RIABILITAZIONE DELLA MANO NELLA SCLERODERMIA

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RIABILITAZIONE DELLA MANO NELLA SCLERODERMIA
RIABILITAZIONE DELLA MANO NELLA SCLERODERMIA
A cura del Dr. Stefano Saccoman fisioterapista
con la collaborazione del Dr Giuseppe Paolazzi
Unità Operativa Reumatologia H. Santa Chiara Trento
Sclerodermia Sistemica
La Sclerodermia Sistemica (SSc), è una malattia mulsistemica caratterizzata dall’alterazione
dell’attività immunitaria, vasculopatia obliterante dei vasi del microcircolo e da sclerosi del
tessuto connettivo, interessato dalla deposizione di collagene e di altri componenti della
matrice. Questi tre ordini di alterazioni colpiscono, sia pure con espressività variabile, la
cute e gli organi interni. Di causa ignota viene classificata tra le connettiviti ed è
considerata una delle malattie reumatiche più difficili da trattare; essa evolve da una fase
edematosa ad una sclerotica seguendo due differenti pattern temporali a seconda che si
tratti della forma “diffusa” o “limitata”. Nel primo caso, il fenomeno di Raynaud d’esordio
evolve rapidamente conducendo ad una compromissione cutanea diffusa, inoltre l’
interessamento degli organi interni avviene precocemente con la conseguente riduzione
delle aspettative di vita. Nel secondo caso invece, l’interessamento cutaneo (limitato alla
zona distale i polsi) ed il manifestarsi del fenomeno di Raynaud secondario, precedono di
molti anni il possibile esordio di un’ ipertensione polmonare, evento che condiziona
pesantemente la prognosi dei pazienti. Nella forma diffusa poi, sono frequenti
l’interessamento articolare, muscolare e tendineo, mentre nella variante limitata gli aspetti
preminenti sono le calcinosi e le ulcerazioni periferiche legate alla severità del fenomeno di
Raynaud. In entrambi i casi il carattere “progressivo” della malattia porta l’individuo ad
una severa disabilità che richiede un adeguato intervento riabilitativo: la disfunzione della
mano, in particolare, causa una marcata riduzione della capacità di svolgere
autonomamente le attività della vita quotidiana.
La mano sclerodermica
La mano rappresenta in genere il primo distretto corporeo ad essere manifestazione di
malattia attraverso lo svilupparsi del fenomeno di Raynaud secondario: esso rappresenta
una crisi acroasfittica che si esprime con una colorazione cutanea patologica ed a volte con
dolore e parestesie. La mano sclerodermica presenta ulteriori segni patognomici di
malattia: le ulcere, le calcinosi sottocutanee, distrofia ungueale, teleangectasie,
acoosteolisi, sfregamenti tendinei e rigidità articolare tant’è che col tempo la mano tende
ad assumere il classico atteggiamento ad “artiglio”, epiteto che definisce in maniera
efficace le seguenti deformità:
• viene persa la flessione a livello delle articolazioni metacarpo-falangee,
• le articolazioni interfalangee prossimali persistono in una flessione costante
secondaria all’atteggiamento estensorio delle MCF, mentre le
• interfalangee distali spesso sono fisse in flessione a metà arco di movimento;
• il pollice perde la propria mobilità in abduzione, flessione ed opposizione;
• il polso rimane costantemente in posizione acamatica (neutra, non patologica)
fortunatamente quindi senza indurre ripercussioni negative sulla funziones di
prensione della mano.
Figura 1:Severa deformità della mano in paziente con dSSc,
perdita della flessione delle MP e dell’estensione delle PIP
Aspetti riabilitativi
La sclerodermia è una malattia cronica evolutiva, ciò significa che l’ intervento riabilitativo
non potrà arrestarne la progressione, sarà piuttosto indirizzato a ritardare il più possibile il
graduale deterioramento della funzionalità del sistema muscolo-scheletrico. Ciò non deve
però fungere da propellente per sminuire la nostra attività che riveste invece un ruolo
essenziale nell’evitare la severa e precoce disabilità a cui la maggior parte delle persone
con sclerodermia sarebbe invariabilmente destinata. Da quanto sopra esposto si evince
che prima di tutto l’intervento fisiochinesiterapico deve quindi essere tempestivo, inoltre
come ogni programma di training deve essere specifico ossia pianificato con metodologia e
rigore, sulla base dei deficit del singolo a cui viene chiesta, tra l’altro, la massima
collaborazione nella definizione dello stesso.
Cute e fenomeno di Raynaud
Durante il decorso della malattia, la cute è soggetta a tre fasi successive di modificazione:
edematosa, atrofica ed infine induritivi. Ad ognuna di esse corrisponde uno specifico
approccio terapeutico:
nella fase edematosa risulta essere di notevole efficacia oltre che il massaggio classico ed
il linfodrenaggio (Fig.2), il massaggio connettivale il quale ha come scopo quello di
conservare l’elasticità e la morbidezza cutanea favorendo la circolazione e migliorando
quindi il
Fig.2 : manovra manuale di linfodrenaggio delle
articolazioni distali della mano
metabolismo e la respirazione dei tessuti. Risulta, inoltre, avere effetto miorilassante, a tal
proposito si lavora di preferenza sulle inserzioni tendinee, sugli apparati legamentosi e
strutture capsulari, lungo il ventre muscolare e i margini aponeuretici. Il massaggio viene
eseguito appoggiando sulla cute il polpastrello del dito medio e dell’anulare, prima di
piatto, poi a martello e trazionando il tessuto facendo attenzione ad assecondarne la
compliance. Arrivati al limite concesso non si devono togliere immediatamente i
polpastrelli, piuttosto la fase di ritorno deve essere lenta e graduale, quindi mantenere con
le dita la presa sulla cute e lasciare che l’elasticità tissutale riporti il connettivo alla sua
posizione di partenza. In quale misura e tempo questo avvenga, dipende essenzialmente
dalla compromissione del tessuto. La metodica connettivale viene controindicata in
presenza di evidenti segni di flogosi acuta. La tecnica “pomapage” altrettanto importante
per la normalizzazione del tessuto connettivo fibroso e per la riattivazione del microcircolo,
consiste in trazioni ritmiche (tensione, mantenimento, rilasciamento) effettuate a livello dei
vari distretti articolari della mano (Fig.3).
Fig 3: tecnica di massaggio pompage effettuato
a livello dell’articolazione radio-carpica
Gli esercizi motori consigliati in questa fase sono la mobilizzazione passiva eseguita con
estrema cautela per evitare l’eccessivo streching cutaneo, causa di dolore e di
peggioramento della situazione funzionale del paziente, e la mobilizzazione attiva in
condizioni di scarico completo per non sovraccaricare le articolazioni che si trovano a
lavorare in condizioni sfavorevoli. Altro accorgimentoopportuno da adottare in questa fase
è l’ utilizzo del bendaggio Coban (fig. 15), che consiste di un particolare tipo di fasciatura
in grado di ridurre l’edema grazie al meccanismo della compressione, lasciando l’individuo
libero di muovere la mano. Il paziente può adottare dei particolari comportamenti durante
il giorno come ad esempio: elevazione dell’arto sopra il cuore, uso di cuscino durante la
notte. - Nello stadio induritivo le possibilità di intervento si fanno maggiormente
diversificate. Le mobilizzazioni sia passive che attive continuano a far parte del trattamento
per impedire che si strutturino contratture e deformità secondarie. Assume importanza la
rieducazione articolare secondo la metodica McMennell che lavorando sulle articolazioni
determina altresì la mobilizzazione del tessuto cutaneo Lo stretching svolge un ruolo
fondamentale in questa fase infatti, agendo sulla sostanza fondamentale ed in particolare
sul collagene, una proteina di breve durata e che si modifica in continuazione, ne permette
la “plastic deformation” ossia una deformazione in allungamento destinata a persistere
anche dopo la rimozione del caricoL’allungamento del tessuto connettivo può essere
ottenuto altresì con la tecnica “pompage” che si identifica in una serie di trazioni ritmiche
(tensione, mantenimento,rilasciamento) di piccola entità. Di importanza rilevante risultano
essere le terapie fisiche in particolar modo quelle che utilizzano la somministrazione di
calore che come risaputo aumenta la vasodilatazione. Al riguardo i bagni di paraffina
(39,40,41) sono in grado di dare ottimi risultati nel controllo del fenomeno di Rayanud e in
generale agendo a livello vascolare, sul sistema cutaneo e sottocutaneo. La metodica
consiste nell’immergere le mani nella paraffina calda ad una temperatura che varia dai
51,7°C ai 54,4°C, per circa venti minuti: il guanto di paraffina che si viene a strutturare
con il raffreddamento della stessa, determina un aumento della vascolarizzazione per
effetto del calore ceduto per conduzione determinando l'attenuazione della sintomatologia
dolorosa e il rilasciamento dei muscoli contratti. La paraffinoterapia non viene indicata in
presenza di ulcere, per la possibilità di infezione, ed in caso di ipersensibilità cutanea. La
somministrazione di calore con fanghi ed impacchi di acqua calda sono delle altrettanto
valide alternative, mentre per i bagni di acqua calda esistono in letteratura opinioni
contrastanti a causa dell’effetto disidratante che avrebbero gli stessi sulla cute. Le TENS
(20,18,42) migliorano la vascolarizzione cutanea attraverso il loro effetto simpaticolitico,
inoltre per via riflessa svolgono funzione antalgica. Alcuni gruppi di pazienti sono stati
trattati con altre ed innovative forme di terapia fisica quali la fototerapia con UVA1, che
pare possedere una buona efficacia e un’eccellente tollerabilità nel trattamento delle
lesioni sclerodermiche cutanee agendo a livello di epidermide e di derma, aumentandone
la temperatura, l’elasicità ed inducendo un’attività di rimaneggiamento stromale da parte
dei fibroblasti dermici, ed il laser a CO2 in grado di aumentare il flusso sanguigno con la
coseguente riduzione degli episodi del fenomeno di Raynaud e dei tempi di guarigione
delle ulcere, od ancora ultrasuoni e microonde (20,42). - Nello stadio atrofico (Fig 4)
Fig 4: l’atrofia dei tessuti muscolari e la contemporanea anchilosi
articolare conducono alla limitazione funzionale della mano
il ruolo fondamentale viene affidato all’economia articolare: il paziente viene educato a
strategie motorie alternative che consentono un’ “ottimizzazione” delle risorse articolari
presenti, cercando di evitare o comunque ridurre posture o attività dannose per le
articolazioni e gli annessi sofferenti. Non esiste una chiara distinzione fra le tre fasi che si
susseguono indistintamente e con tempi diversi da soggetto a soggetto, ne consegue che
per il fisioterapista è necessario fare un’integrazione delle metodiche prima descritte
cercando di individuare la soluzione migliore per ogni contesto patologico. Sono da
segnalare alcuni comportamenti che i pazienti dovrebbero tenere per cercare di ridurre i
sintomi prodotti dal fenomeno di Raynaud (20,40,41), ed è anche nostro compito educarli
ad essi:
• non fumare, la nicotina infatti riduce il calibro vasale e quindi la circolazione
sanguigna;
• seguire una dieta regolata in modo da evitare l’ipercolesterolemia ed altre patologie
alimentari che interferiscono con il sistema cardiocircolatorio;
• non esagerare con i pasti, infatti assumere grandi quantità di cibo riduce l’afflusso di
sangue alle estremità;
• assumere un adeguato apporto idrico;
• assumere un appropriato apporto proteico per poter favorire il rigenerarsi dei tessuti
ed inserire un supplemento di vitamine;
• idratare e proteggere la cute con creme emollienti e/o olii;
• proteggere le mani e le estremità dal freddo e dagli sbalzi di temperatura, usando
ad esempio dei guanti, cuscini ecc.;
• eseguire una periodica attività fisica e/o fisioterapia;
• cercare di evitare stress e sbalzi di umore importanti;
• parlare con il medico a riguardo della modulazione dell’assunzione di farmaci
particolari (anti-ipertensivi, diuretici ecc.).
Articolazioni
L’interessamento articolare rappresenta la maggiore causa di disabilità nel paziente
sclerodermico (11,12,14). Le manifestazioni artropatiche sono nella maggior parte dei casi
caratterizzate da artralgie, durante le mobilizzazioni quindi si necessita di prestare
attenzione a come varia il dolore in modo da rendere tollerabile la terapia stessa e per non
provocare noi stessi danni articolari, inoltre in caso di artropatia severa le mobilizzazioni
passive possono peggiorare l’infiammazione articolare, va quindi sconsigliata. La
valutazione iniziale, dovrà essere seguita da altre effettuate in itinere durante il
trattamento e dovranno tenere in addebita considerazione le condizioni del muscolo e delle
limitazioni
del
ROM.
Il trattamento consiste prevalentemente nella “rieducazione articolare” ossia, una
mobilizzazione globale in tutti gli assi di movimento, che coinvolge i vari distretti e che
associa ad un movimento attivo iniziale un’altro passivo maggiormente ampio Questa
metodica trova spunto dall’autore McMennel e rappresenta oggi la terapia maggiormente
indicata nei pazienti con sclerodermia. Essa mira a:
• ridurre il blocco articolare;
• avere un effetto trofico sulle cartilagini e migliorare la lubrificazione dei capi
articolari grazie al ripristino dell’effetto “pompa” creato fisiologicamente nel cavo
articolare dall’alternanza di pressioni-depressioni date dal movimento;
• eseguire uno stretching dell’apparato capsulo-legamentoso retratto;
• avere scopo antalgico.
Fig 5: diastasi articolare delle metecarpofalangee associata
a traslazione delle superfici articolari sul piano ortogonale
Il fenomeno su cui si basa quanto premesso, viene definito “joint play” e rappresenta quel
margine di adattabilità e di tolleranza permesso dalla lassità ed elasticità dell’apparato
capsulo-legamentoso, che permette all’articolazione di compiere movimenti che non sono
mai unidirezionali, ma piuttosto sempre accompagnati da movimenti accessori di
aggiustamento. Esso consiste in piccoli scivolamenti, rotazioni, traslazioni, trazioni ripetute
e mantenute delle superfici articolari su piani diversi da quello della gestualità
macroscopicamente visibile. La sequenza delle manipolazioni che vengono eseguite sul
paziente sono impostate in direzione centripeta, lavorando inizialmente sulla falange
distale, per poi proseguire verso quelle prossimali ed infine soffermandosi sulle
articolazioni metacarpo-falangee e radio-carpica; vanno effettuate inoltre con l’accortezza
di limitarsi per ogni articolazione alla possibilità motoria posseduta, in modo da non creare
postumi infiammatori. Non deve tuttavia preoccupare il tipico rumore “craquement” che
accompagna spesso un brusco allontanamento dei capi articolari, facilmente evocabile
quando l’articolazione è interessata da pattern fibrotico. La metodica McMennel fornisce
Fig 6: mobilizzazione passiva, presa a “ponte” secondo metodica McMennel
indicazioni di particolari prese, fra cui quella definita a “ponte” dell’articolazione
interfalangea che si realizza ponendo la stessa tra una coppia di forze esercitate dal
fisioterapista, impugnando con l’indice ed il pollice di ambe le mani i capi ossei. Messa in
tensione la capsula articolare, si procederà a diastasare le due falangi lungo l’asse
longitudinale per poi compiere delle translazioni perpendicolari-opposte all’asse di trazione.
L’ingravescente limitazione articolare a cui le persone con sclerodermia sono soggette,
deriva oltre che dalla patologia stessa, spesso anche da un inadeguato progetto
terapeutico di preservazione della mobilità articolare. E’ bene, quindi, che lo stesso
paziente, seguendo le indicazioni fornitegli dal fisioterapista, esegua almeno due o tre
volte al giorno ( tarda mattinata, pomeriggio) delle mobilizzazioni autonomamente a casa,
così da prolungare i benefici del trattamento. Si rende necessario allo stesso modo fornire
dei metodi di misurazione semplici ed immediati, per monitorare quotidianamente ed in via
del tutto autonoma i cambiamenti di ROM delle diverse artrodie trattate (Fig 6)
Fig.6: : 6a per monitorare la perdita in
abduzione delle cinque dita,si può
disegnare l’impronta della mano su di un foglio
ed usarla come paragone nei giorni successivi ;
6b per l’estensione delle interfalangee si può
misurare con un semplice
righello la distanza massima tra la falange
distale di ogni dito con il palmo della mano;
6c per la valutazione del movimento di flessione
delle articolazni
interfalangee si consiglia l’utilizzo di un semplice
goniometro.
Apparato muscolare
Il reperto maggiormente riscontrabile in questo ambito, è rappresentato dalla miosite e/o
miopatia, con la riduzione di elasticità muscolare secondaria inoltre, alla contrattura
articolare in flessione. A lungo andare, complice anche il disuso, si può incorrere in una
riduzione della forza muscolare e della coordinazione segmentaria. Le contrazioni
muscolari attive rappresentano la soluzione più adeguata a questo tipo di problema, inoltre
sono essenziali per mantenere e recuperare un’ ampiezza ottimale dei movimenti. (Fig.7)
Fig.7: esempio di esercizio muscolare attivo eseguito con manubrio a molle.
L’obiettivo principale, è allenare i muscoli interossei e i lombricali ossia i muscoli intrinseci
della mano oltre che la muscolatura estrinseca che agisce sulle articolazioni della stessa.
Naturalmente questo risulta possibile solo nel caso in cui il paziente godi di una conservata
mobilità articolare, in caso contrario, oppure in caso di artropatia, si opterà preferibilmente
per esercizi che richiedono contrazioni isometriche e che quindi escludono mobilizzazioni
articolari. Sono esclusi in quest’ultimo caso esercizi isotonici che possono provocare dolore.
Il sistema nervoso periferico
La principale strategia di intervento in questo ambito di malattia consiste nella prevenzione
dei danni secondari e delle recidive, con un attento monitoraggio del paziente, delle sue
abilità motorie e funzionali. Nei pazienti con frequenti infiammazioni articolari è possibile
che si sviluppi una perdita (in genere parziale) della sensibilità, in particolar modo di quella
propiocettiva con ripercussioni non indifferenti sull’efficienza dell’uso dell’arto. Il
fisioterapista perciò, dopo un’attenta valutazione, dovrà stabilire un adeguato piano
riabilitativo a seconda che il deficit sia motorio, sensitivo o autonomico. E’ importante
posizionare adeguatamente le articolazioni per evitare l’instaurarsi di deformità articolari,
retrazioni muscolari ed inopportune compressioni nervose. A tale scopo l’uso degli splint
potrebbe essere d’ausilio, tenendo però in addebita considerazione i limiti degli stessi e la
scarsa letteratura che ne certificherebbe l’efficacia. Il disuso e l’immobilità causano la
degenerazione recettoriale mentre la stimolazione degli stessi ne induce la neoformazione:
alla luce di ciò, mantenere un appropriato stimolo sensoriale può aiutare il paziente a
conservare inalterate le funzioni del sistema nervoso.
Le ulcere
La cura di queste manifestazioni patognomoniche di malattia, non è propriamente affidata
alla figura sanitaria del fisioterapista, tuttavia si ritiene opportuno fornire una sintetica
descrizione delle procedure mediche atte a modularne la gestione, al fine di migliorare il
lavoro in team. Il management prevede:
• nel caso in cui l’ulcera presenti tessuto necrotico, fibrina, la loro
rimozione“meccanica” mediante soluzione fisiologica;
• l’utilizzo di una soluzione fisiologica se presente infezione evitando agenti antisettici
che interferiscono con le cellule
in fase di crescita. Viene inoltre indicata terapia antibiotica sistemica al fine di
limitare il danno tissutale e di ridurre i casi di antibiotico-resistenza. Esiste
l’evenienza che l’infezione sia talmente grave da richiedere l’intervento chirurgico
che consiste precisamente nell’amputazione della falange interessata;
• una medicazione vera e propria, nel caso in cui si debba ridurre l’essudato,
rimuovere tessuto devitalizzato, pulire profondamente la lesione oppure favorire il
tessuto di granulazione.
Si è dimostrato che le ulcere guariscono molto più facilmente se umide, quindi oltre a
proteggerle attentamente si provvederà a idratarle.
Le calcificazioni
Generalmente i depositi calcinosi sono asintomatici, possono però produrre ipersensibilità
pressoria dell’epidermide e dei tessuti sovrastanti, porre quindi attenzione anche a questo
aspetto quando si intende mobilizzare la mano del paziente oppure fargli eseguire
particolari esercizi in attivo. Nei tessuti dove si depositano, le calcificazioni possono essere
causa di un’infiammazione molto dolorosa, inoltre possono provocare ulcerazione della
cute infiammata con fuoriuscita di materiale calcareo. Nel caso si venga a costituire questa
evenienza, si procede come per quanto riportato a riguardo del management per la cura
delle ulcere.
Riassorbimento osseo ed amputazioni.
Benché queste due manifestazioni abbiano poco in comune, si è deciso di affrontarle
assieme in quanto rappresentano per la persona più che un vero e proprio impedimento
funzionale, un inestetismo causa di ansia e vergogna. A questo tipo di menomazione, il
fisioterapista deve rispondere fornendo al paziente l’appoggio psicologico per affrontare il
problema e, quando necessario, educare la mano menomata al gesto.
UTILIZZO DI ORTESI
L’utilizzo di ortesi nel trattamento della mano sclerodermica, rappresenta sicuramente uno
dei punti più critici dell’assetto riabilitativo infatti, oltre ad una scarsa letteratura presente,
non
esiste
una
comprovata
efficacia
delle
stesse.
Le nuove metodiche tuttavia, propendono per un loro inserimento all’interno delle attività
terapeutiche, sottolineando la loro inefficacia se non opportunamente integrate con gli altri
programmi di trattamento previsti dal complesso progetto riabilitativo (20,21).
Obiettivi del loro utilizzo.
I principali obiettivi dell’uso delle ortesi sono:
• mantenere adeguati rapporti articolari, evitando l’instaurarsi delle deformazioni;
• proteggere le zone cutanee soggette ad ulcerazioni, o comunque dolorose;
• diminuire l’impegno articolare, mettendo a riposo le giunture stesse;
• favorire una maggiore funzionalità manuale.
Affinché un’ortesi possa essere efficace deve potersi adattare perfettamente alle esigenze
del paziente: per tale motivo è essenziale un’attenta valutazione pre-realizzazione (41).
Tipologie e caratteristiche generali
Viene fornita qui di seguito una breve descrizione dei tutori maggiormente indicati e che
trovano motivo del loro utilizzo viste le problematiche motorie più rilevanti che interessano
la mano nella SSc:
• splint statico per mantenere l’abduzione del pollice, costituito in materiale
Acquaplast che avvolge l’articolazione metacarpo-falangea dello stesso e C bar che
contorna il primo spazio e mantiene la distanza tra il primo e secondo metacarpo.
Non deve bloccare la flessione dell’articolzione dell’indice (Fig.8a);
• splint dinamico per la flessione delle articolazioni metacarpo-falangee, usato allo
scopo di mantenere una mobilità adeguata ed in particolare conservare la flessione
delle stesse. Il mantenimento passivo della flessione per circa 30 minuti, per due
volte al giorno, sembra essere sufficiente per conservare la lunghezza e l’elasticità
delle strutture dorsali (40).
splint statico per la protezione delle articolazioni interfalangee prossimali, spesso
interessate da contratture e ulcere. Costruito in materiale “Acquaplast” perforato per
permettere la
1. guarigione di eventuali ulcere presenti, mantiene passivamente l’estensione
interfalangea (Fig. 8b).
I tutori descritti, indipendentemente dalle funzioni svolte, devono possedere alcune
caratteristiche essenziali di confezionamento:
leggerezza, malleabilità e resistenza del materiale;
avere bordi smussati e privi di spigolature;
facili da applicare e da togliere;
permettere la massima mobilità possibile;
non devono forzare mai le deformità fisse e le articolazioni rigide;
evitare esacerbazioni del fenomeno di Raynaud possibilmente causato dalla
compressione dei tessuti,
• tollerabilità ed accettazione da parte del paziente.(40,41,48)
•
•
•
•
•
•
E’ importante infine, educare il destinatario dell’ortesi agli scopi e alle modalità di
applicazione del dispositivo stesso, facendogli presente alcuni principi fondamentali:
• non esporre l’ortesi a fonti di calore in quanto sensibile di deformazione;
• nel caso in cui lo splint abbia subito una modificazione, oppure il distretto
anatomico sia andato incontro a cambiamenti secondari all’evoluzione patologica, si
deve contattare il fisioterapista;
Fig. 8: 8a raffigurazione dello split per l’abduzione del pollice nella mano sclerodermia; 8b
immagine dello split statico per le articolazioni interfalangee.
non va indossato se causa di dolore o reazioni neurovegetative.(41)
Fig. 8: 8a raffigurazione dello split
per l’abduzione del pollice nella
mano sclerodermia;
8b immagine dello split statico per le
articolazioni interfalangee.
ECONOMIA ARTICOLARE
Le persone con sclerodermia vanno incontro, progressivamente all’evoluzione della
malattia, a difficoltà che compromettono il normale svolgersi delle attività quotidiane
portandoli ad una inevitabile diminuzione della loro indipendenza. E’ in questo contesto
che l’economia articolare trova il suo scopo d’agire, che non è limitato a consentire ai
pazienti con gravi alterazioni del sistema motorio lo svolgimento delle normali attività
quotidiane, quanto piuttosto quello di insegnare loro una vera e propria “educazione
gestuale”, al fine di usare correttamente le articolazioni ed evitare un sovraccarico o una
sollecitazione errata delle strutture osteo-articolari.
Principi generali
L’educazione gestuale, a cui bisogna istruire il paziente, è costituita da una serie di norme
che rendono la motilità meno faticosa, rischiosa e dolorosa:
• rispettare lo stimolo del dolore, che enfatizza la reazione flogistica, i vizi antalgici e
conseguentemente le retrazioni muscolari;
• favorire l’allineamento delle articolazioni in posizione anatomica o acamatica (a
metà del range di movimento) in questo modo si evitano manifestazioni antalgiche
e l’ eccessiva estensione dei tendini e dei legamenti; può essere utile l'utilizzo di
un'ortesi di posizionamento o di stabilizzazione.
• mantenere mobili i diversi distretti articolari, così da migliorare la circolazione e
quindi il metabolismo tissutale e prevenire l’instaurarsi di fenomeni secondari al
disuso come l’atrofia muscolare, le deformità, l’osteoporosi ecc.;
• usare ogni articolazione nella sua posizione più forte e stabile, cosi da evitare
l’instaurarsi di una maggiore instabilità ;
• è importante sottolineare che proteggere le articolazioni non significa risparmiarle
attraverso l'inattività, quindi bisogna cercare di mantenere il più possibile la
funzionalità residua continuando a svolgere le attività comuni ,magari con gli
accorgimenti necessari: potrebbe essere utile ad esempio intercalare il lavoro con
delle pause per rispettare i propri limiti di affaticabilità, portare i pesi il più possibile
vicino al corpo e con tutte e due le mani o le braccia, usare le leve con bracci lunghi
per evitare lo stress articolare alle piccole articolazioni ed evitare sforzi inutili (48).
Per rendere possibile quanto elencato si può agire, oltre che sulle capacità funzionali del
paziente, anche sull’ambiente esterno, modificando gli strumenti di uso quotidiano oppure,
fornendo la persona interessata da patologia, di “ausili”. L’ausilio viene definito come lo
“strumento tecnico volto a compensare le funzioni che, per ragioni diverse, non possano
più essere svolte o lo siano in modo anomalo, in seguito ad un danno fisico o sensoriale”;
deve essere programmato e modellato in modo da essere specifico e personalizzato,
affidabile, con un costo accettabile e soprattutto funzionale. La prescrizione dell’ausilio va
quindi fatta solo dopo un’accurata valutazione, compito svolto dal fisioterapista in sinergia
col terapista occupazionale.
Attività a rischio nella sclerodermia.
Durante il mio tirocinio svolto presso l’Istituto Ospedaliero Don Gnocchi, ho potuto
verificare quali siano le attività quotidiane a presentarsi con maggiori difficoltà. La mia
ricerca è avvenuta sottoponendo ai pazienti dei test sulla qualità di vita come l’SHAQ,
l’indice algofunzionale di Dreiser, lo UK FS e proseguendo con delle interviste
individualizzate, che mi potessero dare un quadro maggiormente completo sul singolo
individuo. Da questo lavoro, che ha interessato quaranta persone, ho riscontrato che le
attività maggiormente compromesse sono quelle dell’ afferrare, del mangiare, del vestirsi e
pulirsi (15,17). Ho deciso quindi nella descrizione degli ausili che segue, di concentrarmi
proprio su questi compiti, tralasciando le sezioni “alzarsi” e “camminare” che hanno invece
riportato il valore più basso di disabilità (17).
Alimentazione:
potrebbero sorgere problemi nell’uso delle posate come ad esempio dolori e affaticabilità,
per rendere più facile la presa è consigliabile sul cucchiaio e forchetta, già di un metallo
leggero, infilare nell'impugnatura un'imbottitura di gommapiuma che la renda più
confortevole e prevenga le deformità delle dita (Fig.8), mentre il bicchiere è preferibile
abbia un'impugnatura più grossa della norma (in fase avanzata di malattia, quando si ha
una irreversibile deformità in flessione delle articolazioni interfalangee, i pazienti sono
facilitati ad usare i calici con impugnatura stretta).
Abbigliamento:
è consigliabile utilizzare indumenti comodi e allacciabili anteriormente. Le difficoltà si fanno
maggiori in presenza di ulcere, calcinosi acrali, deficit sensitivi e sono rappresentate
soprattutto
dalle
cerniere,
bottoni
e
calze
collant
.
Per i primi due, nel caso in cui non sia possibile eliminarli, sostituendoli con del velcro, la
soluzione più funzionale è utilizzare un infilabottoni oppure inserire un anello sulla zip
inmodo da poterci infilare l’indice. Per i collant si può usare semplicemente un infila calze.
Igiene:
l'igiene personale quotidiana solitamente non crea grosse difficoltà, dai pazienti viene
riportato soprattutto la difficoltà ad usare la vasca, viene perciò sostituita dalla doccia, a
lavarsi i capelli e la schiena per l’impegno delle spalle, ed in caso di malattia fortemente
strutturata anche lavarsi semplicemente il viso a causa delle ridotta superficie palmare. Si
possono usare spazzole, spazzolini, spugne, pettini, muniti di un manico lungo e
possibilmente recurvabile in modo da adattarsi alle singole esigenze. In presenza di ulcere
viene consigliato l’uso di guanti, ed in ogni caso l’utilizzo di acqua non troppo calda causa
di disidratazione cutanea.
Cucina:
le attività e i gesti svolti in cucina sono spesso causa di sovraccarichi articolari che
comportano stanchezza, dolori e rischiano di riacutizzare infiammazioni alle strutture è
allora fondamentale sapere dosare gli sforzi evitando gli spostamenti ed i movimenti
superflui. Per non sforzare la mano è meglio fissare il recipiente su un tappetino
antiscivolo, per i tappi delle bottiglie o i tubetti usare lo schiaccianoci o l'apribottiglie che
sfruttano il principio delle leve. Un'azione che spesso provoca disagio è scolare la pasta
perché il peso e la posizione che viene richiesta crea una sollecitazione negativa di polso e
dita: una soluzione a cui spesso si arriva è l'utilizzo della pentola che ha al suo interno lo
scolapasta e che quindi procura solo lo sforzo di impugnare ed alzare quest'ultimo. Un'altra
possibilità è appoggiare la pentola sul bordo del lavandino.
Lavori domestici:
per lavare i pavimenti, attività solitamente molto faticosa sia per lo strizzare lo straccio che
per sollevarlo dal secchio è consigliabile usare lo straccio lavapavimenti tipo "mocio" con
l'apposito secchio per la strizzatura. Aprire un rubinetto, girare la manopola del gas o
infilare la chiave in una serratura può procurare molto dolore, per facilitarli si possono
usare dei dispositivi a presa universale.