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BIBLIOTECA DI RIVISTA DI STUDI ITALIANI CONTRIBUTI MARINETTI E I FUTURISTI: PRATICHE ANTIFILOSOFICHE NELL'ITALIA GIOLITTIANA E OLTRE FERNANDO MARAMAI Università degli Studi di Siena 1. Vitalismo e intuizione Sin dalle prime dichiarazioni programmatiche il movimento futurista si pone su un piano nettamente antifilosofico. Con le biblioteche e i classici, la filosofia è considerata portatrice di pesantezza e passatismo, disciplina di un "pensiero astratto" in cui trovano la loro legittimazione il culturalismo e l'accademismo dell'ambiente intellettuale e artistico nell'Italia dei primi anni del Novecento, laddove invece i futuristi invocano l'abbattimento della barriera tra pensiero e azione. Marinetti taglia i ponti con il passato, nega ogni legame con la cultura e il pensiero che precedono il fatidico 1909 e rifiuta l'ascendente di qualsiasi padre o movimento artistico, compresi il simbolismo, nell'ambito del quale ha dato le sue prime prove letterarie, e il crepuscolarismo, al quale sono appartenuti e continuano ad appartenere stilisticamente i primi poeti futuristi. Tuttavia, nel dettare la linea estetica del movimento, esprime una serie di assunti ideologici che sono chiaramente debitori del pensiero filosofico nietzschiano: il dionisiaco come principio imprescindibile dell'essere vitale, l'idea del superamento dei limiti attraverso la volontà, l'invito alla leggerezza, la follia come saggezza. Marinetti conosceva le opere di Nietzsche1. Aveva apprezzato in particolare la visionarietà dello Zarathustra, la cui ombra lunga si estende in almeno due 1 Già nel 1902, dando conto delle sue letture per una inchiesta giornalistica de L’Ermitage, Marinetti segnala i suoi autori prediletti (Flaubert, Mallarmé, Baudelaire, Verlaine) e dice anche di aver letto tutto Nietzsche, oltre a Cartesio, Carlyle, Spinoza, i Pensées di Pascal, le Confessions di Rousseau e le Lettres persanes di Montesquieu (cfr. F.T. Marinetti, "J’aime entre tous le poète Stéphane Mallarmé", in "Les poètes et leur poète", L’Ermitage, a. XIII, n. 2, febbraio 1902). Nel 1909, rispondendo ad un’inchiesta sui libri indispensabili di una biblioteca, per quanto riguarda la filosofia Marinetti indica Les Discours de la méthode di Descartes, l’Ethique di Spinoza, Le monde comme volonté et comme répresentation di Schopenhauer, Les Pensées di Pascal, Sartor Resartus di Carlyle e le Œuvres complètes di Nietzsche (cfr. Ce qu’ils lisent, cent-dix-sept réponses à l’enquête sur la 314 FERNANDO MARAMAI opere letterarie del poeta, entrambe incentrate su figure profetiche portatrici di un messaggio palingenetico per l'umanità. Nel romanzo Mafarka le futuriste, iniziato nel 1902 ma terminato dopo l'uscita del manifesto di fondazione, e quindi ascrivibile al periodo della produzione futurista, anche in virtù del titolo infine scelto dall'autore2, l'eroe eponimo attraversa una serie di esperienze iniziatiche ed entra in contatto con i misteri che regolano la natura e l'universo che lo portano a pronunciare il suo "discorso futurista" agli uomini: un proclama intriso di lessico nietzschiano e individualismo stirneriano che annuncia la nascita dell'uomo del domani, di un nuovo essere ideale capace attraverso la Volontà e l'Eroismo di impossessarsi della materia e modificarla a suo capriccio in vista di un trionfale Avvenire. Essere primitivo e innovatore è anche Kabango, il re dell'Africa equatoriale che nel dramma Il Tamburo di fuoco3 si fa carico della redenzione del proprio popolo cercando di portare in salvo le pelli sacre su cui sono tracciati i segreti per dominare la natura e i progetti per la costruzione delle opere umane (le oasi, i laghi artificiali e le ferrovie); nel suo cammino ascensionale Kabango darà tutto se stesso, andando incontro a una morte che servirà a esaltare e diffondere il suo messaggio di spiritualismo materialistico. Nel 1910, poco dopo la pubblicazione di Mafarka, evidentemente sollecitato dai giudizi della critica sul futurismo, Marinetti decide di iniziare il manifesto Contro i professori con una precisazione che riguarda proprio il rapporto con Nietzsche, rifiutando ogni accostamento al filosofo: Nella lotta contro la passione professorale del passato, noi rinneghiamo violentemente l'ideale e la dottrina di Nietzsche. Mi preme dimostrare qui che la critica si è assolutamente ingannata, nel considerarci come dei nuovi nietzschiani. Vi basterà infatti considerare la parte costruttiva dell'opera del grande filosofo tedesco, per convincervi che il suo Superuomo, generato nel culto filosofico della tragedia greca, suppone in suo padre un ritorno appassionato verso il paganesimo e la mitologia. Nietzsche resterà, malgrado tutti i suoi slanci verso l'avvenire, uno dei più accaniti difensori della grandezza e della bellezza antiche. È un passatista che cammina sulle cime dei monti tessalici, coi piedi bibliothèque d’un libre cénobite, con una prefazione di A. Ferrière, Lugano: Cœnobium, 1909, p. 153). 2 Scritta in francese, l’opera è pubblicata a Parigi da Sansot all’inizio del 1910 e poco dopo a Milano, su traduzione di Decio Cinti, per le Edizioni futuriste di Poesia. 3 Milano: Sonzogno, 1922. 315 MARINETTI E I FUTURISTI: PRATICHE ANTIFILOSOFICHE NELL'ITALIA GIOLITTIANA E OLTRE disgraziatamente impacciati da lunghi testi greci4. Il Superuomo di Nietzsche – prosegue Marinetti – è "un prodotto dell'immaginazione ellenica", un derivato della classicità, "nato dalla polvere delle biblioteche", al quale i futuristi oppongono l'"Uomo moltiplicato per opera propria, nemico del libro, amico dell'esperienza personale, allievo della Macchina, coltivatore accanito della propria volontà, lucido nel lampo della sua ispirazione, munito di fiuto felino, di fulminei calcoli, d'istinto selvaggio, d'intuizione, di astuzia e di temerarietà"5. È una dichiarazione molto forte, che nasconde però un sottotesto da rintracciare. Marinetti sa bene che Nietzsche nel richiamarsi alla grecità si è tenuto alla larga proprio dal classicismo, e anzi ha elaborato un dionisismo che è espressione dell'irrazionale, istinto, liberazione, slancio vitale e disprezzo per le forme costrittive e innaturali del pensiero, come la morale. Non a caso i filologi tedeschi, tra cui WilamowitzMöllendorf, avevano espresso severe critiche nei confronti de La nascita della tragedia. Sicuramente l'Übermensch teorizzato da Nietzsche nelle opere seguenti aveva un collegamento con la cultura antica, ma pur partendo da un retroterra filologico, il filosofo ne aveva delineato i tratti prometeici in relazione alla dialettica interna al mito e all'idea antistoricistica dell'"eterno ritorno", del continuo rinnovarsi delle forze della natura nel ciclo vita-mortevita. Da parte sua Marinetti parla di un Uomo moltiplicato, inteso in senso evoluzionistico, ma i termini che ne caratterizzano la forza – "volontà", "ispirazione", "istinto selvaggio", "intuizione", "astuzia", "temerarietà" – lo rendono molto vicino all'Übermensch di Nietzsche. Proseguendo il proprio discorso Marinetti potrebbe approfondire le differenze tra la sua visione dell'Uomo nuovo e quella del filosofo, ma nel confronto con Nietzsche non fornisce altri chiari elementi di distinguo e insiste ancora sulla dicotomia tra l'eroismo e la vitalità del futurismo e lo sterile culto per il passato, ripetendo la sua condanna inappellabile: "noi abbandonammo Nietzsche una sera di dicembre, sulla soglia di una biblioteca che inghiottì il filosofo fra i suoi battenti di calore dotto e comodo"6. La sera cui allude il poeta è quella del terremoto di Messina del 28 dicembre 1908, che aveva distrutto quasi completamente la città e fatto ritardare l'uscita del manifesto di fondazione del futurismo, un evento catastrofico che – rovesciandone la tragicità – viene assunto come momento chiave del distacco definitivo da Nietzsche. Il legame con il filosofo è comunque riconosciuto implicitamente attraverso l'uso del 4 F.T. Marinetti, "Contro i professori", maggio 1910; ora in F.T. Marinetti, Teoria e invenzione futurista, a cura di L. De Maria, Milano: Mondadori, 1968 (1996), pp. 306-310. La citazione si riferisce a p. 306. 5 Ivi, p. 307. 6 Ibidem. 316 FERNANDO MARAMAI verbo "abbandonare", spia del rapporto con un padre "edipicamente" rifiutato ("noi non abbiamo ascoltato i consigli prudenti che Nietzsche ci avrebbe dati e abbiamo contemplato con orrore la gioventù italiana che colava [...] verso quelle grandi fogne dell'intellettualità"7). A questo punto Marinetti torna all'episodio del terremoto per scatenare la sua epica: Non dormimmo, quella notte, e all'alba ci arrampicammo fin sopra alle porte delle Accademie, dei Musei, delle Biblioteche e delle Università, per scrivervi col carbone eroico delle officine questa dedica, che è anche una risposta al Superuomo classico di Nietzsche: AL TERREMOTO LORO UNICO ALLEATO I FUTURISTI DEDICANO QUESTE ROVINE DI ROMA E ATENE8 Ancora una volta il filosofo è associato alla classicità. Eppure era stata l'influenza del Nietzsche "antiumanista" a far dire a Jarry che per demolire tutto si dovevano distruggere anche le rovine, un concetto che adesso viene traslato e fatto proprio da Marinetti. E cos'altro è l'esaltazione del terremoto come forza distruttrice della natura, terribile ma tragicamente necessaria, se non l'identificazione di un momento mitico di palingenesi? Se dunque Marinetti cerca da un lato di tracciare una linea netta di separazione con il suo precursore ideale, dall'altro ne recupera gli assunti di base per porsi su un piano irrazionale e mitico che gli è indispensabile per fondare la "volontà di potenza" del suo uomo meccanizzato, ebbro del pericolo ed esaltante la vita, e per innalzare a feticcio incondizionato la Macchina-Moloch. Pochi giorni prima dell'uscita del manifesto Contro i professori, Marinetti ha preso le distanze da un altro grande pensatore dell'Ottocento. Nel manifesto L'Uomo moltiplicato e il Regno della macchina Arthur Schopenhauer, con il quale il capo del futurismo condivide il rifiuto del formalismo razionalista in favore del primato dell'istinto contro la purezza dell'idea e la visione del "mondo come volontà impetuosa, che si oggettiva sia nelle forze della natura che nella rappresentazione delle idee"9, e l'idea dell'attività creativa come vertice degli sforzi umani, è chiamato in causa come maestro di pessimismo, "quel filosofo amaro che tante volte ci porse il seducente revolver della filosofia per uccidere in noi la profonda nausea dell'Amore coll'A maiuscolo", del quale si deve invece rovesciare l'ideologia in senso vitalistico e positivo: 7 Ibidem. Ivi, pp. 307-308. 9 C. Salaris, Marinetti. Arte e vita futurista, Roma: Editori Riuniti, 1997, p. 104. 317 8 MARINETTI E I FUTURISTI: PRATICHE ANTIFILOSOFICHE NELL'ITALIA GIOLITTIANA E OLTRE "È appunto con questo revolver – continua Marinetti – che noi bersaglieremo allegramente il gran Chiaro di luna romantico"10. Un'altra ascendenza prontamente rifiutata, seppure con minore energia, è quella da Henri Bergson. È il filosofo francese che ha dichiarato che il soggetto e l'oggetto non sono più separati, ma sono portati a contattoconoscenza dall'intuizione, e che il concetto di durata è impossibile da ricondurre ad una sola forma di temporalità, quindi soggettivo a seconda del punto di vista o degli "stati d'animo". Direttamente da Bergson deriva nel futurismo anche il concetto di simultaneità. E non prive di collegamenti con l'analisi del comico fatta nel saggio Il riso (1900) sono le serate e le sintesi futuriste. Ma l'influenza più diretta è quella che riguarda la gestazione teorica delle parole in libertà. Nel Manifesto tecnico della letteratura futurista Marinetti elabora una poetica che si basa sulle categorie dell'intuizione, dell'analogia, e sulla distruzione dell'Io e l'ossessione lirica della materia. Proprio il termine "materia", così come è impiegato da Marinetti, ha lo stesso significato datogli da Bergson: la materia non coincide solo con la realtà fisica degli oggetti, ma è l'insieme delle immagini percepibili; è concetto omnicapiente, fuggevole e inafferrabile. A questo punto entra in gioco il paroliberismo, che ricorre a immagini e ad analogie che dovrebbero servire ad afferrare tale inafferrabilità11. A pochi mesi dall'uscita del Manifesto tecnico della letteratura futurista Marinetti pubblica le sue Risposte alle obiezioni, 10 Cfr. F.T. Marinetti, "L’Uomo moltiplicato e il Regno della macchina", maggio 1910; ora in Teoria e invenzione futurista, cit., pp. 297-301. La citazione si riferisce a p. 301. 11 Cfr. L. De Maria, Introduzione a Teoria e invenzione futurista, cit., pp. LXIX-LXX. Così Bergson in Matière et mémoire (Paris: P.U.F., 1965): "J’appelle matière l’ensemble des images, et perception del la matière ces mêmes images rapportées è l’action possible d’une certaine image déterminée, mon corps"; mentre Marinetti scrive: "L’analogia non è altro che l’amore profondo che collega le cose distanti, apparentemente diverse ed ostili. Solo per mezzo di analogie vastissime uno stile orchestrale, ad un tempo policromo, polifonico, e polimorfo, può abbracciare la vita della materia. [...] Per avviluppare e cogliere tutto ciò che vi è di più fuggevole e di più inafferrabile nella materia, bisogna formare delle strette reti d’immagini o analogie, che verranno lanciate nel mare misterioso dei fenomeni" ("Manifesto tecnico della letteratura futurista", 11 maggio 1912; ora in Teoria e invenzione futurista, cit., pp. 48-49. Sulla teoria delle parole in libertà si vedano inoltre i manifesti "Distruzione della sintassi – Immaginazione senza fili – Parole in libertà", 11 maggio 1913, e "Lo splendore geometrico e meccanico e la sensibilità numerica", 18 marzo 1914, in ivi, pp. 65-80 e 98107). 318 FERNANDO MARAMAI dove puntualizza che, assai prima di Bergson, Dante e Poe (il primo in un passo del Canto XI del Paradiso e il secondo nel Colloquio di Monos e Una) hanno affermato "il loro odio per l'intelligenza strisciante" e accordato "tutti i diritti all'immaginazione intuitiva e divinatrice"; per tornare di seguito ai concetti di intuizione e intelligenza: Quando parlo d'intuizione e d'intelligenza non intendo già di parlare di due dominii distinti e nettamente separati. Ogni spirito creatore ha potuto constatare, durante il lavoro di creazione, che i fenomeni intuitivi si fondevano coi fenomeni dell'intelligenza logica. È quindi impossibile determinare esattamente il momento in cui finisce l'ispirazione incosciente e comincia la volontà lucida. Talvolta quest'ultima genera bruscamente l'ispirazione, talvolta invece l'accompagna. Dopo parecchie ore di lavoro accanito e penoso, lo spirito creatore si libera ad un tratto dal peso di tutti gli ostacoli, e diventa, in qualche modo, la preda di una strana spontaneità di concezione e di esecuzione. La mano che scrive sembra staccarsi dal corpo e si prolunga in libertà assai lungi dal cervello, che, anch'esso in qualche modo staccato dal corpo e divenuto aereo, guarda dall'alto, con una terribile lucidità, le frasi inattese che escono dalla penna. Questo cervello dominatore contempla impassibile o dirige, in realtà, i balzi della fantasia che agitano la mano? È impossibile rendersene conto [...]. Per intuizione, intendo dunque uno stato del pensiero quasi interamente intuitivo e incosciente. Per intelligenza, intendo uno stato del pensiero quasi interamente intellettivo e volontario12. Quasi contemporaneamente viene pubblicato un volantino bilingue a cura della Direzione del Movimento Futurista che riporta l'articolo di Auguste Joly dal titolo Il futurismo e la filosofia, estratto da La Belgique artistique et littéraire del luglio del 1912. Prendendo spunto dall'Esposizione di pittura futurista tenutasi a Bruxelles, Joly invita a superare i luoghi comuni e le letture superficiali che si erano avute sinora sul futurismo, visto semplicisticamente come odio per il passato, culto dell'avvenire e rifiuto della cultura, per dare invece una giusta collocazione al movimento nel contesto del pensiero contemporaneo: [...] noi abbiamo udito ora ora il rimprovero, che si fa al futurismo, di andare verso l'avvenire con le idee e i costumi delle barbarie iniziali. È questa una chiacchiera da salotto e non contiene una gran dose di realtà 12 F.T. Marinetti, "Risposte alle obiezioni", 11 agosto 1912; lo si può leggere in ivi, pp. 55-62. La citazione si riferisce alle pp. 55-56. 319 MARINETTI E I FUTURISTI: PRATICHE ANTIFILOSOFICHE NELL'ITALIA GIOLITTIANA E OLTRE efficace. L'avvenire non può essere che nel passato. Si tratta semplicemente di vedere, colla luce dei giorni nuovi e l'insegnamento di emozioni più numerose, qual gesto, evidentemente insegnato dal passato, ci permetterà di abbracciare più strettamente la vita nell'avvenire. I "rinascimenti" (in arte, per esempio) vengono a rompere le continuità. [...] Misurate, ci dice il futurismo, la vostra vita, non sulla durata, ma sull'intensità. Forse l'uomo soffre anzitutto di abitudini immemorabili e artificiali, lentamente acquisite dal suo pensiero. Perché fare, per esempio, della vita una durata? Concepitela come forza! [...] Il futurismo ci dice press'a poco (non si deve mai pretendere di saper troppo bene la formola di una dottrina): Agite, agite secondo il massimo delle vostre energie e non lasciate diminuire né queste energie né le loro possibilità esterne, da un'idea, ossia da una emozione già antica, sia che l'abbiate ricevuta direttamente dall'universo, sia che essa vi sia stata trasmessa da un'altra cerebralità...13 Il programma d'azione del futurismo – prosegue Joly – è in netta concordanza con i programmi di pensiero delle nuove filosofie, in particolare con il pragmatismo di Bergson, dal quale riprende il principio della "diffidenza dell'idea". Eccessivamente definita e statica, l'idea è isolata dalla verità immediata, che invece dovrebbe essere presentata allo spirito in un modo continuo e vivo. L'invito alla "furiosa lotta con l'esistenza" fatto dal futurismo non sarebbe però soltanto un allineamento dell'arte con le nuove filosofie, ma l'esito di una disputa che risale ai tempi di Platone e che ha visto per secoli il protrarsi del confronto tra il più perfetto esercizio del pensiero, ovvero la "speculazione", e la sperimentazione. L'idea ha reso a lungo incredibile l'immobilità relativa del sole, la rotondità della terra, l'evoluzione della vita; mentre è innegabile che "quasi tutte le verità scientifiche furono conquistate a spese dell'idea". Per secoli l'uomo ha preferito allo studio del mondo quello degli scritti di Aristotele, e neppure con l'affermazione della scienza sperimentale del XVIII secolo si è iniziato a considerare l'idea come sospetta. Un fatto piuttosto clamoroso – prosegue Joly – se si pensa che proprio in seno al pensiero umano sin dai tempi antichi era nata una tendenza opposta all'idea, un filone rilevante, seppure minoritario, contrassegnato da un "senso diretto" delle cose, della vita e del pensiero, cui sono appartenuti i primi orgiastici e i primi mistici, gli orfici, Pitagora, alcuni alessandrini, Bacone e Pascal. Proseguendo questo filone minoritario Marinetti e i futuristi 13 A. Joly, "Il futurismo e la filosofia", luglio 1912; lo si può leggere in Marinetti e i futuristi, a cura di L. De Maria, Milano: Mondadori, 1973 (2000), pp. 263-268. La citazione si riferisce alle pp. 263-264. 320 FERNANDO MARAMAI hanno lo stesso "senso diretto" dei mistici e degli orgiastici, poiché fondano le proprie idee sul dogma e – in questo caso a differenza di Bergson, che ha concepito il suo sistema "cercando di pensare ciò che la scienza moderna esperimenta" – sul simbolo. Esente dai difetti dell'idea, quest'ultimo è capace di serbare per l'emozione il suo valore vitale, il suo contatto con la vita, poiché è "espressione diretta dell'universo esistente nell'universo pensante". Non è dunque un caso accidentale che il pensiero futurista abbia scelto di manifestarsi subito in espressioni artistiche: Ora, che cosa ci dicono i pittori futuristi? L'immagine in un quadro, il lato iconico, fotografico, non è che un canevaccio, non indispensabile, su cui corre la suggestione delle linee e dei colori. [...] Invece di seguire la legge della visione, il pittore futurista seguirà quella dell'emozione. Egli si guiderà sul potere misterioso che possiede un gesto, una linea, una sfumatura, di evocare un certo movimento d'anima, o un certo colore di emozione, e per fissare, senza interromperlo, un istante dell'aspetto universale. Così, il futurismo fa il processo della percezione ordinaria nella vista, come Bergson fa quello dell'intelligenza nell'idea. I due movimenti si sono rivelati uguali finora, ed entrambi conducono all'impiego di continuità simboliche d'emozione. [...] Dovrà il quadro essere un aspetto del mondo? Oppure una comprensione di questo mondo? E non posso, io, in tal modo, rifiutare legittimamente anche la legge di trasposizione sul piano orizzontale? Non posso ammettere la rettifica, per opera del cervello, degli errori, dei limiti della visione? Bergson concepisce il mondo, la vita, l'essere, come una proiezione ininterrotta che delle vite coordinano in organismi; coordinano, in stati di coscienza, questi assoluti relativi: Io penso, io sono... Il futurista trova le stesse qualità di assoluto, di finito, nel suo modo di coordinare non già un aspetto, ma un motivo dell'infinito universale, per una coordinazione simbolica. Così la coordinazione, legge di tutti gli organismi passa (come virtù simbolica) nell'opera d'arte, e le comunica una specie di vita propria, direttamente attinta dalla vita universale. Non è più necessario che il quadro somigli alla natura, ma bisogna che esso somigli a sé stesso e si conferisca la propria autenticità14. È assai significato che Joly argomenti la sua tesi sul rapporto diretto tra Bergson e il futurismo attraverso la pittura. Più di Marinetti, assiduo e attento lettore di Bergson è infatti Umberto Boccioni, che alla ricerca di un'arte volta alla conoscenza più che alla celebrazione roboante del nuovo crea in quegli anni una pittura compenetrata di speculazione filosofica che è, come scrive 14 Ivi, pp. 267-268. 321 MARINETTI E I FUTURISTI: PRATICHE ANTIFILOSOFICHE NELL'ITALIA GIOLITTIANA E OLTRE Gianni Eugenio Viola, vera e propria "azione di un pensiero"15. 2. Contro Croce Al di là del rapporto ambiguamente dialettico con Nietzsche e Bergson, è chiaro che in senso filosofico ed estetico il nemico maggiore per Marinetti e i futuristi è rappresentato dalla cultura razionalistica: da una linea di pensiero che da Hegel arriva sino al neoidealismo che domina la cultura italiana dei primi decenni del Novecento, e i cui esponenti maggiori sono Benedetto Croce e Giovanni Gentile. Il futurismo è a favore di una liberazione tout court delle energie psicofisiche dell'uomo, si richiama alla prassi, è per la trasformazione estetica, morale, sociale e politica, pone l'ignoto contro il certo, l'energia e il movimento contro la fissità del concetto e in questo si trova in netta opposizione con un pensiero estetico che decreta la separazione dell'arte rispetto a qualsiasi altra attività dell'uomo. Malgrado ciò, nei primi anni di vita del movimento, Marinetti evita lo scontro diretto con Croce e i neoidealisti e al momento del lancio del manifesto su Le Figaro il filosofo è addirittura tra gli intellettuali che ricevono personalmente una copia del foglio, accompagnata da una lettera in cui il fondatore del futurismo scrive: Illustre Maestro, Vi sarò riconoscentissimo se vorrete inviarmi il vostro giudizio sul nostro Manifesto del Futurismo e la vostra adesione totale o parziale. Aspettando la vostra risposta, che sarà pubblicata in Poesia, vi prego di gradire i miei ringraziamenti anticipati e l'espressione della mia alta considerazione16. Il tentativo di Marinetti non deve sorprendere perché Croce gode già da un decennio di grande fama e rispetto nell'ambiente intellettuale italiano e Marinetti sa bene che per far breccia nella cultura nazionale il giudizio del filosofo è comunque un passaggio obbligato. Non si hanno notizie di una risposta, evidentemente mai arrivata, poiché in tal caso è chiaro che un qualsiasi tipo di responso sarebbe stato certamente sfruttato a proprio favore da Marinetti. E ci sono d'altra parte diversi motivi per pensare che il 15 G.E. Viola, L’utopia futurista. Contributo alla storia delle avanguardie, Ravenna: Longo, 1994, p. 61. 16 La lettera autografa di Marinetti inviata a Croce, s.d. ma 1909, è conservata alla Fondazione Benedetto Croce di Napoli ed è stata pubblicata da Matteo D’Ambrosio in Nuove verità crudeli. Origini e primi sviluppi del futurismo a Napoli, Napoli: Guida, 1990, p. 49 e in Marinetti e il futurismo a Napoli, Roma: De Luca, 1996, p. 16. 322 FERNANDO MARAMAI "classicista" e "carducciano" Croce abbia semplicemente lasciato cadere l'invito di aderire ad una cultura da lui non condivisa. Un vero incontro tra Croce e Marinetti avviene nell'aprile del 1910 a Napoli, quando la pattuglia futurista sbarca in forze per la prima serata nella città partenopea. Con Marinetti appaiono al Teatro Mercadante Palazzeschi, Boccioni, Carrà, Russolo, Altomare, Mazza, Giuseppe Carrieri e Aroldo Bonzagni. Tra il pubblico numerosissimo ci sono i maggiori esponenti della cultura cittadina: Eduardo Scarpetta, che cerca di intervenire ma non riesce ad esser sentito perché la sua voce è surclassata da fischi e pernacchie, Vincenzo Gemito, in bella vista su un palco di proscenio schierato dalla parte dei futuristi, Filippo Cifariello e Matilde Serao, dal cui palco a un certo punto viene lanciata una arancia contro Marinetti. Croce assiste in poltrona, senza farsi coinvolgere. Nei giorni successivi, prima di lasciare la città, i futuristi si recano da lui per una visita cordiale, ma nel corso della lunga conversazione emergono inevitabili disaccordi. Con Marinetti e gli altri compagni c'è anche Carlo Carrà, che racconterà l'episodio nella sua autobiografia: Venuti in discussione ad un dato momento Nietzsche e Bergson, domandai che cosa ne pensasse, ed egli non titubò ad affermare che il primo era un poeta più che filosofo e il secondo difettava di metodo sistematico ed aggiunse: "Credo che l'impressionismo stia più a posto nella pittura che nella filosofia" [...] Si passò poi a questioni di estetica e ben mi avvidi subito di essere di fronte ad un uomo che di questa scienza conosceva tutti gli aspetti più reconditi, e sorridendo feci notare che si può scrivere dei libri su di essa e poi avere alle pareti della propria casa dei brutti quadri; alla qual cosa Croce, pur sorridendo, mi rispose che i dipinti a cui alludevo erano una eredità di suo padre e che questa gli sembrava ragione abbastanza valida per indurlo a conservarli17. Le vere ostilità nei confronti di Croce si aprono nel 1913, quando entrano a far parte del futurismo Giovanni Papini e il gruppo lacerbiano. Il movimento ha nel frattempo affinato il proprio impegno artistico, con sperimentazioni letterarie e pittoriche, apparizioni nelle piazze e nei teatri, perseguendo un'idea di cultura non contemplativa, ma al contrario capace di penetrare la realtà e di intervenire su di essa. Nel mito tecnologico è vista una opportunità rivoluzionaria, l'accesso ad una nuova era in cui le masse finalmente avranno 17 C. Carrà, La mia vita, Milano: Rizzoli, 1945; ried. Milano: Abscondita, 2002, p. 92. Alla visita di Marinetti e compagni accenna anche Croce in una lettera a Casati datata 25 aprile 1910 e pubblicata in B. Croce, Epistolario, Vol. II, Lettere ad Alessandro Casati. 1907-1952, Napoli: Istituto Italiano per gli Studi Storici, 1969, pp. 4-5. 323 MARINETTI E I FUTURISTI: PRATICHE ANTIFILOSOFICHE NELL'ITALIA GIOLITTIANA E OLTRE un mezzo di liberazione per fondare una cultura opposta a quella della borghesia, che per necessità di certezze e di valori ha costruito i propri fondamenti sull'impiego retorico del passato e dei classici. Nella sua linea sperimentalista inoltre il futurismo rifiuta l'idea del capolavoro e del genio isolato, sostenendo la produzione artistica come prassi collettiva e preferendo il dilettantismo all'"intellettuale di professione", poiché è nel dilettantismo e nella cultura di gruppo che si può allacciare un contatto non elitario tra l'arte, le masse e la vita reale. Pur non approvando tutte le posizioni di Marinetti, Papini si trova a condividere con lui una ideologia basata sul più spinto irrazionalismo. Tra i futuristi il fiorentino è l'unico che ha approfondito le questioni filosofiche. Prima di dar vita a Lacerba, Papini è stato direttore del Leonardo e collaboratore de La Voce, e si è battuto con Giovanni Vailati, Mario Calderoni e Giuseppe Prezzolini per l'affermazione del pensiero di Peirce, James, Schiller e Bergson, contro la diffusione delle dottrine di derivazione hegeliana, in particolare dell'idealismo di Croce, Gentile, Pietro Martinetti e Pantaleone Carabellese, che a inizio Novecento venivano a convergere – per la critica al positivismo – su posizioni vicine a quelle della cultura cattolica18. 18 I rapporti tra Croce e Papini in realtà all’inizio erano stati all’impronta di una buona cordialità. Nel 1902 il giovane Papini aveva scritto a Croce, già affermato e noto come filosofo, per avere un contributo bibliografico su Vico e gli hegeliani napoletani a integrazione di un suo saggio per la rivista di Chicago The Monist. Croce aveva accettato e tra i due era iniziata una corrispondenza. Lo stesso anno Papini aveva letto il trattato di Croce Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale restandone colpito positivamente, ma già nel '4-'5 iniziano le prime tensioni, con il direttore del Leonardo che rifiuta la Logica e il sistema filosofico di Croce, secondo lui troppo universale e privo di praticità, senza analisi gnoseologica e storica. Lasciata ogni simpatia per l’idealismo Papini intende ormai la vita attivamente, concedendo all’indole soggettiva dell’uomo e al libero arbitrio la possibilità di vivere i diversi suoi aspetti, seguendo non la razionalità ma il sentimento; per lui la vita precede il pensiero, e la filosofia non può essere logica aprioristica, creazione di un sistema astratto, ma deve derivare dal vissuto individuale. Il rapporto con Croce va incontro ad un logoramento e si riduce sensibilmente a partire dal '9, sino al definitivo distacco del 1911 con la stroncatura di Papini al saggio La filosofia di Giambattista Vico. Nel 1905 intanto, in nome del pragmatismo americano, Papini aveva già rotto con Gentile (i due si riavvicineranno solo nel '23). Una ricostruzione dettagliata del rapporto tra Papini e Croce e tra Papini e Gentile è stata data da Vincenzo Regina in Giovanni Papini dal Leonardo a Lacerba (1902-1913) attraverso suoi carteggi inediti ed editi, tesi di dottorato di ricerca in Filologia moderna, 324 FERNANDO MARAMAI Nei primi anni del secolo, sentendosi minacciata da sinistra, la borghesia ha colto nel sistema dell'idealismo neohegeliano una idea filosofica che faccia argine contro il marxismo e il materialismo, e che giustifichi il sistema sociale esistente. A favore del pensiero crociano e gentiliano si sono trovati così uniti disparati indirizzi ideologici conservatori, concordi nell'affermare una cultura borghese laica ma non anticlericale. In tale contesto, da acceso sostenitore della rivoluzionarietà del pensiero pragmatico rispetto alle altre scuole filosofiche, Papini ha pubblicato nel 1906 il saggio Il crepuscolo dei filosofi19, dove, dichiarando la fine delle scoperte in filosofia, ha attaccato ferocemente la filosofia da Kant in poi, non risparmiando neppure Nietzsche, dal quale ha ripreso comunque l'idea che il vero dominatore dell'uomo è il corpo, non l'anima o la vita dello spirito, che sarebbero invenzioni, come la morale e il peccato. Sinora privo di particolari dichiarazioni a livello filosofico, eccetto i continui attacchi superficiali sui manifesti, il futurismo trova dunque nel fiorentino un importante teorico sia sul piano ideologico che poetico. Dopo aver terminato Un uomo finito20, in cui ha cercato attraverso la letteratura di risolvere i propri rovelli interiori confessando una volta per tutte di non voler creare alcun sistema filosofico, tra il '13 e il '14 Papini propone con i suoi articoli su Lacerba una nuova versione di anarchismo stirneriano: professa l'immoralismo, invoca la chiusura delle scuole, insiste sulla necessità della liberazione dal passato, approfondisce il concetto di arte come gioco, licenza e capriccio, sostiene il teppismo letterario e giustifica l'uso della violenza per l'affermazione delle idee21. Da qui in poi gli attacchi antifilosofici del XVIII ciclo, Università degli studi di Napoli Federico II, Facoltà di Lettere e filosofia, tutor: ch.mo prof. Raffaele Giglio, ch.mo prof. Matteo Palumbo, ch.mo prof. Antonio Saccone, 2006. Sull’elaborazione filosofica di Papini sul Leonardo si vedano gli articoli a firma di Gian Falco "Me e non me" (a. I, n. 2, 14 gennaio 1903), "Piccoli e grandi giuochi" (n. 4, 8 febbraio 1903), "La filosofia che muore" (n. 10, 10 novembre 1903), "Morte e resurrezione della filosofia" (n. 11, 20 dicembre 1903), "Marta e Maria (dalla contemplazione all’azione)" (a. II, n. 12, marzo 1904), "I filosofi a Ginevra" (n. 14, novembre 1904). 19 Il libro era stato stampato a Firenze nel novembre 1905, per poi uscire nel 1906 per la Società Editrice Lombarda di Milano. Una seconda stampa riveduta uscirà nel '14 a Firenze per le Edizioni di Lacerba. 20 Pubblicato nel gennaio del '13 a Firenze per la Libreria della Voce. 21 Si vedano in particolare gli articoli "Il giorno e la notte" (Lacerba, a. I, n. 1, 1° gennaio 1913), "I cattivi" (n. 2, 15 gennaio 1913), "Il significato del futurismo" (n. 3, 1° febbraio 1913), "Le parolacce" (n. 4, 15 febbraio 1913), "Morte ai morti" (n. 7, 1° aprile 1913), "La necessità della rivoluzione" (n. 8, 15 aprile 1913), "I cari genitori" (n. 10, 15 maggio 1913), "Lacerba sotto 325 MARINETTI E I FUTURISTI: PRATICHE ANTIFILOSOFICHE NELL'ITALIA GIOLITTIANA E OLTRE futurismo si concentrano su Benedetto Croce, attraverso una polemica portata avanti con mezzi pungenti, a volte goliardici, sempre con una grande coerenza. È contro il filosofo che Papini scrive Il discorso su Roma, letto in mezzo a fischi e urla durante un five o'clock futurista al Teatro Costanzi di Roma nel febbraio del 1913. Sollecitato da Marinetti, Papini redige il manifesto in fretta e in poche ore, un po' a casa sua, un po' in un caffè di Firenze, probabilmente alle Giubbe Rosse o al Paszkowski, un altro pezzo a casa di Palazzeschi e la fine in un caffè di Roma, poco prima dell'esibizione futurista. Nella dichiarazione ai romani, dopo aver parlato dell'Urbe quale simbolo dell'"archeologismo" e del "passatismo storico", Papini mostra tutta la sua acredine nei confronti di Croce, il cui idealismo sarebbe, assieme al ritorno alla religione, tra i maggiori mali che affliggono la sterilità culturale italiana: Parallela a questa pericolosa infatuazione cristianoide è l'infatuazione filosofica – più pericolosa ancora, forse, perché alligna in uomini che si credon liberi dai pregiudizi e arrivati a quelle vette dell'assoluto da cui si può guardare il mondo colla serenità dei saggi e colla autorità degli dei. Da una decina d'anni, come giusta reazione a un bestiale positivismo che dimenticava le sue origini per cascare in metafisicumi incoscienti da notari o da macellari, s'è sviluppato in Italia un filosofismo astratto il quale pretende dar fondo all'universo e sostituire definitivamente la religione. Il caporione di questo filosofismo è quel Benedetto Croce il quale s'è fatto un gran nome in Italia, tra studenti, professori di scuole medie e giornalisti delle classi medie prima come erudito eppoi come abile volgarizzatore e restauratore dell'hegelianismo berlinese e napoletano. Questo padreterno milionario, senatore per censo, grand'uomo per volontà propria e per grazia della generale pecoraggine ed asinaggine, ha sentito il bisogno di dare all'Italia un sistema, una filosofia, una disciplina, una critica. Questo insigne maestro di color che non sanno, per mettere insieme il suo sistema ha castrato Hegel levandogli la possibilità di far del male ma anche quella di fecondare – per fare la disciplina è ricorso ai libri di lettura di terza classe elementare – e per fare la critica s'è messo in testa di continuare De Sanctis al quale egli processo" (n. 13, 1° luglio 1913), "Accidenti alla serietà!" (n. 16, 15 agosto 1913), "Perché son futurista" (n. 23, 1° dicembre 1913), "Il passato non esiste" (a. II, n. 2, 15 gennaio 1914), "Chiudiamo le scuole" (n. 11, 1° giugno 1914). 326 FERNANDO MARAMAI somiglia come il mare dipinto sopra uno scenario somiglia all'oceano vero22. La rabbia di Papini è motivata anche dal fatto che da tempo egli è rimasto isolato nel sostenere il pensiero pragmatico: sono passati sei anni dalla chiusura del Leonardo, da allora Prezzolini è diventato pensatore crociano e gentiliano, Vailati è morto e Calderoni non scrive quasi più, mentre l'idealismo crociano si è affermato come pensiero dominante e senza più contraddittori. Come continuatore del pensiero carducciano Croce si è imposto inoltre sul piano estetico e letterario, influenzando anche le nuove generazioni, tanto da essere definito da Papini "direttore della cultura italiana presente e futura". Il problema dunque non è soltanto filosofico, perché mettendo alla base del suo sistema l'estetica e l'arte, e invadendo il campo della letteratura come critico, Croce avrebbe avuto l'opportunismo di sapersi conquistare un pubblico assai ampio e con esso anche la maggior parte dei letterati. Da polemista, scettico su ogni assunto dato, Papini insiste molto su questo punto, denunciando l'idealismo del filosofo come una forma di "raffinato filisteismo": Benedetto Croce sogna un'Italia intellettuale composta di tanti bravi figlioli che stiano a bocca aperta ad ascoltare il suo verbo, buoni clienti di Laterza, occupati ciascuno in qualche lavoretto assegnato dal rettore supremo, lettori assidui del Giannettino e di altri libri egualmente eccitanti, e lontani dai vani capricci e dalle malsane ambizioni della genialità indipendente che se ne strafotte della storia, della tradizione, dei doveri sociali e del concetto puro. In fondo a questa filosofia c'è l'idea che gli uomini non sono che momenti fuggevoli dell'Essere; che ognuno deve cercare d'andar d'accordo con questo spirito universale definito nei libri; eseguire la sua piccola parte nella vita; sacrificarsi alla verità, all'umanità e ad altre divinità astratte dello stesso calibro; odiare il genio pur professandosi adoratore dei grandi uomini morti, e darsi a uno sfrenato pedagogismo e proselitismo, tale da soffocare ogni individualità, spengere ogni volontà di nuovo, reprimere ogni tentativo d'uscire dalle grandi rotaie della storia. Questa filosofia, insomma, è la quintessenza stilizzata del perfetto borghesismo civile e spirituale23. In effetti Croce pensa da tempo alla formazione di un nuovo tipo di intellettuale in Italia, ad una figura dotta, un liberale ponderato e rigoroso 22 G. Papini, "Discorso di Roma", Lacerba, a. I, n. 5, 1° marzo 1913. Lo si può leggere in G. Papini, Opere. Dal Leonardo al Futurismo, a cura di L. Baldacci, con la collaborazione di G. Nicoletti, Milano: Mondadori, 1977 (1981), pp. 428-440. 23 Ibidem. 327 MARINETTI E I FUTURISTI: PRATICHE ANTIFILOSOFICHE NELL'ITALIA GIOLITTIANA E OLTRE capace di dar vita ad una borghesia rinnovata all'insegna della moderazione. Per questo con l'editore Giovanni Laterza ha progettato un'opera editoriale divulgativa, per pubblicare una serie di classici della letteratura e del pensiero in un paese ancora povero di una cultura solida e durevole: nel 1909 era infatti stata impostata da lui la collana "Scrittori d'Italia", mentre già nel 1906 erano usciti, in collaborazione con Gentile, i primi volumi dei "Classici della filosofia moderna", una operazione che seppure rivolta alla classe colta era riuscita ad imporsi nell'ambiente culturale italiano, non solo accademico, per la cura e la qualità dei testi. Pur riconoscendo l'importanza della collana, che dà modo per la prima volta di avere in italiano alcune opere, Papini ne aveva al tempo contestato l'idea di seguire una storia della filosofia con al centro Hegel, definendo il piano dell'opera come "una collezione teorica e personale" con imperdonabili esclusioni, come quelle di Schopenhauer e Locke24. Tornando al presente, nel suo Discorso su Roma, Papini non può fare a meno di denunciare che dietro al pedagogismo crociano si nasconde la mediocrità e la grettezza di un uomo di cultura "medio", animato di moralismo, di amore per la scuola e l'accademia, desideroso di ordine e certezze, agli antipodi rispetto all'individualità del genio e alla ricerca di novità nell'arte e nella poesia. Il sogno di Croce sarebbe dunque nient'altro che una legittimazione del conformismo retrivo tipicamente italiano, opposto ai tentativi futuristi: Tutti gli altri uomini facciano i loro mestieri; lavorino, guadagnino i quattrini, mangino e bevano e pensino agli interessi della città e del paese; ma nel mondo dello spirito, nel mondo dell'intelligenza e dell'arte, non venite a turarci la bocca e a toglierci il respiro colle vostre fregnacce di servitori d'Iddio e della società. [...] La nostra arte presente è, per la massima parte, idiota come cinquant'anni fa – la nostra letteratura si riduce agli arruffianamenti di tipo dannunziano, alle novelle tipo boulevardier e alle poesiole di quei crepuscolari che sembran fatte nella latrina dopo qualche nostalgica stitichezza – la nostra filosofia si riduce ai rimasticamenti di quell'idealismo assoluto che ha perso, viaggiando per cent'anni da Berlino a Napoli, quello slancio intuitivo che lo giustificava per diventare una buccia scolastica, un bozzolo pieno di vento. La cultura italiana è tremendamente decrepita e professionale: bisogna uscire una buona volta da questo mare morto della contemplazione, adorazione, imitazione e commento del passato se non vogliamo 24 Cfr. Gian Falco [G. Papini], "Collana dei filosofi moderni", Leonardo, a. V, n. 1, 1907, p. 123. 328 FERNANDO MARAMAI diventare davvero il popolo più imbecille del mondo25. Gli attacchi a Croce proseguono nella rubrica di Lacerba Sciocchezzaio e spicilegio, dove tra marzo e agosto sono ospitate frasi dalle sue opere, estrapolate dal contesto e manipolate allo scopo di evidenziarne la banalità26. Sempre in marzo Papini progetta una monografia sul filosofo come ideale sostegno della polemica inaugurata al Costanzi27. In aprile esce la recensione al Breviario di Estetica, da poco pubblicato da Laterza, con Papini che giudica l'opera di Croce fumosa, contraddittoria, impregnata di vecchi luoghi comuni e astrazioni arbitrarie dalle quali è impossibile ricavare un vero metodo critico per giudicare la validità o meno di un'opera d'arte28. In maggio Papini dà alle stampe Sul pragmatismo (Saggi e ricerche) 1903-191129, raccogliendo una serie di articoli del periodo prefuturista. Il filosofo ricambia l'offesa subita a Roma pubblicando su La Critica una severa stroncatura all'edizione curata da Papini de Le poesie di Campanella30. In risposta appare l'articolo I miei conti con Croce31 in cui Papini rinnova le sue accuse, mentre Soffici ospita nella sua rubrica Giornale di bordo una quartina in cui sinteticamente si afferma che "Benedetto è quella croce / Che ti scrive anche il Breviario; / Preferisco il sillabario, / Ci si impara assai di più"32. La polemica a distanza si chiude provvisoriamente con l'articolo Per una edizione delle poesie di Campanella, con cui Croce evita attacchi personali a Papini e si limita a criticare il suo lavoro di curatore su basi strettamente filologiche33, anche se ai primi di agosto Papini continua a lavorare al progetto editoriale sul filosofo, che nel 25 G. Papini, "Discorso di Roma", cit. Si comincia con il numero 5 della rivista (1° marzo 1913) con brani dal Breviario d’Estetica, di seguito nel numero 6 (15 marzo 1913) ancora con frasi dal Breviario d’Estetica, nel numero 7 (1° aprile 1913) con estratti dalla Logica e dall’Estetica, nel numero 9 (1° maggio 1913) con frasi dalla Logica, infine nel numero 15 (1° agosto 1913) ancora con estratti dalla Logica. 27 Il progetto è annunciato in una lettera a Marinetti datata 18 marzo 1913. Il testo della missiva, conservata alla Beinecke Rare Book and Manuscript Library della Yale University, è stato pubblicato da Gianni Eugenio Viola in L’utopia futurista. Contributo alla storia delle avanguardie, cit., pp. 7071. 28 Cfr. G. Papini, "Estetica", La Stampa, 29 aprile 1913; ora in G. Papini, Opere. Dal Leonardo al Futurismo, cit, pp. 592-600. 29 Milano: Libreria editrice milanese, 1913. 30 Lanciano: Carabba, 1913, 2 Voll. Cfr. B. Croce, "T. Campanella, Le poesie", La Critica, Vol. XI, n. 3, maggio 1913, pp. 254-259. 31 Lacerba, n. 11, 1° giugno 1913. 32 Lacerba, n. 14, 15 luglio 1913. 33 La Critica, Vol. XI, n. 4, luglio 1913, pp. 338-340. 329 26 MARINETTI E I FUTURISTI: PRATICHE ANTIFILOSOFICHE NELL'ITALIA GIOLITTIANA E OLTRE frattempo ha deciso di dividere in due volumi intitolati La crocifissione di Croce e L'antifilosofia futurista34. Non passa molto tempo che Croce è di nuovo il bersaglio di una manifestazione futurista. Il 13 aprile 1914, per l'inaugurazione della Prima Esposizione Libera Futurista Internazionale alla Galleria Sprovieri di Roma, vanno in scena I funerali del filosofo passatista, "morto di crepacuore sotto gli schiaffi del futurismo". Lungo la sala della galleria, salmodiando suoni incomprensibili, Marinetti e i suoi organizzano una processione carnevalesca di incappucciati che attraversa il pubblico. Ad aprire il corteo sono il poeta Radiante e il pittore Depero, che portano sulle loro spalle la testa del filosofo scolpita dal poeta Cangiullo, puntellata da un volume tarlato e completata da due braccia di corda con mani di carta; i loro volti sono nascosti in enormi tubi neri con dei fori al posto degli occhi e del naso. Balla, camuffato da scaccino, impugna un lungo pennello a guisa di torcia, con cui percuote di tanto in tanto un campanaccio da vacca emettendo incomprensibili melopee come preghiere dedicate alla memoria del defunto, mentre Cangiullo esegue al pianoforte una straziante marcia funebre. Il trasporto del cadavere del filosofo indica in questo grottesco rituale la difesa della fantasia, dell'intuizione e della fisicofollia, dei diritti della vita rispetto alla vecchiaia e alla morte. Come direttore di cerimonia, al termine del corteo, nel momento in cui la testa è collocata in fondo alla sala, Marinetti ha il compito di pronunciare l'orazione funebre e spiegare come le patate, le cipolle e la penna che riempiono e coronano il cranio del filosofo, "la sua lingua putrida" e "i suoi denti verdognoli" che avvelenano la primavera e il genio, si siano giustamente meritati gli "schiaffi omicidi" di Cangiullo. Infine, "per vincere il tanfo di putredine", Marinetti si accende una sigaretta e invita il pubblico a imitarlo. Poi, per accelerare la decomposizione del cadavere, inizia a declamare le parole in libertà del poeta Luciano Folgore35. Il contrasto tra l'energico e fantasioso Varietà futurista e la "pedanteria" crociana è riproposto da Cangiullo in una gustosa tavola parolibera inserita all'inizio e alla fine del suo Caffèconcerto. Alfabeto a sorpresa36: in un riquadro che ricostruisce l'interno di un teatro appare un sipario che scende 34 Cfr. lettera di Papini a Marinetti da Pieve Santo Stefano (Arezzo), datata 3 agosto 1913; conservata alla Beinecke Rare Book and Manuscript Library, Yale University (riprendo la notizia da V. Regina, Giovanni Papini dal Leonardo a Lacerba (1902-1913) attraverso suoi carteggi inediti ed editi, cit., p. 271). 35 Cfr. Anonimo, "Inaugurazione dell’Esposizione Libera Futurista", Lacerba, n. 9, 1° maggio 1914. 36 Milano: Edizioni futuriste di Poesia, 1919; ristampa anastatica a cura di L. Caruso, Firenze: Spes-Salimbeni, 1979. 330 FERNANDO MARAMAI dall'alto davanti ad un pubblico attonito; la grande tela che chiude la scena, e che fa da diaframma ad un universo di energie pronte a liberarsi e a diffondersi sulla platea, è composta dal poeta con vari cartelloni pubblicitari che annunciano le più disparate attività: una pensione napoletana, medici che curano "malattie segrete", un ristorante, una agenzia artistica per il lancio di giovani canzonettiste ironicamente intitolata a Marinetti e infine l'affiche sin troppo esplicita su un noto professionista, tale "B. CROCE. ANALISI D'ORINA. Sistema tedesco". Con la redazione di Lacerba che inizia a prendere le distanze dalla direzione milanese del futurismo e con Papini che dirada i suoi interventi su Croce37, Marinetti torna a parlare di filosofia nel manifesto interventista In quest'anno futurista in cui, insistendo sullo slancio antagonistico del movimento, dà una spiegazione sulla mancanza di una pars construens futurista in campo filosofico. Il futurismo, specifica Marinetti, non potrà mai essere "profetismo", perché si trova al fianco di Bergson nel credere che "la vie déborde l'intelligence, cioè straripa, avviluppa e soffoca la piccolissima intelligenza"; e al di là di ogni speculazione – prosegue il capo del futurismo – è necessario che i giovani studenti italiani combattano sia la cultura germanica che quella latina, in favore del "genio creatore" del presente, per opporre a Mommsen e a Benedetto Croce la vitalità dello "scugnizzo italiano"38. 3. A difesa dell'arte Terminata l'esperienza lacerbiana il gruppo futurista si concentra nella primavera del 1916 sempre a Firenze intorno alla rivista L'Italia futurista. Il nucleo che dà vita alla testata, composto da Emilio Settimelli, Bruno Corra, Arnaldo Ginna, Remo Chiti, Mario Carli e Neri Nannetti, ha già alle spalle altre esperienze editoriali ed ha elaborato una poetica a favore di un'arte che comprenda l'esoterico, le manifestazioni degli stati della precoscienza e i fenomeni paranormali. Fortissimamente contrario all'idealismo di Croce e all'estetismo dannunziano, il gruppo rifiuta anche lo scientismo positivista e le Le critiche al filosofo torneranno su Lacerba con l’articolo "Abbasso la critica!" (a. III, n. 18, 1° maggio 1915), ma nei mesi che precedono la dichiarazione di guerra all’Austria gli interventi di Papini saranno più che altro protesi in favore dell’interventismo. Nel '16 uscirà invece Stroncature. Seconda serie dei 24 cervelli che raccoglie articoli su Croce già pubblicati tra il ’5 e il ’14 sul Leonardo, La Stampa, Lacerba e Les Soirées de Paris. Come noto, la rottura tra lacerbiani e futuristi, anticipata dall’uscita dal movimento di Palazzeschi, avviene dopo un dibattito tra Papini e Boccioni ed è ufficializzata con l’articolo di Papini "Futurismo e Marinettismo" (Lacerba, n. 7, 14 febbraio 1915). 38 Datato 29 novembre 1914, lo si può leggere in Teoria e invenzione futurista, cit., pp. 328-336. 331 37 MARINETTI E I FUTURISTI: PRATICHE ANTIFILOSOFICHE NELL'ITALIA GIOLITTIANA E OLTRE sue certezze, ormai infrante da Max Planck con la teoria dei quanti e da Albert Einstein con la teoria della relatività. Prima di diventare futurista Settimelli ha fondato nel 1909 La difesa dell'arte, che si distingue per una accesa campagna contro le tendenze artistiche improntate al classicismo e al tradizionalismo, e dove il fiorentino pubblica una serie di articoli dal sapore scapigliato contro i capisaldi della cultura nazionale D'Annunzio e Croce39. Conclusa l'attività della rivista, nell'aprile del '12 Settimelli dà alle stampe La critica di B. Croce40, un saggio in cui, tenendosi lontano dal campo della filosofia, attacca il "Croce letterario" per demolirne il metodo di giudizio. Così come è stata condotta sinora, scrive Settimelli, la critica non ha ragione d'essere: Croce basa la conoscenza sulla pretesa dell'uguaglianza del "gusto estetico", che è invece cosa discordante negli uomini, così come varia, incerta e indefinibile, e condannata al più grande soggettivismo, è l'idea del bello; sbagliata è, secondo Settimelli, anche la pretesa di considerare l'arte come pensiero e intuizione (semmai è l'artista che ha l'intuizione), mentre è fenomeno esclusivamente cerebrale che non ha niente a che vedere con il sentimento. A non cambiare mai nell'arte – aggiunge Settimelli – è piuttosto l'idea del valore, ed è per questo che si deve fondare un metodo di giudizio basato sul ragionamento e non sulla sensibilità del critico: la critica deve cioè diventare scienza, trovare dei criteri di verità e di assolutezza che liberino l'intelletto e impediscano alle passioni di influenzare colui che si trova a giudicare. Sviluppando le sue idee nel periodo in cui dirige con Carli e Corra il settimanale liberista di arte e critica Il Centauro, Settimelli mette a fuoco la necessità di trovare un metro in grado di valutare l'opera in modo certo e inequivocabile41 e inizia a sostenere una personale teoria della misurazione. Partendo dal concetto che la critica non può essere una opinione, egli stabilisce che ci debba essere un controllo esatto dell'opera da parte di un 39 La rivista, pubblicata con scadenza decadale e poi settimanale, è diretta da Virgilio Scattolini ed ospita anche interventi di Mario Carli e Remo Chiti. La pubblicità sui primi numeri recita: "La Difesa dell’Arte è il solo giornale letterario d’Italia che tratti unicamente di Critica e scritto per intero da giovani e oscuri. Giovani d’Italia! Volete che prosperi un organo di battaglia che tuteli il vostro avvenire contro gli arrivati che vi chiudono la via? Abbonatevi alla Difesa dell’Arte". Di Settimelli si vedano in particolare "Contro la 'poesia' di G. D'Annunzio", a. I, n. 1, 1° novembre 1909 e l’articolo firmato insieme a Scattolini, "Il nuovo sistema di critica", n. 2, 11 novembre 1909. 40 Bologna: Beltrami, 1912. 41 Cfr. in particolare l’articolo "Superare D'Annunzio e Croce", Il Centauro, a. II, n. 4, 2 febbraio 1913. 332 FERNANDO MARAMAI soggetto imparziale, indipendente dalle influenze e dalle condizioni di spirito. L'esito teorico più importante in questa direzione è il manifesto scritto a quattro mani con Corra Pesi, misure e prezzi del genio artistico42, dove viene demolita l'estetica crociana: anziché affidarsi al gusto o a posizioni pregiudiziali, l'opera d'arte deve essere valutata, "pesata" e scomposta nei suoi elementi, per trovare quale ingegno e quanta abilità siano contenuti nella sua creazione. Allontanando ogni "sentimentalismo intellettuale", il critico deve farsi "macchina" per poter dare una "misurazione" meccanica e scientifica, matematica e geometrica, abolendo una volta per tutte i concetti di "bello", "piacevole", "commovente", "forte", "raffinato". Se sul piano della valutazione critica dell'opera d'arte Settimelli si sforza di rintracciare criteri scientifici, oggettivi e universali, su quello creativo si trova a coltivare insieme al gruppo de L'Italia futurista una prospettiva fondata sull'illogico e sull'idea che l'arte è "secrezione cerebrale", frutto del genio e dell'invenzione a piacimento. È contro il "filosofismo" e i sistemi di "pensiero astratto" attribuiti a Croce che Settimelli scrive con Corra la sintesi teatrale Davanti all'infinito, che vede protagonista un giovane filosofo "tipo berlinese" che passeggia con un revolver nella mano destra e il giornale nella sinistra, incerto su come risolvere le proprie turbe esistenziali, sino ad una scelta definitiva dettata da un libero arbitrio ridotto a gesto insignificante: È inutile!... di fronte all'Infinito tutte le cose sono uguali... tutte le cose sono sullo stesso piano... Mistero la loro nascita, il loro corso, la loro morte!... E allora che cosa scegliere?... Ah! il dubbio, l'incertezza!... Io proprio non so oggi... 1915 se dopo la mia consueta colazione debba mettermi a leggere il Corriere della sera o debba invece tirarmi un colpo di revolver... (Guarda la destra e poi la sinistra alzando rivoltella e giornale, però con noncuranza, annoiato). Beh! tiriamoci una revolverata! (Spara e cade fulminato)43. Contro il razionalismo scientifico e la cultura positivista Corra pone le linee guida del manifesto La scienza futurista (antitedesca – avventurosa – capricciosa – sicurezzofoba – ebbra d'ignoto), firmato insieme a Settimelli, Oscar Mara, Ginna, Chiti, Carli e Nannetti44. Partendo dal fatto che l'unica cosa certa per l'uomo è l'insicurezza e che la realtà resta inspiegabile, Corra concentra l'attenzione sui fenomeni paranormali, che al contrario delle 42 Datato 11 marzo 1914. Ripubblicato in Emilio Settimelli e il suo teatro, a cura di M. Verdone, Roma: Bulzoni, 1992, pp. 291-297. 43 Edita nella prima raccolta del Teatro futurista sintetico, Milano: Istituto editoriale italiano, 1915, la sintesi è stata ripubblicata da M. Verdone in ivi, p. 142. 44 Ne L’Italia futurista, a. I, n. 2, 15 giugno 1916. 333 MARINETTI E I FUTURISTI: PRATICHE ANTIFILOSOFICHE NELL'ITALIA GIOLITTIANA E OLTRE categorie appartenenti al razionale consentirebbero di indagare le zone meno scandagliate della realtà. Ancora con Settimelli scrive la sintesi La scienza e l'ignoto. In questa brevissima pièce si trovano a discutere due barbuti professori, l'uno assalito da un dubbio atroce scaturito da un fenomeno inaspettato, l'altro arrogantemente impegnato a riportarlo nel sicuro alveo del dogma della logica scientifica: 2° SAGGIO. Sono andato a letto ieri sera tutto trionfante, pieno del più schietto ottimismo... eh, sì! la vostra meravigliosa scoperta sulle nuove onde magnetiche, mi aveva fatto sperar tanto... ma stamani! Ah! non so neppure riconoscermi [...] l'Ignoto, lo stesso concetto dell'Ignoto è sufficiente a scombussolare qualsiasi nostra teoria di conquista [...] spieghiamo un fenomeno il quale per essere spiegato ha bisogno di mille verità non spiegate e se ci accingiamo a spiegarle... mille altre premesse non risolte ci balzano davanti... non c'è scienza, non c'è sicurezza finché esiste l'Ignoto... basta ammettere la sua esistenza per non credere più nella scienza... e l'Ignoto esiste... 1° SAGGIO. Ah! che pessimismo ingiustificato! [...] Ma la scienza è tutto, la logica è tutto! L'uomo si è impadronito per esse della terra, e del mare, e del cielo! [...] per esse ha trasformato questo vecchio universo ed ha letto le leggi che lo incatenano [...]. Voi vaneggiate! Tutto si spiega e tutto si spiegherà, l'Ignoto non esiste! 2° SAGGIO. (al colmo della rabbia, levandosi il cappello e lasciando scorgere infisso sulla sua testa calva un prepotente sigaro "Virginia"). Ah! sì? e spiegatemi allora la nascita di questo sigaro dal mio cranio calvo!.. qui è spuntato e cresciuto mentre dormivo; è stata la grata sorpresa di stamani... avanti! spiegatemi!45 Ciò che sembra un semplice scherzo ai danni delle certezze scientifiche è in realtà per Corra e Settimelli un tentativo artistico di articolare il concetto dell'assurdità dell'esistenza nel rifiuto di un approccio logico-consequenziale. L'aneddoto del sigaro spuntato in testa sarà ripreso anche da Malaparte nel romanzo La pelle, in questo caso per "spiegare" come sia stata possibile l'affermazione del nazismo nella umanistica Europa. La scienza e l'ignoto anticipa inoltre molte situazioni del "teatro dell'assurdo" di Ionesco; si pensi in particolare alla commedia Rhinocéros, dove un filosofo intento ad esercizi di logica spiega a un vecchio signore cos'è il sillogismo con uno dei tanti possibili esempi: "I gatti sono mortali. Ma anche Socrate è mortale. Dunque, 45 Pubblicata nella seconda raccolta Teatro futurista sintetico, Milano: Istituto editoriale italiano, 1916, p. 8. La si può leggere in Emilio Settimelli e il suo teatro, cit., pp. 150-151. 334 FERNANDO MARAMAI Socrate è un gatto", finché il concetto enunciato e posto a sistema a priori viene messo in ridicolo dalla manifestazione del reale: la comparsa inaspettata e terrorizzante di un rinoceronte che uccide il gatto di una casalinga46. 4. Rudimenti antistoricistici e sogni infranti Nel novembre del 1918, quando il futurismo sembra aver abbandonato gli attacchi a Croce, il filosofo pubblica su La Critica l'articolo Il futurismo come cosa estranea all'arte47 con cui prova a regolare i conti con l'avanguardia artistico-letteraria italiana. Definito come un documento penoso delle condizioni spirituali dei tempi, il futurismo secondo Croce non è né poesia né arte, sebbene i suoi cultori siano sovente in buonissima fede nel riprodurre con precisione icastica ciò che arriva del mondo ai loro sensi. I futuristi – spiega Croce – "credono che in quella precisione consista la poesia, immaginano di far poesia", due ne sarebbero le prove: il fatto che essi formano una sterminata scuola senza figure che emergano dalla moltitudine ("una folla di genii, che non può essere se non una folla di povera gente, perché il genio è l'opposto della folla") e che "fra tante migliaia di pagine che i futuristi imbrattano ogni anno" nessuna opera è stata espressa a livello di "capolavoro", entrando nella fantasia, nella memoria e nell'orecchio del pubblico. Marinetti non risponde direttamente all'articolo, che d'altra parte non aggiunge niente di nuovo ad una situazione già delineata da posizioni estetiche diametralmente opposte. Al di là delle questioni strettamente artistiche (mai peraltro considerate dai futuristi come separate da tutti gli aspetti della vita), nel primo dopoguerra il capo del futurismo sente che è giunto il momento per un cambiamento radicale della società italiana e impegna le sue forze principalmente sul piano politico. La fine della guerra ha dato il via alla liberazione di energie conflittuali, lotte sociali, scioperi e agitazioni senza precedenti, e alla disgregazione dello stato liberale, attaccato su più fronti politici. Nel dicembre del '18 nascono i primi fasci politici futuristi, anticipatori di quelli mussoliniani di combattimento. Pur diffidando di Mussolini48, nel gennaio del '19 Marinetti è con lui a Milano per contestare 46 Cfr. Rinoceronte, in E. Ionesco, Tutto il teatro, a cura di E. Jacquart, Torino: Einaudi-Gallimard, 1993, Vol. I, pp. 563-572. 47 Nella sezione "Postille", La Critica, Vol. XVI, n. 6, pp. 383-384. 48 Alla fine del '18 Marinetti annota nei suoi Taccuini: "Sento il reazionario che nasce in questo violento temperamento agitato pieno di autoritarismi napoleonici e di nascente disprezzo aristocratico per le masse. Viene dal popolo e non lo ama più. Tende all’aristocrazia del pensiero e della volontà eroica. Non è un gran cervello. Non ha visto la necessità della guerra. Fu antimilitarista demagogo senza patria. Ora dalla necessaria conflagrazione contro gl’imperi autocratici sta traendo un bisogno e una volontà di disciplina 335 MARINETTI E I FUTURISTI: PRATICHE ANTIFILOSOFICHE NELL'ITALIA GIOLITTIANA E OLTRE Bissolati e rimane coinvolto negli scontri con i socialisti; in marzo, pur deprecando le tendenze reazionarie e poliziesche dei fasci di combattimento, entra nel comitato centrale appena costituitosi, convinto di preparare una rivoluzione contro il governo e l'assetto monarchico del paese. Così nel manifesto del marzo del '19 Crollo di filosofi e storici, sibille a rovescio il capo del futurismo torna a parlare di Croce, affermando che la conflagrazione da poco conclusa è la prova della sconfitta dei filosofi e degli storici, che non avevano previsto la possibilità della guerra e che hanno creduto per molto tempo nella invincibilità della Germania. L'inizio del manifesto è fulminante: Quando ho del tempo da perdere mi diverto a guardare attentamente dentro le filosofie, a smontarle e ricomporle, come i bambini guardano dentro a un orologio, lo smontano e lo ricompongono, senza guardare l'ora segnata dalla freccia, poiché so che certamente quella non è l'ora vera49. Nel proseguo Marinetti torna a dichiarare la sostanziale differenza tra pragmatismo e teorie aprioristiche. Riprendendo una polemica vecchia quanto la filosofia stessa contro l'astrattezza e il distacco dalla realtà di un certo tipo di pensiero, parla di filosofi e storici che "data la pendenza del terreno hanno la testa bassa e i piedi in alto". I bersagli di questo attacco sono Kant, Hegel ed Émile Boutroux, posti per un grossolano principio di antigermanismo sullo stesso piano dei generali tedeschi Hindenburg e Ludendorff. Poi, affermando la posizione futurista di "guerra o rivoluzione", Marinetti ribadisce il credo dell'inscindibilità tra arte e vita, tra arte e azione: Giorgio Sorel dice: "l'arte, la religione, la filosofia sono inseparabili". Non è vero. La filosofia e la religione sono per noi futuristi due questure create dalla paura dell'al di qua – guerra o rivoluzione – e dalla paura dell'al di là – inferno. L'arte è per noi inseparabile dalla vita. Diventa arte-azione e come tale è sola capace di forza profetica e divinatrice. ad ogni costo d’ordine reazionario e di militarismo scopo a se stesso. Non vede chiaro. È trascinato dal suo temperamento di lotta eroica e dall’ideale napoleonico e aspira credo anche alla ricchezza" (F.T. Marinetti, Taccuini. 1915-1921, a cura di A. Bertoni, Bologna: il Mulino, 1987, p. 392). 49 F.T. Marinetti, "Crollo di filosofi e storici, sibille a rovescio", pubblicato ne L’Ardito nel marzo 1919; in seguito in Democrazia futurista (Dinamismo politico), Milano: Facchi, 1919; ora in Teoria e invenzione futurista, cit., pp. 363-367. La citazione si riferisce a p. 363. 336 FERNANDO MARAMAI Il filosofo De Ruggiero ed altri filosofi parlano oggi del trionfo del liberalismo (concretato nella Intesa) sullo Stato organizzatore (concretato nella Mitteleuropa). Oppongono il liberalismo dell'Intesa, figlio dell'individualismo calvinistico della Riforma, all'ordine accentratore della Germania, figlio dell'universalismo tecnologico del medioevo. Accusano il liberalismo di essersi sciupato nella ideologia democratica della rivoluzione e nello sparpagliamento nazionalistico della restaurazione. Si vede nettamente che prevedevano la sconfitta del liberalismo e si affannano ora a legittimare e a dimostrare naturale il suo trionfo inaspettato con mille cavilli inconcludenti. Trovano, per esempio, che il liberalismo non era così disgregato come sembrava e che d'altra parte ha manifestato una forza di simpatia e d'attenzione coll'attirare altre identità liberali e conquistare così un numero sempre crescente di alleati alla Intesa. Benedetto Croce annaspando anche lui per conciliare la sua germanofilia di ieri col suo terrore della rivoluzione d'oggi, parla tremando della vittoria del liberalismo sul tipo di civiltà a base di organizzazione e di centralizzazione. Spettacolo miserevole di questi poveri ciechi, mutilati dal Passatismo. È assurdo parlare di liberalismo e di Mitteleuropa organizzatrice. La conflagrazione segna la vittoria delle razze coalizzate più geniali, più elastiche, più dotate di immaginazione improvvisazione [...]. Fa la sconfitta del filosofumo, del culturalismo, del criticismo teorico. I filosofi e storici passatisti sono stati sconfitti dagli scugnizzi rivoluzionari e poeti futuristi50. Preoccupato per la decadenza del sentimento storico e irridente ai miti palingenetici affidati alla guerra, alle soglie dell'entrata in guerra Croce aveva attaccato gli intellettuali interventisti sia di destra che di sinistra (nazionalisti, massoneria, futuristi e lacerbiani), insistendo su un atteggiamento fortemente difensivo di fronte alla vitalità e all'irrazionalismo, intuendo che attraverso essi erano messi in crisi tutti i criteri del mondo di cui era considerato e si considerava maggiore interprete, criteri non solo filosofici ma anche letterari, politici e ideologici. Come molti altri intellettuali Marinetti aveva invece sostenuto l'idea della guerra come lotta per la vita, e ispirandosi esplicitamente o implicitamente a Darwin, Nietzsche, Marx e Sorel aveva visto in essa una necessità imprescindibile, una lotta di selezione e liberazione, manifestazione biologica dell'uomo e diritto dei popoli che al di là delle vittime sacrificali avrebbe 50 Ivi, p. 365-366. 337 MARINETTI E I FUTURISTI: PRATICHE ANTIFILOSOFICHE NELL'ITALIA GIOLITTIANA E OLTRE spazzato via tutti i modelli imposti dalla grande cultura borghese51. Ma all'indomani del conflitto, in uno scenario che appare in frantumi, con i miti idealistici in decadimento e i principi universali e totalizzanti che si sono ormai disintegrati, gli eventi si evolveranno in maniera assai diversa rispetto alle aspettazioni messianiche di Marinetti. L'Italia, anche se è tra i paesi vincitori, nel primo dopoguerra è in una posizione intermedia tra la relativa stabilità della Francia e della Gran Bretagna e la disgregazione degli imperi centrali, ed è la nazione più provata tra quelle dell'Intesa, uscita dal conflitto fortemente indebolita sul piano economico e politico. Nel paese ci sono agitazioni sociali interne che fanno pensare ad un periodo prerivoluzionario, con una erosione dal basso dei capisaldi dello stato liberale e una delegittimazione della vecchia classe politica, messa alle strette dall'azione delle masse proletarie e dall'agitazione nazionalista dei ceti medi e degli ex combattenti. Anche se affascinato dalle lotte operaie e dall'anarchismo, nell'aprile del '19 Marinetti partecipa ai tumulti milanesi che si concludono con l'incendio dell'Avanti! In settembre è a Fiume al fianco degli irregolari politici giunti da tutta Italia, in ottobre partecipa al I Congresso Fascista in cui chiede lo "svaticanamento" dell'Italia e l'istituzione di un governo tecnico. Pubblica le sue idee in Democrazia futurista, dove propone l'emancipazione 51 Si potrebbe qui aprire un’ampia parentesi su quali fossero le reali convinzioni di Marinetti, dando voce a diverse interpretazioni critiche sul suo interventismo. Mi limiterò a citare due diversi giudizi. Partendo da posizioni benjaminiane in un suo polemico articolo Edoardo Sanguineti ha sostenuto come elemento caratterizzante e ineludibile dal futurismo il “bellicismo imperialista”, scrivendo che "La guerra, la 'sola igiene del mondo', diede in effetti al futurismo una puntuale cristallizzazione sociologica, e un preciso quadro dottrinale […] per Marinetti, la guerra industriale non è soltanto l’igiene, ma è la verità del mondo: la verità ultima della natura e della storia" (cfr. E. Sanguineti, "La guerra futurista", Quindici, n. 14, dicembre 1968). Più lucidamente Luciano De Maria confutando l’opinione di Sanguineti ha fornito una interpretazione scevra da pregiudizi ideologici e più attenta a quelli che erano i temi del futurismo: "Il futurismo marinettiano, erede della cultura romantica […] si riallaccia, implicitamente, a uno dei grandi temi della filosofia occidentale: la nozione di 'follia del divenire' […]. È l’irrazionalizzazione dell’idea rivoluzionaria, di cui parla Del Noce, il dinamismo per il dinamismo, l’ipostatizzazione del divenire, della guerra e della lotta come fenomeni naturali dell’esistenza" (cfr. L. De Maria, "A proposito del futurismo", Quindici, n. 15, gennaio 1969). Ma sugli aspetti del pensiero marinettiano e degli intellettuali italiani favorevoli all’interventismo si veda soprattutto lo studio di Mario Isnenghi Il mito della grande guerra. Da Marinetti a Malaparte, Bari: Laterza, 1970 (Bologna: il Mulino, 1989). 338 FERNANDO MARAMAI della donna e il divorzio, l'abolizione dell'obbligo di leva, l'abbattimento delle carceri e degli eserciti; suggerisce la nazionalizzazione delle terre e delle acque, lo sviluppo di cooperative, il decentramento regionale e la riforma tributaria, fondiaria e della burocrazia, sempre seguendo la concezione di uno Stato impegnato nella difesa degli strati più deboli e nella giusta distribuzione delle proprietà. In novembre si candida alle elezioni politiche con i fascisti, ma i risultati elettorali sono pessimi per l'intero "blocco fascista". A questo punto le cose cambiano rapidamente: Mussolini comprende che per allargare i consensi deve passare a posizioni politiche più opportunistiche, isolando le posizioni più radicali all'interno dei fasci. Il sogno di rivoluzione di Marinetti si infrange nel maggio del '20 al II Congresso Fascista, a seguito del quale dà le dimissioni dal comitato centrale dei fasci per forti divergenze politiche sugli scioperi, sul Vaticano e sulla monarchia. Deluso per la svolta che Mussolini ha dato al partito, il capo del futurismo scrive l'articolo Al di là del comunismo52 e incassa le severe critiche di Giuseppe Bottai, che giudica confuso l'anarchismo di Marinetti e intollerabile la proposta degli "artisti al potere". Con la conclusione dell'avventura fiumana, repressa nel "Natale di sangue", si consuma l'allontanamento da Mussolini, che non si oppone all'azione governativa, e Marinetti rinuncia all'idea di un movimento artistico che sia anche movimento politico in grado di incidere concretamente nella realtà del paese per cambiarne lo status sociale oltre che culturale e abbandona la militanza. Quando si riavvicina a Mussolini, nel '23, definendo il fascismo come attuazione del "programma minimo futurista", Marinetti spera in un riconoscimento del proprio movimento, ma Mussolini, sapendo di dover scendere a compromessi, ha già intrapreso le sue scelte culturali, appoggiandosi all'idealismo di Gentile, che negli anni avrebbe dato al fascismo delle solide e durevoli basi filosofiche e ideologiche. Deluso perché nel '22 alla Biennale di Venezia è stata negata a Boccioni la mostra postuma, mentre sono state date due sale ad Archipenko, Marinetti protesta contro la riforma scolastica di Gentile, che giudica profondamente "passatista e antifascista" e innesca una polemica per l'esclusione dei futuristi alla Biennale del '24, dove sono invece invitati gli artisti dell'avanguardia cubofuturista russa. L'inaugurazione della mostra avviene nel salone della Biennale alla presenza del re e di numerose autorità politiche. Vi si reca anche Marinetti in veste di contestatore, che in mezzo al pubblico, dopo il lungo discorso del ministro Gentile, che introduce la manifestazione, grida a piena voce contro Vittorio Emanule III accusandolo di aver "inaugurato un'esposizione di camorristi", finché intervengono i carabinieri che, 52 La Testa di ferro, a. I, n. 23, 15 agosto 1920. 339 MARINETTI E I FUTURISTI: PRATICHE ANTIFILOSOFICHE NELL'ITALIA GIOLITTIANA E OLTRE credendolo un anarchico, lo bloccano e portano in questura per i dovuti accertamenti53. Sulla riforma gentiliana si esprime criticamente anche Benedetto Croce, che in un articolo apparso sul quotidiano La Stampa del 15 maggio 1924 parte però da considerazioni completamente diverse da quelle di Marinetti54. Ignorando l'esistenza di un "fascismo di sinistra" e il fatto che il futurismo si è in passato schierato per le forze del proletariato e della piccola borghesia, di cui aveva sin dall'inizio ammirato le grandi potenzialità rivoluzionarie, il filosofo torna sui giudizi espressi nel '18 e sostiene che è dal futurismo che l'ideologia fascista trae la sua ispirazione e i suoi modelli: "Io negavo – scrive Croce – che col futurismo, movimento collettivo e volitivo e gridatorio e piazzaiuolo, si potesse generare poesia, che è cosa che nasce in rari spiriti solitarii e contemplanti, nel silenzio e all'ombra; ma non negavo, e anzi riconoscevo, il carattere pratico o praticistico del movimento futuristico. Fare poesia è un conto, e fare a pugni è un altro, mi sembra; e chi non riesce nel primo mestiere, non è detto che non possa riuscire benissimo nel secondo"55. Marinetti cerca di cogliere a suo favore le dichiarazioni di Croce e diffonde prontamente il volantino Il futurismo e il fascismo giudicati da B. Croce e risponde con un articolo sul numero di settembre di Giornalismo in cui definisce scontate le considerazioni di Croce. Ma nonostante i tentativi di far superare la diffidenza del fascismo nei confronti del futurismo, il suo movimento stenta a trovare un collocazione ufficiale all'interno della cultura 53 L’episodio è ricordato dallo stesso Marinetti nell’articolo "Il re disse: che ha Marinetti?", Originalità, a. I, n. 1, 10 agosto 1924. 54 Giova ricordare che lo stesso Croce è stato ministro della Pubblica istruzione nel governo Giolitti reinsediatosi nel '20, per il quale ha lavorato ad un progetto di riforma scolastica che si rifaceva a molte idee dei gentiliani, e che è stata respinto nel '21 dalla Commissione Istruzione della Camera. Se dunque in un primo momento Croce ha accolto positivamente la nomina di Gentile, comprende presto che la riforma gentiliana, pur trovandolo d’accordo su necessità anche a lui care (una scuola secondaria rinnovata e potenziata per combattere l’analfabetismo ancora altissimo rispetto ai maggiori paesi europei, apertura all’iniziativa privata e sfoltimento delle scuole statali, in particolare le medie, università accessibile solo ad un numero relativamente esiguo di studenti), rafforza a livello politico il legame tra liberalismo conservatore e fascismo, con Mussolini che – con azioni come quella dell’incarico a Gentile – ottiene inoltre l’appoggio del Partito popolare e una maggioranza parlamentare. 55 B. Croce, "Fatti politici e interpretazioni storiche", La Stampa, 15 maggio 1924; pubblicato in seguito nella sezione "Postille" in La Critica, Vol. XXII, n. 2, 20 maggio 1924, pp. 189-192. 340 FERNANDO MARAMAI italiana. Ne resta prova l'esito del Congresso degli intellettuali fascisti, presieduto ed egemonizzato da Gentile, che si svolge a Bologna il 29 e 30 marzo del '25. Il convegno, organizzato per rispondere alle accuse di anticulturalismo che vengono mosse dall'opposizione, desta le speranze dei futuristi e del gruppo de L'Impero; Marinetti vi partecipa insieme ad un piccolo gruppo di avanguardisti, ma si trova a rappresentare una esigua minoranza rispetto agli oltre duecentocinquanta professori e intellettuali filofascisti. Nel suo intervento solleva la necessità di un'arte nazionale e la nascita di un istituto di credito destinato appositamente agli artisti, che dovrebbe incaricarsi di prestare soldi per la loro attività e di vendere le opere. Ha già dato la sua piena disponibilità al progetto anche Mussolini56, ma la proposta è accolta con ilarità, tanto che non ne resta traccia nel verbalemanifesto che conclude i lavori. Amareggiati, Settimelli e Carli criticano duramente il predominio di Gentile e il Manifesto degli intellettuali fascisti agli intellettuali di tutte le Nazioni, e portano avanti su L'Impero una polemica che non si attenua neppure quando Croce pubblica il suo Manifesto degli intellettuali antifascisti. Per i fondatori de L'Impero, infatti, Croce e Gentile, seppure su posizioni politiche diverse, sono entrambi "equidistanti dall'intelligenza e dal Fascismo"57 e rappresentano le due facce della stessa medaglia: Gentile ha aderito al fascismo, ma è tra gli ultimi intellettuali ad averlo fatto, ed essendosi formato in un contesto culturale completamente diverso è considerato incapace di espletare il ruolo che gli è stato affidato; mentre Croce continua ad essere "il filosofo dell'Italietta", "antitesi perfetta della mentalità fascista", critico che "non ha capito niente del grandissimo poeta Giovanni Pascoli" né del futurismo, e politico un tempo "neutralista e germanofilo", adesso "ermeticamente chiuso alla potenza meravigliosa del Fascismo"58. 56 "Mio caro Marinetti, approvo cordialmente la tua iniziativa per la costituzione di una Banca di Credito specialmente per gli artisti. Credo che saprai sormontare gli eventuali ostacoli dei soliti misoneisti. Ad ogni modo questa lettera può servirti di 'viatico'. Ciao, con amicizia Mussolini". Lettera scritta su carta intesta del Ministero degli Esteri, pubblicata da G.E. Viola in Gli anni del futurismo. La poesia italiana nell’età delle avanguardie, Roma: Edizioni Studium, 1990, pp. 207-208. Nata da un’idea di Prampolini, la proposta di Marinetti di creare un istituto di credito per artisti era stata anticipata nel "manifesto al governo fascista" "I diritti artistici propugnati dai futuristi italiani", pubblicato in Noi (serie II, a. I, n. 1, aprile 1923) e introdotto dalle stesse parole di Mussolini tratte dalla lettera di cui sopra. 57 Cfr. M. Carli, Fascismo intransigente, Firenze: Bemporad, 1926, pp. 43 e ss. 58 Cfr. E. Settimelli, Sassate, Roma-Firenze: Casa Editrice Italiana, 1926, pp. 125 e ss. 341 MARINETTI E I FUTURISTI: PRATICHE ANTIFILOSOFICHE NELL'ITALIA GIOLITTIANA E OLTRE 5. Fatti politici e interpretazioni storiche Dopo aver attraversato una prima fase di incertezza, Croce si è dichiarato esplicitamente contro Mussolini ed ha accusato Gentile di aver messo la filosofia al servizio di un partito. Nei suoi confronti il fascismo mantiene però sempre una linea di tolleranza, a costo di creare lo scontento di alcuni intransigenti che, come Settimelli, vorrebbero ridurre il filosofo al silenzio. Eventuali ritorsioni contro Croce, che gode di una discreta fama internazionale, provocherebbero cattiva pubblicità a Mussolini nell'opinione pubblica estera, così il filosofo può permettersi di criticare il regime pubblicamente. Se però a Croce è concesso di pubblicare opere ed esprimere il proprio pensiero, così come ad altri intellettuali antifascisti come Corrado Alvaro, lo stesso non avviene per i suoi allievi e amici, come nel caso di Vittorio Enzo Alfieri. Professore di Storia della filosofia all'Università di Pavia e autore del saggio Il futurismo è morto59, Alfieri viene arrestato nell'aprile del '28 insieme agli altri collaboratori della rivista genovese Pietre con l'accusa di cospirazione. Attraverso questo episodio Croce e Marinetti tornano di nuovo in contatto, questa volta abbandonando polemiche e critiche avverse. Preoccupato per il destino dei suoi amici intellettuali, Croce chiede a Marinetti di intercedere nei confronti di Mussolini. La richiesta arriva al capo del futurismo attraverso il cognato Alberto Cappa, storico e saggista liberale, antifascista in contatto con i giovani prima del loro arresto e frequentatore di Croce. Marinetti si dichiara disponibile e dopo otto giorni di attesa è ricevuto dal Duce dal quale ottiene un concreto interessamento: dopo tre mesi di carcere Alfieri e gli altri sono liberati senza processo60. Croce scrive allora a Marinetti, dimostrandogli, pur nella diversità delle convinzioni artistiche e politiche, stima e gratitudine: Caro S.r. Marinetti, L'amico Cappa mi dà notizia di quanto ella ha fatto per quei giovani perseguitati, e l'effetto ha comprovato l'utilità del suo intervento. Lasci che io ora La ringrazi di tutto cuore. Una delle cose più penose in questi tempi penosi è osservare come sia spento, nella generale paura, ogni senso di generosità, ogni abito cavalleresco, che non mancava in passato pure in mezzo alle lotte più vivaci o più feroci. Lei, oltre a fare oggettivamente un'opera buona, mi ha dato questo conforto di mostrarmi che vi sono ancora animi che pensano diversamente da quel che l'uso comporti. Ed io provo un singolare compiacimento nell'essere 59 Parma: Accomandita Editoriale Invalidi, 1923. L’episodio oltre che in alcuni saggi sul futurismo è stato riportato in occasione della scomparsa di Alfieri (cfr. "Morto il professor Alfieri, ultimo allievo di Croce", Corriere della Sera, 28 luglio 1997). 342 60 FERNANDO MARAMAI grato a Lei, come non dovrò esser mai a uomini mal convertiti, che considero traditori delle idee a me sacre. Ella è stato sempre in un altro campo o in un altro indirizzo, ed è coerente e sincero come non sono quelli. Quanto a me, Ella sa che sono a mio modo coerente, e mi ha trovato sempre tra i non-futuristi. È vero che non sono neppure "passatista", ma piuttosto "eternista" (tanto per continuare a comporre nuovi vocaboli), cioè credo che la poesia è sempre intrinsecamente la stessa in tutti i campi in cui cala da cielo in terra a potenziare i cuori umani; e che perciò non ci sono in questo nuove formule da inventare, simili a quelle che s'inventano nella tecnica e nell'industria. Ma sia quel che sia di ciò: ci sono cose, non dirò più importanti, ma diverse dalle cose artistiche nelle quali si gode di consentire pur nel dissenso di quelle. [...] Mi abbia con cordiali saluti Suo B. Croce61 Con il gesto di generosità di Marinetti e l'apprezzamento di Croce si affievoliscono i toni di una lunga polemica. Pur ribadendo le sue posizioni, sempre nel '28 nella sua Storia d'Italia dal 1871 al 1915 Croce riconosce infine al futurismo di aver avuto il carattere di "una concezione o interpretazione della vita, e perciò, a suo modo una filosofia"62. Negli anni a venire, su alcune riviste futuriste continueranno ad arrivare attacchi al filosofo, soprattutto ad opera di giovani futuristi, ma in maniera saltuaria e solamente per ripetere quanto già detto da Marinetti tra gli anni Dieci e la prima metà degli anni Venti. Tornando alla lettera, viene da chiedersi a quali "mal convertiti" alluda Croce. Si riferisce forse a Gentile, sapendo che anche Marinetti ne detestava l'operato? Sicuramente Croce parla in modo che Marinetti capisca, ed è quindi assai probabile che dietro quel "traditori delle idee a me sacre" il filosofo intenda manifestare il proprio disprezzo proprio per colui che aveva saputo adattarsi al fascismo occupando funzioni chiave nella cultura per dettarne le linee essenziali, linee che avevano portato a riconsiderare l'opera svolta da Croce attraverso La Critica e la casa editrice Laterza. Nei confronti di Gentile Marinetti era sempre stato meno pungente che rispetto a Croce, ma dal '23, l'anno della riforma scolastica, il filosofo pedagogista di Castelvetrano è per lui come una "bestia nera" che ha insediato il passatismo nel fascismo. Marinetti deve sopportare il suo ruolo di grande 61 La lettera autografa, scritta a Meana di Susa il 12 luglio 1928 su carta intestata della rivista La Critica, è stata pubblicata da Matteo D’Ambrosio in Marinetti e il futurismo a Napoli, cit., pp. 30-31 e da Claudia Salaris in Marinetti. Arte e vita futurista, cit., pp. 252-253. 62 B. Croce, Storia d’Italia dal 1871 al 1915, Bari: Laterza, 1928; cito dalla riedizione a cura di G. Galasso, Milano: Adelphi, 1991, p. 314. 343 MARINETTI E I FUTURISTI: PRATICHE ANTIFILOSOFICHE NELL'ITALIA GIOLITTIANA E OLTRE potere, un ruolo che sente essergli stato usurpato, sia per il rapporto che ha avuto con Mussolini nella fase della nascita del fascismo, sia perché sente legittima una maggiore valorizzazione culturale del futurismo. Nel '24, commentando le scelte del regime da una prospettiva antifascista, anche Piero Gobetti aveva considerato Marinetti come candidato ideale per il Ministero della Pubblica istruzione. Vale la pena ripercorrere i passi salienti del ragionamento di Gobetti: Ha detto Marinetti: "Il mio amore devoto per il fascismo e la mia amicizia per il grande e caro Mussolini mi impongono di dichiarare francamente che la Riforma Gentile è assurda, passatista, antifascista". Marinetti ha ragione e Mussolini ha torto quando lo contraddice. La riforma Gentile è reazionaria più che fascista. […] Gentile ha imposto un abito lugubre, clericale, bigotto, un dottrinarismo saraceno. Anche tra gli uomini c'è una bella differenza e Marinetti africano internazionale potrà sempre vantare diritti ben più seri di precursore e di interprete autorizzato che un ex-professore, se non altro perché fu compagno al Duce nell'ora della sventura. […] Mussolini è riuscito perché l'esperienza di Marinetti gli ha aperto la via: fu Marinetti il primo a dare il tipo di un movimento milanese, a mostrare come si crea, come si improvvisa. Marinetti preparò l'élite dell'Italia ministeriale di oggi: Carli, Settimelli, Bottai, Bolzon, ecc. [...] Precursore dell'uomo del dopoguerra, dell'uomo della spedizione punitiva […] Tutti hanno in mente le incarnazioni più solenni e terribili di queste classiche figure del fascismo. Ma a Marinetti bisognerà sempre tornare per trovarne la genesi. Gentile non è abbastanza dinamico, non è abbastanza sovversivo. [...] Nessuno saprebbe dare torto a Marinetti. La storia è stata ingiusta e ingrata. E Gentile è un usurpatore. Il ministero della P.I. non spettava a lui63. Sul giudizio negativo nei confronti di Gentile da parte di Gobetti grava la critica al fascismo e all'uso dei pieni poteri di cui ha usufruito il governo per la riforma finanziaria e amministrativa, pieni poteri di cui si è avvalso eccezionalmente anche Gentile, sottraendosi al controllo parlamentare e rifiutando il dialogo con i rappresentanti delle organizzazioni sindacali scolastiche, ma è vero soprattutto che Gentile ha collocato nei posti chiave amici e collaboratori già sperimentati coi quali lavora ad una riforma d'impronta classista, antiproletaria e antipiccoloborghese, distante anni luce da quello spirito "diciannovista" al quale Marinetti aveva dato il suo contributo. 63 P.G. [Piero Gobetti], "Gentile usurpatore", La rivoluzione liberale (Torino), a. III, n. 9, 26 febbraio 1924. 344 FERNANDO MARAMAI Gentile, che vede nel fascismo una via di rinnovamento del liberalismo della destra storica e che da tempo sostiene l'idea di uno stato forte, capace di unificare politica e filosofia, formalizza rapidamente i suoi rapporti, esercitando la sua autorità per chiamare a raccolta intorno al fascismo gli intellettuali fiancheggiatori insieme agli incerti e diffidenti dopo il delitto Matteotti. Ma, come scrive giustamente Gabriele Turi, la sua non è una iniziativa esclusivamente personale, perché essa rientra nell'idea del fascismo di abbinare al momento della violenza, rappresentato dall'estremismo di Farinacci, quello del consenso, "facendo appello ai rappresentanti di quella cultura dalla quale soltanto poteva ormai venire, in assenza di alternative politiche organizzate e legali, un pericolo per il regime in costruzione"64. E Gentile, fedele alla sua visione gerarchica dello Stato, in questa ottica si rivolge agli intellettuali perché aderiscano al fascismo, aiutato dal partito, che individua in lui l'uomo di cultura più adatto a svolgere quest'opera di dialogoannessione con le incerte forze liberali, "in quanto capace di combatterne i fondamenti teorici sottolineando la continuità tra liberalismo e fascismo"65. Una volta divenuto ministro della Pubblica istruzione, Gentile non incontra particolari ostacoli, inizia a trarre benefici dalla propria carica e acquista sempre più importanza, avviandosi a divenire la più grande autorità ufficiale della cultura umanistica italiana. Nel '25, l'anno in cui Mussolini dà inizio alla dittatura, è promotore della nascita dell'Istituto Nazionale di Cultura Fascista, di cui sarà presidente sino al '37, ma molte altre saranno le sue cariche istituzionali, universitarie ed editoriali, come il ruolo di regio commissario della Scuola Normale Superiore di Pisa, la direzione scientifica dell'Istituto Treccani, la presidenza dell'Istituto italiano per il Medio e l'Estremo Oriente e dell'Istituto italiano di studi germanici, proprietario della casa editrice Sansoni, nonché azionista e presidente della Le Monnier, in grado di controllare, attraverso i contatti con i suoi allievi, amici e collaboratori, diverse altre case editrici. Marinetti, che nel '24 lo aveva definito sinteticamente "risultato di un'esitazione artistica di Dio tra un punto idropico e un elefante da salotto. Parlare colare sudare (400 anni di agonia)"66, quando anche il futurismo 64 G. Turi, Giovanni Gentile. Una biografia, Firenze: Giunti, 1995, p. 354. Ibidem. A Bottai, che aveva accolto con particolare calore la sua adesione al fascismo, Gentile risponde: "Io ho grande fede nel fascismo, e non dubito che i suoi nemici esterni ed interni saranno debellati, se i migliori italiani non si contenteranno di stare a guardare. Perciò, da parte mia, ho sentito l’urgente bisogno di questo atto di chiarezza. E sono contento ora di vedere che ho dato ai nervi a tanta gente. Segno che ho colpito giusto" (la lettera, datata 4 giugno 1923 e conservata nell’Archivio della Fondazione Giovanni Gentile, è riproposta da Turi in ivi., p. 315). 66 F.T. Marinetti, "Il re disse: che ha Marinetti?", cit. 345 65 MARINETTI E I FUTURISTI: PRATICHE ANTIFILOSOFICHE NELL'ITALIA GIOLITTIANA E OLTRE acquisterà un suo ruolo ufficiale nel regime, non potrà più esprimersi con tale durezza, perché troppo è saldo il rapporto tra Gentile e Mussolini. Per tutto il ventennio non ci saranno scontri con Gentile, ma i rapporti non andranno mai oltre la fredda cordialità, senza particolari scambi di cortesie. Nel marzo del '29, tre giorni dopo l'uscita del primo volume dell'Enciclopedia italiana per l'Istituto Treccani, Marinetti è nominato Accademico d'Italia e ottiene finalmente da parte del fascismo quel riconoscimento istituzionale che sinora era tardato ad arrivare. Negli anni successivi consoliderà la sua posizione all'interno della cultura del regime, ma sempre con un ruolo minoritario. Dovrà essere lui stesso, in qualità di accademico e segretario nazionale del Sindacato Autori e Scrittori, a chiedere a Gentile di partecipare all'Enciclopedia per far aggiungere all'opera le voci Futurismo, Boccioni e Sant'Elia. È abbastanza singolare, quanto inevitabile, vedere a questo punto quanto Marinetti e Croce si trovino a incontrarsi: entrambi avevano partecipato alla vita culturale, sino ad essere, chi prima e chi dopo, i migliori interpreti del loro tempo, sforzandosi di cogliere i lineamenti del domani. Seppure all'opposto e per vie diverse avevano auspicato per l'Italia una nuova classe di artisti e intellettuali. L'avanguardista Marinetti rompendo con il passato aveva creduto utopisticamente nell'affermazione del "proletariato degli artisti", e pur nel suo antisocialismo aveva sognato, secondo una prospettiva anarchica, la partecipazione delle masse alla vita democratica in uno Stato libero da autoritarismi e forti poteri condizionanti, come quello della Chiesa; l'"eternista" Croce, come egli amava definirsi, sperava nella formazione umanistica di una nuova élite borghese, una classe dirigente colta e laica, che operasse nel solco della tradizione storicistica e liberale. Nella trasformazione dall'Italia giolittiana a quella fascista, rapidamente avviata alla restaurazione autoritaria dello Stato, entrambe le loro idee erano state drasticamente sconfitte e accantonate; l'aveva invece spuntata il "classicista" Gentile, abile nel sapersi districare nel compromesso e nel riuscire a cavalcare la necessità di una "rifondazione culturale" dell'Italia degli anni Venti e Trenta. Almeno su questo, il tanto bistrattato dai futuristi Croce aveva capito tutto in largo anticipo nel '24, nel suo articolo Fatti politici e interpretazioni storiche, in cui aveva avvertito Marinetti che, nella sua avversione per la riforma Gentile, preparata da studiosi e professori né futuristi né fascisti, avrebbe infine dovuto accettare che nella lotta tra 'puri' e 'impuri' la vittoria non sarebbe stata dei primi: "ogni moto – scriveva Croce – ha i suoi 'puri', coloro che vorrebbero serbargli l'andamento conforme al suo primo prorompere, che considerano corruttele o inquinamenti i contributi apportativi da altre forze, e che lo richiamano alle origini", e "a chi domandasse se la vittoria sarà dei 'puri' o degli 'impuri' potrei, senza uscire dal campo meramente teorico, rispondere che certamente non sarà dei 'puri', perché niente può ripetersi, e ciò che è stato 346 FERNANDO MARAMAI una volta spontaneo non si rifà artifiziosamente, e anche le ripetizioni (o come le chiamano) le 'seconde ondate' non sono le stesse delle prime, e, come che riescano o a qualunque cosa riescano (quando non siano addirittura fallimenti), recano anch'esse la macchia dell''impurità', cioè delle condizioni e delle ragioni nuove tra cui e da cui sono sorte"67. Nel 1930 viene inserita la voce Attualismo nell'Enciclopedia italiana. A redigerla è il filosofo di scuola gentiliana Ugo Spirito, che in poche frasi roboanti annichilisce in un colpo solo sia l'idealismo crociano che il vitalismo di Marinetti. L'attualismo, scrive Spirito, è la filosofia del fascismo, perché "ha condotto alla definitiva negazione della filosofia come metafisica e alla sua identificazione con la storia e con la vita. Questo spiega come l'attualismo non sia rimasto un puro sistema filosofico, ma sia penetrato in tutti i campi della cultura e della vita politica, e abbia condotto a un profondo rinnovamento della coscienza nazionale". __________ BIBLIOGRAFIA SCELTA: Leonardo, Firenze, aa. I-V, 1903-1907 (ristampa anastatica a cura di G. Firenze: Vallecchi, 2003). G. Papini, Il crepuscolo dei filosofi, Milano: Società Editrice Lombarda, (Firenze: Vallecchi, 1976). La difesa dell'arte, Firenze, aa. I-II, 1909-1910. E. Settimelli, La critica di B. 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Accostando Marinetti allo squadrismo Croce non fa altro che ribadire i suoi preconcetti sul futurismo, cui negava ogni status culturale; in questo suo articolo del maggio del '24 egli coglie tuttavia chiaramente che Mussolini rispetto all’intransigenza sansepolcrista e al nazionalismo ha già scelto la strada della tessitura politica e degli accordi con i poteri finanziari, perseguendo un compromesso che è difatti premiato dal successo della Lista Nazionale alle elezioni politiche nell’aprile di quell’anno. 347 MARINETTI E I FUTURISTI: PRATICHE ANTIFILOSOFICHE NELL'ITALIA GIOLITTIANA E OLTRE F. Orestano, Esame critico di Marinetti e del futurismo, Roma: "La Rassegna Nazionale", Tip. del genio civile, s.d. (1938). E. Garin, Cronache di filosofia italiana (1900-1943), Bari: Laterza, 1955. M. Abbate, La filosofia di Benedetto Croce e la crisi della società italiana, Torino: Einaudi, 1955 (1966). F.T. Marinetti, Teoria e invenzione futurista, a cura di L. 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