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1 Una poesia scritta da Spatzo, un sinto morto alcuni anni fa, ci
AI.Z.O. Associazione Italiana Zingari Oggi
Una poesia scritta da Spatzo, un sinto morto alcuni anni fa, ci inserisce nel cuore di un
popolo invisibile
La nostra vita migliore è libertà
“(...) la nostra vita è semplice, primitiva,
ci basta avere per tetto il cielo,
un fuoco per scaldarci
e le nostre canzoni
quando siamo tristi.
Il nostro segreto sta nel godere
ogni giorno le piccole cose
che la vita ci offre
e che gli altri uomini non sanno apprezzare.
Quando si muore si lascia tutto:
un miserabile carrozzone
come un grande impero.
E noi crediamo che in quel momento
sia molto meglio essere stati zingari che re”.
Nella nostra città, in molte città, c'è una città invisibile, nascosta nelle pieghe delle
metropoli: la città romanì, dove vivono rom e sinti.
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LA STRUTTURA DELLA VITA SOCIALE DEL POPOLO ROM E SINTO
INTRODUZIONE
Prima di iniziare questo percorso nella struttura sociale del popolo Rom e Sinto vi faccio
un invito: sedervi su un divano orientale, perché è uno dei modi di accogliere questa
popolazione, cercando di capirla nella sua differenza culturale.
Secondo Rajko Djuric, Rom di Belgrado e per molti anni presidente della Romani Union –
l'Associazione mondiale degli zingari – e per anni docente di sociologia presso l'Università
di Berlino, e oggi deputato al parlamento serbo, la cultura base di tutti i Rom (e Sinti) è la
cultura indiana, e tutti i cambiamenti avvenuti in seguito sono da attribuire a secoli di
rapporti con le varie popolazioni con le quali venivano in contatto, che hanno influito e
ampliato le loro tradizioni.
Praticamente tutto è stato “zingarizzato”.
I due concetti di “puro” ed “impuro” di matrice indiana danno significato a tutti i valori della
comunità.
Puro è tutto ciò che è bello, nobile, giusto, impuro è la negazione di tutto, perciò la
distruzione, la malattia, la morte. Il corpo è visto con questo dualismo: i piedi che toccano il
terreno sono ritenuti sporchi ed impuri, mentre il tronco del corpo è neutro, il collo e la
testa sono puri e pertanto è necessario coprirli con il “diklò” (il foulard). Si può affermare
perciò che la vita è la purezza, e la morte l'impurità.
Il Rom crede nel fato che ha potere su tutte le persone e non si può cambiare. “O nasci
sotto una buona stella o con una stella cattiva”, dicono quando alcuni avvenimenti si
ripetono, perciò avere molti figli, la salute e la capacità economica di mantenere la famiglia
significa avere il fato, il destino dalla loro parte.
A volte, di fronte a situazioni di grave disagio, quando cerco di far vedere la positività della
situazione, li sento impotenti. “Nella nostra famiglia sono anni che va tutto male e non
possiamo difenderci”.
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La cultura indiana è legata al mondo irrazionale e, nonostante siano passati ormai dieci
secoli dal loro arrivo in Europa, influisce ancora nelle generazioni attuali.
La cultura di questo popolo, come altri popoli primitivi, non ha sviluppato grandi ideali o
progetti, ma ha valorizzato molto il senso della vita, la famiglia, il gruppo di appartenenza.
LA STRUTTURA SOCIALE NEL POPOLO ZINGARO
I Rom ed i Sinti vivono in piccoli gruppi legati da rapporti di parentela, definiti in
antropologia “kumpania”, che significa comunità temporanea di viaggio, composta da un
numero variabile di famiglie: cinque, dieci, venti.
I membri di questo gruppo dipendono dalla kris romani (non i Sinti), anche se non esiste in
tutti i sottogruppi.
La famiglia nucleare o estesa, la kris e la kumpania sono i tre elementi su cui si basa tutta
l'organizzazione sociale, etica e religiosa del popolo zingaro.
La struttura sociale zingara, da un punto di vista antropologico, corrisponde ad un modello
tribale con sistemi di decisione e solidarietà che sono organizzati dal basso verso l'alto, a
differenza di altri schemi organizzativi.
K. Stoyanovitch, studioso zingaro, definisce tale società “una società egualitaria e
democratica nel senso più rigoroso del termine, ed è questa la ragione per la quale non ha
assolutamente storia”. Senza capi, infatti, non si fa la storia.
LA FAMIGLIA
Per un popolo senza territorio, e quindi senza alcuna istituzione “pubblica”, la famiglia è,
più che per qualsiasi altro popolo, l'elemento fondante dell'organizzazione sociale, vero e
proprio “centro di gravità” della “zingarità”.
Scriveva, nel 1985, J.P. Liegeois: “Nella vita dello zingaro tutto gravita intorno alla famiglia,
unità di base dell'organizzazione sociale, sistema di gruppi famigliari, unità economiche
nelle quali si esercita il lavoro e la solidarietà, unità educativa che assicura la riproduzione
sociale, la sicurezza e la protezione dell'individuo. Nella mobilità e precarietà delle
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situazioni, essa è un elemento di stabilità”.
Presso il popolo zingaro, la famiglia è il nucleo base della struttura politica della loro
società e la condizione stessa dell'esistenza, in quanto provvede ai bisogni di ciascun
membro riguardo alla sua sopravvivenza, ed è garante dell'identità culturale.
IL rigido controllo sociale che viene esercitato sulle donne e sui figli garantisce solidità al
gruppo famigliare allargato: il padre esprime la propria autorità anche sui figli sposati e
sulle nuore, almeno fino alla nascita del primo figlio; le nuore debbono obbedienza e
rispetto alle suocere.
Si sviluppa così, nello zingaro, un fortissimo senso comunitario, dove la famiglia è
veramente l'unità morale. Il gruppo ha precedenza sull'individuo, e la solidarietà sociale
mantiene uniti tutti i membri.
D'altra parte, il gruppo familiare – o famiglia estesa – non abbandona mai i propri membri
in difficoltà, garantendo protezione psicologica e sociale, sicurezza economica, ed è
sempre presente nei momenti importanti della vita: il matrimonio, la nascita, la malattia, la
festa, la morte.
“Nessuno è mai lasciato solo; né a casa sua, né fuori all'ospedale, né sul letto di morte:
mai l'individuo è solo”. Egli è preso da un'ampia rete di intensi rapporti affettivi dai quali è
impossibile uscire, infatti le relazioni parentali hanno sempre la priorità su tutto.
Nella società occidentale, la solitudine è il cardine della crisi della persona, la gente si
sente sempre più sola, perciò il gruppo famigliare zingaro ha una grande forza di
coesione.
Di conseguenza, la famiglia allargata si pone come struttura sociale capace di dare
all'individuo un forte sentimento di appartenenza, la possibilità di identificarsi chiaramente
all'interno del gruppo, tanto da poter affermare che è proprio questo forte sentimento della
famiglia che ha salvato il popolo zingaro dall'essere disperso e fagocitato dalla società
maggioritaria, in totale opposizione con i suoi usi e con le sue tradizioni, e che soltanto
nella permanenza nella famiglia – in quanto espressione del particolare modo zingaro di
vedere l'esistenza ed i suoi problemi – esiste garanzia di un futuro per questo popolo.
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Per la famiglia e per il suo benessere, lo zingaro è disposto a fare tutto quanto può: essere
un buon marito, un buon padre, un buon figlio, fa parte di una responsabilità, di un dirittodovere irrinunciabili, che si estendono, oltre i membri della cosiddetta famiglia ristretta, a
tutto il gruppo parentale. Parlando della famiglia zingara non si può infatti parlare di
famiglia nucleare, bensì di famiglia estesa, se non addirittura di “lignaggio”, anche se in
senso non del tutto proprio. Sociologicamente si parla di lignaggio nel caso di discendenza
da comuni antenati. Per gli zingari si può parlare non di lignaggio in senso storico ma di
gruppo allargato, che comprende tutti coloro che sono legati da vincoli di sangue e da
affinità. Il legame del sangue e molto sentito nella società zingara: anche un cugino di
terzo grado è qualificato come “mio cugino di sangue”, dove la parola
“sangue” è pronunciata con tale forza che la frase si potrebbe tradurre: “è mio fratello”.
Quando la donna lascia la propria famiglia per sposarsi, pur mostrando rispetto ed
obbedienza alla famiglia del marito, considererà sempre più importante la famiglia di
origine, che a sua volta non cesserà di occuparsi di lei e di proteggerla, come in caso di
bisticci importanti con il marito, quando tutti i parenti – compresi i morti – vengono tirati in
ballo, a dimostrare la fedeltà della ed alla famiglia di origine.
I doveri di aiuto, reciprocità e rispetto, sono tuttavia naturali anche verso gli affini, quando
nasce cioè una nuova famiglia ed ognuno dei due gruppi parentali si trova ad avere
relazione stretta con un nuovo insieme di persone.
D'altra parte è proprio grazie alla rete di relazione e di scambi che ogni nuova famiglia
determina – e poi mantiene a nel tempo – che viene garantita l'esistenza stessa del
gruppo, mentre è grazie all'azione concorde della famiglia allargata – o lignaggio – che
vengono saldamente trasmessi alle nuove generazioni i valori ed i comportamenti della
“zingarità”.
I genitori, infatti, non sono mai soli ad occuparsi dei figli: questo è un diritto-dovere di tutto
il gruppo parentale, gli adulti nei confronti dei giovani, i giovani nei confronti dei bambini.
Spetta al gruppo parentale allargato il saper contenere i conflitti che potrebbero rompere
l'armonia del gruppo, stimolare i suoi membri all'attività da svolgere all'esterno,
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organizzare le attività all'interno della famiglia (cucinare, pulire, accudire i bambini,
raccogliere la legna, prepararla per il fuoco, andare a prendere l'acqua, aggiustare la
baracca, ...).
“KUMPANIA”
Gli antropologi danno molte definizioni riguardo alle famiglie che abitano nello stesso
territorio legate da rapporti di parentela:
- la “niamo” è la famiglia nucleare
- la “vitsa” è la famiglia estesa
- la “natsia” è il raggruppamento di varie famiglie estese, anche non legate da rapporti
parentali stretti.
La “kumpanìa” è, secondo Luc De Heusch, una “entità sociale in movimento che riunisce,
per un periodo più o meno lungo, un numero variabile di famiglie estese”.
La formazione di una “kumpanìa” nasce per motivi di solidarietà ed economici.
Riguardo la solidarietà: non essere soli sul territorio, ma stare insieme, significa darsi
sicurezza nei confronti dei gagé.
In passato, esisteva la ripartizione economica del territorio, la possibilità di essere presenti
in una zona e sfruttare tutte le risorse del territorio, un’altra “kumpanìa” rispetterà il patto di
suddivisione territoriale.
Ad esempio i Sinti giostrai hanno determinate zone per lavorare nelle varie sagre; se uno
di loro si ammala e non può installare la giostra, nessuno lo sostituirà, proprio per lealtà
verso le altre “kumpanìe”, così come per la raccolta del ferro.
Un altro obiettivo è quello di non essere in troppe famiglie di zingari nello stesso territorio
ed aumentare la tensione con i gagé.
Ad esempio: conosco delle famiglie che non andranno mai a “lavorare” in una certa zona,
perché vi opera già un'altra “kumpanìa”.
Logicamente, con l'arrivo di nuovi gruppi non sempre questo codice è rispettato; è questa
la causa di tensione tra stranieri e italiani, e ora tra romeni e gli storici
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Le singole famiglie estese non possono emanare sentenze o prendere posizione contro un
membro ritenuto deviante, ne affrontare conflitti che riguardano più gruppi, ma sono
obbligati a convocare la Kris (unica) e, se non esiste, il consiglio degli anziani, formato da
alcune persone ritenute autorevoli.
La famiglia estesa ha un codice comportamentale molto rigido ed una gestione privata
delle tradizioni stesse, fondate sull'autorità del padre sulla moglie, sui figli e sulle nuore, e
su quella politica del consiglio degli anziani o della kris.
L’esodo, l'isolamento, la persecuzione, hanno fatto sì che la legge interna del gruppo abbia
resistito all'erosione del tempo.
Nonostante le influenze di altre culture, si sono conservati i principi di fondo, anche se
nulla è scritto ma solo tramandato oralmente.
Capisaldi di questa legge sono pertanto, da sempre, i principi della reciprocità e della
solidarietà interne al gruppo, e quello dell'onore.
Per far osservare le normative che regolarizzano la loro cultura, hanno bisogno di un
organismo, la kris infatti serve a questo.
I Sinti non ricordano se in passato avessero anch'essi la kris.
Attualmente, qualsiasi cosa accada all‘interno del gruppo, si chiede consiglio alla famiglia
estesa: ci si raduna, si discute, si decide insieme.
I Rom utilizzano il “divano” per i problemi minori e la kris per le questioni importanti.
Il “divano” è costituito dai capifamiglia che hanno una questione da risolvere (2-3 persone),
la kris, invece, da Rom autorevoli che fungono da giudici.
Il presidente è naturalmente un maschio, ed è scelto da entrambe le parti per la sua
autorevolezza, e quindi per la sua capacità di paciere, per la sua influenza morale, per la
sua saggezza. Si tratta di una carica non ereditaria. (ES REGINA DEMETER A TO
BOLLETTINI RAI)
Le donne non possono parlare durante una kris se non sono interrogate.
La kris mantiene il rispetto per le tradizioni; in passato veniva convocata tutte le volte che
succedevano gravi controversie all'interno del gruppo; attualmente viene convocata 3-4
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volte all'anno.
Secondo lo studio di H.T. Thompson sulla concezione di legge e di giustizia presso gli
zingari, si dimostra che le regole che reggono la loro vita sono in special modo di ordine
economico: la ripartizione dei beni e dei guadagni, ma anche le infrazioni fatte contro le
tradizioni del gruppo.
La kris regola i matrimoni, i rapporti con il gruppo e altri gruppi, garantisce l'ordine, giudica
le colpe gravi: il furto ai danni di un altro zingaro, l’adulterio, la rottura del fidanzamento e
del matrimonio, l'aborto, i rapporti sessuali di una ragazza non sposata, la violazione dei
tabù di impurità, la denuncia di un Rom alle autorità dei gagé, lo spergiuro, il rapimento, la
vendetta tra i gruppi, i maltrattamenti ad una donna da parte del marito o dei suoceri.
Il giudizio è pubblico e può avvenire fuori dal campo, anche in un bar.
Per le situazioni gravi esiste l'allontanamento dal gruppo. In molti casi i soldi della multa
servono per fare il “paciv” (pace, rispetto): una festa di riconciliazione.
Esempio di crisi della kris: Balica contro Draga, ritiro della denuncia.
IL MATRIMONIO
Il matrimonio esplica in tutte le società alcune funzioni :
- cambiamento di status dei due contraenti
- la coabitazione sessuale
- la riproduzione
- la cooperazione economica
- e l'alleanza con nuove famiglie.
Secondo la Cozannet “il matrimonio ha nella cultura zingara un significato religioso
minimo, difficile da scoprire. Come in altre culture primitive, il matrimonio zingaro è vissuto
essenzialmente quale realtà umana naturale, che non mette in gioco interventi speciali di
forze o esseri superiori. D'altra parte essendo il momento più importante della vita sociale
organizzata di qualunque gruppo umano, presso gli zingari ha fortemente subito influssi
esterni. I riti che lo riguardano e che sono molto numerosi, per il loro stesso carattere
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sociale spettacolare, sono stati più degli altri toccati dall‘acculturazione”.
Il matrimonio è un rito intensamente vissuto da tutti gli zingari perché è un rafforzamento
sociale per tutto il gruppo.
Può avvenire con tre modalità diverse:
. per acquisto con indennizzo di dote per i Rom; ·
. per fuga con rapporti per i Sinti;
. per fuga senza rapporti sessuali per i kalé.
Quasi tutti i gruppi mantengono una chiusura genetica verso l’esterno, ma anche di
gruppo; specialmente in Italia, un Sinto non vedrà di buon occhio il matrimonio con un
Rom, mentre i giostrai si sposano spesso con i gagé, così per i Rom italiani.
All'estero si sposano più facilmente con i gagé.
Esempio di Chimera che, fuggita con un Kalderash, è stata riportata a casa con forza e
costretta a sposarsi con un Sinto il giorno dopo il suo ritorno.“
“(La scelta della sposa) appare al figlio zingaro come un dono meraviglioso del padre.
All'età di 13-15 anni il giovane riceve una compagna, realizza la sua virilità, diventa un
Rom; prima non aveva alcuna importanza sociale, non poteva parlare di affari con gli
uomini” (Chatard – Bernard).
Il matrimonio tra i Rom prevede lunghe trattative e son sempre i genitori che scelgono il
partner (si riscontrano in questo le radici indiane: i bramini praticano i matrimoni combinati)
per creare alleanze nell'interesse di tutta la famiglia. Il matrimonio imposto dagli zingari ai
loro figli fa ricordare la stessa situazione vissuta nei secoli passati dove i padri sceglievano
il marito alle loro figlie o addirittura le toglievano dal mercato matrimoniale rinchiudendole
in convento” (Ida Magli).
Durante il fidanzamento i due giovani non possono parlarsi, a volte neppure si conoscono.
Il matrimonio viene contratto in giovane età (per i Sinti 18/22 anni, per i Rom 13/16 anni).
Da tener presente che l'età media dei Rom è di 37 anni. Si è nonni a volte prima dei
trent'anni. (Gulic 15 anni 2 bambini!).
Le ragioni di questa precocità sono da ricercare innanzitutto in una sana sessualità;
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appena il ragazzo inizia il periodo della pubertà la famiglia decide di farlo sposare. Il
ragazzino non dorme più in roulotte con le sorelle, ma in un locale a parte, magari nella
macchina. Esistono tuttavia anche motivi economici: se la famiglia basa parte
dell'economia sull'accattonaggio o su attività illegali, come il furto, c'è bisogno di ragazzini
per questa attività.
Il matrimonio dei Rom dura tre giorni ed è ricco di ritualità: una festa in grande! Si
acquistano in abbondanza pecore e maiali, birra, liquore, tutta la famiglia è coinvolta per
preparare il matrimonio. Bisogna costruire un grande locale (può essere una tenda) per
accogliere gli invitati, a volte centinaia di persone.
Si spende molto denaro ed avviene per la famiglia l'azzeramento economico, si spende
per quella festa tutto ciò che si possiede.
La cerimonia è presieduta dal padre dello sposo o della Kumpanìa e vengono utilizzati
alcuni elementi simbolici, il pane e il sale. Il pane ha il significato di essere l'unico alimento
che può conservare la vita.
Grazie alla sua proprietà di conservare e dare sapore, il sale era considerato detentore di
una particolare forza vitale, ha sempre avuto anche una funzione purificatrice, nell‘antica
Roma vigeva l‘uso di spargere il sale sulla labbra del neonato; con questo gesto il bambino
era protetto dai pericoli. Lo sposo dona alla ragazza il diklò il foulard che le coprirà il capo
come segno di appartenenza ad un uomo.
Negli ultimi anni esiste nella cerimonia, ma le ragazze non lo usano più anzi ormai anche
le donne di una certa età lo hanno tolto.
La prima notte del matrimonio ci sarà la verifica della verginità della sposa, per i kalè
questo controllo viene eseguito dalle donne anziane del gruppo, per i rom il controllo è
fatto sulla sottana macchiata di sangue che viene esposta sulla roulotte degli sposi.
Abitualmente al mattino le donne della famiglia della sposa fanno un balletto di
compiacimento per la conferma della verginità.
La verginità è ritenuta indispensabile per la riuscita del matrimonio e significa che tutta la
famiglia di origine è stata capace di custodire la verginità della figlia.
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Sono a conoscenza di casi di ripudio per la mancata verginità (come del resto anche per la
sterilità).
Solo se il ragazzo, nonostante tutto, ama la ragazza si mette contro la volontà dei genitori,
ma la donna nei momenti di conflitto con il marito e la sua famiglia d'acquisto sarà sempre
accusata di essere sposata non vergine,un marchio che la segnerà per tutta la vita.
Se il matrimonio fino a ieri era un legame che duraturo negli ultimi anni si nota un
cambiamento da parte della ragazza: - non è più disponibile ad essere la serva degli
uomini e non è più servizievole come nel passato perciò l'obbedienza alla suocera spesso
si trasforma in conflitto ed e quasi sempre il motivo principale della separazione, notiamo
pertanto matrimoni che durano pochi mesi, uno scambio di partner incredibile. Questa
situazione lede i rapporti tra i gruppi e sta diventando soprattutto per i rom daxixanè una
pratica normale.
Davanti a questa situazione contro l'istituto del matrimonio come sempre la comunità si dà
delle risposte. Esempio si va in Romania, non i korakanè che si sposano tra parenti.
UNA CULTURA TRA CRISI E CAMBIAMENTO
L'incontro fra culture costituisce sovente il punto di crisi da cui nasce una cultura nuova.
Nell'incontro tra culture forti e culture deboli, la prima può invece semplicemente
assimilare la seconda, ma possono realizzarsi anche risposte reattive miranti ad
ostacolare tanto l'assimilazione che l’integrazione.
La posizione di difesa e di chiusura che ha caratterizzato ed ancora caratterizza la cultura
zingara nei confronti delle culture maggioritarie rientra indubbiamente in questo terzo tipo
di risposta.
D’altra parte, difendere e mantenere ad oltranza le proprie usanze e le proprie tradizioni,
sottolineare il proprio essere diversi, sviluppare un fortissimo sentimento della zingarità
come contrapposizione al mondo gagio, assumere quasi ad elemento religioso o
soprannaturale la difesa verso questo mondo di persecutori, elaborando leggende che lo
spiegano, lo giustificano ed approvano i comportamenti conseguenti degli zingari è stata
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una risposta pressoché obbligata alle politiche di rifiuto, di esclusione, poi di assimilazione
forzata che hanno caratterizzato l'atteggiamento delle culture forti.
Questo immane sforzo di difesa e quindi di chiusura e di contrapposizione assunto quasi a
valore culturale, rischia oggi di trasformarsi in una sorta di prigione o di elemento di
distruzione culturale, perché la società maggioritaria è sempre più estranea rispetto al
mondo zingaro, che in essa non trova più spazi di sopravvivenza dignitosa.
Non c’è più spazio per i lavori del passato degli zingari; questo trasforma negativamente i
ruoli tradizionali, in molti gruppi il sostentamento economico della famiglia è delegato alle
donne ed ai bambini, sospinti sempre di più verso attività improprie.
La scomparsa del vecchio mondo rurale ha chiuso gli spazi propri della vita e del lavoro
zingaro e, con questi, una rete preziosa di scambi funzionali; ha sospinto le famiglie
zingare nelle periferie delle grandi città, nei grandi campi sosta, spesso più simili a ghetti
che a villaggi abitabili, impoverito di significato il nomadismo che, se non era e non è
l’elemento principale della cultura l zingara, ne costituiva tuttavia un mezzo di
conservazione.
Il popolo zingaro possiede le potenzialità per un cammino di auto promozione, anche se
sta vivendo una crisi d’identità.
La crisi investe, anche se non ancora in misura profonda, l’istituto familiare. La famiglia
allargata va perdendo parte del suo potere e della sua importanza; spesso, a causa delle
rigide norme degli enti locali riguardo la sosta, non e possibile accamparsi nella medesima
area e va cosi scomparendo il senso stesso del tradizionale preparare il cibo insieme e,
più ancora, il dividere il guadagno del lavoro svolto in gruppo. Ma indipendentemente da
queste cause esterne, è in atto l'affermarsi della famiglia nucleare, nella quale la coppia
sta diventando un'entità caratterizzata da una maggior collaborazione tra la coppia e con
un potere reale anche di fronte agli anziani. L’uomo è ancora sempre il capofamiglia, ma
molte cose si discutono fra tutti i componenti della famiglia nucleare e si decidono insieme.
La donna in particolare va uscendo dal silenzio ed assumendo un ruolo nuovo: l’età del
matrimonio si alza, non è più precoce come in passato, il numero dei figli diminuisce.
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Spia del disagio vissuto all’interno del gruppo è anche il ricorso ad un operatore esterno
per la soluzione di un problema, impensabile fino a qualche anno fa, tutte le famiglie
estese prendono in carico il problema e tentano di risolverlo.
Un ruolo molto importante nella crisi dei valori tradizionali, è la comunicazione massmediale. La suggestione del televisore, sempre acceso nelle baracche e seguito
soprattutto dalle giovani e dai bambini, sta operando una vera e propria persuasione
occulta verso spettatori privi di ogni strumento di difesa, anzi neppure consapevoli di
trovarsi di fronte ad un possibile nemico. E sappiamo bene che, con il televisore, entrano
nuovi modelli quali il consumismo, l’edonismo, l'antagonismo, il desiderio di avere e di
possedere, la competitività, l’individualismo, così contrastanti con i valori tradizionali del
popolo zingaro: la famiglia, la solidarietà, il rispetto per l’uomo e per l’anziano. Sta
entrando per la finestra, e con i suoi messaggi peggiori, quello che essi non lasciano
entrare dalla porta (massimo controllo dei gagé che vengono al campo!).
Perciò molti giovani hanno bisogno di denaro per il divertimento, per l’automobile nuova e
di grossa cilindrata, per i vestiti: non accettano più di vestire indumenti poveri, li vogliono
possibilmente firmati.
Si comincia a notare giovani stanchi, annoiati, in alcuni gruppi cominciano a far uso di
droghe.
Anche gli zingari hanno avuto i primi morti di overdose.
Ma non è solo presso i giovani che il denaro ha assunto una valenza sconosciuta al
popolo zingaro, quel popolo che ha sempre preferito essere povero di ricchezze, ma ricco
di scambi umani, di allegria, di libertà, padrone del proprio tempo, senza né obblighi né
schiavitù (neppure dalle cose). Oggi sono poche le famiglie che augurano ai loro figli di
“fare la nostra vita, senza diventare ricchi”. Troppi hanno scoperto il fascino ed il potere del
denaro; cominciano ad aprire conti in banca e la solidarietà e la condivisione risultano
indebolite.
Siamo infatti convinti che solo attraverso il cammino di coscientizzazione potrà innalzarsi il
livello di vita della comunità zingara e dare ad essa gli strumenti concreti perché possano
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difendere in prima persona i propri diritti e la propria specificità.
La crisi, tuttavia, lo ripetiamo, non ha ancora cambiato radicalmente gli zingari. Vi sono
giovani che dopo aver vissuto per anni in case preferiscono andare a vivere nel campo;
nessuna famiglia sedentarizzata, magari proprietaria di un casetta, ha allentato i rapporti
con le altre famiglie al campo ed è normale che ne ospiti le roulottes nel proprio cortile...
Pochissime famiglie sperano per i propri figli un futuro da gagé. Chiedono che possano
continuare ad essere zingari, solo con più sicurezze e meno emarginazioni: lo dicono i
gruppi nomadi come quelli seminomadi e sedentari.
Questa coscienza e questo orgoglio di essere Rom e Sinti è una forza potente di
conservazione e di propulsione.
Nello stesso tempo ci sono segnali positivi: l’interesse per la scuola dei figli, la creatività e
l’iniziativa nell’inventare ed intraprendere nuovi lavori, l'alfabetizzazione crescente, la
disponibilità – almeno come è nella nostra esperienza – a collaborare con i gagé animati
da reale interesse nei loro confronti.
Chiudo con la dichiarazione di una giovane romi ungherese, universitaria:
“La mia libertà è possedere la mia cultura, le mie radici e insieme gli strumenti di
comprensione della società di oggi”.
Questo è il futuro! E sono in molti a sperarlo.
Per informazioni:
Carla Osella
Presidente Nazionale
c/o A.I.Z.O. Via Foligno 2/14
Torino
Telefono 0117496016
Fax 011740171
e-mail [email protected]
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