Dinamiche di gruppo
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Dinamiche di gruppo
DINAMICHE DI GRUPPO: LA LEADERSHIP E LA FIGURA DELL’ALLENATORE di Gabriella Ciampi Premessa Una squadra sportiva si può considerare un gruppo secondo la definizione di K. LEWIN (1935) ossia come un sistema dinamico i cui membri condividono un unico destino nonché il raggiungimento di uno stesso scopo, non in modo autonomo ma attraverso l’interazione e lo scambio reciproco, sviluppando un’ identità collettiva. Da qui vediamo che le caratteristiche presenti in un gruppo sono l’interdipendenza, lo scopo comune e l’identità collettiva, elementi sempre presenti negli sport di squadra ma anche in quelli individuali poiché spesso questi vengono condotti come fossero sport collettivi. Infatti un’ altra caratteristica che definisce un gruppo è l’interazione tra i soggetti che lo compongono nella consapevolezza l’uno dell’altro (Mc Grath 1962). Spesso i gruppi vengono classificati in primari e secondari in base al motivo per cui si sono formati. Il gruppo primario si forma per adesione spontanea e si basa su bisogni individuali, emotivi e sociali; nel gruppo secondario lo scopo è invece raggiungere degli obiettivi specifici vincolando ciascun membro a un ruolo preciso e predefinito. Il gruppo sportivo può essere considerato un gruppo primario volontario con connotazioni di gruppo secondario. All’interno di un gruppo si possono considerare le variabili più significative che lo caratterizzano. Alcune di queste sono: - variabili costitutive (motivazione, morfologia, tipo di organizzazione, complesso di norme e valori) - variabili evolutive (nascita, crescita e trasformazioni nel tempo) - variabili produttive ( rendimento del gruppo in base alle aspettative e agli obiettivi). Ma possiamo anche studiarne i processi interni riferendoci per esempio al modello di Mc Grath (1984) che indaga sui fattori che influenzano o sono influenzati dalle interazioni tra i componenti del gruppo. L’analisi di un qualunque sport di squadra ci mostrerebbe che tra i membri del gruppo ci sono relazioni di vario tipo rintracciabili in tutti gli sport collettivi. La caratteristica di base della squadra sportiva è il legame tra i compagni, la forza di aggregazione che li lega, cioè la coesione. La coesione della squadra porta a ragionare con il “noi”, a superare la realizzazione individuale per arrivare all’obiettivo comune attraverso la cooperazione e l’integrazione degli sforzi. I fattori che determinano la coesione sono molteplici e sono di tipo affettivo, sociale e operativo. Alcuni fattori sono: 1) lo scopo comune, che fa confluire le energie interne verso un’unica direzione; 2) la comunicazione, che permettendo la libera espressione migliora la comprensione reciproca; 3) la conoscenza tra i componenti, che porta alla confidenza; 4) l’autogoverno, che comporta l’accettazione volontaria delle regole; 5) 1 l’esperienza comune, che attraverso la condivisione di problemi, momenti di vita, fatiche, ecc. aumenta l’unione; 6) il divertirsi insieme, che porta al miglioramento delle prestazioni attivando in modo piacevole l’attenzione e le capacità fisiche. In ogni gruppo però sorgono anche conflitti e lotte interne, specialmente nella fase iniziale di formazione del gruppo. Questi sono conflitti destinati ad attenuarsi procedendo verso una stabilità di base che si forma mediante l’assunzione di ruoli all’interno del gruppo; così si definisce il leader, il vice-leader, il gruppo dei gregari, il “mistico”, il buffone, il capro espiatorio, il sindacalista, ecc. Ognuno nel gruppo ha la sua funzione o quale portavoce, o come persona che sa come alzare l’umore della squadra, o sulla quale scaricare l’aggressività collettiva, ecc. La leadership In particolare il leader occupa lo status più agognato, il posto gerarchico più alto: è colui che propone idee, influenza il gruppo, ne dirige il comportamento, la persona in cui gli altri si identificano. In particolare il leader è in genere il compagno più carismatico, non sempre il più abile, con un forte ascendente sugli altri; sa creare una rete tra i compagni, sa stimolarli e alimenta lo spirito di squadra. Se non è subito chiaro, per capire chi tra gli atleti gode del ruolo di leader si può usare un semplice strumento, il Sociogramma di Moreno (1). La lettura del sociogramma evidenzia chi gode di leadership (positiva o negativa) ma anche chi non ha ottenuto alcuna preferenza, chi cioè è ignorato dal gruppo, soggetti che quindi andranno particolarmente considerati nella gestione dei rapporti nella squadra. Conoscere e confrontarsi con il leader del gruppo è molto importante per colui che gestisce la squadra: sapendo l’idea del leader si può capire l’umore generale e adattare di conseguenza la gestione. Ciò che permette ad un individuo di rivestire il ruolo di leader è riassumibile in tre punti definibili come “fonti del potere”: 1) il potere della posizione occupata - quella che si determina in conseguenza al “mandato”; 2) il potere personale – legato alla personalità del leader; 3) il potere che nasce dalle fantasie che gli altri proiettano sul leader. Come dice Manfred de Vries (da Kets De Vries, 1994 op. cit.) esiste una dinamica del rispecchiamento per cui i gregari proiettano sui leader le proprie fantasie (di successo, di prestazione, ecc.) e i leader sono portati a identificarsi con quelle fantasie. Ovviamente la capacità di gestire questo “processo di rispecchiamento” è indice della maturità del leader. ___________________________________________________________________________________________ (1) Sociogramma di Moreno. Si dà ai membri del gruppo un foglio contenente due quesiti: Ipotesi A (relazionale) “Immagina di dover giocare la finale di una importante manifestazione; scrivi due compagni che vorresti avere in squadra e due che non vorresti” Ipotesi B (affettiva) “Immagina di andare in trasferta e dover dormire in albergo; scrivi due compagni che vorresti avere in camera con te e due che non vorresti”. Si dispongono in cerchio tutti i nomi dei componenti del gruppo e si segnano con una freccia i voti di preferenza o di non gradimento. 2 Alcuni autori invece distinguono i tipi di potere in base a come la persona vede il leader: - un esempio da imitare (potere di esempio); - un esperto (potere di competenza); - colui che gratifica (potere di ricompensa); - colui che punisce (potere coercitivo); - colui che per posizione sociale o per qualità socialmente ritenute autorevoli ha la facoltà e il diritto di esercitare sui gregari la sua influenza (potere legittimo). Un’ulteriore utile distinzione è quella tra la leadership istituzionale (come funzione) e la leadership relazionale (come relazione). Riferendoci al contesto degli sport di squadra può accadere che queste due forme di leadership anziché essere rappresentate dal solo allenatore, siano rappresentate da due persone diverse. Può cioè avvenire che il leader istituzionale sia l’allenatore ma il leader relazionale sia un giocatore di grande personalità della squadra, o più raramente un dirigente. È preferibile che i due ruoli siano racchiusi nella figura dell’allenatore, tuttavia se ciò non fosse la squadra può funzionare ugualmente bene se allenatore e leader operano nella comprensione e nel rispetto reciproco. L’allenatore Ciò che fin qui è stato riportato sulla leadership è sicuramente rintracciabile nella figura dell’allenatore. L’allenatore ha senz’altro un potere di posizione a cui si aggiunge in quantità variabile un potere personale; egli è colui che rappresenta il modello da imitare, colui che premia o punisce, colui che motiva. Racchiude in sé le funzioni di educatore, formatore, tecnico. Suo compito è anche sviluppare il senso di appartenenza (la coesione) tra gli atleti, perché si sentano una forza unica, pur definendone i ruoli e i compiti individuali. Egli, nel delineare l’identità tecnica di ciascun atleta, fissa gli obiettivi comuni, le norme e le regole che tutti devono rispettare. Secondo H. Horoux (1953) le principali funzioni dell’allenatore sono: 1) essere l’epicentro della forza coesiva del gruppo; 2) rappresentare un modello sia dal punto di vista tecnico che comportamentale, etico, ecc. 3) sollevare la squadra dal peso delle decisioni e delle responsabilità affinché rimanga concentrata sul compito, 4) svolgere le funzioni esecutive per raggiungere gli scopi del gruppo (stilare il programma di lavoro, preparane l’attuazione, guidarne lo svolgimento); 5) rappresentare e difendere la squadra nei rapporti con l’esterno; 6) controllare le relazioni tra i membri ponendosi al centro della rete di comunicazione del gruppo (senza per questo centralizzarla). Da questo quadro appare evidente la necessità di una buona formazione psicologica dell’allenatore al quale viene richiesto un alto livello di maturità e un buon equilibrio psichico che possa garantirgli una consapevolezza e il controllo delle proprie e altrui dinamiche affettive. Tutto ciò insieme a un continuo aggiornamento tecnicoprofessionale che gli consenta di conservare il suo potere specialistico. 3 Gli stili di leadership La prestazione e la soddisfazione della squadra sono strettamente connesse dal comportamento dell’allenatore-leader. La Leadership Scale for Sports di Chelledurai è stata creta proprio per analizzare I rapporti interni alla squadra tra allenatore e atleti. Gli stili gestionali dell’allenatore possono variare da uno stile autocratico, quando le decisioni sono prese senza consultare nessuno, a uno stile delegante, dove alcuni atleti vengono delegati per una scelta, a uno stile democratico, quando l’allenatore è sempre pronto alla comunicazione anche sul piano personale. Il comportamento dell’allenatore definisce il suo stile di leadership che può essere, in modo più o meno marcato, orientato al compito o orientato al gruppo. Nel primo caso l’allenatore dà soprattutto importanza all’esecuzione del compito, alla prestazione, ai risultati piuttosto che al “clima sociale” interno alla squadra. Tenderà a dare giudizi molto positivi o molto negativi basandosi esclusivamente sulle performance degli atleti. Il leader orientato al gruppo invece manifesta un maggiore interesse per i rapporti umani all’interno della squadra, nella quale si sente coinvolto e partecipe; non misura il successo solo sulla base dei risultati ottenuti. Interessante sarà notare il tipo di comunicazione diverso presente in questi due stili di leadership: l’allenatore orientato al compito userà sempre un linguaggio prettamente tecnico-sportivo mentre quello orientato al gruppo userà spesso e volentieri anche un linguaggio analogico al fine di una buona gestione emotivaaffettiva delle relazioni interpersonali del gruppo. L’allenatore orientato al gruppo sarà anche quello più attento alla comunicazione non-verbale: nel dialogare farà attenzione alla gestualità del suo atletainterlocutore, alle espressioni del viso, degli occhi, ecc. L’importanza di percepire e percepirsi a livello della meta-comunicazione sta nel permettere all’allenatore di osservare come un’informazione o un’azione tecnica non agisce solo sul piano tecnico-motorio dell’atleta ma sulla sua intera personalità. Inoltre la comunicazione è sempre a doppio feedback: anche le risposte dell’atletainterlocutore provocano nell’allenatore delle reazioni di risposta e lo influenzano. Quindi per l’allenatore è importante assumere un atteggiamento di percezione e autopercezione a livello verbale e non verbale per costruire una buona relazione funzionale. Nell’ambiente sportivo si ritrovano tipologie di allenatori con caratteristiche ricorrenti tanto che è possibile racchiuderli in diverse classi : - il carismatico: quello avvolto da un’aria di mistero, un po’ distaccato, che non si “scopre” mai del tutto; - l’ autoritario: che usa sanzioni e punizioni per farsi rispettare; - il paternalista: che si sente superiore agli atleti dai quali non ha nulla da imparare e che è sempre un po’ indietro con l’aggiornamento, un po’ conservatore; - il “lascia fare”: quello che lascia grande libertà al gruppo che, non avendo una guida, è confusionario e sregolato; - il “catalizzatore”: quello che il gruppo riconosce come leader e che svolge funzione educativa e di attivazione creativa delle attitudini dei singoli nel gruppo. 4 Interazione tra stili di leadership e controllo situazionale Un’ultima nota interessante mi sembra quella fatta negli anni ’60 da FRED FIEDLER il quale, esaminando i dati di uno studio svolto su varie tipologie di gruppi (squadre di basket, di piloti d’aereo, ecc.), ha affermato che non vi è una precisa relazione tra lo stile di leadership predominante e l’efficienza del gruppo. Fiedler aveva notato che a volte erano più efficaci i leader autoritari e molto orientati al compito, altre volte lo erano di più quelli maggiormente attenti all’aspetto socio-emozionale del gruppo. L’Autore ritiene che oltre allo stile del leader bisogna considerare il controllo situazionale, cioè “il grado di sicurezza e di fiducia che il leader nutre nella possibilità di riuscire a svolgere il proprio compito”. Questo grado di sicurezza dipende dal tipo di relazione che c’è tra leader e membri del gruppo (se è di stima e lealtà il leader è facilitato nel ruolo), dal grado di difficoltà del compito che ha, e dal grado di potere che può esercitare sul gruppo stesso. La prestazione e l’efficienza del gruppo saranno date quindi dall’interazione tra stile del leader e grado di controllo situazionale, interazione che permette di fare una previsione circa l’efficacia di quel gruppo (come si può vedere dalla figura). ALTA leader orientati verso il compito Prestazione effettiva leader orientati verso la relazione BASSA Controllo basso Fig. Controllo situazionale e prestazione del leader controllo moderato controllo alto (Fonte: Fiedler e Potter, tratto da Van Avermaet, op.cit.) L’efficienza dei leader orientati alla relazione è rappresentata dalla linea continua, quella tratteggiata rappresenta l’efficienza di quelli orientati al compito. Quelli orientati al compito (autoritari) hanno un rendimento maggiore quando possiedono un controllo altissimo o bassissimo, mentre i leader orientati verso la relazione sono più efficienti in situazioni di controllo moderato. 5 Conclusioni Attraverso questa breve e sintetica panoramica, sono partita dalle dinamiche di gruppo in generale per arrivare a riflettere sulla figura dell’allenatore negli sport collettivi. In letteratura si trova molto materiale riguardante le dinamiche di gruppo, molto meno sulla figura dell’allenatore da un punto di vista psicologico. Questo approccio è attualmente riconosciuto fondamentale alla luce delle considerazioni che si sono fatte sul ruolo profondamente formativo ed educativo dell’allenatore. Allo stesso modo è oggi ritenuta necessaria una seria formazione psicologica da parte dell’allenatore che si trova a gestire e a confrontarsi ogni momento con dinamiche affettive rilevanti nel suo rapporto con gli allievi e nella gestione del suo gruppo sportivo. L’ambiente in cui l’allenatore si muove è particolarmente impegnativo dal punto di vista relazionale: oltre all’impegno tecnico-sportivo ci sono i rapporti con i dirigenti, con gli sponsor, con i genitori degli allievi, senza contare i problemi che possono insorgere all’interno delle squadre. Non è raro che l’allenatore cada nel “bur-out” e perda il suo entusiasmo, la sua motivazione originaria, accentuando uno stile di gestione pesante, intollerante, perfezionista con ovvie conseguenze sugli atleti. Per un allenatore saper mantenere alta la propria motivazione e stabile il proprio equilibrio, significa saper conservare nella sua squadra un’alta motivazione e un buon grado di divertimento (cosa che non deve mai mancare nello sport). Accanto all’allenatore quindi funziona molto bene lo Psicologo dello sport sia per un discorso di prevenzione (attraverso per es. corsi di formazione, seminari divulgativi e di sensibilizzazione anti-doping, corsi per la gestione dell’ansia, ecc.) sia nella risoluzione dei problemi che possono nascere tra le varie figure coinvolte, con lo staff dirigenziale, con i genitori, ecc. mediante interventi psicologici specifici. *** Riferimenti bibliografici - Lewin K., A Dynamic Theory of Personality. Selected Papers, McGraw-Hill NY 1935 - McGrath J.E., The influence positive relations on adjustment and effectiveness in rifle teams, in “Journal of Abnormal and Social Psychology” 1962 - McGrath J.E., Group: interaction and performance, Prentice-Hall, Henglewood Cliffs, NJ 1984 - Kets De Vries M. F. R., Leader, giullari e impostori, Milano Raffaello Cortina Ed., 1994 - Horoux H., “Problèmes psychologiques actuels du leader sportif”, Travaux Soc. Med. Belg. Ed. Phis.et Sp., n.7 1953 - Van Avermaet E., “L’inflenza sociale nei piccoli gruppi” in AA.VV. Introduzione alla Psicologia Sociale, a cura di Miles Hewstone et al., Bologna Il Mulino, 1991 Il presente lavoro è frutto di una rielaborazione di documenti vari reperibili all’interno di siti web attinenti alla psicologia dello sport. 11 aprile 2007 Gabriella Ciampi 6