alla
profondità di oltre 2 metri (ma si segnalano rifugi fino
anche a 5 metri). In proposito si sono riscontrate sostanziali differenze di tali comportamenti tra le diverse aree geografiche, sia nella durata del periodo
di inattività trascorso all’interno della tana (ibernazione/estivazione), sia nel periodo dell’anno in cui
questo si realizza, come pure nel numero di eventi riproduttivi.
Uno studio condotto su una popolazione italiana
(Gherardi et al., 1999b) ha dimostrato, ad esempio,
che il periodo di ibernazione in tana si protrae per
tutto l’inverno (Novembre-Marzo) e che si realizzano
due eventi riproduttivi, uno in primavera e uno alla
fine dell’estate.
In ogni caso, anche in presenza di un livello idrico normale, i gamberi
utilizzano abitualmente le loro tane come rifugio contro i predatori ed
in ciascuna di esse possono coabitare anche 50 animali.
In base al comportamento sempre legato alla tana, generalmente i
gamberi sono classificati come scavatori primari, secondari e terziari.
Come già ricordato, il clarkii viene normalmente considerato uno sca-
36. Esemplare di
P. clarkii mentre sta
scavando una tana
33
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vatore secondario/terziario: questa specie vive infatti in acque libere e
si ritira nei rifugi durante condizioni ambientali sfavorevoli (fasi di disseccamento e di gelo) e durante alcune fasi vulnerabili del suo ciclo
biologico (es. femmine in prossimità di ovo deposizione, od individui
appena mutati) (Huner & Barr, 1984); a questo proposito Hobbs (1981)
ha fornito un’eccellente descrizione del comportamento di scavo di P.
clarkii, oltre che fornire una classificazione delle diverse categorie e tipologie di tali ricoveri. Di solito la tana più semplice è una struttura subverticale completamente sommersa, raramente più lunga di 15 cm e
serve come rifugio temporaneo (Barbaresi et al., 2004a). Tane sub-verticali leggermente più complesse, inoltre, sono frequentemente associate a radici e grovigli di vegetazione, e risultano lunghe da 40 a 90 cm
e talvolta occluse da tappi di fango. Queste tane possono accogliere da
4 a 10 gamberi. Rifugi ancora più complessi sono orizzontali a forma di
“U” (Parker, 1974; Huner e Barr, 1984) e presentano molti rami e camere laterali dove si possono trovare, come già visto, fino a 50 esemplari riuniti assieme.
37. Tipologie costruttive di rifugi di Procambarus con evidenziati i siti di stazionamento del gambero all’interno della tana e
le diverse strategie di estivazione sul fondo dei bacini in secca durante i periodi più caldi rispetto al livello idrico. (da A. mancini,
1986:Astacicoltura, allevamento e pesca dei gamberi d’acqua dolce. Edagricole, Bologna- modificato)
34
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L’attività di scavo si realizza prevalentemente di notte, ma alcune specie di gambero, incluso il clarkii, possono scavare anche durante le ore
diurne (Gherardi & Barbaresi, 2000).
Un elevato numero di studi (Grow & Merchant, 1979; Grow, 1982; Richardson, 1983; Rogers & Huner, 1985; Hobbs & Whiteman, 1991) a tal
proposito, ha evidenziato che questi gamberi sono incapaci di costruire
tane permanenti in suoli in cui il sedimento è costituito da frazioni di dimensioni maggiori di quelle della sabbia (superiori cioè a 2 mm) e in cui
non vi sia presente dell’acqua libera (Gherardi, 2002; Ilhéu et al., 2003).
38. Uscita secondaria
di una tana osservata ad oltre
due metri dal bordo del corso
d’acqua
35
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39. Particolare dell’ingresso di tane di P. clarkii osservate in prov. di Gorizia
40. Bordo di un canale in provincia di Gorizia con presenza di una colonia di P. clarkii
36
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In condizioni favorevoli di terreno e umidità e se
presenti in numero consistente, i gamberi di questa specie possono smuovere fino a 40.000
Kg/ha di suolo migliorando sì l’ossigenazione dei
terreni ma portando quasi sempre alla distruzione degli argini. Il Procambarus è infatti considerato una vera calamità in molti Paesi, proprio a
causa dei danni prodotti dalle attività di scavo alle
coltivazioni agricole (Hobbs et al., 1989). Quando
l’escavazione delle tane è intensa, può difatti causare seri danni ad aree agricole e ricreative, danneggiando ad esempio piantagioni di riso, dighe,
argini di canali di irrigazione, di fiumi e di laghi
41. P. clarkii che si
dirige verso una tana
42. Particolare di
un esemplare mentre
entra nella tana;
si noti la sua colorazione
verdastra (vedi pag. 21)
37
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(Huner, 1988; Correia & Ferriera, 1995; Anastàcio & Marques, 1997),
come pure la vegetazione riparia. L’impatto su queste piante, oggetto
di un numerosi lavori (Richardson & Wrong, 1995), è principalmente
legato alla costruzione di tane da parte di P. clarkii associato poi ad un
43. Cedimento
strutturale di un tratto della
sponda destra della roggia di
Mortegliano causata
dall’attività di scavo del P. clarkii
effetto esercitato da fattori ambientali come le piogge, le temperature
elevate e l’aridità del terreno,
I risultati inerenti l’effetto diretto esercitato dall’attività di scavo di P.
clarkii, mostrano che circa la metà delle specie sotto cui sono costruite
le tane, più evidenti in Phragmites australis e Carex elata, subiscono un
danno a causa di una maggiore esposizione delle radici all’aria e ad uno
stato di secchezza maggiore.
Ulteriori studi hanno dimostrato inoltre gli effetti sinergici nel tempo
dell’attività di scavo e dell’attività alimentare di P. clarkii nei confronti
di queste specie di macrofite. E’ stato infatti notato che l’attività alimentare di P. clarkii può provocare danni sulla specie P. australis, con taglio alla base delle piante, e Carex elata con consumo delle radici (R.
Petrini, ex verbis). Un ulteriore impatto dei nascondigli di questo animale sull’habitat è l’incremento della torbidità dell’acqua con la successiva riduzione della penetrazione della luce e della produzione e
crescita delle piante (Anastácio & Marques, 1997; Angeler et al., 2001).
A tal proposito un chiaro segnale della sua presenza è dato anche dalla
diminuzione della vegetazione e dall’intorbidimento delle acque, causato sia dal continuo lavoro di scavo per le tane, sia dalla maggiore den-
38
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44. Stagno con
massiccia presenza di P. clarkii
e con evidente intorbidimento
dell’acqua causato dalla
intensa attività di scavo
degli animali
sità del fitoplancton dovuta all’eutrofizzazione provocata dagli animali
stessi. In definitiva dove questo crostaceo si insedia provoca un doppio
danno che è praticamente impossibile sanare, sia a livello fisico
minando la stabilità degli argini dei corsi d’acqua e delle coltivazioni
agricole, sia a livello faunistico.
45. Particolare di
un argine in un’Azienda
agricola del monfalconese con
numerose tane di Clarkii
39
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46. Particolare di
alcuni degli argini interessati
dall’attività di scavo dei
crostacei
47. Evidente
infiltrazione spondale
interessante un tratto di
c.a. 20 metri
40
Come si può osservare
dalle due immagini di un
sito friulano, l’attività di
scavo di questi animali,
unitamente alla loro elevata presenza, evidenziano i chiari segni di
indebolimento e di demolizione degli argini, come
pure le palesi infiltrazioni
che preludono ad un prossimo crollo degli stessi,
con effetti analoghi a
quelli causati dalle Nutrie
(Myocastor coypus).
Sopravvive anche in
acque occasionalmente
coperte da ghiaccio, ed è
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stato appurato che alle nostre latitudini è in grado di acclimatarsi anche in
siti montani fino a circa 1200 m s.l.m..
La presenza di popolazioni riproduttive
in alcune aree dell’Europa centro-settentrionale (Gherardi e Holdich,1999)
sembra infatti indicare che le basse
temperature non costituiscono, come
al contrario riportato in letteratura, un
fattore limitante il successo riproduttivo e la distribuzione della specie.
Non va poi dimenticato che questo crostaceo alberga facilmente sia
in pozze e canali, sia negli stagni come pure nei fossi e torrentelli, estendendo il proprio areale fino alla collina e alle medie montagne.
Riguardo alla sua dieta, essa è alquanto varia, cibandosi di ogni
sostanza organica disponibile, animale e vegetale. Questo gambero è
anche in grado di catturare e manipolare molto più velocemente le
prede rispetto ai nostri crostacei ed è capace di cibarsi di alimenti nuovi
mai visti prima. Pur essendo onnivori e sovente – al pari di tutti i crostacei - anche cannibali, il regime alimentare degli adulti di P. clarkii è
principalmente vegetariano, cibandosi preferibilmente di macrofite
48. Esemplare adulto
di P. clarkii in prossimità del
canale Brancolo
(provincia di Gorizia)
49. Esemplare adulto
catturato con bilancino
innescato con del fegato suino
41
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(prediligendo ad esempio il Myriophyllum, la Chara, il Potamogeton e la
Nymphaea), secondariamente è detritivoro con delle varianti a seconda
delle età e della stagione, al contrario dei giovani che invece preferiscono i macroinvertebrati. Dal punto di vista biologico, la presenza di
popolazioni naturalizzate di gamberi non indigeni, che spesso raggiungono densità maggiori rispetto a quelli nativi, può produrre diversi
cambiamenti. In particolare, il loro comportamento alimentare, soprattutto su molluschi, insetti, anfibi, pesci e macrofite, può indurre pesanti modificazioni nella rete trofica, giungendo perfino all’eliminazione
di alcune specie (Nyström,1999); alcuni macroinvertebrati molto diffusi e comuni anche nelle nostre acque, oggi sono diventati estremamente rari (ad esempio Gasteropodi del genere Limnea e Planorbis).
Anche certe macrofite acquatiche, di notevole interesse floristico ed
abbondanti in molti siti acquatici fino a pochi anni fa, sono oggi scomparse o ridotte a pochi esemplari.
Un’altra caratteristica negativa del gambero della Louisiana è che, se
presente, preda attivamente soprattutto girini e piccoli anfibi, ivi compresi i sempre più minacciati Tritoni, ma anche piccoli pesci e loro avannotti. Nonostante le abitudini vegetariane, nel corso della presente
ricerca si è osservato che, laddove l’ittiofauna non carnivora abbonda,
essa diviene la componente alimentare principale di questa specie. Nell’elenco dell’ittiofauna predate fa eccezione la Gambusia (Gambusia
affinis) che non sembra diminuire in presenza di P. clarkii, probabilmente
perché questi pesci rappresentano delle prede estremamente mobili
50. P. clarkii incontrato
sulla terraferma, lontano
dal corso d’acqua in
atteggiamento di difesa
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e quindi difficilmente catturabili (D’Abramo & Robinson, 1989; Ilhéu & Bernardo, 1993ab). In
base a quanto affermato da Ilhéu & Bernardo (1993ab) e Lowery & Mendes
(1977), P. clarkii oltre ai vari pesci vivi,
cattura più velocemente quelli ammalati
o con lesioni e mutilazioni ed, in alcuni
casi, causa danni sub-letali soprattutto
agli avannotti. In generale, comunque, i
cambiamenti riscontrati nelle comunità di pesci
a causa dell’introduzione di gamberi non indigeni
(Lodge et al., 1994) sono associati alla capacità di queste specie di predare uova (Dean,1969; Magnuson et al., 1975; Savino & Miller, 1991; Miller et al., 1992; Ilhéu & Bernardo,1993ab; Love & Savino,
1993; Rubin & Svensson, 1993; Guan & Wiles, 1997) e, come già visto,
di alterare l’habitat attraverso il consumo
selettivo di macrofite (Serol & Coler,
1975; Lodge& Lorman, 1987).
Dal punto di vista sanitario, è stato ampiamente accertato che il gambero della
Louisiana sovente è portatore sano della
Peste dei gamberi, veicolata dal fungo
Aphanomyces astaci (Schikora) trasmettendo così la patologia ai gamberi autoctoni presenti; può anche essere affetto da
alcune forme virali che possono rivelarsi
dannose sia per gli allevamenti ittici ed
astacicoli, ma che non risultano efficaci
per controllare le popolazioni naturalizzate di P. clarkii. Oltre ad essere un vincente competitore dei gamberi
autoctoni, come l’Austropotamobius pallipes italicus, questo animale
ne favorisce il contagio, sia direttamente che indirettamente; ciò a
causa dei pescatori, dei pesci e degli uccelli che lo predano che possono contribuire alla diffusione dei rispettivi agenti eziologici, spore in
primis. Non a caso è proprio di pochi mesi fa la notizia della ricomparsa
della Peste del gambero in popolazioni di A. pallipes dell’Abruzzo, del
Lazio e della Toscana dovuta con tutta probabilità alla diffusione di P.
clarkii in questi areali.
51. P. clarkii mentre
si alimenta con un pesce
appena catturato
52. Resti di pesce
adulto predato da Clarkii
tratto da un fotogramma
di un video
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Predatori naturali
53. Airone bianco
(Casmerodius albus) con un
P. clarkii appena catturato
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Nella Regione di origine, la popolazione di questi gamberi è tenuta
sotto controllo grazie alla predazione non solo di vari uccelli, tra cui particolarmente efficienti i Cormorani, gli Ardeidi, i Corvidi, i Falchi ed i Gufi,
ma anche di Lontre,Visoni, Procioni e Rettili, inclusi Tartarughe e Alligatori, come pure da pesci predatori di grande taglia. Non sono invece
segnalati specifici nemici naturali a livello di parassiti o batteri. In Italia non si può fare assegnamento su un’altrettanto ricca fauna selvatica per la naturale limitazione di P. clarkii. Siamo perciò praticamente
senza difese, salvo l’aiuto che ci possono dare alcuni uccelli che hanno
imparato a cibarsene (Aironi, Garzette, Tarabusi ad esempio, come pure
dei ratti presenti in zona), come dimostrano gli abbondanti residui di
gamberi lungo il perimetro dei luoghi umidi infestati. Da noi ha ancora
troppo pochi nemici naturali, ed è evitato anche da svariati uccelli ittiofagi, soprattutto di piccola taglia, perché molto battagliero e capace
di difendersi con le chele e la coda e causare anche ferite e lesioni ai
malcapitati predatori soprattutto a livello gastro esofageo. In molte
altre aree italiane dove questo gambero è da tempo presente, si è visto
che alla comparsa di popolazioni ad alta densità di P. clarkii è associata
la sempre più diffusa utilizzazione di questa specie come preda da
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parte di alcune specie di uccelli; resti di gamberi sono infatti sempre
più spesso rinvenuti intorno alle garzaie in particolar modo durante il
periodo riproduttivo di molti Ardeidi; da un confronto con i dati relativi
all’alimentazione di questi uccelli nelle fasi pre e post invasione di P.
clarkii, si è visto che le catene alimentari dell’ecosistema si sono nettamente semplificate. In pratica, il Gambero della Louisiana è andato a
sostituire nella dieta degli Aironi (ma probabilmente anche di altri
gruppi) quell’ampio spettro di prede che in passato era costituito dagli
invertebrati acquatici e dagli anfibi. In questi siti inoltre, la diversa distribuzione di individui mutilati nelle varie classi di taglia, potrebbe riflettere la presenza di un maggiore comportamento difensivo nei
confronti di predatori da parte di animali più piccoli. Casualmente può
essere predato anche da specie onnivore come la Folaga che, pur con
un regime alimentare principalmente vegetariano, se riesce, non disdegna questo animale con cui condivide l’habitat. Ricerche di campo
condotte per oltre un decennio anche nel nostro Paese su certe specie
di pesci, hanno accertato che alcune di esse si cibano di questi gamberi.
Tra i pesci autoctoni, soprattutto il Luccio (Esox lucius) ed il pesce Gatto
(Ictalurus melas) predano attivamente il Procambarus; merita inoltre ricordare anche l’Anguilla (Anguilla anguilla) che si è dimostrata un’ efficiente predatrice di questo crostaceo ed in particolar modo delle sue
forme giovanili; non a caso in Svizzera si è tentato di utilizzarla per controllarne le popolazioni.
54. Folaga
(Fulica atra) con un P. clarkii
di notevoli dimensioni
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Gestione e controllo
Molti Paesi europei e Regioni italiane, da tempo si sono mosse legiferando in materia e, non a caso, la UE ha certificato che il Procambarus
rientra nella lista delle 100 specie invasive più pericolose al mondo (Delivering Alien Invasive Species Inventories for Europe).
Seguendo le diverse esperienze europee in questo specifico campo,i
provvedimenti tecnici e politici che dovranno essere intrapresi senza
esitare nella nostra Regione, possono essere riassunti e sintetizzati nei
seguenti punti con le rispettive priorità di intervento:
- prosieguo del monitoraggio del P. clarkii in forma più mirata ed
analitica;
- tutoraggio degli agenti di vigilanza di ogni corpo di appartenenza
(regionale, provinciale e dello Stato);
- verifica della possibilità di estendere la cattura da parte dei pescatori sportivi di questa specie, inserendola a titolo nel Calendario di pesca con le ovvie regolamentazioni;
- tutoraggio di un limitato e scelto numero di soggetti in possesso
della licenza di pesca al fine di rilasciare una specifica delega atta
alla cattura del Clarkii senza limiti temporali e con ogni mezzo consentito; in questo caso, ovviamente, dovrà essere predisposto un
apposito piano di intervento con l’obbligatorietà di istituire un
punto di controllo del pescato;
- nella reale impossibilità di eradicarla, messa a punto di un piano di
catture selettive della specie nell’area SIC, al fine di mantenere la
popolazione a un livello non virulento;
- coinvolgimento dell’ARPA per la verifica dei bioaccumuli e delle fitotossine con particolare riguardo all’area di transizione della zona
Alberoni; ciò perché l’utilizzazione del materiale pescato deve essere valuta attentamente, soprattutto se il prodotto viene destinato a scopi alimentari od immesso, come già accaduto sul
mercato di Grado. In questo senso sono necessarie analisi approfondite per accertare se tali animali risulteranno commestibili;
- coinvolgimento diretto della Protezione civile al fine di monitorate
altre aree che presentino caratteristiche di argini in fase di smottamento e che siano attribuibili con la presenza di questa specie;
- sempre nelle aree SIC, redazione di un piano strategico tecnico atto
alla sperimentazione della immissione di specie ittiche predatrici
almeno a stadio sub adulto (Luccio e pesce Gatto in particolare)
con il successivo monitoraggio degli incrementi ponderali delle
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stesse, e puntuale verifica dei contenuti stomacali di un campione
(atti ad accertare l’avvenuta predazione dei crostacei), in contemporanea al prosieguo del monitoraggio del P. clarkii;
notifica dei risultati ai competenti Organi del Ministero dell’Ambiente;
istituzione di un tavolo tecnico con le Amministrazioni pubbliche
confinanti (già interessate al problema), ampliando- se è il caso anche la collaborazione transfrontaliera con la vicina Slovenia e
Austria.
55. Esemplare di
P. clarkii rinvenuto in Provincia
di Gorizia nelle vicinanze
del canale Brancolo
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Segnali ambientali riconducibili alla presenza del Procambarus clarkii
56. Resti di P. clarkii
sparsi su un’ampia zona del
monfalconese
57. Resti di P. clarkii
osservati in due distinte
stagioni sotto alcune garzaie
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Uno dei segni maggiormente visibili della presenza di P. clarkii che si
possono osservare lungo gli argini di corsi d’acqua è senza dubbio
quello legato all’attività di scavo di questi animali (tane) con fori singoli, ma più spesso associati sulle pareti; unitamente alla loro elevata
presenza, si evidenziano inoltre fenomeni di alterazione e demolizione
degli argini, come pure infiltrazioni che preludono ad un loro prossimo
crollo. Un altro segnale che ci permette di verificare la presenza di questa specie nei siti che stiamo visitando, è fornita da loro resti sparsi
nelle vicinanze dei corsi d’acqua, rinvenibili anche a notevoli distanze
dagli stessi; questi reperti derivano sia dalla predazione di animali, sia
dall’attività erratica della specie che, se compiuta in situazioni ambientali avverse, porta alla morte dell’animale lontano dall’acqua.
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Si ricorda infine che, qualora vengano avvistati, segnalati od ancor meglio catturati esemplari di P. clarkii sulla terraferma (o come nel nostro
caso su una strada) questo è un inequivocabile segnale di una loro elevata presenza in quel territorio, e non bisognerebbe indugiare nell’attivarsi con ogni mezzo!
58. Esemplare maschio rinvenuto in pieno giorno
da un agente della stazione forestale di Monfalcone lungo la
strada che costeggia il canale
Brancolo (Go)
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In conclusione se abbiamo la fortuna, o per meglio dire sfortuna di incontrare questo crostaceo o di presumerne la presenza, è opportuno
avvisare senza indugio il personale dell’Ente Tutela Pesca; solo così i
tecnici potranno aggiornare la mappa della sua espansione per far
fronte, dove è ancora possibile, a questa nuova emergenza ambientale
che, a detta degli esperti, è per molti versi paragonabile a quella della
più conosciuta zanzara tigre per la cui lotta vengono tuttora impiegate
notevoli risorse soprattutto economiche, senza comunque riuscire a
debellarla.
E’ bene ricordare che questo problema faunistico è più grave di altre
introduzioni animali legate all’ambiente acquatico (vedi la Nutria) e,
anche se non viene percepito dalla maggior parte delle persone e degli
Enti pubblici a causa della sua apparente invisibilità, quando le conseguenze ambientali (sia fisiche, sia biologiche) diverranno palesi, sarà
ormai troppo tardi.
59. P. clarkii catturato
all’interno della Riserva naturale
regionale Foce dell’Isonzo
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Si ringrazia il dott. Emilio Gottardo, già Direttore dell’Ente Tutela Pesca, per essersi impegnato in prima
persona ed aver reso possibile la ricerca su questa
specie; il Presidente dell’Ente Tutela Pesca sig. Loris
Saldan per aver condiviso il programma; il ing. Paolo
Stefanelli, Direttore dell’Ente Tutela Pesca per aver
validamente contribuito all’impostazione della presente pubblicazione; gli agenti C.F.R. della Stazione
forestale di Monfalcone, ed in particolare l’ispettore
sig. Devetti Silvano che, oltre ad aver individuato per
primi questo crostaceo, si sono prontamente adoperati per le ricerche all’interno dell’area SIC
IT3330005; il M.llo C.F.R. Ervin Zorzin in servizio
presso l’Ente Tutela Pesca per aver egregiamente coordinato le operazioni di campagna ed aver gestito i
questionari rivolti ai pescatori di mestiere operanti
nelle acque interne della nostra Regione; le Guardie
ittiche dell’Ente Tutela Pesca: sig. Daniele Larice e sig.
Bruno Tosolini per essersi ripetutamente prodigati
nella cattura di esemplari presenti in un’area limitrofa
alla roggia di Palma, sig. Nivardo Bressani per aver
fornito utili indicazioni per le ricerche sul fiume Torsa.
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