Gli orientamenti della corte d`appello di Bari in tema di famiglia
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Gli orientamenti della corte d`appello di Bari in tema di famiglia
Gli orientamenti della corte d’appello di Bari in tema di famiglia. Incontro con la Commissione Famiglia del 23 gennaio 2014. Il tema affidatomi: Gli orientamenti della corte d’appello di Bari in tema di famiglia, non è molto distante da quello che ho trattato nel ciclo di incontri dell’anno scorso “Reclami alla Corte d’appello e rapporti con il Tribunale nei giudizi di separazione e divorzio.” In questo lasso di tempo gli orientamenti della Corte non sono sensibilmente cambiati in relazione ai principali problemi che vengono affrontati nella sezione minori-famiglia, si sono avute però delle modifiche normative rilevanti in questa materia. Per non ripetermi cercherò di affrontare qualche aspetto su cui non mi era soffermata in precedenza o che comunque continua ad essere sollevato con frequenza e di evidenziare i possibili riflessi sulle pronunce della corte delle novità legislative. Nel decreto sviluppo 2012 del 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni, dalla Legge 7 agosto 2012, n. 134 (G.U. n. 187 del 11-08-2012) al fine dichiarato di contenere i tempi della giustizia civile e di garantire maggiore efficienza al sistema delle impugnazioni, è stato inserito il filtro dell'inammissibilità all'appello. Le nuove norme si applicano ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione della quale è stata richiesta la notificazione trascorsi trenta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del Decreto Sviluppo; non si applicano in linea di massima, nelle cause in cui è previsto, a pena di nullità, l'intervento obbligatorio del Pubblico Ministero (ex art. 70, co. 1c.p.c.), ovvero alla quasi totalità dei procedimenti di cui si occupa la sezione famiglia della corte. Si applica invece anche alle impugnazioni di competenza della sezione famiglia, proposte dopo il 30.1.2013 pur se relative a giudizi iniziati in epoca anteriore, il comma 1-quater dell’art. 13 D.P.R. 115/02 (introdotto dalla legge di stabilità 228/12), che obbliga la parte, che proponga un’impugnazione inammissibile, improcedibile o totalmente infondata, a pagare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato e impone al giudice che rigetta l’impugnazione di dare atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti per il pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il reclamo. La norma, che impone al giudice che dichiara inammissibile, improcedibile o rigetta un reclamo o un appello di disporre l’obbligo del pagamento di detto contributo, non lascia alcuna discrezionalità al giudicante che è tenuto ad emanarla. Il dettato è chiaro e riguarda ogni ipotesi di rigetto totale o inammissibilità anche se non si pronuncia una condanna alle spese, come ad esempio nei ricorsi ex art 708 cpc o se eventualmente venga disposta una compensazione delle spese. In relazione al contributo non sono previste neanche eccezioni dovute alla natura della causa, alla sua complessità o novità della questione, sicché può ritenersi che l’obbligo non sussista solo per i procedimenti esenti dal pagamento del contributo, come le controversie minorili in tutti gli altri casi è una conseguenza automatica della pronuncia. In realtà per circa un anno la sezione famiglia, al pari delle altre sezioni civili della Corte, non ha emesso la prescritta dichiarazione, dall’inizio del 2014 si è invece conformata all’obbligo. Sorge il problema di cosa fare per le decisioni intercorse dal 1.2.2013 al 31.12.2013, altre corti d’appello e le altre sezioni civili di questa hanno deciso di integrare di ufficio i provvedimenti già emessi sul presupposto che la natura sanzionatoria della disposizione in questione, sottratta ad ogni valutazione discrezionale da parte del giudice sia in ordine all’an che al quantum, consenta la correzione dell’errore materiale. Credo che anche la nostra sezione si adeguerà, anche al fine di evitare ventilate azioni di responsabilità contabile dei giudici della sezione. Il problema del pagamento del doppio del contributo unificato era stato sollevato dall’avvocato Cinzia Petitti e credo di aver risposto al suo quesito. A mio avviso non sono ipotizzabili eccezioni legate alla natura o complessità della vicenda, la norma inoltre si estende anche alle declaratorie relative ad appelli o reclami incidentali e, ripeto, non dà all’autorità giudiziaria alcuna discrezionalità, anzi la espone in caso di omessa pronuncia ad azioni di rivalsa da parte dello stato e a giudizi contabili. L’unica possibilità per evitare il pagamento di quest’altro balzello che intravedo è quella della proposizione di una questione di legittimità costituzionale, anche se comunque l’accoglimento non mi sembra per niente scontato. Altre questioni che mi erano state poste riguardano la trasmissione del fascicolo di ufficio nel caso di reclamo avverso i provvedimenti presidenziali e le difficoltà di mandare avanti la procedura. Sul punto la corte non si formalizza nel senso che l’importante è avere a disposizione tutti gli atti che erano stati esibiti al presidente, siano in originale o in copia autentica e infatti alcuni tribunali, come ad esempio Foggia non inviano mai il fascicolo di ufficio, anche se la corte per prassi lo richiede non essendoci alcuna norma che consente o impone di omettere tale richiesta. Penso che il problema andrebbe sollevato, più che alla Corte ai giudici di primo grado e che una soluzione andrebbe trovata in quella sede. Per quanto attiene al problema dell’ingolfamento dell’udienza in corte di appello e l’omessa distinzione delle due fasce di orario, faccio presente che la chiamata delle cause minorili prima delle altre è una costante della corte, ma non viene disposta rigidamente in quanto vi sono dei casi in cui per motivi particolari non è possibile iniziare con le cause minorili e in tal caso se venisse operata una distinzione di fasce orarie, la corte dovrebbe restare molto tempo senza fare nulla e così le parti e l’orario delle cause della famiglia slitterebbe ulteriormente, aggravando i disagi. La soluzione adottata dalla Corte di cominciare in questo caso dalla famiglia chiamando però solo le cause in cui le parti contrapposte sono presenti e pronte per la decisione, mi sembra quella che consente una migliore comparazione delle esigenze di tutti. Se si seguisse rigidamente la distinzione fra fasce orarie e l’ordine di chiamata, non si potrebbe tener conto di esigenze eccezionali, parti o avvocati con problemi di salute, in stato di gravidanza eccetera e si finirebbe con il penalizzare tutti i possibili ritardatari, mentre con un ordine elastico e la decisione di attendere la fine dell’udienza per decidere sui procedimenti in cui nessuno ha risposto alla chiamata, mi sembra che la corte venga realmente incontro alle esigenze di tutti. Il problema in questione mi era stato sollevato anche l’anno scorso e io aveva risposto in maniera analoga a quanto ho detto prima e mi sembrava di essere stata convincente. Forse non lo sono stata, comunque se concordate una diversa organizzazione e siete pronti ad affrontare i pericoli connessi, chiamate che slittano alle ore pomeridiane, o cancellazioni dal ruolo o trattazione in presenza di una sola parte per omessa risposta alla chiamata secondo l’ordine cronologico fissato, la corte è pronta a modificare la propria organizzazione. La richiesta in tal senso, per evitare successive contestazioni dovrebbe pervenirmi però in via ufficiale e dall’organismo a ciò deputato. Io mi rendo conto della particolare natura dei procedimenti trattati e dell’urgenza che hanno per le persone coinvolte le loro vicende familiari, voglio far notare, però che le nostra sezione è quella che dà i rinvii meno lunghi, che ha il minor numero di procedimenti arretrati pendenti e che, mentre ogni qualvolta si trova ad interagire con avvocati che vengono da fuori o che sono abituati a trattare altre materie, riceve appezzamenti per la celerità, è criticata dai difensori del distretto abituati a trattare questioni in materia di famiglia, i quali nonostante le prime udienze fissate dopo due o tre mesi dalla proposizione dei ricorsi chiedono anticipazioni, salvo il giorno dell’udienza a chiedere rinvii per non essere riusciti a notificare o perché non è pervenuto il fascicolo di primo grado. Un altro quesito postomi riguarda la prassi di concedere un rinvio nel caso di costituzione del reclamato in udienza, anche se il reclamante non lo chiede, tale prassi che viene correlata alla necessità del relatore di avere a disposizione tutti gli atti per riferire al collegio, viene ritenuta foriera di perdita di tempo, in realtà ciò non è perché il rinvia viene comunque dato nel più breve tempo possibile e ciò comporta che i magistrati possano riunirsi all’esito dell’udienza per riferire sui vari procedimenti. Se si mutasse organizzazione su tale problema le conseguenze finirebbero con il riflettersi su tutti gli altri procedimenti e con il determinare una complessiva minore celerità della sezione. Mi spiego la sezione famiglia non è costituita da componenti fissi che si occupano solo di questo settore ma da magistrati assegnati prevalentemente ad un'altra sezione. Ne consegue che è complicato anche trovare giorni liberi per riunirsi per le camere di consiglio. A tal fine io ho ottenuto la disponibilità dei colleghi a trattenersi dopo ogni udienza per l’esame di tutti i procedimenti riservati per la decisione senza termini per note, ove si decidesse invece di non are termini e riservarsi anche in presenza di deposito di atti che non consentano un immediato studio si dovrebbe rinviare la camera di consiglio e non potendo per i diversi impegni dei vari giudici trovare facilmente una data per essa si finirebbe con il rinviare la decisione alla successiva udienza in cui il collegio è nella stessa composizione che può essere anche alcuni mesi dopo. Dopo aver risposto alle questioni che mi erano state sottoposte, e rimanendo a disposizione per eventuali ulteriori problemi organizzativi o giurisprudenziali che mi verranno posti, passo ad esaminare gli orientamenti attuali della corte e anche i problemi che si potranno porre e i mutamenti prevedibili di orientamento a seguito delle modifiche legislative e in particolare della revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione ai sensi dell’art 2 della Legge 10 Dicembre 2012, N. 219 Pubblicata in G.U. n. 5 dell’8 gennaio 2014 che entrerà in vigore il 7 febbraio 2014» Ci sarà una conversazione sulla legge con il collega Greco, sicchè io mi limiterò ad evidenziare alcuni aspetti che si potranno riflettere sulla giurisprudenza della sezione famiglia della corte. Importante in tal senso mi sembra l’art. 317-bis c.c. che attribuisce agli ascendenti il diritto di agire innanzi al TM nel caso in cui sia impedito il loro diritto «di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni». Orbene in passato la corte è stata piuttosto cauta nel riconoscere il diritto dei nonni contrastato da un genitore a mantenere rapporti significativi con i discendenti adeguandosi alla giurisprudenza della Cassazione (vedi Sez. 1, Sentenza n. 17191 del 11/08/2011 (Rv. 619424) per cui l'art. 1, comma primo, della legge 8 febbraio 2006, n. 54, che ha novellato l'art. 155 cod. civ., nel prevedere il diritto dei minori, figli di coniugi separati, di conservare rapporti significativi con gli ascendenti (ed i parenti di ciascun ramo genitoriale), non attribuisce ad essi un autonomo diritto di visita, ma affida al giudice un elemento ulteriore di indagine e di valutazione nella scelta e nell'articolazione di provvedimenti da adottare in tema di affidamento, nella prospettiva di una rafforzata tutela del diritto ad una crescita serena ed equilibrata. Oggi la situazione è radicalmente cambiata essendo codificato come diritto degli ascendenti azionabile autonomamente la possibilità di mantenere i rapporti con i discendenti. Altra novità rilevante di cui occorre tener conto è quella relativa all’audizione dei minori per cui il nuovo art. 38-bis disp. att. c.c. regola l’audizione nelle cd. «sale di ascolto» (munite di vetro specchio) e statuisce che in mancanza di queste sale, i difensori possono partecipare all’audizione solo se autorizzati dal giudice (336- bis comma II, c.c.) Poiché in corte le sale di ascolto non ci sono, occorrerà porsi il problema su come procedere all’audizione dei minori e in quali casi disporre che possano presenziare i difensori. Per quanto attiene alla consolidata giurisprudenza della corte, in relazione al diritto minorile uno dei problemi più frequenti attiene alla reclamabilità dei provvedimenti provvisori assunti in corso di istruzione dal TM. La corte , recependo la giurisprudenza sul punto della corte di Cassazione, li dichiara inammissibili, previo accertamento però che trattasi effettivamente di provvedimenti provvisori con fissazione di un termine di scadenza. Frequenti sono gli appelli in relazione al rigetto del TM delle richieste di idoneità all’adozione internazionale, su cui in effetti si registra un eccessivo rigore del Tribunale minorile che sembra richiedere alle coppie aspiranti risposte precostituite e penalizza ogni incertezza o limitazione alla disponibilità per situazioni particolarmente complesse, mentre la Corte ritiene che le coppie con i requisiti di legge, e che abbiano positive doti debbano essere tenute in considerazione, anche se non se la sentono di affrontare disabilità del bambino o manifestino perplessità per l’inserimento socio ambientale di bambini di colore. Altri provvedimenti emessi dal TM soggetti a frequente impugnazione concernono il diritto a permanere sul territorio nazionale vantato da alcuni genitori non muniti di permesso di soggiorno. Sul punto la giurisprudenza della Corte è meno rigida di quella del tribunale, ritenendo conformemente a quanto affermato dalla cassazione che tema di immigrazione, la norma d'indirizzo generale di cui all'art.3 della Convenzione di New York 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo, ratificata dalla legge 27 maggio 1991, n.176, richiamata dall'art. 28 del d.lgs. 25 luglio 1998 n.286, in relazione al diritto all'unità familiare, secondo cui "l'interesse del fanciullo deve essere una considerazione preminente", prescrive che gli Stati vigilino affinché il minore non sia separato dai genitori, facendo salva, tuttavia, l'ipotesi in cui la separazione sia il risultato di provvedimenti legittimamente adottati da uno Stato-parte; ne discende, che nel caso in cui lo straniero sia colpito da un provvedimento di espulsione, le esigenze di legalità e sicurezza sottese a tale provvedimento non sono automaticamente recessive rispetto all'interesse, pur preminente, del fanciullo. (Sez. 1, Sentenza n. 4197 del 19/02/2008). I procedimenti più complessi e coinvolgenti sono in materia di diritto minorile quelli di opposizione alla dichiarazione di adottabilità. Sul punto la corte spesso integra l’istruttoria effettuata dal tribunale per avere la certezza, prima di confermare la decisione, che in effetti la famiglia biologica non sia recuperabile da un punto di vista affettivo ed educativo. Talvolta si trova dinanzi a drammatiche scelte di rapporti affettivi in quanto nelle more fra la decisione di primo grado e l’appello o fra l’apertura della procedura e la decisione, per evitare vuoti affettivi e di assistenza il TM colloca il bambino presso una famiglia fra quelle richiedenti l’adozione o disponibili all’affido e la decisione della corte finisce inevitabilmente per sacrificare un vincolo affettivo che comunque esiste nel vissuto del bambino. Alcuni anni fa il tribunale per i minorenni di Bari, proprio per superare lì ove fosse possibile tali problematiche aveva realizzato alcune “adozioni cd miti” il minore era dato in adozione senza recidere il legame con la famiglia biologica. Oggi tale strada mi sembra essere stata abbandonata dallo stesso TM di bari e non seguita da altri tribunali minorili. Il dibattito giuridico è tuttavia aperto, ed è auspicata da più parti una regolamentazione giuridica di questa fattispecie, che è presente in altri ordinamenti. Dott.sa Sara Carone