Mons. Luigi Ernesto Palletti: Eucaristia e la via dell`abitare

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Mons. Luigi Ernesto Palletti: Eucaristia e la via dell`abitare
Congresso Eucaristico Nazionale (Genova 15-18 settembre 2016)
Catechesi tenuta sabato 17 settembre 2016
nella Basilica S. Maria Assunta di Carignano da
S. E. Mons. Luigi Ernesto Palletti,
Vescovo di La Spezia-Sarzana-Brugnato
sul tema
L’Eucaristia e la via dell’abitare
Mi è stato chiesto di cercare di riflettere con voi sul tema dell’Eucaristia; sapete
che i momenti di catechesi e riflessione sono impostati sui 5 verbi del Convegno
Nazionale di Firenze. Per noi il verbo è ‘abitare’. Quello che cercheremo di fare oggi è
vedere come il mistero dell’Eucaristia, celebrato, ricevuto e vissuto ci possa portare ad
“abitare”. Perché in effetti è importante celebrare, ma è altrettanto essenziale abitare
ciò che viene celebrato, in modo da non rimanerne degli spettatori o, in un certo qual
modo, dei funzionari ed entrare nel Mistero vivo che il Signore pone di fronte a noi. Mi
sembra bello iniziare questo momento attingendo a quello che ci è stato consegnato al
Convegno di Firenze per una riflessione personale e comunitaria. Ad ogni verbo sono
state affiancate alcune piccole riflessioni. Vi leggo le 5 piccole frasi che sono state
abbinate al verbo abitare: “Si può abitare in una casa senza conoscere chi ci vive
accanto”, “Si può stare in un posto senza starci mai”, “Si può consumare senza pensare
che cosa succede dopo”, “Ci si può arrabbiare perché le cose non vanno senza partecipare,
senza lottare”, “Si può vivere senza abitare”.
Cinque piccole frasi che introducono bene al verbo e aiutano a capire non solo la
dinamica di quello che viene chiesto, ma anche la criticità con cui spesso noi accogliamo
questo verbo. Allora, lasciandoci interpellare da questo, cerchiamo di entrare nel
Mistero dell’Eucaristia per vedere come ci porti ad abitare e, soprattutto, a cosa abitare.
Il verbo “abitare” si rifà pienamente al mistero della Redenzione, al mistero
dell’Incarnazione. Se pensiamo, il Vangelo di Giovanni dice: “E il Verbo si fece carne e
pose la Sua tenda in mezzo a noi”. Il primo agire di Dio non è quello di passare “accanto”
o “sopra”, ma “dentro”. E quel Verbo che pose la Sua tenda in mezzo a noi è quel Verbo
che dirà di essere il pane della vita. “Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Chi mangia
di me vivrà per sempre”. E dunque anche la dimensione del pane è una dimensione
dell’abitare. E’ vero, noi adoriamo l’Eucaristia, ma fondamentalmente noi riceviamo,
penetriamo nell’Eucaristia; la facciamo abitare dentro di noi. E dunque il gesto
fondamentale è quello del Signore Gesù: “Prendete e mangiatene tutti”. Tre piccoli
riferimenti che ci fanno comprendere come il verbo “abitare” non sia la scusa per una
discussione, ma descrive un Mistero. Dio abita, Dio si dona, Dio si spezza per noi.
Possiamo dire che questo abitare non lo possiamo limitare ad un gesto o ad un momento,
dobbiamo coglierlo in un intreccio molto più grande, un intreccio vivo. Allora se
guardiamo la primitiva comunità cristiana (Atti degli apostoli al cap. 2), viene delineata
così: “Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli, nella comunione fraterna,
nello spezzare il pane e nella preghiera”. Pertanto “abitare” non vuol dire mettersi in un
luogo. E’ ovvio che siamo in un luogo. Quando viviamo siamo sempre in un luogo. Qui ci
viene chiesto di vivere degli spazi che, innanzitutto, sono gli spazi della presenza del
Risorto. In fondo, gli Atti al cap. 2 ci dicono che la comunità cristiana vive nello spazio
di Colui che è risorto e ce lo dicono in modo molto semplice. L’insegnamento degli
Apostoli: “Chi ascolta voi, ascolta me”; quello spezzare il pane, il gesto stesso
dell’Eucaristia: “Questo è il mio corpo”, quella comunione che identifica così
profondamente l’agire del discepolo del Signore Gesù e diventa spazio del Risorto:
“Quando due o più sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro”. E’ la preghiera
che diventa segno efficace: “E anche dove due si accorderanno di chiedere al Padre nel
mio nome, Io lo darò”. Gli Atti ci fanno entrare in un abitare che non è semplicemente
lo stare in una circostanza, in un luogo, ma stare profondamente negli spazi vitali, dove
con certezza noi possiamo incontrare il Signore risorto. Lo spazio per eccellenza è lo
spazio dell’Eucaristia, perché lì abbiamo addirittura la Sua presenza, la Presenza che ci
fa veramente porre un atto di adorazione. Solo che questa Presenza, che noi adoriamo e
riceviamo, non è una Presenza statica, ma una Presenza che ci introduce in un cammino.
Dunque “abitare” non vuol dire “stare fermi”, ma “stare dentro”. Abitare ci coinvolge nel
camminare. Si abita correttamente quando si cammina dietro al Risorto.
Allora, se io decido di abitare con quella Presenza, devo anche decidere di
camminare con quella Presenza, perché questo è ciò che ci viene proposto all’interno del
nostro cammino eucaristico. Se questo è l’abitare, dobbiamo iniziare a guardare l’abitare
all’interno di una relazione e la prima relazione è la nostra relazione con Dio. Se non
abitiamo quella relazione, non riusciremo neanche ad abitare le altre relazioni profonde
col nostro prossimo, perché abitare quella relazione vuol dire “ricevere identità”. Chi
abita riceve una identità e la riceve nella relazione. Noi, nella nostra cultura moderna,
identifichiamo le persone come luoghi: “Da dove vieni?” è la prima domanda che
facciamo. Un uomo dell’antichità, invece, direbbe: “Qual è la tua origine?”, “Di chi sei
figlio?”, perché l’identità è data dalla discendenza, non dalla città in cui si abita. La
grande promessa fatta ad Abramo fu sì la terra promessa, ma all’interno di una
discendenza. Allora l’Eucaristia ci permette di avere un incontro che ci conferisce
veramente di avere un volto, una identità, perché, se noi la guardiamo bene nel suo
svolgersi anche dinamico, vediamo che è l’ultimo grande gesto del Signore nel Suo
ministero storico, terreno. E’ un gesto che Lui chiederà di fare in memoria Sua. Ma
l’Eucaristia conferisce anche identità. I discepoli di Emmaus: “La sera di Pasqua Lo
riconobbero nello spezzare il pane”.
La primitiva comunità cristiana era caratterizzata dal fatto che si riunivano per
la frazione del pane. Una frazione fatta in memoria del Signore Gesù. Abitare l’identità
è importante perché, anzitutto, abitiamo Colui che riconosciamo Signore, ma anche
perché ci riconosciamo la comunità del Risorto. Noi abitiamo il frutto di quella
Eucaristia che è la nostra comunità, una comunità convocata. Gli “Atti” terminano quel
capitolo dicendo: “Il Signore aggiungeva alla comunità tutti coloro…”. “Il Signore
aggiungeva”. Non sono amici che si ritrovano, soci che si mettono insieme, ma sono
fratelli convocati, che si scoprono convocati dallo stesso Signore. Allora, l’Eucaristia dà
alla comunità cristiana una identità che non è l’identità della scelta, ma l’identità della
risposta. Noi non ci siamo scelti, ci siamo trovati accomunati attorno ad un unico
Mistero. Ora questo ci è chiesto di accoglierlo, non solo nella fede e concettualmente, ma
ci è chiesto di abitare questa comunità. La grande tentazione è di voler trovare la
comunità migliore, con il pastore migliore, con i fratelli migliori, nella storia migliore.
Questo è il modo migliore per non abitare la comunità, perché la Chiesa è quella che
vive oggi nella storia, con questa autorità, guidata da questi pastori, quella che nella
vita comune è animata da questi fedeli. Quella Chiesa che oggi vive qui.
Abitare l’Eucaristia non ci dispensa da questo, anzi ci inserisce profondamente.
Ecco allora che abitare un’identità, abitare insieme l’Eucaristia, ci porta ad abitare la
storia. Noi siamo chiamati ad abitare la nostra storia. Il Vangelo ce lo ricorda: “Siete
luce”, “Siete sale”, “Siete lievito” e lo siete dentro, dall’interno. Siamo chiamati ad
abitare la nostra storia dall’interno. La comunità è il luogo dell’Eucaristia, del pane
della vita, di Colui che ci abita perché noi impariamo ad abitare il nostro tempo. Questo
è un passaggio essenziale, di cui non dobbiamo e non possiamo fare a meno. Anche
perché l’Eucaristia, ce lo ricorda l’apostolo Paolo, “è rendere presente Lui finché Cristo
ritorni”. Rendere presente Lui in tutti gli spazi, in tutte le dimensioni, in tutti i tempi.
Non c’è spazio o condizione in cui l’Eucaristia non debba e non possa abitare la nostra
storia. Questo “finché Cristo ritorni” diventa per noi aprire quel gesto liturgico, in cui
sappiamo essere realmente presente il Signore Gesù, dentro la dinamica della nostra
esistenza. Essere luce, essere sale, essere lievito ci fa essere Chiesa in uscita: ci fa essere
luce per i fratelli, sale per i fratelli, lievito per i fratelli. “Nessuno ha un amore più
grande di questo: dare la vita per i propri fratelli”.
E’ ovvio che una comunità di questo genere deve superare delle tentazioni non
indifferenti. La prima grande tentazione è quella che Gesù cita nel Vangelo e che è
propria dei Suoi contemporanei: “Mangiavano, bevevano, lavoravano, prendevano
moglie, marito e non si accorsero di Lui”. Quanto è forte qui il richiamo dell’abitare. Se
sei una comunità eucaristica non puoi far parte di coloro che “non si accorsero di Lui”,
perché è un gesto che ci interpella, che ci chiede responsabilità. E’ vero, il Signore ci ha
fatto liberi e l’Eucaristia è il pane della libertà, però è altrettanto vero quello che negli
Atti degli Apostoli ci viene narrato di Paolo e di Sila, quando, al cap. 16, dopo essere
stati imprigionati, di notte avviene un grosso terremoto e si aprono i cancelli della
prigione, e allora il carceriere va subito a guardare che cosa è successo nel timore che i
due prigionieri siano fuggiti. E si stupisce perché non sono fuggiti. E questo ci fa capire
che quando Cristo ti libera non ti libera per fuggire, ma ti libera per rimanere.
Paolo, a carcere aperto, non è scappato. L’Eucaristia ci libera non per fuggire, ma
per farci rimanere, non per estraniarti dal mondo, ma per chiederti di abitare proprio
lì, in quello che stai facendo e, abitando in ciò che stai facendo, cambiarlo dall’interno.
E’ un po’ come lo spezzare il pane. “Spezzò il pane e lo diede”. E’ un donarsi ai fratelli,
che si porta dentro l’abitare la responsabilità. Se io abito una comunità e la comunione
eucaristica ha queste caratteristiche, sono chiamato ad abitare la storia e, se son
chiamato ad abitare la storia, sono chiamato ad abitare la responsabilità.
Non “mangiamo e beviamo perché tanto domani moriremo”, noi siamo chiamati
ad abitare con responsabilità la nostra storia. Le nostre scelte, i nostri passi, la nostra
vita hanno un peso. Per quanto invisibili, per quanto piccoli incidono sulla storia, nel
bene e nel male. Siamo chiamati ad assumerci una responsabilità autentica. Questa
responsabilità è dentro il Mistero della Pasqua e ci chiede di fare dei passaggi continui
e di accorgerci della Presenza del Mistero di Dio nei fratelli. Abitare la storia è fare il
contrario di quel che ha fatto Caino. Voi mi direte: “Caino ha ucciso il fratello e noi non
lo faremo mai”. Ma, dopo che Caino ha ucciso suo fratello, ha fatto una cosa che anche
noi possiamo fare. Quando Dio lo chiama e gli dice: “Dov’è tuo fratello?”, ha risposto:
“Sono forse io il guardiano di mio fratello?”. Se la comunità eucaristica è chiamata ad
abitare la storia non può dire, in termini moderni: “Affari suoi”. Capite allora quanto è
importante per noi comprendere la dinamica di questo gesto. Se ne capiamo la dinamica,
possiamo giungere alla pienezza del cammino che cerchiamo insieme di delineare. Noi
siamo chiamati ad abitare la Nuova Alleanza: quella Nuova Alleanza di cui noi parliamo
sempre, la lieta notizia del Vangelo, il rinnovamento continuo di questa alleanza con
Dio, l’Eucaristia, unico e grande sacrificio. Noi dobbiamo abitare l’alleanza, quindi
entrare dentro al gesto celebrato.
Ogni volta che riceviamo l’Eucaristia dobbiamo mettere insieme due narrazioni
che diventano importanti: “Prendete e mangiatene tutti, prendete e bevetene tutti” e
“Questo è per voi e per tutti”. E’ per voi ed è per tutti. Queste parole, che realizzano dal
punto di vista celebrativo questo gesto, sono essenziali. Se fosse solo “per voi”, sarebbe
ristretto ad un certo ambiente, se fosse solo “per tutti” spesso nel nostro linguaggio
corrisponderebbe al “per niente”. Invece l’Eucaristia, celebrativamente, viene
consegnata nel “per voi e per tutti”, perché nel “voi” c’è un volto concreto, a cui io faccio
riferimento e il “per tutti” dà un respiro infinito. Quel volto concreto vede tutti quei volti
che non potrà mai vedere ma che esistono e, nell’orizzonte di quei volti che so che
esistono, non vengo imprigionato da quell’unico volto, perché una comunità concreta
vive in maniera cattolica. La Nuova Alleanza dunque ci chiede di essere interpellati nel
rapporto personale con i fratelli e, nel contempo, in un rapporto universale.
Quell’alleanza per cui Gesù, quando nel Vangelo si trova davanti le moltitudini che
hanno fame, dice: “Date voi stessi da mangiare”. Quel gesto, cui seguirà il gesto grande
dell’Eucaristia, coinvolge direttamente. Vuole che siamo coinvolti. Abbiamo cinque pani
e due pesci. Ebbene, è una sproporzione infinita. Gesù, Figlio di Dio, può creare dal
nulla. Notate bene! Quando Gesù sfama quelle moltitudini non crea, ma parte da quei
cinque pani e due pesci. Questo è un essere interpellati profondamente. Se siamo la
comunità eucaristica che abita la storia, siamo anche la comunità eucaristica che abita
la Nuova Alleanza e la Nuova Alleanza ci vede coinvolti, non spettatori. Non possiamo
dire: “Noi siamo dispensati perché non avevamo”. Hai poco? Hai niente? Mettilo di fronte
al Signore. Questo è abitare la storia di tutti i giorni, abitare l’Alleanza di tutti i giorni.
Quell’abitare che si fa carità, che si fa prossimità e, soprattutto, si fa compagnia in un
cammino, si fa quelle opere di Misericordia che il Santo Padre ha messo così in evidenza
in questo anno, nella concretezza e visibilità di un volto, sapendo che quel volto non mi
imprigiona nel particolare, ma mi ricorda tutti quei volti che non posso vedere e che
esistono nel mondo. Allora quel pane spezzato ci porta veramente ad abitare quel gesto,
a diventare noi pane che si spezza nell’amore dei fratelli. Il disimpegno è la cosa più
tragica che ci sia. Come ci ricorda l’apostolo Paolo: “Chi non vuol lavorare neppure
mangi”.
La fede non è una cosa magica, ma ti coinvolge. L’Eucaristia è il pane del
cammino, cioè della responsabilità e della missione. L’Eucaristia è sorgente della
missione perché l’Eucaristia trasforma. Ti fa abitare la storia perché ti trasforma e ti
mette in una comunione con Dio che altrimenti non riusciresti a vivere. La vite e i tralci.
In quella comunione siamo trasformati in uomo nuovo. Siamo trasformati come
gratuità, come misericordia, come perdono. Siamo trasformati al punto tale che Matteo
ce lo ricorda dalle parole stesse del Signore Gesù: “Gratuitamente avete ricevuto,
gratuitamente date”. Avete ricevuto il perdono? Perdona il poco del tuo fratello.
L’Eucaristia è un dono e un dono non si paga, ma non ci dispensa dal pagamento perché,
se siamo stati trasformati in questo dono, questa gratuità esige gratuità. Allora
l’esigenza non è di una giustizia retributiva, ma di una novità di vita. Sono stato
trasformato e non posso non trasformare. San Paolo lo dirà: “Non posso non annunciare
il Vangelo”. E’ dunque una gratuità che esige gratuità e che ci fa abitare con
responsabilità. Ecco quindi le cinque frasi abbinate al verbo “abitare”. Non possiamo
allora leggere il verbo “abitare” se non dentro al dono dell’Eucaristia. “Si può abitare in
una casa senza conoscere chi ci vive accanto”: se tu abiti una comunità eucaristica e
quello che vive con te lo conosci solo per nome, è una contraddizione. “Si può stare in un
posto senza starci mai”: abitare vuol dire stare a una relazione. Non si può stare in un
posto senza entrare in relazione, senza porsi in un contesto vero di relazione. Una
relazione che si fa alleanza, un’alleanza che si fa accoglienza, un’accoglienza che si fa
carità, una carità che si fa servizio. “Si può consumare senza pensare a cosa succede
dopo”. “Ci si può arrabbiare perché le cose non vanno senza partecipare, senza lottare”:
il Papa ha detto ai giovani di non mettersi da parte, perché non è così che si costruisce
la storia. Si può vivere senza credere. Questo è il dramma di oggi. La fede è sempre un
fatto personale, ma nessuno può dire: “Credo senza di te”. Quando io credo, credo nel
seno della Chiesa. Vivo la carità della Chiesa. Vivo la speranza della Chiesa.
(Il testo della catechesi è tratto da una registrazione e non è stato rivisto dall'autore)