Gli stimoli e le eredità del Grand siècle nella cartografia italiana
Transcript
Gli stimoli e le eredità del Grand siècle nella cartografia italiana
CARTOGRAFIA Gli stimoli e le eredità del Grand siècle nella cartografia italiana di Andrea Cantile Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (I principi matematici della filosofia naturale): opera in tre volumi di Isaac Newton, pubblicata il 5 luglio 1687, unanimamente considerata una delle più importanti opere del pensiero scientifico. In essa Newton enunciò le leggi della dinamica e la legge di gravitazione universale. Andrea Cantile è Professore a contratto di Cartografia presso l’Alma Mater Studiorum - Università di Bologna (Corso di laurea magistrale in “Geografia e processi territoriali”) e di Cartografia storica, presso l’Università degli Studi di Firenze (Corso di laurea magistrale in “Architettura del paesaggio”). È inoltre Direttore cartografico dell’I.G.M., Membro del Comitato scientifico dell’Osservatorio Ximeniano – Firenze e collabora al History of Cartography Project, della Chicago University Press. È autore di numerose pubblicazioni scientifiche in Italia e all’estero e svolge attività di ricerca nel campo della storia del rilevamento e della rappresentazione cartografica del territorio. La rivoluzione scientifica che caratterizzò il corso del XVII secolo aprì una fase di profondo rinnovamento anche nell’ambito degli studi afferenti alla conoscenza ed alla rappresentazione della Terra. Da questa derivò tra l’altro la definitiva affermazione di una nuova categoria di carta, definita geometrica perché con essa si realizzava per la prima volta una corrispondenza metrica con lo spazio geografico, che già nel secolo precedente aveva fatto le prime comparse alla scala urbana. Ai meriti dal Grand siècle va ascritto in generale l’incrinatura del tentativo della Philosophia naturalis di spiegare le realtà e le dinamiche del mondo fisico solo attraverso procedimenti logici, ponendo alla base di ogni ragionamento l’esistenza di leggi naturali riscontrabili nei fenomeni stessi e senza ricorrere necessariamente al volere divino come ultima ratio. Nel corso del secolo si comprese che per intendere le leggi della Filosofia della natura, scritte in quel «grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo)», era necessario acquisirne il linguaggio (matematico) ed apprenderne preliminarmente i caratteri (geometrici), senza i quali sarebbe stato «un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto» (G. Galilei, Il Saggiatore, 1623, VI, p. 232). La lenta rivoluzione nello studio della forma e delle dimensioni della Terra e della sua rappresentazione cartografica raggiunse poi l’acme con la pubblicazione dei Principi matematici di Filosofia Naturale (Philosophiae naturalis principia mathematica, Londini, 1687), di Isaac Newton (1642 - 1727), dove il professore lucasiano illustrò tra l’altro lo schiacciamento polare dell’ellissoide di rotazione terrestre, solido che meglio approssimava la figura della Terra. Astronomi e matematici, qualificati al tempo come “geografi” e/o “geometri” e mossi da interessi scientifici legati alla definizione della forma e delle dimensioni del pianeta, si cimentarono in memorabili imprese di rilevamento terrestre e di calcolo; formularono ipotesi cosmologiche sull’ancora non definitiva questione della “figura della Terra”; elaborarono algoritmi per la creazione di modelli spaziali; escogitarono nuove procedure di misura; stimolarono la creazione di nuovi strumenti ed il perfezionamento di quelli esistenti. 77 | n. 12 | NOVEMBRE - DICEMBRE 2010 Ai lontani calcoli ed alle ipotesi classiche sulla forma del pianeta e sulle sue dimensioni, nuove avvincenti esperienze si aggiunsero in varie parti d’Europa, sia grazie alle rinnovate conoscenze scientifiche e alle conquiste della tecnologia, che avevano messo a disposizione degli studiosi strumenti più affidabili e condizioni operative un tempo impensabili, sia grazie all’intervento degli Stati nazionali che offrirono alla ricerca finanziamenti ad hoc, sia grazie al ruolo svolto dai primi cenacoli scientifici che favorirono la circolazione delle nuove idee. La misura, dunque, ebbe decisamente il sopravvento sulla descrizione, quando, tra la fine del XVII e gli inizi del XVIII secolo, si comprese appieno l’importanza della carta come medium, modello del reale, dotabile di affidabilità semantica e geometrica, sul quale poter eseguire rilevamenti indiretti di distanze, di direzioni, di superficie e, più tardi, anche di acclività, di esposizione, sul quale poter stendere piani in rapporto diretto con territorio il reale. Il concetto di precisione geometrica si affacciò sulla scena della rappresentazione cartografica, governandone le regole di composizione e di utilizzazione, fino al punto di sacrificare talvolta quella precisione semantica che aveva invece ispirato certi allestimenti cartografici del passato [Cfr. “Geocentro”, a. I (2009), n. 6, pp. 52-71; a. II (2010), n. 7, pp. 53-70]. Il rapporto col vero divenne col tempo la finalità ambita da ogni allestimento cartografico, il cui grado di attendibilità fu espresso dalla capacità della carta di restituire tutte le informazioni geografiche che il suo denominatore di Antiporta dell’Almagestum Novum del gesuita P. Giovanni Battista Riccioli. La figura femminile sulla destra non è Urania, benché ne presenti alcuni degli attributi tipici (la veste stellata, la cintura con le costellazioni, la sfera armillare tra le mani), ma Astrea. La complessa allegoria del sapere astronomico del tempo è spiegata dallo stesso Riccioli nella dedicatoria dell’opera: sulla sinistra Argo, il corpo cosparso da cento occhi, regge un telescopio con il quale rivolge le osservazioni al cielo; lo strumento poggia sull’occhio che Argo ha sul ginocchio, a significare che l’uomo di scienza deve sempre mantenere un atteggiamento di genuflessione a Dio nelle sue speculazioni, senza insuperbire. La figura femminile sulla destra (Astrea) è un personaggio mitologico noto anche come Diche, dea della giustizia che sarà poi catasterizzato come Venere celeste; essa ha in mano una bilancia con la quale soppesa due sistemi del mondo, uno copernicano ed uno elaborato dal Riccioli stesso. Il sistema del Riccioli è visivamente compendiato dai putti che sovrastano l’incisione, reggendo da un lato Venere, Marte e Mercurio con il Sole, di cui sono considerati satelliti; dall’altro i putti sorreggono Giove, Saturno e la Luna che, con il Sole, ruotano intorno alla Terra. In basso, Tolomeo sorregge il proprio sistema, accanto al blasone dei Grimaldi, cui l’opera è dedicata. L’incisione è opera del bolognese Francesco Curti (1603-1670), probabilmente allievo del Guercino, che riprodusse opere dei Carracci, di Guido Reni e del Calvaert. 78 scala consentiva di riconoscere, informazioni comunque congruenti con le finalità della rappresentazione e dotate di un grado di permanenza sul territorio, tale da sopravvivere all’obsolescenza della carta stessa. Per dare risposta ai quesiti di base sulla forma e sulle dimensioni della Terra si seguì dunque la via sperimentale e si avviarono in varie parti d’Europa determinazioni di lunghezza di archi sulla superficie terrestre, al fine di verificare e quantificare le variazioni locali di curvatura del pianeta, anche se l’apporto italiano alle prime esperienze per la determinazione della lunghezza del grado di meridiano terrestre fu all’inizio di scarso rilievo. Un contributo comunque degno di nota può ritrovarsi nelle attività dell’astronomo e geografo ferrarese, padre Giovanni Battista Riccioli (Ferrara 1598 - Bologna 1671), e del fisico bolognese, padre Francesco Maria Grimaldi (Bologna 1618 1663) a metà del secolo XVII. Riccioli, autore tra l’altro di Astronomia reformata, Geographia et Hydrographia reformata, fornì una rettificazione delle posizioni geografiche di molte località, rispetto alle precedenti collocazioni, indicò la corrispondenza toponimica tra antiche e nuove denominazioni delle stesse località e compì, tra il 1644 ed il 1655, con Osservatorio Astronomico di Bologna ANNO II l’assistenza di Grimaldi, alcune operazioni di rilevamento e di calcolo per la determinazione della lunghezza dell’arco di meridiano tra Bologna e Modena e tra Ravenna e Ferrara. Nel cercare una via alternativa alla strada tracciata pochi anni prima dalla rivoluzionaria esperienza di Willebrord Snel van Royen (1580 – 1626), dalla quale si sarebbero poi aperte le porte della metodologia di rilevamento geodetico divenuta poi classica, l’anziano padre gesuita, ancora lungo la scia della tradizione tolemaica, propose un metodo alternativo, che espose nel suo Almagestum novum (1651). Le esperienze condotte con Grimaldi lo condussero ad originali, quanto infruttuose, determinazioni della misura del grado terrestre, sfociate nella definizione di un valore medio pari a 122.321,23 m, non convergente rispetto alle precedenti determinazioni di Snell e di Richard Norwood e più tardi confutato da Jacque Cassini II (1677 - 1756), in Réflexion sur les mesures faites par Picard, Snellius et Riccioli. Il primo contributo italiano alla determinazione della misura della Terra, pur non ottenendo risultati apprezzabili, saggiò in pratica la possibilità di non ricorrere alle laboriose e complesse misure di distanze e di angoli azimutali e provò a quantificare la lunghezza dell’arco di meridiano attraverso l’osservazione di distanze zenitali tra punti relativamente lontani. Il risultato di tale esperienza non fu dunque soddisfacente, sia perché essa non tenne in considerazione l’errore derivante dalla rifrazione, più tardi scoperta da Gian Domenico Cassini (1625 - 1712), già allievo a Bologna dello stesso Riccioli, sia perché essa Ritratto di Monsignor Francesco Bianchini (Verona, 13 dicembre 1662 – Roma, 2 marzo 1729), astronomo e storico italiano si affidò alle scarse precisioni del rudimentale quadrante disponibile per le misure, sia perché, fondandosi sulla visibilità dei punti osservati, limitava le osservazioni a porzioni di archi di geodetica troppo piccole per poter consentire inferenze sulla forma e sulle dimensioni della Terra. Molto tempo dopo tali esperimenti, nel 1718, la geodesia operativa dimostrò che il grado meridiano a nord di Parigi risultava più corto che a sud della stessa città, il che “provava” che la Terra era in realtà schiacciata all’equatore e non ai poli, introducendo una confutazione empirica della teoria newtoniana e generando tra gli scienziati del tempo grandi riflessioni e discussioni. Mentre i circoli scientifici d’Europa erano pervasi dalla querelle tra newtoniani e cassiniani e l’Accademia di Francia poneva le basi per la definitiva soluzione della “questione geodetica”, con le celebri spedizioni del Perù (1735) e della Lapponia (1736), grazie alle quali la teoria newtoniana fu definitivamente confortata dai dati empirici ed universalmente riconosciuta come valida, in Italia il secolo dei Lumi si aprì con la correzione dell’orientamento della penisola e con l’esecuzione di apposite operazioni astronomico-trigonometriche, per opera del monsignor Francesco Bianchini, tra il 1717 ed il 1725, finalizzate alla realizzazione di una carta geometrica del Ducato di Urbino. Sul piano cartografico, invece, le nuove conquiste geodetiche non trovarono immediate e sistematiche applicazioni, se non a distanza di anni. L’eccezione più significativa, nel panorama cartografico del Seicento e del Settecento, fu la Carta corografica degli Stati di S. M. il re di Sardegna, maggiormente nota col nome di Carta di Madama Reale, per la dedica alla duchessa Giovanna Battista di Savoia Nemours (1644 - 1724), che si pose in modo speculare nei confronti delle tendenze in atto nei settori di punta della nascente rivoluzione geodetica, privilegiando decisamente la componente informativa rispetto a quella geometrica. Pur trattandosi di una realizzazione che non tenne affatto in considerazione i problemi legati alla forma ed alle dimensioni del pianeta e che non si basò su un rigoroso inquadramento geometrico del territorio da rappresentare, tale carta costituì un punto di arrivo importante nella descrizione delle terre piemontesi – che mantenne validità per oltre un secolo e mezzo dalla sua realizzazione – ed un termine di paragone fondamentale per la nascente cartografia ufficiale preunitaria italiana. I criteri di costruzione del documento, che nella sua prima versione fu composto da quindici fogli di varie dimensioni, restituiti alla scala di 1:190.000 circa, non furono mai definitivamente chiariti, ma molto probabilmente furono fondati su rilevamento diretto, con l’impiego di una bussola topografica. Nel cartiglio di dedica, l’autore scrisse infatti che la carta era stata “col favor della Bussola e del Controguardo delineata”, ma, mentre l’uso della bussola nelle attività di rilevamento del territorio era già da oltre due secoli 79 documentato in varie opere precedenti, nulla risulta circa il menzionato controguardo, né nessuno degli autori che per il passato si occuparono di questo documento fornì indicazioni in proposito. Dal momento che tra gli strumenti topografici in uso nel XVII secolo alcun accenno si riscontra a proposito di tale suppellettile tecnico-scientifica, l’unica ipotesi che potrebbe trovare un minimo di fondamento è che per controguardo, il Borgonio intendesse un dispositivo di puntamento elementare, abbinato alla bussola dallo stesso impiegata nelle operazioni di rilevamento, che consentiva la collimazione dei particolari da rilevare, traguardando attraverso due pinnule opposte gli oggetti posti in lontananza, rispetto al punto di stazione, e di leggere quindi sulla linda i valori angolari delle direzioni osservate. Certo è che la mancanza di operazioni astronomiche di inquadramento geometrico del territorio, l’assenza di indicazioni in merito alla definizione della lunghezza degli archi di meridiano ed il difetto di una chiara indicazione dell’origine delle longitudini, pur in presenza di un reticolato geografico regolarmente riportato lungo la cornice esterna, nella sua versione originaria, lasciano pensare che le operazioni di costruzione della Carta di Madama Reale fossero state condotte ancora nell’ipotesi di Terra piana e senza alcun ricorso a proiezioni cartografiche, ma semplicemente riportando sul piano orizzontale i vari particolari topografici e mutuando da altri documenti cartografici preesistenti i valori delle longitudini e delle latitudini. Questa operazione sarebbe quindi alla base delle notevoli deformazioni osservabili sulla carta e, nel contempo, origine delle notevoli difficoltà occorse nella definizione della scala, che fece registrare dai vari studiosi del passato valutazioni differenti, con valori variabili tra 1:225.000, 1:216.000, 1:144.000, 1:168.000 ed 1:191.480, mentre ancora oggi il denominatore medio più attendibile sembra quello di 190.000 (Mori A., Tommaso Borgonio e la sua opera cartografica, in “Rivista Geografica Italiana”, a. XIII (1906), fascicolo IIIII.), ancorché, a rigore, sia da sottolineare come anche tale rapporto esprima solo una scala indicativa, dal momento che le variazioni del modulo di deformazione lineare risultano contenute soltanto in una limitata zona della carta, mentre presentano forti discrepanze nel resto del documento. La notevole attenzione di critica che essa ebbe nei secoli successivi alla sua realizzazione, registrando una generale concordanza di apprezzamenti, anche in autori d’oltralpe, è da attribuire al fatto che essa costituì per circa centosessant’anni Tomaso Borgonio, Carta Generale de’ Stati di Sua Altezza Reale, conservato in BRT, Inc. III, 311, f.8, dettaglio relativo al quadrante nord-ovest del torinese, in cui si sviluppano le connessioni con Rivoli e la val Susa, e con Venaria e la valle di Lanzo; si riconosce la vasta foresta che dalle Vaude scende nella pianura tra Stura e Orco, fino a connettersi con le sponde fluviali a Settimo e al Regio Parco. l’unica rappresentazione omogenea dei territori piemontesi, dotata di una ricchezza di particolari topografici e di una toponomastica prive di precedenti. La dovizia di particolari fece dunque di questa carta un vero e proprio monumento della corografia piemontese, con una dettagliata e ricca descrizione delle reti idrografica e stradale della regione, l’indicazione di numerose località abitate, della copertura boschiva, di alcune colture preminenti e delle denominazioni dei luoghi: “di quasi tutto questo e forse di tutti i nomi sarebbe facile trovare la fonte nelle carte di altri autori più antichi, soprattutto negli Atlanti del Sanson, del Visscher, del Blaeu, ma in nessuno di essi la rete stradale è così abbondante, e così numerosi i nomi dei centri abitati nelle valli alpine del versante italiano” (Errera C., Sull’opera cartografica di Giovanni Tommaso Borgonio, estratto da “Archivio Storico Italiano”, dispensa 3, 1904, Tipografia Galileiana, Firenze, 1904), segni questi di un’evidente esecuzione di ricognizioni e di rilevamenti diretti e non di semplice derivazione d’atelier. Il contenuto informativo della carta era strutturato secondo i sei strati canonici: planimetria, orografia, idrografia, vegetazione, toponomastica e limiti. La planimetria presentava una ricca presenza di centri abitati, rappresentati secondo una simbologia di tipo iconico-imitativo e differenziati tra loro in base all’importanza del sito per dimensione e per funzione (spicca certamente la delineazione schematica in pianta delle fortezze e delle città fortificate), mentre le strade, per quanto accresciute di numero rispetto alle precedenti carte, non presentavano particolari differenziazioni di sorta, non indicavano la presenza di poste, rari erano i riferimenti alla presenza di ponti, desumibile esclusivamente dalle indicazioni toponomastiche. L’orografia era rappresentata secondo un’efficace tecnica prospettica, che mostrava monti e colline come se fossero osservati da un punto di vista rialzato, e perciò detta “alla cavaliera”, ma comunque ancora privo di qualsivoglia elemento metrico. L’idrografia risultava, a parere di Errera, molto più accurata delle precedenti realizzazioni cartografiche, con taluni fiumi delineati con una maggiore attenzione al tracciato, prova di una rappresentazione effettuata con previi rilevamenti diretti e non per derivazione da altri documenti analoghi. I corsi d’acqua presentavano, comunque, una differenziazione secondo i soli interassi dei bordi che ne delimitavano l’impegno in planimetria; gli attraversamenti degli stessi erano, come accennato, poco evidenziati, per quanto effettivamente scarsi nella realtà; mentre poco evidenti risultavano i riferimenti ad altre forme idrografiche, ad eccezione delle superfici lacustri. La vegetazione offriva una descrizione che, mentre forniva indicazioni sulla presenza di coperture boschive e di superfici a destinazione agricola, poco riferiva in merito alle coltivazioni praticate, limitandosi a segnalare la presenza di coltivi, con una sorta di segno convenzionale che richiamava l’immagine del campo arato. 81 | n. 12 | NOVEMBRE - DICEMBRE 2010 La toponomastica concentrava prevalentemente l’attenzione sulla denominazione degli abitati e degli edifici religiosi distribuiti sul territorio, per la loro evidente funzione di orientamento, pur segnalando comunque anche molti idronomi ed alcuni importanti oronimi. Quanto ai limiti, infine, furono segnalate con grande evidenza le linee confinarie con gli stati limitrofi, e rimarcate, con minor enfasi, i limiti amministrativi interni dello Stato, accompagnati da stemmi e denominazioni ufficiali. Il dettaglio dell’informazione geografica giocò dunque un ruolo preminente rispetto alla correttezza geometrica della carta, anche se tali informazioni si presentavano talvolta molto prossime all’elenco: il tipo di inferenza che consentiva tale documento agli utilizzatori poggiava ancora su indicazioni generali di tipo topologico, più che metrico. La carta fu ultimata nel 1680, con incisione su rame di tal Giovanni Maria Belgrano e fu corredata da una “Descrittione de Stati di Sua Altezza Reale tanto di qua che di là dei monti”, che forniva un elenco di località, corsi d’acqua, numero di abitanti e particolari notevoli nonché da un’estesa dedica: “A Madama Reale, Maria Giovanna Battista, di Savoia, /Duchessa di Savoia Principessa di Piemonte Regina di Cipro,/ Madre e Tutrice dell’Altezza Reale di / Vittorio Amedeo II, /e Reggente de’ suoi Stati. // Madama Reale, // Presento a V. A. R.le la Carta Generale dei Stati di S. A. R. suo degnissimo figliuolo, la quale per essere parto de’ regij / suoi comandi è stata da me col favor della Bussola e del Controguardo delineata, e descritta con quella maggior diligenza c’ho potuto. Quivi sono esposte / ai suoi occhi non solo le Provincie, dove abitano qui Popoli, c’hanno fortuna d’esser sotto il suo giusto, e prudentissimo Governo, ma vi restano con /particolar essattezza notati i limiti delle medesime con i Principi Confinanti. La supplico humilmente di gradire questo piccolo testimonio del mio ossequio/ e compatire, se nell’angustia di queste linee non ho potuto far cosa corrispondente alla grandezza del suo merito, e con profond.ma riverenza me le inchino / D.V.A.R.le// Humil. mo Fedel.mo et Obbed.mo Serv.re e Suddito / Gio. Tomaso Borgonio”. L’accennata importanza del documento attrasse l’attenzione di vari cartografi, non solo coevi al Borgonio, che impiegarono il documento per derivazioni cartografiche o per integrazione dei dati in loro possesso, fino al 1751. La fortuna della carta durò per più di un secolo e mezzo, tanto che, come riferiscono le note dei primi studiosi del Borgonio, Particolare della tavola 6 della carta del barone Samuel von Schmettau, realizzata tra il 1720 ed il 1721, Nova et Accurata Siciliae Regionum, Urbium, Castellorum, Pagorum, Montium, Sylvarum, Planitierum, Viarum, Situum, Ac singularium quorumq. locorum et rerum ad Geographiam pertinentium Descriptio Universalis, Iuxta regulas Astronomicas et Topographicas diligentissimo labore exarata, et inchoata, Biblioteca Nazionale di Vienna. 82 SiciliAntica - Associazione per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali e ambientali ANNO II 83 ANNO II | n. 12 | NOVEMBRE - DICEMBRE 2010 essa ricevette la massima attenzione per scopi militari, principalmente da Napoleone Bonaparte (Aiaccio 1769 Sant’Elena 1821) che, dopo la requisizione del 1798, la fece riprodurre per i suoi generali, la impiegò per la preparazione della battaglia di Marengo (1800) e la restituì al Regno di Sardegna solo dopo il trattato del 20 novembre 1815. La carta fu nuovamente riprodotta nel 1765, a Londra, con addizioni ed aggiornamenti, sotto il titolo di Chorographical Map of the King of Sardinia Dominions on twelve sheets from the famous map of Borgonio with many additions and improvements [...] by A. Dury, e, a quasi cento anni dalla sua prima pubblicazione, per opera dell’incisore Giacomo Stagnone (o Stagnon), che, oltre ad aggiornarla ed integrarla con nuovi elementi, nella riproduzione riportò erroneamente come data di prima edizione l’anno 1683, invece che il 1680: Carta Corografica degli Stati di S. M. il Re di Sardegna data in luce dall’Ingegnere Borgonio nel 1683 corretta ed accresciuta nel 1772. Il continuo interesse verso questo documento e le sue successive riproduzioni si ponevano evidentemente in notevole contrasto con le nuove conquiste in campo geodetico. Mentre sul piano scientifico si sostanziava l’assoluta necessità di un inquadramento geometrico rigoroso di ogni impianto cartografico, sul piano operativo si rinnovava l’attenzione verso un documento pregeodetico, e per giunta datato, sostanziando così l’importanza del contenuto informativo, anche in presenza di deformazioni geometriche. Molte carte continuarono a seguire la strada dell’empirismo tradizionale, ma, sia pure lentamente, le nuove conoscenze si fecero strada tra gli scienziati d’Europa e per il loro tramite, anche i cosiddetti cartografi minori, impegnati in operazioni di carattere locale, e gli atelier cartografici privati iniziarono ad avvicinarsi alla nuova scienza. Ancora in linea di controtendenza, è da segnalare l’attività del barone Samuel von Schmettau, che tra il 1720 ed il 1721 portò a compimento la sua Nova et Accurata Siciliae Regionum, Urbium, Castellorum, Pagorum, Montium, Sylvarum, Planitierum, Viarum, Situum, Ac singularium quorumq. locorum et rerum ad Geographiam pertinentium Descriptio Universalis, Iuxta regulas Astronomicas et Topographicas diligentissimo labore exarata, et inchoata [...]. Si trattò di un’impresa colossale, apparentemente impossibile per un solo uomo, che, pur non partecipe delle grandi dissertazioni sulla figura della Terra, diede corpo ad un’opera che segnò chiaramente la transizione verso la cartografia di tipo geometrico e che mostrò abissali differenze con la carta del Borgonio. Ancora una volta, il lungo cammino compiuto dalla geodesia non aveva avuto immediati risvolti sul piano della produzione cartografica ed in Italia si dovette attendere il cimento dei più grandi uomini di scienza del Settecento per segnare l’inizio di una nuova era. Tra i protagonisti della rivoluzione geodetica italiana vanno certamente ricordati innanzitutto i padri gesuiti Ruggiero Giuseppe Boscovich (1711 - 1787) e Cristoforo Maire (1697 1767), che condussero le prime operazioni per la determinazione della lunghezza del grado in Italia centrale, con campagne di triangolazione, condotte tra il 1750 ed il 1753 nei territori dello Stato della Chiesa, e con la misurazione di due basi geodetiche, tra le quali la celebre base dell’Appia antica in Roma. A questi fecero seguito poi le imprese realizzate dal padre Giovanni Battista Beccaria (1716 - 1781) in Piemonte nel 1760, da Giovanni Antonio Rizzi Zannoni (1736 - 1814) in Veneto nel 1776 e nel Regno di Napoli dal 1781, dagli astronomi dell’Osservatorio astronomico di Brera in Lombardia nel 1788. Il passaggio all’Era geodetica non fu dunque immediato, tra la realizzazione di carte rilevate col solo uso della bussola e di carte basate su previi inquadramenti geometrici del territorio, passarono decenni, fino alla nascita di quella monumentale opera, che fece da vero spartiacque, in Italia, tra la produzione cartografia pre- e post- geodetica: la Nuova Carta geografica dello Stato Ecclesiastico realizzata dal gesuita inglese, p. Christopher Maire. Nuova Carta geografica dello Stato Ecclesiastico del gesuita inglese, p. Cristopher Maire: alcuni dettagli del cartiglio decorato 84