La Sacra Sindone La storia recente La storia antica

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La Sacra Sindone La storia recente La storia antica
La Sacra Sindone
La Sindone è il telo conservato nella Cattedrale di Torino e ritenuto,per costante tradizione, il
lenzuolo funebre in cui il corpo di Gesù Cristo, quando venne deposto dalla croce. La Sindone
è un telo di lino color giallino, fabbricato in epoca molto antica; misura 4,36 m di lunghezza e
1,10 m di larghezza. L’intreccio irregolare del tessuto è stato realizzato su un telaio
rudimentale. La tessitura, a “spina di pesce”, presenta salti di battuta ed errori, ma per l’epoca
in cui fu confezionata, è da considerarsi una stoffa raffinata, destinata senz’altro ad acquirenti
ricchi. Questa lavorazione era molto nota nell’area medio-orientale ai tempi di Gesù. Come
tessuto, la Sindone può risalire benissimo al primo secolo d.C., dato che in antiche tombe
egizie (Beni Assan) si trovano raffigurati telai idonei a produrre questo tipo di tela e nella
necropoli di Antinoe (Alto Egitto, inizio secolo II d.C.) sono stati trovati tagli di tela analoga.
Osservando la Sindone si notano due righe scure che la percorrono in tutta la sua lunghezza. A
cavallo di queste righe scure ci sono zone più o meno simili a triangoli di colore chiaro e,
all’esterno di esse, delle figure a losanga o semi-losanga sfumate come aloni o bordi di
macchie. Questi segni sono gli effetti di un incendio, divampato nella notte tra il 3 e il 4 di
cembre 1532, in cui la Sindone rischiò di andare distrutta. Tutti i saperi sono stati chiamati in
causa per interrogarsi sulla provenienza e l’autenticità di questo antico reperto e tutti i mezzi
sono stati messi a disposizione degli studiosi per indagare al meglio sulla questione. Vedremo
quali ipotesi sono state formulate negli anni sulla base dell’eterna lotta tra scienza e fede, tra il
sapere che si fonda su eventi tangibili e il credo che sconfina nell’intangibile, per arrivare a
delineare quelle che sono considerate oggigiorno le ipotesi più attendibili.
La storia recente
Nel 1356, la Sindone viene esposta nel castello di Lirey (Francia del Nord) per iniziativa di un
cavaliere, Goffredo de Charny, che non ha mai rivelato come ne sia venuto in possesso. Nel
1453, Margherita di Charny, discendente di Goffredo, cede il lenzuolo ad una sua amica, Anna
di Lusignano, moglie del duca Ludovico di Savoia, che lo custodisce a Chambéry (Alta Savoia).
Da questo momento la Sindone entra in possesso dei Savoia e vi rimarrà per ben 542 anni. Nel
1578 Emanuele Filiberto la trasferisce a Torino, per abbreviare il viaggio a Carlo Borromeo
che vuole venerarla e nel 1694 viene definitivamente sistemata nella Cappella del Guarini
attigua al Duomo. D’ora in avanti si succederanno, ogni trent’anni circa, delle ostensioni, in
occasione di Giubilei o per particolari celebrazioni della famiglia Savoia, finché nel 1983, alla
morte di Umberto II, per testamento, viene donata alla Santa Sede. Un evento rilevante è da
considerarsi senz’altro la prima foto scattata nel 1898 dall’avvocato Secondo Pia, in occasione
di un’ostensione: il negativo ha rivelato l’inversione di chiaroscuro, dando inizio ad un
rinnovato interesse per la Sindone.
La storia antica
È possibile ricostruire anche la storia della Sindone dalla morte di Cristo fino al 1356
seguendo un filo fatto di taluni enigmi, alcune ragionevoli ipotesi e numerose certezze. L sera
del primo Venerdì Santo (forse il 7 aprile dell’anno 30), Giuseppe di Arimatea avvolge il corpo
di Gesù in un candido lenzuolo.
Venuta la sera, giunse un uomo ricco di Arimatea, chiamato Giuseppe, il quale era anche lui
discepolo di Gesù. Egli andò da Pilato e gli chiese il corpo di Gesù. Allora Pilato ordinò che gli
fosse consegnato. Giuseppe, preso il corpo di Gesù, lo avvolse in un candido lenzuolo e lo depose
nella sua tomba nuova, che si era fatta scavare nella roccia; rotolata poi una grande pietra sulla
porta del sepolcro, se ne andò. Erano lì, davanti al sepolcro, Maria di Magdala e l’altra Maria.
Mc 27, 57-61
La mattina di Pasqua, questo lenzuolo viene trovato vuoto del corpo che avvolgeva, dentro il
sepolcro altrettanto vuoto viene raccolto e custodito.
Nel giorno dopo il sabato, Maria di Magdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era
ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon
Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: “Hanno portato via il Signore
dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!” Uscì allora Simon Pietro insieme all’altro
discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più
veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva e vide le bende per terra e il sudario, che gli
era stato posto sul capo, non in terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte. Gv 20,1-7
All’interno della prima comunità cristiana, però, si parla poco di questa reliquia. Perché?
Sostanzialmente per tre motivi:
•la Sindone è un oggetto funebre, pertanto, considerato legalmente impuro dalla mentalità
giudaica;
•provenendo da un sepolcro affermava tacitamente la violazione del relativo sepolcro; e per
questo reato, la legge romana prevedeva pene severe, fino alla pena di morte;
•si riferiva, inoltre, al capo e fondatore di una religione illegale per i Giudei che per i Romani.
Nel II secolo, la situazione in Palestina si era fatta molto pericolosa a causa delle persecuzioni
e delle durissime repressioni romane contro le rivolte giudaiche e i Cristiani ritennero di
mettere in salvo la Sindone ad Edessa, l’attuale Urfa in Turchia, città abbastanza decentrata
dalla zona a rischio e, nello stesso tempo, nonmolto lontana. Si cercò, inoltre, di “camuffarla”,
piegandola in modo tale da rendere visibile solo il volto di Cristo e farla diventare un comune
dipinto. Solo nell’XI o XII secolo comincerà ad apparire la figura dell’intero corpo giacente sul
lungo lenzuolo. Nel 525 una catastrofica piena del fiume Daisan semi-distrugge Edessa.
Durante i restauri di S. Sofia si riscopre, appunto, l’immagine del volto di Cristo, chiamata
Mandylion e detta anche Achiropita, cioè, “non fatta da mani umane”. La forma di questo volto
si diffonde rapidamente in Oriente e in Occidente, a tal punto che, da questo momento,
cambierà l’iconografia del volto di Cristo, che sarà raffigurato sempre secondo il modello
sindonico. L’esercito bizantino, nel corso di una campagna contro il sultano arabo di Edessa,
entra inpossesso della Sindone e la porta a Costantinopoli: siamo nell’agosto del 944. Qui
Gregorio il Referandario, descrivendo l’immagine, parla delle gocce di sangue sgorgate dal suo
stesso fianco, permettendoci l’identificazione del Mandylion con la Sindone. Proprio a
Costantinopoli il re di Francia Luigi VII venera la Sindone nel 1147. Fu uno dei capi della IV
Crociata, forse Otto dellaRoche, a portare la Sindone in Francia, probabilmente nel 1208. Nel
1307, i membri dell’ordine cavalleresco dei Templari furono arsi come eretici, accusati di un
culto segreto al Volto Santo, forse, riprodotto dalla Sindone. Uno di essi si chiamava Goffredo
de Charny.
La prima foto
Nel 1898 l’avvocato Secondo Pia scatta la prima foto alla Sindone. È il fotografo ufficiale della
Sindone, il Dott. G. Battista Judica Cordiglia a parlare della straordinaria scoperta fatta
dall’avvocato, peraltro fotografo dilettante: la Sindone è un’impronta al negativo che, riportata
al positivo, mostra la figura di un uomo. Questa scoperta è stata così sconvolgente che
l’avvocato Secondo Pia, si sentì addirittura male quando da liquido di sviluppo vide uscire
questa straordinaria figura. questo fu l’inizio di tutte le ricerche successive sulla Sindone. La
Sindone in definitiva è un’immagine negativa, per cui se noi la rifotografiamo otteniamo una
normale fotografia. Nel 1969 il Dott. G.B. Judica Cordiglia fu convocato dal Cardinale Michele
Pellegrino, Arcivescovo di Torino, per scattare al cune fotografie a colori della Sindone che nel
1973 furono analizzate da una commissione di cui faceva parte il prof. M Frei, direttore del
servizio scientifico della polizia di Zurigo. Esperto di microtracce, egli notò sul tessuto la
presenza di una notevole quantità di pulviscolo atmosferico, e ottenne il permesso di
prelevare 12 campioni di polvere con nastri adesivi. Dopo tre anni di paziente lavoro
comunicò i primi risultati: alcuni granuli di polline provenivano da piante desertiche che
fioriscono in Palestina e nei dintorni di Costantinopoli, e altri di specie esistenti in Francia e in
Italia. Ciò confermò le tappe storiche della Sindone. Il prof. Frei notò che il polline più
frequente nel lenzuolo era identico a quello fossile abbondante nei sedimenti del lago di
Genezaret e del MarMorto depositatisi circa duemila anni fa. È noto che il 95% di polline
prodotto da una pianta si deposita in un raggio di 100 metri attorno ad essa, e il rimanente
raggiunge al massimo qualche decina di chilometri. Le specie identificate sulla Sindone sono
58; tre quarti delle quali sono di piante non europee, 38 di queste crescono a Gerusalemme
ma esistono in Europa, e tra di esse 17 sono esclusive di Gerusalemme e dintorni. Ciò prova la
provenienza palestinese di questo lenzuolo. Sono state rinvenute sulla Sindone anche tre
specie di pollini non esistenti in Europa né a Gerusalemme. Due di esse esistono a Urfa,
l’antica Edessa, e una a Costantinopoli. È logico pensare che la Sindone sia partita da
Gerusalemme e abbia attraversato le montagne del Libano (di cui si sono trovati dei pollini), la
Turchia fino ad arrivare in Europa.
La prova del carbonio radioattivo C14
Nel 1988 tre laboratori di fama internazionale, a Taxon, a Oxford e a Zurigo, esaminarono
altrettanti frammenti del telo conservato a Torino per risalire all’esatta datazione della
Sindone. Essa fu sottoposta all’analisi col metodo del C14. Questo esame utilizza l’esistenza in
natura di piccole quantità di carbonio radioattivo, che si combina con l’ossigeno formando
anidride carbonica radioattiva. Questa viene assimilata dalle piante e finisce, di conseguenza,
negli animali e negli uomini. Il C14 decade con il tempo; alla morte dell’essere vivente cessa
l’assimilazione di nuovo C14 e prosegue solo il decadimento. Più passa il tempo e meno C14
rimane nei resti dell’organismo. Misurando il C14 residuo si attribuisce una “età
radiocarbonica” in proporzione.
Se però il campione è stato contaminato da altro C14 di varia provenienza, finisce anche
questo nel conteggio; l’oggetto risulta così più radioattivo e quindi, ai fini della datazione, più
“recente”. Gli scienziati sono perciò molto cauti nel valutare i risultati delle analisi condotte
con il metodo C14, e molti di essi erano contrari a sottoporre la Sindone alla datazione con il
metodo del C14, a causa della particolarità del reperto che ha subito mille peripezie ed è
contaminato da molte sostanze. In ogni caso il 13 ottobre 1988 si sentenziò che la Sindone è
un lino tessuto fra il 1260 e il 1390 d.C., in piena epoca medievale.
Tutto finito? È solo uno splendido falso?
Ma la questione non è così semplice e la Prof.ssa Emanuela Marinelli, docente di Scienze
naturali, illustra perché. Senza dubbio la Sindone non è un dipinto o un bassorilievo: non si
tratta di un dipinto perché la fluorescenza a raggi X ha escluso la presenza di tracce di
pigmenti. Quant all’ipotesi di un bassorilievo caldo, essa era stata formulata perché
l’ingiallimento che forma l’immagine, è dovuto proprio a un cambiamento di colore del lino, e
questo somiglia vagamente a una bruciatura. Ma se fosse stato un bassorilievo, i chiari e gli
scuri avrebbero avuto degli stacchi più netti, senza contare che l’immagine avrebbe teso
scomparire nel tempo e sicuramente avrebbe impress anche il rovescio del lenzuolo, mentre
l’immagine della Sindone è estremamente superficiale. Quindi pure questa ipotesi è stata
accantonata anche perché le macchie presenti sono veramente di sangue che ha bagnato la
stoffa prima dell’ingiallimento. E allora immaginare un falsari che prepara questo bassorilievo
riscaldato, poi nel frat tempo uccide una persona, l’avvolge nel lenzuolo, che s macchia di
sangue, poi vi imprime il bassorilievo a 230 gra di che “cuoce” il sangue, è quantomeno
ridicolo e fa decadere l’ipotesi del bassorilievo. L’iconografia religiosa ci fornisce altri elementi
importanti a sostegno dell’ipotesi che la Sindone non può essere stat confezionata in epoca
medievale. È stato possibile fare una sovrapposizione al computer d un’icona di Cristo
conservata al Monastero di Santa Caterina al Monte Sinai. Questo Cristo è stato dipinto nel VI
sec. proprio ad Edessa, dove la tradizione ci dice che la Sindon è stata conservata tra il II e il VI
secolo. In America, quando si possiede l’identikit di un individuo sospettato, lo si sovrappone
alle foto segnaletiche delle persone che potrebbero essere incriminate: se ci sono almeno
sessanta punti di sovrapposizione tra l’identikit e la foto del sospetto, costui viene
immediatamente arrestato. Si è fatta la stessa cosa usando il volto di Edessa come un identikit:
sovrapponendolo alla Sindone si è visto che ci sono ben 250 punti di sovrapponibilità. Quindi,
secondo il criterio legale americano, si può logicamente concludere che le due immagini sono
della stessa persona.
Le stigmate di Cristo Un’altra interessante informazione dal mondo dell’iconografia religiosa
ce la fornisce il Dott. Marco Margnelli, Medico Chirurgo. “Ho studiato molto il fenomeno della
stigmatizzazione che, come è noto, è incominciato in Italia con san Francesco D’Assisi, il primo
stigmatizzato della storia. Studiando i casi dall’epoca di san Francesco in poi, si vede una
grandissima variabilità della morfologia della sede, dell’estensione e delle caratteristiche
temporali delle piaghe stigmatiche. Tuttavia nessuno degli stigmatizzati ha mai esibito le
piaghe nei punti esatti dove li ha l’Uomo della Sindone, ossia nei polsi, che era esattamente il
punto in cui i Romani infiggevano i chiodi che non avrebbero retto se infissi nel palmo. Allora
io ho dedotto che il modello ispiratore per le stigmatizzazioni non è stata la Sindone, come
sarebbe stato corretto che fosse, ma l’iconografia medievale. Ho concluso, dunque, che il
famoso falsario, se avesse seguito il modello iconico della sua epoca, avrebbe dovuto
probabilmente piazzare i chiodi al centro del palmo e non nel polso.”
Le macchie di sangue
Il prof. Baima Bollone ha dimostrato che il sangue rilevato è sangue umano appartenente al
gruppo AB. Senz’altro sconvolgente notare che si tratta dello stesso gruppo sanguigno
rilevato, da altri studiosi, sul Miracolo Eucaristico di Lanciano (CH).
I segni della passione
La Sindone è, per i tempi moderni, ciò che furono le stupende cattedrali e le meravigliose
sculture e pitture per i tempi passati: un grande “libro” mediante il quale tutti riescono a
leggere il più grande mistero dell’umanità: quello dell’amore e della sofferenza di Dio. Quel
lenzuolo pone al mondo scientifico un enigma: come si sono formate quelle impronte? E chi è
l’uomo che ce le ha lasciate? La medicina legale ha stabilito che è scientificamente certo che la
Sindone abbia avvolto veramente un cadavere martoriato che ha lasciato su di essa tracce
inconfondibili. Infatti:
•è stato crudelmente flagellato;
•la sua testa presenta numerose ferite provocate da un casco di spine (una cinquantina di
aculei) e non da un piccolo cerchio di spine posto intorno al capo, come si vede nelle
rappresentazioni degli artisti occidentali;
•le sue spalle sono segnate da un’impronta obliqua lasciata dal patibulum (parte orizzontale
della croce);
•le sue ginocchia hanno battuto su superfici ruvide e accidentate;
•il volto è tumefatto per le percosse e per le cadute;
•i suoi polsi e i suoi piedi sono trapassati dai chiodi;
•il suo costato è stato trafitto da una lancia;
•il suo corpo, staccato dalla croce, nudo e non lavato, è stato adagiato su un lungo lenzuolo che
è venuto a contatto con la parte dorsale e passando sopra il capo ha coperto l’intero tratto
frontale fino ai piedi.
Conclusione
Sembra che Gesù ripeta ancora le parole rivolte a Tommaso, l’apostolo incredulo: “Metti qua il
tuo di to e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più
incredulo m credente!” (Gv 20,27). Non c’è settore della scienza che non abbia studiato la
Sindone con passione ed accanimento. Come abbiamo visto la prima ad interessarsene fu la
fotografia, per passare poi a tutti i campi del sapere. Gli studiosi che hanno esaminato questo
lino come reperto storico, con metodi scientifici e tecnologie avanzate, non solo si sono detti
umili ammiratori della Sindone, ma hanno dichiarato la sua autenticità. Essi concordano
nell’affermare che solo il cadavere di un uomo flagellato, seviziato e croci fisso può aver
macchiato di sangue la stoffa in questo modo. Una serie incredibile di coincidenze tra
l’immagine sindonica e la figura evangelica dell’Uomo crocifisso a Gerusalemme, mentre era
procuratore Ponzio Pilato, rende quasi certi – 225 miliardi di probabilità contro una sola – che
il lenzuolo conservato a Torino sia effettivamente quello che avvolse il corpo di Cristo.
Bisogna ammettere, tuttavia, con estrema franchezza, che una volta provata l’autenticità
dell’affascinante impronta lasciata nel lenzuolo venerato a Torino, resta un mistero il modo in
cui queste impronte si siano formate. A questo punto è necessario che lo stupore della scienza
ceda il posto alle meraviglie della fede. La Sindone non ha la pretesa di provare la risurrezione
di Cristo. La prova decisiva della risurrezione ci viene esclusivamente dalla Sacra Scrittura,
dalla tradizione apostolica, dalla Chiesa, che i Cristiani credono “segno e strumento” di
salvezza di tutto il genere umano. La Sindone, tuttavia, può svolgere un importante ruolo
testimoniale. Perché, dal momento che essa si presenta come l’autentico lino che ha avvolto il
corpo di Cristo deposto dalla croce, non potremo più sottrarle un titolo a cui ha diritto: se essa
“conobbe” il Cristo morto, “conobbe” anche il Cristo risorto.