la patologia del bambino immigrato

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la patologia del bambino immigrato
 PROGETTO FORMATIVO AZIENDALE 2011 PACCHETTO DI FORMAZIONE ( A CURA DELLA DOTT.SSA EMANUELA BONFIGLI) EVENTO N° 2 IL PEDIATRA E IL BAMBINO MIGRANTE MODULO I LA PATOLOGIA DEL BAMBINO IMMIGRATO MOTEL SALVIANO AVEZZANO 21/05/2011 - DOCENTI DI CONTENUTO ANIMATORI DI FORMAZIONE DOTT. PIERO VALENTINI DOTT.SSA EMANUELA BONFIGLI DOTT.SSA MARIROSA SISTO DOTT.SSA GIULIANA GIAMPAOLO 1
DAL VOLUME SALUTE E SOCIETÀ MULTICULTURALE CAPITOLO 4 ‐ IL BAMBINO STRANIERO E IL PEDIATRA MARIA EDOARDA TRILLÒ, ALDO MORRONE, SALVATORE GERACI PRESENZA DI BAMBINI STRANIERI IN ITALIA Secondo il Ministero dell'interno, la presenza di minori stranieri compresi nella fascia di età tra 0 e 18 anni ufficialmente residenti nel territorio nazionale il 31 dicembre 1993 corrispondeva a 26.767 unità. Di questi, 13.577 erano di sesso femminile e 13.190 di sesso maschile. Si osservava un aumento di 766 unità rispetto alle 26.001 dell'anno precedente, con un incremento del 3%. Tale aumento però è certamente sottostimato, poiché i minori titolari di permesso di soggiorno sono, come è noto, solo una parte dei minori presenti, in quanto, salvo determinati casi (ingresso successivo rispetto a quello dei genitori, ingresso per adozioni, inserimento lavorativo), vengono registrati nel permesso di soggiorno del capofamiglia. Il Ministero dell'interno distingue tra i coniugati (319.341) e i coniugati con prole (77.743 persone). Questi ultimi sono quelli che hanno i loro figli in Italia, mentre gli altri o non hanno figli o li hanno lasciati nei paesi di origine. Bisogna tener conto che in molti casi è presente un solo genitore e che i figli possono essere più di uno. Tutto ciò porta a ipotizzare come rispondente al vero un numero di circa 80.000 minori, anche se tre volte superiore al numero dei minori registrati individualmente come tali. Anche i dati sulla frequenza della scuola dell'obbligo (circa 30.000 iscritti nell'anno scolastico 1991‐92, inclusi però anche i figli di almeno un genitore straniero), sembrano avvalorare questa considerazione. I due sessi sono equamente rappresentati, con una lieve prevalenza delle ragazze (2% in più) fino ai 14 anni, mentre tra i 15 e 18 sono i ragazzi a essere prevalenti (2% in più). Le tre fasce prescolastica (fino ai 6 anni), scuola dell'obbligo (6‐14 anni)e superiori (15‐18) hanno la seguente distribuzione dei 26.767 permessi di soggiorno: i bambini più piccoli sono 10.122 (37,81%), gli scolari sono 8.162 (30,50%)e i giovani sono 8.483 (31,69%). Tra i più piccoli e i ragazzi della scuola dell'obbligo, la percentuale degli extracomunitari è, rispettivamente, del 50,06% e del 48,9% (Caritas Roma, 1994). Fra gli immigrati sono in continuo aumento i matrimoni e le nascite, espressione di una popolazione straniera demograficamente dinamica; mentre il ridotto numero dei decessi (3 per mille) attesta che si tratta di una popolazione molto giovane. I nati da stranieri, su una percentuale di 100 nascite, sono passati da 1,1 nel 1989 a 2,8 nel 1992. BAMBINI STRANIERI E SCUOLA Per quanto riguarda la presenza di alunni stranieri nella scuola italiana, i dati più recenti riguardano l'anno scolastico 1991‐92, in cui risultavano iscritti 28.285 studenti stranieri così ripartiti: nelle scuole materne 5.584 scolari; nelle scuole elementari 12.990; nelle scuole medie inferiori 5. 175; infine, nelle scuole secondarie superiori, 4.536. Nello stesso anno scolastico erano iscritti 9.540.502 studenti italiani. La presenza di alunni stranieri raggiunge quindi percentualmente il 3% dell'intera popolazione scolastica. Tale presenza, quindi, non è molto rilevante, soprattutto se confrontata con quella di altri paesi europei. In Francia e Germania la presenza straniera nelle scuole si aggira attorno al milione di unità e l'incidenza sulla popolazione scolastica complessiva è dieci volte superiore a quella italiana. Tuttavia, in Italia l'incidenza della componente straniera andrà fortemente aumentando nel prossimo futuro, per il concomitante verificarsi di due dinamiche contrapposte: da un lato, vanno aumentando gli studenti stranieri e, dall'altro, vanno diminuendo gli studenti italiani, per effetto della denatalità che sta caratterizzando la nostra società (Caritas Roma, 1994). 2
La dinamica della presenza straniera nelle scuole italiane è tuttavia fortemente crescente, ove si consideri che nel 1983‐84 i bambini stranieri fino alle scuole medie comprese erano circa 5.000 e ora sono diventati oltre 23.000. Il tasso di accrescimento medio negli otto anni è stato del 46%. Ma è soprattutto negli ultimi due anni che la crescita è divenuta addirittura esplosiva: il numero dei bambini stranieri raddoppia ogni due anni (Caritas Roma, 1994). BAMBINI STRANIERI E FIGLI DI IMMIGRATI: UNA CHIAVE DI LETTURA Una dimostrazione di come cultura e salute siano strettamente collegate e dell'importanza di un contributo multidisciplinare, è la constatazione di come proprio il bambino, il figlio dell'immigrato, sia un anello di congiunzione con il passato, garante dei valori tradizionali. Le aspettative degli adulti fanno sì che il bambino si trovi idealmente sospeso in un tempo che è quello della tradizione, degli antenati, e in uno spazio che è quello della grande casa familiare, una casa dai contorni allargati che arriva a comprendere al suo interno anche lo spazio, rimpianto e mitizzato, della terra d'origine. Simbolicamente spesso è "il figlio a essere importante, non il bambino" Intorno alla figura del figlio, alla sua presenza o assenza (è significativa anche la richiesta di i.v.g.), ruota spesso tutto il processo di radicamento dell'immigrato nella terra che ha scelto, e che lo ha scelto, come seconda patria. A rendere ulteriormente complessa questa situazione già tanto ingarbugliata concorrono poi due fatti: il primo è che per molti bambini, figli di immigrati, l'Italia è il loro paese, perché sono nati qui e non ne hanno mai conosciuti altri. Ma al tempo stesso non sono riconosciuti come "italiani" dalla società che li circonda, né sul piano dei diritti civili né su quello culturale: si trovano cioè nella difficile posizione di essere stranieri in casa loro, perché non hanno un'altra casa. Il secondo fatto è che i bambini, e quindi non solo i genitori o le madri, si trovano, ora e, probabilmente, sempre di più nel futuro, in una difficile posizione di "interfaccia" tra due culture, che rischia spesso di schiacciarli: portatori di tradizioni culturali e familiari estranee a quelle locali, e pressati da richieste di integrazione che sono spesso in aperta contraddizione con il loro patrimonio tradizionale. Nel nostro paese cominciamo ad affrontare solo ora la questione dell'immigrazione di seconda generazione, ma in altre nazioni europee essa è ben conosciuta e, non a caso, viene indicato dalla letteratura internazionale come sia spesso proprio la seconda generazione di immigrati quella più a rischio di sofferenza psichica e sociale (Labos, 1993). Gli operatori socio‐sanitari si trovano dunque di fronte a una doppia dinamica ‐ sincretismo culturale e profonda modificazione dei ruoli sociali ‐ che il bambino innesca e al tempo stesso testimonia. Quest'aspetto non è secondario ai fini di una pediatria che vede allargarsi sempre più il suo campo di indagine fino a comprendere questioni legate allo sviluppo e al disagio adolescenziale. Tanto più che, durante l'adolescenza, proprio l'aderenza o meno a un'immagine corporea condivisa culturalmente è un fattore che contribuisce al fissarsi dell'identità (Mazzetti, 1995). BAMBINI IMMIGRATI E DOMANDA DI SALUTE Da alcuni anni, il pediatra ‐ nella sua funzione di pediatra di base, di consultorio, di poliambulatorio od ospedaliero ‐ e il medico di medicina generale si trovano sempre più frequentemente di fronte a bambini stranieri, alla loro famiglia, alla loro domanda di salute e alla richiesta di un intervento diagnostico‐terapeutico (Trillò et al., 1993). 3
A Roma sono presenti circa 200.000 stranieri (corrispondenti al 7% della popolazione) in buona parte provenienti da paesi che non fanno parte della Unione europea. Su 314.585 bambini di età compresa tra 0 e 12 anni residenti nelle circoscrizioni di Roma al 31 dicembre 1992, i bambini stranieri appartenenti alla stessa fascia d'età sono 6.551 (2,085%, Fonte CEU, Comune di Roma) . Dalla stessa fonte si ricava che, su 184.674 adolescenti di età compresa tra 13 e 18 anni residenti nelle circoscrizioni romane, 2. 171 sono stranieri (1,2%). Si tratta di un vero esercito di uomini, donne e bambini "trasparenti" per l'amministrazione pubblica, che vengono a trovarsi in un paese di diversa lingua e cultura, e a vivere in condizioni igienico‐sanitarie spesso scadenti. Il non avere "diritti" li espone a innumerevoli disagi, non ultimi quelli sanitari. I pediatri, i medici e gli operatori sanitari in genere si trovano di fronte a pazienti con cui spesso è difficile comunicare e di cui il più delle volte è arduo comprendere le storie migratorie, complicate ed emotivamente coinvolgenti (Trillò, Geraci, 1995). D'altra parte, la cura e l'intervento preventivo costituiscono le attività preminenti del pediatra e del medico di base, che devono essere in grado di gestire, o quanto meno di mediare, in situazioni che esulino dalla routine, tutte le inforn7azioni necessarie, in modo che ogni decisione sia meditata e consapevole (Panizon, 1989; Bertollini et al., 1991). I bambini stranieri possono essere suddivisi almeno in quattro gruppi: 1. I bambini extracomunitari adottati da famiglie italiane. 2. I figli di immigrati nati nel paese d'origine. 3. I figli di immigrati nati in Italia. 4. I figli di coppie miste. Per mettere a fuoco i problemi relativi alla salute e correlarli alle peculiarità socio‐culturali, inevitabilmente presenti, sarà necessario ricostruire la storia di questi bambini e delle loro famiglie, qualora queste siano presenti (Diasio, Geraci, Marceca, 1994). Bambini extracomunitari adottati da famiglie italiane I bambini extracomunitari adottati da italiani in gran parte provengono dall'America Latina e dal sud‐est asiatico e hanno avuto una permanenza più o meno lunga nei paesi d'origine. Se dopo l'abbandono sono stati assistiti in istituti per minori o da famiglie locali saranno a disposizione dati affidabili. Se invece provengono da esperienze di privazione e di abbandono prolungato i dati disponibili su età, crescita, vaccinazioni eseguite, anamnesi familiare e possibili patologie pregresse saranno scarse o nulle. Il più delle volte, questi bambini vengono sottoposti ad accertamenti specialistici e ad analisi di laboratorio a tappeto, sia per richiesta della famiglia adottante sia del pediatra curante, quasi a sopperire alla mancanza di informazioni anamnestiche. Figli di immigrati nati nel paese d'origine La presenza dei genitori e/o dei parenti permette di risalire a dati attendibili (vaccinazioni, crescita, esami, ricoveri). 4
È necessario però tener presente che in Italia i genitori potrebbero essere stati soggetti a emarginazione, a precarie condizioni di vita e di lavoro. In grande maggioranza le famiglie vivono in case sovraffollate e malsane, quando non in centri di accoglienza; godono di un basso reddito, frutto di suboccupazione dal momento che i genitori solitamente svolgono mansioni di livello inferiore al titolo di studio posseduto. Le difficoltà economiche e le differenze linguistico‐culturali limitano le opportunità di accesso ai servizi sanitari. Le famiglie tendono a sovrautilizzare le strutture ospedaliere; è frequente il ricorso al Pronto Soccorso per patologie di pertinenza ambulatoriale anche per normali controlli di salute. E questa una spia delle difficoltà di accesso alle altre strutture del Servizio sanitario nazionale. Il possibile stato di clandestinità in cui si trovano i genitori non in regola con il permesso di soggiorno è un ulteriore fattore da prendere in considerazione, sia nella ricostruzione dell'anamnesi sia nel valutare il frequente ricorso alle strutture sanitarie del volontariato. Nell'eziopatogenesi delle malattie di questi bambini e negli atteggiamenti dei loro familiari, assumono importanza rilevante i problemi psicologici causati dalla marginalità culturale e sociale, e soprattutto, dalle aspettative deluse del processo migratorio. Figli di immigrati nati in Italia Si tratta di bambini con una storia ricostruibile. Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, non presentano rare malattie esotiche, bensì patologie ereditarie, congenite o connatali. Soffrono la stessa marginalità culturale ed economica e le difficoltà sociosanitarie dei bambini nati nei paesi d'origine. Epidemiologicamente prevalgono nascita pretermine e presenza di basso peso per l'età gestazionale. Frequente, inoltre, la presenza di difficoltà nello sviluppo fisico e psicomotorio, dovuto presumibilmente, oltre che alle difficili condizioni di vita, ai differenti modelli di crescita non supportati dal loro ambiente d'origine. Figli di coppie miste Questi bambini, che a un'analisi superficiale potrebbero sembrare assimilabili ai loro coetanei italiani, a volte sono testimoni dello scontro etnico‐culturale tra i genitori e le loro famiglie. Essi possono soffrire di isolamento. Alcune inchieste hanno rilevato come la richiesta di prestazioni sanitarie da parte delle famiglie e le patologie prevalenti non si discostino rispetto alla popolazione pediatrica generale. Invece, al momento dell'inserimento scolastico, sia i figli di coppie miste che i figli di immigrati nati in Italia o all'estero possono presentare difficoltà psicologiche dovute all'evidente diversità culturale ed etnica e, purtroppo, anche alla discriminazione da parte dei compagni di scuola e degli insegnanti, a volte intimoriti dalla loro frequente impreparazione di fronte alle differenze culturali. 5
LINEE GUIDA PER L'APPROCCIO AL BAMBINO STRANIERO Davanti a un bambino straniero, dopo aver ricostruito la sua storia sanitaria, vanno esaminati almeno tre tipi di problematiche: 1. La patologia ereditaria, congenita e connatale legata al continente o alla regione geografica di provenienza, senza trascurare la patologia infettiva e trasmissibile dovuta all'ambiente e alle condizioni di vita dei genitori. 2. Il bilancio di salute riferito allo stato di nutrizione, alle vaccinazioni e alle possibili patologie acquisite croniche o a comparsa tardiva. 3. I rischi per la salute del bambino in Italia, legati ai fattori igienico‐ambientali e socio‐economici non soddisfacenti, acquisiti nel paese ospite. Patologie ereditarie, congenite e connatali Elenchiamo le patologie che devono essere prese in considerazione per la loro rilevanza epidemiologica. 1. Patologie legate all'ereditarietà e/o alla zona di provenienza a) Emoglobinopatie: l'anemia falciforme o drepanocitosi, malattia a trasmissione autosomica recessiva, dovuta alla produzione anomala di Hbc è prevalente in Africa (tra 150 parallelo nord e 20" sud), nei paesi bagnati dal Mediterraneo, in Medio Oriente, in India, nel Caribe e in America Latina. Diventa clinicamente manifesta intorno ai 6‐12 mesi d'età con ipersplenismo, crisi di aplasia midollare, suscettibilità alle infezioni, crisi vaso‐occlusive che provocano dolori ossei, coliche addominali, infarti polmonari e di altri organi. Patognomoniche sono le alterazioni ossee soprattutto del cranio rilevate radiologicamente, la presenza nello striscio di emazie a bersaglio, di anisopoichilocitosi, di reticolocitosi e il test di falcizzazione positivo. L'emoglobinopatia C dovuta alla produzione anomala di Hbc è prevalente in Africa occidentale, nei neri americani del Caribe. È caratterizzata da anemia e splenomegalia (negli omozigoti). L'alfa‐talassemia è prevalente nel sud‐est asiatico e in Cina, mentre è meno frequente in Africa e Medio Oriente. La beta‐talassemia è prevalente nel Mediterraneo, in India, in Estremo Oriente e nell'Africa tropicale. È un'anemia ipocromica microcitica, dovuta alla sostituzione di un aminoacido della catena beta dell'Hb. Per la severa anemia sarà presente una eritropoiesi extramidollare responsabile della splenomegalia e delle alterazioni scheletriche tardive che danno a questi soggetti una facies orientaleggiante. b) Deficit G‐6‐PD: è prevalente nei paesi bagnati dal Mediterraneo (favismo), in Cina, nel sud‐est asiatico e nei neri americani. Il deficit enzimatico negli eritrociti è legato al cromosoma x, per cui è più frequente nei maschi e solo nelle femmine omozigoti. Le bambine eterozigoti avranno un grado più lieve di enzimopatia. In questi soggetti l'esposizione al polline della fava (Vicia faba) o l'ingestione di fave, di alcuni farmaci, traumi e infezioni recenti provocano un'anemia emolitica che si presenta con la sintomatologia caratteristica ed emoglobinuria. Poiché l'emolisi colpisce le emazie più vecchie, è un fenomeno autolimitantesi. Diagnostici sono il deficit enzimatico, l'anemia e la formazione di corpi di Heinz. 2. Patologie di tipo infettivo 6
a) Malaria e tubercolosi: per queste patologie è possibile la trasmissione transplacentare o connatale. Sono rare nei nati in Italia ma sono da prendere in considerazione nei bambini di recente arrivo sia per adozione che per ricongiungimento familiare. b) Malattie veneree, gonorrea e sifilide: è possibile, anche se molto rara, la trasmissione placentare o connatale. c) L'infezione da HIV, l'epatite B, l'epatite c sono le più frequenti malattie infettive presentate da questi bambini. IL BILANCIO DI SALUTE NEL BAMBINO NATO ALL'ESTERO Il bilancio di salute è un esame generale che tiene conto dei problemi propri o prevalenti dell'età in cui viene effettuato. Si tratta di controlli in genere su bambini sani o presunti tali, che evidenzino segni di malattia quando è ancora asintomatica o oligosintomatica e quando è ancora facile o possibile curarla in tempi utili per una pronta guarigione. Vengono effettuati su tutta la popolazione infantile in occasione di tappe obbligate e in età nodali per lo sviluppo e la crescita (nascita, primo anno di vita, vaccinazioni, ingresso nella scuola dell'obbligo, adolescenza). Nel bilancio di salute del bambino nato all'estero vanno considerati tre punti chiave: 1. Lo stato di nutrizione. 2. Lo stato delle vaccinazioni. 3. Possibili patologie acquisite nel luogo di origine. Lo stato di nutrizione Se il bambino ha la carta di crescita è possibile ricostruire e valutare la curva di accrescimento, sia per il peso che per l'altezza. Se non sono disponibili dei dati, è necessario cominciare a valutare la curva di accrescimento (valutare l'andamento della crescita del peso e dell'altezza per almeno sei mesi e non solo la concordanza con i nostri standard). In caso di malnutrizione la statura è compromessa più tardi del peso e influisce sull'allungamento e non sulla sua maturazione. In caso di allungamento osseo rallentato con maturazione ossea normale si avrà bassa statura. Se il peso corporeo è minore rispetto agli standard per l'età, ma la statura è normale si farà diagnosi di Malnutrizione acuta. Se il peso è uguale o minore agli standard per l'età e la statura è inferiore, la diagnosi è di Malnutrizione cronica. Gli stati patologici carenziali associati alla malnutrizione sono: Anemia da carenza di ferro: si può presentare dall'età di 6 mesi a 2 anni per interruzione dell'allattamento materno e svezzamento inadeguato oppure per presenza di parassitosi di cui la più frequente è l'anchilostomiasi. Sarà diagnosticata la presenza di: diminuzione del tasso di emoglobina, microciti, l'aumento della percentuale di reticolociti, il calo della sideremia e della transferrinemia. 7
Rachitismo da carenza di vitamina o: nei paesi in via di sviluppo (pvs) non è un problema per la presenza del sole in tutte le stagioni e per gli stili di vita. È invece opportuna in Europa la profilassi con vitamina D (400 UI al giorno nel periodo invernale). Carenza di vitamina A: dà soprattutto xeroftalmia e cecità. Più frequente nei bambini minori di 5 anni, è associata alla malnutrizione grave e scatenata da malattie infettive come il morbillo o infezioni intestinali. Segni patognomonici sono la cecità notturna, la secchezza delle congiuntive, la presenza di fotofobia, le chiazze bianche sulla congiuntiva (Bitot)e le lesioni corneali. Il trattamento è con vitamina A 200.000 UI per due giorni e 200.000 UI per un giorno dopo due settimane. Lo stato delle vaccinazioni I calendari delle vaccinazioni nei paesi in via di sviluppo sono differenti rispetto a quelli adottati in Italia, in ottemperanza alle indicazioni dell'Organizzazione Mondiale della Sanità. L'OMS, tenendo presenti le difficili situazioni logistiche in cui operano i servizi sanitari locali, la difficoltà di mantenere una ottimale catena del freddo, lo stato immunitario della popolazione infantile che si suppone deficitario per le malattie intercorrenti e la malnutrizione e l'impossibilità organizzativa di raggiungere tutti i bambini a età determinate, prevede nelle schedule vaccinali di questi paesi molte più dosi per la vaccinazione antipolio e difterite‐tetano, l'obbligatorietà per l'antitubercolosi, l'antipertosse e l'antimorbillo. I bambini provenienti da altri paesi, in Italia devono essere sottoposti al calendario delle vaccinazioni secondo le leggi attualmente in vigore, compresa la vaccinazione antiepatite (possono infatti essere considerati appartenenti alla categoria a rischio quei viaggiatori che si recano frequentemente all'estero)e le vaccinazioni facoltative raccomandate. È ritenuto opportuno il seguente comportamento: se il bambino non è stato mai vaccinato o la documentazione delle vaccinazioni già eseguite è assente, bisogna vaccinare. Se le vaccinazioni sono incomplete o irregolari è opportuno il seguente comportamento: ‐ Per AP tipo sabin: si termina lo schema (senza problemi di intervalli fra le dosi). ‐ Per DT O DPT: se tra la 1" e la 2a dose l'intervallo è minore di 1 anno, completare lo schema, se è maggiore di 1 anno iniziare nuovamente lo schema. Se tra la 2a e la 3a dose l'intervallo è minore di 5 anni completare lo schema, se è maggiore di 5 anni iniziare di nuovo lo schema. Non c'è limite di tempo dopo la 3a dose e bisogna fare DPT fino ai 7 anni di età. Per i bambini maggiori di 7 anni è consigliabile l'utilizzo della formulazione per l'età adulta. ‐ Per antimorbillo con rosolia e parotite: proporla attivamente e con impegno dai 15 mesi senza limite d'età, tenendo presente che nei pvs il morbillo è una malattia mortale. ‐ Per BCG: allo stato attuale delle conoscenze in Italia è ritenuta, da sola, inadeguata alla prevenzione della tubercolosi, ma utile alla prevenzione delle forme gravi (miliare e meningea). Possibili patologie acquisite nei paesi di origine Di fronte al sospetto di patologie acquisite nei paesi di origine vanno presi in esame: ‐ il luogo di provenienza, da confrontare con la distribuzione della malattia sospettata; 8
‐ la data di arrivo in Italia, da correlare al periodo di incubazione; ‐ l'età. Le patologie più frequenti per l'età infantile sono: 1. Le parassitosi intestinali La giardiasi, l'ascaridiasi nella forma intestinale e polmonare, l'ossiuriasi, l'amebiasi, la tricocefalosi, l'anchilostomiasi e la strongilodiasi sono quelle di più frequente reperto. 2. La parassitosi non intestinali La leishmaniosi viscerale, la larva migrans viscerale, la tubercolosi e la malaria, possono essere reperti occasionali o frequenti a seconda della zona di provenienza e dell'estrazione socio‐culturale della famiglia del bambino. Per una trattazione della sintomatologia clinica, degli accertamenti diagnostici e del trattamento da praticare si rimanda più opportunamente a un trattato di parassitologia o al red book dell'Accademia nordamericana di pediatria. ACCERTAMENTI CONSIGLIATI I principali accertamenti che si consiglia di eseguire nei bambini provenienti da un paese straniero sono: 1. Controllo accurato delle vaccinazioni eseguite 2. Anamnesi e visita medica accurata in cui: ‐ valutare l'accrescimento ‐ cercare i segni di rachitismo ‐ cercare i segni di anemia ed emolisi ‐ valutare le dimensioni del fegato e della milza (malaria e leishmaniosi) ‐ osservare le congiuntive (tracoma, xeroftalmia) ‐ cercare lesioni da grattamento (scabbia, pediculosi, micosi cutanee, impetigine) 3. L'esecuzione dell'intradermoreazione alla tubercolina (PPD) nei bambini non vaccinati con BCG 4. Accertamenti di laboratorio: ‐ esame parassitologico delle feci, per tre volte ‐ coprocoltura per salmonelle e shighelle ‐ esame urine per escludere ematuria e presenza di uova di S. Haematobium ‐ emocromo per Hb, MCV, Reticolociti 9
‐ formula leucocitaria per la percentuale di eosinofili (parassitosi) ‐ markers epatite A, B, C ‐ ricerca AC anti HIV, e HIV, (negli adottati) ‐ T3, T4, TSH nei bambini provenienti da Bolivia, Peni, Ecuador, Colombia (paesi in cui la carenza di iodio è endemica) ‐ elettroforesi Hb, dosaggio G‐6‐PD, test di falcizzazione (in presenza di anemia emolitica) ‐ goccia spessa entro 72 ore in caso di febbre di origine sconosciuta; transaminasi e bilirubinemia in caso di epatite Inoltre possono essere richieste consulenze come: oculistica per xeroftalmia, tracoma, toxocara, screening audiologico Si può pertanto affermare che l'esperienza finora maturata all'estero e in Italia indica che il bambino proveniente da un paese straniero non costituisce un rischio. I rischi a cui i bambini extracomunitari stessi sono esposti vanno minimizzati, fornendo, dal punto di vista sanitario, poco più di quanto viene offerto ai bambini italiani. Di maggiore importanza e prioritario invece è assicurare, fin dall'inizio, condizioni di vita accettabili, sia sotto il profilo igienico‐nutrizionale sia dal punto di vista dell'inserimento sociale e culturale. Congresso congiunto SIMM – GLNBI SIP ‐ Chieti 19‐20 novembre 2010 PROBLEMI NUTRIZIONALI NEI BAMBINI IMMIGRATI. Prof. Francesco Cataldo, Past Segretario GLNBI, Dipartimento Materno Infantile, Palermo e‐mai : [email protected] In Italia negli ultimi 10 anni si è osservato un aumento costante e progressivo dei bambini immigrati, secondario soprattutto ai minori nati nella nostra nazione da genitori immigrati ed a quelli arrivati in Italia per ricongiungimento familiare : i minori stranieri erano 280.000 il 31 Dicembre del 2000 mentre alla fine del 2009 risultavano 932.675, pari al 9,5% della popolazione infantile residente nella nostra Nazione ( 1 ). I bambini immigrati hanno un elevato rischio di problemi nutrizionali ( ritardo di crescita, anemie carenziali, rachitismo o viceversa obesità,diabete, ipertensione ).Questo rischio è legato soprattutto alle abitudini alimentari ( sia quelle che le loro famiglie portano dal Paese di origine, che quelle del Mondo Occidentale che molti minori ed adolescenti tendono ad acquisire ), ma anche alle modalità dell’arrivo in Italia di questi bambini ( Tabella 1 ), nonchè allo svantaggio sociale ed alla povertà delle famiglie di appartenenza, specie se immigrate da poco od irregolari. 10
TABELLA 1 ‐ Nati in Italia da immigrati regolari ( 77.150 nel 2009, pari al 13,6% delle nascite in Italia ) ‐ Ricongiungimenti familiari ( 26.350 nel 2009 ) ‐ Adottati dall’estero ( circa 4.000 all’anno negli ultimi anni ) ‐ Nomadi e Zingari ( non censibili ) ‐ Profughi e rifugiati politici ( non censibili ) ‐ Bambini non accompagnati ( circa 7.000 quelli censiti ) ‐ Figli di genitori irregolari o clandestini ( non censibili ) Così, molte madri straniere tendono a conservare, con errori alimentari soprattutto qualitativi, le tradizioni dei paesi di provenienza : allattamento esclusivo e protratto al seno fino ed oltre l’anno di vita, divieto di assumere carne di mucca ( induisti ), o quella suina o non halal (mussulmani),obbligo di seguire il ramadan ( islamici ),diete vegetariane, macrobiotiche e vegans proprie di alcune religioni e culture del Sub‐Continente indiano ( 2 ). Di contro, diete carenti dal punto di vista quantitativo e che favoriscono pure esse l’insorgenza di turbe nutrizionali, sono quelle sostenute dalla clandestinità delle famiglie di questi minori che si associa quasi sempre ad un basso reddito ( se non alla povertà ) ed a condizioni igienico‐sanitarie e di vita scadenti (2). Naturalmente ogni categoria di bambino immigrato descritta nella Tabella 1 presenta nei confronti dei problemi nutrizionali un rischio diverso. Un primoè costituito dai bambini adottati dall’estero al loro arrivo in Italia. Essi negli ultimi 10 anni sono stati più di 22.000 ( 3 ) e costituiscono una categoria di minori con bisogni “speciali” di tutela. Tra questi le malattie da carenza alimentare. La Tabella 2 riporta i risultati di una indagine relativamente recente ( 4 ) condotta a Palermo su una casistica ospedaliera ( anni 2002‐2006 ) di 136 bambini adottati dall’estero ( 133 dall’Europa dell’Est ). Le situazioni morbose osservate sono apparse correlate soprattutto al tempo trascorso in orfanotrofio prima della adozione e secondarie alla cattiva ed insufficiente alimentazione,agli scadenti stili di vita, ed alla assenza di supplementazione vitaminica. Osservazioni sovrapponibili sono riportate in altre casistiche italiane ,tra le quali più significative appaiono quella di Ancona ( 5 ) e quella di Firenze ( 6 ) ( rispettivamente 547 e 552 bambini ), con minori giunti in Italia oltre che dall’Est Europa in buona parte anche dall’America Latina, dal Sub Continente indiano e dall’Africa. Fortunatamente questi bambini superano rapidamente le loro condizioni di malnutrizione che presentano all’arrivo in Italia perché le famiglie che li accolgono sono molto motivate e quasi sempre hanno un reddito ed una condizione sociale medio‐alte. TABELLA 2 Ritardo ponderale : 25/136 ( 18,4%) Ritardo staturale : 26/136 ( 19,1%) Ritardo staturo‐ponderale : 18/136 ( 13,2%) Circonferenza cranica < 3° centile : 12/136 ( 8,8%) Anemia ferrocarenziale : 74/136 ( 54,4%) Rachitismo : 21/136 : 15,4% Ritardo età ossea : 17/136 ( 12,5%) Anche se gli studi sui nomadi sono poco numerosi e non esaustivi, un’altra categoria di minori stranieri che frequentemente va incontro a turbe nutrizionali è costituita dagli zingari. I campi in cui essi vivono ( quasi sempre abusivi,posti in zone periferiche delle città, spesso privi dei comuni requisiti igienico‐sanitari ) ed il 11
basso reddito familiare che conduce ad una alimentazione inadeguata ed insufficiente favoriscono le anemie carenziali,il rachitismo ed il deficit staturo‐ponderale ( 7,8 ). Pure tra i bambini stranieri non accompagnati e tra i bambini profughi di guerra sono comuni le condizioni di malnutrizione descritte nei minori zingari. Anzi, spesso esse sono più frequenti e più evidenti a causa dei lunghi e più gravi periodi di deprivazione nutrizionale ed emozionale cui sono sottoposti ( 9,10 ). Il rachitismo carenziale è molto comune tra i bambini immigrati, sia se figli di genitori regolari e quindi più facilmente integrati con i nostri costumi e stili di vita perché più a lungo residenti in Italia, sia se figli di clandestini difficilmente integrati con la nostra cultura. Anzi negli ultimi anni in Italia, alla pari di altri Paesi del MondoOccidentale ( 11 ), questo stato morboso che era quasi scomparso è riapparso come fenomeno emergente, interessando quasi esclusivamente la popolazione infantile immigrata ( 12,13,14,15 ). Tra questi studi, quello più ampio ed esaustivo è stato condotto mediante una indagine retrospettiva sui bambini ( sia italiani che stranieri ) dimessi nel triennio 2000‐2003 dagli ospedali piemontesi ( 15 ). Sono stati identificati 99 pazienti con rachitismo e 94 di questi ( 95%) erano immigrati : 26 provenivano dall’Africa Centro‐Occidentale o Sub‐
sahariana e dal Sub‐Continente indiano,59 erano marocchini e 9 albanesi. Il loro numero è aumentato nel corso degli anni ( 12 nel 2000, 34 nel 2001 e 53 nel 2003 ) ed i fattori patogenetici comuni, nonostante la diversità delle loro etnie e delle loro culture, erano: la pelle scura od olivastra ( la melanina assorbe i raggi solari ostacolando la trasformazione della pro vitamina D in vitamina D ),l’allattamento esclusivo e protratto al seno fino o oltre l’anno di vita ( il latte di donna contiene quantità di vitamina D che sono sufficienti per un soggetto in rapida crescita quale è il lattante solo fino al 6° mese di vita ), la scarsa esposizione al sole sia del bambino che della nutrice (uso dello chador), l’assenza di una adeguata profilassi medicinale con vitamina D,l’abitudine per motivi culturali o religiosi sia nel bambino che nella nutrice di diete vegetariane, macrobiotiche o vegans che sono povere di calcio e ne ostacolano l’assorbimento. Tra i bambini immigrati sono anche possibili le anemie carenziali ( ferroprive, da deficienza di acido folico e di vitamina B12 ).In Italia non ci sono studi epidemio‐ logici ampi come quelli riportati per il rachitismo su queste condizioni patologiche e non è quindi possibile riportare dati significativi ed esaustivi su questo argomento. Tuttavia nelle Nazioni del Mondo Occidentale sede da lungo tempo di fenomeni immigratori dai Paesi in Via di Sviluppo (PVS), le anemie carenziali sono ben conosciute (16‐20 ). Esse riconoscono una etiologia multifattoriale e diversi momenti patogenetici: 1°) la immaturità e la prematurità, comuni nei nati da gestanti clandestine perché queste non si sottopongono a regolari controlli sanitari in gravidanza, sono fattori predisponenti l’anemia ferropriva in quanto nelle prime epoche della vita le riserve di ferro dipendono dalla durata della gravidanza e dal peso alla nascita; 2°) l’allattamento esclusivo e protratto al seno fino a oltre il primo anno di vita,frequente nelle nutrici provenienti dai PVS, favorisce la carenza di ferro in quanto non soddisfa dopo il 5°‐6° mese il fabbisogno di alimentare del lattante; 3°) l’assunzione precoce ( sin dai primi mesi di vita ) di latte vaccino pastorizzato, legata al basso reddito familiare delle famiglie immigrate che, specie se clandestine, non sono in grado di acquistare il latte formulato, predispone all’anemia da carenza di ferro e a quelle megaloblastiche perché il latte pastorizzato contiene ferro eme scarsamente biodisponibile e favorisce le microemorragie intestinali, mentre è povero di vitamina B2 e folati; 4°) lo svezzamento, che tra gli immigrati è spesso tardivo per motivi culturali e non di rado con un modesto apporto di omogeneizzati e di carne fresca per il basso reddito familiare, predispone alla carenza di ferro, di acido folico e di vitamina B12; 5°) le diete legate ad alcune tradizioni culturali e credenze religiose ( induismo, islamismo, giainismo, diete vegetariane, macrobiotiche, vegans, etc ) portano all’assunzione di alimenti che da un lato sono poveri di ferro,di acido folico e vitamina B12 e dall’altro ( diete vegetariane ) ostacolano l’assorbimento di ferro determinando, se protratte, anemie carenziali (20,21,22). Anche i ritardi di crescita ( ponderale e staturale ) sono possibili tra i bambini immigrati. Questi fortunatamente non sono frequenti e raramente arrivano a gravi quadri di malnutrizione ( distrofie severe ).Risultano strettamente collegati allapovertà ed alla indigenza e quindi sono più frequenti nelle famiglie clandestine ed in quelle con lavoro irregolare o saltuario, risultando correlate più che alla etnia di appartenenza al tempo trascorso in Italia dopo l’immigrazione : come è stato dimostrato (23 ), le famiglie 12
giunte da poco nella nuova nazione hanno un reddito abitualmente più basso e tendono facilmente a mantenere ancora la cultura e le tradizioni alimentari del paese di origine . Un problema per fortuna ancora oggi non riscontrato in Italia tra gli immigrati, ma che è già stato osservato in altre nazioni industrializzate sede di fenomeni immigratori da PVS ( 24,25,26 ), è quello delle malattie così dette della “opulenza”, proprie della civiltà occidentale. Il 31/12/2009 (27) i minori stranieri di 2° generazione nati in Italia, i così detti G2, erano 572.000, pari al 61% della popolazione infantile immigrata residente nella nostra nazione ( essi rispetto al 2001, quando erano 160.000, sono più che triplicati ). Nella 2° e 3° infanzia, ed ancor più nella adolescenza, la scolarità dei minori immigrati, che è aumentata in maniera quasi esponenziale in questi ultimi anni (1), favorisce uno stretto contatto ed una facile integrazione dei minori stranieri con gli stili di vita (sedentarietà,abuso della televisione,dei videogiochi, di internet) e con le abitudini alimentari (esagerata assunzione di zuccheri a rapido assorbimento,di proteine animali e di grassi saturi) dei loro coetanei italiani. Ciò comporta un maggior rischio nella età giovane‐adulta di stati morbosi quali le malattie cardiovascolari, l’obesità, il diabete mellito, l’ipertensione e la sindrome metabolica anche nella popolazione immigrata. Una delle prossime sfide che dovremo presto affrontare è quindi quella di confrontarci con questi aspetti del processo di identificazione e di integrazione con la società occidentale dei bambini immigrati così detti G2, al fine di prevenire gli effetti a medio‐lungo termine sul loro stato di salute. BIBLIOGRAFIA 1) Dossier Statistico Immigrazione della Caritas 2010. Edizioni Antarem. 2) Cataldo F. L’alimentazione nel bambino immigrato. Il Pediatra 2007; 2 : 26‐29. 3)Presidenza del Consiglio dei Ministri. Rapporto della Commissione per le Adozioni Internazionali 2010. www.commissioneadozioni.it 4) Cataldo F, Viviano E. Health problems of internationally adopted children. It J Ped 2007; 33 : 92‐99. 5) Gabrielli O, Rocchi E, Virdis F. Adozioni internazionali. In : Il Bambino immigrato,Vol. 1° . A cura di Bona G. Edizioni Editeam. 2003 : 97‐109. 6) Adami Lami C. Accoglienza sanitaria del bambino adottato dall’estero. In : Il Bambino immigrato,Vol. 2°. A cura di Cataldo F e Gabrielli O. Edizioni Editeam. 2005 : 95‐109. 7) Acerbi L Porcu R. Il bambino zingaro. Atti 1° Congresso del GLNBI, Novara Dicembre 1999. Riv Ital Ped 1999; 25/Suppl. 3 : 31‐33. 8) Acerbi L, Trillò M E. Il bambino zingaro. In : Il bambino immigrato Vol. 1°. A cura di Bona G. Edizioni Editeam 2003 : 111‐119. 13
9) Pulito M A. Minori adolescenti stranieri non accompagnati. In : Il bambino immigrato Vol. 2°. A cura di Cataldo F, Gabrielli O. Edizioni Editeam 2003 : 77‐80. 10) Cataldo F, Bona G. L’infanzia multietnica. In : Una Pediatria per la Società che cambia. A cura di Burgio GR, Bertelloni S. Editore Tecniche Nuove 2007 : 209‐221. 11) Cataldo F. Rachitismo carenziale e immigrazione infantile. Il Pediatra. 2010; 6 : 56‐63. 12) Pedori S, Mughetti L,Dodi I et Al. Il ritorno di un antico problema sanitario dell’infanzia : il rachitismo carenziale. Comunicazione al 3° Congresso Nazionale del GLNBI. Milano 16‐17 Maggio 2003. 13) Preti P, Rossi A, Perrone A. Il rachitismo carenziale è diventato una patologia da immigrazione. Comunicazione al 3° Congresso Nazionale del GLNBI. Milano, 2003. 14) Weber G. Bozzetti V. Il rachitismo carenziale : se lo conosci lo previeni. Pediatria Preventiva e Sociale. 2006; 1 : 5‐9. 15) Guala A, Guarino R,Ghiotti P et Al. Il rachitismo in Piemonte: una sorveglianza negli ospedali. Medico e Bambino 2006; 2 : 119.120. 16) Thane CW, Bates CJ, Prentice A. Risk factors for low intake and poor iron status in a national sample od british young children aged 4‐18 years. Public Health Nutrition 2003; 6 : 485‐496. 17) Lawson MS, Thomas M,Hardiman A. Iron status of Asian children aged 2 years living in England. Arch Dis Child 1998; 78 : 420‐426. 18) MC Gillivary G, Skull SA, Davie G et al. High prevalence of asymptomatic Vit D and iron deficiency in East African immigrant children and adolescents living in a temperate climate. Arch Dis Child 2007; 92 : 1088‐1093. 19) Britt RP, Strang W, Harper C. Pernicious anaemia in indian immigrants in the London. Brit J Haem 1970; 18 : 637‐642. 20) Luong KV, Nguyen LT. Folate and Vit B12 deficiency anaemias in Vietnamese immigrant living in Southern California. South Med Jour 2000; 93 : 53‐57. 21) Sanders TA, Reddy S. Vegetarian diets and children. Am J Clin Nutr 1994; 59 (5 Suppl): 1176S‐1181S. 22) Weiss R, Fogelman Y, Bennett M et al. Severe Vit B12 deficiency in an infant associated with a maternal deficiency and a strict vegetarian diet. J Ped Hemat Onc 2004;26 : 270‐271. 23) Pelto GH. Ethnic minorities, migration and risk of undernutrition in children. Acta Paed Scand 1991,Suppl 374 : 51‐57. 24) Magnusson MB, Hulthen L, Kjellgren KI. Obesity,dietary pattern and physical activity among children in a suburb with a high proportion of immigrants. J Hum Nutr Diet 2005; 18 : 187‐94. 25)Uitewaal PJ, Manna DR, Hoes AW et al. Prevalence of type 2 diabetes mellitus,other cardiovascular risk factors and cardiovascular diseases in Turkish and Moroccan immigrants in North West Europe. Prev Med 2004; 39 : 1068‐1076. 26) Gilibert PA, Khokhar S. Changing dietary habitats of ethnic groups in Europe and implications for health. Nutr Rev 2008; 66 : 203‐215. 27) Atlante dell’infanzia in Italia. Edizioni Save the children Italia. 2010 14
DAL VOLUME: La salute del Bambino Immigrato: aspetti di pediatria preventiva e sociale. (a cura di M. Zaffaroni) Editeam Gr. Editoriale – 2007 Capitolo 6. ADOZIONI INTERNAZIONALI: ASPETTI SANITARI, PSICOLOGICI, PEDAGOGICI. Caterina Adami Lami,* Piero Valentini,** Giuseppina Veneruso*, Raffaella Giacchino***, Stefania Losi*, Giorgio Zavarise°, Francesco Cataldo,°° Orazio Gabrielli.°°° Dipartimento di Pediatria‐Ospedale A.Meyer Firenze*, Pediatria Policlinico Gemelli Roma**, Pediatria Gaslini Genova***, Ospedale S. Cuore Negrar ‐Verona°, Clinica Pediatrica Palermo°°,Clinica Pediatrica Ancona °°° Nell’adozione internazionale i dati anamnestici e clinici sono scarsi,quelli relativi alle vaccinazioni poco attendibili e più del 50% dei bambini provenienti dall’estero per adozione internazionale sono affetti da una qualche patologia diagnosticabile solo nel 20% dei casi con la visita pediatrica , senza l’ausilio di esami di laboratorio. E’ necessaria pertanto una adeguata accoglienza sanitaria presso servizi pediatrici qualificati,con esami di screening,da effettuare indipendentemente da età,paese di origine,presenza di sintomi, subito dopo l’arrivo in Italia e in ogni caso prima dell’inserimento in comunità infantili.. La documentazione sanitaria La storia del bambino adottato all’estero e la sua documentazione sanitaria è sempre carente e scarsamente attendibile. Raramente sono riportati dati relativi alla composizione del nucleo familiare, alle modalità di vita ,ad eventuali comportamenti ant isociali dei genitori, all’assunzione di droghe o alcool da parte della madre durante la gravidanza . L’anamnesi fisiologica del bambino si limita a notizie sulla gestazione, sul parto, sui dati auxologici alla nascita, sulla presenza o meno di sofferenza neonatale; non viene di solito fornita alcuna indicazione sullo sviluppo psicomotorio e l’accrescimento staturo‐ponderale nel primo anno di vita e successivi . Per quanto concerne l’anamnesi patologica i dati certificati sono di difficile interpretazione e spesso fuorvianti. Raramente viene fatta menzione di patologie comuni in età pediatrica in bambini istituzionalizzati, e quando riportate, non viene riferita la durata, le eventuali recidive, la terapia effettuata. Molto spesso invece vengono riportate diagnosi di malattie gravi quali idrocefalo, esiti di sofferenza neonatale, cardiopatie, ritardo mentale, convulsio ni, senza alcuna documentazione che le avvalori. 2 Le vaccinazioni I certificati di vaccinazione: secondo dati della letteratura più recente, devono essere considerati poco attendibili. Indagini sierologiche su di un’ampia casistica di bambini adottati all’estero hanno dimostrato presenza di titoli anticorpali protettivi (soggetti responder) nella maggioranza dei casi verso difterite e tetano, mentre il 20% risultava “non responder” per uno o più dei seguenti vaccini : antiepatite B, morbillo ,rosolia, parotite. Causa della mancata risposta anticorpale può essere la non corretta conservazione o la somministrazione di vaccini scaduti, calendari vaccinali non corretti, scarsa risposta dell’ospite per malattie defedanti o grave denutrizione. Emerge la necessità nell’adozione internazionale, di sottoporre i bambini a verifica sierologica delle vaccinazioni certificate all’estero per poter formulare un appropriato calendario di vaccinazioni: in alternativa occorre iniziare il ciclo vaccinale dalla prima dose (Decreto Ministeriale 01/ 04/ 99). Per quanto concerne il vaccino combinato antimorbillo‐parotite‐rosolia può essere effettuato senza 15
farlo precedere da valutazione anticorpale: raccomandate anche le altre vaccinazioni i uso nel nostro paese, antimenigococcica, antipneumococcica, antivaricella La vaccinazione antitubercolare Quasi tutti i bambini, provenendo da paesi ad alta endemia tubercolare, risultano vaccinati, di solito nel primo mese di vita, contro la tubercolosi e la documentazione sanitaria riporta i risultati della Mantoux, eseguita per verificare la risposta immune al vaccino. La Mantoux deve essere in ogni caso ripetuta,come esame di screening: sarebbe imprudente e pericoloso non eseguirla nei bambini vaccinati, ritenendoli già protetti. La vaccinazione con BCG, riduce il rischio di tubercolosi polmonare e extrapolmonare del 50%, ma non previene l’infezione tubercolare. Molto importante è la corretta valutazione del test. I bambini adottati all’estero, per la provenienza da paesi ad alta endemia tubercolare, per il lungo periodo di istituzionalizzazione o di vita in ambienti degradati dal punto di vista igienico‐sanitario, per la denutrizione ‐ malnutrizione, sono da considerare soggetti “ a rischio”: pertanto una Mantoux che provoca un infiltrato di 10 mm è da considerare sempre positiva. Patologie nei bambini adottati all’estero Le patologie più frequentemente diagnosticate sono quelle infettive e parassitarie che interessano il 50‐60% dei bambini adottati, secondo le varie casistiche riportate in letteratura. Su 961 bambini, afferiti nel periodo 1/1/1998‐31/12/2005 al Servizio Pediatrico per l’Adozione Internazionale del Dipartimento di Pediatria‐Ospedale A. Meyer di Firenze, 574 ( 59,72% ) risultavano affetti da patologie ad eziologia infettiva o parassitaria. La documentazione sanitaria del bambino adottato all’estero comprende nella quasi totalità dei casi esami di laboratorio per la diagnosi di Epatite B, Sifilide, infezione da HIV: anche in questo caso la validità di tali esami è relativa, sia perché si tratta sempre di trascrizione di esami (senza indicazioni sulle metodiche di laboratorio né firma del medico responsabile) sia perché i test sierologici per lo più sono stati eseguiti molti mesi prima l’adozione: è possibile che il bambino venga contagiato dopo l’esecuzione dei test. Il controllo di tali esami ,in Italia, è pertanto d’obbligo. L’infezione da HBV ha un’incidenza di circa il 5%: in studi su bambini adottati in paesi ad alta endemia sono riportati valori molto superiori. La trasmissione da bambini adottati a membri della famiglia è stata da tempo ben documentata in USA e Scandinavia. E’ indispensabile vaccinare tutti i familiari e i conviventi in caso di HbsAg positività del bambino: lo screening, che comprende i marker per l’Epatite B, eseguito subito dopo l’ingresso in Italia, tutela in questo caso la salute dei genitori, di tutta la famiglia e della comunità . L’epatite C ha in generale una incidenza inferiore (circa la metà) rispetto all’epatite B, anche se in alcuni paesi (Ucraina, Russia , Cina ) la prevalenza della malattia nella popolazione è più elevata. 3 Da osservare inoltre che la ricerca degli anticorpi antiepatite C, per la minor frequenza della malattia e gli alti costi del test, viene solo in rarissimi casi effettuata prima dell’adozione. La sifilide congenita è una forma non rara nei paesi dell’ex URSS e dell’Est Europeo in cui è elevata la prevalenza della malattia nella popolazione generale. La sifilide materna, se riferita nella anamnesi non è documentata per quanto concerne esami e terapia: quasi sempre i neonati sono trattati con penicillina, ma a dosaggi e per periodi spesso inadeguati e possono pertanto sviluppare la malattia. I test sierologici a nostra disposizione consentono la diagnosi di sifilide ancora attiva, il che porterà ad effettuare indagini approfondite per stabilire quali organi siano interessati ed instaurare un trattamento antibiotico adeguato. L’infezione da virus dell’immunodeficienza acquisita (HIV) rappresenta attualmente una patologia rara nel bambino adottato. Il motivo principale che rende infrequente questa malattia è che attendibili test sierologici di screening per HIV vengono effettuati in tutti i paesi a cura degli istituti di accoglienza, per selezionare i bambini, escludendo dalla adozione quelli HIV positivi. Quale che sia il paese di origine (a bassa o alta endemia per infezione da HIV) ed il risultato degli esami 16
precedenti, i test sierologici per HIV 1‐2 devono essere ripetuti in Italia. Le parassitosi rappresentano la patologia più frequente nei bambini adottati all’estero. I bambini provenienti dai paesi dell’Europa dell’Est non vengono indagati per tali patologie, mentre qualche documentazione in proposito viene talora fornita per quelli provenienti da India, America Latina, Africa e Asia. E’ importante conoscere quali sono le parassitosi più frequenti nei diversi paesi d’origine. Le parassitosi intestinali pur essendo eradicabili con terapia specifica presentano notevole difficoltà diagnostica per la emissione, spesso intermittente di uova, cisti, larve, per la necessità di particolari accorgimenti nel prelievo e conservazione delle feci nonché di laboratori specializzati in parassitologia e malattie tropicali. I soggetti con parassitosi intestinale possono essere asintomatici e questo potrebbe indurre a dilazionare od effettuare in modo incompleto l’esame parassitologico delle feci nel bambino adottato: per l’attendibilità di questo esame è indispensabile che sia eseguito su tre campioni raccolti a distanza di almeno 48 ore l’uno dall’altro.Prevale l’infestazione da Giardia Lamblia; a seguire, in ordine di frequenza : Hymenolepis nana, Entamoeba coli, Trichiuris Trichiura, Enterobius Vermicularis, Endolimax nana, Entamoeba Hystolitica, Strongyloides Stercoralis, Tenia Solium, Ascaris Lumbricoides. Le parassitosi da larve di elminti possono interessare tutti gli organi interni; sono malattie rare, ma potenzialmente gravi, di difficile diagnosi, che vanno indagate indipendentemente dalla presenza di sintomi. Le più importanti per frequenza e patologia correlata sono la toxocariasi e la cisticercosi. La toxocara canis, ubiquitaria, è l’ascaride del cane che rappresenta l’ospite definitivo. L’infestazione dell’uomo avviene attraverso ingestione di uova larvate che vengono emesse dal cane con le feci. I bambini facilmente si infestano attraverso cibi o mani contaminati. Possono essere interessati tutti gli organi interni, ma i sintomi più gravi sono quelli legati all’interessamento oculare e del sistema nervoso centrale. Essendo l’infestazione ubiquitaria, è opportuno indagare per tale forma tutti i bambini adottati, indipendentemente dal paese di origine: esistono test sierologici specifici con metodica ELISA La cisticercosi, malattia grave, dovuta a infestazione da larve di tenia solium, può interessare vari organi ma le localizzazioni più frequenti sono il sistema nervoso e l’occhio. La forma può rimanere silente anche per anni, prima che compaiano i sintomi: convulsioni, idrocefalo, meningite, disturbi neurologici , compromissione del visus. La ricerca degli anticorpi specifici anticisticerco con metodica ELISA o EITB (Enzyme linked immunoelettrotrans ferblot), questa ultima più recente , più specifica e sensibile , consente la diagnosi di infezione. Una diagnosi sierologica precoce di cisticercosi e toxocariasi in fase preclinica può consentire la guarigione delle lesioni o impedirne l’insorgenza. La tubercolosi è patologia frequente e in continuo aumento nei bambini adottati all’estero. L’incremento dei casi, in Italia come in altri paesi europei ,si è cominciato a verificare nel 2002, correlato all’aumento del numero di adozioni da Africa, India, Sud‐est asiatico, nuovi paesi dell’Est Europa quali Bielorussia, Slovacchia, Lettonia, Lituania, che sono ad alta endemia tubercolare 4 La sindrome feto‐alcolica si presenta con quadri clinici variabili: dalla forma conclamata (iposomia, microcrania, facies tipica, “iperattività”, grave deficit della capacità di concentrazione) a quadri incompleti con solo alcuni segni e sintomi tipici associati. Si osserva nella quasi totalità dei casi in bambini provenienti dall’Est Europeo, in particolare Russia, Polonia, Ucraina, dove l’etilismo rappresenta tutt’ ora un grave problema medico e sociale. Raramente risulta dalla documentazione sanitaria l’etilismo della madre in gravidanza :più spesso il dato viene comunicato ufficiosamente, ai genitori adottivi. Nel caso di sospetta sindrome feto‐alcolica deve essere richiesta la consulenza del genetista e il cariotipo per la diagnosi differenziale con malattie genetiche a fenotipo simile, l’ecografia renale‐pelvica e cardiaca, la RNM encefalo , per evidenziare danni da alcol a carico di tali organi Tutti i bambini devono essere seguiti con controlli longitudinali clinici e psicologici. La 17
diagnosi precoce è importante perché deve essere impostato un programma pedagogico scolastico cui devono partecipare i genitori adottivi, finalizzato a favorire nel bambino la capacità di attenzione per tempi progressivamente più lunghi in ogni tipo di attività, a cominciare dal giuoco. In questi bambini infatti il deficit intellettivo è raramente presente, ma il rendimento scolastico è gravemente ostacolato dall’incapacità del bambino a concentrarsi e di conseguenza a partecipare ad attività finalizzate. La pubertà precoce. Durante la prima visita eseguita dal pediatra di famiglia o presso il centro di riferimento per il bambino adottato , viene effettuata una valutazione nutrizionale, auxologica, e dello stadio puberale. Il pediatra di famiglia,dopo questa prima valutazione ,programmerà un calendario di bilanci di salute personalizzato , diverso a seconda del paese di provenienza , dell’età, del quadro clinico, con particolare attenzione all’ accrescimento e allo sviluppo puberale. Nei mesi successivi all’arrivo in Italia, di solito si assiste nel bambino a un rapido incremento staturo‐ponderale dovuto alle migliorate condizioni di vita, all’alimentazione più ricca e variata e non ultimo, al beneficio psicologico di sentirsi al centro di una relazione affettiva esclusiva. Dopo questa iniziale “impennata”, si ha di solito una stabilizzazione della crescita: in alcuni casi tuttavia, soprattutto nelle bambine, si può verificare una pubertà precoce o quantomeno anticipata. La pubertà si definisce precoce quando i caratteri sessuali secondari compaiono prima degli 8 anni nelle femmine e 9 anni nel maschio La letteratura riporta sempre più frequentemente segnalazioni di pubertà precoce (PP) in bambini adottati provenienti da paesi in via di sviluppo. I meccanismi fisiopatologici che favoriscono la PP nei bambini adottati non sono ancora completamente chiariti. Il miglioramento dello stato nutrizionale promuoverebbe lo sviluppo puberale ,favorendo un precoce raggiungimento del peso critico. Il tessuto adiposo aumenta la produzione periferica di estrogeni e la secrezione di tutti gli ormoni, compreso le Insuline‐like growth factor I ( IGFI) che direttamente stimolano la crescita ovarica e la sintesi di steroidi. Altri fattori causali o favorenti la pubertà precoce sono quelli psicologici ,legati al benessere di vita e affettivo, in grado di agire sulle neuroamine cerebrali ed influenzare l’ipotalamo. I bambini adottati, ai quali è stata negata un’infanzia normale ,nel primo periodo post‐adottivo devono recuperare gli anni perduti sia a livello sia fisico che affettivo‐ relazionale e solo quando hanno acquisito la consapevolezza di essere figli “a tutti gli effetti” sono in grado di affrontare i cambiamenti connessi con la pubertà. Il pediatra in questa fase ha un duplice ruolo: nei confronti dei bambini monitorarne la crescita e saper valutare se e quando sia il caso di inviarli a centri specialistici endocrinologici : nei confronti dei genitori di sfatare la falsa convinzione che sia normale, per un bambino proveniente da paesi tropicali, avere una pubertà precoce. Le iniziali trasformazioni somatiche puberali devono essere conosciute anche dai genitori che individuandole correttamente, possono coadiuvare il lavoro del pediatra. Un eccessivo ritardo nella diagnosi di sospetta pubertà precoce può recare al bambino grave danno sia fisico che psicologico, da un lato impedendogli di raggiungere una statura adeguata, dall’altro rendendolo oggetto, anche per questo evento fisico, di ulteriore discriminazione. 5 L’accoglienza sanitaria al bambino adottato all’estero Con la legge 31 Dicembre 1998 n.476 (Ratifica della Convenzione dell’Aja )l’Italia si è allineata con i paesi più avanzati in campo legislativo,ma per quanto concerne i problemi sanitari,ad oggi non esistono indicazioni del Ministero della Sanità in merito a provvedimenti di accoglienza sanitaria del bambino adottato all’estero,a tutela del minore e della comunità stessa.. Nell’ultimo quinquennio tuttavia si è diffusa a tutti i livelli la “cultura dell’adozione” e la maggioranza dei pediatri di famiglia ,degli operatori dei servizi sociosanitari territoriali concordano sulla utilità di esami di screening per i bambini adottati all’estero,da eseguire presso centri qualificati. 18
Alla fine del 2002 erano operativi in Italia solo 5 servizi pediatrici di riferimento per i bambini adottati provenienti dall’estero ( Ancona,Firenze, Novara, Venezia, Udine ), istituiti per iniziativa di pediatri ospedalieri o universitari aderenti al Gruppo di Lavoro Nazionale per il Bambino Immigrato (GLNBI) della Società Italiana di Pediatria. In occasione del 58° Congresso della Società Italiana di Pediatria e della riunione del GLNBI ( Montecatini 30 Settembre‐2 Ottobre 2002) è stato presentato e discusso un protocollo diagnostico‐assistenziale con esami di screening per il bambino adottato proveniente dall’estero,successivamente approvato e promosso dalla Commissione Centrale Adozioni Internazionale e applicato attualmente da tutti i servizi pediatrici di riferimento per l’adozione internazionale, presenti in quasi tutte le regioni d’Italia. Il protocollo ,formulato secondo le linee guida della letteratura internazionale, tiene conto delle patologie di più frequente riscontro nei bambini istituzionalizzati o che hanno vissuto in condizioni igienico‐sanitarie di degrado, delle malattie infettive o parassitarie endemiche nelle nazioni di origine, di alcune emoglobinopatie e/o deficit enzimatici dei globuli rossi e di patologie da radiazioni ad alta prevalenza in alcuni paesi Protocollo diagnostico‐assistenziale per i bambini adottati all’estero (Approvato dalla commissione Adozioni internazionali nel 2002, aggiornato nel 2007, in occasione del III Convegno Nazionale ISMU‐GLNBI‐SIMM) Anamnesi: ricostruzione dell’iter adottivo della coppia e del vissuto preadottivo del bambino, con riferimento alla famiglia di origine ( componenti,condizioni sociali,abitud ini di vita,motivi dell’abbandono), all’istituto/i di accoglienza ( situazione igienico‐sanitaria, modalità relazionali e educative, scolarizzazione), alle modalità dell’adozione, allo sviluppo fisico e neuroevolutivo,a patologie pregresse, alle vaccinazioni documentate. Esame obbiettivo : valutazione clinica generale. Indagini di laboratorio: glicemia, creatininemia, esame emocromocitometrico e formula leucocitaria, fosfatasi alcalina, transaminasi,protidogramma, ferritinemia,VES, Markers epatite B e C , TPHA , anticorpi anti HIV 1‐2 , esame parassitologico delle feci ( su tre campioni), esame delle urine, intradermoreazione di Mantoux. In relazione al paese di provenienza effettuare : dosaggio TSH, FT4 ( Bielorussia, Ucraina); anticorpi anticisticerco ( America Latina, Africa, Asia ); anticorpi antitoxocara ( Europa dell’Est, America Latina, India) Indagini di approfondimento : Esame radiologico del torace se Mantoux positiva Hb elettroforesi e/o dosaggio G6PD in base ai risultati dell’esame emocromocitometrico. Visite specialistiche : tutte, secondo necessità Programma vaccinale: valutazione del titolo anticorpale per i vaccini o rivaccinazione dalla prima dose, secondo il protocollo di vaccinazioni previsto in Italia. 6 Ricostruzione del vissuto preadottivo e modalità di intervento dello psicologo clinico A integrazione della cartella standard è attualmente in uso presso molti servizi pediatrici di riferimento per le adozioni , una scheda‐questionario specifica per i bambini adottati all’estero che ha lo scopo,avvalendosi della collaborazione dei genitori adottivi di colmare almeno in parte le tante lacune della documentazione sanitaria attinenti sia la storia della famiglia di origine, sia quella personale del bambino Nella scheda vengono riportati ,alla prima visita, dati relativi a: ‐ famiglia adottiva :età e professione dei genitori, figli biologici o adozioni precedenti, condivisione o meno del progetto adottivo da parte della famiglia ( genitori , fratelli, figli biologici o adottivi ), parenti conviventi e/ o disponibili ad accudire il bambino , corrispondenza o meno 19
dell’adozione a quanto indicato dalla coppia e/o proposto dall’Ente intermediario, partecipazione della coppia a corsi di informazione‐formazione preadottivi.,disponibilità a seguire quelli postadozione. ‐ istituto (o casa‐famiglia) di provenienza del bambino :caratteristiche strutturali e igienicosanitarie dell’edificio, possibilità di attività ludica all’aperto, disponibilità di giuochi e materiale didattico, rapporto numerico tra assistenti infantili e bambini,modalità relazionali e educative,scuola (all’interno o esterna), alimentazione, assistenza sanitaria. ‐ famiglia di origine :dati non ufficiali di cui la coppia è venuta a conoscenza : di ordine sanitario, sociale, comportame ntale, giuridico. ‐ il bambino adottato: cause della adattabilità ( abbandono alla nascita , incapacità di accudimento, perdita della patria potestà); provenienza del bambino e durata del soggiorno/i ( orfanotrofio,casa famiglia,famiglia affidataria); separazione da fratelli conviventi in istituto o da familiari con cui manteneva rapporti; adozione con fratello/i, con altro bambino/i ; scolarizzazione. ‐ l’incontro col bambino : comportamento nei confronti dei genitori adottivi al momento della conoscenza e incontri successivi.Atteggiamenti di accettazione o di rifiuto dell’adozione. ‐ primo periodo di convivenza col bambino : abitudini alimentari, caratteristiche del sonno, adattamento al nuovo ambiente, comportamento con i genitori e con gli estranei, problemi emotivorelazionali (movimenti stereotipati di dondolamento del corpo, rifiuto del contatto fisico, paure e grida immotivate ecc) e psicologici , patologia di interesse medico‐pediatrico. Una copia della scheda viene allegata alla cartella clinica ed una inviata al servizio di neuropsichiatria infantile/ psicologia clinica ‐scolarizzazione : grado di istruzione e scolarizzazione del bambino pre‐adozione, scolarizzazione programmata Al momento del primo approccio con il bambino e la famiglia ,il pediatra è coadiuvato, a Firenze come in altri centri di riferimento, da uno psicologo infantile per cogliere i primi dati sul funzionamento emotivo e relazionale del bambino. Una parte dell’osservazione viene effettuata intrattenendo il bambino in una sede contigua a quella dove sono i genitori( se il distacco non è accetto) o presso la ludoteca, una parte in presenza dei genitori adottivi per valutare le modalità relazionali nella coppia e dei genitori col bambino. .L’ osservazione dello psicologo integra quella clinica ed è finalizzata a fornire una prima consulenza ai genitori adottivi e ad acquisire indicazioni sui tempi in cui è opportuno programmare la valutazione di neuropsicologia infantile/ psicologia clinica presso il centro di riferimento stesso o i servizi territoriali per l’adozione internazionale Le problematiche psicologiche personali e comportamentali dei bambini adottati, differiscono a seconda dell’età al momento dell’adozione. Nei bambini in età prescolare è più facile l’attaccamento ai genitori adottivi e l’adattamento al nuovo ambiente : dal punto di vista emotivocomportamentale si evidenzia continua ricerca di stimoli,difficoltà nel fissare a lungo l’attenzione, problemi nell’affrontare situazioni inattese, superficialità nelle relazioni interpersonali, paura di abbandono. 7 Nei bambini in età scolare ,superato l’ostacolo della diversità della lingua ,emergono difficoltà legate alla necessità di acquisire nuove espressioni verbali simboliche e sono frequenti i disturbi dell’apprendimento. La paura dell’abbandono a questa età è per lo più legata al timore di non corrispondere alle aspettative dei genitori adottivi e può manifestarsi con modalità fuorvianti quali crisi di rabbia e di aggressività. Difficoltà ad accettare le regole e , sul piano emotivo, fragilità e scarsa capacità di tollerare frustrazioni possono ostacolare l’integrazione nella famiglia, la socializzazione e l’apprendimento scolastico .Questi disturbi psicologici e relazionali sono presenti anche nei bambini adottati in età preadolescenziale o adolescenziale , aggravati da un vissuto più lungo di deprivazione relazionale e affettiva e dal riemergere del ricordo delle proprie “radici”cui si aggiunge l’ansia legata alla difficoltà di strutturare la propria identità e scarsa autostima : 20
opposizione o rifiuto della famiglia e manifestazioni di carattere asociale sono frequenti. Il ruolo del pediatra di famiglia Il pediatra di famiglia, tutore della salute del bambino intesa come benessere globale psico‐ fisico, ha una funzione di particolare importanza nella adozione internazionale. La prima accoglienza al bambino e ai genitori adottivi è di competenza dei pediatri di libera scelta: sono loro a fare la prima valutazione clinica del bambino, a dare consigli ai genitori su come accudirlo, a rispondere alle tante domande , a rassicurare e incoraggiare. E’ molto importante che i pediatri di famiglia conoscano le modalità di accoglienza sanitaria e il protocollo di screening per il bambino adottato all’estero applicati dai servizi di riferimento pediatrici per il bambino adottato. Tali servizi offrono la possibilità di una valutazione dello stato di salute del bambino in tempi brevi, con un percorso unitario comprendente indagini di laboratorio, ( tra cui alcune effettuabili solo in centri specializzati) strumentali e visite specialistiche che consente,in particolare la diagnosi precoce di malattie infettive spesso asintomatiche ( tbc, epatiti, parassitosi) ,patologie neurologiche ed endocrinologiche. A conclusione della prima visita il pediatra può richiedere non solo l’accesso al servizio di assistenza al bambino adottato per esami di screening, ma anche altre indagini ( di laboratorio e strumentali ) e visite specialistiche , in base a quanto clinicamente rilevato. Successivamente il pediatra di famiglia, per i frequenti rapporti con il bambino e la famiglia sarà in grado di valutare e monitorare non solo lo stato di salute , ma anche l’andamento dell’adozione stessa per quanto concerne l’attaccamento alle figure genitoriali, le modalità comportamentali e relazionali nella famiglia, nella società e in particolare nella scuola. Il pediatra del centro di riferimento fornisce sempre alcune indicazioni sull’inserimento del bambino in comunità infantili: inizio e modalità della frequenza ( in asilo nido,scuola dell’infanzia, scuola dell’obbligo) , scelta della classe in base alla precedente scolarizzazione e alle abilità rilevate, ma sarà il pediatra di famiglia a seguire il processo di inserimento, a promuovere sinergie famiglia‐scuola, a individuare precocemente eventuali segni di disagio, segna larli ai genitori ,cercare insieme a loro cause e possibili soluzioni. Quando necessario sarà sempre il pediatra a proporre ai genitori la consulenza di psicologi del centro di riferimento, che già conoscono il bambino, o di professionisti esperti in adozione internazionale dei servizi territoriali. Adozioni internazionali: una realtà in continuo divenire. Negli ultimi anni si è osservato in Italia come in molti altri paesi europei, un aumento progressivo delle adozioni di bambini provenienti dall’Asia ( India, Nepal, Vietnam, Cambogia, e altri paesi del Sud‐Est Asiatico) e dall’Africa , dove è possibile adottare bambini anche molto piccoli , con minori difficoltà burocratiche. Nei paesi dell’Est Europa viene attualmente promossa e favorita la adozione nazionale o altre forme di assistenza all’infanzia, rispetto all’adozione internazionale Due le conseguenze di questo trend: ‐ negli istituti dell’Est Europa rimangono disponibili per una adozione internazionale prevalentemente i bambini più bisognosi di cure e quelli più grandi per i quali non è stata possibile la adozione nazionale ‐ ‐ I bambini provenienti da Asia e Africa possono presentare forme carenziali e malattie infettive e parassitarie endemiche nella zona di provenienza, spesso asintomatiche e di difficile diagnosi. Dal punto di vista sanitario sarà pertanto necessario un aggiornamento continuo dei medici dei servizi pediatrici per l’adozione internazionale relativamente a malattie infettive e parassitarie o altre patologie ad alta prevalenza nei paesi di provenienza degli adottati ed una stretta collaborazione con centri di riferimento di infettivologia e malattie tropicali. Le patologie organiche del bambino adottato all’estero , se precocemente diagnosticate e 21
adeguatamente curate non condizionano per lo più la qualità di vita e non ostacolano un buon inserimento nella nuova famiglia e nella società. L’abbandono che sta alla base di ogni adozione e la deprivazione affettivo‐relazionale incide invece , anche se in misura diversa da caso a caso, sull’integrazione del bambino nella nuova famiglia e nella società :di questa realtà i genitori adottivi , i pediatri e gli educatori devono sempre tener conto. Gli obbiettivi degli anni 2000 consistono nel rendere costantemente adeguati al mutevole quadro delle adozioni internazionali i Servizi di Riferimento per l’Adozione Internazionale e nell’attuare strategie condivise tra le figure‐chiave del percorso post‐adottivo : i medici dei servizi di riferimento per l’adozione internazionale, i pediatri di famiglia, gli assistenti sociali e gli psicologi dei servizi socio‐sanitari, gli insegnanti attraverso un lavoro di rete , il solo in grado di dare risposte adeguate alle necessità del bambino adottato e della sua famiglia. BIBLIOGRAFIA ‐ Adami Lami C. “Una corretta accoglienza sanitaria al bambino adottato e alla sua famiglia” in: “Percorsi Problematici dell’adozione internazionale” Ed. Istituto degli Innocenti di Firenze per la Collana della Commissione per le Adozioni Internazionali. 2003 (pag.36‐56). ‐ Adami Lami C. “Il bambino adottato proveniente dall’estero” Atti III Congresso Nazionale del Gruppo di Lavoro del Bambino Immigrato della Società Italiana di Pediatria. Milano, 2003 (pag. 73‐75). ‐ Adami Lami C., Gabrielli O., Zaffaroni M., Cataldo F., Valentini P, Veneruso G, Zavarise G. “Nuovo protocollo diagnostico‐assistenziale del Gruppo di Lavoro Nazionale per il Bambino Immigrato (GLNBI) per il bambino adottato all’estero” Minerva Pediatrica 2007;59: 579. ‐ Albers L. et al. “Healt of children adopted from the former Soviet Union and Eastern Europe. Comparison with preadoptive medical records“ JAMA 2000; 278 :922‐924. ‐ Bartolozzi G. “Il bambino nato da genitori non italiani“ Medico e Bambino 2001;2:101‐106. ‐ Cataldo F, Viviano E. “Health problems of internationally adopted children“ Ital. J. Pediatr. 2007;33:92‐99 ‐ Chen LH, Barnett D, Wilson ME. “Preventing infectious diseases during and after international adoption”. Ann. Inter. Med. 2003;139:371‐9 ‐ Christerson B. “Epidemiological aspect of trasmission of Hepatitis B by HbsAg positive adopted children“ Scand J Infect Dis. 1986;18: 105‐9. ‐ De Monleon J., Huet F. « De l’utilitè de la prise en charge des enfants adotès a l’etrangè“ Arch. Pediatr. 2000; 7: 1039‐40. 9 ‐ Gabrielli O. et al. “Bilanci di salute del bambino adottato all’estero” Riv. Ital. Pediatr. 1999; 25 (S.3): 38‐41. ‐ Gabrielli O, Bona G, Cataldo F, Zavarise G,Valentini P, Virdis R, Visci G, Cabiati G, Podestà A, Giacchino R, Pulito M.A., Veneruso G., Adami Lami C “Servizi di accoglienza sanitaria ai bambini adottati all’estero: cinque anni di attività” Minerva Pediatrica 2007;59:579‐580. ‐ Galli L. , Adami‐Lami C. “Le malattie infettive nel bambino immigrato” Atti Congresso “Aggiornamenti in Pediatria” Firenze, 2002 (pag 75‐78). ‐ Giacchino R et al. “Hepatitis B virus in native versus immigrant or adopted children in Italy after the compulsory vacciation“ Infection 2001; 29: 188‐191. ‐ Howe D. “Parented reported problems in 211 adopted children: some risk and prospective factors“ J. Child Psycol Psychiatry 1997;38:401‐11. ‐ Hostetter M et al. “Medical examination of internationally adopted child. Screening for infectious diseae and developmental delay“ Post Grad. Med. 1996; 99:70‐82. 22
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Congresso Congiunto SIMM – GLNB SP Chieti, 19‐20 novembre 2010 Povertà e patologie riemergenti Piero Valentini Istituto di Clinica Pediatrica – U.C.S.C. – Roma Nel periodo compreso fra la metà del secolo scorso e l’inizio degli anni ’90, era diffusa la convinzione, nel mondo scientifico, che si fosse giunti ormai ad una definitiva sconfitta delle malattie infettive. Questa convinzione aveva trovato il suo profeta in A. Omran e nella sua teoria della “transizione epidemiologica”: il transito dell’uomo nell’era moderna avveniva in tre fasi, l’era “della guerra e della fame”, quella del “declino delle epidemie” e, infine, la fase delle “patologie degenerative e create dall’uomo” (1‐3). Per ciò che riguarda la seconda fase, la realtà provvide rapidamente a spegnere gli entusiasmi: la rapida successione di una serie di epidemie, alcune provocate da agenti sino ad allora sconosciuti (HIV), altre già note, ma considerate retaggio del passato (Peste), chiarirono che le malattie infettive erano ben lungi dal poter essere considerate in regressione, anzi che “nel villaggio globale, nessuno è immune” (4). Le ragioni risiedono soprattutto nella persistenza della povertà e della disuguaglianza sociale, oltre che nella maggiore mobilità, nell’urbanizzazione selvaggia, con conseguente situazioni di sovraffollamento ed insalubrità degli alloggi. Inoltre, l’aspettativa di vita è cresciuta notevolmente in alcuni paesi, modificando i rapporti di forza fra le classi di età, mentre in altri, a fronte di un alto indice di fertilità, l’elevata mortalità impedisce una crescita della popolazione (5). Pertanto, fra gli obiettivi di sviluppo del millennio da perseguire da parte dell’OMS figura, tra gli altri, la lotta contro la malaria, l’HIV ed altre malattie. Quali sono i numeri di queste patologie? Solo nel 2008, si stima siano stati 243 milioni i casi di malaria in tutto il mondo, la maggioranza in Africa (58%), seguita dal Sud‐Est asiatico (10%) e dall’area mediterranea (4%), causa di 863 000 morti (89% in Africa, 6% nell’area mediterranea orientale ed il 5% nel Sud‐Est asiatico). La maggioranza (85%) di queste morti hanno interessato bambini di meno di 5 anni di vita. Nel 2009 sono stati notificati 5,8 milioni di casi di tubercolosi, la maggior parte dei quali si sono verificati in Sud‐Est asiatico (35%), Africa (30%) e regioni del Pacifico orientale (20%): l’11‐13% dei casi sarebbero insorti in soggetti HIV positivi, per l’80% africani. 24
Ma queste cifre, secondo stime dell’OMS, costituirebbero solo il 63% dei casi realmente verificatisi. I dati relativi all’HIV descrivono uno scenario apocalittico: oltre 33 milioni di soggetti HIV positivi stimati nel 2008, 2 milioni dei quali bambini sotto i 5 anni, nello stesso anno 2 milioni di morti da collegare a questa infezione (6‐
8). Questi dati colpiscono l’immaginazione meno, forse, di quelli riferiti a malattie come la peste, legata, per i più, soprattutto a ricordi letterari piuttosto che a realtà contemporanee. Eppure già nei primi anni ’90 si erano verificate epidemie di peste in Madagascar (1991) ed in India (1994), paesi liberi da questa piaga da oltre 60 anni il primo e da 30 il secondo, epidemie ripetutesi ancora successivamente, l’ultima delle quali ad Orano, in Algeria, nel 2003. Com’è possibile che accada tutto ciò ? Accanto alla povertà, pabulum essenziale, sono rilevabili numerosi altri fattori che fanno includere questi eventi epidemici fra quelli classificabili come man‐
made: infatti, la selvaggia deforestazione perpetrata in taluni paesi per creare nuove aree atte all’allevamento od alla coltivazione o per sfruttare il patrimonio floreale (legni pregiati), ha esteso l’habitat dei roditori serbatoio della Yersinia pestis; la crescente e disordinata urbanizzazione ha aumentato anche le possibili risorse per i ratti, che continuano a proliferare nei mega‐agglomerati umani. A questo si aggiunge l’elevata frequenza di riarrangiamenti genomici cui va incontro la Y. pestis, che le permettono di acquisire vantaggi in termini di maggiori capacità di sopravvivere essere trasmessa a nuovi ospiti e diffondersi in nuovi ambienti (9). Ma non ci sono soltanto malattie infettive fra le patologie emergenti: le caratteristiche di crescita disordinata degli agglomerati urbani nel Terzo Mondo porteranno sempre più a rendere difficile l’accesso alle cure, maggiore l’inquinamento e gli incidenti legati al moltiplicarsi degli autoveicoli senza adeguate infrastrutture. Inoltre, la popolazione urbana povera sta mostrando, recentemente, una tendenza all’obesità. Questo fenomeno trova la sua spiegazione negli stili di vita urbani, meno dispendiosi in termini energetici rispetto a quelli rurali ed in una maggiore disponibilità di alimenti grassi, altamente calorici, a basso prezzo. Alcuni studi evidenzierebbero anche come i figli di donne malnutrite durante la gravidanza svilupperebbero una incapacità al corretto utilizzo degli introiti alimentari (10). Contraddittorie situazioni come quelle descritte hanno portato alla nascita del concetto di “double‐burden of diseases”, che esprime in sintesi il doppio peso economico di queste patologie, che hanno necessità di investimenti per essere prevenute e per la terapia delle loro conseguenze, investimenti che, contemporaneamente, vengono ad essere stornati dalle risorse richieste per affrontare la denutrizione, ancora diffusa in larghe fasce di popolazione nei paesi in via di sviluppo (11). L’impatto della povertà sulla salute trova sempre nuovi indicatori: in due recenti lavori realizzati negli Stati Uniti, è stata descritta una relazione diretta fra basso reddito ed incidenza di polmoniti batteriche ed asma (12‐13). Le polmoniti hanno un’incidenza doppia fra gli afro‐americani adulti rispetto ai bianchi di uguale censo e quattro volte superiore rispetto ai bianchi di reddito più alto. 25
L’asma, patologia cui siamo abituati a pensare come conseguenza di fattori genetici piuttosto che ambientali, ha una distribuzione sociale estremamente disuguale, correlata all’etnia d’appartenenza ed alla situazione economica; tali dati dovranno essere presi in considerazione in futuro perché possano essere compresi i meccanismi attraverso cui le caratteristiche biologiche, innate ed acquisite, interagiscono con fattori ambientali, di ordine psicologico, sociale e fisico, nel determinare il pattern di distribuzione dell’asma. Infine, i sempre più marcati cambiamenti climatici sembrano predominare fra le cause di morbilità, trovando nei bambini dei bersagli particolarmente vulnerabili: ad esempio, le malattie caratterizzate da diarrea hanno una relazione diretta con la temperatura ambientale e con le piogge (l’anno in cui predomin la scena la corrente oceanica nota come El Ni o, la temperatura aumentò fino a 5° in più in Perù ed il tasso di ospedalizzazione per diarrea fra i bambini aumentò del 200%), il progressivo inaridimento di alcune regioni peggiora la situazione agricola in paesi dove la malnutrizione infantile è già diffusa, l’inquinamento ambientale è legato ad una maggiore incidenza di prematurità, basso peso natale e mortalità neonatale, le loro maggiori richieste di alimenti ed acqua li espongono maggiormente agli inquinanti ambientali, il riscaldamento dell’atmosfera e l’aumento dell’ozono influenzano i meccanismi di formazione e trasporto di alcune sostanze, come ossido d’azoto e di zolfo, noti irritanti degli occhi e delle vie respiratorie (14). L’Italia, appartenente alla parte agiata del mondo, sta vedendo modificarsi la sua composizione sociale, con una sempre più massiccia e più varia componente di persone appartenenti a varie nazionalità ed etnie, che cercano una nuova vita nel nostro paese. Contemporaneamente, si stanno osservando alcuni fenomeni di ordine igienico‐sanitario che generano preoccupazione: aumento dei casi di tubercolosi pediatrica, soprattutto nelle grandi aree metropolitane dove è più presente la componente immigrata, osservazione di casi di lue congenita sintomatica, assenti da anni nel nostro paese, insorgenza ancora di casi di HIV, nonostante la diffusa conoscenza dei meccanismi di trasmissione dell’infezione e la disponibilità di test diagnostici. La domanda che sorge spontanea è: come è possibile tutto ciò? La risposta possibile è che si stia assistendo ad un impoverimento culturale che contribuisce, complice le ristrettezze di questo periodo di crisi economica generale, ad una scorretta utilizzazione delle risorse a disposizione, sia in termini di mezzi tecnici, a volte non utilizzati in modo idoneo, sia in termini di approccio superficiale a problematiche mai scomparse ed erroneamente considerate tali. 26
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Marzo 2010 http://www.medicoebambino.com/?id=RI1003_30.html MEDICO E BAMBINO PAGINE ELETTRONICHE Screening per minori adottati o recentemente immigrati da Paesi a rischio? Un’esperienza su 100 casi FRANCESCA DE FRANCO1, FRANCO COLONNA1, ELISABETTA MIORIN1, ISABELLE ROBIEUX1, ERIKA MORETTO1, PIETRO ARAGONA2, LUIGI LUBRANO3 1SC di Pediatria, Presidio Ospedaliero di San Vito al Tagliamento (Pordenone), ASS 6 “Friuli Occidentale” 2Laboratorio di Analisi, Presidio Ospedaliero di San Vito al Tagliamento (Pordenone), ASS 6 “Friuli Occidentale” 3Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Udine Is the screening on children adopted or recently immigrated from high risk countries worth? Key words migrants, adopted children, screening anemia, parasitosis tuberculosis Summary 100 children were studied, 72 recently immigrated with their family from developing countries (40% from sub‐Saharan Africa) and 28 adopted from foreign countries. By protocol a complete physical examination and the following tests were performed: complete blood and urine tests, stools parasitological examination and tuberculosis screening. None of the subjects presented with symptoms or evidence of illness at the time of screening. Surprisingly, 60% had at least one previously unknown health problem. Including improper vaccination coverage for tetanus or diphtheria, the children with abnormal clinical or laboratory findings rise to 79%. Prevalence of pathological findings is as follows: anemia (Hb <10 g/dl): 11%; small red cells (<70 fl): 22%; iron deficiency (Fe < 30 ?g/dl) and hemoglobinopathies (including 2 patients with homozygous sickle cell anemia): 18%. Twenty‐six tested patients were positive to stools or urine parasites; 18% had positive Mantoux tuberculin skin test, and 6% had hepatitis B. No positive screenings for HIV, syphillis and hepatitis C were found. Moreover, 57% had no measurable tetanus and/or diphtheria antibodies. The main difference between adopted and immigrated children is anemia, which is more frequent in immigrated children, especially from Africa. In agreement with other studies and both Italian and international guidelines, an early and complete sanitary screening is advised at least in children coming from high risk countries and settings with low socio‐sanitary conditions. Riassunto Introduzione Materiali e metodi Risultati Discussione Conclusioni Riassunto Abbiamo studiato 100 bambini, 72 recentemente immigrati da Paesi in via di sviluppo (il 40% dall’Africa sub‐sahariana) e 28 recentemente adottati all’estero. Il protocollo di accertamenti prevedeva, oltre a esame obiettivo, un prelievo ematico completo, l’esame parassitologico delle feci, l’esame urine, lo screening per tubercolosi. Nessun bimbo presentava sintomi o evidenze di malattie in atto al momento degli esami. Ciò 28
nonostante il 60% dei casi è risultato avere almeno un problema di salute prima ignoto. Includendo anche la mancata copertura vaccinale contro tetano e/o difterite la percentuale di soggetti con almeno un dato clinico e/o laboratoristico non normale è salita al 79%. La prevalenza dei principali riscontri è stata: 11% di anemia (Hb < 10 g/dL), 22% di microcitemia (MCV < 70 fL), 18% di probabile deficit di ferro (sideremia < 30 ?g/dL) e alcune emoglobinopatie tra cui due omozigosi per emoglobina S; 26% di parassitosi intestinali e/o urinarie; 18% di Mantoux positive; 6% di epatiti B. Sempre negative sono risultate invece le sierologie per HIV, epatite C e lue. Il 57% dei bambini era inoltre privo di anticorpi dosabili contro tetano e/o difterite. Le uniche rilevanti differenze tra i risultati dei bambini immigrati e adottati riguardano le anemie: più frequenti negli immigrati, soprattutto se di origine africana. In accordo con altri studi e raccomandazioni anche internazionali riteniamo che uno screening precoce e completo vada preso in considerazione almeno nei bimbi provenienti da Paesi, contesti e storie ad alto rischio sociosanitario. INTRODUZIONE In questi anni stiamo assistendo a un costante aumento di bambini provenienti da Paesi in via di sviluppo, soprattutto per dinamiche migratorie e di ricongiungimento familiare. Solo per quest’ultima causa sono giunti in Italia nel 2007 almeno 33.000 minori secondo i dati forniti dalla Caritas1. Significativo è anche il numero delle adozioni internazionali che in Italia sono circa 4000 all’anno, dato in aumento tendenziale e che pone il nostro Paese al terzo posto al mondo dopo USA e Spagna2. L’infinita varietà delle storie individuali rende impossibile ogni semplificazione e standardizzazione. Gli eventuali problemi di questi bambini e delle loro famiglie paiono comunque, più che sanitari in senso stretto, di tipo burocratico, sociale, economico, linguistico, scolastico, psicologico. Sfide ma anche opportunità per il futuro che notoriamente sono al centro del dibattito anche politico a livello internazionale. Ci siamo comunque posti il dilemma, dal nostro osservatorio di ospedale di rete di una provincia con elevato tasso di immigrazione da quasi 100 Paesi, di se e come affrontare l’aspetto sanitario di “prima accoglienza” per i bimbi di più recente immigrazione3,4. Le prospettive, semplificando, erano sostanzialmente due. Un primo approccio era quello ottimistico ed “egualitario” basato sull’ipotesi che gli immigrati non hanno problemi sanitari speciali e che è opportuno lasciare che ciascuno si rivolga ai servizi di base senza accertamenti preventivi che potrebbero essere interpretati anche come il frutto di ingiustificate medicalizzazioni o pregiudizi. La seconda ipotesi era che, specie nel caso dei bambini adottati e/o provenienti da Paesi con peggiori standard socio‐sanitari, vi potessero essere iniziali e misconosciuti problemi sanitari grandi e piccoli e che pertanto fosse ragionevole una valutazione approfondita poco dopo l’arrivo in Italia anche in assenza di chiari sintomi in atto. Ciò in termini positivi, per ottimizzare lo stato di salute e rimuovere ogni dubbio e rischio personale e collettivo. Sulla base di indicazioni della letteratura5‐10 abbiamo optato sperimentalmente per la seconda ipotesi. Abbiamo formalizzato un protocollo di indagini di primo livello per bimbi immigrati e/o adottati basato anche sulle raccomandazioni del Gruppo di Lavoro Nazionale Bambini Immigrati (GLNBI) della Società Italiana di Pediatria11. Lo abbiamo poi inviato ai medici e pediatri di famiglia e ai servizi territoriali, ponendoci a loro disposizione per l’esecuzione di tutti gli esami. Abbiamo privilegiato l’opzione del day hospital innanzitutto per poter disporre di sufficiente tempo per anamnesi, esame della documentazione estera (con necessità spesso di mediazione linguistica da parte di familiari, conoscenti o mediatori culturali), visita approfondita, quindi per riuscire a eseguire tutti gli accertamenti di primo livello ed eventuali ulteriori approfondimenti di secondo livello. Tale opzione ci ha infine permesso di offrire un adeguato follow‐up in caso di patologie. Tutto ciò nella convinzione di facilitare al massimo l’accesso ai servizi riducendo i problemi burocratici, economici, di trasporti e di comunicazione che notoriamente possono affliggere la maggior parte delle persone di più recente immigrazione. 29
In questo articolo riassumiamo i risultati della nostra offerta di servizi. MATERIALI E METODI Dal 2002 al 2008 sono stati eseguiti su bambini immigrati con il nucleo familiare o adottati inviatici da un curante o da un servizio socio sanitario, una serie di accertamenti standard in regime di day hospital. La valutazione di base prevedeva: anamnesi ed esame dell’eventuale documentazione sanitaria 1. in lingua originale 2. esame obiettivo 3. emocromo, glicemia, indici di funzionalità renale ed epatica valutazione del metabolismo del ferro (sideremia, ferritina) e del calcio (calcemia, fosforemia, dosaggio della fosfatasi alcalina) 4. 5. sierologia per epatite B e C, HIV 1‐2, lue 6. due sierologie vaccinali principali (tetano e difterite) esame a 7. fresco delle urine 8. esame parassitologico delle feci al microscopio 9. screening per la tubercolosi tramite intradermoreazione (Mantoux) A questi primi esami sono poi seguiti, al bisogno, ulteriori accertamenti di secondo livello (ematici, radiologici e specialistici). Nella presente casistica sono stati considerati solo i bambini inviatici in apparente stato di benessere. Abbiamo infatti escluso a priori i casi con evidenti patologie acute e quelli pervenutici tramite Pronto Soccorso o ricovero ordinario. RISULTATI Popolazione studiata Sono stati inclusi nello studio 100 bambini. Tutti sono stati sottoposti a visita e valutazione anamnestica; non sempre è stato possibile eseguire, su ogni bambino, tutti gli accertamenti previsti dal protocollo per problemi tecnici o scarsa compliance. 72 bambini (48 maschi e 24 femmine) erano immigrati con il proprio nucleo familiare ed erano giunti in Italia da un tempo medio di 7,8 mesi (range 10 giorni ‐ 2 anni). L’età mediana era di 2 anni, con un ampio range (12 mesi ‐ 15 anni). Il 55% proveniva dall’Africa sub‐sahariana, il 26% dal continente indiano, l’11% dall’Europa dell’Est, l’8% dall’America Latina. 28 bambini (18 maschi e 10 femmine) provenivano da adozioni internazionali. Sono stati valutati dopo 2,3 mesi di media dall’arrivo in Italia (range 15 giorni ‐ 12 mesi). L’età mediana di questo sottogruppo era di 4,9 anni (range 7 mesi ‐ 9,5 anni). Il 40% proveniva dall’America Latina, il 32% dall’Europa dell’Est, il 21% dal continente indiano e il 7% dall’Africa subsahariana . Risultati ematochimici Emocromo e metabolismo del ferro Su 97 bambini è stato possibile valutare l’emocromo e lo stato marziale. Ciò ha permesso di diagnosticare in 11 casi (11% del totale), una franca anemia sideropenica (Hb <10 mg/dl, sideremia inferiore a 30 Jg/dl) La ferritinemia dosata in 67 casi, è risultata patologica (<10 ng/ml) in 16 casi (23%). Tutti questi casi con anemia e/o deficit subclinico di ferro sono stati trattati con dieta corretta e terapia marziale sostitutiva. Una significativa microcitosi, rilevata in 21 bambini (22%) e altre anomalie dell’emocromo ci indussero all’esecuzione successiva anche dell’elettroforesi emoglobinica. Ciò ha condotto alla diagnosi di anemia falciforme omozigote (percentuale di HbS maggiore dell’95%) in due bambini africani di 6 e 9 anni immigrati con la famiglia, già ricoverati per dolori articolari nel loro Paese di 30
origine, ma senza una diagnosi certa né un programma terapeutico. Sono state diagnosticate inoltre quattro eterozigosi per HbS (HbS 20‐40%), tre eterozigosi per beta talassemia e quattro portatori di emoglobina C (HbC 20‐35%). Lo stato anemico‐carenziale, così come le emoglobinopatie, sono state riscontrate prevalentemente nel gruppo dei bambini immigrati provenienti da Paesi africani (p < 0,05 tra il gruppo dei bambini immigrati e adottati). . Sierologie virali I test sierologici per epatite B (HBV) sono stati eseguiti su 89 bambini (62 immigrati e 27 adottati). 5 sono risultati positivi all’HbsAg: 3 immigrati dall’Africa (4% degli immigrati) e 2 adottati dall’Europa dell’est e dall’Africa (7% degli adottati). Tutti erano asintomatici e con enzimi epatici normali. In due di essi, positivi anche per HBeAg ma negativi per anticorpi anti‐HBV, è stata riscontrata una carica virale elevata (metodica Real Time PCR per HBV‐DNA > 100.000 UI/ml), con genotipo E, il che fa porre diagnosi di epatite B subclinica in fase di “tolleranza immunologica”. Nel bambino proveniente dall’Est Europa è stata documentata una successiva siero conversione con positivizzazione dell’HBsAb. Per tutti è stato organizzato un adeguato follow‐up in accordo con il Dipartimento di Prevenzione e il curante. Lo screening per epatite C è stato eseguito in 88 casi (61 immigrati e 27 adottati) ed è risultato in tutti negativo. La sierologia per sifilide, eseguita in 72 bambini (50 immigrati e 22 adottati) è risultata anch’essa sempre negativa. In 83 bambini (58 immigrati e 25 adottati) è stata eseguita la sierologia per HIV 1 e 2 previo consenso scritto e informato dei genitori. È stata riscontrata una sola sieropositività con antigenemia negativa in un bimbo di otto mesi adottato dall’Ucraina. I controlli successivi hanno mostrato poi una completa negativizzazione della sierologia, evidentemente attribuibile ad anticorpi di origine materna. Sierologie vaccinali È stato valutato lo stato vaccinale contro tetano e difterite in 83 bambini (57 immigrati e 26 adottati) senza tener conto di quanto riferito dai genitori o dalla documentazione vaccinale in loro possesso. 34 bambini immigrati (59%) e 11 adottati (42%) hanno presentato tassi anticorpali non protettivi contro tetano e/o difterite (test ELISA con cut‐off < 0,01 UI/ml per il tetano e < 0,1 UI/ml per la difterite). Non è stata riscontrata una differenza statisticamente significativa tra adottati e immigrati (p = 0,14). Riguardo l’eventuale vaccinazione contro l’epatite B, la ricerca degli anticorpi HbsAb è stata eseguita su 89 bambini (62 immigrati e 27 adottati). 44 immigrati (71%) e 18 adottati (66%) non avevano un tasso anticorpale protettivo, senza differenze significative tra i due gruppi (p = 0,68). Tutti i casi senza dimostrabile copertura vaccinale sono stati segnalati alle strutture territoriali competenti per i provvedimenti del caso, in sostanza per la rivaccinazione. Screening per Tubercolosi 85 bambini (28 adottati e 57 immigrati) sono stati sottoposti a screening per tubercolosi, indipendentemente dallo stato vaccinale dichiarato. Inizialmente utilizzammo in 17 casi il Tine Test, con esito sempre negativo. Nei successivi 68 bambini è stato utilizzato il test tubercolinico classico (Mantoux, 5 UI sottocute sulla superficie anteriore dell’avambraccio). 69 bambini (75% del totale) sono risultati negativi, includendo tra essi anche 5 casi con vaccinazione BCG certificata ed evidente esito cicatriziale cutaneo postvaccinale e indurimento cutaneo inferiore a 10 mm. Gli altri 16 bambini (25% dei casi) sono risultati nettamente positivi e con diametro trasversale del pomfo sempre maggiore di 10 mm (range 10‐30 mm, talora con 31
escara). 10 di essi (12% del totale) avevano un quadro clinico e radiologico negativo (infezione tubercolare latente) e sono stati trattati solo con isoniazide per 9 mesi. Per gli altri sei pazienti (7% del totale) provenienti da famiglie dove era stato gia individuato un adulto affetto da patologia (la madre naturale del bambino adottato era deceduta per tubercolosi) è stata diagnosticata una malattia tubercolare polmonare (radiografia del torace positiva, in 2 casi aspirato gastrico positivo per micobatterio) trattata poi con isoniazide, rifampicina e pirazinamide. I bimbi con patologia erano per lo più originari del Burkina‐Faso (Tabella 1). Adottato/Immigrato Età Sesso Origine Patologia 1 Adottato 4 M Nepal TB latente 2 Adottato 6 M Nepal TB latente 3 Adottato 10 F Brasile TB latente 4 Immigrato 7 M Burkina TB latente 5 Immigrato 2 M Burkina TB latente 6 Immigrato 13 F Burkina TB latente 7 Immigrato 12 F Burkina TB latente 8 Immigrato 3 F Congo TB latente 9 Immigrato 2 M Nigeria TB latente 10 Immigrato 2 M India TB latente 11 Adottato 5 M Moldavia TB polmonare 12 Immigrato 10 F Ucraina TB polmonare 13 Immigrato 12 F Burkina TB polmonare 14 Immigrato 6 F Burkina TB polmonare 15 Immigrato 1 M Burkina TB polmonare 16 Immigrato 4 M Burkina TB polmonare Tabella 1. Caratteristiche principali dei bimbi con Mantoux positiva (indurimento > 10 mm) Screening parassitologico su feci Tutti i 100 bambini sono stati sottoposti a screening parassitologico con esame microscopico a fresco, solitamente di un solo campione di feci. Nessun bambino presentava disturbi gastrointestinali al momento dell’esame. Nonostante la semplicità della metodica (non abbiamo mai usato test immunoenzimatici) 27 casi (20 immigrati e 7 adottati) sono risultati positivi. In 5 casi, tutti bambini immigrati dal continente africano, abbiamo riscontrato poliparassitosi intestinali. I bimbi immigrati dal Burkina hanno presentato il maggior numero di parassitosi (11 casi in totale). Le infezioni protozoarie più frequentemente riscontrate sono state quelle da Giardia lamblia (20 casi) e Blastocistys hominis (9 casi). Sporadico il riscontro di amebe (2 casi). Tutti sono stati trattati con una dose di tinidazolo per bocca, terapia consigliata anche ai familiari12. 9 campioni fecali sono risultati positivi per nematodi, di cui 4 per Trichuris trichiura, 2 per ascaridi e 1 per Anchilostoma duodenalis. Tutti furono trattati con mebendazolo per bocca. Un campione fecale è risultato positivo per trematodi, con riscontro di uova di Hymenolepis nana, trattati con niclosamide. L’esame delle urine L’esame chimico‐fisico e microscopico delle urine è risultato normale in quasi tutti i bambini. In 2 casi con riferita macroematuria ricorrente e riscontro di leucociti nelle urine (in realtà si trattava di eosinofili urinari) abbiamo riscontrato, all’esame microscopico del sedimento urinario, uova di Schistosoma haematobium. Questo patogeno è causa di una parassitosi endemica nell’Africa subsahariana, zona da cui provenivano entrambi i bambini che guarirono dopo terapia con 32
praziquantel14. Risultati “vari” L’anamnesi, la visione dei documenti sanitari e gli accertamenti eseguiti hanno portato alla completa definizione diagnostica di patologie varie e precedentemente non note o non adeguatamente inquadrate: una retinopatia, una celiachia, una ipodisplasia renale, un dolicosigma tra i bambini immigrati; una agenesia renale, un’epilessia con ritardo psicomotorio, un ipotiroidismo tra i bambini adottati. Da segnalare che per alcuni bambini adottati è stato utile eseguire alcuni accertamenti neuroradiologici per escludere “cerebropatie” o “encefalopatie con esiti” segnalate sui documenti sanitari del Paese di origine, diagnosi inverosimili e non coincidenti con il quadro clinico. Non era nostro scopo eseguire una valutazione prospettica dello sviluppo psicomotorio e auxologico; abbiamo comunque evidenziato in alcuni bambini adottati, vissuti in Istituto sin dalla nascita, ritardi di crescita staturo‐ponderale e psicomotricità non adeguate secondarie a deprivazione affettive, poi risoltisi con l’inserimento nelle famiglie adottive. Il Riassunto delle caratteristiche e dei principali risultati degli esami di laboratorio sull’intera casistica (100 casi) e nei due sottogruppi di bambini immigrati o adottati dall’estero è riportato nella Tabella 2. Totali (100 casi) Immigrati (72 casi) Adottati (28 casi) Età mediana al momento degli esami (anni, mediana, min‐max) 5.9 (0.5‐14) 6.3 anni (1‐14) 5 anni (0.5 ‐ 9) Mesi tra arrivo in Italia e esecuzione degli esami (mediana, min ‐max) 1.7 (0.5‐60) 2 mesi (0.5‐60) 1 mese (0.5‐12) Maschi/femmine 56/44 40/32 16/12 Provenienti da Africa 40 (40%) 38 (53%) 2 (7%) Provenienti da Asia 29 (29%) 20 (28%) 9 (32%) Provenienti da Est Europa 17 (17%) 8 (11%) 9 (32%) Provenienti da America Latina 14 (14%) 6 (8%) 8 (29%) Casi con mancata copertura vaccinale per tetano e/o difterite 47 su 83 (57%) 34 su 57 (59%) 13 su 26 (50%) Casi con almeno un parassita intestinale e/o urinario significativo 26 su 100 (26%) 19 su 72 (27%) 7 su 28 (25%) Casi sieropositivi per HBsAg 5 su 90 (5.5%) 3 su 62 (4.8%) 2 su 28 (7%) Casi con positività della Mantoux (> 10 mm) 15 su 85 (18%) 11 su 59 (18%) 4 su 26 (15%) Casi sieropositivi per HIV, epatite C, lue 0 0 0 Casi con emoglobina < 10 g/dL 11/97 (11.3%) 11/69 (15.9%) 0/28 Casi con MCV < 70 fL 21/97 (21.6%) 18/69 (26.1%) 3/28 (10.7%) 33
Casi con sideremia < 30 Gg 15/85 (17.6%) 13/58 (22.4%) 2/27 (7.4%) Casi con ferritinemia < 10 ng/ml 16/68 (23.5%) 15/50 (30.0%) 1/18 (5.5%) Casi con almeno un problema e/o un’analisi di laboratorio patologica (escluse mancate vaccinazioni) 60/100 (60%) 43/72 (60%) 17/28 (61%) Casi con due o più problemi (escluse mancate vaccinazioni) 20/100 (20%) 14/72 (25%) 6/28 (21%) Casi con almeno un problema e/o un’analisi di laboratorio patologica (comprese mancate coperture vaccinali) 79/100 (79%) 57/72 (79%) 22/28 (79%) Casi senza alcun problema evidente a esame obiettivo e accertamenti del protocollo 21/100 (21%) 15/72 (21%) 6/28 (21%) . DISCUSSIONE In base alla valutazione retrospettiva dei nostri dati abbiamo constatato che solo una minoranza dei bambini è risultato negativo agli accertamenti eseguiti Ormai si è concordi nel considerare i bambini provenienti da adozioni internazionali come un gruppo a rischio e meritevole di valutazione. Numerosi sono gli studi internazionali, soprattutto americani, che evidenziano un’incidenza maggiore di patologie infettive, parassitosi, malnutrizioni e inadeguate coperture vaccinali in questi bambini2‐10,16‐18. Anche in Italia questo problema è stato affrontato visto il progressivo aumento delle adozioni da Paesi a basso sviluppo. Ne è prova il lavoro svolto sin dal 2002 dal GLNBI della Società Italiana di Pediatria che ha ufficializzato un protocollo diagnostico completo per il bambino adottato11. Non è stato invece mai ben codificato l’approccio per il bambino immigrato con la famiglia da aree a basso sviluppo e alto rischio sociosanitario. Ciò in base al principio della cosiddetta “ipotesi del migrante sano” e anche per evitare “ghettizzazioni” o atteggiamenti che potessero contribuire alla xenofobia possibile nei Paesi a elevata e crescente immigrazione. Ciononostante nella nostra casistica non abbiamo riscontrato differenze statisticamente significative tra bambini adottati e immigrati: in entrambi i gruppi il 60% aveva almeno una problema e/o un dato laboratoristico al di fuori del range di normalità. Se consideriamo anche l’inadeguata copertura vaccinale, la percentuale di almeno un dato non normale sale al 79% in entrambi i gruppi. Anche se il nostro era un campione selezionato (nella maggior parte dei casi gli immigrati erano già stati sottoposti a una prima valutazione da parte di un sanitario e la loro provenienza era da Paesi e contesti ad alto rischio sociosanitario), il fatto che la maggioranza dei nostri casi sia risultato avere qualche problema ci induce a confermare l’’utilità di un approfondimento diagnostico dopo l’arrivo in Italia non solo per gli adottati. A parte rare eccezioni, la maggioranza dei problemi da noi rilevati non sono malattie esotiche o allarmanti, ma il risultato di storie e ambienti di vita difficili, condizioni igienico‐sanitarie scadenti, alimentazione non equilibrata, abitazioni precarie, sovraffollamento. In una discreta percentuale di bambini (11%) abbiamo riscontrato una franca anemia sideropenica che riteniamo secondaria a vari fattori di rischio come il prolungato allattamento al seno, il divezzamento tardivo con ritardata introduzione della carne, l’utilizzo di latte vaccino 34
immodificato, parassitosi. L’elettroforesi dell’emoglobina ci ha permesso di individuare, specie negli immigrati dall’Africa, oltre a due casi di patologia omozigote, eterozigosi per drepanocitosi e talassemia, condizioni importanti non solo per la salute del soggetto ma anche a fini riproduttivi. Per quanto riguarda le patologie infettive, le principali linee guida internazionali6,10,11,16,39 raccomandano univocamente lo screening per l’epatite B per i bambini provenienti da Paesi in via di sviluppo, in quanto pur essendo la patologia endemica in quei Paesi, non vengono in genere eseguiti programmi di screening e profilassi neonatali e anche i programmi vaccinali sono aleatori. Dai nostri dati è emerso che il 5% circa dei bambini a cui è stata eseguita la sierologia per HBV è risultato positivo. Tale dato, pur limitato dalla casistica ristretta, sembra essere lievemente superiore a quanto indicato dai principali studi di prevalenza16,17,36,37,41,42, dove viene stimato un 3% di positività. Una discreta percentuale di bambini è risultata non adeguatamente protetta per le vaccinazioni antitetano ed antidifterite. Il 48% dei bambini con incompleta copertura vaccinale proveniva da Paesi africani, il 22% dal Sud America, il 17% dell’Est Europa, il 12% dall’India. Anche in alcuni bambini in possesso di libretti vaccinali o certificati medici formalmente completi abbiamo riscontrato inadeguate coperture. In letteratura sono stati pubblicati pochi lavori in merito riguardanti per lo più la copertura vaccinale dei bambini adottati: il range di copertura per difterite e tetano varia dal 40 al 90% delle popolazioni studiate (18,19). La diversità dei risultati degli studi può dipendere dal piccolo numero di bambini provenienti dai differenti Paesi, dalla mancanza di standardizzazione delle metodiche utilizzate per il dosaggio anticorpale, dai diversi cut‐off considerati. Di fatto, sono note le difficoltà di molti Paesi nell’approvvigionamento dei vaccini e nel mantenimento della catena del freddo. Da non escludere inoltre, soprattutto nei bambini adottati, la possibile contraffazione dei libretti vaccinali5,6,18. Per tali motivi può essere utile,dove possibile, la misurazione dei titoli anticorpali o, in alternativa, la rivaccinazione completa dei bimbi come già indicato dal Ministero della Sanità con una circolare del 1993. Tale indicazione può valere soprattutto per i bambini provenienti dall’Africa e dal Sud America come proposto anche dalla letteratura, che individua in quelle aree geografiche la minor protezione vaccinale18,19. L’esame parassitologico fecale ci ha permesso di individuare parassitosi intestinali in quasi un terzo dei bambini, tutti senza evidenti disturbi gastrointestinali o eosinofilia. La giardiasi è stata l’infezione protozoaria più frequentemente riscontrata: il contagio può avvenire nel Paese di origine ma anche successivamente in Italia, dove è stata riscontrata una prevalenza del 7% circa nella popolazione pediatrica18. Più sporadico è stato il riscontro di amebiasi, endemica nei Paesi in via di sviluppo ma non presente nelle nostre zone. Tutte queste parassitosi sono meritevoli di trattamento, tranne l’infestazione da Blastocystis hominis, il cui ruolo è controverso: solitamente è considerato non patogeno ma in alcune circostanze può comportarsi da opportunista12‐14. L’accoglienza di bimbi immigrati e adottati ci ha portato a dover nuovamente gestire e trattare nella pratica ambulatoriale la tubercolosi. Molti bambini provenivano da zone ad alta endemia21, non solo del continente africano ma anche dell’Est Europa, dove vengono riscontrati sempre più spesso ceppi resistenti21‐25 I mutamenti demografici e epidemiologici ci hanno indotti a rileggere la Mantoux, esame storico ma sempre meno utilizzato nella pratica clinica quotidiana degli scorsi decenni. Non sempre è stato facile interpretare correttamente gli esami con indurimenti “border‐line” (8‐12 mm), a causa della possibile interferenza con la vaccinazione BCG dichiarata o ipotizzata ma non sempre dimostrabile come realmente eseguita, data l’assenza della cicatrice. Oggi questa limitazione può essere superata utilizzando test sierologici specifici (IGRAS: Interferon Gamma Release Assay, quali il QuantiFERON) che non vengono influenzati da una 35
pregressa vaccinazione BCG o dall’infezione di micobatteri non tubercolari26‐32. Tale metodica, pur essendo ancora poco diffusa e poco attendibile per i bambini al di sotto di tre anni di età, pare permetta di identificare con ragionevole sicurezza i soggetti meritevoli di terapia. Complessivamente, su 69 bambini testati, ben il 25% è risultato positivo alla Mantoux e il 7% affetto da malattia polmonare. Tutti provenivano da zone ad alta incidenza di TBC . Tali risultati non sono assolutamente rappresentativi dell’intera popolazione di bambini immigrati o adottati, in quanto viziati da una precedente selezione dato che nella maggior parte dei casi i nostri bambini erano stati valutati ed inviati da sanitari. L’Italia continua a rimanere un Paese a bassa incidenza (meno di 10 casi di TBC ogni 100.000 abitanti). Il trend è inoltre in calo, le forme polmonari sono infatti passate dai 7 casi nel 1995 a poco più di 5 casi/100.000 abitanti nel 2005, quelle extrapolmonari dai 2,5 casi nel 1995 a 1.9 casi/100.000 abitanti nel 2005 Dal 1999 al 2005, i casi di TBC registrati in cittadini non italiani hanno rappresentato, nel complesso, il 32% del totale dei casi notificati nel nostro Paese. Nel periodo esaminato si è però verificato un costante aumento di tale proporzione, fino ad arrivare al 44% nel 2005. Tale aumento è legato per lo più ai casi di soggetti con un’età compresa tra 25 e 34 anni. Nei bambini da a 0 a 14 anni non si è verificato invece un significativo aumento dei casi23. Se vengono denunciati e registrati i casi di malattia tubercolare, non esiste invece una notifica nazionale per i casi di tubercolosi latente e che necessitano comunque di terapia visto il rischio elevato di riattivazione, stimato dal 10 al 20%, soprattutto per i bambini di età inferiore a 5 anni. I vari protocolli nazionali consigliano per tali forme l’isoniazide per 6‐9 mesi. Il trattamento combinato con isoniazide e rifampicina per tempi più brevi di 2‐3 mesi sembra essere una valida alternativa: uguale efficacia senza maggiori effetti collaterali, maggiore sicurezza per le forme isoniazide‐resistenti e migliore compliance terapeutica41,42. Visti anche i nostri dati riteniamo opportuno eseguire uno screening in tutti i bambini provenienti da zone ad alto rischio oltre che ‐ovviamente‐ in tutti i casi con un contatto con casi di TBC conclamata. CONCLUSIONI Riteniamo che i bambini adottati e quelli immigrati da Paesi a evidente rischio sociosanitario meritino una valutazione tempestiva e completa con protocolli condivisi e modalità che favoriscano e semplifichino l’accesso ai servizi sanitari. Ciò al fine di garantire e ottimizzare il loro stato di salute e il loro futuro di “nuovi italiani” e cittadini del mondo. Bibliografia Immigrazione, Dossier Statistico 2008. IDOS Centri Studi e Ricerche, Caritas Migrantes. www.dossierimmigrazione.it 1. Coppie e bambini nelle adozioni internazionali. Report 2008 della Commissione per le Adozioni Internazionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri. http://www.commissioneadozioni.it 2. Bartolozzi G. Il bambino nato da genitori non italiani. Medico e Bambino 3. 2001;20:101‐7. 4. Lo Giudice M. I bisogni di salute del bambino immigrato. Area Pediatrica 2003;4:5‐14. Red Book. Committee on Infectious Diseases of American Academy of Pediatrics. Quinta Edizione Italiana. Centro Informazione Sanitaria, Pacini Editore, Pisa 2004. 5. Barnett ED. Immunizations and infectious disease screening for internationally adopted children. Pediatr Clin North Am 2005;52:1287‐309.7. Miller LC. International adoption: infectious diseases issues. Clin Infect Dis 2005;40:286‐93. 36
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BAMBINI STRANIERI IN ITALIA: DI QUALI LEGGI ABBIAMO BISOGNO un decalogo per le politiche a tutela del bambino straniero Salvatore Geraci e Marco Mazzetti Area Sanitaria Caritas Roma Società Italiana di Medicina delle Migrazioni “Se la medicina vuole raggiungere pienamente i propri fini, essa deve entrare nell’ampia vita politica del suo tempo, e deve indicare tutti gli ostacoli che impediscono il normale completamento del ciclo vitale”. ... “La medicina è una scienza sociale e la politica è una medicina su larga scala” R. Virchow, patologo tedesco, 1848 Qualche mese fa, sollecitati dal dibattito sollevato nel nostro paese sul tema delle “quote scolastiche” di bambini stranieri, abbiamo avuto modo di presentare, a nome della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni a cui ci onoriamo di appartenere, alcune proposte di politiche adeguate per favorire il benessere dei bambini stranieri. Non deve sorprendere che una società medica (e non solo) abbia voluto sottolineare delle criticità ed avanzare delle proposte che vanno oltre un approccio strettamente sanitario: per noi essere medici significa occuparsi di salute pubblica, e occuparsi di salute pubblica significa fare politica. Riteniamo che faccia parte del nostro compito di tecnici della salute indicare i bisogni della pòlis e suggerire gli interventi che ci paiano utili. Le proposte riportate di seguito appaiono in grado di influire positivamente sulla salute bio‐psico‐sociale dei bambini con cittadinanza straniera in Italia, sono coerenti con la Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo, sono state in parte elaborate da noi stessi nell’ambito della commissione “Salute e Immigrazione” presso il Ministero della Sanità, di cui eravamo membri, e già incluse nelle raccomandazioni fatte (purtroppo invano) all’allora Ministro nel 2007, ed in parte sono frutto di considerazioni nuove sulla base delle politiche scolastiche e sociali adottate dall’attuale Governo nell’ultimo biennio. Per i bisogni di salute e le evidenze sanitarie rimandiamo sia agli ultimi rapporti congiunti Unicef e Caritas Italiana, sia agli aggiornamenti del Gruppo di Lavoro per la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (Gruppo CRC) ed infine alle pubblicazioni tecnicoscientifiche del Gruppo di Lavoro Nazionale Bambino Immigrato della Società Italiana di Pediatria. Qui ci concentriamo sulle politiche da adottare per dare certezze di un futuro possibile ai bambini stranieri ed alle loro famiglie. Infatti una delle necessità psichiche fondamentali durante l’età evolutiva è quella della stabilità. I bambini hanno bisogno di sapere di avere un luogo e un tempo sicuri in cui crescere e progettare il proprio futuro. Politiche migratorie che tengano le famiglie in condizioni di precarietà, ad esempio con permessi di soggiorno a cadenza annuale o biennale, che comportano nei bambini un’incertezza anche riguardo alla possibilità di poter continuare il loro percorso scolastico nell’anno successivo, sono potenzialmente assai nocivi sia per la crescita psicologica che per il senso di appartenenza sociale di quelli che saranno gli italiani di domani. Così come lo sono scuole in cui l’inserimento e lo sviluppo di un senso di appartenenza siano ostacolate da norme o risorse (economiche e pedagogiche) non adeguate alle necessità. 39
Per questa ragione proponiamo qui dieci punti, alcuni dei quali riteniamo ormai ineludibili, in controtendenza rispetto ad alcune scelte e norme approvate dal Governo attuale, ma che ribadiamo con forza e convinzione. Essi riguardano politiche scolastiche e sanitarie ma soprattutto prospettano le basi per un sereno convivere sociale, perché riteniamo che la salute psichica e fisica dei bambini stranieri oggi (e cioè degli italiani di domani) sia preziosa, e vada tutelata prima di tutto sul piano sociale, creando le premesse perché possano crescere sereni e sviluppando un senso di appartenenza alla loro patria, che è anche la nostra. 1. Come già nella maggior parte dei paesi di strutturale immigrazione appare necessario passare dallo jus sanguinis allo jus soli nella concessione della cittadinanza italiana, in modo che nascere in Italia comporti l’acquisizione dello status di cittadino. Attualmente nascere in Italia non comporta infatti l’acquisizione della cittadinanza che segue invece il “sangue”, cioè lo status dei genitori. I bambini figli di stranieri sono così costretti a crescere in una condizione di discriminazione rispetto ai loro coetanei figli di italiani, di cui non condividono i diritti civili, nonostante i loro genitori condividano al contrario tutti i doveri degli italiani, in primo luogo il pagamento delle tasse. Appare necessario predisporre percorsi agevolati per l’acquisizione della cittadinanza per i minori stranieri che, pur non essendo nati nel nostro paese, vi abbiano trascorso un tempo significativo, in specie di scolarizzazione. Interventi di questo tipo non solo sono protettivi per la salute dei minori, ma si configurano anche come un investimento per la collettività: consentono infatti di non disperdere un capitale di competenze che è costato finanziariamente al nostro paese, che ha sostenuto le spese per la scolarizzazione di questi minori. E’ necessario inoltre che le procedure per l’acquisizione della cittadinanza, oltre a essere semplici e garantite sul piano legislativo, incontrino anche un iter burocratico sufficientemente snello. A oggi l’esame delle pratiche arriva a richiedere un tempo di oltre tre anni. 2. Garantire permessi di soggiorno a lungo termine (almeno cinque anni) alle famiglie con bambini presenti, in specie se questi bambini sono in età scolare (almeno fino al compimento del 14 anno di età), in modo da garantire la possibilità di una ragionevole programmazione degli studi e almeno del proprio futuro prossimo. 3. Le scuole devono predisporre appropriati percorsi di inserimento didattico dei bambini recentemente immigrati che non conoscano l’uso della lingua italiana. Questi percorsi devono venire integrati nella normale attività didattica delle classi (e non con “classi differenziate”) avvalendosi di insegnanti di supporto e ore aggiuntive per l’apprendimento della lingua, e al tempo stesso favorendo l’integrazione del bambino nel normale gruppo classe. Tutti gli Istituti scolastici devono essere in grado di predisporre specifici programmi di inserimento per i nuovi arrivati, secondo linee guida psicopedagogiche che vanno elaborate su scala nazionale ma che debbono essere sufficientemente flessibili da adattarsi alle realtà locali. Questi programmi devono essere opportunamente finanziati, ad esempio con quote capitarie (finanziamenti alle singole scuole in proporzione al numero di nuovi allievi stranieri inseriti). 4. Devono venire predisposti opportuni dispositivi legislativi in modo che al raggiungimento della maggiore età, o al termine degli studi, i minori scolarizzati in Italia non rischino l’espulsione se non trovano immediatamente un contratto di lavoro che consenta il rilascio di un permesso di soggiorno. Appena diventano maggiorenni, infatti, i ragazzi rientrano nella normale normativa degli adulti, e possono rimanere nel paese solo a condizione che studino o abbiano un lavoro stabile (quanto questo sia facile da ottenere a 18 anni non vale la pena di discuterlo). Una tale normativa può anche significare, ad esempio, per un ragazzino di dieci anni l’espulsione di un fratello 40
maggiore con separazione forzata da questi. 5. Con lo scopo di promuovere la salute psichica e prevenire il disagio mentale, si suggerisce di finanziare uno specifico capitolo di spesa con la finalità di promuovere interventi per favorire l’integrazione (scolastica e sociale) dei minori di origine straniera nel tessuto sociale italiano, e per accompagnare i piccoli immigrati nei ricongiungimenti familiari a volte difficili (in specie quando la separazione dai genitori sia stata particolarmente prolungata). Interventi di questo tipo, diffusi capillarmente sul territorio, possono aiutare a prevenire, o quanto meno a gestire, condizioni di malessere psichico. 6. Sempre per la promozione della salute psichica, appare necessario agevolare i ricongiungimenti familiari. Attualmente i parametri abitativi sono assai restrittivi e, se venissero applicati anche agli italiani, molti di noi sarebbero costretti a separarsi dai propri figli. Inoltre i requisiti dovrebbero venire modulati anche sulla base dei legami tra i conviventi, riducendoli ulteriormente se si tratti di nucleo familiare semplice (genitori e figli), rispetto alle situazioni in cui siano presenti altre persone. Appare inoltre necessario snellire l’iter burocratico: attualmente tra la domanda di ricongiungimento e la sua approvazione possono passare 10‐12 mesi. L’introduzione del consenso‐assenso potrebbe essere di aiuto in tal senso. Appaiono anche promettenti interventi sociali in grado di aiutarne la gestione dopo che sono avvenuti (si veda al precedente punto 8) perché a volte le difficoltà che le famiglie incontrano sono notevoli. Si suggerisce, inoltre, di consentire il ricongiungimento con le stesse regole anche per i figli maggiorenni inferiori ai 21 anni di età, e in tutti i casi in cui questo serva a non separare i fratelli (ad esempio se le età fossero 22, 16 e 12 anni). 7. Garantire l’accesso alle scuole per i figli degli immigrati privi di permesso di soggiorno anche al di fuori della scuola dell’obbligo: attualmente questo diritto non è garantito a chi ha meno di 6 anni o più di 16. Per far questo è necessario anche annullare gli effetti dell’art. 10bis della legge 94/09 (Il cosiddetto “pacchetto sicurezza” e il relativo “reato di clandestinità” istituito) nei confronti di questi bambini e dei loro genitori, o permettere l’iscrizione, come avviene per la scuola dell’obbligo, anche senza la presentazione del documento di soggiorno. 8. Offrire parità di trattamento nel ricevere provvidenze economiche a tutela della donna, della maternità e del bambino tra italiani e stranieri con permesso di soggiorno in regola; attualmente questa parità è riconosciuta solo ai titolari di carta di soggiorno (permesso di soggiorno a tempo indeterminato). 9. Iscrivere al SSN tutti i minori stranieri presenti sul territorio nazionale: attualmente i bambini figli di immigrati irregolari non godono di questo diritto, con un potenziale danno per la loro salute. Alcune regioni, in modo autonomo, hanno cominciato a garantire questa assistenza, ma in molte altre manca. 10. Estensione del Permesso di Soggiorno per gravidanza. Attualmente viene rilasciato un permesso per tutta la durata della gravidanza e per i primi sei mesi dopo il parto, dopo di che scatta l’espulsione della donna e del bambino. Comprensibilmente molte mamme preferiscono non richiedere questo permesso, che in realtà diventa un’autodenuncia, e rimangono nell’irregolarità, non riuscendo così a godere appieno degli interventi a tutela della maternità. Gli indicatori di salute relativi agli esiti al parto ci dicono che i figli di mamme straniere sono ancora assai svantaggiati rispetto agli italiani proprio perché le gravidanze delle loro mamme sono meno protette. Prolungare il permesso di soggiorno per gravidanza a 12 mesi con la possibilità di trasformarlo successivamente in permesso per lavoro proteggerebbe la salute dei neonati e sarebbe un ulteriore intervento di tutela per il futuro. 41
Di fondo, ci sembra anche assolutamente necessario affrontare in modo definitivo la questione della iscrizione anagrafica dei figli degli immigrati irregolari oggi garantita grazie ad una circolare del Ministero dell’Interno del 7 agosto 2009 prot. 0008899: il "diritto umano" alla iscrizione anagrafica viene "prima" della questione della cittadinanza e attiene ai diritti civili fondamentali dei bambini (vedi le campagne per l'iscrizione anagrafica che molte ong conducono in vari paesi africani etc) e ci sembra fondamentale assumere iniziative che attribuiscano valore normativo al contenuto specifico di tale circolare fornendo così strumenti più sicuri e incontestabili per garantire tale diritto. Per concludere: buone leggi fanno buona salute. Il compito degli operatori sanitari, non è solo quello di curare malattie, ma anche di vigilare perché buone norme proteggano la sanità pubblica, in specie quando la salute in gioco è quella dei bambini, un vero, prezioso investimento sul futuro del paese. “... Le misure sanitarie per i migranti che siano ben gestite, inclusa la salute pubblica, promuovono il benessere di tutti e possono facilitare l’integrazione e la partecipazione dei migranti all’interno dei Paesi ospitanti promuovendo l’inclusione e la comprensione, contribuendo alla coesione, aumentando lo sviluppo” (Dichiarazione di Bratislava a conclusione dell’8a Conferenza dei Ministri Europei della Salute, 2007). Riferimenti bibliografici Baldassarre L., Bindi L., Marinaro R., Nanni W. (a cura di): Uscire dall’invisibilità. Bambini e adolescenti di origine straniera in Italia. Rapporto Unicef e Caritas Italiana. Roma, 2005 Bona G. (a cura di): Il bambino immigrato. Volume 1, Editeam Gruppo Editoriale, Cento (Fe), 2003 Conferenza dei Ministri Europei della Salute (ottava). Dichiarazione di Bratislavia sulla salute, i diritti umani e le migrazioni. Bratislava, 22 e 23 novembre 2007 Gabrielli O., Cataldo F.: Il bambino immigrato. Volume 2, Editeam Gruppo Editoriale, Cento (Fe), 2005 Geraci S.:I diritti del bambino immigrato: come uscire dall'emergenza. Il ruolo del volontariato. Atti del I Congresso del Gruppo di Lavoro Nazionale per il Bambino immigrato. Società Italiana di Pediatria. Novara, 3‐4 dicembre 1998. In Rivista Italiana di Pediatria (LIP) 1999; 25: (suppl. al n. 3) 13‐16 Geraci S.: Per una buona salute servono politiche giuste. In Immigrazione Dossier Statistico 2010. XX Rapporto sull’immigrazione – Caritas/Migrantes. Idos, 2010; 227:232 Geraci S., Mazzetti M.: Buone leggi fanno buona salute. In il Mondo Domani. Bimestrale del Comitato Italiano per l’Unicef. Anno XXX nuova serie, n. 2, marzo aprile 2010, 8‐9 Gruppo di Lavoro per la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (Gruppo CRC): I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia. Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, anno 2007‐2008 (4°); anno 2006‐2007 (3°); anno 2005‐2006 (2°); anno 2004‐2005 (1°) Mazzetti M.: Dalla parte dei bambini “immigrati”. Prospettive Sociali e Sanitarie, n. 14, anno 2010, 4‐6 Mazzetti M.: Il Dialogo Transculturale. Manuale per operatori sanitari e altre professioni d’aiuto. Roma: Carocci Editore, 2003. SIMM – Società Italiana di Medicina delle Migrazioni, GLNBI – Gruppo Lavoro Nazionale Bambino Immigrato et alii: Un patto per la salute degli immigrati: diritti, famiglia, tutela del lavoro, reti. Raccomandazioni del III Convegno Congiunto, Milano 17 e 18 maggio 2007 SIMM – Società Italiana di Medicina delle Migrazioni, GLNBI – Gruppo Lavoro Nazionale Bambino Immigrato et alii: Il ben‐essere degli immigrati tra assistenza e integrazione: modellie esperienze a confronto. Raccomandazioni del II Convegno Congiunto, Milano 26 e 27 42
maggio 2007 SIMM – Società Italiana di Medicina delle Migrazioni. Documento Finale della IX Consensus Conference sull’Immigrazione, Palermo, 27‐30 aprile 2006. SIMM – Società Italiana di Medicina delle Migrazioni. Documento Finale della X Consensus Conference sull’Immigrazione, Trapani, 5‐7 febbraio 2009. Waitzkin H.: One and a half centuries of forgetting and rediscovering: Virchow’s lasting contributions to Social Medicine. Social Medicine 2006; 1(1): 5‐10 Zaffaroni M. (a cura di): “La salute del bambino immigrato. Aspetti di pediatria preventiva e sociale. Editeam Gruppo Editoriale, Cento (Fe), 2008 Sitografia di riferimento: http://www.simmweb.it http://saluteinternazionale.info/ http://www.glnbi.org/ http://www.gruppocrc.net/‐documentihttp:// www.caritasitaliana.it http://www.unicef.it/ 43