la religiosità di alda merini

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la religiosità di alda merini
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a rt i c o l i
«Un bosco assetato
la mia vita»
La religiosità di Alda Merini
Ennio Laudazi
Premessa
A
vrei volentieri intitolato l’articolo ponendo in esergo la citazione «Anche se non credi/ io ti porterò con me», tratta
da Padre mio, l’ultima opera poetica di Alda Merini mentre
era ancora in vita (1931-2009), edita da Frassinelli, Milano 2009,
p. 101. L’avrei scelta perché, a mio parere, essa riassume le dimensioni della sua esperienza religiosa. Del resto, la poetessa stessa,
nelle sue numerose dichiarazioni, ha affermato che «una grande
vocazione religiosa» si è rivelata la sua arte lungo tutto il suo percorso (in La poesia luogo del nulla, Manni, Lecce 1995, p.15). E Gianfranco Ravasi non ha esitato a testimoniare, dopo la sua morte,
che «la carnalità che in lei era spesso intrecciata all’eros, qui (in
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Corpo d’amore. Un incontro con Gesù, Frassinelli, Milano 2010) si trasfigurava e diventava la sarx giovannea, la “carne” del Verbo,
e la divinità diveniva Umanità gloriosa e dolente». E ancora:
«La poetessa poneva il suo Cristo (nel Poema della croce, Frassinelli,
Milano 2010) al centro dello spazio e del tempo in una epifania
tragica eppure luminosa. Attorno allo sperone roccioso del Calvario s’addensava non solo l’odio del mondo, ma si delineava
anche “il teatro della derisione”, cioè la brutale stupidità e la
volgarità dell’umanità che la Merini tanto detestava. Eppure su
quell’asse della derisione e della crudeltà si inaugurava il giudizio
definitivo sul male e si apriva il cielo della redenzione. La croce,
ove si raggrumava il dolore di Dio, diventava segno d’amore:
“Dio ha espresso il suo amore per l’uomo col pianto”. Cristo è
“la lacrima di Dio”, una lacrima che “coprì tutta la carne del
Figlio”. La colpa e la grazia, l’inferno e la gloria, la tenebra e
la luce sono stati i poli della ricerca spirituale di Alda» (in Lettere
imprecise spedite all’amato, in «L’Osservatore Romano» del 3 novembre 2009, p. 5). Un parere questo sicuramente autorevole
che orienta e convalida la mia ricerca!
Alla testimonianza precedente ne seguono altre. Per
esempio quella di C. Toscani nella stessa fonte citata precedentemente. Dopo aver riferito una dichiarazione della Merini nella
quale si definisce “la poetessa della vita”, prosegue: «E nella vita,
della fede. Come proiezione della propria sofferenza in quella
di Cristo (…). Come liberazione dal male, e allo stesso modo
che la preghiera lo è dal peccato». E ancora dalla nota dell’editore di Mistica d’amore, Frassinelli, Milano 2008, citiamo: «Il
libro è molto più di una raccolta di poesie di ispirazione religiosa;
rappresenta infatti il risultato di un lungo lavoro condotto dalla
poetessa milanese in modo continuativo e coerente, intorno alle
figure fondamentali del cristianesimo» (Cristo, Maria, Pietro,
Giovanni, Maddalena, Giuda, Francesco). A proposito poi di
Corpo d’amore. Un incontro con Gesù, G. Ravasi ha affermato nella
prefazione: «(…) Sacra Scrittura e poesia spesso s’intrecciano e
«Un bosco assetato la mia vita»
Ennio Laudazi
la fede è sorella della poesia perché entrambe tendono all’Altro e
all’Oltre. Alda Merini è certa di questa verità e il suo libro, che è
poesia e professione di fede, canto e cristologia, ne è una vigorosa
e cosciente testimonianza». «Il flusso mistico-religioso era già
presente nelle prime poesie di Alda Merini» – scrive Ambrogio
Borsani nella prefazione all’antologia Il suono dell’ombra (Poesie e
prose 1953-2009), Mondadori, Milano 2010). E prosegue rilevando ed esemplificando che «la sua trascendenza di frequente
precipita nell’immanente (…), la sua religiosità è discontinua,
dominata da un desiderio costante di fisicità, di amore carnale
(…), accanto alle poesie mistiche ci sono versi che rivelano la
convivenza, senza contraddizione, di uno stretto intreccio tra
santità della materia e corporalità dello spirito (…), intuizioni teologiche sofisticate, imprevedibili, (…), ipotesi teologiche molto
complesse attraverso impennate poetiche ardite, pure intuizioni
liriche, (…), la contraddizione (…) che corre lungo l’intera sua
esistenza» (pp. LV-LVII).
Da queste testimonianze quindi (e da tante altre ancora)
il mio invito a rileggere l’opera poetica della Merini perché, secondo gli studiosi della teologia, «esiste uno stretto collegamento
fra la vita spirituale e la condizione umana, a tutti i livelli» (F.
Ruiz) e perché voglio valorizzare in essa il solco dell’ispirazione
umana e cristiana, tenendo presente la fenomenologia dell’esperienza religiosa con i suoi presupposti antropologici, con la sua
problematica di linguaggio, di relazione tra soggetto e oggetto, le
caratteristiche personali e obiettive. Credo sia possibile coglierla
nelle opere scritte della grande poetessa, «una delle voci più significative della poesia italiana» del XX secolo, candidata addirittura al Premio Nobel per la letteratura nel 2001.
E per preservarla da qualsiasi visione riduzionista credo
inoltre sia necessario lo studio dell’esperienza religiosa, tenendo
presente che non è essa la via a Dio, ma la proposta dell’umile discesa di Dio verso di noi, accolta oppure non accolta. La mistica
dell’amore di Dio, appunto! E l’invito è motivato in primo luogo
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dal fatto che quando Alda Merini è morta la Chiesa celebrava
l’anno speciale (2009) dedicato al Sacerdozio cattolico secondo
la volontà del Papa Benedetto XVI. E il sacerdote è una figura
molto presente e significativa nella poesia e nella vita della poetessa (cf Paura di Dio (1955), pp. 27 e 144; La gazza ladra (1985),
pp. 151-152; Padre mio (2009); e in secondo luogo a sorpresa ho
letto su «Famiglia cristiana» 40 (2009), p. 97 e 45 (2009), p. 20
che la Merini ricordava un altro dei suoi fari religiosi, S. Teresa
di Gesù Bambino con la sua “piccola via”: con il santo di Assisi
«era tra i maestri di spiritualità a lei più vicini» (cf La presenza di
Orfeo (1953), la lirica «S. Teresa del Bambino Gesù» e La terra
santa (1984), la lirica «Santa Teresa soffre la solitudine»). Specifico che la prima motivazione mi appartiene perché sono un
sacerdote che nell’ambito letterario si domanda: perché la figura
del sacerdote attira l’attenzione, incuriosisce, è interpellata? Lascio che risponda P. F. Castelli: «Perché nel crepuscolo delle illusioni e nel clima del relativismo si avverte il bisogno di certezze;
perché nella stanchezza di una cultura materialista il bisogno di
fare posto all’anima è maggiormente avvertita. E il prete si presenta come assertore di certezze e testimone di realtà spirituali»
(da Il prete nella letteratura in «La Civiltà cattolica» 24 (2009), p.
541). La seconda motivazione mi coinvolge perché il Signore mi
ha chiamato nell’Ordine del Carmelo del quale S. Teresa d’Avila
e S. Giovanni della Croce sono fondatori e padri e S. Teresa di
Lisieux figlia e sorella. Tutti e tre dottori della Chiesa!
«Sei Colui che ha due volti»
In «La Civiltà cattolica» 4 (2009) P. A. Spadaro ha pubblicato un articolo Un ricordo di Alda Merini, e precedentemente un
altro: Altrove è il canto, altrove è la parola 4 (2004). Quindi, studiando
la personalità e l’arte della poetessa italiana, è arrivato alla seguente affermazione: «Se la poesia della Merini è magmatica e
sorgiva, e la sua produzione vasta e a getto continuo, è possibile,
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e anzi necessario, individuarne le composizioni migliori. A nostro giudizio esse sono quelle che tengono unite, in equilibrio instabile, senso tremendo e senso affascinante del divino, religiosità
e sensualità. Certamente le colonne della sua ispirazione sono
sostanzialmente due: quella dell’erotica e quella della mistica.
Non è possibile sciogliere il nodo di questa dialettica interna
senza vanificare l’ispirazione fondamentale della poetessa, che
porterà questo groviglio con sé per tutto il suo percorso poetico»
(nel Primo articolo, pp. 333-334). Condividendone il contenuto di
fondo, per una lettura formativa prendo per mano il lettore e
procediamo insieme.
Come in una collana, la prima perla la trovo in La presenza
di Orfeo (1953) con la lirica Piccoli canti: in essa il fulcro dell’ispirazione scaturisce dalla contemplazione del mistero dell’unione del
corpo con l’anima o del finito con l’immenso:
Se tutto un infinito
ha potuto raccogliersi in un Corpo
come da un corpo
di sprigionare non si può l’Immenso?
(Si noti nella citazione l’uso delle lettere maiuscole: hanno
un preciso significato nello sviluppo dell’ispirazione religiosa
della poetessa).
La collana poi, nel suo insieme, si dipana nel mistero della
vita come fatica e tensione verso una «terra promessa», anche se
la presenza degli altri sembra calmare il vuoto e la distanza esistenziali. La poesia allora trasmette la linfa di una consolazione
che trascende il linguaggio e nasce naturaliter religiosa. Una prova
nella lirica Chi sei della raccolta seguente Paura di Dio (1955):
Sei Colui che ha due Volti: uno di luce
pascolo delle anime beate,
ed uno fosco
indefinito, dove sono immerse
la gran parte dell’anime, cozzanti,
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contro la persistente
ombra nemica: e vanno, in quelle tenebre,
protendendo le mani come ciechi…
Nella citazione emerge una certa spiritualità e trovo le radici per un approfondimento ulteriore: i due volti dell’unico Dio,
affascinante e tremendo, sono visti sullo sfondo del mistero della
grazia e del peccato. Direi di più: in un tessuto di affidamento e
di abbandono, espresso con preghiere accese, la sensualità apre
delle spaccature che attendono la salvezza e la redenzione:
Da questi occhi cerchiati di dolore
che ancora non Ti vedono, Signore,
riflesso dentro il mondo,
salvami Tu (…)
me cosciente, ma viva
e me, perennemente innamorata?
Dio sembra non abbordabile: e allora resta la preghiera di
affidamento nella consapevolezza del vuoto e della stanchezza,
la coscienza viva dell’impossibilità di potersi salvare da soli dalle
angosce, come in Lamento di un morto:
Il mio Dio sta immerso
di là d’un palmo, e ho le dita monche
per raggiungerlo in pieno!
Sorge allora il bisogno di mediazioni tra Dio e la poetessa.
Infatti, passando attraverso raccolte poetiche intrecciate di icone
religiose ed evangeliche (la Maddalena, Giovanni evangelista, la
Pietà, Cristo portacroce) come in Nozze romane (1955), la Merini
arriva alla silloge Tu sei Pietro (1961). Le perle di questa raccolta
sono frutto del riconoscersi debole, di argilla, bisognosa di pace
come dono di Dio, ancora percepito tremendo:
O Signore che vigili sul cuore
come enorme gabbiano
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«Un bosco assetato la mia vita»
Fino all’implorazione-invocazione, riassuntiva di tutte le
altre in Come posso perciò trasfigurare:
Ennio Laudazi
e ne carpisci le chimere buie
tue magnifiche prede,
Dio della pace, quanto cibo ormai
io Ti ho offerto negli anni! Dammi un segno
di probabile quiete
sì che io possa risplendere da viva!
Dentro la Tua pietà rendimi UNA
perché è a Te che io tendo dalla vita
prima che conoscessi questi inferni.
«E c’era anche il Messia»
Nel 1965 Alda Merini viene internata in un ospedale psichiatrico e da allora in poi la malattia segna indelebilmente il suo
itinerario umano, religioso e poetico. Nel 1979 torna a scrivere
e nel 1980 pubblica la raccolta Destinati a morire, dove la fragilità
esistenziale della creatura emerge senza pudore e vergogna. Nel
1984 vede la luce La Terra Santa dove l’esilio biblico, il manicomio
come tragedia e la preghiera quasi contemplativa zampillano
come fontana di acqua fresca:
Le più belle poesie
si scrivono sopra le pietre
con ginocchi piagati
e le mani aguzzate dal mistero.
Ispirazione biblica, dicevo, dramma esistenziale, desiderio
d’ amore sono per ora le coordinate della religiosità della poetessa. Ma a questo punto irrompe nella sua vita e nella sua arte
la presenza di Gesù Cristo come mediatore:
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E c’era anche il Messia
confuso dentro la folla:
un pazzo che urlava al Cielo
tutto il suo amore in Dio.
La domanda religiosa e cristiana è però presente ancora in
filigrana nelle raccolte che seguono: Per Michele Pieri, Le rime petrose
(1983) e La gazza ladra (1965). Nell’ultimo triennio degli anni ottanta, sia in Poesie per Marina sia in Fogli bianchi (1987) i temi della
fede e i vari riferimenti evangelici rivivono in modo dialettico, e
nella lirica Amore trovano il punto di convergenza nella preghiera
autobiografica:
Ti ho perso lungo i solchi della vita,
o mio unico amore,
Dio di giacenza e di dubbio
Dio delle mitiche forze
Dio, Dio sempre Dio
che sei più forte degli amplessi
e dei teneri amori (…).
Perderti è come perdere la speranza
ed io ti ho perduto
non una ma un milione di volte
e ritrovarti è come sorgere dall’eterno peccato
per vedere le falle della vita
ma anche le tue mobili stelle:
TU SEI UN DIO DI AMORE.
Perduto e ritrovato, amato, dubitato, tradito addirittura,
Dio sta diventando il fulcro centrale della preghiera umile e ostinata. Nella lirica che apre la raccolta Fogli bianchi, sulla scorta
ispiratrice dei libri sacri dell’Antico Testamento Giobbe e Cantico
dei cantici, la Merini confida:
Io ti chiedo Signore per che passo
dovrei entrare senza più sentire
la tua voce di colpa e di rovina.
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«Un bosco assetato la mia vita»
Nel 1995 esce la raccolta Ballate non pagate nella quale la
poetessa si rivela creatura assetata d’amore umano: esso è sì «dissacratore», ma «chiama la grazia infinita / di un grande perdono» e quando si fa poesia allora la sua origine è identificabile
e si rivela nella domanda «perché Dio mi ha dato la parola / per
parlare con trepidi linguaggi / d’amore a chi mi ascolta?». E la
risposta, perché il silenzio di Dio provoca la convinzione che la
radice dell’amore è «altrove»: «Altrove è il canto / altrove è la
parola/ e Dio non la pronuncia». Amore, linguaggio poetico,
fede: tre elementi della stessa esperienza umana e religiosa della
Merini. Come nelle raccolte successive La volpe e il sipario (1993),
Superba è la notte (2000), e, anche se con tonalità e orizzonti diversi, Clinica dell’abbandono (2003). Infatti, nella sua poesia resta
ancora viva la dialettica tra carne e spirito, tra peccato e grazia,
tra dubbio e fede, tra i due volti di Dio; per cui la vita resta un
«bosco assetato» in tensione verso «la santità che è di tutti, come
di tutti è l’amore».
Ennio Laudazi
E invece approdo sempre alle tue sfere
quando mi mostri il firmamento (…)
Perché questo tuo incanto o questa frode,
cosa ti costa prendermi sul seno?
Come in esilio vado a domandare
alla luce e al giorno se hanno visto
orma di te lungo le siepi brune.
«Egli è vivo, è vivo»
La poetessa incomincia a dare un volto più delineato e preciso alla sua ispirazione religiosa con la pubblicazione di L’anima
innamorata (2000), Corpo d’amore. Un incontro con Gesù (2001), Magnificat. Un incontro con Maria (2002) (in Mistica d’amore, Frassinelli,
Milano 2008) e La carne degli angeli (2003): meditazioni di poesia
decisamente religiosa, dettate all’amico Arnaldo Mosca Mondadori. Testi immediati, parole dalla coscienza più profonda, di219
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rette, immagini abbaglianti, soltanto qualche volta prosastiche.
La tematica fondante la sua poetica religiosa è appunto la carne
e lo spirito però, ormai, non più in contraddizione tra loro: infatti la Merini si accosta a Dio dal profondo della esperienza del
peccato e della morte e la tragica grandezza della condizione si
tende tra l’abisso dell’anima e l’infinito di Dio e invoca: «Dio che
scendi negli abissi profondi delle nostre passioni (…). Dio che
tocchi l’arpa del nostro silenzio (…). Oh Dio pieno di arroganza
e perdono, prendi le nostre notti e cercale nei miti capelli delle
donne, nei brucianti peccati, e offendi la nostra carità».
A questo punto una domanda: di quale genere è la presenza di Dio nelle pagine della raccolta Mistica d’amore? La poetessa è certamente attratta dalla persona di Gesù Cristo e questa
attrazione è sensibile, percepibile e quindi capace di far vibrare il
cuore in un soffio di consolazione e di freschezza. Gesù è l’Amato,
anche se «manda manciate di sale / nelle mie ferite aperte» (L’anima innamorata, 9). Le ferite rimarrebbero aperte se Gesù restasse
soltanto un’ombra; invece, per il mistero della sua Incarnazione
e della sua Passione è insieme un corpo d’amore crocifisso. Per
cui il dialogo amoroso con Lui è approssimazione e nascondimento allo stesso tempo e l’ispirazione poetica scaturisce proprio
da questo amore interpersonale: «Io amo te e vorrei che tu mi
guardassi negli occhi, e metto degli occhiali affinché tu non possa
vedere i miei occhi perché entreresti con le tue mani nella mia
anima e sentiresti che il mio cuore pulsa in una sola direzione,
per questo faccio finta di non vedere». Nello sviluppo della sua
esperienza religiosa Alda Merini trova come ponte che conduce
al mistero di Gesù Cristo il Magnificat di Maria, la Madre del
Crocifisso. Seguono, come nella corona del Rosario, ai misteri
gaudiosi della vita del Figlio di Dio i misteri dolorosi e gloriosi,
colmi di speranza, espressa con sincera intelligenza di fede per
bocca della Vergine stessa, «donna di Dio» e «la sola radice del
mondo»:
«Un bosco assetato la mia vita»
Altra mediazione tra la creatura e Dio, tra la sensualità e lo
spirito in La carne degli angeli (2003). Con immagini fantasiose, metaforiche e a volte spericolate, la poesia e la prosa della raccolta
stanno a testimoniare che il percorso artistico della Merini va
a centrare sempre più intensamente la sua ispirazione religiosa
e cristiana. Infatti, la presenza degli angeli accompagna il suo
scavo «nel tufo e nella pietra» alla sincera ricerca del vero Dio
che medica le ferite, perché «tutte le spine che ci hanno trafitti nel
corso della vita sono diventate aghi sublimi per intessere il volto
dell’angelo». Gli angeli sospingono verso la croce e neanche una
lagrima sarà versata invano! La presenza angelica quindi è lotta
contro Satana e il male, è sostegno nella ricerca di Dio, guida e
medicina sicure per accettare il mistero del dolore alla luce della
croce di Cristo: «Quindi la speranza di poter parlare di voi, angeli, è uguale alla speranza di poter correre e salvarsi da questa
malvagità incombente che Cristo ha scoperto andando a morire
per i nostri dolori». Agli angeli è accostata Maria, Regina degli
angeli e «intelligenza angelica, un commento alla forza di Dio».
Ennio Laudazi
Egli è vivo,
è vivo,
lo grida la mia carne di madre.
«Pane di Dio in terra»
Poema della croce (2004), Cantico dei Vangeli (2006), Francesco.
Cantico di una creatura (2007): gradatamente l’esperienza umana
e religiosa della poetessa diviene cristiana e mistica, cioè canto
contemplativo. Proviamo a giustificare questa affermazione con
realismo sincero ed equilibrato e con passaggi brevi, ma incisivi.
La carne e lo spirito, elementi fondanti la sua poesia o la
sua prosa poetica, si incontrano, si uniscono e si fondono:
Dio che scendi negli abissi profondi delle nostre passioni (…),
Dio che tocchi l’arpa del nostro silenzio (…).
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Oh Dio pieno di arroganza e perdono,
prendi le nostre notti e cercale nei miti capelli delle donne,
nei brucianti peccati, e offendi la nostra carità.
Il dialogo d’amore con Gesù, la sua presenza àncorano
la Merini al mistero dell’Incarnazione del Figlio Dio, nel Verbo
fatto carne. E in questa luce Il poema della croce tende a penetrare
nel cuore di Gesù Cristo. Basta leggere la presentazione del Ravasi per averne conferma e accettare l’affermazione che qui raggiunge il vertice e in seguito il divenire dell’ispirazione cristiana
e mistica di Alda Merini. In questa proclamazione di fede ha
inoltre significato pieno la testimonianza cattolica riguardante il
sacramento dell’Eucaristia:
Eterna natura paziente angelica,
pane vivo ad oltranza
che hai dita sacre come la luce.
Pane di Dio in terra
che trasmuti le lacrime in vino dolce.
Comunione dei forti,
comunione dei deboli,
fonte di ispirazione per i poeti (…).
Nelle raccolte poetiche che ho citato tutti i «personaggi»
che Gesù incontra e che si lasciano incontrare da Lui nel dialoghi intessuti da Lui e con Lui emerge il desiderio di un rapporto forte e il frutto è straordinariamente fecondo. Per esempio:
la fede cristallina della Madre del Signore, sulla quale brilla la
carezza di Dio, è «una mano / che ti prende le viscere, / la fede
è una mano/ che ti fa partorire». Il poema stesso diventa canto
di lode. Per esempio: la tensione d’amore folle che unisce Francesco «povero e nudo» alla trascendenza fa proclamare al Santo
di Assisi:
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«Un bosco assetato la mia vita»
Fede cristallina, amore folle, speranza certa: le tre virtù
teologali che convergono dinamicamente verso l’ultima opera
poetica che la Merini ha scritto e ha pubblicato nel settembre
del 2009 Padre mio, il suo testamento spirituale. P. David Maria
Turoldo e Giovanni Paolo II, i due sacerdoti e le due persone
di riferimento, protagonisti e interlocutori, per scoprire infine la
Chiesa e nella Chiesa essere tralcio che porta frutto e che l’agricoltore pota perché ne porti di più. La speranza che non delude!
La poetessa scrive a P. Turoldo: «Avevi saputo dal Cristo / che
le pietre sono leggere come musica» e P. Turoldo le aveva promesso: «Anche se non credi,/ io porterò con me/ sulla cima
dell’universo/ dove tu potrai vedere/ le tempeste della tua vita./
E scoprirai quel giorno/ che Dio fa una cosa sola: / disperde
il nostro profumo / nell’infinito /per dare vita al Suo respiro».
E saluta il Papa polacco con un arrivederci: «Addio, profondo
vecchio (…) / Sei ancora lì che palpiti/ e non vuoi e non puoi
morire».
Ennio Laudazi
Invaso dal tuo Spirito, Signore,
anche se non ho abito
sento il calore del sole.
Come il sole scalda
questa misera terra del tuo servo,
questa terra d’argilla
fonte di peccati e di fughe!
Conclusione
Fede nel mistero pasquale di Gesù Cristo, morto e risorto:
è questo l’approdo dell’esperienza religiosa e cristiana di Alda
Merini; una grande vocazione lungo l’itinerario della sua vita,
giorno per giorno, una storia di abbandono, di confidenza e di
conquista attraverso la poesia, ora popolare ora mistica.
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O Dio, pieno di grazia
Che tremi tra le dita delle donne.
O Dio tremendo che baci il sole,
che diventi rugiada,
o Dio di Dio,
che scomponi le labbra
e le unisci nella preghiera,
Dio che divarichi il cuore
e poi lo ricomponi.
Condivido l’affermazione dei critici letterari allorché scrivono che la vita della Merini è intrinsecamente poesia, di «evidentissima valenza religiosa (…) per un’alternanza di timbri,
da quelli tipicamente cristiani, secondo una flessione di chiara
ortodossia, a quelli che rasentano l’eresia» (G. Veneziano, Elena
Bono, Alda Merini: due esperienze religiose nella poesia italiana del ‘900,
in F.D. Tosto, La letteratura e il sacro, vol. III, Edizioni scientifiche
italiane, Napoli-Roma 2011, p. 162) e aggiungo che l’arte della
poetessa contiene ed esprime una grande vocazione religiosa,
come lei stessa ha affermato in una lettera pubblicata nella sua
raccolta Destinati a morire: «Vorrei dirti secondo la mia aperta fede
cattolica che la vita per me è nulla se non è vissuta in seno al
Signore». Trascrivo una breve annotazione autobiografica che
lessi sul quotidiano «Avvenire» del 16 ottobre 2004: per il compleanno di Giovanni Paolo II scrisse che «però mano a mano lo
spirito cresce, si allarga, diventa grande come il Nilo e feconda la
terra: così la voce del Papa, che ha invaso tutti i panorami della
nostra conoscenza. Auguri, Santo Padre».
Quando Alda morì il 1° novembre 2009 – Solennità liturgica di tutti i Santi – lessi della sua vita e delle fonti della sua
ispirazione poetica su alcuni giornali e riviste che conservo ancora in una cartella. Li ho riletti e due stralci li voglio citare ora
in questo contesto. G. Ravasi sul Corriere della sera del 2 novembre,
p. 21: «(…) Nella vita di Alda come nei suoi versi c’era una religiosità profonda e mistica: intreccia due dimensioni fondamentali per la cristologia: la carnalità di Gesù, l’immagine di Cristo
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«Un bosco assetato la mia vita»
Ennio Laudazi
come lacrima di Dio che copre tutta la carne del Figlio, tutto il
dolore dell’uomo; e insieme la scoperta della trascendenza nel
Suo amore infinito». Su Il Tempo del 3 novembre 2009, p. 28 alla
domanda della giornalista Bianca Maria Simeoni: «Nei periodi
più difficili della sua vita, si è sentita un gladiatore nell’arena o si
è lasciata andare?», la poetessa ha risposto: «Mi sono rimessa alla
volontà divina. E ho capito che l’uomo non è padrone del proprio destino. Ho avuto fiducia nella Provvidenza. Ma abbiamo
un Dio – oserei dire – violento. Sì, d’accordo: “prendi tuo figlio
immolalo”, è una prova d’amore tremenda. Però obbediscono:
la Madonna obbedisce».
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