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ANNO XXI NUMERO 238 - PAG II
IL FOGLIO QUOTIDIANO
SABATO 8 E DOMENICA 9 OTTOBRE 2016
di Giulio Meotti
iù i suoi libri dichiarano che la
Francia è morta e sepolta, più salgono vertiginosamente in alto nelle
classifiche delle vendite. E’ il nemico
pubblico numero uno, eppure il suo volto lo trovi ovunque ogni mattina: LCI,
TF1, iTélé RTL, France2, France3, TV5,
M6, BFMTV, Euronews, Arte, la prima
pagina del Monde, la copertina dell’Express e del Point, la sezione editoriali
di Libération. E, ogni volta, è per uccidere il conformismo. E’ febbrile, appassionato, fragile, violento, perseguitato
che diventa persecutore. E’ Éric Zemmour, il polemista più controverso, venduto e discusso di Francia. I suoi saggi
vanno più a ruba dei romanzi del premio Nobel Patrick Modiano. Libération
ha appena pubblicato una tribune contro il polemista del Figaro intitolata
“Deradicalizzare Zemmour”, il Partito
socialista ha chiesto di annullare una
sua conferenza a Marsiglia e il Collettivo contro l’islamofobia ha invocato il
suo licenziamento da Rtl. Normale amministrazione per questo “petit juif”, il
piccolo ebreo che ha sconvolto il mondo delle lettere parigine.
Ma chi è Zemmour? Un opportunista
che ha trovato la sua nicchia per vendere ed esistere, oppure una Cassandra
di sinistra, Zemmour, salvo un giorno
accusare la gauche di “distruggere le
istituzioni tradizionali: la famiglia patriarcale, la scuola repubblicana, la
chiesa”. Zemmour ossessiona da anni il
pubblico con la morte del padre, la fine di una società tradizionale, gerarchica, morale. Ritiene che la guerra si vince sul campo delle idee. “Gramsci è il
mio modello”, afferma il giornalista citando il teorico italiano. Tanto che oggi
in tanti parlano di “zemmourisation”
della società francese. Lui, gollista e bonapartista, ritiene che “la brasilizzazione ci minaccia: la segregazione razziale,
miliardari a bizzeffe e l’impoverimento
della classe media”. A ogni sua conferenza raccoglie un pubblico di almeno
cinquecento persone assiepato per
ascoltare lui, solo contro tutti, eroe solitario in una Francia a decomposizione
avanzata, martire della causa conservatrice.
Secondo l’editore Pierre-Guillaume
de Roux, “se non fosse stato ebreo, Zemmour sarebbe già morto”. Sposato a
Mylène Chichportich, avvocato, Zemmour educa i figli all’amore per la
Francia, più che dell’ebraismo. Dà loro
nomi rigorosamente francesi. Fino agli
anni Sessanta, i nomi dei francesi dovevano essere quelli presenti sul calendario. Nel 1993 una legge stabilì che il nome del bambino venisse scelto dai ge-
I suoi saggi vendono più dei
romanzi del Nobel Modiano. Da
noi lo pubblica soltanto una piccola
casa editrice, la Enrico Damiani
La sua soluzione per la Francia
di domani? Quella di ieri. Ma se
avesse ragione lui sulla decadenza
dietro la facciata di opulenza?
che sbatte in faccia alla Francia le verità più scomode? Le organizzazioni
islamiche e quelle della sinistra antirazzista lo hanno trascinato in tribunale, i fondamentalisti islamici lo hanno
minacciato di morte e costretto a girare con la scorta dopo la strage a Charlie Hebdo, i goscisti gli hanno tolto una
rubrica radiofonica (con il concorso del
Corriere della Sera che lo intervistò), i
ministri socialisti hanno sconsigliato di
leggere i suoi libri in quanto sarebbe
un “cripto lepenista” e il Movimento
contro il razzismo e per l’amicizia tra i
popoli (Mrap) e il Club Averroes (associazione di professionisti dei media per
promuovere la diversità) hanno presentato esposti contro di lui al Consiglio superiore dell’audiovisivo, l’authority
francese per radio e tv.
Zemmour non è sempre stato “di destra”. La sua preferenza andò a Mitterrand nel 1981 e nel 1988. L’anno dopo
ruppe con la sinistra sul velo islamico
a scuola. E’ lo stesso che qualche mese
fa ha criticato il ministro della Giustizia, Christiane Taubira, per non aver
cantato l’inno nazionale, la Marsigliese,
a una commemorazione per l’abolizione della schiavitù. Tutta la storia di
Zemmour e della sua famiglia è l’opposto del “diritto alla differenza” cantato
oggi dalla gauche. Per questo Zemmour
difende ferocemente l’assimilazione totale degli immigrati che devono abbandonare la loro cultura originaria. Di
umile famiglia ebraica di “piedi neri”
venuti dall’Algeria, Zemmour ogni volta sciocca il pubblico. In una intervista
di copertina col mensile Causeur, si è
appena rifiutato di qualificare i terroristi dell’Isis come “menti deboli”, prima di lasciarsi andare: “Io rispetto le
persone disposte a morire per ciò in cui
credono”.
“Duecentomila aborti all’anno, cifra
costante dalla legge Veil del 1975: trentacinque anni, cioè sette milioni di persone”, ha detto un’altra volta Zemmour
in radio. “La popolazione francese sarebbe aumentata da 65 a 72 milioni di
abitanti, vale a dire molto più della Germania e dei suoi 80 milioni di abitanti”.
E’ solo una delle sue tante affermazioni che hanno fatto scalpore. Come
quando scrisse, in “Malinconia francese”, che “oggi, nelle periferie francesi,
molte famiglie musulmane proibiscono
ai loro figli di parlare francese, la lingua del demonio”. O come quando an-
nitori. Per Zemmour la legge è il passaggio “dall’assimilazione al multiculturalismo”. Risultato? “In molte città francesi Mohamed diventò il nome più diffuso all’anagrafe. Un primato che suonava come una promessa di dominio e
di conquista”. Respinto dall’intellighenzia ebraica (ha fatto scandalo un
suo invito alla Grande Sinagoga di Parigi), il polemista del Figaro è diventato negli ultimi anni “l’idolo del piccolo
popolo ebraico”, nelle parole di Olivier
Pardo, avvocato di Zemmour, l’intellettuale che mette a disagio e il cui successo aggrava quel disagio.
Jean-Christophe Cambadélis, primo
segretario del Partito socialista, non ci
sta a dargli la patente del profeta: “Se
avesse scritto queste cose nel 1970, sarebbe un visionario. Oggi è un fotografo”. Ma di quelli di cui nessuno sembra poter fare a meno. La Francia non
è più un impero, è un paese di medie dimensioni con un altissimo livello di vita. Non è più il centro culturale del
mondo, ma rimane tra i primi venti paesi in quasi tutte le misure di indice di
sviluppo umano della Banca mondiale.
L’invecchiamento della popolazione, il
calo della natalità, la crescita più lenta, l’atteggiamento più scettico nei confronti dell’autorità, la maggiore uguaglianza di genere sono tutte caratteristiche tipiche delle società post-industriali avanzate, non solo della Francia.
Per questo, molti non capiscono che
diavolo vada cercando questo Zemmour. Il suo progetto per la Francia domani? Quello di ieri. Ma se, al netto di
tutto, il “petit juif” che ha annunciato
che “è tempo di decostruire i decostruttori”, avesse ragione nel dire che la
Francia è apparentemente prospera
ma “marcia dall’interno” e che la sua
ricchezza è una maschera per il decadimento interiore?
Sappiamo come finì Charles Maurras. Nel 1926 la chiesa, che temeva di essere confusa con un movimento cattolico che adorava la patria come una divinità, condannò l’Action française, mise
all’indice i libri di Maurras, rifiutò i sacramenti ai suoi lettori e le esequie religiose ai membri del movimento. Maurras si schierò con Pétain, venne condannato a vita dopo la guerra e rinchiuso
nella prigione di Riom. Fu graziato nel
1952 e morì poco dopo, solo, in una clinica a Tours. Il destino della “bète noire”, la bestia nera dei benpensanti.
P
Ovunque va, Éric Zemmour fa sempre il tutto esaurito. Al magazine Causeur ha appena detto dei terroristi islamici: “Rispetto le persone disposte a morire per ciò in cui credono”
NEMICO PUBBLICO
Gli islamisti lo vogliono morto, i giornali alla sbarra, i socialisti
interdetto e in Italia nessuno lo pubblica. Il caso Éric Zemmour
nunciò, in “Optimum”: “Più invecchio,
più penso che i nostri antenati erano
meglio di noi! A parte la medicina e la
tecnologia, non vedo molti progressi”.
Editorialista del Figaro, tre anni fa
Zemmour pubblicò “Il suicidio francese” (Albin Michel in Francia) sul declino del suo paese dopo la morte del generale De Gaulle. Un libro attorno al
quale in Italia hanno levato gli scudi le
case editrici mainstream, tanto che è
stato un piccolo e combattivo editore,
Enrico Damiani, a portarlo nelle nostre
librerie. Da allora, Zemmour ha trascorso metà del suo tempo a raccogliere
premi e l’altra metà a difendersi in tribunale. Zemmour spara su tutto ciò che
non si muove. Non distingue più, a dif-
E’ stato paragonato a Charles
Maurras, il grande letterato
scomunicato dalla chiesa e morto
da rinnegato dopo la condanna
ferenza di tanti altri intellettuali della
destra francese. “L’islam è incompatibile con la laicità, incompatibile con la
democrazia, incompatibile con il governo repubblicano”, ha appena scritto nel
suo nuovo libro, “Un quinquennat pour
rien”, una bordata contro il suo ex professore di università, il presidente Hollande. “L’islam è incompatibile con la
Francia”. Il suo approccio è originale.
Parte da una canzone o un film per sezionare i passaggi principali che hanno
segnato gli ultimi decenni. Come un
concerto dei Rolling Stone trasmesso
dalla radio e che Zemmour commenta
così: “Le frontiere erano condannate
dalla tecnologia e dall’Europa”. O il tono dei programmi tv che si fece “insolente, edonista, individualista. La lingua era destrutturata come l’abbigliamento; il darsi del tu di rigore”. O Canal+, definito da lui “il canale dell’odio
per sé, dell’odio per la storia della
Francia; il canale della decostruzione
del romanzo nazionale”.
“Con un osso, Éric ricostruisce un dinosauro”, ha detto il suo collega, Éric
Naulleau. E ha aggiunto con un sorriso:
“E’ il segno dei grandi ideologi e dei
grande paranoici”. Anche per questo
Franz-Olivier Giesbert, che ha mosso i
primi passi al Quotidien de Paris con
Zemmour, sottolinea il lato “celiniano”
del collega. Altri lo paragonano a Charles Maurras, il grande scrittore fondatore dell’Action française, addestrato
alla letteratura da Anatole France di
cui era segretario, il razionalista puro
che non vedeva altra salvezza per la
Francia che una entità autoritaria che
si allacciasse alla tradizione cattolica e
conservatrice, che esaltava Pio X come
“salvatore della Francia” per la sua
condanna del Sillabo. Viene in mente
un giudizio su Maurras di Georges Bernanos (che era stato un tempo suo seguace): “Egli odia il pensiero altrui di
un odio carnale che, per una contraddizione commovente, ha la potenza e il
movimento dell’amore”. Non c’è definizione migliore per Zemmour.
La sua conoscenza della cultura francese, soprattutto del XX secolo, è ampia
e profonda. La sua scrittura ha pochi
uguali nel giornalismo francese. Quando la Lega internazionale contro il raz-
zismo e l’antisemitismo gli fece causa,
Zemmour scrisse loro una lettera: “Questa non è una lettera di scuse ma una
lettera di spiegazione. In questa storia,
sono vittima di alcune associazioni che
vogliono farmi la pelle”.
Non è un pensatore. Piuttosto un avido lettore che aggrega conoscenze per
creare un corpus ideologico. Qualcuno
lo ha definito “nazionalista repubblicano”. Le stazioni radio e tv sono in lotta
per averlo. Zemmour attira. Lo accusano di cercare capri espiatori, come l’Europa, le élite o gli stranieri.
A RTL non tutti erano felici di offrirgli una piattaforma mattutina sulla prima radio del paese. “E’ una personalità
iconoclasta, uno spirito originale che
brilla sia in analisi politica sulle questioni sociali, pur avendo una profondità storica”, afferma Christopher Balzelli, presidente di RTL.
A vent’anni, Zemmour si ritrova nel
giornalismo quasi per caso. Si è appena laureato a Sciences-Po e va a lavorare per una agenzia di pubblicità. Si annoia, ma il suo datore di lavoro trova la
sua scrittura immaginifica e colta. Attraverso di essa, Zemmour entra in contatto con il proprietario del Quotidien
de Paris, Philippe Tesson, che lo definirà “un assolo formidabile”. Quando si
unisce alla redazione del Figaro, la sua
penna fa scintille. Dedica il primo libro
a Jacques Chirac e Claude Chirac chiede la sua testa. Non la otterrà. Altri la
cercheranno.
Nel 1997, Zemmour ha pubblicato “Il
colpo di stato dei giudici”, pamphlet
contro i “giustizieri senza macchia e
senza paura”, incurabilmente malati di
protagonismo: sono i giudici istruttori,
colpevole secondo lui di “volersi erigere a potere” e di costituire una vera minaccia per la democrazia moltiplicando
le inchieste su politica e affari. “Lo stato ha smesso di occuparsi dell’economico e del sociale – afferma Zemmour –
ma la natura ha orrore del vuoto, e allora nella breccia si sono subito infilati i giudici”. Il libro non piacque ai diretti interessati: “Ne abbiamo abbastanza di queste cose”, rispose il presidente dell’associazione dei giudici
istruttori, Jean-Michel Gentil.
Nel 2006, Zemmour pubblica “Le premier sex” (Denoël). “Lascio il giornalismo politico ed entro in un mondo di
polemiche”, aveva detto. I suoi nemici
Questo “piccolo ebreo” dalle
origini umili è diventato l’araldo
della Francia profonda, bianca,
cattolica, conservatrice
gridano alla misoginia. E’ uno dei pochi
intellettuali conservatori che buca lo
schermo. “Capisco l’uso del cosiddetto
intrattenimento televisivo fatto dalla sinistra per indottrinare le masse”, dirà.
“Decido di usare il sistema contro il sistema”.
E’ un paradosso vivente, Zemmour, il
prodotto del microcosmo parigino diventato l’araldo di una Francia profonda, bianca, cattolica. Nato a Montreuil
(Seine-Saint-Denis) nel 1958, figlio di un
paramedico (Roger) e di una casalinga
(Lucette), da ragazzo divora Albert Camus, un francese algerino come lui. E’