CHI SIAMO Siamo un gruppo di uomini, per natura o per scelta, di

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CHI SIAMO Siamo un gruppo di uomini, per natura o per scelta, di
CHI SIAMO
Siamo un gruppo di uomini, per natura o per scelta, di vario orientamento sessuale, uniti
dal desiderio di contrastare l'idea e la pratica della mascolinità patriarcale attualmente
egemone. Abbiamo in comune il desiderio di riflettere su cosa voglia dire oggi essere
maschi, su come si possa vivere e far vivere al meglio la propria presenza maschile nel
mondo.
Siamo accomunati da una basilare consapevolezza: la cultura sessista ed il sistema
oppressivo che da essa deriva costituiscono un problema politico, la cui urgenza sociale
non è affatto secondaria alle altre forme di oppressione, ma si innesta su queste in modo
organico, legittimandole e risultando legittimata a sua volta. Assistiamo quotidianamente
alla violenza che questo sistema produce e alle nuove forme che questa cultura ha assunto
per adattarsi ai tempi e per opporsi agli inevitabili cambiamenti che lentamente vanno
producendosi nella società, ma allo stesso tempo ci rendiamo conto che nel generale
dibattito su questi temi il contributo maschile è ancora insufficiente. In effetti, una
militanza antisessista maschile non sarebbe solo auspicabile ed oggettivamente utile, ma
avrebbe un effetto dirompente in virtù del suo carattere “eversivo”.
Ci organizziamo quindi in un collettivo formato da maschi che, per percorsi personali e
politici, non si riconoscono in un ruolo assegnato loro in base al genere. Siamo uomini:
biologicamente, per scelta, per necessità, per abitudine, per cultura o per forza. Ci
identifichiamo o veniamo, da parte di una società dalla logica binaria, identificati come
uomini. E come uomini viviamo tutti gli obblighi e i privilegi, le violenze subite e
perpetrate, le autorità che sono al di sopra e al di sotto di noi, i pregiudizi e le libertà di
essere considerati "maschi" nella realtà di un occidente capitalista del XX e XXI secolo.
Forse l'unico vero collante identitario che ci identifica come gruppo è un senso di disagio
derivante da una non accettazione del privilegio maschile del patriarcato, ma anche forse la
coscienza, o se non altro il sospetto, che tale "privilegio" nasconda in realtà solo un'altra
forma di schiavitù.
Ripensiamo la "maschilità" - se il termine è appropriato - in funzione dell'umanità. Siamo
maschi? Siamo persone che si identificano e si riconoscono nel genere maschile, ovvero
riconoscono il proprio corpo e la propria identità di genere come maschile. Ma ovviamente
non siamo solo questo. Siamo anche persone che si sono sentite e si sentono a disagio
nell’esperire il portato che tale identità (se così si può chiamare un insieme complesso,
contraddittorio e stratificato di pratiche incorporate, e discorsi e orientamenti valoriali
esplicitati o acquisiti in habitus in realtà difficile anche solo da circoscrivere) implica in un
contesto storico, sociale e culturale – l’Italia del 2015 – che ancora purtroppo non può che
dirsi patriarcale e sessista.
Questo disagio assume probabilmente articolazioni e risponde a dinamiche tanto diverse
quanti sono gli individui che lo provano, ma è probabilmente comune a tutti noi la sua
estensione che abbracciando la sfera del vissuto personale (degli inesauribili e incessanti
tentativi di definizione di se stessi che vengono continuamente – e per fortuna! –
sollecitati, incoraggiati e a volte mortificati nel quotidiano intessersi delle relazioni con gli
altri) va inevitabilmente a “sconfinare” in una dimensione propriamente politica,
nell’ambito della quale il problema della possibilità di elaborazione e affermazione di
pratiche, discorsi e identità rivendicate che possano definirsi maschili (nel senso che
vengono proposte da persone che si identificano nel genere maschile, ma anche che
pongono particolare attenzione al ripensamento e alla possibile ridefinizione di identità e
ruoli associati con il genere ,medesimo) e anti-sessiste o anti-patriarcali o femministe
(senza voler entrare nelle diversissime accezioni che questo termine può assumere),
diviene un elemento cardine, insieme ovviamente ad altri, a partire dal quale pensarsi
come agenti in contesto che travalichi la sfera del vissuto personale.
COSA VOGLIAMO
Per noi decostruire significa prendere l’apparentemente ovvio, nelle sue forme più
eclatanti come in quelle più subdole, e svelare, demistificandoli, gli presupposti ideologici e
culturali il cui occultamento è all’origine dell’apparente neutralità di tante modalità di
relazione che ci appaiono “naturali”. Vogliamo decostruire e analizzare, in primo luogo, gli
schemi di pensiero patriarcali volti a modellare l’identità di genere maschile. Ovvero, non
soffermarci a considerare soltanto quella violenza ideologica che la società patriarcale
attua nei confronti delle donne, ma anche e soprattutto il “rovescio della medaglia”; quegli
orientamenti valoriali e morali che contribuiscono alla costruzione di modelli “normativi”
per gli uomini, associando – letteralmente – la competenza sociale degli individui alla loro
capacità di esercizio della violenza di genere, di una egemonia da esercitare tanto nella
sfera pubblica che in quella privata. Questi orientamenti, va detto, sono tanto più difficili
da decostruire, quanto più si presentano, rispetto a qualche decennio fa, in forme più
sottili, edulcorate da un “bon ton” politicamente corretto o addirittura mascherate - è il
caso di tanti discorsi solo apparentemente anti-sessisti, portati avanti anche da sinistra.
Vogliamo pensare e praticare una maschilità non violenta, libera dai vincoli machisti e
maschilisti, compagna di ogni altro genere, radicalmente critica del patriarcato in ogni sua
forma. Vogliamo comprendere e disinnescare, prima di tutto in noi stessi, quei meccanismi
di millenario dominio patriarcale che passa dal linguaggio e dal pensiero, per sentirci più
liberi da paure, conflitti e abusi.
Rappresentando coloro che il patriarcato avrebbe già deciso di assegnare al ruolo di
oppressori, non solo rifiutiamo questo ruolo, ma decidiamo di dare il nostro contributo e il
nostro supporto per allargare gli spazi di consapevolezza all’interno dello stesso universo
maschile. Nel fare questo non ci limitiamo a combattere con forza la cultura della violenza
e dell’oppressione su cui il patriarcato si sostiene, ma respingiamo anche quelle forme
subdole di vittimismo di cui questo si è dotato e che, di fronte alla forza crescente dei colpi
che gli vengono assestati, si ripresentano con maggiore frequenza: la retorica adoperata
dall'oppressore per ergersi a vittima, lamentando un’inesistente guerra a proprio discapito
condotta da parte del femminismo ed una sorta di discriminazione al contrario, si somma
al logorato, violento tentativo di razionalizzazione di comportamenti e sistemi di pensiero
oppressivi, giustificandoli attraverso il richiamo ad una presunta “legge di natura”. Questo
atteggiamento denuncia non solo l’assoluta mancanza di conoscenza rispetto all'origine
nient’affatto naturale del potere maschile, ma una dissimulata paura di qualunque parità
di diritti, che li priverebbe di questo potere e che li obbligherebbe a ridiscutere il proprio
posto nel mondo.
Vogliamo contrastare la vecchia e rassicurante falsa coscienza secondo cui esistono lotte
prioritarie, seguite da lotte secondarie che saranno combattute una volta raggiunti gli
obiettivi delle prime. Questa parcellizzazione della lotta e, con essa, dei diritti e delle
oppressioni, rimanda non solo ad un’idea incompleta di classe, ma denuncia la
sottovalutazione da parte di molti militanti della lotta al patriarcato, così come la sua
riduzione ad aspetto “culturale” senza significative ripercussioni materiali sulla vita delle
persone coinvolte. Niente di più sbagliato. Non potremmo affrontare questo problema
senza fare riferimento al tema del linguaggio sessista, soprattutto al linguaggio sessista
usato nel corso di molte manifestazioni e di molte lotte, perché crediamo che le idee ed il
linguaggio non siano due universi separati: non esistono buone idee espresse con un
cattivo linguaggio, perché il linguaggio serve ad elaborare le idee, prima ancora che ad
esprimerle.
Vogliamo istituire una associazione di uomini che vuole essere come prima cosa un luogo
di confronto, condivisione, analisi e proposta. Un confronto su questi temi che voglia avere
una certa profondità, non può che prendere avvio dalla condivisione di elementi del nostro
vissuto. Le nostre convinzioni, le nostre idee, le nostre identità sono (e questo è banale)
figlie della nostra storia. I nostri comportamenti e i nostri dubbi trovano la loro radice nel
quotidiano svolgersi delle nostre vite. Elaborare insieme questi aspetti può costituire
quindi il primo passo per affrontare quel processo di decostruzione di cui parlavo prima; è
inoltre un passaggio inevitabile nell’affrontare temi che toccano e mettono in discussione le
nostre identità. Ma, anche in questo caso, non ci si deve fermare qui, altrimenti sarebbe
sufficiente un buon amico con cui fare quattro chiacchiere.
Ci incontriamo in un night club sequestrato e liberato da un gruppo queer
transfemminista, dove cerchiamo di riconoscere i privilegi assegnatici da questa società e
le difficoltà che causa il dover reprimere tutto ciò che non aderisce a uno standard. Quello
che vogliamo è spogliarci delle sovrastrutture imposte alla nostra identità di "maschi";
sovrastrutture che ci hanno allevato come futuri detentori di un privilegio responsabile - o
corresponsabile - della catena dell'autorità, della violenza, dello sfruttamento e dell'abuso.
Accettata l'idea che l'abuso possa avvenire anche senza una volontà diretta in tal senso, ma
che ciò non toglie che un abuso sia avvenuto, si può intessere una nuova concezione di
rapporto e di linguaggio incentrati sul reciproco impegno al reciproco rispetto.
Il sessismo è talmente radicato nella trama stessa della società, talmente endemico da
celarsi spesso anche agli occhi di chi vorrebbe sovvertire quelle stesse dinamiche violente e
abusanti su cui il sessismo prolifera. L'incapacità di accettare, di accettarsi come attori sebbene inconsapevoli, o non del tutto consapevoli - di un atteggiamento abusante, porta
spesso a sottovalutare o negare del tutto il problema. Ma l'antisessismo è doloroso, è
faticoso e difficile, perché presuppone un processo di decostruzione che va a toccare punti
delicati del nostro essere, della nostra storia, della nostra cultura.
Banalmente, vogliamo libertà. La libertà di autodeterminarci come individui e di fare
criticamente i conti con la richieste che cultura, famiglia e società ci pongono in quanto
maschi è un obiettivo primario. Un obiettivo particolare e universale: che riguarda noi
come maschi ma che ha valore perché lo riconosciamo a qualunque altro individuo. Mi
pare evidente che questo obiettivo rappresenti un calco di quello che tutte le minoranze si
sono poste, ed è problematico il fatto che a porselo ora sia un gruppo in cui sono presenti
anche maschi bianchi etero.
Definirsi in negativo, se è l’utile primo passo in un processo di ridefinizione, da sola è un
operazione che comporta la rinuncia a immaginarsi in un ruolo attivo all’interno di nuovi
modelli di relazione. Adagiarsi sulla crisi del modello patriarcale comporta l’implicito
riconoscimento di quel modello – pure non più praticabile – come unico pensabile in
termini positivi. Si possono e si devono immaginare nuove identità maschili possibili e
positive. Si può e si deve sviluppare una prospettiva maschile sulle questioni di genere; una
prospettiva certamente debitrice nei confronti degli apporti e del pensiero delle donne, dei
femminismi, ma anche da questi autonoma e dotata di specificità proprie, perché, ed è
bene sottolinearlo, la praticabilità di un qualunque cambiamento nella direzione di una
società non-patriarcale passa per una revisione di tutti ruoli e le identità da parte di tutti
gli attori.
L’analisi (decostruttiva e costruttiva) passa necessariamente per l’elaborazione e il
posizionamento su tematiche che non necessariamente ci riguardano direttamente – anzi,
che spesso non ci riguardano personalmente – nonché per il vaglio di prospettive affini ma
non necessariamente coincidenti con la nostra. L’elaborazione e la discussione intorno a
questioni davanti alle quali siamo posti dallo scenario sociale e culturale (per esempio il
problema della violenza domestica) o politica (ad esempio le questioni riguardanti il
riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso) è, in questa prospettiva
estremamente importante, come pure il confronto critico intorno agli apporti dei diversi
femminismi, con momenti di approfondimento intorno a temi o anche a testi specifici,
efficaci sia per chi queste cose le conosce già molto bene che per chi le padroneggia solo in
parte. L’elaborazione di discorsi e pratiche frutto di una prospettiva maschile anti-sessista
non può che essere il frutto maturo di questo tipo di scambi e di confronti.
Quanto detto fin qui rimane un esercizio sterile se non è finalizzato alla costruzione di un
soggetto in grado di prendere pubblicamente posizione, di relazionarsi con gli altri soggetti
collettivi che hanno posizioni simili alle (o almeno compatibili con le) nostre, con le
istituzioni, con le scuole e con altri settori della società in relazione ai quali riteniamo che
ci sia spazio per forme di intervento inteso in senso politico e culturale. Avvieremo forme
di azione politica e culturale – che, beninteso, possono svilupparsi solo se di pari passo si
raffina e si approfondisce l’elaborazione e la discussione tra noi, ma senza le quali un
progetto come il nostro diventerebbe autoreferenziale e sostanzialmente inutile.
COME LO VOGLIAMO
Vogliamo fare tutto ciò con ogni forma di espressione individuale e collettiva, linguistica
artistica o performativa, politica e privata, che serva a comunicare e rendere efficace la
nostra idea di uomo.
Vogliamo innanzittutto confrontarci con altre realtà associative affini, per incrociare gli
sguardi e le problematiche, produrre dei contributi che possano arricchire il dibattito e
seminare in altre persone il desiderio di partecipare ad una questione che riguarda tutti e
tutte.
Il nostro contributo andrà incontro allo sviluppo di un dibattito antisessista all’interno dei
luoghi militanti, con l’obiettivo di supportare una quanto più estesa riflessione
sull’antisessismo e sul suo valore politico; si tratterà di prendere parte ai dibattiti pubblici
sull’argomento e provare ad indurre i decisori politici ad interrogarsi alla luce del nostro
punto di vista. Si potrà dialogare con associazioni e movimenti che già si occupano di
antisessismo, organizzare incontri con studenti e studentesse sull’antisessismo e sul
linguaggio sessista, cercare di mobilitare l’elettorato per obbligare i partiti che si
richiamano ad una cultura progressista a fare della lotta al patriarcato una delle loro
priorità.
Il collettivo punta a confrontarsi attraverso incontri, seminari e workshop con realtà
militanti e non interessate ad una presa di coscienza sulle tematiche di disparità di genere:
e il primo passo, quello più separatista, è proprio il confronto diretto, intimo, a scardinare
le prime sovrastrutture: i nostri sessismi, le nostre violenze.
Successivamente l'utilizzo di piattaforme digitali ci permetterà di rendere pubblici i frutti
dei nostri scambi, dando al collettivo quindi una maggiore apertura al confronto esterno.
Ma così come il collettivo nasce da un confronto diretto e personale tra i suoi membri,
anche nell'aprirsi all'esterno dovrebbe mantenere questa abitudine. I confronti aperti ci
permetteranno di creare un linguaggio comune atto a condividere degli obbiettivi, in
confronto con chiunque sia ben disposto verso di essi e anche con chi non lo è.
A questo tipo di iniziative si affianca la necessità di presentarsi come soggetto collettivo ed
esprimere il proprio posizionamento nell’ambito di iniziative pubbliche di ampia portata
(ad esempio manifestazioni, eventi culturali), interloquendo, a questo scopo con i vari
soggetti di cui si è parlato sopra, ma anche con altri che, pur non portando avanti obiettivi
non strettamente legati alle questioni di genere “stanno dalla nostra parte”.
Un altro importantissimo campo d’azione è quello volto alla sensibilizzazione di settori più
ampi della società. È questo probabilmente il compito più difficile e ambizioso che un
gruppo come il nostro può darsi e presuppone, anch’esso, una certa maturità politica
nell’affrontarlo. Intervenire in questo senso significa, ad esempio, cercare di entrare in
contatto con istituzioni di diverso tipo (un esempio classico, in questo senso, sono le
scuole), per intessere un dialogo costruttivo con compagini sociali che delle dinamiche
patriarcali e sessiste non hanno mai sentito parlare e che però le vivono, le subiscono e le
perpetuano. Svolgere questo tipo di intervento significa per alcuni versi “divulgare” il
nostro punto di vista rendendolo più accessibile e ancorandolo alle realtà con cui
interloquiamo. Questo senza trasformare un percorso che nasce dal dubbio e dal pensiero
in una serie di precetti o di facili soluzioni, arrivando a quelli che della semplificazione
sono i frutti peggiori: la banalizzazione e la codificazione di verità acritiche.
Tutto ciò, nel senso più politico possibile, (sor)ridendo: e prima di tutto di noi stessi,
perché di uomini seri, di “uomini veri” , il mondo ne ha avuti già abbastanza.