Capitolo 8
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Capitolo 8
L’autrice Audrey Carlan è un’autrice bestseller. Con Calendar girl ha venduto milioni di copie e conquistato le classifiche americane. Vive con il marito e due figli nella California Valley e ogni giorno si innamora dell’amore. www.calendargirlitalia.com facebook.com/AudreyCarlan #trustthejourney Audrey Carlan CALENDAR GIRL Gennaio, Febbraio, Marzo Traduzione di Teresa Albanese, Eloisa Banfi e Bianca Noris Calendar Girl Gennaio, Febbraio, Marzo Dedicato a: Gennaio GINELLE BLANCH Sei stata con me fin dall’inizio… Le tue letture critiche mi hanno salvato centinaia di volte. Grazie per aver creduto in me, nelle mie storie, e averle amate come io amo te e tutte le cose che scrivi. Namasté, amica mia. Febbraio JEANANNA GOODALL Un anno fa ho pubblicato il mio primo romanzo. Fin dall’inizio sei stata la mia cheerleader, la mia lettrice, e la mia fan numero uno. Ora ho l’onore di chiamarti mia amica. Ami i miei personaggi come se fossero tuoi, e mi aiuti a non perdere il contatto con le loro emozioni. Sei piena di qualità e talenti, e io ti sono così grata di condividerli con me. Amore e luce. Marzo HEATHER WHITE Mia è a Chicago a causa tua. Anche tu hai lasciato ciò che era familiare e sei partita per un viaggio. Le pagine di Marzo mostrano quanto sia meraviglioso correre rischi. A volte possono cambiarti la vita, anche trasformarla da cima a fondo. E quasi sempre ne vale la pena. Sei bellissima e io sono troppo felice di averti nella mia vita. Besos, tesoro mio. MARZO 1 Nel momento in cui misi piede sulla pista dell’aeroporto di Las Vegas, mi ritrovai intrappolata tra due figure: una alta e dinoccolata, l’altra piccola e piena di energia. Mi arrivarono alle narici l’odore del chewing-gum alla menta e quello delle ciliegie, mentre quei due corpi sinuosi iniziarono a farmi rimbalzare tra loro, in un delirio di urletti simultanei. Quel suono era l’esatta replica del verso acuto delle iene dello zoo che avevo visitato con Alec a Seattle. «Santo cielo, quanto mi sei mancata» disse Gin, prima di stamparmi un bacio sulle labbra. Ecco da dove proveniva il profumo di menta. Poi fui spinta da parte, e la mia sorellina Maddy mi prese tra le sue lunghe braccia. Ciliegie. Da quando era piccola, aveva sempre profumato di ciliegia, non sapevo bene perché: come ogni altra cosa che la riguardava, l’accettavo così com’era, e tutto il resto non importava. Maddy mi strinse forte: era più alta di me, e mi faceva sentire piccola. Anche se ero la sorella maggiore, era lei a detenere il record di altezza nella nostra piccola famiglia, con il suo metro e ottanta. A diciannove anni era nel pieno della bellezza, ma non aveva ancora iniziato a mettere su peso, come era successo a me alla sua età. Il suo formidabile metabolismo la manteneva magra come un chiodo. Beata lei! Gli occhi di Maddy si riempirono di lacrime. Le presi il viso tra le mani. «Sei la ragazza più bella del mondo» le dissi, vedendo che piangeva. «Ma solo quando sorridi…» «Mi dici sempre così.» Le sue labbra si piegarono all’insù, gratificandomi con un sorriso che per me era il più bello del mondo. «Perché tu sei davvero bella. Non è così, Gin?» Gin fece una bolla con la gomma da masticare, poi mi prese sottobraccio. «Certo. E adesso solleviamo il culo.» Alzai gli occhi al cielo: «Si dice alziamo il culo, Gin». Ginelle si fermò nel bel mezzo della zona arrivi dell’aeroporto. «Sia come sia, tanto mi hai capita. Ma sei diventata una specie di dizionario ambulante, adesso?» Risi di cuore, e la cosa mi fece sentire bene, anzi benissimo. Sentivo la tensione abbandonarmi, in modo quasi tangibile, come se evaporasse dai pori. Quant’era bello essere di nuovo a casa! Le ragazze mi accompagnarono alla macchina di Gin. «Dov’è la macchina di papà, Mads?» Misi il borsone nel bagagliaio, e mi sedetti davanti. Maddy si accomodò sul sedile posteriore della Honda di Ginelle e iniziò a rigirarsi i capelli tra le dita. «Ehm…» disse guardando fuori dal finestrino: il suo sguardo vagava, come se stesse cercando qualcosa da dire. Mi afflosciai sul sedile. «Ma che cos’ha la macchina di papà?» «Niente, niente.» Fece un profondo sospiro, continuò a rigirarsi una ciocca bionda tra le dita e si adagiò contro lo schienale. Di qualunque cosa si trattasse, non voleva parlarmene. «Diglielo, Mads» la incalzò Gin. Maddy sbuffò e si rimise diritta. Chiuse le palpebre e poi le riaprì. Nei suoi occhi verdi c’erano lampi di determinazione. «Quei tipi che hanno picchiato papà hanno conciato male anche la macchina.» Mi sentii avvampare, tanto ero infuriata. «Perché non mi hai detto niente?» Un fiotto di rabbia mi invase e andò a finire nelle mani, che si strinsero forte a pugno. Se qualcuno in quel momento mi si fosse avvicinato, sarebbero stati guai. «Ma io…» «Ma tu cosa? E come ci vai a scuola adesso?» «Prendo l’autobus, il più delle volte, e ogni tanto mi accompagna Ginelle» disse guardando la mia migliore amica, che accennò un sorriso. «E anche Matt, il ragazzo di cui ti parlavo. Mi ha dato un passaggio qualche volta. Dice che farà il possibile per aiutarmi» aggiunse, con un filo di nervosismo nella voce. «Posso ben immaginare che ti voglia aiutare, Mads, ma non è sicuro. Vivi lontano dalla scuola, e dopo tutte quelle ore di lezione sei stanca morta. E vogliamo parlare di quando ti attardi in biblioteca?» Feci un respiro profondo e sbuffai, ancora in preda alla rabbia. Quella stordita di mia sorella in pericolo! E non poteva usare la macchina di papà perché Blaine e i suoi fottuti sgherri gliel’hanno mezza distrutta. Che cos’altro poteva ancora succedere? Maddy mi posò una mano sulla spalla per rassicurarmi. «Va tutto bene, Mia, non c’è nessun problema. Si fa quel che si può, no?» «Ma neanche per sogno. Domani ti procureremo una macchina. Non posso credere che tu abbia dovuto farne a meno per tutto questo tempo.» Puntai un dito contro il braccio di Gin. «E tu, tu avresti dovuto dirmi che cosa stava succedendo.» Con un altro respiro profondo, mi scostai i capelli dal viso. «Ma non te la puoi permettere, Mia…» «Non venire a dirmi che cosa posso o non posso permettermi. Sei stata sotto la mia responsabilità negli ultimi quindici anni, e solo perché adesso hai diciannove anni non vuol dire che smetterò come per incanto di prendermi cura di te.» Strinsi forte i denti, per mantenere il controllo. «Maledizione. Il solo pensiero di te che vai a piedi dalla fermata dell’autobus fino a casa, nel nostro quartiere, mi dà i brividi. Mads! Non farlo mai più, ti prego. Fallo per me» dissi addolcendo il tono. «Domani ti procuro una macchina. Con gli ultimi due clienti ho fatto un po’ di soldi in più.» «Davvero?» mi disse Gin, guardandomi di sottecchi perché aveva capito bene che cosa avevo fatto per ricevere quel denaro in più. «E come ci sei riuscita, tesoro? Sdraiata?» chiese con una risatina. A quel punto, le diedi un pugno sul braccio, forte. «Ahia! Stronzetta! Questo non me lo meritavo.» «Proprio tu mi dai della puttana? Guarda che te lo sei voluto.» La fissai, con gli occhi ridotti a una fessura. Anche se stava guidando, sapevo che avvertiva la rabbia nel mio sguardo. «E va bene. Me lo sono meritato, ma adesso ti rinfaccerò il brutto livido che mi hai lasciato ogni volta che potrò.» «Come credi. Domani puoi accompagnare Mads e me a cercare una macchina?» Annuì. «Ho preso le ferie per tutto il tempo in cui rimarrai qui.» «Oh, sei stata davvero carina.» «Io sono sempre carina» disse aggrottando le sopracciglia. «Non ho mai detto il contrario.» «Ma il sottinteso era che di solito non lo sono. Devi sapere che ero con un tipo, e lui è andato avanti per tutta la sera a dirmi quant’era carina e dolce la mia fi…» Mi protesi verso di lei e le tappai la bocca con una mano. «Magari me lo racconti un’altra volta, troietta.» Indicai con lo sguardo Maddy seduta sul sedile posteriore. «Ma dài» disse Maddy interrompendoci. «Come se non sapessi quello che stava dicendo… Non sono poi così innocente.» Lasciai perdere Gin, e mi girai in un lampo. «In che senso non sei innocente?» Avrei scommesso cinquanta dollari che in quel momento la mia pelle, sempre abbronzata, divenne bianca come un cencio. Maddy incrociò le braccia e alzò gli occhi al cielo. «Sono ancora vergine, lo sai che te lo direi. Ma so benissimo che cosa vuol dire baciare lì una ragazza, non sono mica scema!» «Ti è mai capitato?» Trattenni il respiro: non ero sicura di voler sapere la verità. Scosse la testa, si morse il labbro e poi guardò fuori dal finestrino. «No, ma qualche volta mi fa proprio incazzare quando mi tratti come una bambina. Sono grande, sorellina, devi fartene una ragione. E se vorrò che un ragazzo mi baci anche là, glielo lascerò fare di sicuro.» «Baciarti là?» fece eco Gin. «Ah, vuoi dire la pass…» Le diedi un pizzicotto sulla gamba prima che potesse dire qualcosa che avrebbe fatto incazzare Maddy ancora di più. «Un’altra parola e sei morta» ringhiai a bassa voce per farmi capire bene. Lei spalancò gli occhi, e mi diede uno schiaffo per allontanarmi la mano. «Mads, sai che io ci sono sempre, vero? Se per caso vuoi parlare di questi argomenti.» Allungai una mano dietro il poggiatesta, e lei me la strinse. «Anche se non vivo a Las Vegas, puoi chiamarmi quando vuoi, anche di notte, ok?» Si protese in avanti e appoggiò la fronte sulla mia mano. «Mi sei mancata» sussurrò. Le strinsi le dita. «A me di più.» Ammirai il suo sorriso perfetto. Il destino era stato davvero benevolo con me dandomi Maddy come sorella minore: io non ne avrei saputa scegliere una migliore. «Allora, andiamo in clinica?» chiese Gin distruggendo la magia del momento. «Sì, ho proprio voglia di vedere papà.» La clinica dove mio padre era ricoverato si trovava in cima a una collina che sovrastava una lunga distesa di deserto. Faceva impressione: era come se fosse stata costruita per tenere lontani da Las Vegas i malati e i convalescenti, in modo che non guastassero il fascino e le luci sfolgoranti dello Strip. Quando mi trovai nell’ingresso, rallentai senza volere il passo. Le pareti erano dipinte di un giallo chiaro e lungo il corridoio che percorremmo c’erano qua e là dei mosaici che raffiguravano il deserto. Maddy si fermò di fronte a una porta aperta. «È qui. Vuoi entrare da sola?» «Sì, se non ti dispiace.» Lei fece un sorriso dolce: era molto saggia per la sua età. Il modo in cui riusciva a comprendere i sentimenti altrui era sempre stato il suo dono più grande, un dono che io certamente non possedevo. Forse, se avessi avuto una personalità più simile alla sua e la sua generosità, anch’io sarei stata in grado di stare lontana dagli uomini che non facevano per me. Forse era per questo che lei era ancora vergine: perché riusciva a riconoscere i bastardi a chilometri di distanza. «Dài, Gin, facciamoci un giro al bar e vediamo se Mrs Hathaway ha preparato i suoi famosi biscotti.» Gli occhi di Ginelle si illuminarono come se stessero guardando un diamante scintillante. «Torniamo subito.» Prese Maddy sottobraccio e si allontanarono a grandi passi, in cerca di dolciumi. Feci un respiro profondo e strinsi a pugno le mani che tremavano. “Ce la posso fare. È mio padre. È papà.” Entrai nella stanza a passi felpati, scostai la tendina che era stata tirata intorno al letto per garantire un po’ di tranquillità e vidi mio padre. Sembrava che stesse dormendo, ma io sapevo che non era così. Mi avvicinai e mi sedetti al suo capezzale, con le lacrime che mi offuscavano gli occhi. Le mani giacevano inerti lungo i suoi fianchi. Gliene presi una, stringendola tra le mie, mi chinai, e gliela baciai. «Papà…» dissi, con un tono di voce appena percettibile. Mi schiarii la gola, e riprovai. «Papà, sono io, Mia. Sono qui» sussurrai. Mi portai la sua mano al petto, e mi avvicinai a lui più che potevo. Aveva un aspetto mille volte migliore rispetto a quando l’avevo visto dopo che Blaine e la sua gang l’avevano pestato. Nel giro di due mesi, i lividi sul viso erano scomparsi, ma gli restavano ancora alcuni segni rossi, spessi come un tratto di matita, sulla tempia e sul lato del volto. Forse sarebbero rimasti per sempre, forse sarebbero scomparsi: con il tempo l’avremmo scoperto. Per il resto, stava bene. Aveva perso molti chili, tanti da non sembrare nemmeno più il mio solito papà, grande e adorabile: pareva piuttosto un guscio vuoto, che un tempo aveva ospitato un uomo grande e grosso, almeno fino a quando la mamma non se n’era andata. Trattenni i singhiozzi, ma le lacrime sgorgarono comunque copiose. «Perché ti sei cacciato nei guai con Blaine? Perché?» Gli accarezzai la mano con il mento, poi appoggiai la testa sul suo petto, e buttai fuori tutto: ero arrabbiata perché si era lasciato fare del male, per la sua abitudine di farsi prestare soldi e di scommettere, perché era un ubriacone, e per avermi lasciata da sola a rimettere a posto le cose, per l’ennesima volta, come sempre. «Papà, stavolta l’hai davvero combinata grossa. Ciò che sto facendo per te…» Lasciai la frase a metà, perché non volevo ammettere che ero una escort. Suonava davvero male, indipendentemente dal fatto che andassi o meno a letto con i miei clienti: la parola escort, in sé, aveva una forte connotazione negativa. «Sto facendo tutto il possibile. Sto proteggendo Maddy: mi sto assicurando che continui ad andare al college. Ha degli ottimi voti, sai? Ha anche conosciuto un ragazzo: forse è il caso che tu ti risvegli per metterlo un po’ in riga.» Studiai il suo volto, sperando con tutto il cuore che avrebbe aperto gli occhi, ma non successe nulla. Presi un fazzolettino di carta dal comodino e mi soffiai il naso. «Ho incontrato persone davvero incredibili negli ultimi mesi. All’inizio pensavo che lavorare per zia Millie sarebbe stato un incubo, ma in realtà non è affatto male. Il mio primo cliente è stato Weston Channing III. Proprio così, “terzo”. L’ho preso in giro per tutto il tempo.» Risi e ripensai a Wes e a come ci eravamo conosciuti; a come, nel momento in cui l’avevo visto salire quelle scale sulla spiaggia il giorno del nostro primo incontro, avevo capito con certezza che mi avrebbe affascinata. «Wes mi ha insegnato a fare surf e mi ha fatto capire che non tutti gli uomini sono fatti allo stesso modo.» Ridacchiando, mi appoggiai allo schienale della sedia, con i piedi sul bordo del letto di papà, e gli raccontai dei miei due ragazzi preferiti. Di Wes, che faceva lo sceneggiatore e regista e veniva da una famiglia ricca e potente. Promisi a mio padre che, se si fosse svegliato, l’avrei portato a vedere uno dei suoi film e gli avrei comprato una confezione gigantesca di popcorn. «E poi c’è stato Alec; un francese, papà. Un francese vero. Mi chiamava ma jolie, che in francese significa qualcosa come “mia bella”, e devo ammettere che quel soprannome mi piaceva.» Mi scostai una ciocca di capelli dal viso e alzai lo sguardo al soffitto. C’erano panorami marini sopra il letto di papà: mi piacevano, mi rinfrancava pensare che, quando si sarebbe svegliato, la prima cosa che avrebbe visto sarebbe stata una spiaggia e non un anonimo muro bianco. «E così Alec mi ha dipinta, papà. Il suo genere di quadri, in realtà, non ti piacerebbe troppo, perché ero senza vestiti, ma lui non se n’è approfittato. Ci siamo divertiti e lui mi ha voluto bene: il suo volermi bene era diverso da qualsiasi sentimento, o amore, che io avessi mai provato prima, o dal sentimento vivo e intenso che provo tuttora nei confronti di Wes. È qualcosa che assomiglia piuttosto al mio voler bene a Ginelle, solo che Alec è un uomo e con lui c’è un po’ più di contatto fisico.» Molto di più, a essere sincera. Sorrisi, e guardai mio padre. No, i suoi occhi erano ancora chiusi. «Alec mi ha insegnato che non c’è niente di male a voler bene alle persone, oltre a te, Mads e Gin. Che si può tenere a qualcun altro, e persino amarlo, anche senza dover per forza stare insieme per sempre: è stata una cosa tenera. Il tempo che ho trascorso con lui mi ha aiutato a capire alcune cose di me stessa. È triste pensare che non li rivedrò mai più… cioè forse Wes sì, sai, devo ancora capire che cosa fare con lui, papà.» Fissai il suo viso, sereno e tranquillo, e mi resi conto che era quello il momento che avevo tanto temuto per più di un mese: il momento in cui avrei dovuto trasformare in parole i pensieri che affollavano il mio subconscio. Guardai verso la porta, non c’era nessuno. Lontana da orecchie indiscrete, mi lasciai andare. «Papà» dissi con voce tremante, passandomi la lingua sulle labbra per l’imbarazzo e sospirando. «Potrei perdere la testa per Wes, davvero. Ma sai una cosa?» gli chiesi, anche se sapevo che non poteva rispondermi. «Questo mi spaventa. In passato sono stata fregata più di una volta, non me n’è mai andata bene una. Il cuore mi dice di buttarmi, ma la testa mi ricorda tutti quei coglioni che ci sono stati prima di Wes. E, oltretutto, devo ancora lavorare per una decina di mesi, per finire di ripagare il debito con Blaine» dissi sospirando. «Sì, ovviamente Wes si è offerto di aiutarmi con i soldi e mi ha chiesto di restare. E io non l’ho fatto. L’ho lasciato a Malibu.» Chiusi gli occhi e mi appoggiai di nuovo allo schienale della sedia, prima di portarmi la mano al cuore: mi faceva male, per non essere riuscita ad accettare la promessa di avere qualcosa di più con Wes. Anche se l’avrei voluto, più di ogni altra cosa. Non ero il tipo di ragazza difficile da accontentare, interessata solo ai soldi, alle macchine di lusso e all’eterna giovinezza. No: ero cresciuta povera, ero abituata a faticare, mi prendevo cura di mia sorella e aiutavo mio padre a sopravvivere. La vita che Wes conduceva non era nemmeno lontanamente paragonabile a quella che facevo io, e questo era parte del fascino della situazione: il momento, però, non era quello giusto, e proprio per questo era stato così facile finire tra le braccia di Alec. Finché si può, d’altronde, bisogna vivere la vita fino in fondo e fare tante esperienze. «Quanto vorrei che ti svegliassi.» Gli strinsi la mano, e gliela baciai un’altra volta. «Dài, papà, apri gli occhi. Abbiamo bisogno di te: Maddy ha bisogno di te, e anch’io.» Mia sorella e Ginelle tornarono qualche minuto più tardi. Sentii che Maddy aggiornava nostro padre sulla sua scuola e dimenticava di proposito di parlargli del ragazzo che aveva conosciuto, cosa per cui decisi di rimproverarla in seguito. Poi Gin raccontò diverse barzellette che aveva appena imparato. Nel frattempo tre paia di occhi erano in allerta e aspettavano un segno di vita da parte di mio padre: aspettavamo un cenno che ci dicesse che non ci aveva ancora lasciato. Prima che me ne andassi, il medico mi aggiornò sulla prognosi. Fisicamente papà stava andando benissimo, era quasi completamente guarito. Un fisioterapista passava da lui ogni giorno, per fargli muovere le gambe e le braccia. Avrebbero insegnato anche a Maddy come fare, per stimolarlo ancora di più. Il pensiero che fosse lei a imparare, che io non sarei stata lì ad aiutare la mia famiglia a superare quel periodo, mi uccise. Quando ce ne andammo, non ne potevo più. Casa. Avevo bisogno di andare a casa: mangiare qualcosa seduta al tavolo, scolarmi un paio di birrette con la mia migliore amica e mettermi a dormire per dimenticare gli ultimi due mesi. Il giorno dopo avrei incontrato Blaine. 2 Ginelle e io attraversammo il casinò decise a portare a termine la nostra missione: andare da Blaine nel suo ufficio, dargli l’assegno della mia seconda rata e svignarcela il prima possibile. Il giorno dopo avrei dovuto sorbirmi un sacco di appuntamenti per farmi bella, e il giorno dopo ancora sarebbe iniziato con il volo per Chicago per incontrare il mio nuovo cliente. «Secondo te, perché ha un ufficio in un hotel?» mi domandò Gin mentre ci facevamo largo tra donne poco vestite che servivano da bere. Non erano nemmeno le dieci del mattino, e l’alcol scorreva già a fiumi. C’è un motivo per cui i giocatori non possono vedere l’esterno nei piani degli hotel che ospitano i casinò: così hanno l’impressione che sia sempre presto. Ci sono rumori artificiali, musica, aperitivi e drink gratis, almeno finché rimangono lì a scommettere: tutto ciò finisce per renderli zombie ubriachi, che ucciderebbero pur di vincere. Ma non vincono mai: il banco vince sempre. È una storia vecchia, forse la più vecchia del mondo, eppure la gente è ancora talmente stupida da tentare la sorte e mandare in fumo i soldi per l’università dei figli o per l’affitto. I giocatori più incalliti, come mio padre, iniziano a chiedere soldi in prestito: molti soldi, più di quanti potrebbero restituire in tutta la vita. Per vincere, per ingraziarsi la buona sorte. Nel mio caso, la buona sorte era una puttana fredda e incattivita che fumava, aveva le tette finte e, per di più, pure qualche malattia venerea. «Blaine una volta mi ha detto di non avere alcun bisogno di nascondersi. Raccontava di essere un “investitore” e pensava che avere un ufficio e gente alle sue dipendenze lo facesse sembrare meno un criminale e più simile all’uomo d’affari che diceva di essere.» Gin sbuffò e fece una bolla con il chewing-gum. «Davvero intelligente da parte sua.» «Sì, be’, non ho mai detto che fosse uno stupido: è solo un bastardo senza cuore che non prova compassione per nessuno.» Raggiungemmo gli ascensori, e poi il piano dell’ufficio. Quando arrivai davanti alla porta mi fermai e mi sistemai i capelli e la maglietta, per essere certa che non lasciasse un solo millimetro di pelle scoperta. Indossavo un giubbotto di pelle abbinato a un paio di stivali da motociclista con le borchie sul tacco. La ciliegina sulla torta era il rossetto rosso vivo, quello che durava ventiquattr ’ore e prometteva di tingere il mio broncio di un colore fiammante. Mi sentivo carica e pronta ad affrontare quello stronzo minidotato. In realtà il suo cazzo era assolutamente normale, ma pensarlo meno maschio mi faceva stare meglio. Mi girai verso Gin e mi fermai con la mano sulla maniglia. «Ok, tu rimani qui.» Gli occhi di Ginelle si accesero di rabbia. Si mise una mano sul fianco, e mi lanciò uno sguardo incredulo. «Se pensi, anche solo per un attimo, di…» Con una mossa da ninja, le misi una mano sulla bocca e mi avvicinai: ero così vicina che riuscivo a sentire il profumo di menta del suo chewing-gum. «Gin, Blaine ha già fatto del male a una persona della mia famiglia, molto male. Ha minacciato di farne anche a me e a Maddy. Non posso sopportare l’idea che minacci anche un’altra persona a cui voglio bene. Desidero che tu te ne vada e mi aspetti al bar qui sotto.» Presi il portafoglio e tirai fuori un biglietto da venti. «Ti prego» le dissi mettendoglielo in mano. Le feci segno di andare e i suoi occhi si riempirono di lacrime. «E se facesse del male a te?» «Non me ne farà. Per lui valgo troppi soldi, credimi.» La guardai negli occhi, con uno sguardo che esprimeva affetto e protezione. Fece un sospiro lungo e profondo. «Okay, se non sei di ritorno entro mezz’ora chiamerò la polizia.» «Va bene. E adesso vai, prima che qualcuno ti veda.» La feci girare su se stessa, e la spinsi delicatamente verso l’ascensore. Aspettai finché non entrò nella cabina. «Ti voglio un mondo di bene» mi disse. «Anch’io. Ci vediamo fra un po’, troietta.» Lei spalancò gli occhi ma, prima che potesse reagire, le porte dell’ascensore si chiusero. Feci una risatina poi assunsi un’espressione risoluta: era arrivato il momento di affrontare quel mostro. L’ufficio di Blaine era nei toni del nero, del rosso e del bianco, e mi ricordava la bandiera a scacchi dei Gran Premi. Non era poi così elegante, ma esprimeva benissimo il suo desiderio di “vincere”. Una bionda procace e siliconata, con il culo piccolo, l’intelligenza di una gallina e un vitino da anoressica, mi accompagnò nella stanza. «Mr Pintero, Mia Saunders vorrebbe vederla.» Mi fece passare. Blaine si alzò in piedi: dall’alto del suo metro e novantatré mi sovrastava. Era grande e grosso, e aveva messo su una ventina di chili di muscoli dall’ultima volta che l’avevo visto. «Mia, piccola Mia» disse, porgendomi la mano e cercando di attirarmi a sé. Io evitai di stringergliela e la alzai, tenendo il palmo rivolto verso di lui. «No, sono qui per lavoro, non per piacere.» «Perché non possiamo fare un po’ di entrambi?» ribatté con tono insinuante e lo sguardo da serpente. La pupilla era nera e indagatrice, come se tentasse di affascinarmi con una sola occhiata. Distolsi lo sguardo e mi sedetti alla sua scrivania. Tirai fuori una busta dalla tasca della giacca, e la sbattei sul vetro della scrivania «Ecco quello che volevi.» «Come fai a sapere ciò che voglio, piccola Mia? Non ci vediamo da tantissimo tempo. Un tempo abbastanza lungo per lenire un po’ le ferite, non credi?» Invece di sedersi di fronte a me, scelse la sedia vicino alla mia. «Che cosa vuoi allora, Blaine?» «Un po’ del tuo tempo» rispose lui semplicemente. «Okay, tesoro, ricevuto. Tempo per cosa?» «Vedo che non hai perso il tuo solito senso dell’umorismo.» «Blaine, non farmi perdere tempo. Vai dritto al punto.» «Voglio che tu ceni con me, stasera.» Quell’uomo andava internato. «Ma sei pazzo?» «L’ultima volta che ho controllato, non lo ero affatto» disse in tono distaccato. Improvvisamente in quel piccolo ufficio affacciato sullo Strip di Las Vegas cominciò a fare troppo caldo. Sentivo la pelle bruciarmi, come dopo un bagno nell’acido: o forse era la rabbia che covavo, così intensa da risultare insostenibile. «Hai picchiato mio padre talmente forte che è ancora in coma.» «Solo per una questione di affari, e lo sai. Non mi ha dato scelta.» Allungò il braccio, per afferrarmi la mano: nell’attimo in cui mi toccò, la ritirai di scatto. «Non osare sfiorarmi: hai perso il diritto di farlo anni fa, quando mi hai fregata. E ora hai massacrato mio padre. Lo sai, vero, che non si è ancora svegliato dal coma?» Alzai così tanto la voce che forse la gente nell’ufficio vicino riuscì a sentirmi. «I medici non sanno ancora se il danno che ha subito al cervello gli causerà problemi nella parola o nei movimenti!» Blaine tenne fisso lo sguardo da serpente su di me. «Si è trattato di uno sfortunato effetto collaterale di quando l’abbiamo punito. Ho pensato io all’uomo che ha fatto del male a tuo padre: non darà più fastidio. Quella violenza inutile è stata vendicata, te lo assicuro.» «Me l’assicuri? Ma ti rendi conto di cosa stai dicendo? Parli della vita come se fosse qualcosa che si può tranquillamente dare o togliere.» «La vita è breve.» «Sì, soprattutto se i tuoi sgherri vanno in giro a toglierla alla gente. Non ci posso credere.» Mi alzai in piedi, e indicai la busta sul tavolo. «Ecco i tuoi soldi: la seconda rata. Tra un mese ti spedirò la terza.» «Puoi portarmela di persona.» Strinse forte i denti e afferrò i braccioli della sedia così forte che le nocche sbiancarono. «Oh, sì, me la porterai di persona» mi disse con un tono che non ammetteva replica, ma io non ero una dei suoi galoppini. «Il nostro accordo non prevedeva questo.» «Gli accordi possono essere ridiscussi.» «Questo no.» «E se ti prenoto per tutto il mese?» disse lui, in tono minaccioso. Fu a quel punto che mi girai e mi ritrovai vicinissima al suo viso. Riuscivo a vedere il mio fiato che gli scompigliava leggermente le punte dei capelli castano dorato. «Se fossi in te, ci penserei due volte a lasciarmi avvicinare così tanto quando sei vulnerabile.» «A me piace rischiare» disse con un sorrisetto. «Non tentare la sorte con me, bello: potrebbe essere l’ultima volta. Non sono responsabile di ciò che ti succede mentre dormi, e mi sembra già di sentire che cosa dirò alla polizia.» Mi raddrizzai, mi arrotolai una ciocca di capelli tra le dita e feci una smorfia imbronciata. «È stato un incidente, agente, lo giuro. Stavamo facendo sesso, e a lui piaceva farlo in modo un po’ violento: non pensavo che sarebbe soffocato. Un attimo prima era lì che stava per venire, e poi di colpo…» Feci schioccare la lingua, e lo guardai. Deglutì visibilmente, ma non lasciò trapelare in alcun modo che avevo colto nel segno: io però lo conoscevo abbastanza bene da sapere che non era poi così sicuro che stessi davvero bluffando. Ma non importava: già solo il fatto che se lo chiedesse per me era una vittoria. «Ora devo proprio andare. Grazie per quest’incontro a quattr ’occhi. È sempre bello rivedere i vecchi amici, specie se non invecchiano bene. Dovresti cercare una crema per il viso, e anche una per il contorno occhi: questo caldo del deserto è letale per la pelle. Ci vediamo!» Agitai le dita in un cenno di saluto sexy e me ne andai. Quando arrivai al bar, Ginelle aveva davanti a sé due bicchierini di liquore. «Oh, grazie a Dio!» esclamò, mettendosi comoda sulla sedia. Presi uno dei bicchierini e trangugiai la tequila. Poi afferrai il secondo e vuotai anche quello. «Ehi! Li avevo presi per festeggiare!» «Altri due, allora» dissi indicando i bicchieri ma guardando il barista. Lui annuì, prese la tequila e versò un altro paio di bicchierini. Dopo quattro di fila, smisi finalmente di tremare. «Stai bene?» domandò Gin, chinandosi verso di me. «Sì, è solo che non c’è nessun altro in grado di farmi arrabbiare così.» Bevve un sorso della sua bibita e riappoggiò il bicchiere sul bancone. «Ti ha minacciata?» «Sì, ha minacciato di diventare il mio prossimo cliente. Riesci a crederci?» Ginelle spalancò gli occhi, che diventarono grandi come dischi. «Cosa? Ma è pazzo?» Annuii. «Sì! È esattamente quello che gli ho detto io.» «E come l’hai risolta? Non sarà davvero il tuo prossimo cliente, no?» Cambiò posizione, imbarazzata dall’argomento proprio come lo ero stata io un quarto d’ora prima. «Ma no, figuriamoci! In sintesi gli ho detto che, nel caso, lo ucciderò nel sonno.» Spalancò la bocca e strabuzzò gli occhi, poi gettò la testa all’indietro scoppiando a ridere. «Sei sempre la solita» mi disse ridacchiando, e continuò finché le risate non si trasformarono in singhiozzi. «Solo tu riesci a minacciare persino un usuraio, uno che a quanto pare uccide la gente per lavoro. Dovresti iniziare a guardarti le spalle.» Riflettei per un attimo su queste parole. Certo, Blaine avrebbe potuto prendersela con me, ma per lui sarebbe stato come uccidere la gallina dalle uova d’oro. Finché gli dovevo dei soldi, o lui aveva la percezione che gliene dovessi, valevo molto di più da viva che da morta. Per il momento questo ragionamento reggeva, e almeno mi avrebbe permesso di tirare avanti ancora un anno, un tempo sufficiente per saldare il mio debito con lui e decidere la mossa successiva. «E adesso parliamo un po’ di quegli appuntamenti che mi hai preso per domani. Tra le clausole del mio contratto» dissi facendo il gesto delle virgolette per sottolineare che la cosa non mi andava proprio giù «c’è il fatto di essere sempre perfettamente presentabile in qualsiasi momento.» «Be’, con il budget che hai a disposizione ce ne andremo in un centro benessere, tu, io e Mads. Ho un buono, così una di noi entra gratis. Ci faranno trattamenti per il viso, manicure, pedicure e ceretta! Ah, per te la ceretta è totale: ho dovuto pagare qualcosina in più, ma tu mi hai detto che ne avevi bisogno, quindi…» «E sei riuscita a rimanere nel budget?» «Conosco un sacco di gente, mi fanno degli sconti da paura. Tranquilla, non ho sforato.» Gin rovistò nella borsa e tirò fuori un pacchetto di chewing-gum: lo aprì e se ne mise uno in bocca, cominciò a masticarlo e sospirò. La guardai, cercando di capire che cosa c’era di diverso dal solito in lei, perché effettivamente qualcosa non mi tornava. «Ma cos’è questa mania del chewing-gum, adesso?» Le si illuminò lo sguardo e un accenno di sorriso si diffuse sul suo volto. «Sto cercando di smettere.» «Smettere che cosa?» Il sorriso svanì di colpo e lei sporse le labbra, pizzicandole tra il pollice e l’indice. «Di fumare» disse piano. Oh, cavolo, e io non ci avevo neanche fatto caso. Merda, di solito una si accorge quando la sua migliore amica all’improvviso non ha più quel cilindretto canceroso che spunta dal lato della bocca. «Caspita, Gin, ma è meraviglioso! Come sta andando? E perché non me l’hai detto?» Lei sospirò. «Ecco, te l’avrei anche detto, ma tu eri sempre a parlare di Wes, di Alec e del lavoro, e non mi hai chiesto neanche una volta come me la passavo qui a Las Vegas, tranne quando mi domandavi di controllare come stavano Maddy e tuo padre.» Chiusi gli occhi, feci un sospiro e poi li riaprii, guardando la mia migliore amica, l’unica e sola. «Mi dispiace di non essere stata una buona amica per te.» Lei scosse la testa. «No, hai avuto molte preoccupazioni, lo capisco.» «Però non va bene. Anche tu sei importante per me, e voglio sapere che cosa succede nella tua vita. Sei sempre la mia migliore amica anche se ho incasinato tutto. Non succederà mai più, te lo prometto.» Ero sincera, non ero stata un granché come amica per Gin, e invece lei non aveva fatto che aiutarmi e starmi vicina in questo momentaccio. Si era presa cura di Maddy e aveva assistito mio padre nonostante avesse la sua vita e relativi problemi. «E se succedesse di nuovo, io cosa ci guadagno?» mi disse con tono pacato, già pronta a perdonarmi. Facevamo sempre così: non ci eravamo mai tenute il muso per più di un giorno in tutta la vita. Ci pensai per un attimo. «Le foto di uno dei miei stalloni nudo?» Gliel’avevo proposto perché sapevo benissimo che pensava continuamente al sesso. «Affare fatto!» Allungò la mano e ci stringemmo i mignoli, poi baciammo le dita intrecciate, prima lei e poi io. Non lasciai in giro nessuna macchia rossa: il mio era davvero il miglior rossetto del mondo! «Però, sai, sei stata molto cattiva…» Aggrottò le sopracciglia e fece una faccia da cagnolino triste. «Credo che dovresti darmi qualcosa per provarmi che la mercanzia ce l’hai davvero.» Mi passai la lingua sulle labbra e la guardai dritta negli occhi. Poi sorrisi, continuai a tenere lo sguardo fisso su di lei ma presi il telefono dalla tasca posteriore dei pantaloni. Con un movimento rapido arrivai alla schermata con la galleria delle foto. Scesi fino a trovare quella che volevo, e poi girai il telefono verso Gin. Lei lo guardò, e rimase a bocca aperta. «Ma che razza di puttanella…» sussurrò, con la bocca spalancata e gli occhi incollati allo schermo. Ripresi il telefono e guardai la foto che avevo scattato ad Alec mentre dormiva. Era steso a pancia in giù, e aveva in bella mostra la schiena forte e muscolosa e il culo nudo e sodo. I lunghi capelli ramati erano sparsi sul cuscino, e non facevano altro che sottolineare quant’era perfetto il suo corpo. La luce quella mattina era particolarmente bella, e avevo dovuto assolutamente catturarla. Selezionai l’immagine successiva: era Wes, al mare, dopo che avevamo fatto surf insieme senza l’istruttore. Durante il mese con lui ero diventata particolarmente abile nell’arte del surf. Quel giorno ero in spiaggia e stavo guardando il telefono quando lui era uscito dalle onde dell’oceano e aveva iniziato a togliersi il costume bagnato. Il tessuto era scostato e, quando la fotocamera aveva scattato la foto, era abbassato fin quasi al punto di non ritorno. L’immagine mostrava il suo petto dorato e scendeva fino alla vita asciutta e perfetta. Una striscia di peli anticipava il ciuffo di riccioli intorno al suo membro, nascosto dal costume bagnato. Cercai di riprendere il telefono ma Ginelle si oppose. Afferrò il suo bicchierino di tequila e lo vuotò in un colpo solo. «Non sai quanto ti odio» disse guardando la foto. «Sì, anch’io mi odio» dissi guardando il mio dolce Wes. Lui, che mi aveva chiesto di restare: qualcosa di me era rimasto con quel regista californiano che amava il surf, ma non avrei mai avuto il coraggio di ammetterlo, mai e poi mai. 3 Il maggiordomo che mi accolse mi fece attraversare tutto l’attico e superare una porta a due battenti alla fine di un enorme appartamento al quattordicesimo piano. L’ascensore pareva un’attrazione da luna park per tutto il tempo che impiegò ad arrivare fino in cima: avrei scommesso una bella cifra che il panorama sarebbe stato mozzafiato. L’uomo posò il mio borsone su una panca imbottita davanti a un letto di dimensioni impressionanti, poi si girò e scomparve. Fu a quel punto che sentii il rumore dell’acqua che scorreva. Qualcuno si stava facendo una doccia. “Merda. Merda. Merda.” Incontrare il mio nuovo cliente nudo era l’ultima cosa che volevo. Strinsi la mano intorno alla maniglia del borsone e feci per uscire di scena in tutta fretta, quando la porta si aprì. Una sagoma grande e grossa emerse da una densa nuvola di vapore. Le luci intorno al suo profilo creavano un’immagine eterea che non avrebbe sfigurato sul grande schermo. Rimasi impietrita, travolta da tanta meraviglia. In quel momento il mio cliente entrò nella stanza, con addosso solo un piccolo asciugamano, in equilibrio precario sui fianchi. L’acqua gocciolava in piccoli rivoli sul suo corpo muscoloso, e ne faceva risplendere ogni singolo centimetro. Mi si azzerò la salivazione, e in quel momento il mio cuore avrebbe anche potuto smettere di battere. In effetti sarebbe stato un momento perfetto per andarsene: in sostanza, a ventiquattro anni, avevo finalmente visto la perfezione, in tutta la sua gloriosa nudità. “Santa Madre di Dio.” Forse mi ero sbavata addosso. Wes e Alec erano uomini di cui scrivere a casa, e infatti scrivevo di loro molto spesso: a Ginelle, che leggeva avidamente ogni lettera. Anthony Fasano, invece, andava oltre ciò che una donna poteva comprendere: era massiccio, come una casa di mattoni. Le sue cosce, da ciò che riuscivo a vedere sotto l’asciugamano, erano grandi come tronchi d’albero. I pettorali e gli addominali disegnavano una specie di griglia sul suo petto e sulla pancia. E le braccia… La voglia di toccarle mi mandava in confusione, avrei voluto farmi abbracciare, averle intorno a me, far andare via tutto il dolore degli ultimi due mesi. Anthony aveva i capelli corvini tirati all’indietro. L’acqua gocciolava dalle ciocche e cadeva sulle spalle più larghe che avessi mai visto: e dire che avevo visto un bel numero di uomini fighi nudi. Lui aveva un fisico perfetto, e non in quel modo volgare da palestrato, con i muscoli gonfi e le vene sporgenti come corde. No, lui era una storia a sé. Sapevo che era un pugile, e avevo visto una sua fotografia in calzoncini da boxe, ma era ben poca cosa rispetto al suo aspetto dal vivo. Porca miseria, era un vero colpo. Più di una mano vincente a poker. Mi passai la lingua sulle labbra, e rimasi a contemplarlo, lasciando cadere il borsone sulla panca ai piedi del letto. Lo sguardo assassino di quel dio greco mi squadrò dalla testa ai piedi. Era appoggiato allo stipite con una spalla ben tornita e dall’aria forte e si era messo intorno al collo l’asciugamano che prima gli copriva i fianchi. Poi aveva incrociato le braccia sul petto. Come avrei voluto che non l’avesse fatto: nel giro di un attimo le mie antenne sessuali si drizzarono e fui costretta a controllare il respiro per non svenire di fronte alla pura perfezione maschile che avevo davanti. «Papi, è arrivata Mia» furono le prime parole pronunciate da quella bocca con le labbra perfettamente disegnate. “Un attimo… Papi?” Un altro uomo entrò nella stanza e mise un braccio intorno alla vita del dio greco. Sul suo viso era dipinto un sorriso radioso. Anthony era massiccio, mentre quest’uomo era più piccolo ma comunque in forma, con un addome scolpito. Non si vedeva neanche un filo di grasso, e io normalmente ne vedevo parecchio. Il suo corpo mi ricordava quello del mio francese: non era magrissimo, ma l’imponente muro di muscoli a cui era appoggiato avrebbe potuto far sembrare qualunque uomo meno grosso di quanto in realtà fosse. E comunque aveva un viso incredibilmente affascinante: bello, quasi androgino. Un volto che ti faceva venire voglia di fotografarlo e appendere il ritratto alle pareti. Poiché vivevo in California, ero quasi sicura che fosse latinoamericano: aveva i capelli scuri, gli occhi scuri, la pelle scura, e i lineamenti caratteristici. Il modo in cui quei due se ne stavano in piedi come se niente fosse, praticamente nudi, appoggiati l’uno all’altro, era una scena davvero potente, e proprio in quel momento ebbi la rivelazione, come un fulmine a ciel sereno. Sono quasi sicura di essere rimasta a bocca aperta, e di aver puntato un dito prima verso uno e poi verso l’altro. «Oh! Wow! Okay, dunque… Ora so perché avete chiesto di me.» «Che ragazza intelligente hai scelto» disse l’uomo sconosciuto. Poi mi squadrò dalla testa ai piedi. «E anche incredibilmente bella» aggiunse aggrottando la fronte. «Dovevi proprio scegliere la più bella di tutte, eh?» Si scostò da Anthony, incrociò le braccia sul petto, e fece un sospiro teatrale. «Mi devo preoccupare?» chiese, tamburellando il pavimento con un piede. Gli occhi di Anthony parvero esplorare le mie curve, poi fece un sorriso malvagio. «Forse» rispose, scandendo bene la parola. «E sì, ho dovuto scegliere la migliore. La mia famiglia vorrebbe vedermi con la donna perfetta.» Allungò la mano verso di me, ma guardò l’uomo al suo fianco. «Lei è dannatamente perfetta, non sei d’accordo?» L’ispanico serrò le labbra e poi fece uno sguardo severo. «Sì. Sei bellissima» disse, decidendosi a parlare direttamente con me. «Grazie… suppongo di doverti ringraziare. Chi sei?» Quella era la domanda da un milione di dollari. «Sono Hector Chavez, il compagno di Anthony.» «No, per questo mese non lo sei» disse Anthony con una risatina. Hector si intristì. «Non è per niente divertente. Dobbiamo risolvere questa situazione. Io, per quanto mi riguarda, non ne ho la minima voglia.» La sua voce si alzò di un tono, mentre lui si scostava e scompariva oltre una porta, probabilmente dentro una cabina armadio. «State insieme?» domandai con un gesto in direzione della porta. Anthony fece un ampio sorriso e si toccò il mento. Il mio cuore ricominciò a battere forte. Cavolo, sapevo che non tutti gli uomini fighi sono per forza gay, ma lui era bellissimo e decisamente gay. «Che ne dici se ci vestiamo prima di parlarne?» «Sì. Sì, certo.» Mi girai e iniziai ad armeggiare goffamente con la borsetta e il borsone. «La seconda camera a sinistra è tua per questo mese. Credo che troverai tutto ciò di cui hai bisogno per i prossimi giorni. Puoi andare a sistemarti. Domani Hector ti accompagnerà a comprare ciò che ti manca.» Feci una smorfia di imbarazzo. Anthony piegò la testa di lato, e mi fissò con i suoi occhi azzurro ghiaccio. «Vedo che non sei entusiasta all’idea. A qualunque ragazza piacerebbe avere la possibilità di comprare una quantità incredibile di vestiti costosi.» Sbuffai. «Credo che scoprirai abbastanza in fretta che non sono come tutte le altre ragazze. Per non parlare del fatto che sono una donna, non una ragazza.» Ammiccai, e abbassai lo sguardo. «Forse vuoi sistemarti l’asciugamano: ti si vede il cazzo.» Abbassai un’altra volta lo sguardo, oltre il ciuffo di peli, fino alla punta del suo membro. Lui non batté ciglio, ma si limitò a passarsi la lingua sul labbro inferiore e a guardarmi fisso con la sua aria impenetrabile. «Ci divertiremo con te qui, già me lo immagino.» Girai sui tacchi e aprii la porta. «Un uccellino – oh, scusa – mi ha detto che non dovresti immaginare troppo» dissi voltandogli le spalle e uscendo dalla stanza. Fece una risatina, scosse la testa e chiuse la porta. Mezz’ora dopo stavo sbocconcellando un sandwich con insalata di pollo quando Hector e Anthony riemersero. «È l’insalata di pollo migliore che io abbia mai mangiato» dissi a Renaldo, e scostai la sedia per farli passare. Renaldo mi aveva aggiornata sulle ultime novità mentre preparava il pranzo. A quanto pareva, non era soltanto il maggiordomo, ma faceva le pulizie, cucinava e si occupava di tutte le necessità dei due uomini. Scoprii che era anche ferrato nell’arte del pettegolezzo. A quanto pareva, il fatto di essere una dipendente mi dava il diritto di essere aggiornata sulle ultime vicende dei nostri muscolosissimi capi. Renaldo mi mise davanti due piatti, uno per lato, e poi tornò a dedicarsi alle sue faccende, canticchiando sommessamente. Era proprio un bel tipo: sicuramente di origine latina o ispanica, era grassottello e alto circa un metro e sessantacinque. Aveva poco più di cinquant’anni ed era sicuramente gay, a giudicare dall’entusiasmo con cui parlava di quanto fossero belli i suoi capi: in lui c’era qualcosa di tenero e amichevole che ricordava un cucciolo. «Mia Saunders» disse Hector avvicinandosi a braccia spalancate e stringendomi in un forte abbraccio. «Grazie per essere venuta.» «Non ringraziarmi. Sono stata pagata per venire, no?» Hector si sciolse dall’abbraccio e mi accarezzò una ciocca di capelli sulla spalla. «Sì, ma comunque non eri obbligata. Siamo felici che tu abbia deciso di venire.» Alzai le spalle. «Bene, è un piacere conoscervi.» Diedi un’occhiata a quel bel pezzo d’uomo e ritrassi la mano. «Anthony Fasano, il mio nuovo fidanzato, giusto?» Anthony ridacchiò ed esalò un profondo respiro dal naso, prima di stringermi la mano con decisione. «L’unico e il solo. Lietissimo di conoscere la mia futura moglie.» Hector girò la testa di scatto. «Un attimo: vorrai dire moglie per finta. Se c’è qualcuno che può portarti all’altare, ragazzo mio, quello sono io!» Strinse le labbra e mormorò qualcosa tra i denti mentre si sedeva vicino a me. «Dài, Papi, non fare così. Stavo scherzando, e lo sai. Non devi prendere tutto alla lettera.» Anthony appoggiò le mani sui fianchi. «Puoi chiamarmi Tony. Se devi fingere di essere la mia fidanzata, è meglio chiarire subito le cose.» Si alzò e spostò la sua massiccia figura verso lo sgabello, che sembrò piccolo quando lui ci si sedette sopra. Rimasi a fissare le gambe di legno, per vedere se si sarebbero rotte sotto la pressione di tutti quei muscoli. Hector mi diede un colpetto con la spalla, ridestandomi dallo stupore. «Ehi, guarda il tuo orticello, ragazzina. Quella meraviglia sexy» disse, con un cenno del mento verso Tony e poi di nuovo verso di me «è mia, e mia soltanto. Se lo capisci, non ci saranno problemi.» Aprii la bocca per dire qualcosa, ma riuscii solo a sospirare e annuire. «Allora, qual è il mio primo compito?» dissi addentando il sandwich, e guardandomi intorno. Tony fece fuori metà del suo sandwich in appena tre morsi. Cavolo, quant’era grosso. Si pulì la bocca con il tovagliolo. «Stasera inizieremo a conoscerci noi tre. Domani mattina incontrerai la mamma.» Sono certa di essere rimasta di sasso: quelle parole mi colpirono come una forte botta in testa. «Domani? Dopo una sola sera, ti aspetti che mi comporti come se fossi innamorata di te e riesca a ingannare tua madre, la donna che ti ha messo al mondo?» Hector e Tony annuirono, poi fu Hector a parlare. «La tua scheda diceva che sei un’attrice. Abbiamo pensato che per noi questo è un vantaggio. Poi domani è venerdì, e andiamo sempre a cena dalla mamma con tutta la famiglia.» «La famiglia?» Tony sorrise e diede un morso vorace al sandwich, poi trangugiò quel che rimaneva. Renaldo gli mise un altro panino sul piatto, accompagnato da un bicchiere di latte. Tony tracannò il latte in una sola sorsata. «Notevole» dissi. Hector mi diede un altro colpetto sulla spalla. «Lo so» disse aggrottando le sopracciglia e sorridendo. Mi concentrai sul problema che dovevo affrontare. Girai la sedia per guardare in faccia Hector e gli dissi: «Tu vuoi che io non solo finga di essere la sua fidanzata, ma che riesca anche a convincere sua madre e i suoi parenti? E tutto in un colpo solo?». Gli occhi castani di Hector brillarono. «Sì. Ho sempre saputo che sei una donna intelligente.» «È impossibile.» «No, non credo.» Tony mi diede una pacca sulla spalla, come se fossi un suo vecchio amico. «Ce la puoi fare, te lo dico io. Sei bellissima, sei un tipo alla mano ma tosto: agli italiani piacciono le donne così. Cucini?» «Me la cavo.» Tony si passò la lingua sulle labbra, mise un braccio sul ripiano della cucina e invase il mio spazio personale. «Ti piace la cucina italiana?» «E a chi non piace?» Lui lanciò un’occhiata prima a Hector e poi a me. «Ti lasci intimidire facilmente…?» Spinsi il petto in fuori, raddrizzando la schiena e invadendo a mia volta il suo spazio. «Ti sembro il tipo che si lascia intimidire facilmente?» «Non mi hai fatto finire.» Tony si avvicinò ancora un po’, io cercai di non tirarmi indietro ma non ci riuscii, perciò finii tra le braccia di Hector. «Ti lasci intimidire dalle donne forti?» «Senti, posso far fronte a un branco di italiani.» Tony ed Hector sorrisero all’unisono, erano uno lo specchio dell’altro. «Okay, così va bene. Adesso possiamo iniziare a parlare dei dettagli.» «Oh, aspetta. Per questo avremo bisogno di un fiume di vino.» Hector sospirò e poi uscì dalla stanza, molto probabilmente per andare a prendere una bottiglia. «Oh, mio Dio! Non potete aver fatto una cosa del genere!» strillai. Riuscii per miracolo a non rovesciare il vino sul tappeto, e soltanto poche gocce finirono sul tavolo. Hector nascose la faccia tra le mie gambe, ridendo così tanto che riuscivo a sentire il calore del suo fiato sulla pelle. Tony pulì il tavolo e mi riempì di nuovo il bicchiere. «E invece sì. Ce ne siamo andati in giro nudi come vermi. Abbiamo corso per tutto il campo da football con addosso solo i caschi. Ciascuno di noi aveva disegnata una lettera diversa sul petto e quando è stata segnata l’ultima meta la confraternita di studenti quasi al gran completo ha invaso il campo. La scritta F-O-T-T-E-T-E-V-I P-E-R-D-EN-T-I è stata in bella vista per un po’, prima che ce la dessimo a gambe.» Diedi un buffetto sulla schiena a Hector. «Ma c’eri anche tu?» Lui annuì e iniziò a raccontare. «Fu poco dopo quel fatto che Anthony e io ci mettemmo insieme. In segreto, ecco.» «Adesso chi sa che state insieme?» Era la domanda che volevo fare da tutta la sera. «Non molte persone» rispose Hector amaramente. «Papi, per favore…» lo pregò Tony. Hector sospirò, poi mi abbracciò più forte. Ricademmo contro il divano spalla contro spalla, con lui praticamente incollato al mio fianco. Era una bella sensazione, come se stessi abbracciando un fratello. «Vedi, il mio Anthony non vorrebbe avere problemi con la stampa, con la sua famiglia o sul lavoro se dovesse rendere pubblico il suo orientamento sessuale.» «Gran bel casino» commentai, con un tono risoluto che sorprese anche me. «Puoi dirlo forte!» rispose Hector brindando con me. Tony posò il bicchiere sul tavolo. «Guarda, è già abbastanza difficile essere un pugile prestato al mondo degli affari. Aggiungi il fatto che sono gay e capirai che disastro mi trovo ad affrontare. La federazione forse non mi farà più salire sul ring.» Mi indignai. «Non possono farti questo, cavolo. Sarebbe calunnia, diffamazione o roba del genere!» Il mio cervello offuscato dall’alcol in quel momento non riusciva a farsi venire in mente tutti i motivi per cui era sbagliato, ma appena avessi recuperato l’uso della ragione mi sarebbe uscita una risposta fantastica. «Purtroppo è così, troveranno qualche altra scusa, ma il fatto che sono gay sarà la vera causa. Poi c’è il lavoro: sono un italiano che gestisce un ristorante a conduzione familiare. La gente è abituata a collegare il ristorante Da Fasano con i volti di papà, mamma e delle mie quattro sorelle.» Mi faceva piacere che avesse detto “papà” anziché “padre”, proprio come facevo io: mi sentivo in qualche modo vicina a lui. Non riuscii a trattenermi. «Hai quattro sorelle! Oh, cavolo! Lo sai che si renderanno conto subito che non stiamo insieme, vero?» Scossi la testa, ed Hector annuì. «Le donne si rendono sempre conto quando c’è qualcosa che non va. Sei sicuro che non sappiano già tutto di te?» Tony si alzò e iniziò a camminare nervosamente. «No, non sanno nulla. Non ho dato loro motivo di sospettare niente. E ciò che tu, Mia, non sai ancora è che il vero motivo per cui tu ti trovi qui è il buon nome della mia famiglia.» «I Fasano» ruggii, sentendomi come la bambina che, in classe, sa la risposta e la dice ad alta voce senza essere stata interpellata. Si sedette sul bracciolo del divano. «Sì, sono l’unico erede dell’azienda di mio padre, anche se tutte le mie sorelle partecipano in qualche modo. Prendiamo molte delle decisioni insieme.» Scosse la testa e poi se la prese tra le mani. «In realtà le cose sono più complicate. Vedi, sono l’unico erede maschio dei Fasano. Se non avrò un figlio, il mio cognome morirà con me. E, visto che sono gay…» Il discorso gli morì tra le labbra e chinò di nuovo la testa, come se avesse sulle spalle tutto il peso del mondo. «Vuoi dei figli?» dissi senza pensarci, come mi capitava le volte in cui bevevo parecchio. Tony si passò le dita tra i capelli. Poi guardò Hector. «Be’, ecco, non ne abbiamo mai parlato seriamente.» Hector sembrò diventare più alto sulla sedia. Si alzò, si avvicinò a Tony e gli prese il viso tra le mani. «Tesoro, tu vuoi dei figli?» Me ne sarei dovuta andare, sgattaiolando via, ma non sarebbe stato nella mia natura. No, ero il tipo di persona capace di rimanere muta come un pesce nel mezzo di una situazione del genere senza farsi coinvolgere. Tony guardò Hector con amore e tristezza allo stesso tempo. «Li ho sempre voluti» disse con un groppo in gola che tradiva la sua emozione. «Possiamo trovare un modo, con l’adozione o forse anche con la maternità surrogata.» Feci un gran sorriso, poi bevvi il resto del vino in un sorso solo, sentendo la gola bruciare. Nell’alzarmi barcollai e dovetti stringermi tra le braccia per mantenere l’equilibrio e recuperare l’uso delle gambe. «Ora è il momento di andare. Non ho più nulla da fare qui.» Mi piegai in avanti in un inchino. Gli altri due non mi notarono nemmeno, troppo persi nella loro dimensione di coppia. Si abbracciavano, fronte contro fronte, e si sussurravano parole che solo loro due potevano sentire. Era una bella visione, anzi di più: era speciale, e io ero contenta di averne fatto esperienza. Senza girarmi, andai in fretta nella mia camera, dove mi tuffai sul letto e mi addormentai all’istante. 4 Tony tenne aperta la grande porta di legno con la maniglia ricurva di metallo per far entrare Hector e me nel ristorante. Erano le sei di un venerdì pomeriggio, e il ristorante Da Fasano era in pieno fermento. C’era un viavai di camerieri in camicia bianca inamidata, pantaloni neri e cravatta che versavano da bere e servivano ai tavoli piatti tipici italiani con un profumo che non avevo mai sentito prima. Quando sentii nell’aria una zaffata di salsiccia, mi venne l’acquolina in bocca. Uno dei camerieri si girò per versare il vino, e così riuscii a vedere meglio com’era vestito. Risi sotto i baffi, non appena notai la cravatta. Pasta. Sulle cravatte erano riprodotti piatti di pasta. «Perché ridi?» disse Hector avvicinandosi, mentre Tony mi accompagnava verso il retro del ristorante. «Hai visto le cravatte?» Hector fece un gran sorriso. «A dire il vero è stata una mia idea.» «Davvero?» Annuì e mi fece l’occhiolino. La mano di Tony smise di tenermi il braccio, mi scivolò sulla schiena e mi accarezzò il fianco. Il suo fiato era caldo mentre mi sussurrava all’orecchio. «Okay, ci sono già tutti. Lasciati guidare e non meravigliarti se ti tocco… molto.» Mi sentii percorrere da brividi, che si fermarono appena sopra il fondoschiena. Tony era incredibilmente bello, anzi di più: era un figo pazzesco, e per di più non era libero perché stava con Hector, a cui ero più che affezionata. Feci un respiro profondo, e nel frattempo raggiungemmo una spessa tenda rossa, che nascondeva una zona sul retro del ristorante. «Questo è il nostro spazio privato, dove mangia solo la nostra famiglia. È l’equivalente della sala da pranzo a casa della mamma. Ora che siamo diventati un bel gruppo, abbiamo dovuto spostare tutte le nostre cene di famiglia qui al ristorante. Ho ricavato questa stanza riservata per i Fasano.» «Wow» dissi a bocca aperta, mentre Tony scostava la tenda, rivelando un enorme ambiente pieno di gente che rideva, mangiava e beveva. C’era un caos incredibile: tutti parlavano ad alta voce, gesticolavano come se stessero scacciando le mosche e si davano di gomito mentre chiacchieravano. Un manicomio… un manicomio in piena regola: non avrei saputo descriverlo diversamente. Quando entrammo, tutti, uno dopo l’altro, ci notarono: a un certo punto nella stanza cadde il silenzio. Una donna piccola con la carnagione olivastra, i capelli neri e un paio d’occhi azzurri che mi erano familiari si alzò in piedi. Sembrava molto sicura di sé. Teneva la schiena dritta, il petto in fuori e gli occhi fissi su di me. Si avvicinò: per prima cosa alzò la mano verso suo figlio, che si chinò leggermente a baciarla sulla bocca. Non era altro che un semplice contatto delle labbra, eppure… Non avevo mai visto un uomo adulto baciare la madre sulla bocca. Io sicuramente non baciavo così mio padre, anzi non lo baciavo proprio: il più delle volte ci limitavamo a un abbraccio impacciato. «Mamma» disse Tony, poi si raddrizzò e mi indicò con un gesto. «Lei è Mia, la mia fidanzata. Mia, lei è mia madre, Mona Fasano.» «Sono felice di conoscerla, Mrs Fasano» dissi con un sorriso. Lei piegò appena le labbra in risposta, e mi si avvicinò, squadrandomi senza alcun ritegno. «Sei una bella donna» si decise a commentare. Io mi attaccai ancora di più al fianco di Tony. «Grazie» replicai, con l’ampio sorriso che ormai era diventato il mio marchio di fabbrica. Non si limitò a quel complimento. Piegò la testa di lato e strinse le labbra. «E hai tutte le curve al loro posto. Ai Fasano piacciono le donne con le curve» disse mettendosi le mani sui fianchi generosi. Se fosse stata più magra, l’avrei presa come un’offesa. «Mi piace mangiare, e la cucina italiana è la mia preferita» ribattei, mentendo. Era meglio cercare di guadagnare punti. «Hai i fianchi larghi, mi darai dei nipotini meravigliosi.» «Ehm…» reagii perplessa a quell’osservazione inattesa. «Ma’» cercò di interromperla Tony, senza successo. Quando quella donna aveva qualcosa da dire, lo diceva, e gli altri dovevano starla a sentire. «Sì, mi darai dei nipotini maschi bellissimi. Dobbiamo tramandare il nome dei Fasano, sai?» disse Mona con gli occhi fissi nei miei. «Tu vuoi avere dei figli?» A quel punto Tony venne in mio soccorso. «Mamma, ne parliamo dopo. Muoio di fame e voglio presentare Mia al resto della famiglia.» «Okay, okay.» Mona batté le mani, poi mi afferrò per le braccia e mi attirò a sé in un forte abbraccio. Mi sussurrò all’orecchio, con un groppo in gola e sul punto di piangere, parole che avrebbero fatto sciogliere qualsiasi donna con un po’ di cuore: «Ti stavo aspettando. Tutte le sere ho pregato che il mio Anthony trovasse l’anima gemella. Sono felice che tu sia qui con noi». Si tirò indietro, mi prese il viso tra le mani e mi diede un grosso bacio sulla bocca. Baciare una ragazza di solito non è niente di che. A volte Gin o Maddy mi baciavano, ma non ero mai stata baciata da una donna appena conosciuta, da una persona a cui avrei sicuramente spezzato il cuore. La cosa mi mise a disagio. Hector si avvicinò e abbracciò un po’ dei presenti prima di sistemarsi su una delle tre sedie libere nella parte anteriore della stanza. «Vieni, tesoro» disse Tony, facendo strada. “Tesoro”: anche Wes mi chiamava così. In quella situazione si sarebbe sicuramente divertito e forse l’avrebbe addirittura inserita in uno dei suoi film, come soggetto romantico. Un uomo d’affari splendidamente bello, un pugile, assume una escort perché è gay e non è pronto a confessarlo alla propria famiglia. Mi sedetti vicino a Hector. Ero sicurissima che quella fosse una mossa strategica di Tony, ma Hector era visibilmente deluso che Tony non si fosse seduto vicino al suo vero compagno. Era tutto così deprimente: due uomini, chiaramente innamorati, che sentono di non poter stare insieme per colpa della società, della famiglia, degli affari e dei doveri. Presi la mano di Hector sotto il tavolo e la strinsi. Lui mi diede un’occhiata di traverso, piegando appena l’angolo della bocca. «Non preoccuparti, cara. Ci ho fatto l’abitudine ormai.» Nell’ora che seguì fui presentata alle quattro sorelle di Tony. La più anziana era Giovanna, che aveva trentanove anni. Doveva aver preso tutto dalla madre, perché non arrivava al metro e sessanta, era grassottella e aveva i capelli neri, ma con gli occhi di un marrone talmente scuro che sembravano chicchi di caffè tostati e nei quali non si riusciva a distinguere il nero della pupilla. La sua bellezza non ne perdeva nemmeno un po’. Aveva qualche ruga, perlopiù di espressione, ai lati degli occhi, ma ciò non cambiava il fatto che era proprio una bella donna, come tutte le altre Fasano. Avevo perso traccia dei suoi quattro figli, di età diverse, che giravano tutt’intorno come trottole. Ero riuscita a captare solo un po’ di nomi italiani, che non sarei stata in grado di ricordare, e il fatto che erano due maschi e due femmine. Poi c’era Isabella. Era un po’ più alta di sua sorella, appena sopra il metro e sessanta, e aveva trentasette anni. Aveva gli stessi occhi e capelli scuri, ma la sua bocca disegnava un arco perfetto come quella di Tony. Mi presentò i suoi due bambini: andavano sicuramente a scuola, ma non riuscivo a capire quanti anni avessero, perché non avevo molta esperienza di bambini. Sophia era la terza, aveva trentacinque anni ed era qualche centimetro più alta della sorella maggiore, superava il metro e sessantacinque. A quanto pareva, con il diminuire dell’età aumentava l’altezza. Lo ricordai più tardi, mentre chiacchieravo scherzosamente con Hector. Sophia era una donna davvero di classe: indossava una gonna dritta, una camicia di seta e aveva i capelli neri raccolti in uno chignon ordinato sulla nuca. Sul suo elegante naso c’era un paio di occhiali con la montatura in tartaruga. Aveva anche lei gli occhi scuri, ma la carnagione era molto più chiara rispetto al resto della famiglia, tanto che mi domandai quanto fosse scuro il padre di Tony. Forse era un italiano pallido. «Sei appena uscita dal lavoro?» domandai. Sophia bevve un sorso di vino. «Sì, è stata una giornata lunga in ufficio. Sono il direttore finanziario della Fasano’s Unlimited.» «Hai le chiavi della cassaforte, quindi.» Facemmo un brindisi scherzoso. «Esatto. Qualcuno deve pur tenere tutti questi teppistelli in riga. Se non fosse per me e per il mio team, andrebbero in giro a sprecare soldi nelle cose più inutili. Tony e io teniamo il resto dei parenti attaccato a ciò che il cognome Fasano significa: cucina buona e autentica, alla portata delle tasche di ogni famiglia.» Annuii e mi guardai intorno: tutti avevano l’aria felice, e sui loro volti erano dipinti sorrisi sinceri. Parevano a loro agio, senza alcuna tensione. Era una cosa che non avevo mai vissuto nella mia famiglia, da quando mia madre se n’era andata. Papà aveva fatto del suo meglio, ma nel crescere due figlie femmine gli era mancato il tocco speciale che una madre avrebbe avuto. «Quindi lavorate tutti insieme in azienda?» «Sì, e ciascuno di noi ha un ruolo diverso: nessun compito è troppo umile. Per esempio, ai bambini facciamo riempire le buste con gli inviti per i compleanni, o i buoni sconto. Ciascuna di noi sorelle ha un ruolo: Giovanna si occupa dell’asilo nido e del doposcuola aziendale. Io sono il direttore finanziario, Isabella è a capo delle risorse umane, e Angelina si occupa del marketing. Persino la mamma ha un ufficio, ma passa la maggior parte del tempo in cucina a inventarsi nuove ricette e a mettere a punto i menu. Tony, come sai, gestisce l’azienda. Anche Hector lavora per noi, è il nostro avvocato: lo conosciamo da così tanto tempo che è come un fratello.» «Ci credo. È un ragazzo davvero straordinario.» Stavo per insinuare qualcosa sulla loro relazione quando una mano sulla spalla mi fermò. Mi girai e fui salutata dal volto sorridente della donna più bella che avessi mai visto. I folti capelli color ebano le ricadevano ondulati fino al fondoschiena. Aveva gli occhi dello stesso azzurro ghiaccio di Tony. L’arco perfetto delle labbra era tinto di rosa e il vestito che indossava le ondeggiava intorno come un vortice di arancio, rosso e giallo. «Non vedevo l’ora di conoscerti, Mia!» Si protese e mi abbracciò con forza. «Sono Angelina, ma tutti mi chiamano Angie. Il figo dietro di me è mio marito Rocco.» Rocco era la quintessenza dell’uomo italiano, identico a Sylvester Stallone da giovane: una somiglianza davvero imbarazzante. E il suo nome, così simile a Rocky? Pazzesco. Scossi la testa e gli diedi la mano. Aprii e chiusi gli occhi un po’ di volte per vederci meglio: no, erano davvero uguali. «Sei preciso identico a…» «Sylvester Stallone?» Inarcò le sopracciglia, mi prese la mano e mi attirò in un abbraccio talmente forte da togliermi il fiato. Due mani mi distolsero dalla stretta di Rocco. «Vacci piano con la mia donna, fratello!» esclamò Tony in tono protettivo. Riuscivo a percepire chiaramente la tensione di Hector durante questo scambio di battute. «È incredibile quanto gli somigli! Sei il suo sosia.» Non riuscivo a capacitarmene. Alzò il mento e rise. «Me lo dicono tutti. E, per di più, faccio pugilato con il tuo uomo. È così che ho conosciuto Angie: ero il suo allenatore. Ora siamo fuori dal giro degli incontri e passiamo più tempo in palestra ad allenare la prossima generazione di pugili professionisti. O meglio…» disse dando un pugno sul bicipite di Tony «sono io che sto in palestra ad allenare i nuovi, mica il qui presente Mr Affari d’Oro. Ma non posso lamentarmi: è lui che porta a casa la pagnotta.» «Sì, sì, come no, Rocky Balboa. Rimettiti a sedere, okay?» disse Tony; il suo accento italoamericano era ancora più pronunciato quando scherzava. Angelina mi strinse forte la mano. «Dài, vediamoci questa settimana! Magari domani per un po’ di shopping? Dobbiamo procurarci un vestito per il lancio della nuova linea di surgelati Fasano, la settimana prossima. Daremo una grande festa il giorno prima, con tutta la gente che conta dell’industria alimentare. È un grande traguardo per noi, il più grande di sempre!» disse con un gridolino. «Tony deve rimanere in ufficio, ma io avevo in programma di accompagnare Mia a comprare un vestito. Puoi venire con noi domani. Ha bisogno di rinnovare il guardaroba per la sua permanenza qui, e sarebbe fantastico avere un secondo parere» propose Hector. «Andare a fare shopping con Hector è la cosa più bella del mondo.» Angelina alzò il tono di voce, tutta eccitata. Aveva due anni in più di Tony ed era la più alta delle sorelle, più o meno quanto me. Durante la cena non avevo notato bambini suoi. A quanto pareva, il pugile e la bella non avevano ancora avuto figli. Caspita, se un giorno li avessero avuti sarebbero stati belli come i bambini delle pubblicità. Poi mi resi conto che stavano parlando di fare shopping: che orrore! Tremavo all’idea di dover rinnovare il guardaroba. «Sarebbe davvero… Bellissimo. Grazie.» Angelina si sedette sulla sedia che Tony aveva lasciato libera per andare a parlare con un altro parente. «Senti, Mia, c’è una cosa che devi sapere: Hector è gay. Sa quali sono i negozi migliori dove fare acquisti, sa dare i consigli giusti per l’abbigliamento per ogni tipo di fisico…» Hector intervenne. «È vero. Dovresti ascoltarla. Scelgo insieme a lei i suoi vestiti da quando aveva poco più di vent’anni.» «Lui ha davvero buongusto in fatto di vestiti» aggiunse Angie. «Non hai nulla di cui preoccuparti. Ti vestirà bene. E, con un fisico come il tuo, sarai strepitosa con qualsiasi cosa tu decida di mettere.» «Dice la pollastrella più bella che io abbia mai visto!» commentai ironicamente, prima di decidere di tacere. Lei non colse il tono ironico. Le si illuminò lo sguardo e un ampio sorriso rischiarò il suo bel viso. «Pensi davvero che io sia la ragazza più bella che tu abbia mai incontrato?» Mi strinsi nelle spalle e bevvi un sorso di vino. «È la cosa più bella che mi abbiano mai detto. Diventeremo senz’altro grandi amiche» promise, e mi strinse in un altro abbraccio. Accidenti, a questa gente piaceva proprio abbracciarsi! In mezzo a loro non c’era alcuna possibilità di mantenere un minimo di spazio vitale. Ero certa che, in un modo o nell’altro, quella sera ogni singola persona presente in quella sala mi avrebbe abbracciata, spintonata, baciata. Nel resto del mese avrei decisamente dovuto farci l’abitudine. Proseguimmo la cena, gustando il cibo italiano più buono che io avessi mai assaggiato, servito familiarmente in grandi piatti e zuppiere. Il vino scorreva a fiumi e la famiglia parlava con un tono di voce talmente alto che iniziarono a fischiarmi le orecchie. Mi ricordai di quand’ero stata a un concerto rock, e del fischio continuo che avevo sentito allora: questo era un tantino più forte. Quelle persone amavano parlare, e molto, a un tono assai più alto di quello a cui le persone normali erano abituate. Nel complesso, però, i Fasano mi piacevano. Erano chiassosi, amichevoli, festosi e belli. Era come stare in una stanza piena di attori italiani in attesa del provino per una parte. Quando ero a Los Angeles, il mio agente voleva mandarmi ai provini per le parti da donna mediterranea, per via delle mie curve e dei folti capelli neri. Probabilmente pensava che avessi l’aspetto di un’italiana, ma io ero più che sicura di essere una specie di miscuglio. La serata terminò con abbondanti porzioni di tiramisù, fatto ovviamente in casa da Mona, e con il caffè più forte che avessi mai bevuto. Consumati insieme, erano una gioia per il palato. Quando, più tardi, uscii dal ristorante insieme a Hector e Tony, quest’ultimo mi strinse in un grande abbraccio. Si guardò intorno con aria spaventata, poi mi diede un bacio sulla bocca. Le sue labbra erano morbide, calde e umide. Mi prese la nuca tra le mani, mi fece piegare indietro la testa e mi infilò la lingua in bocca. Non mi aspettavo un bacio del genere da Tony: era gay, e aveva un compagno, quindi le cose non tornavano. Eppure non potei fare a meno di ricambiare, perché baciava veramente bene. La sua lingua stuzzicò per un po’ la mia, poi iniziammo ad andare a ritmo. Alzai le braccia, gli circondai le spalle larghe e mi appesi al suo collo. Quando strusciai il mio corpo contro il suo, lui mi prese per i fianchi e mi attirò a sé. Fu in quel momento che lo sentii, o meglio non lo sentii. Non era affatto duro. Laggiù non stava succedendo niente. Tirai indietro la testa, e le nostre labbra, staccandosi, fecero uno schiocco sonoro. Lo fissai e mi accorsi che stava guardando da un’altra parte, dietro di me: mi girai e vidi sua madre. Aveva le mani giunte e sprizzava gioia da tutti i pori: sembrava più giovane di dieci anni. Fui pervasa dal senso di colpa, quando notai le speranze che quella donna nutriva per suo figlio, il suo unico figlio maschio, il suo figlio gay, anche se lei non lo sapeva. In quel momento, sentii qualcuno schiarirsi la gola. Guardai Hector, sul cui volto c’era tutt’altra espressione rispetto a Mona: dolore, tristezza e forse anche una punta di rabbia. Il macigno che avevo sul cuore era così pesante da togliermi quasi il respiro. Mamma Mona si girò e ritornò nel ristorante. «Hector…» sussurrai. Lui aprì la portiera dell’auto. «Sali, Mia. Devo dire due parole a Tony.» «Papi, sai bene che era tutta scena, che non voleva dire nulla» giurò lui, con le mani strette a pugno sui fianchi. Anche se non avrei dovuto, mi sentii ferita, perché invece io avevo provato qualcosa. C’era stato un deciso fremito nelle mie parti intime quando Tony mi aveva abbracciata e baciata nel modo in cui un uomo bacia una donna che desidera. Lui, però, mi aveva dimostrato di non essersi eccitato nel baciarmi. Non era reale: mi ricordò che avrei dovuto tenere a bada qualsiasi tipo di pensiero lascivo. Quest’uomo poteva anche essere l’incarnazione del sesso e avere il corpo più incredibile del mondo, ma giocava per un’altra squadra, quella di Hector. Mi avvicinai alla macchina. Hector non mi guardò nemmeno e io bevvi l’amaro calice del rimorso. Prima di salire, gli misi una mano sulla spalla e mi protesi per sussurrargli all’orecchio: «Non voleva dire nulla. Mona ci stava guardando. Lui non era neanche eccitato: soltanto tu puoi eccitarlo. Credimi, so distinguere quando un uomo mi desidera e lui vuole una persona sola: te». Era la massima rassicurazione che potessi offrirgli. Mentre mi sedevo, Hector si sporse dal finestrino. «Grazie per avermelo detto.» «Prego. Che ne dici di tornare con lui in taxi? Andate al bar e parlate di come andranno le cose adesso che ci sono anch’io. Non so se avete già riflettuto su come la mia presenza potrà influire sulla vostra relazione, ma è evidente che avete bisogno di trascorrere un po’ di tempo da soli.» Lui annuì e si guardò i piedi, sfregando la punta della scarpa sul marciapiede. «Ho le chiavi. Ci vediamo domattina, ok?» «Grazie, Mia» disse Tony. Fece un gesto con il braccio verso la strada, e un taxi si fermò davanti a lui. «Hector, per favore, vieni con me» disse con tono gentile ma esigente. Li guardai salire sulla vettura, che poi sparì alla mia vista. La limousine mi riportò all’attico. Ero appena entrata in camera mia, quando comparve un messaggio sul mio telefono. Da: Wes Channing A: Mia Saunders Possiamo sentirci? 5 Rimasi a fissare lo schermo del telefono. Me la potevo giocare in due modi: primo, ignorarlo finché non avessi smesso di sentirmi così svuotata emotivamente. Secondo, chiamarlo e lasciare che la voce di Wes sciogliesse la morsa che mi stringeva il cuore dopo il casino scoppiato tra Tony ed Hector. Speravo che sarebbero riusciti a sistemare tutto. L’ultima cosa che volevo era mettermi in mezzo tra due persone che si amavano come loro. Non era giusto, però, che non potessero essere se stessi. O, almeno, Tony la vedeva in questo modo. Forse avrei potuto lavorare un po’ su di lui, fargli capire che uscire allo scoperto poteva essere una buona idea, che stare con Hector, fare progetti e mettere su famiglia era la strada giusta per la felicità. Quello che Tony stava facendo avrebbe finito per ferire Hector al punto da spingerlo a mollare tutto. Conosco il tipo. Io sono bravissima ad andarmene. Presa la decisione, premetti un paio di tasti sul telefono e la risposta arrivò già al primo squillo. «Ciao, tesoro, è troppo tardi lì da te? Ma dove sei?» La sua voce era profonda e roca, evocava promesse sussurrate al buio, sospiri, gemiti e notti piene di passione selvaggia. Con Alec avevo trascorso un periodo meraviglioso, ma Wes era il massimo. Tutto in lui gridava sesso: intenso, penetrante, decisamente bollente. Dopo la serata che avevo appena passato, avrei davvero voluto abbandonarmi tra le sue braccia. «No, non è troppo tardi. Sono a Chicago.» «Mmh, la Città del Vento. Cosa fa il tizio?» Non sapevo bene se il livello della nostra “amicizia” ci permettesse di discutere senza problemi delle reciproche conquiste, ma visto che non avevo intenzione di portarmi a letto Tony, raccontargli tutto non era un problema. «Il ristoratore.» «Ah, so bene quanto ti piacciano i manicaretti fatti in casa.» Di colpo mi tornò alla mente l’immagine di lui a torso nudo che mi preparava la colazione. Il suo fisico slanciato, il petto muscoloso e abbronzato a cui il sole della California aveva donato un colore che faceva venire voglia di mangiarlo. Ed era anche buono: Wes aveva sempre un profumo delizioso, che sapeva di surf e di mare. Mi accorsi che non parlavo da un po’. «Ehm, sì. Be’, lo sai che mi piace mangiare.» «Certo che lo so. E cucina per te?» «Non ancora, ma spero che lo farà presto.» Sentii un sospiro dall’altra parte, cui seguirono lunghi attimi di silenzio. «Con lui stai… come stavi con me?» mi chiese, e anche se il fatto che sentisse il bisogno di chiedermelo mi feriva, non gli dovevo nessuna spiegazione. «Che importanza ha?» sussurrai piano, sdraiata sul letto con il telefono attaccato all’orecchio. «Ne ha per me.» «No, né adesso né mai.» «E perché? Ti conosco, la tua libido è sanissima.» Questa volta percepii una nota divertita nella sua voce. Wes aveva avuto un mese di tempo per imparare a conoscermi, e c’era riuscito fin troppo bene. Aveva piegato tutte le mie difese e si era impossessato del mio cuore, che sarebbe stato per sempre suo. Certo, io non gliel’avrei mai confessato. «Perché non credo che il suo compagno Hector sarebbe entusiasta se mi intrufolassi nel letto del suo uomo.» Sentii una grassa risata. Dio, quanto mi mancava: era quel tipo di risata in grado di risollevarti dopo qualunque catastrofe. «Ma se il tipo è gay perché ha preso la escort più sexy del pianeta?» «Fottiti» ribattei. Wes ridacchiò di nuovo, e l’eco della sua risata mi arrivò al cuore, alleggerendo il peso della serata. «È piuttosto incasinato. Ha una storia seria con un tipo fantastico, praticamente è come se fossero sposati, però lui si sente obbligato, un po’ per la famiglia, un po’ per il lavoro, a mantenere la facciata dell’uomo d’affari di successo, sai, il classico italiano tosto e tutto d’un pezzo.» «Merda. A quanto pare ha un bel fardello sulle spalle. Dal punto di vista professionale, posso capire che voglia tutelare la propria privacy. Se può permettersi la Exquisite Escorts vuol dire che è pieno di soldi, e probabilmente avrà sempre i paparazzi alle calcagna.» Fece un respiro profondo, ma aveva le labbra troppo vicine al microfono e venne fuori un suono smorzato. «Sul serio Mia, i soldi sono una gran cosa e tutto il resto, ma certo non valgono quanto mantenere la propria privacy e condurre una vita tranquilla.» Mi vennero in mente il posto in cui viveva Wes, monitorato ventiquattr ’ore su ventiquattro da un servizio di vigilanza, gli impegni mondani che detestava, la necessità di reclutare una escort ogni volta che doveva partecipare a qualche evento, in modo da poter gestire le pubbliche relazioni in santa pace. Eh, sì, a parte la questione dell’omosessualità, Wes sapeva benissimo che cosa stava passando Tony. «E poi c’è anche la faccenda della famiglia: è l’unico erede maschio del patrimonio familiare, e se non dovesse avere figli il loro nome finirà con lui.» «Oh, Cristo, alla faccia della pressione!» Annuii, anche se non poteva vedermi. «Bene, adesso basta parlare del mio cliente. Tu come stai? Come viene il tuo film?» «Davvero bene, Gina in quel ruolo è straordinaria» disse, con un tono nostalgico che mi fece subito alzare il livello della gelosia. «Il personaggio sembra creato apposta per lei. Sono contento di avere cambiato orientamento sul personaggio.» Mi morsi il labbro inferiore e mi trattenni dal rinfacciargli di avere rimpiazzato me con lei, sapendo che non sarebbe stato giusto. Quello che Wes aveva fatto – dare il mio nome al personaggio – era un onore, e persino un gesto di tenerezza. Era un regalo e così avrei voluto ricordarlo, senza che il mostro dagli occhi verdi riuscisse a rovinarlo. E poi non potevo avanzare alcuna pretesa su di lui, eravamo solo amici… di letto. «Allora tu e Gina andate proprio d’accordo, eh?» Alzai gli occhi al cielo e cercai di mantenere un tono neutro. «Sì, è davvero in gamba. Anche se non è carina come il personaggio che interpreta.» Il suo tono era allusivo. «Davvero?» «Sì.» «Ma ti diverti a dirle cosa deve fare… A dirigerla in scena, intendo.» «Non quanto mi divertirebbe dirigere te.» «Ah, davvero? E cosa mi faresti fare?» A quel punto la conversazione prese una piega diversa, e anche se non l’avevo mai esplorata prima non vedevo l’ora di farlo. Sentii la sua lingua schioccare, come se l’avesse tenuta contro il palato e l’avesse lasciata andare nel momento in cui finii di parlare. «Be’, per prima cosa, ti metterei le mani sulle ginocchia e ti direi di aprirle e di mostrarti, nuda. Ti ricordi quando l’hai fatto, Mia? Riesco ancora a sentirti, calda e bagnata sulle mie dita.» Tracciai un piccolo cerchio sul ginocchio con la mano libera. «Me lo ricordo. E poi?» Wes gemette. Io posai il telefono per un attimo, afferrai l’orlo del vestito e me lo sfilai rapidamente, gettandolo dall’altra parte della stanza. Ripresi in mano il telefono. Colsi Wes a metà della frase. «… farei scivolare le mani lungo le tue gambe, tenendotele bene aperte in modo da guardarti mentre ti bagni. Poi, con un dito, ti toccherei la punta del clitoride. Ti piacerebbe, tesoro?» Mi morsi il labbro e gemetti, piano. «Oddio, sì.» «Come sei vestita adesso?» mi chiese Wes. «Mi sono tolta il vestito appena hai cominciato a dirmi, ehm, quelle sconcezze. Adesso sono sola in casa, sdraiata sul letto, senza nessuno intorno: soltanto tu e io in reggiseno e slip verde smeraldo. E tu come sei vestito?» Chiusi gli occhi, sentendomi un po’ confusa e frastornata. Non potevo credere che lo stessimo facendo davvero, ma era tremendamente eccitante. Dall’altra parte della linea Wes gemette di nuovo. «Solo i pantaloni del pigiama scozzesi. Li hai già visti.» Altroché. I pigiami di Wes erano fatti con il cotone più morbido del mondo. Quando ero con lui, mi piaceva moltissimo infilarmi i pantaloni dopo il sesso, o al mattino appena alzata. Gliene avevo anche rubato un paio, ma non avevo nessuna intenzione di dirglielo. «Ce l’hai duro, baby?» Tentai con un vezzeggiativo. Stava bene nella mia bocca. Certo, qualcos’altro ci sarebbe stato meglio, se solo lui non si fosse trovato a migliaia di chilometri di distanza. «Oh, cazzo se me lo fai venire duro, Mia, c’è già la goccia sulla punta.» «Spalmala bene con il pollice. Ti ricordi com’è la mia mano quando te lo stringe?» «Cazzo se me lo ricordo.» «Allora pensaci. Chiudi gli occhi e muovi la mano su e giù, comincia piano. Immagina che sia la mia mano che te lo accarezza. Spalma la goccia umida tutto intorno con il pollice, lungo i solchi, soprattutto dove io passerei la lingua. Se fossi lì, ti bagnerei tutto il cazzo leccandotelo dall’inizio alla fine, e poi ti darei dei colpetti con la punta della lingua proprio sotto la cappella, dov’è tanto sensibile.» Sentii Wes gemere, il suo respiro farsi più rapido. «E tu cosa mi faresti fare?» «Togliti le mutandine» mi ordinò. Mi calai gli slip verdi e li spostai da una parte con il piede. «Vuoi metterti nuda per me, tesoro?» «Sì.» Sollevai i fianchi, come se sopra di me ci fosse Wes e io tentassi di toccare il suo corpo con il mio. «Mettiti una mano sul sesso, come farei io se fossi lì. Stringerei forte. Sai quanto mi piace.» «Sei possessivo» riuscii appena a sussurrare mentre mi inarcavo, facendo ciò che mi aveva chiesto. Il piacere era totale, mi attraversava il corpo come la scarica di un fulmine. «Esatto, voglio possedere la tua dolce fichetta. E mentre tu cerchi un po’ di sollievo ruotando i fianchi, ti infilerei dentro due dita. Segui le mie istruzioni, Mia.» Feci come mi aveva chiesto e mi infilai due dita fino in fondo. Ondate di calore partivano dal ventre e risalivano lungo lo stomaco fino ai seni, gonfi e duri. I capezzoli erano appuntiti e sfregavano contro il tessuto del reggiseno. Una sensazione deliziosa. Molto piacevole. «Ti ricordi quando mi sono preso la tua fica, sulla moto?» Risposi con un gemito, seguito da alcuni versi incomprensibili mentre mi tornavano alla mente le sue dita forti che premevano dentro di me, come una specie di gancio che mi sollevava da dietro facendo leva proprio lì dov’ero più sensibile. «Metti le dita dentro, piegale bene tesoro, come farei io.» Ci provai, senza successo. «Non ci arrivo, ho bisogno di te.» Feci un sospiro di frustrazione, ma continuai a darmi da fare cercando di raggiungere l’estasi. Con la testa ero ancora su quella moto, nel garage di Wes, e lui mi aveva infilato la mano nelle mutandine e mi scopava con forza, fino in fondo, come piaceva a lui. «Ci sei quasi, tesoro?» «Oh, sì, ti voglio, Wes, ti voglio dentro di me…» Ci fu una sfilza di imprecazioni al telefono mentre il suo respiro si faceva sempre più rapido. Anche il mio cominciò ad accelerare mentre ci davamo piacere, ognuno per conto suo, persi nella passione del ricordo reciproco. «Se fossi lì ora, premerei forte con le dita proprio in quel punto lì, dentro di te, e comincerei ad accarezzarti. Poi ci metterei anche la lingua e comincerei a leccarti tutt’intorno alla ciliegina del clitoride. Lo farei diventare bello duro e gonfio con le labbra, e te lo succhierei fino a sentire la tua fica che mi stringe forte le dita mentre vieni su di me.» «Oh, sì, Wes, sto per venire, non ce la faccio più, ti voglio qui con me…» Gettai la testa all’indietro, tutti i miei sensi, tutto il mio corpo erano concentrati sul piacere che montava tra le mie cosce. «Sono qui con te, tesoro. Sono mie le dita che hai dentro di te. Adesso stringi il clitoride tra il pollice e l’indice. Cazzo, sto per venire anch’io, con te. Mia, sei uno schianto, non ho mai provato niente del genere in vita mia.» Le sue parole erano come un ruggito. Feci come mi aveva chiesto, passandomi le dita umide dei miei umori sul clitoride. Era lo stimolo di cui avevo bisogno: raggiunsi l’orgasmo travolta da una cascata di luce e di energia, il mio corpo si irrigidì e lanciai un grido feroce, come se fossi posseduta, e un’ondata di piacere dopo l’altra mi fece tremare convulsamente. Al telefono, sentii il grido di liberazione di Wes. Ci volle qualche momento perché ci calmassimo, l’unico suono era quello del nostro respiro affannoso. «Mia» disse Wes, estasiato. Era meraviglioso sentire il mio nome sulle sue labbra, mi faceva venire voglia di baciarle, di leccarle. «Porca miseria, Wes, ci sai fare anche al telefono» replicai. Lui rise. «Sai che non l’avevo mai fatto prima?» ammisi. «Davvero?» Sembrava stupito, quasi sorpreso, e questo mi rese un po’ triste. Feci un sospiro, tirai indietro le coperte e mi infilai sotto. Era stata una giornata interminabile, e dopo un orgasmo del genere tutto ciò di cui avevo voglia era accoccolarmi vicino all’uomo che me l’aveva procurato e addormentarmi cullata dal battito del suo cuore. «Sì, sul serio.» Sbadigliai e chiusi gli occhi. «Non vedo l’ora di rifarlo.» Un altro sbadiglio. «Anch’io.» «Mi manchi, Mia.» Sorrisi e avvicinai il più possibile il telefono all’orecchio per cogliere ogni sfumatura del suo respiro. Mi faceva sentire al sicuro, proprio come se fosse accanto a me. «Tu mi mancherai sempre, Wes» dissi con voce assonnata, pregustando già il momento in cui l’avrei rivisto. «Sogni d’oro…» furono le ultime parole che udii prima di cadere addormentata. Quando mi svegliai il mattino dopo avevo ancora il cellulare in mano, completamente scarico. Mi girai e fissai il soffitto, pensando alla sera prima. Tutta la giornata, fino alla cena e al sesso al telefono con Wes, era stata un susseguirsi di emozioni. La conclusione, almeno, era stata molto soddisfacente. Mi domandai che cosa avessero fatto Tony ed Hector, e se avessero risolto i loro problemi. Quei due erano innamorati, senza ombra di dubbio, e di un amore destinato a durare. Non come quando conosci un artista francese, te lo scopi per un mese e con ogni probabilità non lo vedrai mai più. Eppure, sentivo un po’ la mancanza del mio Francesino. Ero grata ad Alec per come aveva arricchito la mia vita nel periodo che avevamo trascorso l’uno accanto all’altra. Non solo avevamo realizzato insieme dei magnifici lavori artistici, ma mi aveva anche insegnato un sacco di cose su me stessa, sull’amore e sulla vita in generale. Sarei stata per sempre grata ad Alec e al tempo passato con lui, e forse avrei potuto fare buon uso di ciò che avevo imparato per aiutare Tony ed Hector. In fondo, l’amore è amore, e non è possibile scegliere di chi innamorarsi, e neanche decidere quanto durerà. Visto che il loro era amore vero, prima o poi qualcosa sarebbe dovuto succedere. Continuai a pensare a queste cose anche durante la doccia e mentre mi vestivo. Andando verso la cucina, sentii il profumo delle uova e della pancetta. Quando mi sistemai sullo sgabello, il mio stomaco aveva già cominciato a brontolare. Renaldo si girò a guardarmi. «Mi pare che il suo stomaco sia felice di vedermi, vero?» «Vero! Come stai stamattina, Renaldo?» «Mi sento un fiore, Ms Mia. E lei? Ha l’aria di avere riposato piuttosto bene.» Fece una leggera smorfia e mi fece l’occhiolino mentre girava la pancetta nella padella. «Proprio così» dissi, sorridendo al ricordo della telefonata con Wes. Certo che quell’uomo sapeva come dire le cose più sconce. Mi aveva eccitata così tanto che ero andata in orbita nel giro di pochi minuti. Alla fine l’appagamento era stato tale da farmi crollare con il telefono vicino all’orecchio. Quando mi ero truccata, quella mattina, avevo ancora il segno del cellulare stampato su una guancia. Dovevo ricordarmi di mandargli un messaggio di ringraziamento più tardi, per dirgli quanto mi era piaciuto parlare con lui, e non solo per il sesso. Adoravo chiacchierare con Wes, sembrava sempre tutto così normale, come se fossimo vecchi amici o innamorati contrastati. Lui riusciva a rendere semplice ogni cosa e speravo che questo non sarebbe cambiato per il resto dell’anno. L’avremmo scoperto solo con il tempo. Renaldo mi mise davanti un piatto fumante con uova, pancetta e frutta, e quando Tony ed Hector entrarono in cucina avevo la bocca piena di cibo. Tony teneva il braccio appoggiato sulle spalle di Hector e aveva un’aria molto soddisfatta. Mi morsi il labbro, piegando la testa di lato. «A quanto pare, non sono l’unica ad aver passato una buona notte.» Non so perché diavolo lo dissi. C’era qualcosa in quei due che mi spingeva a spiattellare tutto, e non era affatto da me. Tony inarcò le sopracciglia ed Hector prese una sedia e venne a sedersi vicino a me. Appoggiò i gomiti sul tavolo tenendosi la testa tra le mani. «Davvero? Ora ti racconto com’è andata la mia serata» disse con un sorrisetto. «Però devi spiegarmi come hai fatto a fare baldoria anche tu, visto che, usciti dal ristorante, ti abbiamo spedita direttamente a casa.» Ci pensai su un attimo, mandai giù un altro boccone di uova e lo accompagnai con un sorso di caffè. «Affare fatto.» E fu così che Hector e Tony vennero a sapere di Wes. 6 «E tu te ne sei andata? Che donna insensibile!» Hector sbuffò indignato, già schierato dalla parte di Wes prima che avessi la possibilità di spiegare la storia di mio padre e il motivo per cui ero diventata una escort. Gli uomini sono sempre i soliti: a volte sentono solo ciò che vogliono sentire. Non importa se sono gay: sono comunque geneticamente diversi e quindi non possono capire le donne e il motivo per cui si comportano in un certo modo. «Hector, non capisci. Me ne sono dovuta andare per forza. Dovevo farlo, non potevo assolutamente restare.» «È meglio che me lo spieghi subito, cara. Se Tony mi lasciasse così di punto in bianco, io sarei distrutto.» «No, tra me e Wes è una cosa diversa.» «Ah, sì? E che tipo di cosa?» «Siamo amici.» «Amici che fanno sesso al telefono? Che si amano per un mese…» cercai di interromperlo, ma lui fece un gesto per farmi tacere «… e poi pregano l’altro di stare con loro per sempre?» Questo era un colpo basso. «Non ha detto questo! Sì, mi ha chiesto di restare con lui. Sì, ho rifiutato, anche se lo avrei voluto più di ogni altra cosa, ma non potevo restare, e basta!» «Perché?» volle sapere. Prima che potessi rispondere, fummo interrotti da un rumore di tacchi sulle piastrelle. Feci un respiro profondo, nel tentativo di calmarmi il più possibile: non sarebbe stato saggio scoprirsi proprio con la sorella di Tony, cioè con una delle persone che dovevo ingannare durante questo lavoro. «Ciao, ragazzi! Sono così entusiasta di andare a fare shopping, oggi!» Angelina, la più giovane delle sorelle di Tony, entrò nella stanza. Abbracciò prima Hector poi me. «Mio fratello è già al lavoro?» «Sì, è uscito più o meno un’ora fa. Vuoi qualcosa da bere o da mangiare?» le chiese Hector. «No, sono già pronta per le vetrine! Mia, ma tu hai voglia di andare o no?» Mi sfuggì un gemito, poi presi la borsetta dal tavolo. «Sì, certo.» «Non mi sembri entusiasta» notò Angelina, perplessa. Hector fece una risatina e la prese sottobraccio. «Non le piace fare shopping.» La sorella di Tony fece una faccia stupita e spalancò gli occhi. «Ma sei una ragazza?» «Certo che lo sono, ma non del tipo tradizionale, e vivo comunque benissimo.» Hector borbottò qualcosa. «Sì. Nel suo guardaroba c’erano solo jeans, top molto essenziali e magliette a maniche corte. Tutta roba pessima! La cosa più elegante sono i pigiami.» Aveva ragione. «Perché li ha comprati la personal shopper di Wes.» Trasalii e mi morsi le labbra. «Wes? Chi è Wes?» Angelina mi guardò stringendo gli occhi. Tacque, in attesa di una risposta. «Ah, è solo un amico. Il mio migliore amico a casa, è gay.» Le bugie sgorgavano dalle mie labbra come vomito su un tappeto: acide, abiette e con un gusto pessimo. «Ah, va bene» disse scostando di lato i meravigliosi capelli lunghi. «Bene. Adesso usciamo!» Ci accompagnò fuori dall’attico e poi in ascensore. Hector mi lanciò un’occhiata di disapprovazione: io mi feci piccola piccola e mimai con le labbra un “mi dispiace” dietro le spalle di Angelina. Hector e Angelina mi chiusero in un camerino da Gucci, costringendomi a provare tutto, dai vestiti alle gonne, ai jeans, persino una specie di abito hawaiano. Erano capi eleganti, con uno stile e un fascino che non mi appartenevano. Dopo avere indossato un capo, dovevo sfilare per loro, salendo su una pedana davanti a una parete piena di specchi, mentre i due esaminavano ogni singolo dettaglio, dal modo in cui cadeva un orlo a quella che loro chiamavano vita alta. Mi toccavano e mi spostavano a loro piacimento, come se fossi un animale in gabbia. Probabilmente i vestiti che avevano classificato come indispensabili per il mio guardaroba mi stavano bene, ma tutto il processo mi sembrò degradante. Per tutto il tempo Angelina continuò a parlare di suo fratello e della nostra relazione. Il discorso stava iniziando a stancarmi. «Allora tu e Tony avete già fissato una data per il matrimonio?» domandò. Scossi la testa. «No, non ancora.» Tirò la maglietta che indossavo, lisciandomela leggermente sui fianchi. «Sul serio? Voglio dire, uscite insieme da un sacco di tempo, no? Almeno, così dice Tony.» «Sì, è vero.» «Forse sono io che non capisco quale sia il problema. La mamma mi ha detto che vuole proporre a te e a Tony di sposarvi questo mese, durante la tua permanenza qui. Per rendere le cose ufficiali, ecco.» Hector e io rimanemmo impietriti e guardammo Angelina sbalorditi, senza muovere un muscolo. «Cosa?» Hector riprese fiato molto prima di me. «Stai scherzando, vero?» Aveva gli occhi scuri spalancati e le labbra imbronciate. Non era bravissimo a dissimulare il suo malcontento. «Hector» lo misi in guardia. Angelina si strinse nelle spalle. «Non dovrebbero esserci problemi, no? Voglio dire, siete innamorati, non avete più vent’anni e la mamma vuole un erede maschio. Proprio in questo momento è a pranzo con Tony, e gliene starà sicuramente parlando.» Rimasi a bocca aperta, con gli occhi fuori dalle orbite per lo stupore. Improvvisamente là dentro cominciò a fare troppo caldo, e io mi sventolai il viso. «Ehm, Tony e io non abbiamo ancora pensato ai dettagli.» «Non importa, quando la mamma vuole qualcosa, la ottiene sempre. Vero, Hector?» disse Angelina, guardando Hector, che arretrava lentamente finché non colpì il bordo di una sedia e cadde seduto. «Vero?» Lui annuì, appoggiò i gomiti sulle ginocchia e si prese la testa tra le mani, passandosi le dita tra i capelli. Non avevo mai visto un uomo così demoralizzato da quando avevo detto a Wes che non potevo restare con lui. Saltai giù dalla pedana e mi inginocchiai di fronte a Hector. Quando alzò la testa, vidi che non riusciva a trattenere le lacrime. Gli presi il volto tra le mani e scossi la testa, nel silenzioso tentativo di dirgli che non sarebbe successo, mai e poi mai, perché Tony lo amava. Lui chiuse gli occhi e inspirò. Una lacrima solitaria gli scivolò sulla guancia. «Non sarò mai io» sussurrò. «Sei tu, sì» gli giurai con la massima decisione possibile. Avvicinai la mia fronte alla sua, e ripetei: «Sei tu, tu quello che lui ama». Sfortunatamente entrambi dimenticammo chi assisteva al nostro scambio di confidenze. «Lo sapevo!» disse Angelina, e crollò sulla sedia vicina a quella di Hector. Fu in quel momento che lui si trasformò. Irrigidì la schiena, strinse le mani intorno alle ginocchia e si raddrizzò. Era come se fosse ritornato a essere il solito Hector che tutti conoscevano, freddo, calmo e compassato, non l’uomo dilaniato per amore, che combatte una battaglia seria con il suo compagno. «Ehm, Hector ha qualche problema, e io lo sto solo aiutando…» «Stai aiutando lui e Tony a nascondere la loro tresca alla nostra famiglia.» Questa non me l’aspettavo. Gli occhi di Hector diventarono di un marroncino verdastro che faceva spavento. «Non capisco che cosa vuoi dire…» disse, ma il suo tentativo fallì miseramente. «Risparmiatela. Pensi che non sappia che tu e mio fratello state insieme dall’università? Ma per chi mi hai presa? Sono la migliore amica di Tony; be’, oltre a te, naturalmente.» «Te l’ha detto lui?» sussurrò Hector. «No, ma conosco bene mio fratello, e anche te. Nessuno di voi due ha avuto una compagna in tutti questi anni. Una volta ogni morte di papa Tony portava una “fidanzata” a cena da noi, ma era evidente che non era interessato a lei. Però devo dire che, quando sei comparsa tu, un po’ mi sono preoccupata.» Mi guardò e mi fece un piccolo sorriso. «Se mai ci fosse una donna in grado di rendere etero un gay, quella saresti tu.» «Come complimento è un tantino imbarazzante. Credo di doverti ringraziare, però.» Mi sedetti sul pavimento di fronte a loro. «Quindi ora che facciamo?» Angelina si strinse nelle spalle. «Tony deve dirlo alla mamma.» Hector scosse la testa con forza. «No, impossibile. Non vuole deludere Mona, né i parenti. E poi ci sono di mezzo questioni di lavoro e il pugilato, che gli piace ancora molto.» «Che si fotta il pugilato. È salito poche volte sul ring, da quando è morto papà. Inoltre Rocco ha tutto sotto controllo, e Tony può partecipare quando vuole. Il pugilato è una scusa che regge fino a un certo punto.» «E gli affari?» le chiese Hector. «Cosa mi dici degli affari? Pensi che un’azienda familiare come la vostra possa gestire il danno d’immagine causato dall’avere un gay come capo?» Angelina si strinse di nuovo nelle spalle. «Il lavoro è lavoro. A me non importa di che cosa pensano gli altri nel nostro giro.» Hector sospirò. «Interessa a Tony, però. Per lui il lavoro è tutto.» Misi una mano sul ginocchio di Hector. «No, secondo me ti sbagli. Tu sei tutto per lui.» Hector si alzò all’improvviso. «Non te la prendere, Mia, ma se fosse vero tu non saresti qui.» Con quelle parole di commiato, uscì. Mi alzai dal pavimento e mi lasciai cadere sulla sedia vicino ad Angelina. «Che casino!» «Sì, davvero. Lo sospettavo da un sacco di tempo, ma questa è la prima volta che ho avuto il coraggio di ficcarci il naso. Mia…» I suoi occhi azzurri, così simili a quelli di Tony, erano lucidi. «La mamma crede davvero che tu sia la donna giusta. È convinta di dovervi far sposare in modo che possiate iniziare ad avere dei figli.» Su queste ultime parole si morse un labbro e distolse lo sguardo. «Ehi, è tutto a posto. Parlerò io con Hector e Tony: ci inventeremo qualcosa per risolvere la faccenda. Andrà tutto bene. Posso inscenare una rottura, o qualcosa del genere. Non devi preoccuparti.» «Non è per questo, è che Rocco e io cerchiamo da un po’ di avere un figlio, e non arriva. La mamma ha persino smesso di chiederci notizie: ora è tutta presa dal fatto che Anthony avrà un figlio e porterà avanti il nostro cognome.» Le accarezzai la schiena. «Sì, è difficile sentirsi gli eterni secondi.» Lei sbuffò. «Siamo in cinque, Mia.» Aveva la voce stanca, sembrava completamente svuotata. «Eterno secondo, terzo, quarto o quinto non importa: è che Tony è sempre il primo.» Capivo benissimo di cosa stava parlando. Dopo la cena con i parenti e dopo aver visto il modo in cui Mona stravedeva per il figlio e i nipoti, il fatto che Tony fosse arrivato al punto di assumere una escort per farle fare la parte della fidanzata e ingannare sua madre la diceva lunga sul tipo di potere che quella donna esercitava sulla famiglia. «Allora che cosa pensi che dovremmo fare?» Angelina si alzò e prese i vestiti che avevamo deciso di comprare. Ritornai nel camerino per rimettermi gli abiti con cui ero arrivata. «Per quanto riguarda la mamma, non so di preciso che cosa dirti. Per quanto riguarda la boxe, non ci saranno problemi. Per quanto riguarda il lavoro… be’, procureremo a Tony un addetto stampa che sappia il fatto suo, uno che renda l’omosessualità di Tony qualcosa che non interessa la stampa. Io mi occupo del marketing, e posso fare una riunione con la mia squadra: ci inventeremo di sicuro qualcosa. In ogni caso, l’azienda è della famiglia, di tutta la famiglia.» Sembrava sempre più sicura di sé, man mano che andava avanti. «Il fatto che il presidente sia gay può fare notizia per un po’, ma ciò che conta è che abbiamo un buon prodotto. Non falliremo né perderemo clienti. Alla gente piacciono le ricette della mamma, e i prezzi sono alla portata di tutti.» «Sì, il cibo è maledettamente buono. Il miglior cibo italiano che io abbia mai mangiato.» «Giusto! Tony deve perdere l’abitudine di cercare di compiacere tutti, di essere come gli altri lo vogliono, sai?» Come tutta risposta, annuii. Era vero e lo sapevo, più di quanto fossi disposta ad ammettere di fronte a quella che di fatto era un’estranea. Da quando mia madre se n’era andata, avevo cercato di tenere unita la famiglia, di fare tutto ciò che bisognava fare. Prendermi cura di papà quando era in alto mare. Nessun problema: ci avrebbe pensato Mia. Aiutare Maddy con la scuola. Sì, fare i compiti insieme a lei e rimanere alzata fino a tardi per stare dietro alla mia, di scuola. Ma Maddy veniva sempre prima. Facevo in modo che avessimo tutti da mangiare e un tetto sopra la testa. A sedici anni mi ero fatta in quattro a servire ai tavoli del casinò per guadagnare due soldi. Qualche volta, la sera, avevo portato a casa gli avanzi dell’aperitivo prima che li togliessero di mezzo per il giorno successivo, e allora ci riempivamo tutti la pancia. Anche papà mi faceva i complimenti e mi diceva “Ben fatto, ragazza!” con la voce impastata dall’alcol. Ovviamente avevo fatto tutto ciò quando ero ancora minorenne. Tutto quel lavoro mi aveva permesso di iscrivermi alla previdenza sociale una volta raggiunti i diciott’anni. E ancora adesso. Facevo la escort solo per aiutare mio padre a pagare i debiti. Non avevo alcun diritto di dire agli altri come vivere la loro vita, visto che la mia faceva schifo. Tuttavia qualcosa stava cambiando, le cose stavano lentamente migliorando. Ora avevo delle risorse: c’erano diverse persone che tenevano a me. Maddy, Ginelle, Millie, Wes e persino Alec mi avrebbero aiutata a tirarmi fuori dai guai. Il loro aiuto era impagabile. E Tony ed Hector mi piacevano: averli incontrati non era un caso. «Voglio fare tutto il possibile per aiutare Tony ed Hector.» «Come ti hanno trovata?» Non sapevo bene che cosa rispondere. Se le avessi detto che ero una escort avrebbe pensato male di me? Di solito, la parola escort è associata alle prostitute o alle squillo, ma nel mio caso non era vero, almeno finora. Certo, tecnicamente ero stata a letto con Wes e Alec, e all’inizio sbavavo dietro a Tony, ma quei sentimenti erano spariti da tempo. Angelina sembrava aspettare con pazienza che elaborassi una risposta, cosa che apprezzai. Trasmetteva calma e tranquillità, un tratto decisamente ammirevole. Mi soffermai a guardarla nel suo bel viso. Aveva uno sguardo gentile, sereno, e occhi azzurri come il mare. «Sono una escort.» Rimase a bocca aperta, con le sopracciglia inarcate. Poi, anziché imprecare e iniziare a darmi della puttana, buttò indietro la testa. I capelli, simili a seta nera, ricaddero come un’onda sulla schiena. Scoppiò a ridere. Una risata convulsa, che la lasciò senza fiato nel giro di pochi secondi, una risata contagiosa, a cui non potei fare a meno di unirmi. Quando ritrovammo Hector alla cassa avevamo entrambe le lacrime agli occhi. «Ma che cosa vi è successo?» domandò lui, guardando prima me e poi Angelina. Cercammo entrambe di smettere di ridere, senza riuscirci. Alla fine fui io a ricompormi per prima. «Ha scoperto che lavoro faccio.» Sogghignai, destando la sua attenzione. Hector prese Angelina per un braccio e la tirò verso di sé. «Non è come sembra» disse a denti stretti. «Cioè tu e Tony non state pagando Mia per un mese, per togliervi di torno la mamma e continuare a fare la vostra vita in santa pace?» «Ok, se la metti così, è esattamente come sembra.» A queste parole, entrambe ricominciammo a ridere convulsamente. Hector pagò i vestiti e ci accompagnò fuori. Solo quando fummo sulla limousine riuscimmo a riprendere il controllò. Lui si girò verso Angelina e le prese la mano. «Non puoi dirlo a Mona: ci starà malissimo. Ho promesso a Tony che mi sarei fidato di lui, e rispetto la sua decisione. Crede che Mona non sia in grado di capire che cosa siamo l’uno per l’altro: lui sa che per lei il vero amore è soltanto quello tra un uomo e una donna.» «Anche se questo significa che dovrete nascondere il vostro amore per sempre?» Hector si afflosciò e fece un’espressione corrucciata. Chiuse gli occhi, come se stesse riflettendo. Entrambe rimanemmo in silenzio. «Se nasconderci serve ad avere l’amore di tuo fratello, mi accontenterò. Lo amo, e farei qualsiasi cosa per lui.» A quanto pareva Hector era sincero e stette al gioco benissimo. Nella settimana successiva trascorsa con i Fasano partecipammo diverse volte alle riunioni di lavoro e agli eventi di famiglia. Passai la maggior parte del tempo con lui, e mi limitai a fare da accompagnatrice a Tony solo quando gli serviva una bella donna da tenere sottobraccio ed esibire come una specie di trofeo. Mi sentivo a disagio, da molti punti di vista. Non perché venivo usata per il mio aspetto, ma perché sapevo che, ogni volta che Tony mi presentava come la sua fidanzata e la gente ci faceva i complimenti per la nostra relazione, Hector si sentiva morire un po’ di più. Dovevo fare qualcosa, solo che non sapevo bene che cosa. 7 «Arriverà da un momento all’altro» disse Hector, entrando in cucina in calzini. «Dove sono le mie scarpe?» «Devi proprio metterti le scarpe, Papi?» lo prese in giro Tony, guardandogli i piedi. «Uffa» sbuffò Hector. «Proprio non ci arriva.» Si fermò di colpo davanti a me. «Ma come ti sei vestita?» Esaminò i miei jeans e la mia maglietta: dalla smorfia schifata che fece, capii che il mio look non lo entusiasmava affatto. «Pensavo che avere qui tua madre a prepararci la cena fosse un evento informale.» Tirai la maglietta per assicurarmi che mi coprisse bene. Avevo lasciato i capelli sciolti e spettinati. Erano il mio punto forte, oltre alle tette naturalmente, che erano davvero uno schianto. Tony si girò verso di me, mi studiò per un attimo e si strinse nelle spalle. «È Hector il modaiolo. A me sembri perfetta.» Misi le mani sui fianchi. «Vedi? A lui sembro perfetta» dissi, facendo la linguaccia a Hector. «Sei tu quello che si comporta come un pazzo. Che cosa c’è che non va?» Hector ignorò le mie domande e si allontanò indispettito. «Oh, sul serio, perché si comporta così?» «È tutto preso a convincere la mamma che lui è l’uomo perfetto.» «Lo è» dissi, e Tony annuì, guardando in direzione dell’ingresso, dove si era diretto di gran carriera Hector. «Lo pensi anche tu, vero?» «Sì, certo.» Aggrottò le sopracciglia piegando la testa di lato. «Non sarei stato con lui per tutti questi anni se non lo pensassi.» Era arrivato il momento della sincerità. Avevo trascorso quasi tutte le due settimane precedenti con Hector e Tony, e mi pareva di avere capito piuttosto bene le loro dinamiche. A quanto pareva, Hector era il soggetto passivo, il meno dominante tra i due, mentre Tony era il maschio alfa. Forse avrei potuto fare appello a questo lato del suo carattere e fargli vedere che cosa si celava dietro la mia presenza lì. Se non avesse parlato a sua madre e al resto della famiglia della relazione con Hector, rischiava di perdere qualcosa di molto prezioso: la fiducia del suo compagno. «Tony, ascolta, stare qui è stato meraviglioso, e anche passare tanto tempo con te ed Hector.» «Siamo contenti di averti con noi, Mia, davvero, qui sarai sempre la benvenuta. Il tuo supporto in questo pasticcio vuol dire molto per noi.» «Be’, tecnicamente lo stai pagando.» Feci un ampio sorriso, che lui contraccambiò. «Solo che… mi domandavo, hai mai pensato di uscire allo scoperto?» Il sorriso di Tony si trasformò in una smorfia. Alzai le mani e mi avvicinai a lui. «Stammi a sentire.» Afflosciò le spalle e si appoggiò alla credenza, incrociando le braccia. Mio Dio, che braccia! Anche se era gay, mi facevano letteralmente sbavare. Mi appoggiai al bancone di fronte a lui. «Sai, tua sorella Angelina sa la verità.» Tony sgranò gli occhi e rimase a bocca aperta. «Non sono stata io a dirglielo, lo giuro. L’ha capito l’altra settimana, mentre stavamo facendo shopping, ma dice che in realtà lo sa dai tempi dell’università.» Tony fece un sospiro profondo, passandosi la mano sull’accenno di barba che gli scuriva le guance. Accidenti, quanto era bello. «Oddio, e tu che cosa le hai detto? Hector lo sa?» «C’era anche lui.» Mi guardai i piedi nudi. Hector mi aveva dipinto le unghie di un bel rosso brillante, uguale a quello delle mani. Aveva fatto un ottimo lavoro. «Tua sorella in buona sostanza si chiede perché non avete ancora fatto coming out.» «E tu che cosa le hai detto?» «Io?» Mi portai una mano al cuore e scossi la testa. «Io non le ho detto proprio niente!» Sentii la mia voce salire di tono, ma non potei farci niente. L’irritazione per tutta la situazione era ormai a un livello altissimo, e quella fu la classica goccia che fece traboccare il vaso. «È stato Hector a dirle che tu non vuoi deludere la famiglia e che potrebbero venire fuori problemi sia sul lavoro sia con la boxe. E, soprattutto, che sei preoccupato di come potrebbe prenderla tua madre.» Tony si appoggiò con le mani al bancone. Era come se il nome dei Fasano gli gravasse sulle spalle con tutto il suo peso. «Sapessi, Mia, quanto è stancante! Sempre a nascondersi, sempre preoccupati di essere scoperti, di cosa succederebbe con la mamma e il resto della famiglia. Come reagirebbe la gente. Non potrei sopportare l’idea di fare del male ai miei parenti e a Hector solo per i miei desideri egoistici.» Mi avvicinai a lui e gli appoggiai le mani sulla schiena. «Non è affatto egoista voler stare con la persona che si ama, Tony.» «Dici?» «Non lo è. È un diritto fondamentale di ogni essere umano. E poi Hector ti ama. Non c’è nulla che lui desideri più del fatto che tu lo urli al mondo intero. O che permetti a lui di farlo.» Soffocai una risatina e gli posai la fronte sulla schiena. Lui si voltò e mi prese tra le braccia; erano meravigliose, calde, forti, sicure. Proprio come me le aspettavo: nessuno sapeva abbracciare come Tony. «Non so cosa fare» sussurrò. «Sì che lo sai, l’hai sempre saputo: devi farlo e basta.» «Non è un buon momento.» Feci un passo indietro e lo guardai negli occhi, mentre mi teneva le braccia intorno alla vita. «Non è mai un buon momento per ferire qualcuno.» Tony trasalì e gli appoggiai una mano all’altezza del cuore. «Ma quando è fatto, è fatto, non te ne devi più preoccupare. La vita va avanti, la tua e quella degli altri.» «E la boxe?» «Angelina dice che non ci sei più dentro come una volta, e comunque non sono affari loro.» Inclinò leggermente la testa e mi guardò con attenzione. «E poi sei uno sponsor importante, non rischierebbero mai di perderti. Guardati: sei un gigante in mezzo ai nani, e sei un vero spettacolo. Tutti – e intendo proprio tutti – adorano guardare questo ben di Dio» dissi, passandogli una mano davanti al viso, «tutto sudato che picchia selvaggiamente un altro tipo… gay o no.» Gli sorrisi e gli feci l’occhiolino. Lui scoppiò a ridere e si tirò su, ravviandosi i capelli con una mano. «E il lavoro?» «Anche lì, Angelina dice che è solo una questione di marketing. Assumerà un guru delle pubbliche relazioni che si inventerà qualche trucco in cambio di un mucchio di denaro. Lei pensa che la vicenda farà notizia per poco tempo, al massimo qualche mese, poi si sgonfierà e tutto tornerà come prima. L’azienda produce cibo troppo buono e troppo conveniente per fallire a causa dei gusti sessuali del suo presidente.» Sospirò, aprì il frigo e prese una birra, che finì in un paio di sorsate. Quando mangiava o beveva, Tony sembrava uno di quei professionisti delle gare di cibo: riusciva a mandare giù le cose più incredibili. «E la mamma, la famiglia? È tutto così difficile.» Il suo tono si fece più aspro. Annuii. «Sì, sarà dura, e forse si arrabbierà, si metterà a piangere… Magari ti tirerà qualcosa dietro. È una donna italiana, decisamente tosta.» Ecco di nuovo l’irresistibile, bianchissimo sorriso a trentadue denti di Tony. Nella mia esperienza, nella maggior parte dei casi i ragazzi gay sono davvero carini, se non decisamente stupendi. «Tu ed Hector avete intenzione di mettere su famiglia?» gli chiesi. Morivo dalla voglia di saperlo, ma esitavo a ficcare ulteriormente il naso nei loro affari. Tony prese un’altra birra, l’aprì e appoggiò il tappo sul bancone. «Sì, lui mi ha detto che vuole dei bambini, appena possibile.» Il suo sorriso si fece ancora più luminoso, sembrava riflettere la luce del sole. «Però vuole che prima ci sposiamo, o comunque che facciamo una specie di cerimonia di fidanzamento.» «Capisco. Quando si parla di figli, la cosa più intelligente da fare è sposarsi, prima.» Tony strinse le labbra. «È che non ci vedo tanto come una coppia sposata. Sembra una cosa così formale e fuori moda. La nostra relazione è sempre stata all’insegna dell’essenzialità, senza tante cerimonie. Stiamo bene insieme, tutto qui, come le tessere di un puzzle.» «Anche Hector la pensa così? Per come l’ho conosciuto in queste due settimane, mi pare il tipo che un po’ apprezza le cerimonie e le grandi manifestazioni d’affetto.» «Frequenti troppo Angie, Mia. Stai diventando come una di loro.» «Oh, no, non c’è pericolo. Se mai dovessi sposarmi, cosa alquanto improbabile, andrei a Las Vegas.» «Dovrete passare sul mio cadavere» disse una voce dietro di noi: era Mona Fasano in persona. «Mamma! Non ti abbiamo sentita arrivare.» Tony la raggiunse, la baciò sulle guance e l’abbracciò. Hector era dietro di lei e mi lanciava occhiatacce. Scossi la testa nel tentativo di fargli capire che non era come pensava lui. Mona venne accanto a me, mi abbracciò, mi baciò sulle guance e poi mi squadrò con i suoi occhi d’acciaio. «Sì, sei perfetta per i miei nipotini» disse, battendo le mani tutta contenta. «Ehi, Hector, ragazzo mio» disse, girandosi appena. «Eccomi, ma’» rispose lui, avvicinandosi. «Che cosa cuciniamo oggi?» gli chiese accarezzandogli una guancia con un gesto pieno d’affetto. Gli voleva bene come a un figlio, e forse questo avrebbe aiutato un po’ quando la verità fosse venuta a galla. Sempre che Tony si decidesse a tirare fuori le palle. «Enchiladas!» «Niente cibo italiano?» domandai, un po’ sorpresa che la più tipica delle madri italiane non preparasse uno dei suoi famosi piatti. Mona scosse la testa. «No, quando cucino con il mio Hector prepariamo piatti della sua terra, così ho la possibilità di imparare cose nuove. Un giorno o l’altro inventerò un piatto che fonderà la tradizione italiana e quella messicana e lo servirò al ristorante.» Mi condusse fuori dalla cucina e mi fece sedere su uno sgabello. «Ora accomodati qui, così possiamo parlare mentre io ed Hector prepariamo da mangiare.» Per me andava benissimo. Tony mi passò una birra e poi si sistemò sullo sgabello accanto al mio. «Allora, che cos’è questa storia del matrimonio a Las Vegas?» Mona andò dritta al punto. «Ma’, stavamo solo chiacchierando, non vuol dire niente» disse Tony. La frase era rivolta a sua madre, che gli voltava la schiena mentre era impegnata ai fornelli, ma lui continuava a fissare Hector. «Non sposerei mai Mia di nascosto, mai e poi mai.» Parlò con un filo di voce, ma abbastanza forte perché tutti potessimo sentire. Hector chiuse gli occhi, lentamente, e quando li riaprì il suo sguardo era pieno di amore, desiderio e speranza. Era palese che adorava Tony, e ne era contraccambiato. Il marchio di disonore impresso sul loro amore stava creando una crepa nel muro che circondava la loro relazione. Se fosse crollato, avrebbe travolto tutto ciò che avevano di più caro: al solo pensiero mi venivano i brividi. «Bene, allora da bravo cattolico ti sposerai in chiesa, nella nostra parrocchia di San Pietro, dove io e tuo padre ci siamo sposati tanti anni fa» disse, in tono trionfante. «Devo confessare che a un certo punto ho avuto paura che non ti saresti mai sposato, ma adesso che c’è la nostra Mia…» si voltò verso di me, con un sorriso pieno di entusiasmo e io fui travolta dai sensi di colpa «… la nostra famiglia sarà finalmente completa e potrai tramandare il nome dei Fasano.» Mona posò il cucchiaio di legno che teneva in mano e si girò per abbracciare Tony. «Io e papà siamo così orgogliosi di te… Se fosse qui oggi benedirebbe questa unione con tutto il cuore.» Si asciugò qualche lacrima dal viso, si schiarì la gola e riprese a cucinare. Hector deglutì, tentando di trattenere l’emozione che, lo sapevo bene, lo stava devastando. «E a proposito di chiesa, padre Donahue sarà felicissimo di celebrare il matrimonio, ma prima dovrete iscrivervi al corso prematrimoniale. Che ne dite di cominciare questo weekend?» Strabuzzai gli occhi. Chiesa? Corso prematrimoniale? «Io… ehm, non saprei» cominciai, ma Tony mi interruppe immediatamente. «Non abbiamo ancora deciso la data, ma’. E non abbiamo neanche discusso dell’aspetto religioso.» Mona sussultò come se le avessero tirato un pugno. «Come? È una delle prime cose da sistemare. Mia, cara, sei cattolica?» «Io, ehm, non sono niente…» Mona mi fulminò con lo sguardo. «Non sono cresciuta in una famiglia religiosa.» Fece un sospiro. «Ma sei battezzata?» Il suo tono adesso era accusatorio, e il brivido di paura che mi corse lungo la schiena attivò il mio meccanismo di difesa. «No.» Serrai la mascella e raddrizzai la schiena. «Sei mai stata sposata?» mi chiese, una mano appoggiata sul fianco e l’altra che brandiva il cucchiaio di legno. Scossi la testa, e lei mi fece il verso. «Mia deve cominciare subito ad andare in chiesa, figlio mio. Se volete sposarvi è meglio che inizi subito a frequentare la parrocchia, e probabilmente dovrete seguire il corso prematrimoniale più approfondito, se vuoi che il prete ti sposi con una non cattolica. E poi bisogna che si faccia battezzare, molto presto: questo è assolutamente fondamentale. Dobbiamo darci da fare subito.» Mi sentivo schiacciata dal peso delle sue parole, e dovevo uscire di lì prima possibile. «Oddio.» Balzai in piedi. Mi sembrava di impazzire, respiravo a fatica e cominciavo ad avere i sudori freddi: avevo bisogno di un po’ d’aria, immediatamente. Andai di corsa sul terrazzo e mi riempii i polmoni dell’aria fresca di marzo. Grazie a Dio. Anzi no, non Dio: per quella sera non volevo più sentirne parlare, poco ma sicuro. Due braccia possenti mi strinsero, e anche se era una sensazione molto bella non erano le braccia che desideravo. Avrei tanto voluto che Wes fosse lì con me, si sarebbe fatto un sacco di risate: la escort che diventava una sposina modello! «Ascolta, Mia, va tutto bene, non dare retta alla mamma. Sistemeremo tutto.» Tony era dietro di me e mi abbracciava, e io cominciai a fare una serie di respiri profondi. Il battito del mio cuore tornò lentamente alla normalità e appena mi ripresi un po’ mi girai verso di lui, appoggiandogli una mano sul petto per tenerlo a distanza. «Devi dire la verità a tua madre, questa storia ci sta sfuggendo di mano.» Chinò la testa per la vergogna. «Lo so, solo che… è così difficile, sai?» «Sì, lo so.» Ci sedemmo sulle chaise longue, faccia a faccia. «E guarda che non sono l’unica a sentirsi a pezzi: Hector non la sta prendendo affatto bene.» Tony sollevò la testa, si leggeva la preoccupazione nei suoi occhi. «Che cosa vuoi dire?» Gli presi le mani tra le mie. «Rifiutandoti di accettare chi sei, di fatto non accetti neanche lui.» Tony socchiuse gli occhi, ma rimase in silenzio. «Il fatto di omettere la verità… Detesto dirtelo, Tony, ma devo farlo.» Si sfiorò il mento e mi fece cenno di proseguire. «Guardala dal punto di vista di Hector: sostanzialmente stai dicendo che lui non è all’altezza, che per il suo amore non vale la pena correre dei rischi.» Rimase a bocca aperta. «Ma non è vero! Io lo amo.» «Davvero? E allora perché lo tieni nascosto?» «Lo sai, perché.» Il suo tono era aggressivo, la mascella contratta. «Mica tanto. Sono tutte scuse, e dopo tanti anni cosa intendi fare? Ti stai nascondendo da un sacco di tempo e adesso è arrivato il momento di liberarti. Fa’ che lui diventi una priorità per te, come tu lo sei per lui. In questi anni avrebbe potuto rivelare tutto alla tua famiglia, ai tuoi amici, al tuo ambiente di lavoro, ma non l’ha fatto. Si è accontentato di rimanere sullo sfondo, pur di averti. A lui importa solo la tua felicità, ma ti giuro che il folle piano di prendere in giro la tua famiglia per mantenere viva la pantomima… lo sta distruggendo. Glielo leggo negli occhi. Come fai a non accorgertene?» «Cazzo, perché deve essere tutto così complicato?» «È la vita, Tony, è arrivato il momento di crescere. Scegli Hector, costi quel che costi. Lui lo ha fatto per te, ha deciso di mettere la tua felicità davanti alla sua, perché ha scelto te.» Con quest’ultima stoccata rientrai in casa. Hector e sua madre aspettavano nel soggiorno, quando passai per andare in camera mia. «Ehi, Mia…» La voce di Hector tremava mentre mi chiamava, ma io proseguii senza fermarmi. Mi resi subito conto che, presa dalla rabbia, mi stavo comportando in modo scortese: verso i miei clienti, verso Mona, verso le persone a cui avevo imparato a voler bene. Mi fermai prima di arrivare nell’ingresso e mi girai. «Dovete scusarmi, ma non mi sento affatto bene e vado direttamente a letto. Mona, grazie per essere venuta, sono sicura che la tua cena sarebbe stata davvero fantastica.» Hector mi si avvicinò, mi prese per un braccio, e mi strinse in un caldo abbraccio. Gli occhi mi si riempirono di lacrime. «Mi dispiace tanto, anzi, dispiace tanto a tutti e due.» Parlava a voce così bassa che solo io ero in grado di udirlo. Era davvero un uomo straordinario. «Lo so. È solo che dopo stasera ho bisogno di stare un po’ tranquilla.» Mi lasciò andare e tornai nella mia camera, poi mi stesi sul letto e telefonai all’unica persona che non avrei dovuto chiamare. Dopo quattro squilli, scattò la segreteria telefonica. “Sono Wes, lasciate un messaggio dopo il bip e vi richiamerò al più presto.” La voce di Wes era come un tuono lontano e mi arrivò dritta al cuore. Bip. «Ehi, sono Mia, ehm… volevo…» Feci un lungo respiro cercando di trovare le parole da dire ma non mi venne in mente niente che non sembrasse una richiesta disperata. «Volevo sentire la tua voce.» Chiusi gli occhi. «Ci sentiamo presto, ok? Ciao.» 8 Nei giorni successivi fra noi tre ci fu un po’ di tensione. Ero un’outsider, e per la prima volta in tre settimane me ne rendevo conto. Tony era stressato, e salutava a malapena. Hector era più gentile, tranquillo, stressato anche lui, ma non nei miei confronti. Era evidente che aveva problemi con Tony e che non voleva parlarmene, e lo capivo. Il fine settimana precedente avevo fatto una mezza scenata parlando di sua madre. Non ero orgogliosa di come mi ero comportata, ma ero comunque convinta che quelle cose andassero dette. Il fatto di continuare a evitare il discorso era deleterio per la loro relazione ed era una tortura per entrambi, per non parlare della serie di bugie dette alle famiglie, che sicuramente avevano un impatto pesante sulla loro coscienza. Poi c’ero io, presa nel mezzo. Ero in piedi davanti alla cabina armadio, con addosso solo il reggiseno e le mutandine, e tentavo di decidere che cosa mettermi. L’aria di marzo a Chicago era fresca ma quasi sempre gradevole. «Ehi, mettiti i pantaloni aderenti e il giubbotto di pelle» disse Hector, facendo capolino. Ero così persa nei miei pensieri che non l’avevo sentito aprire la porta. Entrò e si sedette sul letto mentre io prendevo un paio di jeans scuri aderentissimi, poi si alzò e mi prese un maglioncino verde e uno strepitoso giubbotto di pelle color cioccolato. Mi preparai a indossare i vestiti che aveva scelto per me, sempre in silenzio. Quando aveva voglia di parlare, di solito lo faceva in privato, e rispettando lo spazio personale degli altri. Infilai i jeans, poi mi passò il maglioncino e indossai anche quello. «So che mi ama» disse tirando fuori dalla cabina armadio un paio di stivali al ginocchio, decorati con strisce di pelle intrecciate. Erano morbidissimi e probabilmente costavano più della macchina che avevo comprato a mia sorella. Non replicai, limitandomi a stare seduta sul letto, in silenzio. Lui si inginocchiò e mi sollevò un piede per aiutarmi a calzare gli stivali. «È solo che ha una paura terribile di deludere sua madre. Prima pensavo che fosse a suo padre che aveva paura di dirlo. Joseph Fasano era un uomo tutto d’un pezzo: italiano fino al midollo e molto all’antica. Quando è mancato, l’anno scorso, pensavo che forse… a quel punto ne avrebbe parlato. Mona mi vuole bene, mi tratta come se fossi un suo figlio.» Alzò lo sguardo, con i dolci occhi castani velati dalle lacrime. Mi protesi verso di lui e gli presi le guance tra le mani. «Sì, certo che ti vuole bene.» «Quindi pensavo…» Scosse la testa. «Era una speranza vana. E adesso non so più nulla. Con te qui, con tutto questo gran parlare di matrimonio e di figli, inizio a volere di più, sai? Penso alla vita che avremmo dovuto vivere in tutti questi anni.» Una lacrima mi scivolò lungo la guancia, e lui me l’asciugò con il pollice. «Dolcissima Mia, nulla di tutto questo è colpa tua.» «Davvero? Sono io il terzo incomodo.» «Siamo stati noi a farti venire qui.» Aggrottò le sopracciglia. «È vero. Hai ragione: non è affatto colpa mia.» Gli sorrisi e lui fece una risata leggera che spezzò la tensione. «Dài, Tony e io ti portiamo fuori, dobbiamo farti vedere una cosa.» Hector prese dalla cabina armadio una sciarpa di un verde smeraldo così brillante che, di mia spontanea volontà, non l’avrei mai messa. «Come mai tutto questo verde?» Hector spalancò gli occhi, incredulo. «Mia, oggi è San Patrizio. In città ci sono grandi festeggiamenti, e noi non saremo da meno! È il nostro giorno di festa preferito: senza tristezza, senza preoccupazioni, solo divertimento, amicizia e amore. Vieni?» Un senso di grande sollievo mi pervase, fino in fondo al cuore. «Non mancherei per tutto l’oro del mondo!» «Forza, señorita, andiamo!» Una folata mi scompigliò i capelli quando scendemmo dalla macchina. «Accidenti, che vento!» dissi ai due ragazzi, mentre mi prendevano a braccetto, uno per lato. «Per questo la chiamano la Città del Vento. Non preoccuparti: fra mezz’ora il tempo sarà già cambiato.» Alzai la testa e lanciai a Tony un’occhiata del tipo “mi stai prendendo per i fondelli”. «Davvero, il clima è così. Vivo qui da sempre, e non c’è mai stato un giorno in cui è rimasto uguale dalla mattina alla sera.» «Dovresti vivere in California. Là il tempo è sempre meraviglioso» dissi sorridendo, e lui scosse la testa. «Guarda, c’è uno spazio libero vicino al parapetto, laggiù.» Hector indicò, un po’ più in là, un vasto spiazzo erboso vicino a una balaustra di metallo. C’era molta gente accalcata a guardare un grande corso d’acqua. Ci avvicinammo e ci affacciammo anche noi. «Dove siamo?» domandai guardando le onde. L’acqua era agitata e si infrangeva sul cemento degli argini sotto di noi. Eravamo almeno tre metri sopra il livello dell’acqua ma si poteva già avvertire lo sbalzo di temperatura dovuto alla sua vicinanza. «Ecco il fiume Chicago» disse Tony con orgoglio, buttando in fuori il petto. Lanciai un’occhiata a Hector, che alzò gli occhi al cielo. «Non guardare me: l’idea è di Tony. Io vengo da San Diego.» Gli diedi un colpetto sulla spalla. «Non sapevo che fossi della California.» Annuì e guardò il fiume. «Sì, me ne sono andato per frequentare l’università, ho incontrato Tony alla Columbia e poi mi sono trasferito qui con lui dopo la laurea.» «Alla Columbia? Wow!» Sapevo che i miei due amici erano intelligenti, ma non che avessero frequentato un’università così prestigiosa. Io l’università l’avevo lasciata, però adesso guadagnavo centomila dollari al mese: non male per un’ex cameriera di casinò a Las Vegas. Tony venne a mettersi in mezzo a noi e ci posò un braccio sulle spalle. «Succederà adesso. Mia, guarda quella barca!» disse eccitato. Era il Tony più felice che avessi visto in tutta la settimana, mi era mancato il suo bel sorriso. Le sue braccia muscolose stringevano Hector e me. All’improvviso, si voltò, si guardò intorno e disse: «Al diavolo!». Si girò verso di me e mi diede un velocissimo bacio fraterno sulle labbra. Poi si girò verso Hector e gli diede un bacio voluttuoso che durò un’eternità, tanto che alla fine persino io ero arrossita. Hector aveva gli occhi spalancati come un bambino. «Buon San Patrizio, Papi!» esclamò Tony, e lo baciò di nuovo teneramente sulla bocca. Il sorriso di Hector era sorpreso, affascinato e pieno d’amore. Era gioia, gioia pura. Hector, io e Tony rimanemmo abbracciati mentre la barca scendeva a tutta velocità lungo il fiume spruzzando qualcosa di verde nell’acqua. «Ma perché sporca l’acqua così?» Disgustata, puntai il dito sulla scena davanti a noi. Tony scosse la testa. «Hanno tinto il fiume di verde!» Non stava più nella pelle. «È una tradizione, e il colore non è tossico.» Socchiusi gli occhi e lo lasciai continuare. «Fa parte di una tradizione che dura da più di cinquant’anni: il Chicago viene colorato di verde per la festa di San Patrizio. Ci impiega diversi giorni a tornare del colore normale. Usano un colore vegetale che non danneggia i pesci e non inquina l’acqua. È addirittura sponsorizzato dal locale sindacato degli idraulici.» Dovevo ammettere che era davvero uno spettacolo: la barca spruzzava il colorante nel fiume andando su e giù nello spazio stretto tra gli argini. Mulinelli color verde fluorescente si mescolavano con le onde e diffondevano il colore. Le spirali verdi nell’acqua mi ricordavano la Notte stellata di Van Gogh. Non avevo mai visto nulla del genere: una città tingeva di verde un fiume per una ricorrenza che non era nemmeno festa nazionale. Ero incapace di comprendere l’unicità e insieme l’assurdità totale di quella scena. «Ma perché si festeggia San Patrizio?» Tony ci strinse ancora di più a sé e parlò tenendo lo sguardo fisso sull’acqua. «Per commemorare la conversione al cristianesimo dell’Irlanda. Solo per questo giorno la Chiesa cattolica dà il permesso di bere alcolici e di interrompere il digiuno quaresimale per festeggiare.» Rimasi per un attimo a pensare a ciò che aveva detto. «Sei irlandese?» Guardai Hector e lui scosse la testa, sogghignando. Mi girai verso Tony. «No» rispose lui. «Non ho ancora capito cosa ci sia di tanto straordinario.» Non riuscivo proprio ad afferrare l’importanza dell’evento. Tony mi indicò l’acqua, come se fossi una bambina. «Un fiume colorato di verde per la festa di un santo della mia fede. Tutto ciò che ha a che vedere con la Chiesa è importante» spiegò, imperturbabile. Un piccolo sorriso gli curvò le labbra. Sentii la stretta delle sue dita sul braccio, mentre tratteneva quella che quasi certamente era una risata. «È solo che ti piace far festa, ammettilo!» Gli diedi una leggera gomitata sul petto. «Ahia!» Scoppiò a ridere, ed Hector lo imitò. «Dài, Mia, ora dobbiamo andare al nostro pub.» Spalancai gli occhi, mentre una folata d’aria fredda mandava i miei capelli sul viso di Hector. «Scusa.» Lui strizzò gli occhi e proseguì. «Ma possedete anche un pub?» Tony fece una risatina. «Prendi sempre tutto così alla lettera?» «Non direi, ma di solito non frequento persone ricche. Quando vi mettete a giocare con i vostri soldi del Monopoli, credo che più o meno tutto sia possibile.» «È arrivato il momento di presentarti un certo Jameson, che viene direttamente dall’Irlanda.» Tony, grande e grosso com’era, mi faceva da schermo contro il vento sferzante. «Devi sapere che Jameson è un mio vecchio amico. Sarà bello incontrarlo di nuovo» dissi con un gran sorriso. «Oh, finalmente!» Tony, raggiante, ci accompagnò alla macchina. Mi portarono in un locale che si chiamava Declan’s Irish Pub. Per entrare attraversammo un’enorme porta rossa, con finiture in legno nero. L’insegna era nera, e c’era scritto DECLAN’S in caratteri corsivi dorati. Dentro era buio. Sentivamo la gente parlare a bassa voce, mentre passavamo in mezzo alle panche per raggiungere il bancone. C’erano tre sgabelli liberi e davanti a ciascuno di essi c’era un bicchiere con sopra un tovagliolo di carta e la parola RIS ERVATO scritta con il pennarello nero. Tony mi spostò lo sgabello e io mi sedetti. «Posti riservati in un pub?» dissi ridendo e scuotendo la testa. «Ogni anno, chica» rispose Hector. «Conosco il proprietario» aggiunse Tony con il forte accento italiano di Chicago a cui mi ero abituata nelle ultime tre settimane. «Tu pensi di conoscerlo, bastardo di un italiano!» Il barista allungò la mano. Tony si protese sul bancone e attirò l’uomo dai capelli rossi al suo petto, per dargli un abbraccio cameratesco. «Dec, come va, cazzone di un irlandese?» Tony ribatté a tono all’insulto cameratesco. Se fossero state due donne, quelle parole sarebbero state il preludio a un litigio. Ma l’uomo dai capelli rossi le incassò senza battere ciglio. «Eh, gli affari vanno bene» disse, indicando il locale pieno di gente. «Con questa cazzo di festa di San Patrizio è ovvio che sia pieno» disse Tony continuando a provocare l’uomo che aveva chiamato Dec. «E chi è questa fata? Di sicuro non è roba per te.» Lo sguardo complice dell’uomo si spostò su Hector, che gli diede la mano. «Lei è Mia, un’amica che viene da fuori città. Le stiamo facendo fare un giro.» «E ovviamente l’hai dovuta portare nel mio pub, perché qui ho il miglior cibo e il miglior whiskey di tutta Chicago.» «Il migliore davvero» rispose Tony, con un accento ancor più marcato. «Bene, Mia, è un piacere. Sono Dec, o Declan.» Mi porse la mano e io gli diedi la mia, ma anziché stringermela se la portò alle labbra e mi baciò le nocche. Un lieve fremito di eccitazione mi arrivò al braccio per poi diffondersi in tutto il corpo. I suoi occhi verdi brillavano. Inarcò le sopracciglia. Tony tolse la mia mano da quella del barista. «Tieni giù quelle manacce! Non ci porti da bere? E i nostri menu?» Dec rise, si buttò il canovaccio sulla spalla e ci passò tre menu, poi versò subito tre bicchieri di whiskey irlandese a noi e uno per sé. Alzammo i bicchieri, e brindammo, mentre Dec diceva: «Alla salute!». Sentii la vibrazione nella tasca dei pantaloni mentre appoggiavo il bicchiere sul bancone. Da: Wes Channing A: Mia Saunders Buon San Patrizio. Sai che cosa dicono degli occhi verdi? Hector aggrottò la fronte nel vedermi sorridere. Tenni il telefono vicino al petto, per leggere il messaggio. Poiché lui sbirciava spudoratamente da sopra la spalla, mi arresi e lasciai il telefono ben visibile a entrambi mentre rispondevo. Da: Mia Saunders A: Wes Channing No, non lo so. Che cosa dicono? Mi rispose immediatamente. Da: Wes Channing A: Mia Saunders Dove sei? Da: Mia Saunders A: Wes Channing In un pub irlandese di Chicago, che si chiama Declan’s. Adesso mi dici che cosa dicono delle ragazze con gli occhi verdi? Da: Wes Channing A: Mia Saunders Che ne combinano sempre di nuove. E tu cosa stai combinando? Da: Mia Saunders A: Wes Channing Hanno ragione. Sto bevendo un whiskey. Buon San Patrizio! Aspettai qualche minuto, ma non ricevetti alcuna risposta: che strano. Qualcuno doveva averlo chiamato. Hector e io ci guardammo, complici, poi lui si strinse nelle spalle, alzò una mano e indicò i due bicchieri vuoti. Declan li riempì immediatamente. «Volete anche una birra?» ci domandò. «Oh, puoi giurarci!» Ingollai il whiskey, che mi bruciò la gola. Quel bruciore era nulla in confronto al pensiero di Wes che continuava a girarmi nella testa. Pensare a lui troppo e troppo spesso era una cosa stupida, e io non ero per niente stupida. «E qualche altro whiskey!» Nell’ora che seguì Hector e Tony mi raccontarono storie della loro giovinezza, di come avevano conosciuto Declan alla Columbia e di come, stranamente, tutti erano andati a finire a Chicago. Erano amici dai tempi dell’università, e quindi aveva senso che Declan avesse fatto capire tra le righe che conosceva la vera natura della loro relazione. Doveva essere uno dei pochi a saperlo. Scoprii che era anche uno dei ragazzi che avevano fatto il giro del campo nudi. Mi fecero ridere a crepapelle, finché le risate ebbero ragione sulla mia vescica, che era sul punto di scoppiare. Mi alzai per cercare il bagno. «Dove vai?» Tony mise una mano sul mio braccio. «Non ce la faccio più, ho bisogno del bagno» dissi dondolandomi nervosamente sui piedi. Tony fece una smorfia di disgusto. «No, non farlo, poi è peggio: dovrai andare in bagno ogni venti minuti.» «Devo! Stai zitto adesso!» Gli diedi un pugno sul braccio e lui finse di accusare il colpo. «Sei un peso piuma» disse strofinandosi il braccio e sorridendo. Sapevo benissimo di averlo colpito abbastanza forte, e speravo che gli sarebbe rimasto un bel livido viola, ma non ne ero del tutto sicura, perché le sue braccia erano muscolosissime, e probabilmente lui aveva sentito solo una specie di puntura d’insetto. Risi tra me e me del suo fisico da cavernicolo, mentre andavo in bagno. Feci quel che dovevo fare, e mi lavai le mani. In un raro momento di femminilità, chinai la testa, scossi i capelli, li pettinai con le dita e buttai la testa all’indietro, per dar loro un po’ di volume. Mi venne da vomitare, e dovetti reggermi con una mano. Era il momento di mettere qualcosa sotto i denti. Il whiskey stava cominciando a fare effetto e, senza mangiare, sapevo che sarei finita al tappeto molto presto: alla faccia del peso piuma. Gli uomini pensano di avere una marcia in più rispetto alle donne, ma non sanno niente. Scusate se peso la metà del gigante che è in grado di scolarsi una bottiglia senza accorgersene. Dovrebbe essere contento che bastino pochi bicchieri per farmi ubriacare! Indignata, uscii dal bagno e mi feci strada nella calca. C’era più gente rispetto a quando eravamo arrivati. La folla del dopocena si era data tutta appuntamento lì, e il pub era stracolmo di gente. La musica celtica a tutto volume accentuava l’atmosfera irlandese del locale. Mentre iniziavo a muovermi a ritmo della musica, andai a sbattere la testa contro un corpo muscoloso. «Ahia!» dissi strofinandomi il naso e alzando la testa. Anche se le luci colorate formavano un alone intorno al suo corpo, il mio sguardo rimase inchiodato ai suoi occhi verdi. Sussultai, perché non riuscivo a credere che fosse lì, davanti a me. «Allora, non mi dici niente, tesoro?» Le lunghe ciocche di capelli biondo scuro gli ricadevano sugli occhi. «Non riesco a credere che tu sia qui…» Il suo sguardo accarezzò il mio corpo. «Caspita, quanto sei bella. Vieni qui.» E in un attimo fummo una nelle braccia dell’altro. Il mio Wes. Mi baciò, le sue labbra erano calde. Sapeva di menta e profumava di oceano. Quanto mi mancavano il mare, la brezza salata e… lui. Con una mano mi teneva ferma la testa, mentre con l’altra mi attirava a sé. I nostri corpi erano incollati. Esisteva solo lui, e la tensione magnetica che mi attraeva verso il suo corpo. Gli leccai il contorno delle labbra e lui le aprì per far entrare la mia lingua. Perfetto. Baciare Wes era il massimo. L’energia ci avvolgeva come un guscio protettivo, mentre la folla ci spintonava. Sentii provenire da chissà dove una serie di “scusate”, ma continuammo a baciarci. Non riuscivamo a smettere: entrambi avvertivamo il magnetismo che ci univa. Mi baciava come nei film, quando l’uomo torna dalla guerra e rivede finalmente la donna che ama. Mi baciava come se fossi il suo mondo, e in quel momento lui era il mio. «Porca puttana, stai lontano da lei!» La voce di Tony mi raggiunse attraverso la folla un attimo prima che venissi strappata via dall’abbraccio di Wes. Mi rimasero le braccia sospese a mezz’aria, come quelle di una marionetta appesa ai fili. «No, Tony, no!» disse Hector e si frappose tra Wes e Tony. «Che cosa credi di fare?» Wes fece un passo avanti, spingendo via me ed Hector. «No, no, Wes, ti prego, no! Lui è Tony!» Premetti forte contro il petto di Wes cercando di allontanarlo. «Sì, e sarà meglio che ti tolga le mani di dosso, altrimenti succederà un casino» ringhiò Wes, con lo sguardo in fiamme fisso su Tony. «Davvero?» Tony si scagliò verso di noi, spingendoci l’uno contro l’altra. «Ragazzi, smettetela. Wes, lui è Tony, il mio cliente. Tony, lui è… ecco, lui è Wes!» urlai, nel disperato tentativo di farmi sentire sopra la musica ad alto volume. Tony aggrottò le sopracciglia ed Hector lo spinse via. «Tesoro, è il ragazzo di Mia. Sai, quello di cui ti ho parlato, il regista che fa surf.» Chiusi gli occhi e allungai le braccia per tenere lontano Wes. «Il tuo ragazzo? Il regista che fa surf?» Wes ridacchiò e mi attirò al suo fianco. «È così che parli di me agli altri?» mi sussurrò all’orecchio, facendomi correre un brivido lungo il corpo. Nel frattempo il whiskey aveva fatto effetto e mi aveva tolto i freni inibitori, quindi sbottai: «Avrei dovuto parlare di te come di quello che mi scopa da dio? L’avresti preferito?». Gli misi dolcemente le mani intorno al collo, e gli andai vicino, molto. Lui strofinò la fronte sulla mia. «Sì, l’avrei preferito. Anzi, dirai così a tutti i tuoi clienti, a tutti gli uomini con cui uscirai e a tutti i tuoi fidanzati d’ora in poi.» Sbuffai, in modo nient’affatto femminile. «Ti piacerebbe, eh?» «Sì, da morire. Cosa ne dici di presentarmi i tuoi amici, ora che quello grosso non mi vuole più prendere a cazzotti?» «Ma certo.» Mi girai e Wes mi mise le mani intorno alla vita. Entrambi guardavano la scena: Hector faceva un bel sorriso, mentre Tony era parecchio accigliato. «Ragazzi, lui è il mio amico Wes. Wes, lui è Tony, e lui è il suo… ehm, lui è Hector» tagliai corto. «Hector è il mio compagno» dichiarò Tony, a voce abbastanza alta da farsi sentire dalle persone circostanti, anche se non c’era nessuno che gli prestasse attenzione né che lo conoscesse. Comunque era un enorme passo avanti nella direzione giusta. Prima quel bacio al fiume e ora un coming out in pubblico? Guardai Hector: dall’espressione del suo viso si capiva quanto fosse sorpreso, ma anche eccitato e pieno d’amore. E comunque Hector guardava sempre Tony con lo sguardo innamorato, e questo era uno dei motivi per cui mi piaceva tanto. Era una persona trasparente e si capiva sempre ciò che pensava e provava. Una tale onestà era rarissima negli ambienti che frequentavo. «Wes, scusami per prima. Però, sai… uomini ubriachi, una splendida donna: ci vuole poco a venire alle mani. Stavo solo cercando di proteggerla.» Tony diede una pacca sulla schiena di Wes, e si strinsero la mano. «Grazie. Sono contento di sapere che la mia ragazza ha qualcuno che bada a lei» replicò Wes. “La mia ragazza.” L’aveva detto quando stavo con lui, e adesso lo diceva di nuovo. Ero davvero nei guai. «Be’, già che sei qui unisciti a noi e beviamo qualcosa tutti insieme» disse Tony. «Volentieri. Dove ci sediamo?» Wes fece segno a Tony ed Hector di farci strada. Ci accomodammo, e Wes avvicinò la sua sedia alla mia per potermi abbracciare meglio. Era un chiaro segnale di possesso, e non sapevo come prenderlo né come comportarmi. Il whiskey che avevo in corpo non mi aiutava e non reagii al suo gesto. «Quanto ti fermi a Chicago?» domandò Hector. «Stasera e basta. Ho un volo per Los Angeles domattina presto. Mentre ero qui, però, ho pensato che avrei potuto vedere Mia. Spero che vada bene.» Mi persi a guardare i suoi occhi verdi. Le sue labbra erano lucide e i capelli gli ricadevano sulla fronte. Glieli scostai delicatamente. Lui mi accarezzò una guancia e io, senza pensarci, mi abbandonai contro la sua mano. Stare senza di lui per due mesi era stato come sopravvivere alla siccità e poter bere solo adesso un piccolo sorso d’acqua. Ne volevo di più. Molto di più. «Va più che bene.» 9 Quando la porta si chiuse, mi ritrovai con la schiena contro il muro. Le labbra di Wes e le sue mani erano dappertutto, proprio dove più le desideravo. Ormai ubriachi, tutti e quattro avevamo preso la limousine per ritornare nell’attico. Mentre Tony lo accompagnava nella loro stanza, Hector mi aveva fatto un cenno d’intesa che io avevo interpretato come un assenso a ospitare un uomo in casa loro. Del resto, quella sera nulla avrebbe potuto impedirmi di prendermi quel che mi spettava. Il whiskey e il desiderio bruciante di avere Wes erano troppo difficili da contrastare, e così mi ritrovai incollata al muro dal suo corpo muscoloso. «Accidenti, mi sei mancata! Mi è mancato il tuo corpo» disse accarezzandomi il seno. «Spogliati. Adesso.» Mi strizzò entrambe le tette, strappandomi un gemito roco. Mi tolsi la maglietta e la buttai sul pavimento, senza perdere tempo. Le sue mani armeggiavano con il bottone dei miei jeans. Prima che potessi allontanarle, erano già arrivate là, proprio là, e mi accarezzavano, giocherellando dove ero bagnata. Mi leccò dal seno fino al collo, poi si fermò all’orecchio, e me lo morse. «Mi piace come reagisci quando ti tocco. Mi dimostra che mi vuoi, di’ pure quel che ti pare.» Mi entrò dentro con un dito, poi con un altro: che meraviglia! Buttai indietro la testa, urtando la parete. «Non ho mai detto che non ti voglio» ammisi, senza fiato. «Ma ci provi sempre.» Premette più a fondo con la mano: le sue dita sapevano dove toccarmi e il pollice danzava abilmente intorno alla fonte del mio piacere, regalandomi un’estasi deliziosa. Aveva ragione. Cercavo davvero di negare quanto lo amavo, dovevo farlo. Mi aiutava a mantenere le distanze tra noi, ma non adesso. In questo momento ero completamente presa. «Ti voglio» sussurrai, mentre stavo per raggiungere l’apice del piacere. «Dopo di me sei stata con qualcun altro?» «Wes» lo misi in guardia. Non era il genere di conversazione che volevo fare mentre le sue dita erano dentro di me fino in fondo e la sua mano era bagnata del mio desiderio. Mi baciò, affondando la lingua nella mia bocca prima di scostarsi appena. «Sei stata con qualcuno senza protezione?» «Solo con te.» Ed ero sincera. Alec e io avevamo sempre fatto sesso con il preservativo. Wes e io, invece, a volte no, ma io mi fidavo di lui, ancora adesso. I suoi occhi si incupirono, mentre mi scrutavano. Poi lui allontanò le dita, e mi abbassò i pantaloni e le mutandine. Me li tolsi, scalciandoli via, mentre gli sbottonavo i pantaloni. Lui se li abbassò quel tanto che bastava per farmi vedere il pene: quanto mi era mancato, così lungo, grosso e pronto per me. Con una rapida mossa mi prese in braccio e si avvolse le mie gambe intorno alla vita. «Aggrappati alle mie spalle, tesoro.» Obbedii. Appena la presa fu salda, mi spinse contro il muro, la cui superficie ruvida mi sfregava la pelle nuda della schiena, causandomi una punta di dolore che si aggiungeva al piacere di quel momento inaspettato. Wes mi penetrò: con una mano mi teneva la spalla, e con l’altra i fianchi, impalandomi contro la parete. «Oddio!» Sentirmi così riempita era il massimo. «Ssh, tesoro, ti sentiranno.» Allora mi ricordai dove ci trovavamo: in camera mia, nell’attico di Hector e Tony, stavo scopando con il mio primo cliente, mentre ancora lavoravo per il terzo. C’era certamente qualcosa di malato in quella situazione, ma non me ne importava. La sensazione di avere Wes dentro di me era meravigliosa: mi riempiva con ciò che più mi era mancato negli ultimi due mesi, dall’ultima volta in cui l’avevo visto. Si ritrasse e si spinse dentro di nuovo. Posò le labbra sulle mie, e io gli succhiai la lingua avidamente, come un’affamata dopo un lungo digiuno. «Te la ricorderai questa scopata.» E ancora una volta si ritrasse per poi spingersi dentro di nuovo. Ansimai e annuii, ero talmente annebbiata dal desiderio che riuscivo a concentrarmi solo su ciò che sentivo tra le gambe: l’intenso piacere che si accumulava dentro di me, mentre lui si muoveva dentro e fuori. «Non ti permetterò di dimenticare quant’è bello» disse, senza smettere di pompare. «Voglio che continui a sentirmi vicino anche quando me ne sarò andato.» Uscì e rientrò con forza, stringendomi i fianchi. Mi morsi le labbra: vedevo le stelle, sudavo e sentivo un piacevole formicolio in tutto il corpo. Ancora un po’ e sarei sicuramente venuta: mi sarei arresa a lui, esattamente come desiderava. «Ricordati di me» disse a denti stretti. Erano le stesse parole che mi aveva detto l’ultima volta che avevamo fatto l’amore. Adesso erano venate di dolore e di piacere, in tutte le possibili sfumature. Si ritrasse, tenendomi stretta, e mi cinse con le braccia. Gli strinsi le gambe intorno alla vita, quasi conficcandogli i talloni nella schiena. Ancora dentro di me, mi spinse forte contro il muro e si prese quel che era suo. L’orgasmo mi esplose dentro: schegge di piacere volarono in tutte le direzioni. Wes mi baciò con forza, e continuò a baciarmi mentre, in preda al godimento, veniva e mi inondava con il suo seme. La sua bocca impedì alle mie lacrime di colare lungo le guance. Gli morsi le labbra, mentre i residui della nostra passione scemavano lentamente. Eravamo sudati, madidi della gioia di essere stati insieme. Ansimavamo vicini, una fronte contro l’altra, suggellando così il legame che ci aveva uniti fin dall’inizio. «Mi dimenticherai?» Il suo tono era gentile, ma venato di preoccupazione. «Mai» gli promisi. «Dobbiamo darti una ripulita. Non ho ancora finito con te, sai?» Mi abbracciò e mi accompagnò in bagno, dall’altra parte della stanza. «Per fortuna, perché anch’io ti voglio ancora» annunciai, disseminandogli baci su tutto il viso, leccandogli il sudore salato dal collo e godendomi l’unico uomo di cui non ero mai sazia. Mi appoggiò sul ripiano del lavandino e si tirò indietro. Parte del suo seme gocciolò sulle piastrelle. Lui fissò le mie cosce bagnate. «Lì ci torno dopo» mi disse, con un sorriso malizioso. Gli diedi un buffetto sulla spalla. «Apri l’acqua della doccia, pervertito.» Presi un asciugamano, lo inumidii e mi diedi una ripulita, poi ne presi un altro e pulii il ripiano e infine li buttai entrambi nel cesto per la biancheria sporca. Senza perdere tempo, Wes si era spogliato completamente e aveva lasciato i jeans e le scarpe a terra. La sua pelle baciata dal sole e i muscoli sodi da surfista non erano mai stati così belli. Feci i due passi che mi separavano da lui, e appoggiai le mani sui suoi pettorali scolpiti. Chinai la fronte sul suo petto e lo baciai, proprio in mezzo. Era caldo, familiare e aveva tutto ciò che potevo desiderare nella vita, ma che tuttavia non potevo ancora avere. Mentre gli baciavo la pelle sopra al cuore, mi vennero le lacrime agli occhi. Mi prese il viso tra le mani, e accarezzò con il pollice la lacrima che scendeva. «Ti capisco, per me è lo stesso» disse dolcemente. «Godiamoci il tempo che abbiamo, che ne dici?» Annuii e lo seguii nella doccia. Mi lavò con cura i capelli. «Sono cresciuti un bel po’.» «Sì, crescono in fretta» dissi. «Sono così belli.» Il suo sguardo seguì la schiuma che gocciolava sulle piastrelle e veniva portata via dall’acqua. Mentre finivo di sciacquarmi, si insaponò le mani. Non usava mai la spugnetta, nemmeno quando facevamo la doccia insieme a Malibu. «Ti piace usare le mani, eh?» dissi con un’espressione leggermente maliziosa. «Non lo sai?» Mi mise le mani insaponate sulle spalle e mi massaggiò i muscoli contratti: una sensazione paradisiaca. Le sue dita forti sciolsero tutti i miei nodi, prima di muoversi in modo seducente verso il petto e il seno. Mi fece girare e appoggiare a lui con la schiena, poi mi afferrò i seni, titillandomi i capezzoli con il pollice e l’indice. Un brivido di piacere li attraversava ogni volta che le sue dita li sfioravano, e alla fine erano ritti e turgidi. Gemetti e mi strusciai contro di lui, chiudendo gli occhi. «Mi piacciono le tue tette. Sono grandi, sode, e stanno perfettamente nelle mie mani. E come reagiscono bene quando le accarezzo…» Le sue parole e il vapore che ci circondava invadevano la stanza: ero come ubriaca e mi sembrava di sognare. Wes giocò con i miei seni finché non iniziai ad ansimare e a gemere, dimenando i fianchi in preda al desiderio. «Che cosa vuoi?» Mi leccò il collo, scendendo sempre di più, mentre continuava a torturarmi dolcemente i seni, resi ipersensibili dal suo tocco. «Ti voglio dentro, per favore» supplicai senza ritegno. «Chinati in avanti, tesoro. Afferra il portasciugamani. Fammi vedere quel gran bel culo che ti ritrovi.» Afferrai il portasciugamani sopra la mia testa, nella parte più lontana dalla doccia. Era come i portasciugamani che si vedono nelle stanze degli alberghi di lusso, dove le salviette sono lontane dagli schizzi d’acqua, ma comunque a portata di mano, in modo da evitare all’ospite di uscire nudo dalla doccia. In questo caso era una maniglia perfetta a cui aggrapparmi. Wes mi abbracciò da dietro, facendomi divaricare leggermente le gambe. Mi prese per i fianchi, sollevandoli a suo piacimento. Rimasi in attesa, con il cuore in gola. Ero eccitata, circondata da uno sciame ronzante di sensazioni: mi pregustavo ciò che sarebbe accaduto, sapevo che sarei stata presa dalla sua erezione tentatrice e proibita. Wes mi strofinò i glutei e, con mani esperte, me li divaricò leggermente, poi appoggiò la punta del suo cazzo sul mio sesso, sfiorandolo appena. «Lo vuoi, tesoro? Vuoi che ti scopi forte?» «Sì, Wes, ti prego. Amami come sai fare.» «Amarti?» mi domandò, entrando per qualche centimetro. Strinsi le cosce, per indurlo ad affondare ancora di più. Mi tenne ferma, permettendomi di muovermi solo quando lo voleva lui. «Sì, fammi vedere come mi ami.» Con un colpo di reni e le unghie conficcate nei miei fianchi, mi penetrò, facendomi battere i denti. Mi tenni forte al portasciugamani e, scossa dalla sua spinta, mi ritrovai sulla punta dei piedi, impalata, come piaceva a lui. Mi rimise a terra: non riuscivo a respirare e nemmeno a muovermi. Non mi ero mai sentita più completa con un uomo. Quando si ritrasse, quasi piangevo, perché sentivo il bisogno che rimanesse dentro di me, che continuasse a starmi vicino. «Non andartene» lo pregai con voce soffocata. «Sono sempre qui.» Una delle sue mani afferrò la mia e la strinse forte. Poi si tirò indietro e diede un altro colpo di reni. «Sentimi, tesoro. Sono qui. Con te, dentro di te, sono parte di te.» Una piacevole sensazione, come un volo di farfalle, si diffuse dal punto in cui eravamo uniti: era stuzzicante come il solletico, e mi lasciava un velo di piacere umido su tutto il corpo. Era insolito, strano, diverso da tutte le altre esperienze sessuali precedenti. «Sto per venire» gli dissi, prima di perdere definitivamente la capacità di parlare. Il piacere si impossessò del mio corpo, della mente e del subconscio, e iniziai un viaggio da cui non sarei mai più voluta tornare. «Sì» disse con un rapido movimento dei fianchi, togliendomi il fiato per quanto era duro. «Verrai finché lo decido io. Mi stringerai forte, dolce Mia, e mi darai la prova che sono il padrone del tuo corpo. Quando sono dentro di te, ci siamo solo noi, io e te, ed è così che dovrebbe essere.» Si ritrasse, e poi ricominciò a pompare. Gemetti, di nuovo avvolta in una nebbia di godimento. Un lampo di piacere caldo e bruciante lottava per uscire dal mio corpo, per sfogare l’eccitazione repressa. Fu in quel momento che iniziai a balbettare. Mi scopava con lunghi affondi, facendomi perdere la ragione. Iniziai a declamare una cantilena di parole insensate. «Ti prego…» «Dentro di me…» «Fa male…» «Adesso…» «Amore…» «Ancora…» «Wes…» Proprio in quel momento mi mise una mano sul seno e con l’altra si aggrappò al portasciugamani sopra di noi, come se stesse facendo delle trazioni alla sbarra. Si alzò sulla punta dei piedi e mi penetrò più a fondo. Il suo membro durissimo mi trafiggeva, spingendosi dentro di me fino a un punto mai raggiunto da nessun uomo in precedenza. Persi il controllo e fui travolta da un orgasmo che mi lasciò tremante come se avessi preso una scossa elettrica. Mi strinsi forte intorno a lui che emise un verso animalesco, mentre veniva, e mi morse la pelle tra il collo e la spalla. Il dolore non fece altro che far divampare ulteriormente il mio piacere, come un incendio incontrollato. Mi fece venire più volte, finché persi il conto. Quando smise di scoparmi, l’acqua era diventata gelida, ed entrambi avevamo i brividi. Wes sciacquò il mio corpo languido, poi mi coprì con un asciugamano e io mi raddrizzai e mi appoggiai a lui. Non riuscivo a fare nulla: aveva esaurito tutte le mie forze, e avevo gli arti intorpiditi, come se all’improvviso tutto si fosse spento e avesse smesso di funzionare. Dopo avermi asciugata quasi completamente, mi aiutò a uscire dalla doccia, poi scostò le coperte, mi mise a letto e si accoccolò al mio fianco, con il corpo incollato al mio. L’umidità residua ci teneva attaccati in un modo che mi piaceva più di quanto avrei mai osato ammettere. Mi sussurrò teneramente all’orecchio: «Non voglio lasciarti domani». Chiusi gli occhi, presi il suo braccio e lo tirai sopra il mio seno nudo. Mi portai la sua mano alle labbra e gli baciai le dita. «Devi andare» sussurrai, sapendo che avevo bisogno che se ne andasse e al tempo stesso volevo che rimanesse. «Lo so.» Il suo tono era disperato, ma risoluto. «Ma per me è fondamentale che tu non voglia.» Desideravo che sapesse che questa volta era stata importante, che ogni volta con lui era speciale. «Oh, Mia, non ti permetterò di far morire ciò che c’è tra noi.» «E io non voglio che tu lo faccia. Spero che, nei prossimi nove mesi, continuerai a ricordarmi come potrebbero andare le cose tra noi.» Mi premetti la sua mano sulla guancia, cercando di catturare quella sensazione, di chiuderla a chiave nella memoria per poterla ritrovare sempre. «Non ti farò mai dimenticare che cosa potresti avere, che cosa ti aspetta.» Con queste parole, stretta nel calore del suo abbraccio, scivolai nel mondo dei sogni. Il sole che illuminava la stanza attraverso le persiane aperte mi colpì negli occhi, ridestandomi di soprassalto da un bellissimo sogno in cui Wes e io facevamo surf. Ovviamente nel sogno ero davvero brava, mentre nella realtà potevo definirmi poco più che una principiante. Avrei dovuto riprendere ad allenarmi nell’oceano per avvicinarmi anche solo di poco alla surfista provetta che ero nel sogno. Allungai appena un piede dietro di me, ma sentii solo le lenzuola fredde. Mi tirai su a sedere un po’ sorpresa e guardai alla mia destra: Wes non c’era più. Al suo posto rimanevano la sua traccia sul cuscino vicino a me e un foglio di carta, con ogni probabilità preso tra le mie cose sulla scrivania. Mia, La scorsa notte è stata indimenticabile, anzi no, di più: unica. Stare con te è come trovare l’onda perfetta, fare surf su un’onda che non ha fine: è l’esaltazione, la paura, la vita che cambia sotto i miei occhi. Mi hai cambiato, Mia. Non credo più che la donna perfetta non esista: esiste, e l’ho conosciuta, ho fatto l’amore con lei e l’ho adorata nell’unico modo che conosco. Poiché non mi hai dato altra scelta, rimarrò per sempre tuo amico e continuerò a ricordarti come potrebbero essere le cose tra noi: per i prossimi nove mesi, e oltre. Fino alla prossima volta, penserò a te e ti chiamerò presto per sapere come stai. Quando sarai pronta, hai la chiave. Ricordati di me. Il tuo amico regista che fa surf, Wes Strinsi la lettera al petto e piansi. Piansi per Wes, per me, per ciò che avrebbe potuto essere tra noi. Per ciò che speravo che avrebbe potuto essere prima o poi. Se qualche altra donna bellissima non me l’avesse portato via, nel frattempo. Ma non importava: dovevo lasciargli vivere la sua vita, mentre continuavo il mio viaggio. Sapere che a Wes importava di me, che voleva che mi ricordassi di lui, che sperava che sarei tornata da lui mi bastava per vivere i nove mesi successivi. Ma, proprio come avevo suggerito a Wes, adesso dovevo andare avanti. Non potevo permettere al sentimento che nutrivo per lui di intromettersi in ciò che stavo facendo, o nelle esperienze che mi ero ripromessa di fare. Non avevo idea di dove mi avrebbe portata la vita nei nove mesi successivi. Mi sarebbe piaciuto spiegare le vele e andarmene via da tutto, far pagare a Wes il mio debito e correre da lui, ma dovevo farcela da sola. Sarebbe stato l’anno in cui avrei deciso che cosa volevo fare della mia vita. Forse passarla con Wes, forse no. Forse andare in California, forse a Timbuctu. A prescindere da quanto il mio cuore volesse correre da lui, la mia testa aveva deciso: per i successivi nove mesi avrei vissuto la vita che volevo, e avrei protetto mio padre da se stesso. E mi sarei ricordata di Wes, del tempo passato l’uno accanto all’altra, della nostra amicizia, del nostro stare fisicamente insieme. Alec mi aveva insegnato quella lezione, e io lo amavo, proprio come amavo Wes: a modo mio, e forse, se fosse stato destino, nel giro di nove mesi avrei saputo se quell’amore sarebbe durato per sempre. Ma non oggi. 10 Era la sera in cui si celebrava l’ingresso trionfale dei Fasano nel settore dei surgelati. Cuochi famosi, giornalisti, ristoratori, potenziali investitori, la famiglia al gran completo e un sacco di altra gente: tutti a festeggiare nel ristorante dei Fasano. Sapevo che ci sarebbero stati diversi editori di libri di cucina e alcuni dirigenti della televisione per parlare con Tony del progetto di una trasmissione e per proporre a mamma Mona di realizzare un ricettario con i piatti originali dei Fasano. Era tutto molto eccitante e spaventoso allo stesso tempo. L’idea era che nel corso dell’evento sarebbe stato reso pubblico il mio fidanzamento con Tony. Io lo avevo avvisato che di sicuro i media se ne sarebbero usciti con qualche cattiveria, dal momento che mi avevano visto al fianco di altre due celebrità negli ultimi mesi, ma lui mi assicurò che sarebbe andato tutto bene e che la situazione era sotto controllo. Nella mia testa io tradussi così: non sarebbe affatto andato tutto bene, sarebbe scoppiato un casino di proporzioni epiche e io mi ci sarei trovata proprio in mezzo. Angelina mi aveva detto che tutto il ristorante era stato trasformato in un open space, in un’esibizione di lusso un po’ pacchiano. I tavoli erano stati spostati nel magazzino adiacente e sostituiti con tavolini da cocktail, e alcuni cartelli informavano che il locale era chiuso e avrebbe riaperto il giorno successivo. A prescindere da quello che sarebbe successo, era la mia ultima sera con i ragazzi e volevo godermela fino in fondo. Mi auguravo che ci saremmo riusciti, visto che Tony si era comportato in modo strano per tutta la settimana. Ogni volta che entravo in una stanza in cui c’era lui, trasaliva; si dimenticava in continuazione di cosa stava parlando e passava troppo tempo in ufficio. Era diverso anche con Hector, davvero fuori di testa. In occasione della festa di San Patrizio avevamo trascorso una giornata meravigliosa, e ovviamente il giorno dopo i ragazzi mi avevano fatto il terzo grado su Wes, ma poi nei giorni successivi le cose si erano guastate. Tony andava e veniva sempre più spesso, e passava sempre meno tempo con Hector e con me. Si comportava come se avesse un gigantesco segreto da nascondere. La faccenda del segreto era ciò che spaventava di più Hector: diceva che per tutti gli anni in cui erano stati insieme non avevano mai avuto segreti l’uno per l’altro. Angie gli assicurò che sul lavoro andava tutto bene e che Tony non era mai stato così efficiente. Arrivava presto e se ne andava tardi, lei poteva confermarlo. Non c’era nessun altro. Tony sembrava solo preoccupato dei cambiamenti che si prospettavano per l’azienda. Probabilmente avrebbero trasformato Fasano da un semplice posto in cui si mangia bene in un marchio di primo piano. Quando un prodotto non è più venduto solo in un migliaio di negozi ma viene distribuito in tutti i negozi di alimentari della nazione, è ovvio che ci sia un bel po’ di tensione. Hector accettò di lasciare un po’ di spazio a Tony e trascorse la settimana con me. Sul lavoro faceva il normale orario dalle otto alle cinque, e non andava in ufficio troppo presto né tornava a casa tardi, come faceva Tony. Passavamo le serate andando al cinema, giocando oppure bevendo un po’ troppo vino. La loro storia era affascinante, e in breve io ed Hector eravamo diventati amici. Sarebbe stato una presenza costante per il resto della mia vita, come Gin, Maddy, Alec o Wes, qualcuno su cui avrei potuto sempre contare. Il numero dei miei amici cresceva sempre di più, ed ero felice di potervi aggiungere anche Hector, così come Tony e sua sorella Angelina. Anche se da quando ero arrivata Tony era sempre molto impegnato con il lavoro, eravamo riusciti a trascorrere qualche momento insieme e avevo imparato ad apprezzarlo. Era un trentenne pieno di risorse, sia sul piano professionale sia su quello personale. Ammiravo la sua determinazione e il desiderio di rendere felici le persone… tutte tranne se stesso e la più importante di tutte: Hector. Hector per lui c’era sempre. «Sacrificarsi in periodi come questo» diceva «è normale quando ami qualcuno, così come mettere i suoi bisogni davanti ai propri. Un giorno lui farà lo stesso per me.» Vedendoli insieme, anche in un periodo pieno di tensione, si capiva che tra loro non mancavano amore, partecipazione, fiducia reciproca: erano solo prigionieri di una situazione particolare e stavano facendo del loro meglio per superarla e ritrovare il terreno comune di un tempo. Io speravo con tutto il cuore che ci sarebbero riusciti, non volevo che perdessero le cose meravigliose che, dall’esterno, si potevano cogliere nel loro rapporto. Mentre facevo i bagagli, suonò il telefono. «Pronto?» «Buongiorno, bambolina. Sei pronta ad andartene dalla Città del Vento?» Era la voce morbida e calda di mia zia Millie. «Non particolarmente, sono stata molto bene qui. Tony ed Hector sono due tipi fantastici.» «Tony e… chi? Chi è Hector?» mi chiese. «È il compagno di Tony.» «Anthony Fasano è gay? Quello stallone con il corpo di un dio greco?» «Proprio lui.» Sorrisi: mia zia aveva un debole per i ragazzi sexy. «Troppo bello per essere vero: lo sapevo che c’era qualcosa che non andava, sin da quando ho visto il book con le sue foto. A quanto pare, questa volta non riceverai alcun extra.» Risi. «Pensi sempre ai soldi?» «I soldi sono tutto, bambolina. Lo sai meglio di chiunque altro, adesso. A proposito di soldi, ti ho appena mandato per mail i dati del tuo prossimo cliente. Prepara le valigie.» «E perché?» «Devi andare a Boston, nel Massachusetts.» «Non ci sono mai stata. Che cos’ha di speciale Boston, e perché dovrebbe piacermi?» Di Boston sapevo soltanto che era la patria della miglior squadra di baseball del mondo. «Uomini, baseball e birra» disse ridendo lei. «Tre delle mie cose preferite!» esclamai facendo dei saltelli di gioia. Le partite di baseball mi piacevano: erano una delle poche cose che avevo condiviso con papà quand’ero piccola e poi nell’adolescenza. Anche se era ubriaco fradicio, si guardava tutti gli incontri. Tifavamo per i Red Sox, all’inizio perché mi piacevano i calzini sul loro logo, ma poi soprattutto per sentirmi unita a mio padre, per rafforzare il nostro legame. A dieci anni e senza una madre, cercavo di essere il più vicina possibile all’unico genitore che avevo. Anche a Maddy piaceva il baseball, e anche lei era una tifosa dei Red Sox. Sarebbe stata contenta di sentire che sarei andata a Boston. «Sì, e c’è di più!» «Sul serio?» «Sei seduta?» Andai a sedermi sul letto. «Adesso sì.» «Sarai la escort del nuovo astro dei Red Sox, Mason Murphy.» «Non posso crederci! Ho sentito parlare di lui: ha la media in battuta più alta del campionato e il record di punti in questa stagione!» Millie ridacchiò. «Ed è pure un gran figo! Un irlandese della tua età, bello, alto e fatto apposta per piacere alle donne.» Ripensando all’ultima partita in cui l’avevo visto giocare, non potevo non essere più d’accordo: avrei riguardato volentieri quella registrazione per rivedere il suo culo avvolto nei pantaloncini bianchi stretti. «Che meraviglia! Ma che cosa se ne fa di una escort?» «Avere una donna al suo fianco lo farebbe sembrare, per così dire, più attento alla squadra e alla sua immagine. Il suo addetto alla comunicazione pensa che avere una fidanzata per il primo mese di campionato gli toglierà molta pressione di dosso e dimostrerà agli sponsor che è una persona affidabile.» Feci una smorfia e strinsi le labbra. «Sia come sia, non vedo l’ora di iniziare, sarà fantastico! Mandami i dettagli del volo, e tutto il resto. Probabilmente arriverò in anticipo, per farmi bella prima di incontrarlo.» «Hai un albergo prenotato per i tre giorni precedenti all’incontro con Murphy: nella struttura ci sono un salone di bellezza e un centro benessere con tutto ciò che ti serve. Hai bisogno di prenderti un po’ di tempo per te stessa, così potrai prepararti bene per la partita.» «Ah-ah, divertente. Suona bene. Grazie, zia Millie.» «Figurati, che cosa non farei per mia nipote. Ci sentiamo presto, bambolina.» «A presto.» «Sei splendida, Mia» disse Tony abbracciandomi quando arrivai. Hector, al mio fianco, era elettrico e irradiava nervosismo. «Grazie. Ci sei mancato oggi» dissi, sperando che capisse quanto. Tony si passò la lingua sulle labbra e guardò Hector, con lo sguardo che si riserva solo alle persone amate. Hector abbassò gli occhi e scosse la testa, con un gran sorriso. «Hector» disse Tony dolcemente. «Sei perfetto, Papi» sussurrò, abbastanza vicino da farsi sentire solo da noi due. «Sei bello da star male» contraccambiò Hector, mettendo una mano sulla schiena a Tony e attirandolo in un abbraccio virile. Rimasero a contatto un po’ troppo a lungo, ma non tanto da destare sospetti nella folla che ci circondava. Mona Fasano ci stava guardando dall’altro lato della stanza. C’era qualcosa di diverso nel modo in cui mi salutò, era più fredda del solito, non l’avevo mai vista così da quando la conoscevo. Mi abbracciò, ma sentii che da parte sua non c’era un trasporto genuino. Abbracciò anche Hector, che mi guardò con aria interrogativa. Mi strinsi nelle spalle. Con Mona Fasano non si sapeva mai che cosa bolliva in pentola: per me era un mistero. «Figlio mio, ci sono persone importanti che devi assolutamente salutare. Ho deciso che dovremmo fare il libro di ricette, andiamo a parlare con chi può darci una mano.» Tony rise e sia Hector sia la sottoscritta ne fummo felici. Era stato così stressato per tutta la settimana e da quando eravamo usciti tutti insieme era la prima volta che sembrava ritornato se stesso, a suo agio nei suoi panni. «Okay, mamma, vai avanti e io ti raggiungo tra un attimo.» Mona guardò di nuovo me e poi Hector, sospirando. Poi se ne andò, mormorando qualcosa tra i denti. «Cosa le è preso?» domandai. «Non è contenta.» «È ovvio. Ti dispiacerebbe dirci cos’è successo?» «Non ancora. Saprete tutto a tempo debito. Che ne dite di prendere da bere e fare due chiacchiere con gli altri? Ci sono dei posti in prima fila dove vorrei che vi sistemaste quando inizieremo, ok? Promettetemi che sarete in prima fila con la famiglia.» Hector abbassò la voce e si chinò appena, in modo che potessimo sentirlo solo noi. «Tesoro, puoi contare su di me stasera, e lo sai. Sono qui per aiutarti.» «Sempre?» domandò Tony, in tono cospiratore. Stava davvero iniziando a snervarmi. Era una serata no, anche se Tony sembrava più a suo agio di quanto fosse mai stato. Era perché stava per annunciare al pubblico il suo matrimonio? Era per il lancio dei nuovi prodotti? O per gli accordi per il libro di cucina e il programma televisivo? In teoria tutto ciò avrebbe dovuto stressarlo, non renderlo rilassato come sembrava. Tony si stava comportando come se quella sera nulla potesse turbarlo. E poi c’era sua madre, che per qualche motivo ignoto teneva il muso a Hector e a me. «Sempre, e lo sai» promise Hector. «Saremo in prima fila. Ora vai a fare quel che devi fare e sappi che sono orgoglioso di te.» Tony alzò un braccio e accarezzò la mano di Hector. Un paio di persone colsero quel movimento, ma lui si ritrasse prima che potessi dire qualcosa. «Tony è strano stasera, vero?» dissi a Hector mentre il suo compagno raggiungeva un gruppo di persone molto eleganti. «Sì, dev’esserci sotto qualcosa. Non me ne ha parlato, ma non mi stupisce. Di solito affronta da solo i suoi problemi e poi me ne parla, subito prima di agire. Di qualunque cosa si tratti, mi pare che lui sia più sereno. Probabilmente ha preso qualche decisione sull’azienda che lo mette in pace con se stesso.» «Toccarti in pubblico lo mette in pace con se stesso? E sua madre che ci lancia occhiate di fuoco?» «Hai ragione. Nessuna di queste due cose è normale, eppure non c’è molto che possiamo fare. Possiamo prendere da bere, trovare Angie e vedere che cosa bolle in pentola.» Passammo la mezz’ora successiva a bere champagne, a parlare con il resto della famiglia Fasano e a divertirci. Si sentì una voce forte provenire amplificata dalle casse. «E ora, signori, vorrei fare un annuncio. Potete venire qui sotto il palco per favore?» disse Tony da dietro il leggio. «È arrivato il momento» disse Hector, accompagnandomi fino al tavolo dov’era riunita tutta la famiglia. Tony indossava un impeccabile completo grigio chiaro. Il palco piccolo faceva risaltare la sua corporatura massiccia e le mani afferravano il microfono facendolo quasi sparire. La folla tacque, si radunò e si preparò ad ascoltarlo. «Vorrei innanzitutto ringraziarvi per essere qui. L’espansione del marchio Fasano nel settore dei surgelati era un sogno di mio padre, Joseph Anthony Fasano. Ha guidato l’azienda con onestà, orgoglio e lealtà. Insieme a mia madre e alle mie sorelle raccoglieremo la sua eredità in questa nuova avventura, e realizzeremo un prodotto di qualità, destinato alle famiglie e con un prezzo conveniente: questo è da sempre il nostro impegno come azienda.» La folla lo applaudì, e si sentirono anche alcuni fischi di approvazione. «Grazie. La nostra azienda sta inoltre pensando di lanciarsi in diverse nuove avventure. La prima è il libro di ricette di mamma Fasano.» Seguì un applauso scrosciante. «La seconda è il programma televisivo sul canale dedicato alla cucina.» La folla impazzì. «Il programma di cucina sarà un’avventura condivisa con la famiglia Fasano. Mia madre, le mie sorelle e l’amore della mia vita parteciperanno al nuovo programma.» Le grida della folla sovrastarono l’esclamazione di stupore mia e di Hector. Che cosa aveva voluto dire con quel “l’amore della mia vita”? Non poteva in nessun modo costringermi a stare con lui e ad aiutarlo a conquistare il pubblico americano. «E qui arriviamo all’annuncio più importante. Vi ho comunicato le ultime novità professionali, e ora è il momento di un annuncio personale. Voglio presentarvi la persona che amo di più al mondo, che mi ha accompagnato nei momenti difficili fino a ora ed è sempre stata al mio fianco. Il mio compagno, il mio unico e vero amore, il mio fidanzato, sempre che voglia esserlo.» Fidanzato? Compagno? Oh, santo cielo! Hector, che era vicino a me, aveva gli occhi spalancati e le lacrime iniziarono a scorrere nel momento in cui Tony gli porse la mano. «Hector Chavez, ti amo, ti amerò per sempre. Voglio amarti per tutta la vita. Quest’azienda e il mio cognome non contano nulla se tu non vuoi condividerli con me.» In quel momento Tony si inginocchiò e aprì una scatoletta foderata di velluto rosso, con all’interno una sottile fede d’oro. «Sposami. Prendi il mio cognome, costruiamo una famiglia insieme.» Nella stanza calò un silenzio di tomba. «Dài, alzati.» Hector aiutò Tony a rimettersi in piedi. «Il mio uomo non si inginocchia di fronte a nessuno. Rimane in piedi, orgoglioso, e io faccio lo stesso per lui. Sarei felice di sposarti, di diventare un Fasano.» Tony fece un ampio sorriso, attirò Hector al suo fianco e si rivolse al pubblico. I flash delle macchine fotografiche scattavano impazziti. Il rumore di fondo diventò una specie di boato sordo quando la gente si rese conto di ciò che stava succedendo. Anthony Fasano, pugile, uomo d’affari tutto casa e famiglia, aveva appena fatto coming out e chiesto al suo storico fidanzato di sposarlo, di prendere il suo cognome e di costruire una famiglia con lui. Fu un momento epico. Dalla prima fila ne approfittai per guardare bene i volti di tutti i parenti di Tony, a partire da sinistra, dove c’erano Giovanna e suo marito. «Giovanna, accetti Hector come mio fidanzato e tuo futuro cognato?» Lei sorrise e annuì. «Sì» disse con la voce strozzata, e si capiva quant’era emozionata. «Isabella, accetti Hector come parte della tua famiglia?» «Sì, da sempre. E sono veramente felice per te.» Si girò, e pianse sulla spalla di suo marito. «Sophia…» Non ebbe nemmeno il tempo di finire. «Finalmente hai sputato il rospo» disse lei, e il pubblico scoppiò a ridere. Tony strinse Hector a sé, mentre le lacrime iniziavano a scorrergli sulla pelle ambrata. «Angie, accetti Hector come nuovo membro della famiglia?» Anziché rispondere, Angie saltò sul palco e li abbracciò entrambi. «Ti voglio bene, vi voglio bene» disse, e li baciò sulla bocca. Quant’erano pazzi gli italiani con tutti quei baci sulla bocca! Poi sussurrò qualcosa prima a uno e poi all’altro. Loro spalancarono gli occhi e Tony fece un passo indietro. Si inginocchiò, fece spostare sua sorella davanti a sé e le baciò la pancia, e poi ci appoggiò sopra una mano. Dal suo sorriso, tutti capirono. Guardai Mona Fasano che osservava i suoi figli. Piangeva a dirotto. «Mia sorella avrà un figlio. Sono anni che ci prova, e ora c’è riuscita!» gridò Tony. Tutti applaudirono, e si sentì qualche fischio di approvazione. Angie scese dal palco, corse da suo marito Rocco e lo abbracciò. Lui la tenne stretta e si persero in un abbraccio festoso. «Mamma» continuò Tony al microfono. «Abbiamo la tua benedizione per far entrare Hector ufficialmente nella nostra famiglia? So che volevi che mi sistemassi con una ragazza cattolica di buona famiglia e che ti dessi dei nipoti, ma questo non mi renderebbe felice. Hector e io avremo dei figli, con una madre surrogata. Ne abbiamo già parlato.» Hector annuì con entusiasmo. «So che per te è difficile da accettare. Anche se te ne ho parlato qualche giorno fa sapevi che sarebbe successo. Ho sempre amato Hector, mamma.» Mona annuì e si coprì la bocca con le mani: il suo piccolo corpo era scosso dai singhiozzi. Tony scese dal palco, seguito da Hector. «Ti voglio bene, mamma. Ma amo anche Hector. Lui è il mio futuro, e sono stanco di fingere. Non posso vivere la mia vita secondo le regole dettate da qualcun altro e sacrificare la mia felicità o quella di Hector. Non sarebbe giusto.» Mona abbracciò suo figlio. «Stupido, stupido che non sei altro. Avrei capito, con il tempo. So bene cos’è l’amore. So quando qualcuno è tutto il tuo mondo: tuo padre era questo per me. Se Hector è questo per te, allora nulla di ciò che gli altri pensano o dicono dovrebbe impedirvi di stare insieme. Vi voglio bene» disse sciogliendosi dall’abbraccio. «Voglio bene a entrambi» aggiunse accarezzando la guancia di Hector. «Ora sarai sul serio il mio ragazzo, anche se in realtà lo sei sempre stato, vero?» Hector si asciugò le lacrime, che avevano preso a scorrergli sulle guance. «Voglio che i miei ragazzi siano felici» disse Mona abbracciandoli forte entrambi. E questo fu quanto. Il resto della serata fu una festa: per Hector e Tony, e per Angelina e Rocco che finalmente potevano avere il bambino che tanto desideravano. Parlando con Angelina, più tardi, scoprii che Tony la settimana precedente era andato a casa delle sorelle e aveva detto a ciascuna di loro che era gay, che amava Hector e che aveva intenzione di chiedergli di sposarlo. A quanto pareva, le sorelle lo sospettavano da tempo, ma avevano rispettato la sua privacy mantenendo un riserbo assoluto. Poi, quand’ero arrivata io, nessuna di loro aveva saputo cosa pensare. Angelina aveva passato la settimana con Tony a lavorare sodo per trasformare la notizia in qualcosa che non avrebbe macchiato il nome dei Fasano. Il guru delle PR stava lanciando la campagna “L’amore ha mille forme” per indebolire il fronte dei benpensanti, e gli autori del programma televisivo avevano accolto favorevolmente la notizia. Dicevano che l’audience così si era allargata a una nuova fascia di pubblico. I giorni della settimana sarebbero stati dedicati a ciascuno dei cinque figli e alla madre da sola. Erano entusiasti del progetto e desideravano riservare un giorno a Tony ed Hector perché cucinassero insieme, offrendo qualcosa di nuovo alla comunità gay. Alla fine l’amore aveva vinto nonostante tutto e la famiglia sarebbe diventata più forte. La mattina successiva, di buon’ora, trascinai le mie cose in ascensore, ripensando alla sera precedente. La festa era stata davvero bella, e alla fine tutti erano felici ed elettrizzati per le novità, l’azienda andava meglio che mai, la famiglia Fasano era sempre più forte e tutti non facevano che parlare delle nuove avventure che li attendevano. Tony aveva persino chiarito il mio ruolo, ma aveva tralasciato di dire che ero una escort, preferendo usare il termine “amica”. Dopo aver condiviso la loro vita per un mese, loro erano esattamente questo per me: amici. Lasciai il biglietto vicino a una bottiglia di whiskey Jameson che avevo comprato il giorno precedente. Mi chinai a baciare il punto vicino al mio nome, e rilessi ciò che avevo scritto. Tony ed Hector, vi lascio, con la felicità nel cuore e le lacrime agli occhi. Voi due mi avete aperto gli occhi su quanto possa diventare ricca e piena la vita quando si ha il coraggio di rischiare. Tu hai rischiato, Tony, e ora la tua vita sarà per sempre felice. Forse anch’io sarò in grado in futuro di fare come te. Grazie per avermi dato un esempio di coraggio. Hector, mi mancheranno le nostre chiacchierate, le nostre serate al cinema e i tuoi consigli per i vestiti. Quando sei tu a scegliere il mio guardaroba, sto sempre benissimo. ;) Parlando seriamente, sai donare davvero tanto amore, e sono felice che tu abbia voluto regalarmelo… come amico. Grazie a entrambi per aver condiviso un tratto di vita con me. Non potrei essere più felice per voi. Tenetemi al corrente delle novità: mi aspetto un invito per il vostro matrimonio. La vostra amica, Mia Era vero: avevo imparato molto da Tony ed Hector. Avevo imparato a non avere paura, a non lasciar decidere agli altri il mio destino, qual era il tipo di felicità che volevo. Avrei portato quell’insegnamento con me per il resto del mio viaggio e sarebbe stato una guida per le mie scelte future. Per ora, il mio cammino mi portava su un aereo, verso un certo Mason Murphy in quel di Boston, nel Massachusetts. Ringraziamenti A Sarah Saunders per aver dato a Mia il nome e per avermi aiutato a renderla una tipa davvero tosta! C’è parecchio di te nella nostra ragazza, e la cosa mi fa molto piacere! Al mio editor Ekatarina Sayanova e alla Red Quill Editing: riesci a capire me e le mie storie come mai nessuno prima di te. Ogni tuo intervento sul testo mi rende una scrittrice migliore. Grazie di cuore. A Heather White, una dea più che un semplice agente letterario. Talvolta mi domando che cosa ho fatto per meritarmi una persona tanto altruista. Sono davvero felice di condividere questo viaggio con te. Trust the journey, baby! Ginelle Blanch, sei stata con me fin dall’inizio, non ti sei mai lamentata, mi hai sempre sostenuta fino in fondo, ti sei letta le bozze con straordinaria efficienza, sorprendendomi ogni volta con i casini pazzeschi che trovavi! Hai un occhio incredibile per i dettagli. Grazie per aver condiviso il tuo dono con me. Jeananna Goodall, la donna che legge tutto quello che scrivo ancora prima che lo rilegga io. Ti adoro, perché mi fai venir voglia di scrivere e perché credi nelle mie storie, a volte più di me. Grazie per tutta la speranza che mi dai. Anita Shofner, la regina del presente… e del passato remoto! Hai evitato che i miei personaggi viaggiassero nel tempo e hai reso brillante il mio manoscritto. Il tuo motto è “La soddisfazione prima di tutto”. Stiamo a vedere dove l’anno porterà la nostra Mia. Christine Benoit, grazie per aver letto le parti in francese e verificato che fossero giuste. Mi sono molto divertita ad aggiungere al libro qualche pezzo nella tua splendida lingua. Alle Audrey’s Angels; insieme cambieremo il mondo, un libro alla volta. Besos-4-Life, care ragazze. Al mio gruppo di lettori, gli Audrey Carlan Wicked Hot Readers: mi fate sorridere sempre, ogni giorno. Grazie per il vostro sostegno. Infine un ringraziamento speciale va alla mia casa editrice, la Waterhouse Press. Siete superstraordinari. Sono così felice che mi abbiate trovata e mi abbiate fatto sentire a casa. Sono pazza di voi. Que sto e book contie ne mate riale prote tto da copyright e non può e sse re copiato, riprodotto, trasfe rito, distribuito, nole ggiato, lice nziato o trasme sso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad e cce zione di quanto è stato spe cificame nte autorizzato dall’e ditore , ai te rmini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto e splicitame nte pre visto dalla le gge applicabile . Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di que sto te sto così come l’a lte razione de lle informazioni e le ttroniche sul re gime de i diritti costituisce una violazione de i diritti de ll’e ditore e de ll’a utore e sarà sanzionata civilme nte e pe nalme nte se condo quanto pre visto dalla Le gge 633/1941 e succe ssive modifiche . 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Gennaio, Febbraio, Marzo di Audre y Carlan Copyright © 2015 by Audre y Carlan This e dition publishe d by arrange me nt be twe e n Silvia Donze lli Age ncy c/o Bookcase Lite rary Age ncy and Wate rhouse Pre ss © 2016 Mondadori Libri S.p.A., Milano Titolo de ll’ope ra originale : Calendar Girl - Volume One Ebook I S BN 9788852074158 COPERTINA || ELABORAZIONE DA FOTO © SHUTTERSTOCK «L’AUTRICE» || FOTO © MELISSA MCKINLEY Indice Il libro L’autrice Frontespizio Calendar Girl. Gennaio, Febbraio, Marzo Dedicato a… Gennaio Capitolo 1 Capitolo 2 Capitolo 3 Capitolo 4 Capitolo 5 Capitolo 6 Capitolo 7 Capitolo 8 Capitolo 9 Febbraio Capitolo 1 Capitolo 2 Capitolo 3 Capitolo 4 Capitolo 5 Capitolo 6 Capitolo 7 Capitolo 8 Capitolo 9 Capitolo 10 Marzo Capitolo 1 Capitolo 2 Capitolo 3 Capitolo 4 Capitolo 5 Capitolo 6 Capitolo 7 Capitolo 8 Capitolo 9 Capitolo 10 Ringraziamenti Copyright