Storia delle Basiliche Giubilari

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Storia delle Basiliche Giubilari
PORTA SANTA
La Porta Santa è un ingresso murata che si trova nelle quattro basiliche
maggiori di Roma (S. Pietro in Vaticano, S. Giovanni in Laterano, S. Maria
Maggiore, S. Paolo fuori le mura). La sua apertura segna l'inizio dell'Anno
Santo. Al termine del tempo giubilare, la porta viene nuovamente murata
con dei mattoni.
La Porta Santa della basilica vaticana viene aperta nel corso della solenne
celebrazione che precede i primi vespri del Natale dell'anno precedente
quello giubilare, dallo stesso pontefice. Le altre Porte Sante vengono invece
aperte da tre cardinali espressamente delegati dal Papa.
La Porta Santa del Giubileo del 2000 - ha scritto Giovanni Paolo II dovrà essere simbolicamente più grande delle precedenti, perché
l'umanità, giunta a quel traguardo, si lascerà alle spalle non soltanto un secolo, ma un
millennio. E' bene che la Chiesa imbocchi questo passaggio con la chiara coscienza di ciò che
ha vissuto nel corso degli ultimi dieci secoli. Essa non può varcare la soglia del nuovo
millennio senza spingere i suoi figli a purificarsi, nel pentimento, da errori, infedeltà,
incoerenze, ritardi.
La cerimonia di apertura della Porta santa
della basilica di S. Pietro al Vaticano
da parte di Paolo VI nel 1975
BASILICA
Basilica è un titolo onorifico che viene attribuito alle chiese più insigni. Questi luoghi di culto devono avere
anche particolari caratteristiche, per esempio una pianta longitudinale con almeno tre navate separate da
colonne.
Fin da tempi antichi si distinguono in basiliche maggiori e minori. Delle prime, dette anche patriarcali, fanno
parte le quattro maggiori chiese di Roma: S. Pietro in Vaticano, S. Giovanni in Laterano, S. Maria Maggiore,
S. Paolo fuori le mura.
Le celebrazioni più importanti del Giubileo si svolgono proprio in queste quattro basiliche. Il Papa (in S.
Pietro) e cardinali suoi delegati (nelle altre tre) aprono e chiudono contemporaneamente le cosiddette Porte
Sante che queste basiliche hanno come luogo di accesso straordinario durante l'Anno Santo.
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S. PIETRO al VATICANO
LA STORIA
LA BASILICA COSTANTINIANA
Nell'area del circo di Nerone - fra il Tevere, il Gianicolo e il monte
Vaticano - dove l'imperatore faceva suppliziare i cristiani, secondo la
tradizione trovò la morte Pietro, il "principe degli Apostoli", e il suo
corpo fu lì sepolto, insieme agli altri martiri. Già papa Anacleto
(terzo pontefice, 77-88) aveva elevato in suo onore un piccolo
oratorio; più tardi, Costantino il Grande vi eresse la maestosa
basilica a cinque navate che rimase in piedi sino alla fine del secolo
XV.
Nel 324 - narrano gli scrittori contemporanei - l'imperatore scese in
gran pompa al Vaticano, si prostrò innanzi alla tomba dell'Apostolo
e, deposte le sue ricche vesti, prese la marra e cominciò egli stesso a
scavare designando l'area per la nuova grande basilica, e riempendo
e asportando sulle spalle dodici corbe di terra in onore dei dodici
Apostoli. La gloria di compiere il grandioso lavoro toccò a suo figlio
Costante che lo portò termine nel 349.
Antichi disegni e incisioni mostrano la basilica costantiniana poco diversa dalle altre basiliche cristiane di
Roma, nella sua struttura architettonica. Ma attraverso i secoli essa si arricchì meravigliosamente per la
munificenza dei pontefici e dei principi italiani e stranieri.
La trasformazione ha avuto luogo per tappe: - nel periodo più antico, quando l'arte cristiana chiedeva ancora
a prestito il poprio linguaggio a quello pagano; - attraverso l'età medievale, in cui si innestavano sul tronco
quasi disseccato della tradizione antica le tormentate concezioni carolingie e le raffinate eleganze bizantine;
- nel Duecento, che aveva visto rinascere nelle opere dei marmorari romani la robusta maestria degli antichi
addolcita dagli arabeschi dell'ornamentazione araba, e fiorire l'arte vigorosa di Pietro Cavallini e di Giotto,
mentre Arnolfo fiorentino importava lo stile dell'arco acuto venuto dal Nord; - nel Quattrocento, quando i
maestri toscani costruivano i mausolei papali e le cappelle biancheggianti.
La basilica di S. Pietro, in dodici secoli, senza quasi soluzione di continuità, ha visto così arricchirsi le sue
pareti incrostate di marmi, abbellirsi i suoi altari, sfolgorare le sue absidi di mosaico. Marmi preziosi
strappati ai monumenti pagani o trasportati dall'Oriente, legnami odorosi tagliati nei boschi del Libano,
metalli lucenti, porte di bronzo ageminate venute da Bisanzio con le stoffe importate dai mercanti veneziani,
smalti delle fabbriche limusine, vetri istoriati di origine renana, drappi turchesi, arabi siciliani, velari
istoriati, tessuti italiani, inglesi, spagnoli, lampade e incensieri d'oro e d'argento, formavano la splendida
decorazione, il mobilio presbiteriale, la suppellettile meravigliosa delle sue cappelle, dei suoi monumenti,
dei suoi altari.
Imperatori e re venivano tra le sue sante pareti per essere consacrati e coronati dalle mani dei pontefici:
Carlo Magno fu il primo nel Natale dell’anno 800 a ricevere la corona da Leone III (795-816), che, dopo
averlo salutato con il nome di Carlo Augusto Grande Pacifico Imperatore dei Romani, lo aveva unto col
sacro crisma e gli aveva cinto la spada tra le grida esultanti della moltitudine di Franchi e di Italiani. Dopo il
grande imperatore, ricevettero la consacrazione dinanzi alla tomba dell'Apostolo i suoi successori Lotario e
Ludovico II, e tanti altri fino a Federico III. Come il sasso del Campidoglio custodiva ancora nel Medioevo e
nel Rinascimento l'essenza più viva dello spirito romano, così la pietra che copriva le spoglie di Pietro era
considerata come il luogo santissimo della Cristianità, meta di tutte le anime devote, quasi più del Santo
Sepolcro di Gerusalemme.
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LA NUOVA BASILICA
Ma dopo oltre un millennio di così splendida vita, la basilica costantiniana cominciava a dare segni di
minacciosa rovina, specialmente nelle parti, come quella meridionale, che erano fondate sui ruderi del circo
e di altri edifici antichi. E cominciò così ad affacciarsi l'idea di ricostruire dalle fondamenta il grande tempio.
Per la verità, pesava non solo la necessità di riparare al pericolo, ma anche il mutato spirito dei tempi, che
non riconosceva nella vetusta fabbrica, per quanto veneranda, quella grandiosità e quella magnificenza che
richiedeva la Rinascita. Fu Niccolò V (1447-1455) che prese per primo la risoluzione di procedere alla
grande impresa, affidandone la cura all'architetto Bernardo Rossellino. Secondo il progetto di questo artista,
la nuova chiesa, preceduta da portico, doveva avere la forma di una croce latina, con una grande cupola nel
centro, e terminare ad abside semicircolare.
Demolite alcune parti della basilica, si cominciò ad edificare la nuova tribuna. Morto il Pontefice nel marzo
1455, l'opera fu però interrotta. I successori sembrarono aver rinunciato all'idea della nuova costruzione,
perché si impegnarono piuttosto a decorare ed arricchire la vecchia basilica. Finché Giulio II della Rovere
(1503-1513) riprese il grandioso disegno, spinto anche dal desiderio di trovare un posto degno al suo
mausoleo, di cui Michelangelo gli aveva presentato il modello. Andato il Buonarroti a S. Pietro per vedere
dove il sepolcro di Giulio II si potesse comodamente situare, gli parve - narra il Condivi - che il luogo più
adatto fosse la tribuna nuova cominciata da Niccolò V, e perciò consigliò al papa di tirare su la fabbrica e
coprirla.
"Il Papa addomandò che spesa sarebbe questa, cui Michel Angelo rispose di scudi centomila: siano, disse
Giulio, duecentomila, e mandando il San Gallo e Bramante architetti a vedere il luogo, in tali maneggi
venne voglia al papa di far tutta la chiesa di nuovo."
DONATO BRAMANTE
Con dolore di Giuliano da Sangallo, che era amico e favorito del papa, questi prescelse per la nuova chiesa il
disegno di Donato di Pascuccio di Antonio detto Bramante (1444-1514). Nato presso Urbino e vissuto in
Lombardia, Bramante era venuto a Roma sotto il pontificato di Alessandro VI (1492-1503) e, per quanto
avesse già costruito il meraviglioso tempietto di S. Pietro in Montorio e il chiostro della Pace, non era ancora
molto noto a Roma, ove piuttosto che operare si era immerso nello studio dei monumenti antichi. Nel suo
progetto per il nuovo S. Pietro, Bramante accumulava il tesoro delle sue conoscenze dell'antichità e del
Medioevo: il Pantheon, S. Vitale di Ravenna, la basilica di Costantino, S. Lorenzo di Milano fornivano gli
elementi per la nuova fabbrica. Una medaglia di Giulio II mostra quale fosse il progetto di Bramante, che la
morte prematura dell'artista (1514) impedì di tradurre in opera: un grande quadrato sormontato da cupola, da
cui partivano quattro bracci di croce greca terminate internamente ad abside rotonda e all'esterno in linea
retta.
L'idea prima della grande cupola, ispirata dal Pantheon, appartiene dunque a Bramante: egli immaginò di
collocare su quattro pilastri, alto, come sospeso nell'aria, l'immenso duomo che è la parte più caratteristica
della basilica vaticana, e il monumento più significativo della città, della quale segna il panorama.
Il tipo di chiesa a croce greca non era una novità, ma il merito del Bramante è quello di averlo adattato a
dimensioni così grandi, sviluppando i bracci laterali, tra i quali si aprono delle cappelle minori, anch'esse a
croce greca e coperte a cupola. Quattro torri alle estremità, fiancheggiate da portici, fanno sì che tutto
l'insieme risulti esternamente iscritto in un quadrato dal quale sporgono le quattro absidi principali.
La prima pietra fu posta il 18 aprile 1506, e insieme coi quattro pilastri della cupola si diede pure principio
alle tribune delle navata centrale e a quella della navata trasversale di mezzogiorno:
"Vedasi in quella parte che è finita di suo la cornice che rigira attorno di dentro correre in modo con
grazia, che il disegno di quella non può nessuna mano meglio in essa levare e sminuire. Si vede ne' suoi
capitegli che sono a foglie d'ulivo di dentro ed in tutta l'opera dorica di fuori, stranamente bellissima, di
quanta terribilità fosse l'animo di Bramante" (Vasari).
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Michelangelo stesso nel 1555 scriveva all'Ammannati:
"E' non si può negare che Bramante non fosse valente nell'architettura, quanto ogni altro che sia stato dagli
antichi in qua. Egli pose la prima pietra di S. Pitro, non piena di confusione, ma chiara e schietta e
luminosa, ed isolata attorno in modo che non noceva a cosa nessuna del palazzo; e fu tenuta cosa bella
come ancora è manifesto; in modo che chiunque si è discostato da detto ordine di Bramante, come ha fatto
il Sangallo, si è discostato dalla verità".
RAFFAELLO SANZIO E I SANGALLO
Per desiderio espresso da Bramante stesso poco prima di morire, e perché il piano di lui fosse rispettato, gli
fu eletto a successore il più fedele seguace dei suoi canoni estetici, Raffaello Sanzio (1483-1520). Ma, non
avendo l'Urbinate le conoscenze tecniche necessarie a un costruttore, gli si affiancarono Giuliano da
Sangallo (1445-1516) e Fra Giocondo da Verona (1433-1515). I tre maestri, d'accordo, mutarono la croce
greca in croce latina, allontanandosi così radicalmente dal piano di Bramante, il cui concetto era stato quello
di rendere egualmente visibile dalle quattro braccia della croce il mausoleo di Giulio II da collocarsi nel
centro.
Questo mutamento della pianta, e la necessità di rafforzare i quattro piloni costruiti da Bramante, che non
sembravano idonei a sostenere il peso della cupola, fecero sì che i lavori non procedessero molto. Né fu
approvato dal pontefice il disegno di Raffaello perché troppo ricco e costoso; e l'altro eseguito da
Baldassarre Peruzzi, giudicato dal Vasari superiore a tutti, non poté tradursi in opera a causa delle tristi
vicende di Roma. Assunto al trono Paolo III (1534-1549), ed essendo morto il Peruzzi, si affidò l'incarico
della fabbrica ad Antonio da Sangallo il Giovane (1484-1546): Antonio non si contentò di disegnare il suo
progetto, commessogli nel 1538, ma ne fece un modello di legno, che ancora possediamo, che misura 11
metri di lunghezza e 8 di altezza e costò la somma di 5184 scudi d'oro.
Sangallo si allontanò ancora di più dal disegno di Bramante, e introdusse nella facciata elementi che
sembrano ispirarsi all'arte gotica. Ma la pianta da lui ideata era troppo complicata, poiché, conservando la
croce greca, la prolungava in avanti con un gran portico, collegandola nel centro a un edificio isolato, che
serviva di facciata e che conteneva la Loggia della Benedizione. Nella decorazione esterna del progetto,
Sangallo mostrava un sovraccarico do elementi architettonici, addirittura eccessivo nelle due torri
campanarie laterali, le quali richiamavano quelle costruzioni fantastiche e stravaganti che si vedono
disegnate nel "Trattato di architettura" del Filarete. Antonio da Sangallo non poté però vedere il suo progetto
sulla via d'attrazione; la sola opera che egli fece in S. Pietro fu il consolidamento delle fondazioni
bramantesche e dei piloni della cupola, che a ragione gli sembravano insufficienti a sostenere la grande
mole.
MICHELANGELO BUONARROTI
Alla morte di Sangallo (1546), Michelangelo Buonarroti (1475-1564), succedutogli nella direzione della
fabbrica, decise di ritornare al disegno di Bramante, che egli cerca di semplificare sopprimendo le
membrature delicate che lo ingentilivano e facendolo più grandioso, più maestoso, più brutale.
Il genio terribile del Buonarroti, favorito dalla potenza dei papi, concepì una mole ciclopica, enormi masse,
muraglie colossali, pilastri giganteschi: semplificò, tolse il superfluo, e di tutta la chiesa sembrò voler fare un
grande piedistallo per sostenere la cupola. Questa non era più la bassa calotta del Pantheon, ma, sorella di
quella di S. Maria del Fiore, si elevava alata ed elegante: Michelangelo ne fece eseguire un modello in legno,
ancora oggi conservato. Quando egli morì (1564), la costruzione era giunta solo al tamburo, mentre i tre
bracci minori della chiesa erano compiuti.
Sui lavori dell'esterno di S. Pietro, così scrive un contemporaneo:
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“Di gran meravigia erano i monti di pietra, e di pozzolana, che assorbiva un solo pezzo di Fondamento,
quelli, che di già erano smaltiti, e gli altri, che si andavano apparecchiando, onde rendeva stupore a
ciascuno il considerare come si consumasse tanta materia in poco spazio di tempo, che in verità si può dire,
che più fabbrica sia sotto terra per la grossezza de' Fondamenti che sopra. Girano i Fondamenti trecento
Canne di palmi dieci di misura romana nella circonferenza del primo Zoccolo, e Basamento, dove posa il
primo ordine della Fabbrica, dal quale Giro si racchiudono settantasei Pilastri di larghezza di dodici palmi,
con i suoi Membretti e Mezziplastri, che nell'Alzata rilegano i Vani, Finestroni e Nicchi per statue, da' i
quali si forma tutto l'Ordine di fuori intorni al Tempio”.
GIACOMO DELLA PORTA
L'incarico di elevare la cupola toccò a un architetto lombardo, Giacomo della Porta (1533-1602), a cui Sisto
V (1585-1590), l'altro pontefice che ebbe il cuore magnanimo di un antico, affidò il compito tremendo.
L'artista si attenne al modello lasciato dal Buonarroti, ma non con stretta fedeltà: fece la cupola più grande e
più acuta, e dette alla lanterna quella maggiore snellezza che conferisce a tutta la massa uno slancio
straordinario, imprimendole quasi la forza di ascensione di una guglia gotica.
L'opera immensa fu iniziata il 15 di luglio 1588 e finita ventidue mesi dopo, nel maggio del 1590. Vi
collaborò Domenico Fontana (1543-1607), l'architetto prediletto di papa Sisto. Essa testimonia, oltre che del
gusto artistico, anche dell'abilità tecnica degli architetti di questo periodo, in ciò superiori a quelli del
Rinascimento.
In quest'epoca fu continuata la costruzione del braccio anteriore della basilica, che secondo il concetto di
Michelangelo doveva essere a croce greca.
Ma quando, sotto il pontificato di Paolo V (1605-1621), si volle completare la basilica di S. Pietro, venne
prolungata la parte anteriore trasformando la pianta in croce latina. Fu allora che, abbattuto il vecchio muro
con cui il Sangallo aveva separato la nuova fabbrica dall'antica, si distrusse senza pietà quanto rimaneva in
piedi della vecchia chiesa medioevale. Si abbatté la navata lunga con le cappelle e gli oratorii, tra cui quello
celebre di Giovanni VII adorno di preziosi mosaici del secolo VIII. Si demolì il portico con gli affreschi del
Duecento; l'atrio con le sue tombe papali e imperiali. Si scomposero e si smembrarono altari, monumenti,
cappelle. Ma la distruzione di tante insigni opere d'arte, di cui rimangono oggi solo poche reliquie nelle
Sacre Grotte e in varie chiese e musei di Roma e di fuori, non può imputarsi agli uomini del Seicento: fin dal
tempo di Giulio II la vecchia basilica era condannata, e del resto essa era così fatiscente che poco più
avrebbe potuto resistere. Il prolungamento della croce greca in latina che tanto è stata criticata sin dall'inizio,
perché ha diminuito l'effetto della cupola, non si deve neppure rimproverare all'architetto che diresse il
lavoro: fu la Congregazione dei Cardinali preposta alla fabbrica che lo richiese per ragioni di spazio.
CARLO MADERNO
Prima di procedere alle nuove opere fu bandito un concorso, al quale parteciparono molti architetti e
ingegneri; tra essi Flaminio Ponzio, Giovanni Fontana, Carlo Maderno, Girolamo Rainaldi, Ottavio Turiani,
Niccolò Branconi, che risiedevano in Roma; da Napoli mandò i suoi disegni l'esule Domenico Fontana, e da
Firenze giunse Ludovico Cigoli, pittore e architetto, che presentò ben cinque progetti, conservati ancora oggi
nel gabinetto dei disegni degli Uffizi. Dopo lungo esame fu prescelto il progetto di Carlo Maderno (15561629), del quale Giuseppe Bianco da Narni, maestro falegname, costruì un modello in legno che comportò
un'ingentissima spesa. Le fondamenta della nuova facciata furono cominciate il 5 novembre 1607; il 10
febbraio dell'anno successivo fu posta la prima pietra, benedetta dal papa nel palazzo del Quirinale; il 1
luglio 1612 la mole immensa che aveva assorbito montagne di travertino di Tivoli (è alta m. 45,44 e larga m.
114,69) era quasi compiuta.
E' quasi una convenzione che della facciata si debba dire male: da Carlo Fontana al Milizia, che chiamò il
Maderno "il più gran reo di lesa architettura", fino a coloro che ai giorni nostri addirittura presentano dei
progetti per correggerla, la corrente della critica ha fluito con impeto ininterrotto. Eppure è un'opera
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organicamente concepita, perfettamente equilibrata, e mostra come l'architetto abbia saputo risolvere un
difficilissimo problema: i fianchi esterni erano già costruiti dal Buonarroti e quindi l'altezza del primo ordine
era fissata; né poteva il Maderno sovrapporvi un secondo ordine, come era nello schema comune delle
facciate di allora (tipo quella della Chiesa del Gesù), di cui egli stesso aveva dato un magnifico esempio in
Santa Susanna, perché in tal modo la cupola sarebbe rimasta per intero nascosta; onde la ragione del basso
attico che fa apparire la facciata piatta e tozza. Ma noi oggi non vediamo il prospetto di S. Pietro quale
l'architetto lo aveva immaginato, ossia con le due torri laterali che lo innalzavano e lo sveltivano; limitate
invece per ragioni statiche all'altezza della balaustrata esse hanno contribuito all'eccessivo allungamento
della facciata della quale sembrano fare parte, mentre dovevano distaccarsene. La colpa di ciò va imputata al
Maderno stesso, che non tenendo conto della qualità del terreni, fece le fondazioni a sacco invece che a
mano, così che, non ancora finito, il portico minacciò rovina, e non fu possibile sovraccaricarlo coi
campanili. Il fatto si ripeté trent'anni dopo quando il Bernini costruì sul lato di mezzogiorno una delle sue
torri campanarie, che si dovette subito demolire per le lesioni apparse nelle parti sottostanti.
GIAN LORENZO BERNINI
Con il Maderno lavorava una numerosa schiera di artisti, quasi tutti lombardi, e tra essi era anche suo nipote,
giovane scalpellino di Bissone, Francesco Castello detto Borromini, che copiava e metteva in scala i disegni
dello zio. Tale incarico gli fu conservato ancora per qualche tempo, quando dopo la morte del Maderno
(1629), la direzione dei lavori di S. Pietro fu assunta da Gian Lorenzo Bernini (1598-1680).
Con Bernini si iniziò una nuova epoca per la basilica vaticana, che subì per opera sua grandi trasformazioni,
assumendo in molte parti una veste barocca. Così oggi, mentre la navata centrale, tutta in marmo e stucco
bianco, priva di qualsiasi decorazione, ci presenta l'aspetto caratteristico di una chiesa della Controriforma,
in quelle laterali la policromia appare vivissima per le decorazioni degli altari, e per le grandi colonne di
marmo rosso di Cottanello. Dietro la Confessione, arricchita di marmi e di bronzi dal Maderno e dal suo
aiuto Martino Ferabosco, il Bernini innalzò il grande baldacchino di metallo, con le colonne vitinee, che
venne scoperto il giorno di S. Pietro del 1633.
Poco dopo, il maestro iniziava la decorazione dei pilastri della cupola, ponendovi le quattro grandi statue, e
disegnando le logge delle reliquie. Nell'abside trasportò a sinistra il sepolcro di Paolo III di Guglielmo della
Porta, riducendolo a nuova forma, e v'innalzò di fronte quello di Urbano VIII che è il primo dei monumenti
papali barocchi di stile pittorico, che servì di modello per oltre un secolo. Sotto il pontificato di Innocenzo X
(1644-1655) fu in gran parte rinnovato il pavimento, e l'Algardi scolpì la grande tavola marmorea dell'Attila.
Al tempo di Alessandro VII (1655-1667) il Bernini ideava la Cattedra di S. Pietro, collocandola in fondo
all'abside.
I biografi del maestro narrano un curioso aneddoto: un giorno, Gian Lorenzo ancora fanciullo si trovava
nella basilica di S. Pietro, e udì Annibale Caracci pronosticare che in avvenire un artista di genio portentoso
avrebbe elevato nella chiesa due grandi opere, una sotto la cupola e l'altra nella tribuna; il vaticinio si avverò
col sorgere del Baldacchino e della Cattedra.
Nella grande tribuna che Michelangelo condusse a termine, su un basamento tutto incrostato di marmi rari,
sorgono le quattro statue di bronzo dorato dei dottori della Chiesa greca e latina: Atanasio, Giovanni
Crisostomo, Ambrogio e Agostino, i quali sorreggono la grande cattedra, tutta adorna di fregi a bassorilievo,
in cui è rinchiusa la veneranda sedia di legno ornata di placche d'avorio, che la tradizione vuole sia servita a
S. Pietro e ai suoi successori. Al di sopra, un'immensa gloria di nuvole d'oro, tra le quali volano alati
cherubini, sfolgora intorno all'occhio della tribuna, dove in un vetro colorato si disegna la colomba dello
Spirito Santo. Nello stesso pontificato di papa Chigi, il Bernini innalzò il famoso colonnato esterno che fa
della piazza di S. Pietro la più bella del mondo. E sotto quello di Clemente X (1670-1676) eseguì il
tabernacolo per la cappella del Sacramento in forma di tempietto rotondo, con preziose colonne di
lapislazzuli.
Un disegno del Bernini mostra la Basilica Vaticana adattata a una figura umana, distesa bocconi, di cui la
testa rappresenta la cupola e le braccia aperte indicano i colonnati della piazza. E veramente come braccia
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gigantesche del gran corpo del tempio si aprono i portici di S. Pietro invitando la Cristianità tutta a entrare
nel santo luogo ove cento fiammelle eterne splendono sulla tomba del pescatore di Galilea.
GLI INTERVENTI PIU' RECENTI
I secoli successivi pochi mutamenti hanno apportato al tempio Vaticano, così che si può dire che esso
conservi ancora l'impronta che gli diede il barocco, il grande secolo dell'arte romana. I mausolei papali di
Innocenzo XI, di Alessandro VIII, di Innocenzo XII, di Gregorio XIII, di Benedetto XIV, non fanno che
ripetere i grandi modelli berniniani.
Nel monumento di Maria Clementina, regina d'Inghilterra, appare la grazia un po' affettata del Settecento,
mentre nel grande mausoleo di Clemente XIII di Antonio Canova (1757-1822), è espressa in forma già
compiuta l'ideale del neo-classicismo: non più marmi colorati, non più drappi, non più accartocciamenti di
cartelle e di volute, non più gesti declamatori e pose enfatiche, ma in ogni parte calma e compostezza, come
se la serenità degli antichi greci fosse risorta con i marmi dissepolti, ingentilita però dalla grazia del maestro
veneziano, temperata da un sentimento cristiano. L'arte barocca è ormai morta: uno spirito nuovo aleggia
nelle figure canoviane: papa Rezzonico sta inginocchiato sul candido plinto come Alessandro VII si
inginocchia sulla sua base di marmo colorato, ma mentre intorno al capo venerando di Clemente XIII, tutto
raccolto nel suo colloquio con Dio, sembra aleggiare una coorte spirituale di angeli e di beati, dietro la statua
berniniana di papa Chigi pare d'intravedere la fastosa corte terrena di un principe del Seicento.
Nel 1776, Pio VI (1775-1799) pose la prima pietra della nuova Sagrestia, disegnata da Carlo Marchionni,
romano; grande essa sola come una chiesa, con una rotonda centrale coperta da cupola, fiancheggiata da sale
per uso dei canonici, per il Tesoro e per l'Archivio.
L'Ottocento è rappresentato in S. Pietro dal monumento Stuart e dalle statue di Pio VI, che è nella
Confessioe, opere del Canova, e dai sepolcri di Pio VII del danese Alberto Thorvaldsen, di Pio VIII del
Tenerani, di Gregorio XVI dell'Amici, i quali ultimi non sono certo degni di stare a paragone cogli altri
mausolei papali della Basilica. L'architetto Valadier aggiunse alla facciata gli orologi laterali
Anche nel Novecento la Basilica si è arricchita di nuove opere d'arte. Il 28 giugno 1923 si è scoperto il
mausoleo papale di Pio X, opera dello scultore P.E. Astorri e dell'architetto Di Fausto. Successivamente,
sono stati collocati nella Basilica i monumenti di Pio XI, Pio XII e Giovanni XXIII. Rilevanti anche la porta
dei Sacramenti e quella della Morte.
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S. PIETRO al VATICANO
LA PIAZZA
E' sicuramente la piazza più famosa del mondo, immortalata soprattutto dalle immagini stampate o
teletrasmesse che la mostrano stracolma di persone in occasione della benedizione domenicale dell'Angelus
e delle messe solenni del Natale e della Pasqua oppure nelle circostanze speciali della canonizzazione di un
santo della Chiesa ed eccezionali della proclamazione di un nuovo Pontefice.
Il colloquio domenicale tra il papa e la folla raccolta sulla piazza è una consuetudine iniziata da Pio XII (1
marzo 1944: diffidò i belligeranti a risparmiare Roma).
Lo spirito religioso e spirituale che aleggia sulla piazza fu profanato durante la Repubblica giacobina del
1799, quando divenne teatro di esecuzioni capitali.
L'intera piazza ha un'estensione di circa 4 ettari. Il suo asse maggiore (tra Via della Conciliazione e la
facciata) è di m. 340 e quello minore di m. 244.
La piazza è stata definita
un invito regale, anzi di magnificenza imperiale, che già con la sua vastità, la sua maestà, la sua
incomparabile armonia, prepara gli animi a visitare con più adeguati rispetto e venerazione un tempio che è
preceduto da tanta gandiosa mole e bellezza
(Carlo GALASSI PALUZZI, "la Basilica di S. Pietro", pag. 151)
IL COLONNATO
Il colonnato, che abbraccia la piazza, è opera di Gian Lorenzo Bernini. Realizzato dal 1657 al 1667, su
commissione del pontefice Alessandro VII Chigi (1655-1667), racchiude l'enorme piazza.
E' costituito da due emicicli che formano un'ellittica con un asse maggiore di m. 196 e uno minore di m. 148.
Il centro geometrico di ciascun ovale è segnato sulla pavimentazione della piazza con un disco di marmo dal
quale le "campate" del colonnato si vedono perfettamente allineate come se vi fosse una sola colonna per
fila.
I due emicicli constano di 8 pilastri in travertino e 284 colonne, 142 per lato, disposte in quadruplice fila,
con tre ambulacri intermedi, du cui quello centrale assai spazioso. Ciascuna colonna è alta m. 13 e le più
esterne misurano m. 1,45 di diametro. Complessivamente, il colonnato è largo m. 17.
Sui cornicioni del colonnato, alto m.18,60, e sulle gallerie di raccordo con la facciata vi sono 150 statue
colossali (ciascuna alta m. 3,24) eseguite dagli allievi del Bernini. Altre 12 statue adornano la facciata.
Disposizione delle Statue:
 Braccio Nord : i Difensori della fede e i Fondatori dei più antichi ordini religiosi
 Braccio Sud : i Difensori del primato di Roma, papi, vescovi, dottori della Chiesa; Riformatori e
Fondatori di ordini religiosi
 Bracci dritti : Santi martiri, con alcuni grandi santi della Riforma cattolica e santi venerati come
taumaturghi
L'OBELISCO
Al centro della Piazza, il primo obelisco ricollocato in tempi moderni, l'unico, a Roma, a non avere iscrizioni
geroglifiche, ma latine. E' alto m. 25,31 su un basamento di m. 8,25. E' un monolito, a facce lisce, di granito
rosso, ricordato fin dal tempo di Plinio il Vecchio (I secolo dopo Cristo). Fu portato a Roma da Caligola e fu
originariamente collocato nel Circo di Nerone.
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Sisto V ordinò che fosse portato qui dal lato Sud della basilica e l'incarico fu affidato a Domenico Fontana
nel 1586, che, coadiuvato dal fratello Giovanni, lo realizzò in quattro mesi, con l'impiego di 900 uomini, 140
cavalli e 44 argani.
L'obelisco è anche utilizzato come gnomone di una Meridiana (con relativa Rosa dei venti) disegnata sul
pavimento della piazza nel 1817 dall'astronomo L.F. Gilij. A mezzogiorno (astronomico) si può anche
leggere la data del giorno, indicata dall'apice dell'ombra dell'obelisco su una striscia di marmo dove sono
marcati i mesi zodiacali.
Alla sommità dell'obelisco è stata collocata una teca che contiene le reliquie della Santa Croce di Gesù
Cristo, portata a Roma da Sant'Elena, madre dell'imperatore Costantino. Prima, vi era collocata una palla di
bronzo che si diceva contenesse le ceneri di Giulio Cesare. La palla fu donata nel 1589 da Sisto IV al
Comune di Roma, che la sistemò nel palazzo dei Conservatori al Campidoglio. Sulla superficie della palla
sono ancora visibili le tracce dei colpi di cannone dei Lanzichenecchi durante il sacco di Roma del 1527.
LE FONTANE
Ai lati dell'obelisco, due spettacolari fontane, una di Carlo Maderno (1613), l'altra di Carlo Fontana (1677).
LA SCALINATA
Dall'obelisco alla facciata della basilica corre una distanza di m. 191, mentre la scalinata, fra le due statue di
S. Pietro e S. Paolo, è di m. 76,73.
Ai piedi della scalinata, le due statue raffiguranti S. Pietro (nella foto a lato) e S. Paolo, scolpite da G. Fabris
e A. Tadolini nel 1838 per la nuova basilica di S. Paolo fuori le Mura, ricostruita dopo l'incendio del 1823.
Furono collocate a piazza S. Pietro nel marzo 1847 per desiderio di Pio IX in sostituzione di due statue, di
dimensioni più modeste, eseguite nel 1461-1462 e che sono ora conservate nella vecchia aula del Sinodo.
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S. PIETRO al VATICANO
IL VESTIBOLO
Corrisponde all'antico portico delle basiliche cristiane e medioevali. Fu costruito fa Carlo Maderno (15561629); insieme con la facciata, e ha le volte decorate da stucchi rappresentanti entro medaglioni gli Atti degli
Apostoli e stemmi di Paolo V (1605-1621), opera di Antonio Buonvicino, diretta dall'architetto e stuccatore
Martino Ferabosco.
Il pavimento è del tempo di Clemente X (1670-1676), Atieri. Le cinque porte che danno accesso al tempio
sono ornate con colonne e stipiti e sono sormontate da timpani, con teste di cherubini, alcune delle quali
sono opera del Borromini (1599-1667), quando era semplice scalpellino.
Alla porta centrale furono adattate al tempo di Paolo V le valve di bronzo della vecchia chiesa, eseguite dal
fiorentino Antonio Averlino detto Filarete (1400-1469), nell'anno 1445. Lo scultore impiegò dodici anni per
l'esecuzione delle porte. Nei riquadri maggiori sono rappresentati il Cristo, la Madonna, S. Pietro, S. Paolo,
il martirio dei due Apostoli. In spazi più piccoli, le storie del Concilio fiorentino del 1438 per l'unione delle
Chiese e l'arrivo a Roma e l'incoronazione dell'imperatore Sigismondo, cioé i fatti più importanti avvenuti
sotto il pontificato di Eugenio IV Condulmer (1431-1447), committente dell'opera, rappresentato per questa
ragione inginocchiato davanti a S. Pietro.
Un fregio di acanto a spirale, intramezzato da medaglioni classici, da scenette tratte dalla mitologia, dalla
storia romana e dalle favole di Esopo, gira tutto intorno agli specchi della porta, formando una ricca e
bizzarra cornice. Un piccolo e strano bassorielievo, rappresentante l'autore a cavallo di un mulo seguito dai
suoi discepoli festanti, è collocato dietro la porta, a mo' di firma, nell'interno della chiesa.
Sopra la porta del Filarete, è un rilievo con Gesù che affida a S. Pietro il gregge cristiano, opera di Gian
Lorenzo Bernini (1598-1680) o di un suo seguace.
L'ultima porta a destra è la cosiddetta Porta Santa che si apre soltanto negli anni del Giubileo.
Le altre tre porte sono state munite di battenti bronzei (metri 7,40x3,55), opera di scultori che risultarono
vincenti in un concorso internazionale, bandito nel 1947: Alfredo Biagini, Venanzo Crocetti e Giacomo
Manzù. Più tardi, morto il Biagini, gli subentrarono, in collaborazione, Francesco Nagni e Alessandro
Monteleone. Nella prima porta da sinistra, del Manzù, sono raffigurate l'Ascensione di Gesù e l'Assunzione
di Maria, con in basso otto pannelli minori dedicati a personaggi biblici e ai Santi morti in singolari eroiche
circostanze. Nella seconda porta, del Crocetti, è sintetizzata la Storia della Chiesa, dall'investitura di S.
Pietro al Concilio di Trento. La porta a destra di quella maggiore, del Nagni e del Monteleone, è divisa in sei
pannelli, con i Fasti della Chiesa, dal Concilio di Trento a oggi.
Mosaico della Navicella della Chiesa di GIOTTO
Al di sopra dell'ingresso principale del portico è collocato il mosaico rappresentante la Navicella della
Chiesa, opera di Giotto (1267-1337), restaurato più volte quasi completamente nel Seicento, quando fu
rimosso dall'atrio della vecchia basilica.
La figurazione simbolica si ispira alle parole di Gesù Cristo, secondo le quali la Chiesa è come una nave
continuamente sbattuta dalle tempeste degli odii e delle persecuzioni, ma che non può affondare mai perché
ha fede nell'aiuto del suo fondatore.
In mezzo alle onde procellose si vede nel mosaico una lunga nave con il bordo tutto decorato e con la vela
gonfiata dal vento. Nell'interno, gli Apostoli sbigottiti fanno gesti di terrore. Nell'angolo di destra sta in piedi
sulle acque Gesù, che è la figura che meno ha sofferto nei restauri, e porge la mano a S. Pietro, inginocchiato
davanti a Lui. Assai più piccola rispetto alle altre, nell'angolo di destra ai piedi del Cristo, c'è la figura del
cardinale Iacopo Stefaneschi, canonico di S. Pietro, che commise il lavoro a Giotto, intorno al 1300, a
ricordo del primo Giubileo proclamato da Bonifacio VIII (1294-1303).
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Statue di Costantino e di Carlo Magno
Alle due estremità del portico di aprono due vestiboli. In quello di destra, che fa parte del grande ingresso
del palazzo Vaticano, è collocata nel fondo la statua equestre di Costantino il Grande, eseguita da Gian
Lorenzo Bernini dal 1654 al 1670. L'imperatore, sul cavallo al galoppo, guarda in alto, attonito per
l'apparizione della Croce. Il gruppo si distacca su un grande drappo di stucco a fregi d'oro, che a tutta prima
sembra strano per accompagnare una statua equestre, ma, secondo il concetto dell'artista, essendo tutto
mosso, come agitato dal vento, contribuisce all'effetto di movimento, di tutto l'insieme.
In fondo al vestibolo di sinistra fu posta nel 1725 la statua equestre di Carlo Magno, dovuta ad Agostino
Cornacchini (1683-1740). Dal confronto con quella del Bernini appare assai bene la distanza fra il maestro e
i suoi tardi imitatori, i quali non intendono certi concetti propri dello spirito barocco del Bernini e li
traducono senza significato: il drappo mosso dal vento qui diviene una tenda tirata da un lato come per
l'apertura di uno scenario. Non c'è più l'impeto, la foga, della statua berniniana, ma un accumularsi di
elementi privi di vita.
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S. PIETRO al VATICANO
L'INTERNO
Entrando per una delle porte che danno nella navata centrale, si vede in
profondità la basilica fino all'abside, e si ha così un'idea della vastità
del tempio, non però quale si sarebbe avuta se al tempo di Paolo V
(1605-1621) non si fosse adottata la croce latina, allungando tutta la
parte anteriore. Il critico d'arte Francesco Milizia (1725-1798) che
attribuisce la colpa di tutto ciò all'architetto Carlo Maderno (15561629) (mentre l'allungamento fu voluto dalla Commissione
Cardinalizia che dirigeva la fabbrica), così scrive:
"Maderno volle fare assai e guastò tutto. Per darle maggiore
grandezza, come se grandezza e bellezza fossero gemelle, da croce
greca la ridusse a croce latina, e ne scappò un diluvio di stroppiature.
A chiunque entra la prima volta in S. Pietro sembra d'entrare in una
chiesa ordinaria, comparendogli men grande di quel che realmente è.
Si entri in S. Pietro, e senza guardare cosa alcuna, e con una mano
sugli occhi si vada a mettere nell'estremità d'uno dei due bracci
laterali, dov'è l'altare di S. Simone e Giuda, o l'altare di S. Processo e
Martiniano: si guardi allora e si resta stupefatto in vedere tanta grandezza, tanta magnificenza, tanta
vastità, che non si trova nell'ingresso delle porte principali, e viene una stizza maledetta contro il
presuntuso Maderno"
I pilastri scanalati d'ordine corinzio e gli spazi intermedi sono tutti in marmo e stucco bianco, e così la parete
d'ingresso interna, in modo che la navata centrale conserva il tipo di una chiesa della Controtriforma, austera
e fredda, senza colore e senza ornamenti. Ad essa fannno contrasto i pilastri laterali che danno sulle navate
minori, rivestiti di marmi policromi con cartelle, busti e angeli, del tempo di Innocenzo X (1644-1655).
OTTAGONO, CUPOLA, BALDACCHINO, LOGGE, STATUE DEI NICCHIONI
Quattro immensi piloni pentagoni di m. 71 di perimetro, costruiti da
Donato Bramante e consolidati da Michelangelo Buonarroti,
sostengono i quattro arconi che reggono la cupola, il cui anello
inferiore ove poggia il tamburo ha 42 metri di diametro. Nei pennacchi,
in grandi medaglioni in mosaico, sono raffigurato gli Evangelisti: su
disegni di Cesare Nebbia S. Matteo e S. Marco, e di Giovanni de
Vecchi S. Luca e S. Giovanni. La cupola è suddivisa da sedici
costoloni e decorata con figure e medaglioni in mosaico, che
rappresentano i papi e i vescovi sepolti nella basilica e santi e angeli,
eseguiti su cartoni del Cavalier d'Arpino.
Sotto la cupola si apre la Confessione, alla quale si discende per due scale e che ha le pareti incrostate di
marmi policromi, su disegni del Maderno e di Martino Ferabosco. Nel centro di essa era collocata la statua
inginocchiata di Pio VI, una delle ultime opere di Antonio Canova, ora trasferita nelle Grotte Vaticane.
Sull'altare principale al di sopra della Confessione, sotto la cupola, non però nel centro ma spostato
notevolmente verso l'abside, si eleva il Baldacchino di bronzo, opera di Gian Lorenzo Bernini. Urbano VIII,
appena salito al trono, nel 1624, aveva voluto che sulla tomba di S. Pietro sorgesse un nobile tabernacolo, e
scartati altri progetti aveva scelto quello del suo prediletto Bernini, non lesinando mezzi perché l'opera
riuscisse degna, e imponendo per procurarseli nuove gabelle. Mancava il bronzo, e si tolsero i costolini della
cupola della basilica, ricavandone 103,229 libbre; altro se ne fece venire da Venezia e da Livorno, e se ne
raccolsero in tutto 211,427 libbre. Ma poiché il metallo ancora non bastava, Urbano VIII non esitò a
ordinare che si togliesse quello delle travi del pronao del Pantheon, così che Pasquino escalamava: Quod non
fecerunt barbari, fecerunt Barberini! Un contemporaneo ci fa sapere che "tutto il metallo tanto dalle travi,
quanto degli chiodi di essi che era nel portico del sopraddetto tempio era libre quattrovecentocinquanta mille
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e duecento cinquantuna, essendo li chiodi doli libre nove mila trecento settanta quattro"; ma non tutto fu
impiegato per il Baldacchino, poiché se ne fecero anche ottanta cannoni per Castel S. Angelo. Il Pantheon
ebbe, in compenso della spogliazione di quegli ornati, che un'iscrizione collocata nel pronao chiama "decora
inutilia", i due campanili che il popolo argutamente battezzò "le orecchie d'asino del Bernini", demoliti nel
1883.
Si cominciò subito con il gettare in bronzo le quattro grandi colonne, ognuna delle quali, pesata con
un'ingegnosa bilancia ideata da Luigi Bernini, risultò di libbre 27,948; e furono innalzate nel 1626 e
indorate; si fece un modello del coronamento che poi fu eseguito in legno, rivestito di lamine di metallo. I
disegni che il Bernini forniva in piccole dimensioni, venivano riprodotti in grande da Francesco Castello o
Borromini. Tutta l'opera costò 200.000 mila scudi, e il Bernini, oltre ai 250 scudi che aveva ricevuto dal
principio del lavoro, ebbe infine un dono di altri 10.000, così che in tutto venne a guadagnare non meno di
34.000 scudi, più un canonicato per Vincenzo e un benefiziato per Domenico suoi fratelli, e la nomina di
Luigi a soprastante dei lavori di S. Pietro.
Il Baldacchino fu scoperto al pubblico il giorno di S. Pietro del 1633. L'idea fondamentale del Bernini fu
felicissima; egli sostituì al ciborio, al tabernacolo tradizionale del Medioevo e del Rinascimento, in uso
ancora al suo tempo, un baldacchino: ossia a un elemento architettonico un elemento pittorico. Il
tabernacolo, composto di una cuspide o di una cupola marmorea retta da colonne, era qualche cosa di solido,
come un tempio minore dentro il maggiore. Il baldacchino, invece, coperto da un cielo che imita la stoffa, è
qualche cosa di mobile, di leggero, quasi di provvisorio; non più opera di architettura ma di tappezzeria; e
quindi appare non ingombrante e massiccio, ma libero, snello, in modo da lasciare vedere facilmente lo
sfondo ; e non diminuisce l'impressione di profondità della basilica, ma quasi l'aumenta, facendo apparire,
tra le colonne, più lontana l'abside.
Il Milizia definisce "assurde" le colonne tortili del baldacchino, ma in questo caso quel critico non comprese
che con esse il Bernini risolse un problema difficilissimo, se si pensa all'effetto monotono che avrebbero
fatto quattro tronchi lisci e verticali di quell'altezza straordinaria; invece con la divisione in tre parti e
l'avvolgimento a spirale, l'occhio non segue più una linea unica , ma si riposa, passando da una parte all'altra,
e accompagnando il dolce movimento delle delle curve. E poi il maestro, sempre innovatore, in questo caso
rispettava una tradizione antica, poiché si sa che il tabernacolo della basilica costantiniana aveva otto
colonne marmoree a spirale, dello steso tipo, e sono quelle che il Bernini stesso adattò, restaurandole, alle
logge delle reliquie, nei quattro piloni della cupola.
La decorazione dei quattro piloni è un'altra delle opere più
importanti che il Bernini eseguì sotto il pontificato di
Urbano VIII; egli rivestì di marmi colorati i quattro
nicchioni posti alle basi e al di sopra costruì le quattro
logge, ponendovi in fondo tabernacoli retti da colonne
tortili, con altorievi raffiguranti angeli che tengono gli
strumenti della Passione. Così il fronte dei pilastri forma
un meraviglioso insieme con il baldacchino . Nei nicchioni,
il Bernini collocò quattro grandi statue: il S. Longino,
opera propria; la Veronica, di Francesco Mochi; il S.
Andrea, del fiammingo Duquesnoy; la S. Elena, di Andrea
Bolgi; eseguite con tutta la decorazione tra il 1629 e il '39.
Tutte hanno atteggiamenti enfatici, pose teatrali.
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S. GIOVANNI IN LATERANO
Fondata da Papa Melchiade (311-314), la Basilica sorge nella
piazza omonima dove al tempo di Nerone vi erano le proprietà
della potente famiglia dei Plauzi Laterani, donate al pontefice
dall'imperatore Costantino. Fu la prima sede del Papato e quindi
era ed è tuttora la Cattedrale di Roma.
La chiesa primitiva aveva 5 navate e fu dedicata al Salvatore;
ma al tempo di S.Gregorio Magno assunse il titolo di
S.Giovanni in onore del Battista e dell'Evangelista. Devastata
dai Vandali, fu restaurata da S.Leone Magno nel V secolo e da
Adriano I nell'VIII secolo. Nell'896 venne danneggiata dal
terremoto; riedificata nel 905 da Sergio III, fu splendidamente
decorata da Nicolò IV nel 1288-92. Distrutta completamente da
un incendio nel 1308, fu ricostruita da Clemente V. Ma il fuoco la rase al suolo nuovamente nel 1361 e
quindi venne riedificata per opera del senese Giovanni di Stefano durante i pontificati di Urbano V e di
Gregorio XI. Nel 1650, in occasione del Giubileo, Innocenzo X ordinò all'architetto Borromini il completo
rifacimento: della parte antica venne conservata solo l'abside, che fu rinnovata da Leone XIII nel 1885. Nel
1735 per desiderio di Clemente XII venne rinnovata la facciata principale.
In questa basilica nel 1300 papa Bonifacio VIII proclamò il primo Anno Santo.
LA FACCIATA PRINCIPALE
Edificata nel 1735, è il capolavoro dell'architetto fiorentino Alessandro Galilei. Formata da un solo
monumentale ordine di semicolonne e lesene corinzie con un corpo mediano più sporgente, si compone di
un portico architravato e di un loggiato ad arcate. Nel mezzo, la loggia delle benedizioni dalla quale si
affaccia il Papa a benedire il popolo nel giorno dell'Ascensione. Sulla balaustrata che sormonta l'attico si
elevano 15 gigantesche statue alte 7 metri: al centro il Cristo, ai lati S.Giovanni Battista e S.Giovanni
Evangelista con i Dottori della Chiesa.
Da una delle cinque aperture si entra nel PORTICO del Galilei, con volta a botte ribassata ornata da
lacunari. Esso comunica con l'interno attraverso altre 5 porte: quella centrale è provvista di preziosi battenti
in bronzo; l'ultima a destra è la Porta Santa, che si apre solo in occasione del Giubileo. A sinistra si erge la
grande statua di Costantino, sopra di essa e sopra le porte i rilievi marmorei con le storie della vita del
Battista.
L'INTERNO
Misura 130 metri di lunghezza ed è a 5 navate divise da colonne. L'opera di rimodernamento è dovuta al
Borromini che si occupò anche della sistemazione dei più antichi monumenti funebri e delle cappelle
laterali.
NAVATA MEDIANA - Il sontuoso soffitto ligneo disegnato da Pirro Lagorio fu iniziato nel 1562 sotto il
pontificato di Pio IV de' Medici e ultimato da Pio V (1567); Pio VI (1775-1800) lo restaurò e vi pose il
proprio stemma. Il pavimento è di tipo cosmatesco. Contro i pilastri della navata maggiore spiccano 12
grandi edicole dentro le quali furono collocate le colossali statue degli Apostoli. Al disopra delle edicole le
scene del Vecchio e del Nuovo Testamento; più in alto dentro cornici ovali, I Profeti.
NAVATA ESTREMA DESTRA - All'inizio, nella CAPPELLA, si può osservare il sepolcro di Paolo Mellini
(1527) sormontato da Madonna col Bambino, seguito dalla tomba del cardinale Acquaviva con le statue
della Temperanza e della Prudenza. La CAPPELLA Torlonia, ultima cappella gentilizia romana, a croce
greca e cupola, è opera dell'architetto Raimondi (1830-50); ospita alle pareti i monumenti funebri del duca
Giovanni e di Anna Torlonia con le statue di Virtù. La CAPPELLA Massimo è di Giacomo Della Porta
(1570): sull'altare, Crocifisso del Sermoneta (1575). All'esterno si può notare una nicchia con statuetta di
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S.Giacomo; nella navata seguono la tomba del cardinale Casati e il sepolcro del cardinale Antonio Martino
De Chaves, detto il Cardinal di Portogallo.
NAVATA INTERMEDIA DESTRA - A partire dal 5° (ultimo) pilastro, tomba del cardinal Ranuccio
Farnese, nipote di Paolo III. Al 4° pilastro, sepolcro di papa Sergio IV. Al 3° pilastro, sepolcro di Alessandro
III. Al 2° pilastro, cenotafio di Silvestro, che nel Medioevo ebbe fama di mago. Al 1°, Bonifacio VIII
proclama il Giubileo del 1300, affresco frammentario attribuito a Giotto.
NAVATA ESTREMA SINISTRA - Al principio, in alto, su un sarcofago, la statua di Riccardo degli
Annibaldi, probabilmente opera di Arnolfo di Cambio. La CAPPELLA Corsini, opera di Alessandro Galilei
(1732-35), è a croce greca, ripartita da lesene corinzie, con volte e cupola a lacunari. A sinistra, sepolcro di
Clemente XII; all'altare, copia in mosaico di S.Andrea Corsini di Guido Reni; a destra, monumento del
Cardinal Neri Corsini. Nelle nicchie, statue delle Virtù : Temperanza, Prudenza, Giustizia e Fortezza. Nella
CRIPTA, marmo di Antonio Montauti; segue il sepolcro del cardinale Bernardino Caracciolo. La
CAPPELLA, di Onorio Longhi, con cupola ovale, ospita il monumento dei soldati pontifici e il monumento
del cardinale Giulio Antonio Santori. La CAPPELLA, a pianta centrale e cupola, con pareti concave tra fasci
di colonne e lesene agli angoli, fu eretta nel 1675.
TRANSETTO - Completamente rinnovato sotto il pontificato di Clemente VIII, dal 1597 al 1601, in alto è
decorato da grandi affreschi: Ascensione, Apostoli, Fatti di Costantino, Fatti riguardanti la Basilica. Un
altorilievo, nella zona inferiore, gli Angeli facenti parte della decorazione disegnata dal Della Porta. Il
soffitto è di Taddeo Lentini (1592).
BRACCIO DESTRO - Nella testata sopra l'ingresso laterale c'è un grande organo sostenuto da 2 colonne.
Nella Cappella del Crocifisso si può osservare la figura di Bonifacio IX Tomacelli, inginocchiato. Segue la
tomba di Innocenzo III.
CENTRO - Il TABERNACOLO ogivale, opera del senese Giovanni di Stefano, fu fatto erigere da Urbano V
nel 1367: E' ornato da 12 riquadri in affresco; in alto, custodie d'argento racchiudono le reliquie delle teste
degli Apostoli Pietro e Paolo. Sotto il Tabernacolo, l'ALTARE PAPALE, dal quale solo il pontefice può
officiare la messa, restaurato nel 1851; nella parte superiore è conservato l'altare ligneo. Ai piedi dell'altare,
nel recinto della Confessione, il sepolcro di Martino V.
BRACCIO SINISTRO - Ospita il sepolcro di Leone XIII e la CAPPELLA Colonna con il monumento di
Lucrezia Tomacelli. Alla testata del transetto, l'altare del Sacramento, con 4 colonne e coronamento a
timpano, di bronzo dorato, e tabernacolo in bronzo; ai lati, statue di Elia, Mosè, Melchisedec e Aronne.
PRESBITERIO e ABSIDE - Rifacimento voluto da Leone XIII (1884), eseguito da Francesco Vespignani.
Il mosaico dell'abside è opera di Jacopo Torriti e Jacopo da Camerino (1288-94): in alto si può vedere il
Salvatore a mezzo busto circondato da angeli; in basso, la croce gemmata, con la Colomba, posata sulla
collina racchiudente la celeste Gerusalemme, da dove scendono a dissetare il gregge i quattro fiumi (i
Vangeli); a sinistra, Maria col donatore Nicolò IV e i Ss. Pietro e Paolo; a destra, i due Giovanni e S.
Andrea, S. Francesco d'Assisi e S. Antonio da Padova; al di sotto il Giordano; in basso, 9 Apostoli e le
figure dei due autori. Alle pareti del presbiterio, due grandi affreschi raffiguranti fatti di Innocenzo III e
l'architetto Vespignani.
La Basilica è completata dal CORRIDOIO che conduce alla
SAGRESTIA VECCHIA dei Beneficiati, la quale ospita
l'Annunciazione, tavola di Marcello Venusti, su disegno di
Michelangelo (1555); da una porta si passa nella SALA
CLEMENTINA, Sagrestia dei Canonici. Più avanti si incontrano i 5
ambienti della SAGRESTIA NUOVA, fatta costruire da Leone XIII. Di
particolare interesse è il CHIOSTRO, capolavoro d'arte cosmatesca,
costruito dai Vassalletto (1215-32) durante i pontificati di Onorio II e
Innocenzo IV.
La Scala Santa nei pressi della Basilica
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SANTA MARIA MAGGIORE
E' la quarta delle basiliche patriarcali di Roma. Essa è dedicata al culto
della Vergine e si dice Maggiore perché, fra le tante chiese romane a
Lei dedicate, questa è la più grande. La sua origine si deve a un fatto
miracoloso: nella notte del 5 agosto 352 papa Liberio ebbe una visione
della Vergine e l'esplicita raccomandazione di costruirle una chiesa in
un punto di Roma dove, pur essendo estate, sarebbe nevicato; il
miracolo della neve d'agosto si verificò proprio sull'Esquilino e qui fu
innalzata la basilica, che si chiamò Liberiana e fu intitolata a Santa
Maria delle Nevi.
L'attuale basilica fu eretta da Sisto III (432-440) subito dopo il concilio
di Efeso; nel XII secolo papa Eugenio III ne ingrandì l'atrio; Niccolò
IV (1288-92) ne rifece l'abside; Clemente X (1670-76) si occupò della
facciata posteriore e Benedetto XIV (1740-58) della facciata principale.Il campanile in stile romanico, del
1377, con cuspide piramidale, è il più alto di Roma: misura 75 metri.
LA FACCIATA PRINCIPALE
Vero gioiello dell'architetto fiorentino Ferdinando Fuga, che l'edificò
tra il 1743 e il 1750, E' fiancheggiata da due palazzi gemelli a 5
piani; si leva da un'ampia gradinata con due ordini: il primo
costituito da un portico a cinque aperture architravate, il secondo da
una grande loggia a tre arcate, di cui la mediana più alta. L'effetto
scenografico è arricchito da statue e da una balaustrata che si
prolunga sui palazzi adiacenti.
IL PORTICO
A destra si può osservare la statua di Filippo IV di Spagna, bronzo di Girolamo Lucenti (1692) su disegno
del Bernini; a sinistra si trova la Porta Santa. Dalla scala a sinistra si sale alla LOGGIA, che conserva la
decorazione dell'antica facciata, formata da due serie di mosaici: sopra l'opera firmata da Filippo Rusuti
della fine del XIII secolo; sotto quella raffigurante La visione di papa Liberio e gli altri fatti leggendari.
L'INTERNO
Lungo 86 metri, è diviso in 3 navate, di cui la mediana
larghissima, da colonne monolitiche con capitelli ionici che
sostengono direttamente la trabeazione. Il bel pavimento
cosmatesco è della metà del XII secolo. Il soffitto rinascimentale
a cassettoni, attribuito a Giuliano da Sangallo, reca l'emblema
del bue gentilizio di papa Alessandro VI Borgia e fu dorato,
secondo la tradizione, col primo oro giunto dall'America.
NAVATA MEDIANA - A destra dell'ingresso si trova il
monumento di Clemente IX di Carlo Rainaldi (1671), a sinistra il monumento di Nicolò IV eretto da
Domenico Fontana (1574). Lungo i muri laterali, sopra la trabeazione, si estendono 36 riquadri a mosaico,
del tempo di Sisto III (V secolo), documento prezioso dell'arte del Basso Impero, che rappresentano fatti di
Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè e Giosuè. Questi sono idealmente collegati al mosaico dell'arco di trionfo
in fondo alla navata, dove sono raffigurati fatti della venuta e dell'infanzia di Gesù.
LA CONFESSIONE - Fu rifatta nel 1864 su disegno di Virginio Vespignani. Il baldacchino dell'altar
maggiore, con 4 colonne di porfido ravvolte da fronde di bronzo, è opera di Ferdinando Fuga; l'urna
custodisce le reliquie dell'apostolo S. Matteo e di altri martiri.
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ABSIDE - Ha finestre archiacute a strombo decorate da
mosaici. Nella semicalotta si trova il grande mosaico del
romano Iacopo Torriti (1295), che raffigura, dentro un grande
cerchio, il Redentore seduto in trono con la Madre, che viene
da Lui incoronata; ai lati una schiera di angeli, a sinistra gli
Apostoli Pietro e Paolo con San Francesco, inginocchiato
Papa Niccolò IV; a destra i Santi Giovanni Battista, Iacopo e
Antonio, inginocchiato il Cardinale Iacopo Colonna. Nella
parte inferiore del giro dell'abside sono murati 4 bassorilievi,
dall'antico ciborio dell'altare papale.
NAVATA DESTRA - A destra si trova il BATTISTERO, di Flaminio Ponzio (1605): il fonte battesimale è
del Valadier (1825); all'altare un altorilievo con l'Assunzione della Vergine di Pietro Bernini (1606-1611).
Questa navata ospita anche la SAGRESTIA, l'antica CAPPELLA DI S. MICHELE, la CAPPELLA DELLE
RELIQUIE e la grandiosa CAPPELLA SISTINA, iniziata nel 1585 da Sisto V Peretti per opera di
Domenico Fontana. In fondo alla navata, a destra si trova la tomba del cardinal Consalvo Rodriguez in stile
gotico.
NAVATA SINISTRA - Di fronte alla cappella sistina si apre la CAPPELLA PAOLINA, ordinata da Paolo V
Borghese a Flaminio Ponzio che la realizzò con grande sfarzo nel 1611. Di particolare interesse è l'altare
ricco di diaspri, agate, ametiste, lapislazzuli, di Pompeo Targoni. Gli affreschi all'ingiro, in alto, sono di
Guido Reni (1613). Discendendo la navata si trova la solenne CAPPELLA SFORZA, eretta da Giacomo
della Porta (1564-73), forse su disegno di Michelangelo. Quindi seguono la Regina Pacis di Guido Galli
(1918) e la CAPPELLA CESI di Guidetto Guidetti (1550).
LA FACCIATA POSTERIORE
Preceduta dalla grandiosa scalinata, è una delle più solenni realizzazioni del Barocco romano: la parte a
destra dell'abside con la cupola ottagonale è opera di Flaminio Ponzio; la parte mediana in curva e quella a
sinistra sono di Carlo Rainaldi (1673); la cupola sinistra infine è dovuta a Domenico Fontana.
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SAN PAOLO FUORI LE MURA
Sorge sul luogo ove fu sepolto l'Apostolo San Paolo, martirizzato nel
64-68 e la cui tomba fu conservata alla venerazione dei fedeli da una
matrona cristiana di nome Lucina, proprietaria di tutto il terreno
circostante. Qui nel 103 papa Anacleto fece edificare un Oratorio.Nel
324 l'imperatore Costantino trasformò la cella memoriae
dell'Apostolo delle Genti in Basilica.
Ingrandita da Valentiniano II (386) e da Teodosio, fu compiuta con
ricchezza da Onorio, primo imperatore d'Occidente. Trovandosi fuori
le mura e su un percorso obbligato per entrare in città, subì il
saccheggio dei Longobardi nel 739 e quello dei Saraceni nell'847. Per
difenderla dalle incursioni, nell'872 papa Giovanni VIII vi costruì una
cittadella fortificata.
La splendida basilica fu arricchita di un soffitto da Sisto V, mentre
Benedetto XIII aggiunse un portico barocco davanti alla facciata; ma
nella notte dal 15 al 16 luglio 1823 fu distrutta da un incendio. La riedificazione iniziò sotto il pontificato di
Leone XII e durò quasi un secolo ad opera degli architetti Pasquale Belli, Pietro Bosio, Pietro Camporese il
Giovane e particolarmente Luigi Poletti. Gregorio XVI consacrò il transetto nel 1840 e Pio IX tutta la
basilica nel 1854. Tra la fine del secolo scorso e l'inizio dell'attuale, fu eretto il quadriportico antistante la
facciata.
E' la più ampia basilica di Roma dopo S. Pietro e la sua pianta ha le stesse dimensioni della Basilica Ulpia
nel Foro Traiano. In base al trattato del Laterano, la basilica e il monastero sono proprietà extraterritoriale
della S. Sede.
IL CAMPANILE
Fu eretto dal Poletti in sostituzione di quello precedente, in stile romano-gotico, danneggiato dall'incendio.
Quello attuale, simile a un faro, è a 5 piani: i primi tre sono a pianta quadrata, il 4° ottagonale e l'ultimo a
forma di tempietto circolare, a giorno, con colonne corinzie.
IL QUADRIPORTICO
Opera di Guglielmo Calderini (1896-1928), è formato dal pronao della facciata con 10 colonne monolitiche
alte 10 metri. Le colonne sono in duplice fila nei fianchi e in triplice fila nel lato verso il Tevere (in totale
sono 146). Nel mezzo si erge la grande statua di S. Paolo scolpita da Giuseppe Obici.
LA FACCIATA
Nella parte superiore, opera di Francesco Vespignani, si possono osservare i mosaici eseguiti su disegni di
Filippo Agricola e Nicola Consoni. La porta mediana ha i battenti in bronzo, con bassorilievi e ageminature
d'argento; la porta a destra, murata, è la Porta Santa.
L'INTERNO
Diviso in cinque navate, con 80 colonne monolitiche, è lungo 131,66 metri, largo 65 e alto 29,70 metri. La
navata maggiore si impone per la maestosa ampiezza: è larga 24,60 metri. Lo stile architettonico obbedisce
al gusto del tardo neoclassicismo.Il soffitto a lacunari, con ricca decorazione dorata, reca nel mezzo lo
stemma di papa Pio IX. Alle pareti, in alto, 36 affreschi coi fatti della vita di S. Paolo; sotto, sopra la
trabeazione, corre un fregio coi ritratti in mosaico dei 262 papi, da San Pietro a Giovanni XXIII. Lungo le
pareti laterali, dentro le nicchie, sono conservate statue degli Apostoli.
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Contro la parete interna della facciata, 6 grandi colonne d’alabastro; sopra la porta maggiore due Angeli
reggono lo stemma di Pio IX. In fondo alla navata mediana si apre il maestoso arco di trionfo, ricostruzione
di quello antico, impostato su due grandiose colonne di 14 metri con capitelli ionici, presso le quali sono le
statue di S. Pietro e S. Paolo. La decorazione in mosaici raffigura, nel mezzo, il 24 Salvatore.
ALTARE MAGGIORE - Al di sopra di esso, si trova il celebre ciborio, eretto nel 1285 da Arnolfo di
Cambio: splendido esempio di arte gotica, è sorretto da 4 colonne dai capitelli di marmo dorato; sopra
questi, in 4 nicchie angolari, i Ss. Pietro, Paolo, Luca, Benedetto, e nei mistilinei all'esterno delle ogive 8
bassorilievi. Nei 4 timpani, coppie d'angeli che reggono i rosoni a traforo; sotto l'altare, preceduto dalla
Confessione, è la tomba dell'Apostolo.
ABSIDE - Dominata dal grande mosaico, realizzato per volontà di Onorio III da artisti della Serenissima,
con al centro la colossale figura di Gesù benedicente tra i Ss. Pietro, Andrea, Paolo e Luca; nei mistilinei
fuori dell'arco dell'abside, alcuni mosaici di Pietro Cavallini. Nel giro dell'abside, nel mezzo, tra 4 colonne la
sedia papale con il bassorilievo dorato di Cristo che dà le chiavi a S. Pietro.
TRANSETTO - Ricco soffitto con gli stemmi di Pio VII, Leone XII, Pio VIII, Gregorio XVI e quello della
Basilica. Le pareti, rivestite di marmi policromi, sono ripartite da lesene corinzie. Alle testate dei due bracci
vi sono due altari: all'altare del braccio sinistro si può notare la Conversione di S. Paolo; verso l'abside si
trovano la cappella di S. Stefano e la cappella del Santissimo; al di là dell'abside, seguono la cappella del
coro e la cappella di S. Benedetto del Poletti; fuori della cappella una singolare acquasantiera. All'estremità
del braccio destro si trova l'altro altare con la copia in mosaico dell'Incoronazione di Maria. Verso l'altare
maggiore, il candelabro per il cero pasquale, di Nicolò di Angelo e Pietro Vasselletto (XII sec.), alto 5,60
metri.
La Basilica è completata dalla SALA DEL MARTIROLOGIO, il BATTISTERO, la SALA
GREGORIANA, la SAGRESTIA e il CHIOSTRO, opera in gran parte di Pietro Vasselletto, iniziato nel XII
secolo e compiuto prima del 1214.
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LE ALTRE TRE BASILICHE GIUBILARI
S. CROCE IN GERUSALEMME
Secondo un'antica tradizione sarebbe stato l'imperatore Costantino, nel 320,
a sistemarla in un'ala del palazzo Sessoriano per custodirvi le reliquie della
Santa Croce che sua madre, S. Elena, aveva portato dalla Terra Santa. La
Basilica fu rinnovata nel 1144 dal papa Lucio II e quasi del tutto rifatta
sotto Benedetto XIV da Domenico Gregorini con la collaborazione di Petro
Passalacqua (1743).
La FACCIATA settecentesca è bianca ma fortemente chiaroscurata,
spartita da tre fasce di lesene in tre campi concavi e convessi ed è coronata
da un timpano curvo, sormontato da balaustrate con statue.In basso, tre
portali immettono in un ATRIO ovale, coperto da una volta cupoliforme e
cinto da un ambulacro elittico, a fasci di lesene e colonne, di gusto
borrominiano. Sulla sinistra, una cappella chiusa al culto, con un
Crocefisso, affresco del secolo XIV.
L'INTERNO, in pavimento comatesco, è diviso in tre navate da 8 antiche colonne (4 per lato) di granito
alternate a 6 pilastri della trasformazione settecentesca. Nella finta volta lignea (che nasconde affreschi del
secolo XII), S. Elena sale al cielo, vivace tela di Corrado Giaquinto (1744). Al principio della navata
mediana, 2 acquesantiere marmoreee della fine del secolo XV, con pesci a rilievo nell'interno della tazza.
Alle pareti della navate minore, grandi tele di P. Lehoux (1890), con allegorie e varie scene. Nella navata di
destra, al secondo altare, S. Bernardino umilia l'antipapa Vittore IV a Innocenzo II, tela di C. Maratta (16601665)
Nel PRESBITERIO: baldacchino settecentesco con bizzarro coronamento a cornici in curva e volute; sotto
l'altare maggiore, bell'urna di basalto (con protomi leonine) racchiudenti i corpi dei SS. Cesario e Anastasia;
nella volta, Apparizione della Croce nel giorno del Giudizio finale, tela del Giaquinto (1744
c.)Nell'ABSIDE: in fondo, sepolcro del cardinale Fr. Quiñones (m.1540), confessore di Carlo V, eretto, lui
vivente (1536), da Jac. Sansovino, con, al di sopra, il tabernacolo in marmo e bronzo dorato per il
Santissimo (a destra, statua di David, a sinistra, Salomone); ai lati, Il serpente di bronzo di Mosè fa scaturire
l'acqua dalla rupe, affreschi del Giaquinto. Nel semicatino dell'abside, Invenzione della S. Croce per opera di
S. Elena e suo recupero per opera di Eraclio e, nell'alto, entro mandorla di cherubini, Cristo benedicente,
affresco attribuito ad Antoniazzo Romano (1492 circa) e fatto esegire dal cardinale Carvajal (poi presidente
del concilio scismatico contro Giulio II), il cui sepolcro, dal 1523 ma ancora di forme quattrocentesche, è in
basso, a sinistra.In fondo alla navata destra, una scala scende alla CAPELLA DI S. ELENA. Nella volta,
mosaico di finezza e splendore mirabili, probabilmente su disegno di Melozzo da Forlì (prima del 1484),
forse con successivo intervento di Baldassarre Peruzzi, poi restaurato da Fr. Zucchi (1593): al centro, entro
tondo, Gesù benedicente e intorno, entro ellissi, gli Evangelisti (negli spazi tra le ellissi, 4 storie della
Croce); in uno dei sottarchi, S.Silvestro, S. Elena con la Croce adorata dal cardinale Carvajal, I simboli della
Passione e, nell'altro, S.Pietro, S.Paolo, l'Agnus Dei. All'altare, statua romana (copia della Giunone
Vaticana) ritrovata a Ostia e, con l'aggiunta della Croce e col rifacimento della testa e della braccia
mancanti, trasformata in S. Elena. Sotto il pavimento della Cappella è sparsa la terra del Calvario, che S.
Elena portò con le reliquie della Passione di Gesù (da ciò l'appellativo in Gerusalemme)Da qui, oppure dalla
scala in fondo alla navata sinistra, si passa nella CAPPELLA GREGORIANA, costruita dal Carvajal (1523):
all'altare, Pietà di ignoto del principio del secolo XVII, e , ai lati, i SS. Pietro e Paolo, statuette marmoree
d'arte francese del secolo XIV.Da qui risalendo la scala oppure dal fondo della navata sinistra, si sale per una
scala, del Calvario, alla CAPPELLA DELLE RELIQUIE, costruita dall'architetto Florestano Di Fausto
(1930) sopra la cappella Gregoriana, ove sono custodite le reliquie della S. Croce (3 pezzi del legno, un
chiodo e parte del "titolo") e altre attinenti alla Passione di Cristo (2 spine della Corona) tra le più importanti
della Cristianità; all'inizio della scala, braccio trasversale della croce del Buon Ladrone (S. Disma); lungo le
pareti, Via Crucis in bronzo, di Giov. Nicolini (1933)
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SAN LORENZO FUORI LE MURA
S. SEBASTIANO FUORI LE MURA
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