San Calò colpisce ancora: Arnone sospeso per 4 mesi dalla

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San Calò colpisce ancora: Arnone sospeso per 4 mesi dalla
www.grandangoloagrigento.it
DIRETTORE: FRANCO CASTALDO
ANNO XII - NUMERO 29 - SABATO 23 LUGLIO 2016
1,50
Blitz “Vultur”: Meli “u puparu” scalzato da Condello sino a quando Condello…
Con l’ordinanza di custodia cautelare che ha portato in
manette 5 persone nell’operazione antimafia denominata
“Vultur”, Dda di Palermo e Squadra mobile di Agrigento
ritengono di aver bloccato due cellule mafiose agrigentine, quelle di Canicattì e Camastra.
Destinatari delle ordinanze di custodia cautelare, firmate dal
Gip del Tribunale di Palermo Giuliano Castiglia sono:
Rosario Meli, 68 anni di Camastra, detto “u puparu” il
figlio Vincenzo Meli, 46 anni di Camastra, Calogero
Piombo, 65 anni di Camastra, Calogero Di Caro, 70 anni
di Canicattì ed Angelo Prato, 38 anni di Camastra che è
stato posto ai domiciliari. Nell’inchiesta, condotta dai Pm
della Dda Ravaglioli, Sinatra e Maligno, sono coinvolte
altre 7 persone, al momento non raggiunte da alcuna misura
cautelare.
Il Pubblico ministero addebita a
tamento intimidatorio, con più azioni
Rosario Meli, Vincenzo, Meli
esecutive del medesimo disegno crimiGiuseppe Meli e Calogero
noso, ponevano in essere condotte tali
Piombo il reato di estorsione in
da determinare le volontà dei soci di
danno dei soci di una ditta di onouna ditta di onoranze funebri con sede
ranze funebri : “perché, Meli
a Camastra, e ciò al fine di indurli a sotRosario quale capo della famiglia
tostare a richieste estorsive consistenti
mafiosa di Camastra, Meli
nell’obbligo di versare la somma di €.
Vincenzo e Meli Giuseppe quali
600 per ogni servizio funebre effettualatori delle richieste estorsive,
to”.
Piombo Calogero quale materiale
Ed il Gip Castiglia, così descrive le sue
percettore del denaro estorto, avva- Giuseppe Condello e Rosario Meli
valutazioni:
lendosi del c.d. metodo mafioso e,
Rileva il Tribunale che, sia pure in tercioè, agendo con violenza e minaccia, consistite anche nel- mini di tentata estorsione e non di estorsione consumata, il
l’incendiare l’autovettura Opel Vectra nonché con compor- fatto oggetto dell’addebito trova diretta rappresentazione
nelle dichiarazioni delle vittime del reato, ampiamente
riscontrate tanto da ulteriori dati dichiarativi, quanto da elementi dimostrativi di diversa natura, tra i quali, in primo
luogo, le risultanze dell’ampia attività di intercettazione.
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Grandangolo
sbarca in
Germania
Nello studio medico il quartier generale di Cosa nostra:Scirica filmato mentre incontra boss Sutera
A Sciacca e Menfi i carabinieri, come è noto, hanno ese- Più in particolare lo Scirica, sfruttando le normali dinamiche
guito un decreto di fermo (blitz “Opuntia” disposto dalla relazionali legate alla sua professione di medico di base, opeDirezione distrettuale antimafia di Palermo nei confronti rante a Menfi, ha avuto la possibilità di avere contatti con
di otto persone accusate del delitto di partecipazione ad numerosi soggetti, anche tra gli odierni indagati, senza ingeassociazione a delinquere di tipo mafioso.
nerare alcun apparente sospetto nelle forze di polizia.
Tra gli arrestati il capo della cosca locale, Vito Bucceri, 44 Per effettuare i numerosissimi e significativi incontri ha, infatanni, detto “Burcittuni” di Menfi, e un medico di base, ti, utilizzato quasi sempre il suo ambulatorio medico, riuscenPellegrino Scirica, 61 anni, di Menfi, ritenuto dagli inquiren- do in tal modo a non destare sospetto, facendo sì che ogni conti “uomo di fiducia” del boss Leo Sutera, detto il ‘professore’ tatto risultasse facilmente ricollegabile e giustificabile con
che ha incontrato proprio il medico lo scorso 16 maggio.
l’apparente ragione professionale.
Le indagini coordinate dal procuratore di Palermo Francesco In tal modo è riuscito a poter avere colloqui e contatti riservaLo Voi, dall’agti, utilizzando il
giunto Maurizio
riserbo
tipico
Scalia e dai sostidella visita medituto
Alessia
ca, dimostrando
Sinatra e Claudio
in tal modo e
Camilleri, sono
senza alcun dubstate avviate nel
bio la chiara ed
maggio del 2014
inequivocabile
ed hanno portato
volontà di voler
all’emissione del
eludere, quanto
provvedimento
più
possibile,
anche nei confronogni sistema di
ti di Tommaso
eventuale interGulotta, 51 anni, Pellegrino Scirica incontra Leo Sutera
cettazione degli
Matteo Mistretta,
incontri.
30 anni, Vito Riggio, 47 anni, Giuseppe Alesi, 46 anni, Ciò nonostante si è riusciti ad operare un completo monitoCosimo Alesi, 51 anni, tutti di Menfi, e Domenico Friscia, 53 raggio tecnico, non solo sulle utenze telefoniche e sull’autoanni, di Sciacca già arrestato nell’operazione “Itaca”.
vettura a lui in uso, ma soprattutto attraverso una intercettaFigura centrale dell’operazione è il medico Pellegrino Scirica zione audio-video di quanto avveniva sia all’esterno che
di cui gli investigatori tracciano questo profilo.
all’interno del detto ambulatorio medico – da ritenersi, come
La figura dello Scirica riveste, nell’ambito del presente pro- detto quale sede strategica e fondamentale degli incontri e delcedimento, una particolare rilevanza, atteso che il suo ruolo, di l’osmosi informativa di cui lo stesso Scirica si è reso artefice
assoluto primo piano nel contesto criminoso, è risultato quel- assoluto.
lo di custode del pregresso storico della famiglia mafiosa Più in particolare – ed a conferma della particolare accortezmenfitana, in ragione delle sue parentele e soprattutto delle za, tipica della logica “mafiosa” che ne contraddistingue ogni
numerose conoscenze maturate nell’ambiente di “Cosa condotta - dopo il rinvenimento della microspia all’interno
Nostra”.
della sua autovettura, Scirica, in occasione dei suoi incontri
Altresì, rappresenta, per il ruolo, le relazioni, i mezzi a dispo- riservati con alcuni soggetti, dovendo chiaramente trattare
sizione e le capacità operative, l’elemento principale di con- argomenti illeciti legati alle dinamiche associative, ha effetnessione per la veicolazione delle comunicazioni tra i vari tuato i dialoghi nel cortile antistante l’ambulatorio medico,
soggetti indagati, avendo il suo studio medico costituito il ritenuto dallo stesso luogo verosimilmente non monitorabile.
vero e proprio “quartier generale” per la consorteria mafio- (a tal proposito l’incontro con Angelo Gennusa).
sa di Menfi.
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Quando il “vecchio” surclassa il nuovo
Qualche sera fa, in televisione, si é avuto modo di
assistere ad un istruttivo siparietto tra l’ex
Presidente del Consiglio ed ex segretario Dc (oggi
88enne sindaco di Nusco) Ciriaco De Mita e la
giovane deputata del Pd, responsabile del settore
giustizia, Alessia Morani, entrambi ospiti nella
trasmissione di La7 ‘In onda’.
Il leader di Nusco e l’esponente Dem si sono scontrati sui temi Europa e riforme.
“Mettiamo insieme due periodi, il primo della storia
repubblicana e questo – ha detto De Mita – che
comincia a essere un periodo lungo. De Gasperi,
nella prima legislatura, fece la riforma agraria in
due mesi. L’onorevole
Amendola disse che
non solo De Gasperi
fu capace di presentare la riforma agraria,
ma di farla approvare
in due mesi. Voi ritenete che l’ordinamento sia la ragione dell’impedimento ma non è così”.
“Ma non è vero, basta guardare gli altri Paesi
dell’Europa! Siamo nel 2016” - ha replicato immediatamente la Morani, subito interrotta dall’ex segretario Dc: “Mi stia a sentire – ha chiosato De Mita
– lasci stare gli altri paesi dell’Europa, mi stia a sentire per capire”.
Di fronte alla parlamentare del Pd che continuava
ossessivamente a ripetere gli slogan di Renzi sulla
semplificazione e la governabilità, che sarebbe assicurata dalla revisione della Costituzione senza spiegare perché e come, un De Mita a tutto campo ha
dimostrato il contrario, la vitalità della vita democratica negli anni passati e la capacità di quei governi e di quei parlamenti di innovare coraggiosamente, anche in tempi brevissimi. Ed ha ricordato proprio il caso della “riforma agraria” varata dalle
Camere un paio di mesi dopo la presentazione del
relativo disegno di legge da parte di De Gasperi. E,
poi, il metodo del confronto, costantemente praticato da Aldo Moro con tutti coloro dei quali desiderava la convergenza, come al tempo della previsione
di un’apertura a sinistra. Palese confronto con
Matteo Renzi che, invece, non dialoga, soprattutto
con i sindacati e le altre parti sociali se non è scontata, in anticipo, l’adesione alle sue iniziative che
impone senza adeguata riflessione, sicché il malessere è vasto e la popolarità del giovane leader del
Governo e del Partito Democratico in costante
discesa.
Istruttivo il confronto tra due modi di concepire la
democrazia, quello del confronto e della riflessione
e quello dell’imposizione, che assume la novità come un bene per
definizione indipendentemente dal contenuto
del nuovo. E così, a
furia di mozioni di fiducia, il sig. Renzi ci
inonda di norme a suo
giudizio dagli effetti taumaturgici quando, invece,
denunciano la estrema modestia delle nuove disposizioni, spesso confuse e inconcludenti, come in
materia di pubblica amministrazione dove i nodi
cruciali sono ancora irrisolti, come i tempi dell’azione amministrativa, un fardello che grava su cittadini
ed imprese. La distanza siderale tra i vecchi marpioni della politica come De Mita e gli esponenti renziani, abituati a ripetere a pappagallo le insulsaggini
imposte dal rignanese, dimostra plasticamente la differenza - a favore e non l’avremmo mai immaginato! - tra chi sapeva fare politica - pur con le critiche
che sappiamo essere forti all’epoca - e chi non sa far
nulla. Ma proprio nulla!
Men che meno una riforma costituzionale degna di
questo nome!
Per questo al referendum , non ci stancheremo mai
di dirlo, si dovrà votare no!
Edmond Dantés, Conte di Montecristo
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SICULIANA, AUTORIZZATO NUOVO
IMPIANTO DI BIOSTABILIZZAZIONE
E’ stato approvato il ddl di riforma
sui rifiuti. Il ddl, che varrà illustrato la prossima settimana, “innova in
modo radicale il sistema dei rifiuti e
disciplina la transizione per il passaggio al nuovo sistema”.
La legge conferisce più poteri agli
enti locali e ai sindaci sulla base di
di
nove ambiti territoriali corrisponROGER0
denti alle città metropolitane e ai libeFIORENTINO ri consorzi. Gli ambiti (definiti enti di
governo territoriali), organizzeranno il
sistema integrato del ciclo dei rifiuti con particolare attenzione
alla raccolta differenziata e stabiliscono
la tariffa unica di ambito; verranno
definiti dall’ente di governo relativo e
possono prevedere stralci di lotti funzionali. Nessuna macelleria sociale tengono
a dire Crocetta e l’assessore all’energia
Contrafatto: “sono stati salvaguardati i
livelli occupazionali dei lavoratori del
settore attraverso gli albi territoriali”.
Verrà introdotta una sezione regionale
per gli appalti dell’intero sistema dei
rifiuti all’interno della stazione unica
appaltante regionale, per ottimizzare i
sistemi di gara e standardizzare i costi di gestione.
A breve verrà istituito, al Dipartimento acqua e rifiuti, il consiglio regionale di sorveglianza composto da tre esperti che,
in collaborazione col Dipartimento, dovranno monitorare il
sistema della spazzatura e la definizione degli standard. I piani
d’ambito, le Srr (strutture territoriali) verranno assorbite e, tutti
i contratti saranno trasferiti alla nuova autorità. Ciò permetterà,
almeno sulla carta, forse è presto per dirlo, di non avere alcuna
interruzione né dei servizi né della gestione con la riorganizzazione su base innovativa del ciclo dei rifiuti.
Intanto per Siculiana è stata firmata una nuova ordinanza per
autorizzare un nuovo impianto di biostabilizzazione presso la
discarica della cittadina gestita dalla Catanzaro Costruzioni,
che sarà operativo a partire dal primo agosto. Dal prossimo
mese sarà possibile conferire proprio a Siculiana le 250 tonnellate di rifiuti che contribuiranno ad alleviare la situazione di
disagio dei comuni dell’agrigentino. E’ stato inoltre autorizzato, in via definitiva, la pianta organica della Srr di Agrigento
insieme a quelle di Palermo est, Palermo ovest e Trapani
sud.
Da registrare l’incontro di giovedì sera al ministero
dell’Ambiente tra il ministro Galletti e il governatore
Crocetta sull’emergenza. Insieme al direttore del
Dipartimento acqua e rifiuti, Pirillo ed il direttore generale per i rifiuti e l’inquinamento
Mariano Grillo, nel corso dell’incontro
è stato fatto il punto sullo stato di avanzamento degli impegni previsti nell’ordinanza del 7 giugno scorso e sulle iniziative in corso per superare le criticità
esistenti.
Crocetta ha garantito al ministro l’impegno a rimuovere prioritariamente i
rifiuti giacenti sulle strade e ha informato della messa in opera degli impianti
mobili di pretrattamento. La riunione
è servita anche per lavorare su soluzioni che mirano a potenziare l’attuale capacità impiantistica e
rafforzare i contatti con altre Regioni italiane per lo smaltimento dell’arretrato.
Crocetta e l’assessore Contrafatto hanno ribadito, in più
occasioni, di essere comunque e ogni giorno a totale disposizione dei sindaci dei comuni in difficoltà con un occhio di
attenzione alle zone di grande richiamo turistico che ogni anno
vedono aumentare il numero di cittadini presenti nel corso dei
mesi estivi. Per questo, infatti, sembra sia stato implementato il
piano di conferimento. Parola di governatore.
ALTRI ARTICOLI A PAGINA 2
San Calò colpisce ancora: Arnone sospeso per 4 mesi dalla professione
Troppo bello per essere vero. Ci eravamo, alla fine, convinti che San Calò,
almeno per questa volta, avesse deciso di non infierire ulteriormente, di non
dargli scacco matto. Considerato lo stato pietoso in cui versa questo poveruomo - avevamo pensato - può darsi che San Calò si fermi qui. Del resto la
botta che gli aveva assestato in occasione della ricorrenza della festa del
Santo nero non era di quelle leggere. Aveva addirittura fatto assolvere il suo
acerrimo nemico, il sen. Sodano, nel processo che doveva servire a Pepé per
riscattare la sua vita. Doveva servirgli, come scrisse in una inserzione a pagamento su “Repubblica”, addirittura a “ricostruire la sua vita”, anche se ad
opera di mafiosi pentiti e malacarne.
Condannare Sodano, secondo Arnone, avrebbe avuto un significato doppio.
Da un lato che quel risultato elettorale era stato alterato; dall’altro, che i
mafiosi, avevano paura di Pepé (tremavano al solo sentirlo nominare), e perciò avevano votato per il suo rivale nel famoso turno di ballottaggio che vide
Sodano uscire vincitore sul nostro Pepé , e che stroncò sul nascere e per sempre una giovane carriera politica. Ah! Se le cose fossero andate diversamente...!
Oggi Pepé non sarebbe politicamente rottamato, carico di condanne e di processi, con un bilancio familiare dissestato ed un lavoro saltuario e precario.
Ecco perché una condanna per Sodano sarebbe stata il suo trionfo. Avrebbe
certificato, “per tabulas”, che le cose erano andate in quel modo perché la
mafia aveva deciso di schierarsi con Sodano facendolo vincere, per impedire
a Pepé di diventare sindaco. Con una tale interpretazione dei fatti, di conseguenza, Pepé sarebbe diventato automaticamente una vittima della mafia.
Dice: “ma che importanza può avere stabilirlo a venticinque anni di distanza”?
Ce l’ha.... ce l’ha l’importanza. Al punto in cui é arrivato Pepé, questo solo
gli interessa e solo questo ha importanza per lui: vedere “ricostruita” la sua
vita, ormai distrutta e sfregiata, anche se solo da parte di qualche mafioso
pentito.
Ed invece San Calò di cui é nota l’antipatia che gli suscita la sola vista di
Pepé, gli ha tolto anche questa piccola soddisfazione. Approfittando che la
sentenza sarebbe stata emessa in prossimità della sua festa (sua, di San Caló)
che cade tra la prima è la seconda domenica di luglio, gli ha confezionato
questo regalino da nulla. Gli ha tolto ogni residua speranza di vedere “ricostruita” la sua vita, anche se solo attraverso la via giudiziaria e le dichiarazioni dei pentiti. A voi sembreranno cose da nulla, ma questo poveraccio era
destinato nella vita a fare grandi cose. Invece guardate in che stato é ridotto.
Si é ritrovato, a quasi sessant’anni, all’atto di tirare le somme di una vita e
dopo avere stracafottuto un pozzo di soldi in libri, volantini, manifesti, benzi-
na, spazi televisivi, ad avere cumulato solo giullarate, processi, imputazioni,
condanne, malafigure e chi più ne ha più ne metta. Volendo lucrare popolarità ha infangato, denigrato, diffamato mezzo mondo per rimanere, infine
(come dice un motto siciliano) “poviru e pazzu”. Manca solo che si faccia
qualche annetto di galera ed il ciclo é compiuto. In futuro si potrà parlare di
lui come dell’uomo più sfigato d’Italia. Per questo motivo ci teneva tanto. Ed
oltre a tenerci, ci credeva pure. Ci credeva al punto da avere dato per scontato che Sodano sarebbe stato condannato per “concorso esterno” in associazione mafiosa e che per lui, da quel momento, sarebbe stato come andare
in carrozza: un trionfo dietro l’altro, e, chissà, anche qualche riconoscimento postumo che avrebbe potuto alleviargli le pene di questi giorni..
Pepé l’aveva immaginata così questa sua epopea a lieto fine. Non ci dormiva la notte al solo pensiero che tutto ciò si sarebbe, da lì a poco, verificato. In
vista di questo evento Pepé non aveva trascurato nulla. Sicuro che le cose
sarebbero andate in questo modo, aveva predisposto tutto: inserzione a pagamento su “Repubblica”, video su YouTube in cui “ricostruiva” i fatti come
più gli piace, aveva avvertito i giornalisti amici e chissà quali altri accorgimenti aveva predisposto per prepararsi a questo evento. Invece....invece ci si
é messo di mezzo San Calò e tutto é andato a puttane: Sodano é stato assolto, si é preso gli applausi all’uscita del Santo dalla chiesa e Pepé ha dovuto
cercare cavilli per dire che lui era “parzialmente soddisfatto” dall’esito del
processo. Soldi buttati al vento e la sua vita ancora distrutta, altro che “ricostruita”. Visto l’esito, tutti pensavano che per quest’anno San Calò si fosse
placato. Del resto la botta che gli aveva dato era stata pesante. In un colpo
solo, facendo assolvere Sodano, aveva tolto ogni speranza a Pepé di vedere
“ricostruita” la sua vita e gli aveva inferto una delusione così cocente da
comportare cure immediate con tranquillanti è roba del genere. Poteva bastare, no?
Ed invece... no; non é bastato. Invece proprio in questi giorni é arrivata alla
redazione di Grandangolo la notizia che Pepé ha ricevuto un’altra botta di
quelle che ti stordiscono. Si é concluso un procedimento disciplinare a suo
carico presso l’Ordine degli Avvocati di Palermo ed é stato sospeso per quattro mesi dall’albo degli avvocati. Sì, proprio così: Pepé é stato sospeso
dall’Albo degli avvocati.
Non che sia la prima volta, per carità! Ma stavolta nel sospenderlo sembrerebbe che gli abbiano “ricostruito” la vita. Ma anziché farlo i pentiti, come
sperava Pepé, gliel’hanno “ricostruita” all’Ordine degli avvocati.
Attila
Segue a pagina 4
SABATO
23 LUGLIO
CRONACA, ATTUALITA’, POLITICA
Due stiddari a Pforzheim
di Franco Castaldo, Giulio Rubino, Cecilia Anesi, David Schraven
GRANDANGOLO SBARCA IN GERMANIA
Maik Mauser, Franco Castaldo, Cecilia Anesi e nei
riquadri David Schraven e Giulio Rubino
Per abbandonare la Sicilia e trasferirsi a Pforzheim, al sud
della Germania tra Stoccarda e il confine con la Francia, ci
vuole davvero un buon motivo.
C’è chi lo fa per cercare un lavoro, per raggiungere la famiglia
o seguire l’amore. Altri invece a Pforzheim hanno trovato un
rifugio dopo una sanguinosa guerra di mafia.
Pforzheim è una città discreta, di medie dimensioni, perfetta
per occuparsi in pace dei propri affari, che siano legali o meno.
Il centro di giornalismo d’inchiesta di Berlino, Correctiv, ha
mandato i propri giornalisti a Pforzheim a vedere da vicino.
Infatti è qui che vivono i fratelli Migliore di Canicattì, stiddari che alla fine degli anni ‘80 avevano partecipato, con le famiglie Gallea, Parla (i gelatai) e Montanti, alla guerra di mafia
contro Cosa nostra nell’agrigentino.
Si stima che 5.000 persone abbiano in quegli anni fatto parte
della Stidda, e nella sanguinosa faida morirono almeno 300
persone su entrambi i fronti. Stidda in siciliano significa stella:
il segno identificativo che molti giovani ribelli si tatuavano tra
il pollice e l’indice della mano destra.
In quegli anni c’era una gran confusione. Inizialmente neppure
Cosa nostra aveva chiaro da dove arrivasse l’attacco. Molti
boss eccellenti venivano assassinati, ma è uno il passaggio cruciale di questa guerra che rese chiara la faida contro Cosa
Nostra: l’omicidio del boss Giuseppe Di Caro di Canicattì e
il ferimento del nipote Lillo Di Caro in un attentato da cui quest’ultimo riuscì a scappare, ferendo uno dei cecchini,
Giammarco Avarello. Da li Cosa nostra iniziò a rispondere,
avendo finalmente identificato i mandanti degli omicidi.
Furono in molti a cadere, anche innocenti, come bambini e
come il giovanissimo giudice Livatino che cercava di fare luce
sulla vicenda.
Era il 2 aprile 1991, da una palazzina rosa di tre piani, tutta di
proprietà della famiglia Migliore, i due fratelli - Angelo e
Massimiliano - vedono un auto avvicinarsi. Era la polizia in
borghese, ma i tre li scambiano per killer di Cosa Nostra. In
una mirabolante scalata verso il tetto e da li ai palazzi accanto,
i tre fuggono, fuggono in Germania.
Gli da rifugio, come ci raccontano al Commissariato di
Canicattì, la famiglia stiddara dei Parla a Mannheim, dove
hanno un bar-gelateria. Anche i Migliore aprono un bar, che
secondo il processo “Alletto Croce + 77” era un punto di ritrovo per gli stiddari nel sud della Germania. Poi si trasferiscono
a Leimersheim dove iniziano a lavorare come camerieri.
Su segnalazione delle autorità italiane, la polizia tedesca intercetta i Migliore in Germania, e aveva annota discorsi in codice in cui i fratelli parlavano di contrabbando di armi. Nel 1992
una pattuglia tedesca ferma l’Alfa Romeo su cui viaggiava
Massimiliano e due amici. Nel bagagliaio c’è un sacco nero.
Quando la polizia chiede di aprire la borsa, i tre uomini attaccano gli agenti, li disarmano e fuggono.
Angelo, il fratello maggiore di ben 17 anni, nell’89 aveva già
provato i patimenti del carcere per due anni. Questo però non lo
E’ andato in onda su RTL (tv tedesca) lo speciale “Perchè la
mafia adora la Germania” che racconta perchè anche la
Stidda ha trovato un perfetto rifugio al sud della Germania.
Il documento è stato inserito all’interno del telegiornale dell’importante tv tedesca (“Rtl – nacht journal”- spezial mit
Correctiv - “Geheime Gesellschaft – Warum die mafia
deutschland liebt”)
Girato da Maik Meuser grazie alle ricerche di Correctiv e
Grandangolo - Il Giornale di Agrigento a Canicattì.
Di seguito il racconto integrale in italiano in esclusiva per
l’Italia su Grandangolo.
ha reso un uomo migliore. Angelo è pregiudicato per detenzione illecita di armi e munizioni, rapina e mafia. Da poco scarcerato, nel 1992, il Tribunale di Caltanissetta lo condanna per
associazione di tipo mafioso. Un anno dopo viene catturato in
Germania e estradato in Italia. Uscirà dal carcere solo nel
1999.
Per Massimiliano la vita di stiddaro è più complessa. A 18 anni
- in piena guerra di mafia - finisce già sotto sorveglianza speciale e nel 1993 viene arrestato dalla Mobile di Agrigento su
richiesta tedesca per rapina. Ma è anche l’Italia a volerlo dietro
le sbarre e per un reato più serio, l’associazione mafiosa. Verrà
cosi estradato ed uscirà dal carcere solo nel 2006.
Dal 2007 Angelo e Massimiliano Migliore si stabiliscono a
Pforzheim. Qui c’è anche un loro cugino, Angelo Farruggio.
Angelo e Antonio Migliore
Farruggio ha diversi precedenti per droga, infatti nel 2002
viene fermato all’aeroporto di Tocumen a Panama con una
valigia carica di cocaina. Nel 2003 riceve un’ordinanza di
custodia cautelare nell’ambito dell’operazione di polizia “My
Friend” per traffico di droga in Sicilia e Germania, ma non
viene arrestato poiché già detenuto a Panama. Un contatto con
il Sud America Farruggio lo aveva già durante i primi tempi
a Canicattì, quando importava porte di legno dal Brasile. A febbraio 2007 Farruggio viene estradato da Panama su richiesta
della Corte d’Appello di Palermo per traffico di droga e rimane ai domiciliari fino a luglio dello stesso anno per fine pena.
Dal 2011 decide per un salutare cambio d’aria, e si trasferisce a
Pforzheim, dove apre un ingrosso di frutta.
Secondo un informatore della polizia tedesca i Migliore potreb-
Una scena del documentario
bero in qualche modo essere entrati in affari con lui.
Massimiliano però, nega con decisione. Al centro di giornalismo d’inchiesta Correctiv dichiara di conoscere Farruggio
solo di sfuggita: “Ci sono così tanti Angeli qui”. E rincara la
dose. Dice di essersi trasferito in Germania per motivi onesti,
di essere cambiato in carcere, di avere lasciato il male dietro di
sè. “Ho voluto iniziare una nuova vita”, ha dichiarato. E, a
detta sua, è riuscito a farlo.
Da quando si sono trasferiti a Pforzheim, nel giro di pochi anni,
i fratelli Migliore hanno acquistato case e appartamenti, soprattutto in aste giudiziarie, per un valore di almeno 1,5 milioni di
euro. E’ soprattutto grazie all’intermediazione di un soggetto di
origini campane che i fratelli riescono ad entrare nel settore
immobiliare dell’area di Pforzheim.
Alcune delle proprietà all’asta vengono acquistate assieme ad
un uomo calabrese, di Cetraro, città dove il clan Muto controlla “anche il respiro del territorio” per dirla con le parole del
Procuratore Capo di Catanzaro Nicola Gratteri che ha coordinato l’operazione Frontiera contro il clan Muto del 19 luglio
2016.
La Mobile di Agrigento conferma che il calabrese entra e esca
dalla Germania molto spesso, e che sia in contatto con i
Migliore. La polizia tedesca sospetta che agisca da corriere di
soldi.
I Migliore oggi hanno anche un albergo, nel centro della città
di Pforzheim.
Secondo una fonte vicina alla polizia tedesca i fratelli
Migliore in passato hanno nascosto latitanti, prestando lo
stesso aiuto che avevano una volta ricevuto loro stessi.
D’altronde non è un mistero che oggi la mafia agrigentina,
Stidda o Cosa Nostra che sia - visto che in nome degli
affari si ricuciono anche le faide più brutali - sia specializzata nel nascondere anche importanti latitanti della Cosa
Nostra trapanese e palermitana.
Il Bundeskriminalamt stima che circa 550 mafiosi vivano
in Germania. Un numero calcolato sulle indagini congiunte dei due paesi. Questo è però solo il numero dei mafiosi
registrati agli atti. Ci sono anche prestanome, collaboratori
e criminali minori che gravitano attorno ai mafiosi. Sono
per lo più persone italiane nate in Germania o tedeschi veri
e propri. La cifra reale dell’esercito mafioso in Germania è
quindi probabilmente molto più alta.
2016
I mafiosi beneficiano della legislatura tedesca. I beni della
mafia non vengono sequestrati automaticamente, l’appartenenza ad una associazione di tipo mafioso non è in se stessa un crimine. Giusto pochi mesi fa alcuni ‘ndranghetisti sono stati
rimessi a piede libero nonostante la richiesta di arresti e estradizione che la Procura di Reggio Calabria aveva mandato in
Germania.
“I mafiosi in Germania sono liberi di associarsi tra loro” ha
spiegato a Correctiv un investigatore tedesco che chiede di
rimanere anonimo “senza che noi possiamo arrestarli o fermarli”.
I Migliore dichiarano di essersi lasciati la loro storia mafiosa,
anzi stiddara, alla spalle.
Uscire dalla mafia in genere richiede ben più di un semplice
ravvedimento morale. Di solito ci sono due vie: il ‘cappotto di
legno’ o la collaborazione con la magistratura.
Negli ultimi tempi - ci raccontano i social network - i Migliore
tornano a Canicattì in vacanza. Senza che l’attuale boss di
Cosa Nostra, Di Caro, gli torca un capello nonostante sappia
benissimo del loro passato stiddaro.
La polizia tedesca sospetta che i due fratelli abbiano un giro
d’affari che faccia comodo a tutti, mentre la polizia italiana non
esclude che gli stiddari in Germania abbiano riciclato denaro
nel mercato immobiliare.
Massimiliano allontana da se questo sospetto. Le sue proprietà sono state acquistate con il sudore e con il lavoro onesto, dice.
I soldi - dichiara - li ha messi insieme con alcuni amici, ha iniziato acquistando dei piccoli appartamenti, ristrutturati da solo,
e poi affittati. Man mano che entravano altri soldi hanno iniziato ad investire in proprietà sempre più grandi.
L’agenzia delle entrate tedesca
non ha rilevato nulla di illegale,
nulla che possa fare sospettare
il riciclaggio.
Ma per la polizia di Canicattì
quello che è certo è che in
Germania “i mafiosi abbiano
trovato la loro Mecca”.
Agli investigatori tedeschi
manca lo strumento chiave che
si usa in Italia per combattere
le mafie: l’intercettazione. In Massimiliano Migliore
Germania l’intercettazione è
consentita solo in rari casi, i costi sono spesso talmente elevati
che se si fa, si fa per brevi lassi di tempo. Inoltre, i traduttori non
devono capire solo l’italiano ma anche i dialetti, il che rende
tutto molto costoso.
Il risultato è che quando gli investigatori tedeschi parlano di
lotta alla mafia in Germania lo fanno con grande frustrazione.
In Italia, un mafioso condannato deve dimostrare di aver acquisito i suoi soldi e le case legalmente. In Germania è il contrario. In Germania sono gli investigatori a dover provare da
quale attraverso quali crimini è stato contratto il patrimonio. Per
questo in alcune città tedesche ci sono pizzaioli milionari. Il
parlamento sta discutendo una proposta di modifica di
legge per rendere più facile la confisca di beni mafiosi.
In Germania ci sono pochi fenomeni così sottovalutati
quanto la mafia. Forse perché la mafia ormai uccide solo se
strettamente necessario, e fa di tutto per sparare in Italia,
anche a quei mafiosi residenti all’estero, invece che in
Germania. Ha capito che se in Germania resta ‘non violenta’, non dà ai politici motivo di affrontare i limiti legali
del paese.
Massimiliano non ne vuole sentire. Per lui il passato è
passato. Ora - conclude - vuole solo investire nel suo
futuro.
Discarica bruciata: rischio INTERA PROVINCIA SOMMERSA DAI RIFIUTI
diossina a Canicattì
La discarica di Canicattì continua a esalare i
suoi fumi tossici e sopra la città una nube di
diossina si è spinta anche oltre raggiungendo
da una parte Castrofilippo e dall’altra Delia.
L’incendio alle sterpaglie ammassate accanto il
deposito gestito da “Dedalo ambiente” è scoppiato intorno alle due della notte e a segnalare la
criticità del rogo sono stati i forestali di vedetta
di
dalla postazione Castello Chiaramonte di
GABRIELE
Naro, circa 200 metri più alti rispetto a
TERRANOVA Canicattì.
La comunicazione è stata fatta ai carabinieri che
a loro volta hanno allertato i coinquilini pompieri con sede nello stesso
stabile in contrada Carlino. Alle spalle della discarica, in contrada Ponte
Bonavia, i vigili del fuoco hanno immediatamente azionato gli idranti
per evitare che le fiamme si inoltrassero all’interno del deposito della
Dedalo e hanno scongiurato l’ennesimo blackout delle linee telefoniche
cospargendo di liquido ignifugo i tralicci Telecom prima che venissero
divorati dal fuoco.
Dopo circa un’ora di lavoro di soli tre pompieri, iniziano ad arrivare decine di telefonate al 115 dai residenti delle prime abitazioni a ridosso della
statale 410 che dormendo con le finestre semi-aperte si sono ritrovati con
l’aria irrespirabile in tutta la casa. Nel frattempo, ad Agrigento, nessuna
squadra di pompieri del distaccamento di Villaseta poteva recarsi in rinforzo a Canicattì poiché tutti impegnati a gestire l’emergenza in atto nel
bosco di contrada Fondacazzo.
Decimati anche gli operatori del Corpo forestale più vicino, quello di
Naro, impegnati anche loro a domare un rogo nei pressi di contrada
Saladino, tra la Fulgentissima, Camastra e Palma di Montechiaro.
Alle tre e mezza del mattino, il caposquadra dei vigili del fuoco di
Canicattì decide di provare a spegnere il fuoco per “soffocamento”, ma
per farlo servono delle pale meccaniche e della sabbia. Vengono allertati
i Vigili urbani e il sindaco della città, Ettore Di Ventura, che sul posto
invia un dipendente comunale, il quale, in poche ore fa arrivare sul posto
le pale meccaniche per cercare di fronteggiare l’emergenza.
Intanto, dopo tre giorni, i dipendenti comunali con il coordinamento dei
vigili del fuoco, sono ancora al lavoro ma le fiamme continuano a spuntare da ogni punto e l’aria in tutto il circondario è diventata irrespirabile.
L’allarme diossina nell’aria ha fatto sigillare le finestre delle abitazioni
più vicine a Ponte Bonavia e non solo.
Siamo in piena estate e la
situazione, in materia di
rifiuti, si può riassumere
in un sola parola: caos.
Ed è anche logico: se non
c’è, a monte, un’organizzazione, se la Regione siciliadi
na, in materia di rifiuti, non
IRENE
esiste, se non c’è un vero
MILISENDA
piano per la gestione dei
rifiuti. Le discariche, tranne
quella di Bellolampo, a Palermo, sono tutte
chiuse.
Quella di oggi è una Sicilia sommersa di rifiuti
con i sindaci che chiedono dove scaricare la
spazzatura e quindi in quali discariche portare
gli stessi rifiuti e con la Regione che fa finta di
non vedere. I provvedimenti “hanno dapprima
obbligato i Comuni a conferire a Lentini, con
notevole aggravio di costi e dei tempi di scarico,
di poi ha contingentato il carico di rifiuti che
ogni Comune può portare in discarica. Con queste prescrizioni i Comuni non hanno potuto
svuotare giornalmente gli autocompattatori e
hanno subito il fermo della raccolta dei rifiuti.
Conseguentemente i rifiuti si sono accumulati
per strada e adesso non possono essere raccolti
pena il superamento del limite massimo giornaliero di conferimento attribuito ad ogni
Comune”.
Lo scrivono in una nota i sindaci di Racalmuto,
Naro, Montallegro, Favara, Porto Empedocle,
Realmonte, Ribera, Cammarata, Naro,
Casteltermini, Campobello di Licata,
Ravanusa, Licata, Palma di Montechiaro,
Menfi, Sant’Angelo Muxaro, Montevago,
Canicattì, Joppolo Giancaxio, Agrigento,
Siculiana, Caltabellotta, Lampedusa e Grotte.
“Il contingentamento dei rifiuti da portare in
discarica è abnorme, – proseguono i
sindaci – perché assume come parametro la
media giornaliera dei conferimenti del mese di
giugno 2016 e non tiene conto che durante il
periodo estivo i paesi dell’Agrigentino si popolano di turisti, di emigrati, dei lavoratori e degli
studenti pendolari. I sindaci hanno chiesto che il
contingentamento avvenga sulla base della
media dei rifiuti prodotti nei mesi di luglio, ago-
sto e settembre dell’anno 2015, hanno chiesto
inoltre che sia autorizzato un conferimento
straordinario per rimuovere le tonnellate di
rifiuti giacenti per strada”.
Il presidente della Regione, Rosario Crocetta,
annuncia che da oggi è attiva, in anticipo rispet-
to alle previsioni, la discarica pubblica a Gela,
dove sono stati ultimati anche i lavori di installazione dell’ impianto di biostabilizzazione.
E Crocetta spiega: “L’attivazione della discarica di Gela consentirà ai comuni della provincia
di Caltanissetta di conferire i rifiuti in discarica.
Inoltre, ancora oggi a Roma siamo impegnati in
una conferenza di servizi per affrontare il tema
del potenziamento degli impianti esistenti, incluso quello della discarica di Bellolampo in provincia di Palermo, e la definizione di un piano
straordinario di raccolta e smaltimento”.
Il presidente ribadisce, tra l’altro, l’attivazione
dal primo agosto in poi degli impianti di biostabilizzazione a Siracusa e a Siculiana, e promette: “Le decisioni che saranno assunte consentiranno di normalizzare la situazione dei rifiuti
nell’Isola entro la fine del mese”.
E su Siculiana sono riposte le speranze degli
amministratori locali agrigentini al fine di rimediare all’ accumulo di rifiuti ovunque, tra cassonetti non svuotati e discariche che proliferano.
Un libro, una storia
Mauro De Mauro di F. Nicastro & V. Vasile
di Letizia Bilella
“La ricerca della verità non ha bandiere, è semplicemente patrimonio di qualsiasi democratico”
Un giornalista dal passato fascista che lavorava
per un giornale comunista. Dal 1943 al ’45 aderisce alla Repubblica Sociale Italiana e si arruola
nella X° Mas di Junio Valerio Borghese. Il 16 settembre 1970, giorno in cui è scomparso, si stava
occupando per conto del regista Francesco Rosi di
ricostruire la misteriosa morte di Enrico Mattei.
Ma anche di mafia.
Ricatti, doppi giochi, colpi di stato. Sono solo alcuni dei termini che vanno a comporre questa storia.
Uno stile asciutto per una delle storie più importanti e affascinanti del primo ventennio repubblicano.
Blitz “Vultur”, neanche i morti lasciati in pace: pizzo sui funerali
SABATO
23 LUGLIO
ATTUALITA’, CRONACA, CULTURA
2016
Continua da pagina 1
La vittima, in
diverse occasioni,
è stata sentita dal
Pubblico ministero e dalla Polizia
giudiziaria e ha
sporto denuncia.
Quest’ultima ha in
sintesi
riferito
quanto indicato di
seguito:
di avere cominciato l’attività di
imprenditore nel
settore delle onoranze funebri nel
2002;
Vincenzo Meli
che, nel subentrare
nell’impresa al cognato, questi gli disse che soci di fatto dell’impresa medesima erano
Meli Rosario ed i figli Giuseppe e Calogero;
che egli, quindi, decise di incontrare i Meli per definire il rapporto e con gli stessi pattuì che il rapporto societario di fatto
sarebbe proseguito e che, da un lato, vi sarebbe stata una ripartizione al 50% tanto dei proventi derivanti dall’attività quanto
delle spese; dall’altro, egli sarebbe stato il titolare formale dell’attività e si sarebbe occupato di tutta la gestione mentre i Meli
si sarebbero occupati di “reperire il lavoro”;
che, in particolare, il rapporto con i Meli era principalmente
intrattenuto attraverso l’interlocuzione con Calogero Meli, il
quale, comunque, “parlava in nome e per conto di tutta la sua
famiglia”;
che nel maggio del 2004 Calogero Meli si trasferì a Parma ed il
suo posto fu preso da Giuseppe Meli;
che costui cominciò ben presto a sindacare l’operato gestionale
dello stesso taglieggiato e a provvedere alla gestione personale
degli introiti senza al contempo volere più partecipare alle spese;
che la situazione andò via via deteriorandosi e che egli, per andare avanti, in più occasioni si rivolse direttamente a Rosario Meli,
il quale in almeno due occasioni rimproverò il figlio Giuseppe in
presenza della vittima;
che, una volta, Giuseppe Meli minaccio la vittima di ucciderla,
dicendogli testualmente: “ti ammazzo, una cassa da morto di
queste è per te”;
che la pressione dei Meli, col tempo, si fece insostenibile perché
essi pretendevano di partecipare alla spartizione in parti uguali
degli introiti lordi senza contribuire in alcun modo alle spese;
che tale situazione andò avanti fino al mese di settembre del
2008, allorquando, avendo egli manifestato i problemi al cognato, questi chiese l’aiuto di Giuseppe Condello, soggetto “temuto
e rispettato”, durante la cui presenza a Camastra – dichiara
testualmente la vittima – “i Meli furono messi di lato” nel senso
che era conoscenza diffusa – precisa – “che le estorsioni a
Camastra in quel periodo venivano praticate esclusivamente dal
Condello che aveva estromesso del tutto la famiglia Meli da ogni
attività illecita di Camastra”, aggiungendo specificamente di
avere appreso dal cognato “che Meli Rosario e Vincenzo si recarono a Palma di Montechiaro per avere un confronto con
Giuseppe Condello in ordine alla situazione che si era venuta a
creare a Camastra”;
che, successivamente all’interessamento dal Condello, la società
di fatto con i Meli si sciolse ed egli, al contempo, cominciò a corrispondere periodicamente, ma senza precise scadenze, somme
di denaro al Condello, pari di volta in volta ad € 500;
che, su “consiglio” dello stesso Condello, tra la fine del 2009 e
l’inizio del 2010 cominciò una collaborazione con il titolare di
un’altra impresa di onoranze funebri a Camastra, con il quale
fino a quel momento era stato in concorrenza, avviando sostanzialmente una società di fatto che, successivamente, a partire dal
febbraio 2012, fu formalizzata con l’istituzione della società, formalmente operativa dall’agosto 2012 ed avente i due soci con
parità di quote;
che già dal gennaio 2010, quando era iniziata la collaborazione
di fatto tra i nuovi soci, essi elargivano in comune, metà per ciascuno, la somma periodica di 500 euro al Condello per la “protezione” che lo stesso offriva loro, somma che veniva versata
ogni due o tre mesi;
che aveva corrisposto per l’ultima volta la somma di 500 euro al
Condello proprio il pomeriggio del 25.1.2012, giorno in cui
Condello era stato successivamente assassinato;
che, pochi giorni dopo l’uccisione del Condello, precisamente il
2.2.2012, durante un funerale, era stato avvicinato da Rosario
Meli il quale, con tono minaccioso, gli disse che da quel funerale i 500 euro che dava al Condello li avrebbe dovuti dare a lui,
così specificando le testuali parole pronunciate nell’occasione
dal Meli: “Ora mettici un punto… da questo funerale i 500 euro
che davi a Condello li porti a me”;
che, nel successivo mese di aprile, mentre egli stava circolando
in paese in auto in compagnia di un amico, Meli lo fermò e lo
fece scendere dall’auto, dicendogli nuovamente che doveva dargli “i soldi per i funerali che egli organizzava e che doveva
aggiungere gli arretrati per quelli che aveva già fatto”, aggiungendo che il figlio “Giuseppe sarebbe tornato ad interessarsi
della gestione” dell’impresa;
che, nella stessa occasione, Rosario Meli gli disse che avrebbe
dovuto preparare il conto
dei funerali fatti con i soli e
che poteva consegnarli a
Calogero Piombo presso la
tabaccheria gestita dallo
stesso Piombo;
che egli preparò il conto e lo
consegnò al proprio socio
chiedendo allo stesso di portarlo a Calogero Piombo;
che il socio si recò con il
contro presso la tabaccheria
del Piombo dove trovò il
Piombo ed anche lo stesso
Rosario Meli al quale,
quindi, precisamente nel
Rosario Meli
garage adiacente alla tabac-
cheria, consegnò il conto ricevuto dalla vittima;
che il Meli “ebbe una brutta reazione alla lettura del conto e
chiese al socio un incontro a quattrocchi”;
che, successivamente, tra maggio e giugno 2012, ci fu un incontro tra i due soci, da un lato, Rosario Meli e il di lui figlio
Vincenzo, dall’altro, incontro svoltosi all’interno del bar denominato Prime alla presenza del proprietario;
che, nell’occasione, Rosario Meli disse al ai soci che doveva
dargli i soldi in quanto “era lui a comandare a Camastra” e che
dovevano ringraziarlo per il solo fatto che non gli “stava chiedendo di andare via da Camastra”;
che Vincenzo Meli aveva
partecipato attivamente alla
discussione, “spalleggiando
il padre”;
che, successivamente, il 26
luglio 2012, mentre egli si
trovava
nei
locali
dell’American Bar di
Camastra, era stato nuovamente
affrontato
da
Rosario Meli, il quale lo
aveva rimproverato perché
non gli aveva ancora consegnato i soldi richiesti,
aggiungendo testualmente:
“Guarda che noi non bruciamo macchine, ma facCalogero Piombo
ciamo altro”;
che egli aveva risposto
dicendo di non avere disponibilità di denaro e che “lui era libero
di fare quello che voleva”;
che a partire da settembre 2012 e fino ad una decina di giorni
prima del 2 novembre 2012, Rosario Meli si era recato in più
occasioni da dal cognato della vittima, parlando della sua pretesa di 800 euro per ogni funerale ed omissis, nel corso di tali
incontri, aveva convinto il Meli ad abbassare la pretesa a 600
euro per funerale, oltre gli arretrati, sicché il Meli aveva infine
richiesto il pagamento della somma di euro 4.800 per gli otto
funerali che c’erano stati sino a quel momento, facendo presente
che, in caso di mancato pagamento, ad omississarebbe finita
male;
che egli disse al cognato che non avrebbe accondisceso alle
richieste del Meli;
che nella notte tra l’1 e il 2 novembre aveva subito l’incendio
della propria autovettura;
che, dopo l’incendio dell’autovettura, i Meli avevano aperto
una loro agenzia di onoranze funebri e che Rosario Meli contattava chiunque potesse essere interessato a fruire del loro servizio, riuscendo ad avere più clienti nonostante praticasse prezzi di gran lunga superiori a quelli praticati dai due soci.
Premesso che, come ampiamente emerge dagli atti, a cominciare dall’informativa, Giuseppe Condello e colui che viene indicato come il suo “braccio destro” Vincenzo Priolo sono stati
rinvenuti assassinati a colpi di arma da fuoco la mattina del 26
gennaio 2012 nella contrada Cipolla di Palma di Montechiaro,
è di tutta evidenza che la narrazione della vittima, offre la rap-
presentazione di una pesantissima attività estorsiva in suo danno,
iniziata subito dopo l’uccisione del Condello, da parte di
Rosario Meli, in concorso con Vincenzo Meli e Calogero
Piombo, consistente nella pretesa dell’indebito pagamento di
somme di denaro accompagnata da gravissime minacce, implicite ed esplicite. Fattispecie aggravata dal c.d. “metodo mafioso”,
certamente integrato da una condotta posta in essere da chi, presentatosi alla vittima poco dopo l’uccisione di chi aveva fino a
quel momento imposto il “pizzo” alla stessa vittima ed era ritenuto dalla stessa colui che praticava le estorsioni a Camastra e
che aveva estromesso del tutto la famiglia Meli da ogni attività
illecita di Camastra, gravato da precedente condanna definitiva
per associazione di tipo mafioso e ampiamente conosciuto nella
piccola comunità camastrese come tale, pretende di subentrare
all’ucciso nella riscossione delle somme estorte e si dichiara
come colui che ora comanda a Camastra.
Va subito evidenziato, però, che da detta narrazione non emerge
che alle richieste estorsive del Meli abbia fatto seguito alcun
pagamento da parte delle vittime. In particolare, per quanto risulta dalle dichiarazioni delle
vittime, nell’occasione in
cui omissis, venendo
incontro alla richiesta del
socio, si è recato presso la
tabaccheria di Calogero
Piombo, come preteso dal
Meli, e lo stesso omissis
ha consegnato al Meli soltanto il “conto” di quanto
dovuto ma non anche il
denaro. E, inoltre, nel
prendere atto di detto
“conto” il Meli restò del
tutto insoddisfatto.
Anzi, più in generale, la
vittima ha inteso sottoliDomenico Friscia
neare come, riferendosi
alle richieste di Rosario
Meli e Vincenzo Meli, egli non si sia “mai sottomesso alle loro
volontà” (così, in particolare, nelle dichiarazioni del
3.11.2012).
Dunque, stando al racconto della vittima, rispetto alla quale va
subito detto che non ci sono ragioni per metterne in dubbio la
complessiva genuinità, la condotta di estorsione subita dalla stessa non ha raggiunto la soglia della consumazione, arrestandosi a
quella del tentativo.
Conclusivamente, sul punto, sussiste la condizione generale dei
gravi indizi di colpevolezza, per l’applicazione delle misure
cautelari personali, a carico di Rosario Meli, Vincenzo Meli e
Calogero Piombo. Invece, ancorché sia plausibile ipotizzare
che Giuseppe Meli sia stato perfettamente a conoscenza dell’attività estorsiva posta in essere dal padre e dal fratello con il
concorso di Piombo e che l’abbia pienamente approvata, non ci
sono evidenze di un suo specifico contributo rispetto alla realizzazione del delitto in questione.
Per Giuseppe Meli, quindi, la richiesta del Pubblico Ministero
nei confronti di Giuseppe Meli non può essere accolta.
I pentiti sul medico Scirica: coinvolto in un omicidio; curava i latitanti
Continua da pagina 1
Per meglio delineare la figura dello Scirica, va tuttavia e
preliminarmente fatto cenno a quanto è emerso a suo
carico, sia da alcune ordinanze custodiali emesse
dall’Autorità giudiziaria, sia dalle dichiarazioni rese, sul
suo conto, da alcuni collaboratori di giustizia.
In particolare: nell’ordinanza relativa all’operazione c.d.
“Scacco Matto”, lo stesso, in una conversazione tra
Giuseppe La Rocca e Gino Guzzo, è stato indicato come un
soggetto inserito nella massoneria menfitana. Proprio il
Guzzo riferiva di conoscerlo, in quanto vicino a “Cosa
nostra” ed in particolare al mafioso Leo Sutera il quale, in
Pellegrino Scirica
forza di tale rapporto di fiducia amicale, gli aveva affidato le
armi della famiglia mafiosa di Sambuca di Sicilia. Dette armi
erano state, in parte, rinvenute nel corso di un controllo di polizia subìto dallo Scirica, che,
nel frangente, tenendo un comportamento assolutamente paradigmatico dei soggetti vicini
all’organizzazione, si addossava la relativa responsabilità, riferendo agli investigatori false
informazioni circa la provenienza delle armi.
In merito a tale vicenda, il collaboratore di giustizia Calogero Rizzuto riferiva di esserne a
conoscenza, precisando di sapere che vi era coinvolto un dottore, ma non sapeva che si trattasse di Scirica, che peraltro non ha mai conosciuto personalmente.
In merito alle dichiarazioni fatte sul suo conto da alcuni collaboratori è emerso che lo stesso,
per quanto riferito da Patrizio Cammarata, ha occultato delle armi, utilizzate insieme ad
altri suoi sodali, per commettere danneggiamenti, estorsioni e furti in Menfi. Inoltre, è stato
indicato come soggetto coinvolto anche nell’omicidio di Giuseppe Chillà.
Il collaboratore Giuseppe D’Assaro, riferendo di un periodo di latitanza trascorso a Menfi
ospite di tale Francesco Montalbano, dichiarava di essere stato alloggiato in una villetta, in
cui si trovava anche un altro latitante, a lui noto come “lo zio Nardo”, il quale aveva bisogno di cure mediche. Il Montalbano avrebbe condotto nella detta abitazione un medico che
veniva riconosciuto più volte dal D’Assaro in Pellegrino Scirica. E’ emerso che, in diverse
occasioni, Scirica ha incontrato presso il proprio studio medico Vito Bucceri. E se in talune
occasioni il motivo è stato chiaramente legato a questioni di natura professionale, in diverse
e numerose altre, analizzando i contatti telefonici prodromici agli incontri, nonché il profilo
comportamentale dei protagonisti e le intercettazioni ambientali all’interno del detto studio
medico, è apparso chiaro che, nel corso degli stessi, si sono trattate tematiche certamente
riconducibili alla consorteria mafiosa. A tal proposito, è risultata particolarmente significativa una conversazione tra i due nel corso della quale veniva ribadito che nessuno avrebbe
potuto contestare la presenza nello studio medico del Bucceri che sarebbe stata sempre giustificabile dai motivi di assistenza medica. Altresì, in diverse conversazioni intrattenute dallo
Scirica con soggetti a lui molto vicini tra cui: Francesco Mauceri, Agostino Napoli ed
anche con lo stesso Vito Bucceri, si faceva riferimento alla necessità, da parte sua, di eludere i controlli in occasione dei suoi viaggi e permanenze a Sambuca di Sicilia. Lo Scirica si
sarebbe voluto recare in quel centro al fine di incontrare Leo Sutera a cui, come detto, è legato da una amicizia storica, oltre che dai rapporti relativi al sodalizio mafioso che stanno alla
base delle sue vicende giudiziarie. Di rilievo è stata ancora la circostanza legata al rinvenimento, da parte di Scirica e dei suoi amici Francesco Mauceri e Agostino Napoli, della
microspia installata sulla vettura dello Scirica, che in seguito è stata disattivata. Questo atteggiamento ha fatto, chiaramente, intendere che lo Scirica, essendo ben consapevole che all’interno della detta autovettura avvenissero conversazioni sensibili su temi tutt’altro che leciti,
non solo ha ricercato la microspia, ma si è adoperato affinché la stessa venisse disattivata (e
non da soggetti qualsiasi), interrompendo in tal modo ogni forma di intercettazione a suo carico.
Sono emersi altesì dei rapporti tra lo Scirica e Domenico Friscia. Tra i due non vi sarebbero né giustificati rapporti di natura professionale, né relazioni di amicizia o parentela - per cui
appare evidente che il legame è inevitabilmente originato dalla comune appartenenza al sodalizio criminale seppure con ruoli diversi ed in riferimento a differenti ma contigui ambiti territoriali. Di rilievo, in tal senso, risultava una considerazione fatta da Scirica con Giuseppe
Alesi all’interno dello studio medico, circa il desiderio del dottore di incontrare Friscia con
cui riferiva di avere una conoscenza datata. Tale conversazione è avvenuta dopo la consegna
dei carciofi da Alesi a Friscia, per conto di Bucceri. Appare importante focalizzare tale episodio, in quanto non vi era stato alcun palese motivo, da parte di Alesi, di informare Scirica
di tale suo incontro, se non quello di far sapere al soggetto più autorevole (la c.d. “memoria
storica” del gruppo, cioè Scirica ) che Vito Bucceri, capo della famiglia locale, aveva riallacciato i contatti con Friscia, noto esponente della famiglia mafiosa saccense.
L’appartenenza di Scirica a “Cosa nostra” menfitana e la piena conoscenza delle tematiche
legate alla consorteria è dimostrata altresì dal dialogo con Tommaso Gulotta nel corso del
quale i due commentavano l’incontro avvenuto poco tempo prima tra Vito Bucceri e Pietro
Campo, al quale il Gulotta aveva fatto da autista.
Complessivamente, pertanto, appare oltremodo chiaro il ruolo dello Scirica come elemento
di interconnessione e trasmissione di messaggi tra i vari soggetti indagati.
Infine, giova ricordare che sono emersi a carico di Scirica una serie di contatti con Nicola
Accardo, il quale ha utilizzato un’utenza intestata ad altro soggetto, incensurato. Dal tono dei
dialoghi è apparso chiaro che i due hanno un rapporto di grande amicizia e di frequentazioni
che coinvolge anche la famiglia dell’Accardo.
Leo Sutera e Pellegrino Scirica, incontro a Menfi 16 maggio 2016
Nicola Accardo risulta essere figlio di Rosalia Marinesi, vedova di Francesco Accardo
mafioso di Partanna assassinato negli anni 80 unitamente al fratello. In occasione di tale
delitto, il figlio Nicola Accardo, sul conto del quale risultano numerosi precedenti penali, è emigrato in Colombia dove è rimasto per oltre dieci anni. Per alcuni legami di amicizia e parentela Accardo risulta vicino al boss latitante Matteo Messina Denaro.
Oltremodo significativo e degno di particolare attenzione, è stato l’evento verificatosi
in data 18 maggio 2016, allorquando Scirica incontrava a Menfi, anche all’interno
Pellegrino Scirica incontra Angelo Gennusa
della concessionaria B-Motors, Leo Sutera.
In detta circostanza appare chiarissimo l’atteggiamento di amicizia ma anche di grande sudditanza e rispetto tenuto dal medico nei confronti del Sutera. Lo Scirica, infatti, nonostante
fosse arrivato in macchina all’interno della concessionaria insieme al Sutera, in maniera
oltremodo appariscente e con il chiaro intento di mostrare ai presenti il grado di amicizia e
confidenza che lo lega a quest’ultimo, più volte lo salutava abbracciandolo affettuosamente.
In seguito, intratteneva con lo stesso un colloquio riservato, sia all’interno di un ufficio della
concessionaria, che nel piazzale esterno della stessa – incontro che si protraeva per diverse
decine di minuti con le medesime suggestive ed emblematiche gestualità tra i medesimi.
Dall’analisi delle immagini appare chiaro che, in alcuni tratti, il dialogo tra i due si svolge in
maniera particolarmente riservata e su temi che non devono ragionevolmente essere percepiti da altri, al punto tale che i due sono costretti a tratti a stare fisicamente molto vicini. Alla
luce di tale episodio, appare chiara la posizione dello Scirica quale elemento a pieno titolo
organico al gruppo associativo menfitano, con il quale Leo Sutera (che è stato e che verosimilmente ancora è uno degli elementi di vertice di “Cosa nostra” agrigentina), intrattiene
relazioni di grande amicizia e confidenza e con cui si trova a colloquiare a lungo e in condizione di riservatezza su temi certamente legati agli attuali assetti organizzativi del predetto
segmento criminale.
A carico dello Scirica, inoltre – ed a conferma della particolare spregiudicatezza e disinvoltura nell’esercitare prevalentemente a fini illeciti la sua attività professionale – si è ampiamente accertato che lo stesso ha rilasciato a numerosi soggetti, certificazioni mediche palesemente non supportate da visite mediche da lui preventivamente eseguite o certificazioni
redatte ex post o postdatate rispetto alla data riportata sui certificati emessi. Il tutto finalizzato a far ottenere ai destinatari finali dei certificati, giustificazioni per assenze o esenzioni temporanee dalle proprie attività lavorative o per non prendere parte ad attività di udienza in
Tribunale – fatti in relazione ai quali si procederà ad ulteriori accertamenti e che rientrano
nella competenza territoriale di altra autorità giudiziaria.
Cassazione conferma ruolo di boss per Leo Sutera e Fabrizio Messina
Giornata campale l’altro ieri in Cassazione dove si discutevano numerosi ricor- Falsone), Messina, Tarallo e Ribisi.
Ma c’è di più: per Sutera e Messina si profila il rischio di un aggrasi riguardanti imputati del processo “Nuova cupola”, ossia
vamento delle pene inflitte dato che la loro posizione è stata rinviaNatale Bianchi, Pietro Capraro, Luca Cosentino, Antonio
ta al giudizio della Corte d’appello per valutare in appello sarà nuoGagliano classe 1972, Giuseppe Infantino, Fabrizio Messina,
vamente processato e si valuterà l’aggravante riciclaggio e quindi
Francesco Ribisi, Leo Sutera, Giovanni Tarallo, Gaspare
per Sutera la pena di 3 anni (già scontata al 41 bis) potrebbe essere
Carapezza, Dario Giardina, Maurizio Rizzo, Lucio Vazzano.
aumentata
La Suprema corte ha deciso sul ricorso presentato dal
Per Fabrizio Messina discorso simile: è stata confermata la pena di
Procuratore generale e dagli avvocati degli imputati, accoglien4 anni per mafia ritenendolo il nuovo capo a Porto Empedocle, ma
do parzialmente i ricorsi del primo, ma non pere tutti gli impuadesso subirà un altro processo per valutare anche una estorsione
tati.
e l’aggravante del riciclaggio. Dunque i quattro anni inflitti potrebLe posizioni più significative erano quelle di Leo Sutera,
Fabrizio Messina, Francesco Ribisi e Giovanni Tarallo. C’era Leo Sutera e Fabrizio Messina bero aumentare. Anche Messina ha già scontato la pena. Per
Tarallo e Ribisi è stato confermato il 416 bis con rispettivi ruoli.
da stabilire se i quattro boss avessero avuto nel tempo ruolo di
Con il processo d’appello bis potranno avere una riduzione o un aumento ma si
comando all’interno di Cosa nostra.
La Suprema corte ha confermato le sentenze precedenti sancendo così il ruolo di discuteranno aggravanti varie e l’estorsione alla gelateria di San Leone “Le
guida all’interno della mafia agrigentina di Sutera (sarebbe stato il successore di cuspidi”. I rischi sono enormi.
Cupa Agrigento, i buoni propositi del presidente Armao
SABATO
23 LUGLIO
ATTUALITA’, CRONACA, CULTURA
2016
Intervista di Diego Romeo al Presidente del Consorzio Universitario
Non solo giornalisti erano presenti all’insediamento del neo presidente del Cupa
Gaetano Armao e del Consiglio di amministrazione che è composto dal vice presidente Giovanni Di Maida, il cardiologo Giovanni Vaccaro, il farmacista Paolo
Minacori, ai quali a brev si aggiungerà un altro membro nominato dalla Regione
Siciliana. L’intero Consiglio di amministrazione, estimatori, sindacalisti e funzionari
hanno esternato le loro congratulazioni ad Armao in procinto di guidare una delle più
difficili stagioni della nostra Università.
Ecco l’intervista a Gaetano Armao neo presidente del Cupa
Dottor Armao, perché l’attuale soluzione trovata per il Cupa non potremo più
considerarla una “soluzione tampone”?
“Innanzitutto c’è un sacrosanto diritto del territorio soprattutto degli studenti, chiaro e
nitido sul futuro formativo che li attende. Partecipare a un seminario o a un convegno
si può fare una tantum, intraprendere il cammino formativo è una cosa che impone
chiarezza e puntualità. Nulla può essere episodico ci vogliono programmi chiari, lineari e puntuali e soprattutto professionalità. Il capitale umano di questa provincia è
importantissimo, in Italia ed Europa ci sono agrigentini che fanno attività Primarie con
grandi capacità e grande professionalità. Questo capitale non deve essere disperso e
può non essere disperso se si punta a dare capacità culturali e professionali ai giovani e se queste capacità sono coerenti con una domanda che viene dal territorio, dall’economia”.
Con quali novità o aspetti salienti verrà configurata la nuova governance?
“Ho registrato la grande attenzione e il senso di responsabilità del sindaco, del presidente della Provincia a dare una risposta immediata all’ansia di questo territorio per
avere una attività formativa in loco e di qualità correlata con l’università. E’ finita una
stagione, non funzionano più i poli mono-universitari ma funziona un polo che può
essere un centro di propagazione culturale che diversifica l’aspetto formativo insieme
ad altre università attraverso anche modalità telematiche o attraverso la realizzazione di percorsi professionalizzanti, di specializzazione o di alta formazione che abbiano
una correlazione con altri atenei”.
In passato si è notato che le difficoltà finanziarie potevano essere prese come alibi.
Saranno evitate e come?
“I problemi finanziari vanno affrontati con criteri di chiarificazione con gli enti che in
questo momento sono i finanziatori del Consorzio e cioè Regione, Provincia, Comune
e Camera di commercio, Bisogna ampliare l’area e altri comuni saranno chiamati
anche simbolicamente a intestarsi questo rilancio dell’offerta formativa del Cupa. E
poi direi di coinvolgere le imprese, le istituzioni bancarie, finanziarie perché in qualche modo il futuro di questa avventura passa attraverso i protagonisti economici e istituzionali del territorio, ho percepito una determinazione a rilanciare. Sono convinto
che il rilancio l’otterremo”.
I componenti del Cda del Cupa col presidente Armao (a destra)
I Beni culturali erano sbandierati come una finalità precipua poi si è diffuso il
timore di un inspiegabile abbandono. Adesso che ne sarà?
“Io mi occupo di beni culturali sia professionalmente perchè sono stato assessore e per
me i beni culturali sono veramente la leva della crescita insieme al turismo. Pertanto
penso che l’offerta formativa del settore beni culturali, l’archeologia ma soprattutto
dell’uso in prospettiva turistica, la loro valorizzazione credo sia la prospettiva da percorrere con professionalià maturata, cresciuta e formata in loco. Quindi l’esigenza è
primaria, c’è una domanda di servizi elevatissima, purtroppo però non accompagnata da altrettante professionalità. Ho chiuso accordi col Getty Museum di Los
Angeles, il British Museum di Londra e proprio lì ho percepito la grande attenzione
verso il nostro territorio ma anche l’esigenza di creare scambi, joint venture, lavorare
insieme e per far questo oltre agli straordinari beni che ci hanno lasciato i nostri progenitori, noi dobbiamo metterci del nostro, la nostra professionalità, capacità, anche
fantasia per realizzare percorsi multimediali, percorsi innovativi, notturni, diurni.
Insomma credo che abbiate qui una grande esperienza acquisita che insieme a professionalità e nuove energie tra pubblico e privato darà grandi risultati come del resto
avviene in tutta Europa”.
Parola d’ordine, quindi, stabilità per ridare fiducia alle famiglie e ai nuovi iscritti.
“Parole d’ordine pure il rilancio dell’offerta formativa, innovazione, professionalità.
Queste sono le carte che vogliamo giocarci, che gli enti locali ci hanno dato mandato
di giocarci. Ma tutto passa attraverso una prima analisi del contesto finanziario, della
sostenibilità dei costi. In maniera seria perché io non andrò in giro col cappello in
mano ad elemosinare soldi per passare da un mese all’altro. Non è questa la gestione
e dopo il risanamento intendo ringraziare la professoressa Immordino e il precedente
Consiglio di amministrazione che hanno fatto un lavoro importante. Dobbiamo capire la sostenibilità del contesto, stare attenti finanziariamente altrimenti bisognerà
fare operazioni di razionalizzazione che sono coerenti con la prima missione del consorzio che è quella di guardare a coloro che formiamo. I nostri utenti e giudici sono gli
studenti, se gli studenti gradiranno l’offerta formativa questo consorzio avrà un futuro,
se non gradiranno il consorzio non avrà alcun futuro ancorchè abbia enti locali a sborsare risorse. Il tema vero è che la formazione deve guardare a coloro che forma, che
sono i veri e principali interlocutori dell’offerta formativa”.
La soluzione trovata non può più essere considerata una soluzione tampone e nel
rispondere alle domande dei presenti, Gaetano Armao, ha tenuto a sottolinearlo. Non
per caso si era portato dietro facendo bella mostra di se un libro-inchiesta sulle difficoltà
che incontrano oggi le università del Nord e del Sud.
Quasi un modo di esorcizzare i problemi e affrontarli con giusta causa.
San Calò colpisce ancora: Arnone
sospeso
per
4
mesi
dalla
professione
L’amarezza del procuratore Di Natale
Dalla parte degli infedeli
di Enzo Alessi
Quadro primo – Non svegliatemi
In quest’ultimo periodo non c’è giornata che i mezzi di
comunicazione ti aggrediscano con morti ammazzati.
Morti per stragi, per terribili incidenti, per colpi di stato
falliti; esseri umani, spesso giovani, che perdono la vita
in maniera inconsapevole; e famiglie distrutte dal dolore.
Ci stiamo abituando alle decine, centinaia di morti.
Che umanità è questa? Comincio ad avere orrore dell’umanità e quindi di me stesso. e mi viene da supplicare: non svegliatemi se il buon giorno prevede stragi
e tragedie. Ma se poi gli occhi si aprono e la vita continua, se poi, comunque, dobbiamo far i conti con i piccoli (o per noi grandi) problemi d’ogni giorno, facciamo prevalere i pochi valori che ancora rimangono; se
non altro per difendere i ragazzi che sono attorno a noi,
unica speranza per i giorni che verranno.
Quadro secondo – Vip ladri
Giornale “La Repubblica” del 17 luglio 2016, pagina IV
delle cronache siciliane, articolo a firma di Adriana
Licausi: “Quei Vip di San Leone che rubano l’acqua per
riempire le piscine”. E l’articolo prosegue mettendo in
risalto che la truffa riguarda imprenditori, ex politici, professionisti. La scoperta sarebbe stata fatta dalla società
che gestisce la rete idrica nella zona di Viale dei Pini.
L’autrice dell’articolo mette in evidenza che in quella
zona c’è pure l’abitazione del ministro Alfano anche se
precisa che il ministro non è coinvolto.
Insomma, ci sarebbe un noto imprenditore che nella sua
villa con piscina sono stati riscontrati ben dodici tubi,
cioà allacci alla rete idrica non regolari. Ed altri illeciti ci
sarebbero per altri personaggi che avrebbero potuto tranquillamente pagare secondo legge perché i soldini se li
trovano.
Se quanto emerso verrà riscontrato come vero dalla
magistratura, c’è davvero da vergognarsi con simili vip.
Ma dai tempi della bella vita agrigentina degli anni
Cinquanta c’è sempre stata una Agrigento a due corsie:
gli impuniti della cosiddetta Agrigento bene e la corsia
della città normale, costretta ogni giorno a fare i conti per
vivere e a volte sopravvivere.
Quadro terzo – Il saluto del Procuratore della
Repubblica
Con una sua intervista (lucida come sempre) Diego
Romeo su Grandangolo mette in evidenza che il dott.
Renato Di Natale lascia Agrigento perché va in pensione.
A chi non l’ha letto rimando alla lettura del numero di
questo giornale del sedici luglio. Riporto solo il saluto
finale del dott. Di Natale: “Ringrazio quella parte della
città di Agrigento che ha compreso e apprezzato il lavoro
di questo ufficio”.
Il magistrato con questo saluto tradisce una certa amarezza; perché c’è stato chi, contro la procura di
Agrigento, rea di non guardare in faccia questo o quello,
ha avuto espressioni calunniose. Un giudice ha un solo
punto di riferimento: la legge.
Ho ancora in mente un film degli anni Cinquanta di
Pietro Germi: “In nome della legge” e la scena finale
quando un giovane pretore con accanto due carabinieri va
verso un assassino e dice la formula di rito: “In nome
della legge, la dichiaro in arresto”. Ecco, in quel momento si realizza la forma più alta del ruolo del giudice, come
la si realizza quando la sentenza in questa Repubblica
democratica si pronunzia in “nome del popolo italiano”.
A mio avviso la Procura di Agrigento in questi recenti
anni ha agito in nome della legge non facendosi tirare la
giacca da un lato o dall’altro. Sia chiaro, un giudice,
essendo umano, può anche sbagliare. Ma se lo fa non per
favorire ma in nome della legge (spesso dovrebbero essere le leggi più chiare) quel giudice merita rispetto. E la
Procura di Agrigento, retta dal dott. Di Natale, ha sempre
avuto il rispetto di buona parte della città. e la parte in
dissenso che calunnia è cosa minima.
Quadro Quarto – Auguri dott. Castaldo
Il procuratore Renato Di Natale
E così apprendiamo che Giuseppe Castaldo, una delle
penne più acute di Grandangolo, è dottore in
“Multimedialità per l’arte e la comunicazione”, conseguita presso l’università Kore di Enna con la tesi dal titolo “Cosa loro, la mafia raccontata tra analisi e denuncia”,
relatore il prof. Salvatore Ferlita. Si riporta la notizia che
Castaldo si è laureato assieme a Nello Musumeci, attuale
deputato regionale. Per Castaldo, questa laurea è un
impegno per il futuro; per Musumeci, speriamo, una
buona vecchiaia.
Segue da pagina1
Dopo la “ricostruzione” che gli hanno fatto della sua vita
al Csm, dopo la “ricostruzione” fattagli dal questore, ora
c’é anche quella fattagli dall’Ordine degli Avvocati.
L’atto é certo. La decisione sarebbe la n. 3 del 2016, depositata l’1/7/2016 dal Cdd (Consiglio distrettuale di disciplina) di Palermo. Occhio alla data: depositata il primo di
luglio del 2016. Cioè due giorni prima della festa di San
Calò. Noi che conosciamo bene San Calò e la
sua imprevedibilità lo andavamo dicendo in
giro da un po’ di giorni a tutti coloro che pensavano che come punizione l’assoluzione di
Sodano gli potesse bastare e che San Calò si
sarebbe fermato lì: “badate che San Caló é
stufo. Ormai non lo sopporta più. Non ne può
più di assistere ai suoi gesti di vanagloria, alla
sua malafede, alla sua cattiveria. Vedrete che
non gliela far passare liscia. Si, la botta che gli
ha dato con l’assoluzione di Sodano é forte,
ma é pur sempre una botta indiretta. San Calò
di solito non si placa se non gliene manda una
direttamente a lui”. Ed era per questo nostro convincimento che non eravamo tranquilli per le sorti di questo povero
ragazzo. Era una sensazione che ci tormentava. Eravamo
rimasti in apprensione fino all’ultimo giorno della festa di
San Calò. Avevamo scritto su Grandangolo che era stata
una settimana di passione, nel timore che San Calò gli rifilasse un’altra botta delle sue.
Ce lo chiedevamo di continuo: “possibile mai che gliela
Azzeccagarbugli del XXI secolo
Azzecca-garbugli è uno dei personaggi più famosi dei
Promessi sposi; è il soprannome di un avvocato di Lecco,
chiamato, nelle prime edizioni del romanzo, dottor Pettola
e dottor Duplica (nell’edizione definitiva il nome non viene
mai detto, ma solo il soprannome).
Il nome costituisce un’italianizzazione del termine dialettale
milanese zaccagarbùj che Francesco Cherubini traduce
“scioglitore di nodi”. È un personaggio del tutto secondario
nello svolgimento della vicenda, ma è rimasto famoso per l’abilità del Manzoni nel creare e nel descrivere la sua personalità. Viene chiamato così dai popolani per la sua capacità di
sottrarre dai guai, non del tutto onestamente, le persone.
Spesso e volentieri aiuta i Bravi, poiché, come don
Abbondio, preferisce stare dalla parte del più forte, per evitare una brutta fine.
Renzo Tramaglino giunge da lui, nel capitolo III, per chiedere se ci sia una grida che possa condannare don Rodrigo.
Inizialmente, l’avvocato crede che Renzo sia un bravo (infatti gli domanda che fine ha fatto il suo ciuffo, ed il giovane gli
risponde di non aver portato ciuffo in vita sua), e che sia
stato proprio lui a commettere il torto, e cerca di rassicurarlo sulla sua abilità nel tirarlo fuori dai guai; però, chiarito l’equivoco e sentendo nominare il potente signore,
respinge il giovane perché non avrebbe potuto contrastare
la sua potente autorità. Egli rappresenta quindi un uomo la
cui coscienza meschina è asservita agli interessi dei potenti. Compare anche nel capitolo V quando fra Cristoforo va
al palazzotto di don Rodrigo e lo trova fra gli invitati al
banchetto che si sta tenendo a casa appunto di don
Rodrigo.
Apparentemente, è un uomo di legge molto erudito e nel
suo studio è presente una notevole quantità di libri, il cui
ruolo principale è, però, quello di elementi decorativi piuttosto che di materiale di studio. Il suo tavolo invece è
cosparso di fogli che impressionano gli abitanti del paese che
vi si recano. In realtà non consulta libri da molti anni addietro,
quando andava a Milano per qualche causa d’importanza.
Fisicamente è definito dal Manzoni come un uomo di media
età, alto, asciutto, pelato, col naso rosso e una voglia di lampone sul viso, noto simbolo del vizio del bere. Porta una toga
che funge da veste da camera. Questa descrizione mette in
luce una connotazione negativa e allo stesso tempo ridicola
dell’avvocato. Il suo nome Azzeccagarbugli è dovuto al fatto
che «azzeccare» significa “indovinare” e «garbugli» “cose
non giuste”, quindi: indovinare cose non giuste.
Ma non sarebbe stato il Manzoni a coniare l’accoppiata tra il
verbo “azzeccare” e il sostantivo “garbuglio” stante che quando la parola entrò nei Promessi Sposi, aveva un’età superiore ai tre secoli. Il primo ad usarla fu Niccolò Machiavelli che,
in un passo delle Legazioni (1510), scrive: “Voi sapete che i
mercatanti vogliono fare le cose loro chiare e non azzeccagarbugli”.
Questa spiegazione si trova nel Dizionario italiano ragionato e nel Dizionario etimologico di Cortelazzo-Zolli mentre
gli altri vocabolari si limitano a indicare soltanto la matrice
manzoniana. È giusto dare a Niccolò quello che è di Niccolò,
ricordando inoltre che il Manzoni era un conoscitore dell’opera di Machiavelli ed è probabile che sia stato ispirato dal
citato passo. Non si dimentichi, infatti, che nella prima stesura dei Promessi Sposi il personaggio si chiamava “dottor
Pettola” non Azzeccagarbugli.
Azzeccagarbugli è un leguleio, un vile parassita seicentesco,
uomo di tal secolo anche nel suo distinguer formale. La sua
psicologia è la più vicina a quella di don Abbondio, ma il
pauroso è qui diventato il diplomatico servitore di signori. Ha
l’egoismo fisiologico del beone e del parassita; sulla sua psicologia di parassita s’innesta la sua nota prudenza vile e la sua
miserabil doppiezza. Egli teme il signore potente e volge l’istruzione contro i deboli in favore dell’oppressore. Nel
Capitolo V il brindisi finale nel palazzotto di don Rodrigo, a
cui partecipa Azzeccagarbugli, ha la pompa ed il vacuo formalismo del secolo.
Ora, se rapportiamo la figura di Azzeccagarbugli con
l’Agrigento del XXI secolo subito all’occhio balzano due
dati.
Nella città dei templi gli Azzeccagarbugli sovrabbondano.
Ma uno é più Azzeccagarbugli di tutti.
Uno che veramente più degli altri è un leguleio, la cui psicologia è più vicina a quella di don Abbondio, del vile per antonomasia. Chi sia questo infimo personaggio lo sanno tutti.
E, cari lettori, lo sapete anche voi.
Non c’è alcun bisogno di spiegarvelo.
Come direbbero i legulei: é un fatto notorio !
Girolamo Savonarola
faccia passare liscia? Possibile mai che si sia accontentato
di dargli solo una sberla come quella di fare assolvere il suo
rivale?”. Alla fine vero é che l’assoluzione di Sodano é
stata considerata da Pepé come una condanna per sé stesso, però sempre un’assoluzione per Sodano era. A Pepé é
costata alcune migliaia di euro per l’acquisto dello spazio
su “La Repubblica” per preparare il terreno in vista dell’auspicata condanna, gli é costata una sonora malafigura
per come si era preparato all’evento, gli é costata in termini di sofferenza fisica e psichica, però
non si trattava di un danno diretto, di una botta
presa sulle sue carni. Adesso abbiamo avuto la
conferma dei nostri timori, abbiamo avuto la
conferma che San Calò non perdona. Almeno,
che non perdona Pepé: questo è poco ma sicuro.
Quatto quatto, muto muto, gli ha rifilato un altro
colpo che gli lascia il segno sulle carni.
Vista la ben nota imprevedibilità di San Calò
non eravamo in grado di prevedere da dove gli
potesse arrivare, ma che qualcosa gli sarebbe
accaduto era presumibile dopo che San Caló si
era incavolato come una biscia con il nostro Pepé, per la
malafede che aveva scorto nelle sue ultime mosse. Già il
giorno della festa era chiaro che il clima non era dei più
tranquilli. L’espressione di San Calò era di uno che non la
raccontava giusta. La gente era in tripudio per l’assoluzione a Sodano e la botta data a Pepé, San Calò incassava i
ringraziamenti e i baci dei fedeli, ma la sensazione che dava
era che qualcosa stesse bollendo in pentola
E così, il fattaccio é avvenuto: Pepé é stato sospeso, con
ignominia, per quattro mesi dall’Ordine degli avvocati.
Sospeso? Si, sospeso. Per quattro mesi (il ricorso sospenderà l’esecuzione) non può esercitare la professione. Niente
di grave rispetto a quello che gli capiterà in futuro: arriverà il momento in cui non la potrà esercitare più la professione; altro che quattro mesi!
Però, intanto, é sospeso per quattro mesi. Pepé, come scrive Dante nel secondo Canto dell’Inferno é “tra color che
son sospesi”. Il sommo Dante quando si accinge a compiere il suo viaggio negli inferi é dubbioso. Ricorda che
a fare questo viaggio nell’inferno, finora erano stati
solo Enea e San Paolo. Ma lui non era né Enea né San
Paolo e non scorgeva buone ragioni per scendere verso
l’inferno, temendo di trovarsi in una situazione difficile.
“...Ma io perché venirvi? o chi ‘l concede?//Io non
Enea, io non Paulo sono;// me degno a ciò, né io né altri
‘l crede...”//// “...Io era tra color che son sospesi// e
donna mi chiamò, beata e bella,// tal che di comandare
io la richiesi...”. Ecco, ai dubbi di Dante risponde, incoraggiandolo, Virgilio, che “era tra color che son sospesi”.
Ora anche Pepé può dire, come Virgilio, di essere “tra
color che son sospesi..”. Solo che la sospensione in cui
si trova Pepé non ha niente a che vedere con la “sospensione” di Virgilio. L’essere “sospesi” alla maniera di
Virgilio, per Dante vuol dire trovarsi nel “Limbo”, essere in “attesa di giudizio”. Nel caso di Pepé, l’essere
“sospeso” vuol dire avere già ricevuto un giudizio. Un
giudizio di condanna. Pesante condanna, visto che si tratterebbe della sua ennesima sospensione. Oltre a fare collezione di condanne, di imputazioni, di malafigure, fa collezione anche di “sospensioni”.
“Oh pietosa colei che mi soccorse...”, scriveva Dante
Alighieri.
Attila
Settimanale di informazione, politica ed attualità
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Grandangolo numero 29 del 23 luglio 2016
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