CAP. 13-Musica - Ufficio Studi MiBAC

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CAP. 13-Musica - Ufficio Studi MiBAC
CAPITOLO 13
Musica e Spettacolo
Il palcoscenico dimezzato
Michelangelo Pistoletto
“Bagno Turco”
1962-1971
Serigrafia su acciaio inox lucidato a specchio, 70 x 100
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1. Spettacolo dal vivo e creatività: una premessa
Tra i simboli dell’Italia l’opera lirica occupa certamente una posizione preminente. Gli storici della musica ne riconducono la nascita e molti tra gli sviluppi più importanti al nostro
Paese e ai suo compositori, da Claudio Monteverdi agli operisti dell’Ottocento fino
all’ultima generazione di compositori d’opera verso la quale manifesta un forte interesse
anche il mercato internazionale.
Coagulo di una varietà di forme espressive, la lirica assomma in sé molteplici fasi creative,
mostrando in misura eclatante ciò che comunque avviene in tutti i comparti dello spettacolo dal vivo, dalla musica sinfonica e da camera al balletto, dalla danza moderna e contemporanea alla prosa. In effetti, alla costruzione di un lavoro da mettere in scena contribuiscono numerosi artisti e tecnici, ciascuno dei quali usa la propria capacità creativa per definire contenuti e modalità di realizzazione del prodotto finale, contribuendo in questo
modo alla formazione del suo valore complessivo.
Infatti, se è certamente creativa l’attività del compositore (o nella prosa dell’autore, così
come nella danza del coreografo), essa non è che la base sulla quale si innestano in sequenza logica fasi ulteriori nelle quali l’ossatura del prodotto viene declinata per effetto di
una scelta strategica che avviene, di norma, nell’ambito di una gamma definita di opzioni
possibili. In questo modo l’apporto dell’esecutore diventa in buona parte contributo
dell’interprete, e conferisce nuovo valore all’opera originale attraverso una sua rilettura
creativa. La messa in scena dell’opera lirica è un tipico esempio di interpretazione creativa, tanto che in più di un caso si fa riferimento al regista anziché al compositore (la “Traviata” di Visconti, “La Bohéme” di Zeffirelli, l’“Aida” di Ronconi).
Nell’opera e nello spettacolo dal vivo, tuttavia, la creatività compare come un input rilevante fin dalle fasi tecniche della preparazione, attraverso il disegno e la manifattura di scene
e costumi, la cui realizzazione tecnica spesso è il frutto di innovazioni creative sul piano
del processo o su quello del prodotto. Il capo macchinista del Teatro della Pergola di Firenze1 è l’epigono di conoscenza tecnica trasmessa per via quasi iniziatica relativamente
alla costruzione dei martelli di scena, la cui mescola, il cui processo e la cui realizzazione
sono segreti; si tratta di attrezzi esportati in tutto il mondo proprio per la loro unicità e per
la capacità di porre l’invenzione creativa al servizio di specifici bisogni funzionali.
Allo stesso modo, l’infrastruttura teatrale deve la propria qualità a una combinazione di
tecnologia ed estetica in cui le componenti creative appaiono determinanti, tanto
nell’elaborare soluzioni tecniche quanto nel disegnare l’aspetto esteriore della sala teatrale
e delle sue pertinenze. Diffusi in tutto il Paese, i teatri definiti appunto “all’italiana”, ossia
con i diversi ordini di palchi disposti intorno all’ovale della platea, costituiscono uno dei tesori più importanti del nostro patrimonio monumentale. Dallo stesso Teatro della Pergola,
1
Uno dei primi macchinisti della Pergola fu Antonio Meucci, del quale si ipotizza l’abbozzo di quello che
poi diventerà il primo telefono proprio come risposta tecnica a un problema di trasmissione degli ordini
tra palcoscenico e altri settori del Teatro.
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dichiarato monumento nazionale da Mussolini, alla miriade di teatrini di piccole dimensioni
disseminati per le cittadine toscane, umbre e emiliano-romagnole, essi rappresentano in
modo del tutto evidente la commistione tipicamente italiana tra artigianato, decorazione,
invenzione estetica e capacità tecnica.
Il piccolissimo Teatro di Bibbiena in provincia di Arezzo, restaurato negli ultimi anni Novanta, si pesenta agli occhi dello spettatore esattamente come quando fu costruito, nel XVIII
secolo; le sue balaustre, le colonne panciute, i parapetti e le scalinate riproducono la pietra
originaria grazie alla scelta della fibra di vetro come materiale per la sua ricostruzione. Indeformabile e duraturo, esso consente di mantenere l’identica cifra stilistica del Teatro originario; solo toccandolo lo spettatore si rende conto di questa inedita connessione tra forme tradizionali e materiali innovativi.
Lo spettacolo dal vivo è dunque uno dei comparti nei quali la creatività si esprime in una
varietà di forme e di modi, costituendone uno degli input più importanti e imprescindibili.
Ciò è riconducibile tanto alla capacità creativa individuale quanto alla fertilità dell’intero sistema, nel quale le intuizioni creative possono trovare l’alveo efficace in cui innestarsi e
diventare sistematiche. In questo senso non ci si può limitare ad accogliere l’estro del singolo, ma al contrario è indispensabile strutturare il quadro istituzionale, i meccanismi di
funzionamento del sistema produttivo e la rete distributiva dei prodotti culturali in modo da
agevolare il coagulo sistematico della creatività. L’analisi che segue ha l’intento di mettere
a fuoco i profili rilevanti del settore dello spettacolo dal vivo, in modo da indicarne i punti di
forza e gli snodi delicati, e da evincerne alcune semplici linee-guida per la valorizzazione e
la crescita della creatività.
2. L’opera lirica, italiana ma non troppo
L’opera nasce presso le corti come spettacolo complesso e colto, ma si sviluppa a partire
dal tardo Settecento come forma di spettacolo popolare. Essa contiene tutti gli ingredienti
capaci di attrarre un pubblico vasto ed eterogeneo, affinando un’incisiva immediatezza nel
descrivere i sentimenti e nel drammatizzarne le dinamiche. Il pubblico ottocentesco ne è
fortemente attratto, tanto che essa viene confezionata in versioni “da viaggio” per quelle
località sprovviste di teatro: il “carro di Tespi” porta in giro per il Paese compagnie e allestimenti di discutibile qualità, ma soddisfa la domanda di emozioni da palcoscenico che in
futuro sarà intercettata dal cinema, dai fotoromanzi, dalle telenovelas e dai serial televisivi.
La borghesia ottocentesca frequenta il teatro d’opera, trasformando i teatri delle Accademie pre-rivoluzionarie in luoghi d’incontro mondano. Sul palcoscenico gli atti di opere appena composte sono di norma intervallati da siparietti di danza e prestidigitazione, nel
foyer i capifamiglia giocano a chemin-de-fer sostentando in questo modo l’impresario, la
cui capacità si rivela nel saper associare cantanti amati dal pubblico e trucchi efficaci per il
gioco d’azzardo. L’opera appare l’ecosistema simbolico della borghesia ottocentesca, e fino al volgere del secolo appassiona addetti ai lavori e semplici orecchianti con una soprendente evoluzione del linguaggio musicale e drammaturgico (“Falstaff” di Verdi e soprattutto “Turandot” di Puccini sono le ultime produzioni di un genere che guarda al futuro).
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Che cosa rimane di quella temperie e di quel pubblico? Se non nulla, certo molto poco. La
passione per la lirica, mai del tutto spenta, si è cristallizzata velocemente in una sorta di
musealizzazione del genere; mentre i nostri musicisti e qualche compositore straniero (Bizet, Wagner, Mozart e pochi altri) vengono regolarmente eseguiti in allestimenti nuovi di titoli ormai passati alla storia, la produzione contemporanea di opere rallenta notevolmente,
in quanto non più foraggiata dalla garanzia di un pubblico numeroso e interessato. I compositori del Novecento si rivolgono agli addetti ai lavori e agli specialisti, non certamente al
grande pubblico. Così, mentre il cinema fornisce la risposta efficace alla domanda di intrattenimento condiviso, la lirica vede accentuarsi il côté mondano e rituale del proprio pubblico e, nonostante grandi direttori e interpreti e notevoli allestimenti, sembra dividere la propria capacità di attrazione tra le vicende sentimentali e le rivalità delle dive da una parte e
l’ortopedia musicale degli acuti e sovracuti che tanto appassionano i loggionisti dall’altra.
Anno
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
La domanda di lirica in Italia (2000-2006)
Spettacoli
Ingressi
2.482
1.594.074
2.882
1.477.486
3.198
1.582.015
3.205
1.329.914
2.695
1.336.076
2.760
1.942.834
2.361
1.963.614
Incassi
62.640.195,82
70.410.309,49
78.302.263,27
70.274.077,61
78.195.502,17
85.825.135,36
85.290.125,01
La tabella mostra un dato piuttosto contenuto, se si considera che la colonna degli ingressi
non descrive la partecipazione (ossia il numero di persone) ma la presenza (ossia il numero
di biglietti): ipotizzando un certo grado di frequenza per una proporzione del pubblico, si vede che gli individui effettivamente coinvolti nel consumo di lirica non sono molti, anche se il
dato degli ultimi due anni censiti appare in netta crescita e autorizza a ritenere che con un
investimento specifico nella formazione del pubblico (cosa che manca del tutto in Italia) si
potrebbero conseguire risultati interessanti.
In un settore musealizzato e caratterizzato da uno scarso peso di nuove opere, il versante
creativo si colloca sui profili interpretativi, essenzialmente la direzione d’orchestra e il canto
da una parte, e la triade regia-scene-costumi dall’altra. Si tratta di un processo del tutto fisiologico, che in qualche misura tiene conto dell’evoluzione del pubblico e offre una chiave
di lettura tendenzialmente capace di rispettare l’originale adeguandone la confezione finale
alle aspettative percettive e cognitive del pubblico contemporaneo. Naturalmente, questa
necessità linguistica può comportare dei rischi, come ad esempio la mera trasposizione
dell’intera opera in luoghi o epoche non strettamente pertinenti: si tratta di scelte legittime,
che possono tuttavia – se realizzate superficialmente – contribuire alla percezione di scarsa
comprensibilità della quale l’opera soffre negli ultimi decenni.
La consapevolezza di un limitato grado di familiarità tra il pubblico e l’opera lirica ha indotto,
inoltre, alcuni produttori a enfatizzarne gli aspetti spettacolari giungendo ad allestimenti nei
quali l’intento di creare un evento unico superava di gran lunga i profili culturali
dell’operazione: basti pensare all’allestimento di “Aida” alle Piramidi di Giza in Egitto, o alla
produzione televisiva di “Tosca” nei tempi e nei luoghi previsti dal libretto, in una mescolanza eclatante fra iperrealismo ed effetti speciali. Si tratta di iniziative che rivelano una certa
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sfiducia nei confronti del pubblico potenziale e della sua capacità critica; volendo attrarre
nuovi spettatori o convincere quelli attuali, si ritiene che lo “scandalo” possa appagarne la
curiosità.
Allo stesso modo, la lirica occupa nei mezzi di comunicazione di massa uno spazio molto
contenuto: fatti salvi i programmi di approfondimento e le dirette di Radio Tre RAI, la televisione ospita alcune brevi trasmissioni in orari notturni; nel recente passato due programmi
di critica e divulgazione2 sembravano voler instaurare una nuova relazione tra opera e televisione, ma non hanno avuto seguito. Altri luoghi di massa nei quali l’opera viene talvolta
rappresentata ma senza che ne nasca alcuna sistematica azione di diffusione sono le piazze e, più recentemente, gli stadi. E’ stata di grande rilevanza la breve stagione di opere
pucciniane allo Stadio Olimpico di Roma, luogo familiare al grande pubblico e pertanto capace di “rassicurare” sulla godibilità del prodotto; opere di fascino riconosciuto, allestimenti
di buon livello, tecnologia capace di garantire una sufficiente resa acustica hanno finito per
attrarre un pubblico molto numeroso, a testimoniare del potenziale tuttora non espresso dalla domanda di lirica; ovviamente non basta richiamare un pubblico numeroso in queste manifestazioni non convenzionali: bisognerebbe piuttosto consentire che gli spettatori in piazza
o allo stadio possano usufruire di condizioni vantaggiose per l’accesso alla stagione lirica
invernale, in modo da poterne consolidare progressivamente l’interesse per il genere.
Queste forme di sperimentazione, lette accanto al successo di film d’opera di eccellente fattura3, mostrano la consapevolezza di un pubblico in evoluzione, e delle opportunità offerte
dalla tecnologia e dalle connessioni con altri settori produttivi. La crescente attenzione del
pubblico si può percepire anche nell’ingresso per la prima volta nella Top 100 di Nielsen di
un disco d’opera, “Die Zauberflöte” di Mozart diretta da Claudio Abbado, o nel dato che attribuisce alla musica classica e lirica il 12% dei brani scaricati da “iTunes”. Sul versante
dell’offerta, in alcuni casi si è voluto dare riconoscimento ai bisogni e alle aspettative dello
spettatore, ad esempio installando un sistema di proiezione dei testi in un display posto nella spalliera della poltrona di fronte, o in uno schermo collocato sul boccascena.
Ciò potrebbe segnare l’inizio di una stagione radicalmente diversa da quelle precedenti, a
patto che la strategia pubblica di protezione, rafforzamento e diffusione dell’opera lirica sia
non soltanto supportata da efficaci regole, ma anche da un cambio di passo nella gestione
dei teatri lirici e delle loro attività.
3. La struttura produttiva: fasti di scena e vincoli sindacali
2
Si tratta di una trasmissione televisiva di circa quindici anni fa, condotta da Enrico Stinchelli e Michele
Suozzo, gli stessi conduttori della “Barcaccia” radiofonica che da quasi vent’anni tratta la lirica con approfondimento e leggerezza; e di “L’amore è un dardo”, condotta da Alessandro Baricco, che già dal titolo suggeriva l’ambigua posizione occupata dalla lirica, tra slanci poetici e gusto popolare: esso non è che
la deformazione – frequente nella percezione del pubblico – del verso “l’amore ond’ardo” pronunciata dal
Conte di Luna nel corso dell’aria “Il balen del suo sorriso” nell’opera “Il trovatore” di Giuseppe Verdi.
3
Dal 1980 si possono segnalare “Don Giovanni” di Mozart diretto da Joseph Losey ma girato interamente
nelle Ville venete e nel Teatro del Palladio; “Carmen” di Bizet diretta da Francesco Rosi; “La traviata” e
“Otello” di Verdi dirette da Franco Zeffirelli.
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Erede di un impresariato snello, flessibile e aggressivo, la lirica soffre oggi di una struttura
organizzativa pletorica e ridondante. L’elemento – certamente imprescindibile – della garanzia di sostegno pubblico si è andato trasformando nel corso dei decenni in una gabbia
dorata nella quale i produttori d’opera godono di una condizione istituzionale privilegiata, a
prezzo di una pervasiva avversione al rischio. La stasi imprenditoriale finisce per riflettersi
su un diffuso conformismo sul piano linguistico, accentuando la musealizzazione di teatri
che potrebbero, per blasone culturale e per dimensioni finanziarie, prendere la via della
produzione creativa e dell’innovazione gestionale.
La lirica è, in linea di principio, una forma espressiva caratterizzata da una forte immediatezza; in questo senso, essa appare capace di attrarre un pubblico ampio ed eterogeneo.
La sua potenza semantica è confermata tra l’altro dal saccheggio cui il repertorio operistico
è sottoposto a vantaggio di sigle televisive, colonne sonore cinematografiche, jingle pubblicitarî. L’opera si trova dunque al centro di una molteplicità di mercati dal diverso supporto
tecnologico, tra i quali quello discografico e informatico4, che combinano in una varietà di
modi stili e contenuti tradizionali con tecnologie avanzate. Queste caratteristiche richiedono
strutture flessibili e multidimensionali.
Il quadro attuale mostra, al contrario, delle organizzazioni molto rigide e compartimentate.
Non si tratta del frutto di una specifica volontà, quanto piuttosto di una stratificazione perseguita in parallelo dagli operatori del settore e dalla legislazione, in un progressivo consolidamento che attualmente impedisce modifiche indolori. Disegnati di fatto sulla filosofia e
sulla struttura degli enti pubblici (e fino agli anni Novanta anche formalmente riconducibili a
tale figura giuridica), i teatri d’opera presentano un disegno decisionale complesso e ambiguo, rapporti di lavoro privi della necessaria flessibilità, attività limitate e statiche.
Anche dopo la recente trasformazione in fondazioni di diritto privato, i teatri d’opera continuano a essere finanziati in grande prevalenza con fondi pubblici, a essere governati dal
Sindaco che è per statuto il Presidente del Consiglio d’Amministrazione, a essere condizionati da dinamiche sindacali tanto più incisive quanto più obsolete e ingiustificate, a subire
vincoli e indirizzi da parte delle agenzie che rappresentano i cantanti pur non avendo alcuna
veste formalmente riconosciuta nella nostra legislazione.
In questo ecosistema ostile all’innovazione non mancano le manifestazioni di creatività, ecumenicamente distribuite in tutti i settori della lunga filiera produttiva della lirica. Dal direttore d’orchestra al regista, dallo scenografo al costumista, includendo anche quei comparti
tecnici cui è demandato il disegno delle soluzioni concrete che traspongono quelle creatività
sul palcoscenico, la lirica si arricchisce tendenzialmente di un processo reintepretativo che
potrebbe innovarne radicalmente ogni nuova messa in scena. Si deve tuttavia osservare
che, al di qua di casi non infrequenti ma specifici e occasionali, il sistema dell’opera appare
in Italia statico e conservatore.
Alla creatività come fonte di nuoi approcci espressivi e interpretativi si contrappone spesso
la ricerca del fasto e dell’elefantiasi, in un’equazione tra dimensioni della spesa e qualità
4
Tra i siti web italiani spicca http://www.operaclick.it
331
percepita dal pubblico che appare molto discutibile5. Se si va a guardare la gamma dei titoli
messi in cartellone in ciascuna stagione, o il ventaglio dei direttori e dei cantanti scritturati,
si finisce per riscontrare il ricorrere degli stessi nomi; da una parte, infatti, i teatri d’opera
mostrano una forte avversione al rischio e preferiscono scommettere sul consenso del pubblico consolidato (gli abbonati e gli spettatori abituali) e sull’approvazione del settore pubblico che li sostiene finanziariamente; dall’altra, ritenendosi in concorrenza reciproca soprattutto ai fini dell’assegnazione di fondi pubblici, tendono a non allontanarsi da una programmazione mainstream che comunque intende rassicurare le commissioni di valutazione e gli
stessi burocrati pubblici, e al tempo stesso a usare il cast scritturato come segnale di qualità, finendo per limitare la propria scelta ai direttori e cantanti di maggior richiamo nella “borsa” nazionale e internazionale determinata in buona parte dalle agenzie.
Ciò genera il paradosso di una gamma produttiva sensibilmente più limitata in Italia che in
altri Paesi europei e negli Stati Uniti, di una vistosa renitenza all’innovazione, di una rilevante barriera all’ingresso per gli artisti lirici all’inizio della propria carriera. E, relativamente alla
delicata relazione intercorrente tra finanziamento esterno e influenza sulle scelte del soggetto finanziato, dimostra che il sostegno pubblico basato su valutazioni di qualità consegue
l’effetto di contrarre l’estensione dell’offerta, mentre la prevalenza o la maggior rilevanza del
sostegno privato tipica di altri Paesi avanzati incoraggia la diversificazione e l’innovazione
produttiva6. La tabella che segue mostra la sintesi del confronto tra Italia e Germania, evidenziando la minore dimensione, estensione e innovazione dell’offerta di lirica nel nostro
Paese.
Diversificazione dell’offerta di opere in Italia e in Germania (2007)
Italia
Germania
Compositori
78
188
Rappresentazioni
1186
6882
Titoli
153
388
Nuovi allestimenti
53
389
Il confronto va letto alla luce di due fondamentali aspetti: il primo riguarda le modalità produttive della lirica nei due Paesi, che si rifà al modello della “stagione” in Italia e a quello del
“repertorio” in Germania; mentre la stagione prevede la messa in scena di poche opere con
un cast creato ad hoc, e per un numero contenuto di repliche contigue, il repertorio al contrario consiste nella continua rotazione di numerosi titoli, con un elevato grado di continuità
del cast tra diverse opere. La stagione, in sintesi, risponde a un’esigenza di “specializzazio5
Un recente lavoro (Urrutiaguer, D. (2002), “Quality Judgements and Demand for French Public Theatre”, Journal of Cultural Economics, vol. 26, n. 3) ha inferito da alcuni dati relativi alle critiche giornalistiche che le dimensioni della messa in scena si possono considerare una delle determinanti della qualità
percepita. Che ciò possa risultare compatibile e coerente con le aspettative della critica può non sorprendere; ma da qui non appare lecito ritenere sistematico un nesso causale tra dimensione e qualità delle produzioni, anche alla luce dell’eterogeneità del pubblico e della conseguente varietà di aspettative e obiettivi
in merito all’apporto che l’esperienza operistica può conferire alla crescita del benessere di ciascun singolo consumatore.
6
V. sul tema l’analisi di Cognata, A. (2003), “Note stonate: il finanziamento pubblico dei teatri d’opera”,
Sviluppo Economico, n. 2.
332
ne” degli artisti, mentre il repertorio soddisfa un bisogno di qualità media e di ampiezza delle
opportunità di consumo.
Non è compito di questo lavoro formulare valutazioni sulla preferibilità dell’uno o dell’altro
sistema. Si deve tuttavia sottolineare che in molti casi il modello della stagione non sembra
garantire un adeguato livello qualitativo a causa del susseguirsi intenso degli impegni di
molti degli artisti coinvolti e dunque del limitato affiatamento delle compagnie di canto; inoltre, dal momento che ogni teatro d’opera soddisfa un bacino prevalentemente locale7, ogni
processo imitativo nella scelta del cast risulta quanto meno sovrabbondante: una compagnia ben costruita presuppone un equilibrio linguistico e interpretativo, e non necessariamente cantanti di fama internazionale.
Il secondo aspetto che limita la capacità di intensificazione dei ritmi produttivi nella lirica italiana è da ricondurre alla struttura fisica e tecnologica dei teatri, di norma monumentali e
comunque di grande valore estetico, ma spesso obsoleti quanto alle esigenze più avanzate
di realizzazione del prodotto lirico; queste richiedono la possibilità di svolgere allestimento
scenico e prove mentre un’altra opera va in scena, grazie a palcoscenici sostituibili o a spazî adeguatamente ampi da consentire una pertinente fase di preparazione; ciò non è quasi
mai possibile, comportando lunghi tempi morti – ai fini della rappresentazione pubblica – tra
un’opera e l’altra.
A rendere la situazione più complessa e problematica si innesta in quest’ossatura statica un
reticolo di vincoli legati alla gestione delle risorse umane, caratterizzata da un evidente potere contrattuale differenziale in capo alle organizzazioni sindacali, che spesso adottano il
blocco delle “prime” come strumento di pressione ai fini dell’ottenimento di specifici beneficî,
in un regime di per sé piuttosto favorevole ai lavoratori.
4. Entrate e spese delle fondazioni liriche
La struttura produttiva, la rigidità delle risorse umane e lo scarso livello di imprenditorialità fa
sì che le fondazioni liriche, modello cui tentano progressivamente di rifarsi le altre organizzazioni dell’opera e dello spettacolo dal vivo lungo le linee della cosiddetta fondazione di
partecipazione, riflettono la stasi di un modello non più adeguato al contesto culturale, sociale ed economico nel quale opera. Pur mantenendo la propria forza d’impatto come testimonia l’uso del linguaggio lirico e musicale in pubblicità, pur potendo collegarsi a monte e a
valle con mercati di diversa tecnologia aprendo mercati secondari di notevole estensione, la
lirica non riesce ad allontanarsi dal modello ottocentesco, più per ragioni di resistenza culturale che per motivi legati a esigenza concrete sul piano creativo o interpretativo. E a fronte
di qualche segnale innovativo proveniente dall’estero, nel nostro Paese le esperienze nuove
sono piuttosto limitate. Tra esse si può citare la produzione di “Don Giovanni” realizzata dal
7
Nel caso del Teatro alla Scala, cui è unanimemente riconosciuta una reputazione internazionale, gli abbonati provengono per il 90% dal territorio provinciale, e gli spettatori non abbonati per l’81% dal territorio regionale; v. sul punto Trimarchi, M. e R. Ponchio (2007), 79. “I fantasmi dell’opera: la lirica in Italia
tra nostalgia e imprenditorialità”, Ticonzero. Knowledge and Ideas for Emerging Leaders, n. 78
(http://www.ticonzero.info)
333
Piccolo Teatro di Milano (non a caso un teatro di prosa?) insieme al Festival di Aix-enProvence, in cui per la prima volta un’opera lirica è stata prodotta almeno in parte secondo
la filosofia del long-running-show e con una compagnia di giovani musicisti e cantanti. E si
deve considerare la vitalità creativa di molti piccoli e piccolissimi teatri che, liberi dai vincoli
istituzionali e finanziarî delle grandi fondazioni, possono innovare mettendo in scena opere
sconosciute, allestendo messe in scena coraggiose, scritturando artisti emergenti.
I grafici che seguono mostrano una sintesi della struttura di bilancio delle fondazioni liriche, i
tredici teatri d’opera di prima grandezza.
Fonte: Elaborazioni su dati di Bilancio delle Fondazioni Lirico-Sinfoniche
Nel grafico 1 vengono presentati i dati medi relativi ai ricavi delle Fondazioni LiricoSinfoniche così come rappresentati nei bilanci d’esercizio dell’anno 2006. Si deve precisare
che i criteri di formazione del bilancio delle Fondazioni sono spesso non omogenei e che
ogni Fondazione classifica una serie di costi e di ricavi in voci differenti.
Nello specifico, al fine di elaborare un quadro generale ed indicativo dello "stato di salute"
delle Fondazioni Lirico Sinfoniche, si è scelto di evidenziate, tra i ricavi, le entrate derivanti
dalle attività istituzionali, distinguendo i ricavi da botteghino, i ricavi per attività fuori sede, i
ricavi da pubblicità e sponsorizzazioni, la vendita di diritti per le produzioni radiotelevisive.
Una seconda voce di ricavo si riferisce alle risorse pubbliche, ripartite per i diversi livelli di
governo, e l’ammontare delle risorse reperite dal settore privato, sia dai Soci fondatori privati, sia dal mercato.
334
Fonte: Elaborazioni su dati di Bilancio delle Fondazioni Lirico-Sinfoniche
I dati esposti nel grafico 2 evidenziano come i costi del personale artistico, tecnico ed amministrativo stabilmente impiegato rappresentino la voce che grava maggiormente nel bilancio delle Fondazioni Lirico-Sinfoniche. In particolare, nelle fondazioni Teatro dell'Opera di
Roma, Accademia Nazionale di S. Cecilia e Petruzzelli di Bari, questa voce supera il 70%
dei costi complessivi. I restanti costi sono stati aggregati nella voce costi di produzione,
comprendente le spese per servizi, materie prime e merci, ottenuta dalla differenza tra i costi totali ed i costi del personale dipendente.
Una possibile risposta ai vincoli che irrigidiscono il bilancio dei produttori lirici e spesso impediscono la necessaria flessibilità nell’uso delle risorse umane, è data dalla costituzione di
imprese autonome che impieghino le “masse” (orchestrali e coristi), e che basino la propria
collaborazione con il produttore di lirica su un contratto di servizio rinnovabile e che tenga
conto della continuità delle prestazioni.
In questo caso le stesse masse sarebbero indotte ad agire imprenditorialmente, espandendo il proprio mercato di riferimento a un’ampia attività concertistica (anche con gruppi da
camera e formazioni intermedie); e il produttore di lirica (fondazione, ente pubblico regionale o comunale) vedrebbe allentarsi il vincolo finanziario con evidenti ricadute positive
sull’orizzonte progettuale e creativo. Sotto questo specifico profilo, si deve ritenere che al
fasto elefantiaco delle stagioni liriche potrebbe gradualmente sostituirsi un sistema misto,
basato in buona parte sul repertorio ma tendente a realizzare delle messe a fuoco attraverso festival e altre manifestazioni in cui l’elemento innnovativo e la creatività degli autori e
degli interpreti costituisce la caratteristica principale.
I risultati più che convincenti anche sul piano internazionale del Rossini Opera Festival di
Pesaro (fondato nel 1980), nel quale letture rigorose delle opere rossiniane sono associate
di norma ad allestimenti dalla notevole cifra creativa, inducono a ritenere che la via dei fe-
335
stival possa rappresentare una efficace fonte per lo stimolo e il rafforzamento delle capacità
creative che confluiscono nell’ampio settore della lirica. A questo si aggiunga il bisogno di
rafforzare la struttura formativa delle lirica, attualmente composta in modo binario dai Conservatori di Musica (v. oltre per un’analisi dettagliata) e dai concorsi il cui sbocco è spesso
la realizzazione di un’opera come avviene al Teatro Lirico Sperimentale “A. Belli” di Spoleto.
Sotto la superficie attecchiscono nel territorio una varietà di scuole e corsi privati dalla varia
qualità ed efficacia, che costituiscono il “sommerso” della formazione operistica e che in alcuni casi possono rappresentare per gli artisti che accedono al mercato del lavoro una notevole opportunità grazie ai legami fiduciarî intercorrenti tra maestri (cantanti lirici in esercizio o in pensione) e teatri.
5. Lo spettacolo dal vivo. Riflettori sulla burocrazia
Se si estende l’analisi dalla lirica a tutto lo spettacolo dal vivo il quadro non muta sostanzialmente. Le caratteristiche di fondo dei settori che riversano la propria creatività sul palcoscenico appaiono piuttosto simili: staticità, burocratizzazione, clonazione dell’azione pubblica tra i diversi livelli di governo, meccanismi di sostegno del tutto privi di incentivi, connivenza istituzionale nei confronti del sommerso. Naturalmente tutto ciò non riesce a ottundere
del tutto la creatività individuale, che si manifesta e si concreta nelle diverse parti del Paese
attraverso i teatri d’innovazione, la danza contemporanea, le forme innovative di contaminazione tra diverse forme di linguaggio creativo, il contributo della videoarte e dell’arte digitale alla creazione teatrale.
Si tratta tuttavia di casi isolati e occasionali, per quanto numerosi. Non esiste in Italia un sistema della creatività teatrale e dello spettacolo dal vivo, dal momento che il modello produttivo sul palcoscenico rimane quello del capocomicato, fatto di intuizioni e di generosità
ma del tutto privo di un approccio sistematico e imprenditoriale; l’attenzione produttiva è focalizzata sulle dimensioni della stagione, a causa di una serie di norme che hanno progressivamente limitato lo spazio strategico dei teatri imponendo condizioni uniformi in base alla
quantità di repliche e ad altri dati facilmente misurabili ma del tutto poco rappresentativi dello sforzo creativo e culturale compiuto dalle diverse organizzazioni operanti nei varî settori
dello spettacolo dal vivo. Così, ad esempio, i festival devono contemplare una maggioranza
di compagnie italiane, drenando per questa via il confronto linguistico e creativo internazionale che appare una fertile fonte di innovazione (in entrambe le direzioni); le stagioni musicali devono ospitare obbligatoriamente una proporzione di composizioni contemporanee, e
così di seguito in una sorta di rincorsa burocratica delle scelte culturali.
Attività di spettacolo (2006)
Numero spettacoli
Attività
teatrale
Attività
Ingressi
Spesa al botteghino
Spesa del
pubblico
Volume d'affari
168.482
22.506.895
358.387.423
460.516.768
478.204.987
34.634
9.942.735
177.395.681
251.155.605
274.545.995
336
concertistica
Attività di ballo
e concertini
Spettacolo
viaggiante
Attività con
pluralità di generi
854.193
32.391.060
285.707.462
1.168.890.407
1.199.071.463
39.067
10.632.269
87.745.959
275.459.923
275.680.485
44.829
1.496.915
9.301.257
98.698.803
115.552.250
1.141.205
Totale complessivo
Fonte: Elaborazioni su dati Siae
76.969.874
918.537.782
2.254.721.506
2.343.055.180
La tabella espone i dati relativi ai vari comparti dello spettacolo dal vivo in Italia nell'anno
2006. Più specificamente si evidenziano i dati relativi al numero degli eventi programmati, i
partecipanti alle manifestazioni, le somme pagate dagli spettatori per l'acquisto di biglietti
e/o abbonamenti, le somme pagate complessivamente dagli spettatori per assistere allo
spettacolo comprendenti i costi di botteghino e tutti gli altri costi (consumazioni, guardaroba, programmi di sala, ecc.) ed i ricavi complessivi conseguiti dagli organizzatori. Occorre
inoltre puntualizzare che, secondo la classificazione Siae, le attività teatrali comprendono:
teatro di prosa, recital letterari, teatro lirico e operetta, balletto classico e moderno, commedia musicale, varietà, spettacoli circensi e di marionette.
Si deve rilevare che il sistema istituzionale dello spettacolo dal vivo è caratterizzato anche
da un meccanismo di sostegno che favorisce l’eccellenza in termini di selezione qualitativa
secondo le valutazioni di commissioni tecniche con potere consultivo. Va osservato che
ciò produce un drenaggio di lungo periodo sulla fertilità creativa del sistema, dal momento
che anziché sostenere lo sviluppo e il consolidamento di un sistema produttivo diffuso e
diversificato si limita a identificare le organizzazioni produttive di maggiori dimensioni e di
più visibile adesione alla tradizione. In questo modo si è andata creando, nel corso dei decennî, un settore chiuso e con forti barriere all’ingresso.
Il paradosso di un sistema così strutturato è che al di fuori dall’ufficialità del sostegno pubblico si è andato formando un humus estremamente interessante di teatri, compagnie e
gruppi capace di creare e realizzare lavori dalla notevole cifra innovativa, e di radicarsi sul
territorio anche grazie all’attenzione loro riservata dalle pubbliche amministrazioni locali.
Un esempio eclatante è dato dalla città di Bolzano, in cui a metà degli anni Novanta è stato costruito uno spazio teatrale disegnato da Marco Zanuso, con lo scopo di ospitare le attività del Teatro Stabile di Bolzano, dell’Orchestra Haydn e dell’appena costituita Vereinigte Bühnen Bozen. Mentre il Teatro Comunale attirava l’interesse delle maggiori istituzioni,
che ne percepivano anche la valenza simbolica nei termini di un riconoscimento istituzionale, è cresciuto un tessuto informale ma molto solido di piccoli gruppi innovativi che hanno cominciato a lavorare in spazi non convenzionali, attirando una parte crescente del
pubblico teatrale interessato alla nuova creatività. L’effetto finale, a oltre dieci anni dalla
costruzione del Comunale, è un fermento senza pari in tutto il settore dello spettacolo dal
vivo, con dati di crescita molto incoraggianti, a mostrare che il pubblico emergente attribuisce meno importanza alla “certificazione” dell’ufficialità, e invece riconosce e apprezza la
creatività8.
8
Sull’esperienza bolzanina v. AA.VV. (2007), Studio e monitoraggio dell’offerta teatrale in Alto Adige
nel 2005, Provincia Autonoma di Bolzano-Alto Adige.
337
Il caso di Bolzano, come altri casi di crescita della creatività magari meno sistematica ma
altrettanto intensa (dalla Romagna a Pescara, da Catania a Terni), mostra che l’attenzione
da parte delle istituzioni che governano il territorio può costituire uno degli snodi più importanti ai fini dell’emersione e del consolidamento della creatività nel settore dello spettacolo
dal vivo, in cui di norma le sperimentazioni creative non implicano grandi costi né grandi
macchine produttive, ma semplicemente la percezione di un posizionamento fisiologico
nell’ambito di un tessuto sociale e culturale favorevole. In questo senso l’azione pubblica
può rappresentare non soltanto il volano della crescita culturale ma anche una forma efficace
di
accreditamento
nei
confronti
dell’intero
territorio.
La lezione bolzanina mostra con chiarezza che l’azione pubblica deve poter essere
l’oggetto di una continua sintonizzazione, intervenendo laddove è necessario controbilanciare elementi di fragilità, o rafforzare indirizzi tendenzialmente efficaci. Si segnala che
questo tipo di azione pubblica prevale nell’esperienza dei distretti industriali, in cui
un’attività produttiva caratterizzata da elevata qualità e da specifici elementi creativi e identitarî mostra un legame idiosincratico con il proprio territorio di riferimento. Ora,
l’etichetta di distretto appare piuttosto abusata negli ultimi anni in relazione alla produzione
culturale; se può apparire comodo adottarla nel caso di una rete di musei, o di un tessuto
artigianale, a maggior ragione risulta del tutto pertinente intepretare la produzione di spettacolo dal vivo come un distretto culturale nei casi in cui questa sia legata al proprio territorio e alle sue radici culturali.
La lirica in Emilia-Romagna e la musica vocale e strumentale a Napoli costituiscono due
esempi molto eloquenti di produzione culturale distrettuale, anche grazie alle lontane e solide radici creative. Uno stimolo all’emersione e alla crescita di lugo periodo della creatività
nel settore qui in discussione potrà provenire da un’attenta azione pubblica che combini
strumenti generali capaci di incidere sui processi formativi a livello centrale, e al tempo
stesso strumenti specifici (quali ad esempio la fornitura di tecnologie, infrastrutture o servizî) da attivare in modo contingente dalle amministrazioni subcentrali. In questo modo lo
stimolo alla creatività si mostra il più efficace strumento per far sì che un tessuto artistico
innovativo generi l’eccellenza e ne mantenga il peso e l’importanza.
In tale contesto, l’azione pubblica rappresenta in ogni caso l’ultimo dei tasselli di un complesso incastro, nell’ambito del quale responsabilità di vario tipo sono presenti e richiedono spesso un salto culturale da parte degli stessi addetti ai lavori. Accanto alla visione imprenditoriale e progettuale che le organizzazioni produttrici di spettacolo dal vivo devono
comunque adottare nel più breve tempo possibile, un ruolo di primo piano spetta certamente alla formazione dei professionisti, che non va intesa come il mezzo per acquisire
l’ulteriore certificazione (il “pezzo di carta” proverbiale) ma come lo stimolo a conciliare una
tecnica rigorosa con l’intuizione interpretativa di ciascun singolo artista. Delicata e cruciale,
la formazione potrebbe rappresentare il vantaggio in più del quale lo spettacolo dal vivo
può godere ai fini della formazione di un “vivaio” di talenti creativi che ne costituisce
l’ossatura nel futuro.
6. La formazione per lo spettacolo: “un somaro, ma solenne!”
338
I Conservatori di musica hanno rappresentato per più di mezzo secolo il sistema formativo
taliano più arretrato. Per quasi 70 anni, a partire dal Regio Decreto del 1930 e fino alla
legge di riforma del 1999, struttura e programmi di studio delle accademie musicali sono
rimasti pressoché immutati, specchio di una società nella quale la scuola dell'obbligo era
limitata alla quinta elementare, strutturati per rispondere alle esigenze lavorative di un'epoca in cui i campi di attività musicale erano rappresentati essenzialmente dallo spettacolo
e dalla liturgia.
Nati come opere di carità per l'accoglienza e la formazione di bambini orfani o poveri, trasformati in scuole musicali quando, nel '600, gli artisti cominciarono ad essere molto richiesti, i Conservatori miravano a formare musicisti completi che suonavano diversi strumenti, cantavano e componevano, al fine di rispondere ai concreti bisogni di musica presenti nella società: riti religiosi e militari, feste, spettacoli di corte e soprattutto il teatro
musicale.
L'educazione musicale in Italia deriva ancor oggi dalla lunga tradizione della formazione
professionale dei cantori delle cappelle ecclesiastiche e di quelle nobiliari. Dal punto di vista della preparazione professionale lo studio della musica si svolge tendenzialmente sotto
la guida di un unico maestro che segue l'allievo dagli inizi della sua formazione fino al termine della sua carriera scolastica, come avviene nel rapporto tra artigiano e apprendista.
Con l'affermarsi del concertismo solistico i percorsi formativi nei Conservatori sono divenuti vieppiù specialistici, finalizzati alla forgiatura dei virtuosi, artisti-tecnici altamente specializzati, aventi una preparazione professionale resa sempe più anacronistica dai mutamenti
della società.
I programmi di studio sono rimasti troppo lungamente ancorati al passato, cristallizzati su
un repertorio chiuso alle rivoluzioni del linguaggio musicale, dominati da un eccesso di
tecnicismo che reprime le risorse creative per inseguire il mito del virtuosismo solistico. In
tale contesto formativo, la frustrazione del talento creativo è purtroppo consuetudine. Le
attività di ideazione e di scrittura creativa, o più semplicemente di improvvisazione, sono
relegate alla scuola di composizione e ad alcuni specifici corsi di specializzazione.
In un epoca in cui l'insegnamento ha finito per rappresentare la maggior fonte d'occupazione del settore non sono pochi gli studenti che hanno completato il ciclo di studi musicali
nella sola prospettiva di un lavoro nella scuola o, più in generale, mossi da interessi musicali diversi dal concertismo. Nel paese che conserva oltre il 50% delle fonti della storia della musica europea, le scuole musicali si trovano a pagare le conseguenze di un lungo periodo di chiusura ed isolamento che ha causato una grave frattura tra offerta formativa ed
esigenze musicali del mercato.
La legge di riforma dei Conservatori emanata nel 1999 parte dal tentativo del legislatore di
rispondere alla domanda di nuove professioni musicali i cui operatori il Conservatorio non
è mai stato attrezzato per formare, e di adeguare l'offerta formativa ad una realtà che di
fatto si è modificata nel tempo. Basti pensare, ad esempio, alla drastica riduzione delle
prospettive occupazionali degli organisti a causa all'evoluzione della liturgia cattolica, oppure alla nascita delle professionalità richieste dalla creazione pubblicitaria e dall'industria
discografica e televisiva.
339
Ma anche la funzione del concertista ha subito negli ultimi decenni una profonda evoluzione. Dismessi i panni del "divo", l'esecutore ha maturato la consapevolezza del duplice ruolo di artista creativo e di operatore culturale il cui compito è quello di preservare e rendere
disponibile alla società l'ascolto di musiche appartenenti ad ampi repertori in una prospettiva storica e filologica.
Che l'obiettivo di una maggiore rispondenza dell'offerta formativa alle mutate esigenze sociali sia realmente perseguibile lo dimostrano i programmi di studio di numerose nazioni
europee. In queste realtà la formazione musicale professionale è esclusivamente di livello
universitario mentre la fascia di studi preparatoria risponde ad una logica di istruzione musicale capace di integrare competenze diverse.
La laurea in discipline musicali, tanto in Europa quanto negli Stati Uniti, costituisce un'occasione per uno studio specifico sul repertorio ed un titolo indispensabile per l'ingresso
degli insegnanti di discipline musicali nella scuola. Se da un lato i corsi di laurea sono indirizzati a rendere polivalenti le tradizionali figure dell'interprete e del compositore articolando l'offerta didattica in una ricca serie di indirizzi diversi e prevedendo per ciascuno un
tirocinio obbligatorio presso delle strutture lavorative, dall'altro essi sono tesi a formare
nuove identità professionali in collaborazione con enti pubblici e privati.
Inadeguato sia sul piano dei contenuti che su quello normativo, l'intero sistema dell'istruzione musicale italiano è stato per lungo tempo strutturato in modo non compatibile con i
sistemi esistenti in quasi tutti i Paesi del mondo, mancando una divisione in fasce ed una
definizione del periodo conclusivo degli studi musicali chiaramente situato nel ciclio terziario.
Grazie alla legge 508/99 sono state create le condizioni, dopo circa settant'anni di immobilità, per liberare le Istituzioni designate alla formazione musicale dalle loro obsolescenze.
La tabella che segue evidenzia le sostanziali differenze esistenti tra il vecchio ed il nuovo
ordinamento di studi.
Offerta formativa dei Conservatori italiani tra vecchio e nuovo ordinamento
Titolo
d'ammissione
Ieri
• Titolo di promozione alla 5ª classe elementare (cfr. Regio Decreto 11 dicembre 1930 n. 1945).
Nel 1962, con l'estensione dell'obbligo scolastico ai 14 anni d'età, viene istituita la scuola media annessa ai Conservatori.
E' prevista la possibilità di sostenere esami
in qualità di studente privatista.
Oggi
• Possesso di un diploma di istruzione secondaria di 2° grado. Esiste tuttavia la
possiblità, per i più meritevoli, di conseguirlo nel periodo di studio, prima del diploma accademico.
• Competenze artistiche e tecniche equivalenti al terzultimo anno del corsi del vecchio ordinamento.
Gli studenti privatisti non sono più ammessi a
sostenere gli esami.
340
Limiti d'età
Obiettivi
Offerta didattica
Titolo rilasciato
Dai 13 ai 20 anni, differenziata in base alla
tipologia di strumento, ad escluione della
scuola di canto per la quale il limite è fissato
a 25 anni.
Formazione di artisti-tecnici altamente specializzati.
Il ciclo di studi può durare fino a 10 anni.
I corsi prevedono la frequenza obbligatoria di
un insegnamento principale e di insegnamenti complementari.
L'insegnamento principale è assegnato ad
un docente che tiene lezioni individuali agli
studenti.
La classe-tipo è formata da 10-12 studenti
che frequentano una o due volte alla settimana secondo orari concordati con il docente per un totale di circa 25 ore annue per
ciascuno degli insegnamenti.
Diploma di istruzione artistica superiore.
Non si applicano più i limiti di età previsti per i
corsi tradizionali.
Sviluppo ed acquisizione delle competenze
fondamentali nell’ambito dell'interpretazione,
della composizione o della didattica musicale.
La struttura del programma prevede
l’integrazione di ulteriori aspetti pratici e teorici
per l'avvicinamento a diversi profili professionali in ambito musicale.
I corsi hanno durata di 3 anni, a cui si possono
aggiungere ulteriori 2 anni (è noto il modello
3+2 di provenienza universitaria).
Il piano di studi del corso di laurea è articolato
in insegnamenti di base, caratterizzanti ed integrativi, misurati in crediti, per un totale di 60
crediti per ciascun anno accademico. I corsi
sono tenuti da diversi docenti e prevedono
l'impegno di varie tipologie didattiche (lezioni
individuali e collettive, seminari, workshop).
Diplomi accademici di I e II livello.
Si rende pratica comune il riconoscimento di titoli e crediti tra i due sistemi superiori di studi
(AFAM e Università).
4. Verso una legge di riforma
Così come in generale tutto il comparto dello spettacolo dal vivo, anche la formazione abbisogna di una novella legislativa che consideri la formazione per i professionisti del settore un elemento strategico per la crescita della creatività. Si riportano di seguito le leggi più
importanti in materia.
Legge 21 dicembre 1999, n. 508 - "Riforma delle Accademie di belle arti, dell'Accademia
nazionale di danza, dell'Accademia nazionale di arte drammatica, degli Istituti superiori per
le industrie artistiche, dei Conservatori di musica e degli Istituti musicali pareggiati".
Ha riformato il settore artistico-musicale, recependo il dettato costituzionale che prevede
all’articolo 33 che il sistema della formazione artistica sia parallelo al sistema universitario
e sostituendo il testo del Regio Decreto 11 dicembre 1930 n. 1945 che stabiliva le norme
per l'ordinamento dell'istruzione musicale ed i programmi di esame.
341
Legge 22 novembre 2002, n. 268 - "Misure urgenti per la scuola, l'università, la ricerca
scientifica e tecnologica e l'alta formazione artistica e musicale".
Ha introdotto alcune modifiche che stabiliscono l’equipollenza tra i diplomi rilasciati dalle
Istituzioni prima della legge n. 508 e le lauree di primo livello, attestando altresì il valore
abilitante del diploma rilasciato dalle Scuole di Didattica della Musica ai fini
dell’insegnamento nelle scuole secondarie.
Decreto del Presidente della Repubblica 28 febbraio 2003, n. 132 - "Regolamento recante criteri per l'autonomia statutaria, regolamentare e organizzativa delle istituzioni artistiche e musicali, a norma della legge 21 dicembre 1999, n. 508"
Ha dotato le Istituzioni dell’autonomia statutaria, regolamentare e organizzativa individuando i criteri generali per l'adozione degli statuti e per l'esercizio dell'autonomia.
Decreto del Presidente della Repubblica 8 luglio 2005, n. 212 - "Regolamento recante
disciplina per la definizione degli ordinamenti didattici delle Istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica, a norma dell'articolo 2 della legge 21 dicembre 1999, n. 508."
Decreto Ministeriale del 27 aprile 2006, n. 142 - "Definizione dei settori artistici scientifico-disciplinari, declaratorie e campi paradigmatici dei Conservatori di Musica".
Decreto Ministeriale del 22 gennaio 2008, n. 483 - "Definizione dei nuovi ordinamenti
didattici dei Conservatori di musica".
L'obiettivo di innalzare la qualità della formazione musicale proponendo un percorso di
studi che consideri gli aspetti legati all’orientamento professionale degli studenti dovrebbe
costituire l'elemento fondante del lungo, e per molti versi incompleto, iter di riforma delle
accademie musicali sinteticamente esposto nella tabella precedente. Almeno idealmente i
nuovi corsi di studio sono tesi a svincolare dall'autoreferenzialità l'insegnamento musicale
considerato dall'unico punto di vista dell'esecutore. Stabiliti nuovi punti di riferimento per
l'individuazione di nuovi obiettivi formativi, i Conservatori riformati tentano di fare leva sull'integrazione degli studi musicali con una più ampia formazione culturale per non precludere agli studenti la possibilità di una scelta diversificata sul piano del futuro professionale.
Occorre tuttavia sottolineare come, al momento, le istituzioni dell'Alta Formazione Artistica
e Musicale si trovino in un'anomala e paradossale situazione di coesistenza di entrambi gli
ordinamenti. Non è stata ancora emanata una regolamentazione specifica per la formazione musicale di base, ossia per l'acquisizione delle competenze necessarie al superamento degli esami di ammissione ai corsi di I livello, ad eccezione del rimando a norme
che prevedono per le Istituzioni la facoltà di attivare corsi di formazione musicale di base,
disciplinati in modo da consentirne la frequenza agli alunni iscritti alla scuola media e alla
scuola secondaria superiore. Fino al compimento definitivo della riforma spetta ai Conser-
342
vatori, dunque, il compito di occuparsi dell'istruzione musicale di base, in attesa che vengano create strutture (scuole medie e licei musicali) pronte a sostenere questo tipo di preparazione. Inoltre, sebbene venga sancito il principio della parità tra studi di livello universitario e di Conservatorio con il conseguente obbligo di provvedere all'alta formazione musicale, alla ricerca, alla specializzazione e soprattutto alla produzione, al mutamento del
quadro normativo non ha fatto seguito lo stanziamento delle risorse necessarie per la sua
attuazione.
Il difficile adeguamento è lasciato, ancora una volta, all'iniziativa individuale, non supportata da un coordinamento che garantisca uno sviluppo coerente ed organico. I Conservatori
sono costretti ad adottare piani di insegnamento autonomi, accogliendo la riforma per alcuni aspetti, respingendola per altri e mescolando i due ordinamenti a seconda delle risorse di cui dispongono e dei problemi a cui sono chiamati a dare soluzione. I singoli casi di
eccellenza ed i mutamenti nella mentalità di molti validi musicisti sono tuttora affidati alle
occasioni che ognuno cerca individualmente per intraprendere strade diverse rispetto a
quelle proposte dalla formazione istituzionale che preclude spesso la possibilità di una
scelta diversificata sul piano del futuro professionale.
Se ci si limitasse a considerare che un gran numero di musicisti italiani figurano in primo
piano nel panorama concertistico internazionale, si potrebbe concludere che almeno a livello di altissima specializzazione direttoriale e virtuosistica la scuola musicale professionale italiana sia stata un'esperienza di grande successo.Purtroppo, però, i tanti casi di eccellenza che il mondo ci invidia non possono bastare a recuperare il terreno perso, in un
settore che fonda il proprio tessuto creativo su un sistema di formazione tutt’oggi in profonda crisi.
343