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CONTRIBUTI
MARINETTI E I FUTURISTI: PRATICHE ANTIFILOSOFICHE
NELL'ITALIA GIOLITTIANA E OLTRE
FERNANDO MARAMAI
Università degli Studi di Siena
1.
Vitalismo e intuizione
Sin dalle prime dichiarazioni programmatiche il movimento futurista
si pone su un piano nettamente antifilosofico. Con le biblioteche e i classici, la
filosofia è considerata portatrice di pesantezza e passatismo, disciplina di un
"pensiero astratto" in cui trovano la loro legittimazione il culturalismo e
l'accademismo dell'ambiente intellettuale e artistico nell'Italia dei primi anni
del Novecento, laddove invece i futuristi invocano l'abbattimento della
barriera tra pensiero e azione. Marinetti taglia i ponti con il passato, nega ogni
legame con la cultura e il pensiero che precedono il fatidico 1909 e rifiuta
l'ascendente di qualsiasi padre o movimento artistico, compresi il simbolismo,
nell'ambito del quale ha dato le sue prime prove letterarie, e il
crepuscolarismo, al quale sono appartenuti e continuano ad appartenere
stilisticamente i primi poeti futuristi. Tuttavia, nel dettare la linea estetica del
movimento, esprime una serie di assunti ideologici che sono chiaramente
debitori del pensiero filosofico nietzschiano: il dionisiaco come principio
imprescindibile dell'essere vitale, l'idea del superamento dei limiti attraverso
la volontà, l'invito alla leggerezza, la follia come saggezza.
Marinetti conosceva le opere di Nietzsche1. Aveva apprezzato in particolare
la visionarietà dello Zarathustra, la cui ombra lunga si estende in almeno due
1
Già nel 1902, dando conto delle sue letture per una inchiesta giornalistica de
L’Ermitage, Marinetti segnala i suoi autori prediletti (Flaubert, Mallarmé,
Baudelaire, Verlaine) e dice anche di aver letto tutto Nietzsche, oltre a
Cartesio, Carlyle, Spinoza, i Pensées di Pascal, le Confessions di Rousseau e
le Lettres persanes di Montesquieu (cfr. F.T. Marinetti, "J’aime entre tous le
poète Stéphane Mallarmé", in "Les poètes et leur poète", L’Ermitage, a. XIII,
n. 2, febbraio 1902). Nel 1909, rispondendo ad un’inchiesta sui libri
indispensabili di una biblioteca, per quanto riguarda la filosofia Marinetti
indica Les Discours de la méthode di Descartes, l’Ethique di Spinoza, Le
monde comme volonté et comme répresentation di Schopenhauer, Les
Pensées di Pascal, Sartor Resartus di Carlyle e le Œuvres complètes di
Nietzsche (cfr. Ce qu’ils lisent, cent-dix-sept réponses à l’enquête sur la
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opere letterarie del poeta, entrambe incentrate su figure profetiche portatrici di
un messaggio palingenetico per l'umanità. Nel romanzo Mafarka le futuriste,
iniziato nel 1902 ma terminato dopo l'uscita del manifesto di fondazione, e
quindi ascrivibile al periodo della produzione futurista, anche in virtù del
titolo infine scelto dall'autore2, l'eroe eponimo attraversa una serie di
esperienze iniziatiche ed entra in contatto con i misteri che regolano la natura
e l'universo che lo portano a pronunciare il suo "discorso futurista" agli
uomini: un proclama intriso di lessico nietzschiano e individualismo
stirneriano che annuncia la nascita dell'uomo del domani, di un nuovo essere
ideale capace attraverso la Volontà e l'Eroismo di impossessarsi della materia
e modificarla a suo capriccio in vista di un trionfale Avvenire. Essere
primitivo e innovatore è anche Kabango, il re dell'Africa equatoriale che nel
dramma Il Tamburo di fuoco3 si fa carico della redenzione del proprio popolo
cercando di portare in salvo le pelli sacre su cui sono tracciati i segreti per
dominare la natura e i progetti per la costruzione delle opere umane (le oasi, i
laghi artificiali e le ferrovie); nel suo cammino ascensionale Kabango darà
tutto se stesso, andando incontro a una morte che servirà a esaltare e
diffondere il suo messaggio di spiritualismo materialistico.
Nel 1910, poco dopo la pubblicazione di Mafarka, evidentemente sollecitato
dai giudizi della critica sul futurismo, Marinetti decide di iniziare il manifesto
Contro i professori con una precisazione che riguarda proprio il rapporto con
Nietzsche, rifiutando ogni accostamento al filosofo:
Nella lotta contro la passione professorale del passato, noi rinneghiamo
violentemente l'ideale e la dottrina di Nietzsche.
Mi preme dimostrare qui che la critica si è assolutamente ingannata,
nel considerarci come dei nuovi nietzschiani. Vi basterà infatti
considerare la parte costruttiva dell'opera del grande filosofo tedesco,
per convincervi che il suo Superuomo, generato nel culto filosofico
della tragedia greca, suppone in suo padre un ritorno appassionato
verso il paganesimo e la mitologia. Nietzsche resterà, malgrado tutti i
suoi slanci verso l'avvenire, uno dei più accaniti difensori della
grandezza e della bellezza antiche.
È un passatista che cammina sulle cime dei monti tessalici, coi piedi
bibliothèque d’un libre cénobite, con una prefazione di A. Ferrière, Lugano:
Cœnobium, 1909, p. 153).
2
Scritta in francese, l’opera è pubblicata a Parigi da Sansot all’inizio del 1910
e poco dopo a Milano, su traduzione di Decio Cinti, per le Edizioni futuriste
di Poesia.
3
Milano: Sonzogno, 1922.
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disgraziatamente impacciati da lunghi testi greci4.
Il Superuomo di Nietzsche – prosegue Marinetti – è "un prodotto
dell'immaginazione ellenica", un derivato della classicità, "nato dalla polvere
delle biblioteche", al quale i futuristi oppongono l'"Uomo moltiplicato per
opera propria, nemico del libro, amico dell'esperienza personale, allievo della
Macchina, coltivatore accanito della propria volontà, lucido nel lampo della
sua ispirazione, munito di fiuto felino, di fulminei calcoli, d'istinto selvaggio,
d'intuizione, di astuzia e di temerarietà"5. È una dichiarazione molto forte, che
nasconde però un sottotesto da rintracciare. Marinetti sa bene che Nietzsche
nel richiamarsi alla grecità si è tenuto alla larga proprio dal classicismo, e anzi
ha elaborato un dionisismo che è espressione dell'irrazionale, istinto,
liberazione, slancio vitale e disprezzo per le forme costrittive e innaturali del
pensiero, come la morale. Non a caso i filologi tedeschi, tra cui WilamowitzMöllendorf, avevano espresso severe critiche nei confronti de La nascita della
tragedia. Sicuramente l'Übermensch teorizzato da Nietzsche nelle opere
seguenti aveva un collegamento con la cultura antica, ma pur partendo da un
retroterra filologico, il filosofo ne aveva delineato i tratti prometeici in
relazione alla dialettica interna al mito e all'idea antistoricistica dell'"eterno
ritorno", del continuo rinnovarsi delle forze della natura nel ciclo vita-mortevita. Da parte sua Marinetti parla di un Uomo moltiplicato, inteso in senso
evoluzionistico, ma i termini che ne caratterizzano la forza – "volontà",
"ispirazione", "istinto selvaggio", "intuizione", "astuzia", "temerarietà" – lo
rendono molto vicino all'Übermensch di Nietzsche. Proseguendo il proprio
discorso Marinetti potrebbe approfondire le differenze tra la sua visione
dell'Uomo nuovo e quella del filosofo, ma nel confronto con Nietzsche non
fornisce altri chiari elementi di distinguo e insiste ancora sulla dicotomia tra
l'eroismo e la vitalità del futurismo e lo sterile culto per il passato, ripetendo la
sua condanna inappellabile: "noi abbandonammo Nietzsche una sera di
dicembre, sulla soglia di una biblioteca che inghiottì il filosofo fra i suoi
battenti di calore dotto e comodo"6. La sera cui allude il poeta è quella del
terremoto di Messina del 28 dicembre 1908, che aveva distrutto quasi
completamente la città e fatto ritardare l'uscita del manifesto di fondazione del
futurismo, un evento catastrofico che – rovesciandone la tragicità – viene
assunto come momento chiave del distacco definitivo da Nietzsche. Il legame
con il filosofo è comunque riconosciuto implicitamente attraverso l'uso del
4
F.T. Marinetti, "Contro i professori", maggio 1910; ora in F.T. Marinetti,
Teoria e invenzione futurista, a cura di L. De Maria, Milano: Mondadori,
1968 (1996), pp. 306-310. La citazione si riferisce a p. 306.
5
Ivi, p. 307.
6
Ibidem.
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verbo "abbandonare", spia del rapporto con un padre "edipicamente" rifiutato
("noi non abbiamo ascoltato i consigli prudenti che Nietzsche ci avrebbe dati e
abbiamo contemplato con orrore la gioventù italiana che colava [...] verso
quelle grandi fogne dell'intellettualità"7). A questo punto Marinetti torna
all'episodio del terremoto per scatenare la sua epica:
Non dormimmo, quella notte, e all'alba ci arrampicammo fin sopra alle
porte delle Accademie, dei Musei, delle Biblioteche e delle Università,
per scrivervi col carbone eroico delle officine questa dedica, che è
anche una risposta al Superuomo classico di Nietzsche:
AL TERREMOTO
LORO UNICO ALLEATO
I FUTURISTI DEDICANO
QUESTE ROVINE DI ROMA E ATENE8
Ancora una volta il filosofo è associato alla classicità. Eppure era stata
l'influenza del Nietzsche "antiumanista" a far dire a Jarry che per demolire
tutto si dovevano distruggere anche le rovine, un concetto che adesso viene
traslato e fatto proprio da Marinetti. E cos'altro è l'esaltazione del terremoto
come forza distruttrice della natura, terribile ma tragicamente necessaria, se
non l'identificazione di un momento mitico di palingenesi? Se dunque
Marinetti cerca da un lato di tracciare una linea netta di separazione con il suo
precursore ideale, dall'altro ne recupera gli assunti di base per porsi su un
piano irrazionale e mitico che gli è indispensabile per fondare la "volontà di
potenza" del suo uomo meccanizzato, ebbro del pericolo ed esaltante la vita, e
per innalzare a feticcio incondizionato la Macchina-Moloch.
Pochi giorni prima dell'uscita del manifesto Contro i professori, Marinetti ha
preso le distanze da un altro grande pensatore dell'Ottocento. Nel manifesto
L'Uomo moltiplicato e il Regno della macchina Arthur Schopenhauer, con il
quale il capo del futurismo condivide il rifiuto del formalismo razionalista in
favore del primato dell'istinto contro la purezza dell'idea e la visione del
"mondo come volontà impetuosa, che si oggettiva sia nelle forze della natura
che nella rappresentazione delle idee"9, e l'idea dell'attività creativa come
vertice degli sforzi umani, è chiamato in causa come maestro di pessimismo,
"quel filosofo amaro che tante volte ci porse il seducente revolver della
filosofia per uccidere in noi la profonda nausea dell'Amore coll'A maiuscolo",
del quale si deve invece rovesciare l'ideologia in senso vitalistico e positivo:
7
Ibidem.
Ivi, pp. 307-308.
9
C. Salaris, Marinetti. Arte e vita futurista, Roma: Editori Riuniti, 1997, p.
104.
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8
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"È appunto con questo revolver – continua Marinetti – che noi bersaglieremo
allegramente il gran Chiaro di luna romantico"10.
Un'altra ascendenza prontamente rifiutata, seppure con minore energia, è
quella da Henri Bergson. È il filosofo francese che ha dichiarato che il
soggetto e l'oggetto non sono più separati, ma sono portati a contattoconoscenza dall'intuizione, e che il concetto di durata è impossibile da
ricondurre ad una sola forma di temporalità, quindi soggettivo a seconda del
punto di vista o degli "stati d'animo". Direttamente da Bergson deriva nel
futurismo anche il concetto di simultaneità. E non prive di collegamenti con
l'analisi del comico fatta nel saggio Il riso (1900) sono le serate e le sintesi
futuriste. Ma l'influenza più diretta è quella che riguarda la gestazione teorica
delle parole in libertà. Nel Manifesto tecnico della letteratura futurista
Marinetti elabora una poetica che si basa sulle categorie dell'intuizione,
dell'analogia, e sulla distruzione dell'Io e l'ossessione lirica della materia.
Proprio il termine "materia", così come è impiegato da Marinetti, ha lo stesso
significato datogli da Bergson: la materia non coincide solo con la realtà fisica
degli oggetti, ma è l'insieme delle immagini percepibili; è concetto
omnicapiente, fuggevole e inafferrabile. A questo punto entra in gioco il
paroliberismo, che ricorre a immagini e ad analogie che dovrebbero servire ad
afferrare tale inafferrabilità11. A pochi mesi dall'uscita del Manifesto tecnico
della letteratura futurista Marinetti pubblica le sue Risposte alle obiezioni,
10
Cfr. F.T. Marinetti, "L’Uomo moltiplicato e il Regno della macchina",
maggio 1910; ora in Teoria e invenzione futurista, cit., pp. 297-301. La
citazione si riferisce a p. 301.
11
Cfr. L. De Maria, Introduzione a Teoria e invenzione futurista, cit., pp.
LXIX-LXX. Così Bergson in Matière et mémoire (Paris: P.U.F., 1965):
"J’appelle matière l’ensemble des images, et perception del la matière ces
mêmes images rapportées è l’action possible d’une certaine image déterminée,
mon corps"; mentre Marinetti scrive: "L’analogia non è altro che l’amore
profondo che collega le cose distanti, apparentemente diverse ed ostili. Solo
per mezzo di analogie vastissime uno stile orchestrale, ad un tempo
policromo, polifonico, e polimorfo, può abbracciare la vita della materia. [...]
Per avviluppare e cogliere tutto ciò che vi è di più fuggevole e di più
inafferrabile nella materia, bisogna formare delle strette reti d’immagini o
analogie, che verranno lanciate nel mare misterioso dei fenomeni"
("Manifesto tecnico della letteratura futurista", 11 maggio 1912; ora in Teoria
e invenzione futurista, cit., pp. 48-49. Sulla teoria delle parole in libertà si
vedano inoltre i manifesti "Distruzione della sintassi – Immaginazione senza
fili – Parole in libertà", 11 maggio 1913, e "Lo splendore geometrico e
meccanico e la sensibilità numerica", 18 marzo 1914, in ivi, pp. 65-80 e 98107).
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dove puntualizza che, assai prima di Bergson, Dante e Poe (il primo in un
passo del Canto XI del Paradiso e il secondo nel Colloquio di Monos e Una)
hanno affermato "il loro odio per l'intelligenza strisciante" e accordato "tutti i
diritti all'immaginazione intuitiva e divinatrice"; per tornare di seguito ai
concetti di intuizione e intelligenza:
Quando parlo d'intuizione e d'intelligenza non intendo già di parlare di
due dominii distinti e nettamente separati. Ogni spirito creatore ha
potuto constatare, durante il lavoro di creazione, che i fenomeni
intuitivi si fondevano coi fenomeni dell'intelligenza logica.
È quindi impossibile determinare esattamente il momento in cui finisce
l'ispirazione incosciente e comincia la volontà lucida. Talvolta
quest'ultima genera bruscamente l'ispirazione, talvolta invece
l'accompagna. Dopo parecchie ore di lavoro accanito e penoso, lo
spirito creatore si libera ad un tratto dal peso di tutti gli ostacoli, e
diventa, in qualche modo, la preda di una strana spontaneità di
concezione e di esecuzione. La mano che scrive sembra staccarsi dal
corpo e si prolunga in libertà assai lungi dal cervello, che, anch'esso in
qualche modo staccato dal corpo e divenuto aereo, guarda dall'alto, con
una terribile lucidità, le frasi inattese che escono dalla penna.
Questo cervello dominatore contempla impassibile o dirige, in realtà, i
balzi della fantasia che agitano la mano? È impossibile rendersene
conto [...].
Per intuizione, intendo dunque uno stato del pensiero quasi interamente
intuitivo e incosciente. Per intelligenza, intendo uno stato del pensiero
quasi interamente intellettivo e volontario12.
Quasi contemporaneamente viene pubblicato un volantino bilingue a cura
della Direzione del Movimento Futurista che riporta l'articolo di Auguste Joly
dal titolo Il futurismo e la filosofia, estratto da La Belgique artistique et
littéraire del luglio del 1912. Prendendo spunto dall'Esposizione di pittura
futurista tenutasi a Bruxelles, Joly invita a superare i luoghi comuni e le
letture superficiali che si erano avute sinora sul futurismo, visto
semplicisticamente come odio per il passato, culto dell'avvenire e rifiuto della
cultura, per dare invece una giusta collocazione al movimento nel contesto del
pensiero contemporaneo:
[...] noi abbiamo udito ora ora il rimprovero, che si fa al futurismo, di
andare verso l'avvenire con le idee e i costumi delle barbarie iniziali. È
questa una chiacchiera da salotto e non contiene una gran dose di realtà
12
F.T. Marinetti, "Risposte alle obiezioni", 11 agosto 1912; lo si può leggere
in ivi, pp. 55-62. La citazione si riferisce alle pp. 55-56.
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NELL'ITALIA GIOLITTIANA E OLTRE
efficace. L'avvenire non può essere che nel passato. Si tratta
semplicemente di vedere, colla luce dei giorni nuovi e l'insegnamento
di emozioni più numerose, qual gesto, evidentemente insegnato dal
passato, ci permetterà di abbracciare più strettamente la vita
nell'avvenire. I "rinascimenti" (in arte, per esempio) vengono a
rompere le continuità. [...] Misurate, ci dice il futurismo, la vostra vita,
non sulla durata, ma sull'intensità. Forse l'uomo soffre anzitutto di
abitudini immemorabili e artificiali, lentamente acquisite dal suo
pensiero. Perché fare, per esempio, della vita una durata? Concepitela
come forza! [...] Il futurismo ci dice press'a poco (non si deve mai
pretendere di saper troppo bene la formola di una dottrina): Agite, agite
secondo il massimo delle vostre energie e non lasciate diminuire né
queste energie né le loro possibilità esterne, da un'idea, ossia da una
emozione già antica, sia che l'abbiate ricevuta direttamente
dall'universo, sia che essa vi sia stata trasmessa da un'altra
cerebralità...13
Il programma d'azione del futurismo – prosegue Joly – è in netta
concordanza con i programmi di pensiero delle nuove filosofie, in particolare
con il pragmatismo di Bergson, dal quale riprende il principio della
"diffidenza dell'idea". Eccessivamente definita e statica, l'idea è isolata dalla
verità immediata, che invece dovrebbe essere presentata allo spirito in un
modo continuo e vivo. L'invito alla "furiosa lotta con l'esistenza" fatto dal
futurismo non sarebbe però soltanto un allineamento dell'arte con le nuove
filosofie, ma l'esito di una disputa che risale ai tempi di Platone e che ha visto
per secoli il protrarsi del confronto tra il più perfetto esercizio del pensiero,
ovvero la "speculazione", e la sperimentazione. L'idea ha reso a lungo
incredibile l'immobilità relativa del sole, la rotondità della terra, l'evoluzione
della vita; mentre è innegabile che "quasi tutte le verità scientifiche furono
conquistate a spese dell'idea". Per secoli l'uomo ha preferito allo studio del
mondo quello degli scritti di Aristotele, e neppure con l'affermazione della
scienza sperimentale del XVIII secolo si è iniziato a considerare l'idea come
sospetta. Un fatto piuttosto clamoroso – prosegue Joly – se si pensa che
proprio in seno al pensiero umano sin dai tempi antichi era nata una tendenza
opposta all'idea, un filone rilevante, seppure minoritario, contrassegnato da un
"senso diretto" delle cose, della vita e del pensiero, cui sono appartenuti i
primi orgiastici e i primi mistici, gli orfici, Pitagora, alcuni alessandrini,
Bacone e Pascal. Proseguendo questo filone minoritario Marinetti e i futuristi
13
A. Joly, "Il futurismo e la filosofia", luglio 1912; lo si può leggere in
Marinetti e i futuristi, a cura di L. De Maria, Milano: Mondadori, 1973
(2000), pp. 263-268. La citazione si riferisce alle pp. 263-264.
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hanno lo stesso "senso diretto" dei mistici e degli orgiastici, poiché fondano le
proprie idee sul dogma e – in questo caso a differenza di Bergson, che ha
concepito il suo sistema "cercando di pensare ciò che la scienza moderna
esperimenta" – sul simbolo. Esente dai difetti dell'idea, quest'ultimo è capace
di serbare per l'emozione il suo valore vitale, il suo contatto con la vita, poiché
è "espressione diretta dell'universo esistente nell'universo pensante". Non è
dunque un caso accidentale che il pensiero futurista abbia scelto di
manifestarsi subito in espressioni artistiche:
Ora, che cosa ci dicono i pittori futuristi? L'immagine in un quadro, il
lato iconico, fotografico, non è che un canevaccio, non indispensabile,
su cui corre la suggestione delle linee e dei colori. [...] Invece di
seguire la legge della visione, il pittore futurista seguirà quella
dell'emozione. Egli si guiderà sul potere misterioso che possiede un
gesto, una linea, una sfumatura, di evocare un certo movimento
d'anima, o un certo colore di emozione, e per fissare, senza
interromperlo, un istante dell'aspetto universale. Così, il futurismo fa il
processo della percezione ordinaria nella vista, come Bergson fa quello
dell'intelligenza nell'idea. I due movimenti si sono rivelati uguali
finora, ed entrambi conducono all'impiego di continuità simboliche
d'emozione. [...] Dovrà il quadro essere un aspetto del mondo? Oppure
una comprensione di questo mondo? E non posso, io, in tal modo,
rifiutare legittimamente anche la legge di trasposizione sul piano
orizzontale? Non posso ammettere la rettifica, per opera del cervello,
degli errori, dei limiti della visione?
Bergson concepisce il mondo, la vita, l'essere, come una proiezione
ininterrotta che delle vite coordinano in organismi; coordinano, in stati
di coscienza, questi assoluti relativi: Io penso, io sono... Il futurista
trova le stesse qualità di assoluto, di finito, nel suo modo di coordinare
non già un aspetto, ma un motivo dell'infinito universale, per una
coordinazione simbolica. Così la coordinazione, legge di tutti gli
organismi passa (come virtù simbolica) nell'opera d'arte, e le comunica
una specie di vita propria, direttamente attinta dalla vita universale.
Non è più necessario che il quadro somigli alla natura, ma bisogna che
esso somigli a sé stesso e si conferisca la propria autenticità14.
È assai significato che Joly argomenti la sua tesi sul rapporto diretto tra
Bergson e il futurismo attraverso la pittura. Più di Marinetti, assiduo e attento
lettore di Bergson è infatti Umberto Boccioni, che alla ricerca di un'arte volta
alla conoscenza più che alla celebrazione roboante del nuovo crea in quegli
anni una pittura compenetrata di speculazione filosofica che è, come scrive
14
Ivi, pp. 267-268.
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MARINETTI E I FUTURISTI: PRATICHE ANTIFILOSOFICHE
NELL'ITALIA GIOLITTIANA E OLTRE
Gianni Eugenio Viola, vera e propria "azione di un pensiero"15.
2. Contro Croce
Al di là del rapporto ambiguamente dialettico con Nietzsche e Bergson, è
chiaro che in senso filosofico ed estetico il nemico maggiore per Marinetti e i
futuristi è rappresentato dalla cultura razionalistica: da una linea di pensiero
che da Hegel arriva sino al neoidealismo che domina la cultura italiana dei
primi decenni del Novecento, e i cui esponenti maggiori sono Benedetto
Croce e Giovanni Gentile. Il futurismo è a favore di una liberazione tout court
delle energie psicofisiche dell'uomo, si richiama alla prassi, è per la
trasformazione estetica, morale, sociale e politica, pone l'ignoto contro il
certo, l'energia e il movimento contro la fissità del concetto e in questo si
trova in netta opposizione con un pensiero estetico che decreta la separazione
dell'arte rispetto a qualsiasi altra attività dell'uomo.
Malgrado ciò, nei primi anni di vita del movimento, Marinetti evita lo
scontro diretto con Croce e i neoidealisti e al momento del lancio del
manifesto su Le Figaro il filosofo è addirittura tra gli intellettuali che ricevono
personalmente una copia del foglio, accompagnata da una lettera in cui il
fondatore del futurismo scrive:
Illustre Maestro,
Vi sarò riconoscentissimo se vorrete inviarmi il vostro giudizio sul
nostro Manifesto del Futurismo e la vostra adesione totale o parziale.
Aspettando la vostra risposta, che sarà pubblicata in Poesia, vi prego di
gradire i miei ringraziamenti anticipati e l'espressione della mia alta
considerazione16.
Il tentativo di Marinetti non deve sorprendere perché Croce gode già da un
decennio di grande fama e rispetto nell'ambiente intellettuale italiano e
Marinetti sa bene che per far breccia nella cultura nazionale il giudizio del
filosofo è comunque un passaggio obbligato. Non si hanno notizie di una
risposta, evidentemente mai arrivata, poiché in tal caso è chiaro che un
qualsiasi tipo di responso sarebbe stato certamente sfruttato a proprio favore
da Marinetti. E ci sono d'altra parte diversi motivi per pensare che il
15
G.E. Viola, L’utopia futurista. Contributo alla storia delle avanguardie,
Ravenna: Longo, 1994, p. 61.
16
La lettera autografa di Marinetti inviata a Croce, s.d. ma 1909, è conservata
alla Fondazione Benedetto Croce di Napoli ed è stata pubblicata da Matteo
D’Ambrosio in Nuove verità crudeli. Origini e primi sviluppi del
futurismo a Napoli, Napoli: Guida, 1990, p. 49 e in Marinetti e il futurismo
a Napoli, Roma: De Luca, 1996, p. 16.
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FERNANDO MARAMAI
"classicista" e "carducciano" Croce abbia semplicemente lasciato cadere
l'invito di aderire ad una cultura da lui non condivisa.
Un vero incontro tra Croce e Marinetti avviene nell'aprile del 1910 a Napoli,
quando la pattuglia futurista sbarca in forze per la prima serata nella città
partenopea. Con Marinetti appaiono al Teatro Mercadante Palazzeschi,
Boccioni, Carrà, Russolo, Altomare, Mazza, Giuseppe Carrieri e Aroldo
Bonzagni. Tra il pubblico numerosissimo ci sono i maggiori esponenti della
cultura cittadina: Eduardo Scarpetta, che cerca di intervenire ma non riesce ad
esser sentito perché la sua voce è surclassata da fischi e pernacchie, Vincenzo
Gemito, in bella vista su un palco di proscenio schierato dalla parte dei
futuristi, Filippo Cifariello e Matilde Serao, dal cui palco a un certo punto
viene lanciata una arancia contro Marinetti. Croce assiste in poltrona, senza
farsi coinvolgere. Nei giorni successivi, prima di lasciare la città, i futuristi si
recano da lui per una visita cordiale, ma nel corso della lunga conversazione
emergono inevitabili disaccordi. Con Marinetti e gli altri compagni c'è anche
Carlo Carrà, che racconterà l'episodio nella sua autobiografia:
Venuti in discussione ad un dato momento Nietzsche e Bergson,
domandai che cosa ne pensasse, ed egli non titubò ad affermare che il
primo era un poeta più che filosofo e il secondo difettava di metodo
sistematico ed aggiunse: "Credo che l'impressionismo stia più a posto
nella pittura che nella filosofia" [...] Si passò poi a questioni di estetica
e ben mi avvidi subito di essere di fronte ad un uomo che di questa
scienza conosceva tutti gli aspetti più reconditi, e sorridendo feci
notare che si può scrivere dei libri su di essa e poi avere alle pareti
della propria casa dei brutti quadri; alla qual cosa Croce, pur
sorridendo, mi rispose che i dipinti a cui alludevo erano una eredità di
suo padre e che questa gli sembrava ragione abbastanza valida per
indurlo a conservarli17.
Le vere ostilità nei confronti di Croce si aprono nel 1913, quando entrano a
far parte del futurismo Giovanni Papini e il gruppo lacerbiano. Il movimento
ha nel frattempo affinato il proprio impegno artistico, con sperimentazioni
letterarie e pittoriche, apparizioni nelle piazze e nei teatri, perseguendo un'idea
di cultura non contemplativa, ma al contrario capace di penetrare la realtà e di
intervenire su di essa. Nel mito tecnologico è vista una opportunità
rivoluzionaria, l'accesso ad una nuova era in cui le masse finalmente avranno
17
C. Carrà, La mia vita, Milano: Rizzoli, 1945; ried. Milano: Abscondita,
2002, p. 92. Alla visita di Marinetti e compagni accenna anche Croce in una
lettera a Casati datata 25 aprile 1910 e pubblicata in B. Croce, Epistolario,
Vol. II, Lettere ad Alessandro Casati. 1907-1952, Napoli: Istituto Italiano
per gli Studi Storici, 1969, pp. 4-5.
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MARINETTI E I FUTURISTI: PRATICHE ANTIFILOSOFICHE
NELL'ITALIA GIOLITTIANA E OLTRE
un mezzo di liberazione per fondare una cultura opposta a quella della
borghesia, che per necessità di certezze e di valori ha costruito i propri
fondamenti sull'impiego retorico del passato e dei classici. Nella sua linea
sperimentalista inoltre il futurismo rifiuta l'idea del capolavoro e del genio
isolato, sostenendo la produzione artistica come prassi collettiva e preferendo
il dilettantismo all'"intellettuale di professione", poiché è nel dilettantismo e
nella cultura di gruppo che si può allacciare un contatto non elitario tra l'arte,
le masse e la vita reale.
Pur non approvando tutte le posizioni di Marinetti, Papini si trova a
condividere con lui una ideologia basata sul più spinto irrazionalismo. Tra i
futuristi il fiorentino è l'unico che ha approfondito le questioni filosofiche.
Prima di dar vita a Lacerba, Papini è stato direttore del Leonardo e
collaboratore de La Voce, e si è battuto con Giovanni Vailati, Mario Calderoni
e Giuseppe Prezzolini per l'affermazione del pensiero di Peirce, James,
Schiller e Bergson, contro la diffusione delle dottrine di derivazione
hegeliana, in particolare dell'idealismo di Croce, Gentile, Pietro Martinetti e
Pantaleone Carabellese, che a inizio Novecento venivano a convergere – per
la critica al positivismo – su posizioni vicine a quelle della cultura cattolica18.
18
I rapporti tra Croce e Papini in realtà all’inizio erano stati all’impronta di
una buona cordialità. Nel 1902 il giovane Papini aveva scritto a Croce, già
affermato e noto come filosofo, per avere un contributo bibliografico su Vico
e gli hegeliani napoletani a integrazione di un suo saggio per la rivista di
Chicago The Monist. Croce aveva accettato e tra i due era iniziata una
corrispondenza. Lo stesso anno Papini aveva letto il trattato di Croce Estetica
come scienza dell’espressione e linguistica generale restandone colpito
positivamente, ma già nel '4-'5 iniziano le prime tensioni, con il direttore del
Leonardo che rifiuta la Logica e il sistema filosofico di Croce, secondo lui
troppo universale e privo di praticità, senza analisi gnoseologica e storica.
Lasciata ogni simpatia per l’idealismo Papini intende ormai la vita
attivamente, concedendo all’indole soggettiva dell’uomo e al libero arbitrio la
possibilità di vivere i diversi suoi aspetti, seguendo non la razionalità ma il
sentimento; per lui la vita precede il pensiero, e la filosofia non può essere
logica aprioristica, creazione di un sistema astratto, ma deve derivare dal
vissuto individuale. Il rapporto con Croce va incontro ad un logoramento e si
riduce sensibilmente a partire dal '9, sino al definitivo distacco del 1911 con la
stroncatura di Papini al saggio La filosofia di Giambattista Vico. Nel 1905
intanto, in nome del pragmatismo americano, Papini aveva già rotto con
Gentile (i due si riavvicineranno solo nel '23). Una ricostruzione dettagliata
del rapporto tra Papini e Croce e tra Papini e Gentile è stata data da Vincenzo
Regina in Giovanni Papini dal Leonardo a Lacerba (1902-1913) attraverso
suoi carteggi inediti ed editi, tesi di dottorato di ricerca in Filologia moderna,
324
FERNANDO MARAMAI
Nei primi anni del secolo, sentendosi minacciata da sinistra, la borghesia ha
colto nel sistema dell'idealismo neohegeliano una idea filosofica che faccia
argine contro il marxismo e il materialismo, e che giustifichi il sistema sociale
esistente. A favore del pensiero crociano e gentiliano si sono trovati così uniti
disparati indirizzi ideologici conservatori, concordi nell'affermare una cultura
borghese laica ma non anticlericale. In tale contesto, da acceso sostenitore
della rivoluzionarietà del pensiero pragmatico rispetto alle altre scuole
filosofiche, Papini ha pubblicato nel 1906 il saggio Il crepuscolo dei filosofi19,
dove, dichiarando la fine delle scoperte in filosofia, ha attaccato ferocemente
la filosofia da Kant in poi, non risparmiando neppure Nietzsche, dal quale ha
ripreso comunque l'idea che il vero dominatore dell'uomo è il corpo, non
l'anima o la vita dello spirito, che sarebbero invenzioni, come la morale e il
peccato.
Sinora privo di particolari dichiarazioni a livello filosofico, eccetto i
continui attacchi superficiali sui manifesti, il futurismo trova dunque nel
fiorentino un importante teorico sia sul piano ideologico che poetico. Dopo
aver terminato Un uomo finito20, in cui ha cercato attraverso la letteratura di
risolvere i propri rovelli interiori confessando una volta per tutte di non voler
creare alcun sistema filosofico, tra il '13 e il '14 Papini propone con i suoi
articoli su Lacerba una nuova versione di anarchismo stirneriano: professa
l'immoralismo, invoca la chiusura delle scuole, insiste sulla necessità della
liberazione dal passato, approfondisce il concetto di arte come gioco, licenza e
capriccio, sostiene il teppismo letterario e giustifica l'uso della violenza per
l'affermazione delle idee21. Da qui in poi gli attacchi antifilosofici del
XVIII ciclo, Università degli studi di Napoli Federico II, Facoltà di Lettere e
filosofia, tutor: ch.mo prof. Raffaele Giglio, ch.mo prof. Matteo Palumbo,
ch.mo prof. Antonio Saccone, 2006. Sull’elaborazione filosofica di Papini sul
Leonardo si vedano gli articoli a firma di Gian Falco "Me e non me" (a. I, n.
2, 14 gennaio 1903), "Piccoli e grandi giuochi" (n. 4, 8 febbraio 1903), "La
filosofia che muore" (n. 10, 10 novembre 1903), "Morte e resurrezione della
filosofia" (n. 11, 20 dicembre 1903), "Marta e Maria (dalla contemplazione
all’azione)" (a. II, n. 12, marzo 1904), "I filosofi a Ginevra" (n. 14, novembre
1904).
19
Il libro era stato stampato a Firenze nel novembre 1905, per poi uscire nel
1906 per la Società Editrice Lombarda di Milano. Una seconda stampa
riveduta uscirà nel '14 a Firenze per le Edizioni di Lacerba.
20
Pubblicato nel gennaio del '13 a Firenze per la Libreria della Voce.
21
Si vedano in particolare gli articoli "Il giorno e la notte" (Lacerba, a. I, n. 1,
1° gennaio 1913), "I cattivi" (n. 2, 15 gennaio 1913), "Il significato del
futurismo" (n. 3, 1° febbraio 1913), "Le parolacce" (n. 4, 15 febbraio 1913),
"Morte ai morti" (n. 7, 1° aprile 1913), "La necessità della rivoluzione" (n. 8,
15 aprile 1913), "I cari genitori" (n. 10, 15 maggio 1913), "Lacerba sotto
325
MARINETTI E I FUTURISTI: PRATICHE ANTIFILOSOFICHE
NELL'ITALIA GIOLITTIANA E OLTRE
futurismo si concentrano su Benedetto Croce, attraverso una polemica portata
avanti con mezzi pungenti, a volte goliardici, sempre con una grande
coerenza.
È contro il filosofo che Papini scrive Il discorso su Roma, letto in mezzo a
fischi e urla durante un five o'clock futurista al Teatro Costanzi di Roma nel
febbraio del 1913. Sollecitato da Marinetti, Papini redige il manifesto in fretta
e in poche ore, un po' a casa sua, un po' in un caffè di Firenze, probabilmente
alle Giubbe Rosse o al Paszkowski, un altro pezzo a casa di Palazzeschi e la
fine in un caffè di Roma, poco prima dell'esibizione futurista. Nella
dichiarazione ai romani, dopo aver parlato dell'Urbe quale simbolo
dell'"archeologismo" e del "passatismo storico", Papini mostra tutta la sua
acredine nei confronti di Croce, il cui idealismo sarebbe, assieme al ritorno
alla religione, tra i maggiori mali che affliggono la sterilità culturale italiana:
Parallela a questa pericolosa infatuazione cristianoide è l'infatuazione
filosofica – più pericolosa ancora, forse, perché alligna in uomini che si
credon liberi dai pregiudizi e arrivati a quelle vette dell'assoluto da cui
si può guardare il mondo colla serenità dei saggi e colla autorità degli
dei. Da una decina d'anni, come giusta reazione a un bestiale
positivismo che dimenticava le sue origini per cascare in metafisicumi
incoscienti da notari o da macellari, s'è sviluppato in Italia un
filosofismo astratto il quale pretende dar fondo all'universo e sostituire
definitivamente la religione. Il caporione di questo filosofismo è quel
Benedetto Croce il quale s'è fatto un gran nome in Italia, tra studenti,
professori di scuole medie e giornalisti delle classi medie prima come
erudito eppoi come abile volgarizzatore e restauratore
dell'hegelianismo berlinese e napoletano.
Questo padreterno milionario, senatore per censo, grand'uomo per
volontà propria e per grazia della generale pecoraggine ed asinaggine,
ha sentito il bisogno di dare all'Italia un sistema, una filosofia, una
disciplina, una critica. Questo insigne maestro di color che non sanno,
per mettere insieme il suo sistema ha castrato Hegel levandogli la
possibilità di far del male ma anche quella di fecondare – per fare la
disciplina è ricorso ai libri di lettura di terza classe elementare – e per
fare la critica s'è messo in testa di continuare De Sanctis al quale egli
processo" (n. 13, 1° luglio 1913), "Accidenti alla serietà!" (n. 16, 15 agosto
1913), "Perché son futurista" (n. 23, 1° dicembre 1913), "Il passato non
esiste" (a. II, n. 2, 15 gennaio 1914), "Chiudiamo le scuole" (n. 11, 1° giugno
1914).
326
FERNANDO MARAMAI
somiglia come il mare dipinto sopra uno scenario somiglia all'oceano
vero22.
La rabbia di Papini è motivata anche dal fatto che da tempo egli è rimasto
isolato nel sostenere il pensiero pragmatico: sono passati sei anni dalla
chiusura del Leonardo, da allora Prezzolini è diventato pensatore crociano e
gentiliano, Vailati è morto e Calderoni non scrive quasi più, mentre l'idealismo
crociano si è affermato come pensiero dominante e senza più contraddittori.
Come continuatore del pensiero carducciano Croce si è imposto inoltre sul
piano estetico e letterario, influenzando anche le nuove generazioni, tanto da
essere definito da Papini "direttore della cultura italiana presente e futura". Il
problema dunque non è soltanto filosofico, perché mettendo alla base del suo
sistema l'estetica e l'arte, e invadendo il campo della letteratura come critico,
Croce avrebbe avuto l'opportunismo di sapersi conquistare un pubblico assai
ampio e con esso anche la maggior parte dei letterati. Da polemista, scettico
su ogni assunto dato, Papini insiste molto su questo punto, denunciando
l'idealismo del filosofo come una forma di "raffinato filisteismo":
Benedetto Croce sogna un'Italia intellettuale composta di tanti bravi
figlioli che stiano a bocca aperta ad ascoltare il suo verbo, buoni clienti
di Laterza, occupati ciascuno in qualche lavoretto assegnato dal rettore
supremo, lettori assidui del Giannettino e di altri libri egualmente
eccitanti, e lontani dai vani capricci e dalle malsane ambizioni della
genialità indipendente che se ne strafotte della storia, della tradizione,
dei doveri sociali e del concetto puro. In fondo a questa filosofia c'è
l'idea che gli uomini non sono che momenti fuggevoli dell'Essere; che
ognuno deve cercare d'andar d'accordo con questo spirito universale
definito nei libri; eseguire la sua piccola parte nella vita; sacrificarsi
alla verità, all'umanità e ad altre divinità astratte dello stesso calibro;
odiare il genio pur professandosi adoratore dei grandi uomini morti, e
darsi a uno sfrenato pedagogismo e proselitismo, tale da soffocare ogni
individualità, spengere ogni volontà di nuovo, reprimere ogni tentativo
d'uscire dalle grandi rotaie della storia. Questa filosofia, insomma, è la
quintessenza stilizzata del perfetto borghesismo civile e spirituale23.
In effetti Croce pensa da tempo alla formazione di un nuovo tipo di
intellettuale in Italia, ad una figura dotta, un liberale ponderato e rigoroso
22
G. Papini, "Discorso di Roma", Lacerba, a. I, n. 5, 1° marzo 1913. Lo si
può leggere in G. Papini, Opere. Dal Leonardo al Futurismo, a cura di L.
Baldacci, con la collaborazione di G. Nicoletti, Milano: Mondadori, 1977
(1981), pp. 428-440.
23
Ibidem.
327
MARINETTI E I FUTURISTI: PRATICHE ANTIFILOSOFICHE
NELL'ITALIA GIOLITTIANA E OLTRE
capace di dar vita ad una borghesia rinnovata all'insegna della moderazione.
Per questo con l'editore Giovanni Laterza ha progettato un'opera editoriale
divulgativa, per pubblicare una serie di classici della letteratura e del pensiero
in un paese ancora povero di una cultura solida e durevole: nel 1909 era infatti
stata impostata da lui la collana "Scrittori d'Italia", mentre già nel 1906 erano
usciti, in collaborazione con Gentile, i primi volumi dei "Classici della
filosofia moderna", una operazione che seppure rivolta alla classe colta era
riuscita ad imporsi nell'ambiente culturale italiano, non solo accademico, per
la cura e la qualità dei testi. Pur riconoscendo l'importanza della collana, che
dà modo per la prima volta di avere in italiano alcune opere, Papini ne aveva
al tempo contestato l'idea di seguire una storia della filosofia con al centro
Hegel, definendo il piano dell'opera come "una collezione teorica e
personale" con imperdonabili esclusioni, come quelle di Schopenhauer e
Locke24. Tornando al presente, nel suo Discorso su Roma, Papini non può fare
a meno di denunciare che dietro al pedagogismo crociano si nasconde la
mediocrità e la grettezza di un uomo di cultura "medio", animato di
moralismo, di amore per la scuola e l'accademia, desideroso di ordine e
certezze, agli antipodi rispetto all'individualità del genio e alla ricerca di
novità nell'arte e nella poesia. Il sogno di Croce sarebbe dunque nient'altro che
una legittimazione del conformismo retrivo tipicamente italiano, opposto ai
tentativi futuristi:
Tutti gli altri uomini facciano i loro mestieri; lavorino, guadagnino i
quattrini, mangino e bevano e pensino agli interessi della città e del
paese; ma nel mondo dello spirito, nel mondo dell'intelligenza e
dell'arte, non venite a turarci la bocca e a toglierci il respiro colle
vostre fregnacce di servitori d'Iddio e della società. [...] La nostra arte
presente è, per la massima parte, idiota come cinquant'anni fa – la
nostra letteratura si riduce agli arruffianamenti di tipo dannunziano,
alle novelle tipo boulevardier e alle poesiole di quei crepuscolari che
sembran fatte nella latrina dopo qualche nostalgica stitichezza – la
nostra filosofia si riduce ai rimasticamenti di quell'idealismo assoluto
che ha perso, viaggiando per cent'anni da Berlino a Napoli, quello
slancio intuitivo che lo giustificava per diventare una buccia scolastica,
un bozzolo pieno di vento.
La cultura italiana è tremendamente decrepita e professionale: bisogna
uscire una buona volta da questo mare morto della contemplazione,
adorazione, imitazione e commento del passato se non vogliamo
24
Cfr. Gian Falco [G. Papini], "Collana dei filosofi moderni", Leonardo, a. V,
n. 1, 1907, p. 123.
328
FERNANDO MARAMAI
diventare davvero il popolo più imbecille del mondo25.
Gli attacchi a Croce proseguono nella rubrica di Lacerba Sciocchezzaio e
spicilegio, dove tra marzo e agosto sono ospitate frasi dalle sue opere,
estrapolate dal contesto e manipolate allo scopo di evidenziarne la banalità26.
Sempre in marzo Papini progetta una monografia sul filosofo come ideale
sostegno della polemica inaugurata al Costanzi27. In aprile esce la recensione
al Breviario di Estetica, da poco pubblicato da Laterza, con Papini che giudica
l'opera di Croce fumosa, contraddittoria, impregnata di vecchi luoghi comuni
e astrazioni arbitrarie dalle quali è impossibile ricavare un vero metodo critico
per giudicare la validità o meno di un'opera d'arte28. In maggio Papini dà alle
stampe Sul pragmatismo (Saggi e ricerche) 1903-191129, raccogliendo una
serie di articoli del periodo prefuturista. Il filosofo ricambia l'offesa subita a
Roma pubblicando su La Critica una severa stroncatura all'edizione curata da
Papini de Le poesie di Campanella30. In risposta appare l'articolo I miei conti
con Croce31 in cui Papini rinnova le sue accuse, mentre Soffici ospita nella
sua rubrica Giornale di bordo una quartina in cui sinteticamente si afferma
che "Benedetto è quella croce / Che ti scrive anche il Breviario; / Preferisco il
sillabario, / Ci si impara assai di più"32. La polemica a distanza si chiude
provvisoriamente con l'articolo Per una edizione delle poesie di Campanella,
con cui Croce evita attacchi personali a Papini e si limita a criticare il suo
lavoro di curatore su basi strettamente filologiche33, anche se ai primi di
agosto Papini continua a lavorare al progetto editoriale sul filosofo, che nel
25
G. Papini, "Discorso di Roma", cit.
Si comincia con il numero 5 della rivista (1° marzo 1913) con brani dal
Breviario d’Estetica, di seguito nel numero 6 (15 marzo 1913) ancora con
frasi dal Breviario d’Estetica, nel numero 7 (1° aprile 1913) con estratti dalla
Logica e dall’Estetica, nel numero 9 (1° maggio 1913) con frasi dalla Logica,
infine nel numero 15 (1° agosto 1913) ancora con estratti dalla Logica.
27
Il progetto è annunciato in una lettera a Marinetti datata 18 marzo 1913. Il
testo della missiva, conservata alla Beinecke Rare Book and Manuscript
Library della Yale University, è stato pubblicato da Gianni Eugenio Viola in
L’utopia futurista. Contributo alla storia delle avanguardie, cit., pp. 7071.
28
Cfr. G. Papini, "Estetica", La Stampa, 29 aprile 1913; ora in G. Papini,
Opere. Dal Leonardo al Futurismo, cit, pp. 592-600.
29
Milano: Libreria editrice milanese, 1913.
30
Lanciano: Carabba, 1913, 2 Voll. Cfr. B. Croce, "T. Campanella, Le poesie",
La Critica, Vol. XI, n. 3, maggio 1913, pp. 254-259.
31
Lacerba, n. 11, 1° giugno 1913.
32
Lacerba, n. 14, 15 luglio 1913.
33
La Critica, Vol. XI, n. 4, luglio 1913, pp. 338-340.
329
26
MARINETTI E I FUTURISTI: PRATICHE ANTIFILOSOFICHE
NELL'ITALIA GIOLITTIANA E OLTRE
frattempo ha deciso di dividere in due volumi intitolati La crocifissione di
Croce e L'antifilosofia futurista34.
Non passa molto tempo che Croce è di nuovo il bersaglio di una
manifestazione futurista. Il 13 aprile 1914, per l'inaugurazione della Prima
Esposizione Libera Futurista Internazionale alla Galleria Sprovieri di Roma,
vanno in scena I funerali del filosofo passatista, "morto di crepacuore sotto gli
schiaffi del futurismo". Lungo la sala della galleria, salmodiando suoni
incomprensibili, Marinetti e i suoi organizzano una processione carnevalesca
di incappucciati che attraversa il pubblico. Ad aprire il corteo sono il poeta
Radiante e il pittore Depero, che portano sulle loro spalle la testa del filosofo
scolpita dal poeta Cangiullo, puntellata da un volume tarlato e completata da
due braccia di corda con mani di carta; i loro volti sono nascosti in enormi
tubi neri con dei fori al posto degli occhi e del naso. Balla, camuffato da
scaccino, impugna un lungo pennello a guisa di torcia, con cui percuote di
tanto in tanto un campanaccio da vacca emettendo incomprensibili melopee
come preghiere dedicate alla memoria del defunto, mentre Cangiullo esegue al
pianoforte una straziante marcia funebre. Il trasporto del cadavere del filosofo
indica in questo grottesco rituale la difesa della fantasia, dell'intuizione e della
fisicofollia, dei diritti della vita rispetto alla vecchiaia e alla morte. Come
direttore di cerimonia, al termine del corteo, nel momento in cui la testa è
collocata in fondo alla sala, Marinetti ha il compito di pronunciare l'orazione
funebre e spiegare come le patate, le cipolle e la penna che riempiono e
coronano il cranio del filosofo, "la sua lingua putrida" e "i suoi denti
verdognoli" che avvelenano la primavera e il genio, si siano giustamente
meritati gli "schiaffi omicidi" di Cangiullo. Infine, "per vincere il tanfo di
putredine", Marinetti si accende una sigaretta e invita il pubblico a imitarlo.
Poi, per accelerare la decomposizione del cadavere, inizia a declamare le
parole in libertà del poeta Luciano Folgore35.
Il contrasto tra l'energico e fantasioso Varietà futurista e la "pedanteria"
crociana è riproposto da Cangiullo in una gustosa tavola parolibera inserita
all'inizio e alla fine del suo Caffèconcerto. Alfabeto a sorpresa36: in un
riquadro che ricostruisce l'interno di un teatro appare un sipario che scende
34
Cfr. lettera di Papini a Marinetti da Pieve Santo Stefano (Arezzo), datata 3
agosto 1913; conservata alla Beinecke Rare Book and Manuscript Library,
Yale University (riprendo la notizia da V. Regina, Giovanni Papini dal
Leonardo a Lacerba (1902-1913) attraverso suoi carteggi inediti ed editi,
cit., p. 271).
35
Cfr. Anonimo, "Inaugurazione dell’Esposizione Libera Futurista", Lacerba,
n. 9, 1° maggio 1914.
36
Milano: Edizioni futuriste di Poesia, 1919; ristampa anastatica a cura di L.
Caruso, Firenze: Spes-Salimbeni, 1979.
330
FERNANDO MARAMAI
dall'alto davanti ad un pubblico attonito; la grande tela che chiude la scena, e
che fa da diaframma ad un universo di energie pronte a liberarsi e a
diffondersi sulla platea, è composta dal poeta con vari cartelloni pubblicitari
che annunciano le più disparate attività: una pensione napoletana, medici che
curano "malattie segrete", un ristorante, una agenzia artistica per il lancio di
giovani canzonettiste ironicamente intitolata a Marinetti e infine l'affiche sin
troppo esplicita su un noto professionista, tale "B. CROCE. ANALISI
D'ORINA. Sistema tedesco".
Con la redazione di Lacerba che inizia a prendere le distanze dalla direzione
milanese del futurismo e con Papini che dirada i suoi interventi su Croce37,
Marinetti torna a parlare di filosofia nel manifesto interventista In quest'anno
futurista in cui, insistendo sullo slancio antagonistico del movimento, dà una
spiegazione sulla mancanza di una pars construens futurista in campo
filosofico. Il futurismo, specifica Marinetti, non potrà mai essere "profetismo",
perché si trova al fianco di Bergson nel credere che "la vie déborde
l'intelligence, cioè straripa, avviluppa e soffoca la piccolissima intelligenza"; e
al di là di ogni speculazione – prosegue il capo del futurismo – è necessario
che i giovani studenti italiani combattano sia la cultura germanica che quella
latina, in favore del "genio creatore" del presente, per opporre a Mommsen e a
Benedetto Croce la vitalità dello "scugnizzo italiano"38.
3. A difesa dell'arte
Terminata l'esperienza lacerbiana il gruppo futurista si concentra nella
primavera del 1916 sempre a Firenze intorno alla rivista L'Italia futurista. Il
nucleo che dà vita alla testata, composto da Emilio Settimelli, Bruno Corra,
Arnaldo Ginna, Remo Chiti, Mario Carli e Neri Nannetti, ha già alle spalle
altre esperienze editoriali ed ha elaborato una poetica a favore di un'arte che
comprenda l'esoterico, le manifestazioni degli stati della precoscienza e i
fenomeni paranormali. Fortissimamente contrario all'idealismo di Croce e
all'estetismo dannunziano, il gruppo rifiuta anche lo scientismo positivista e le
Le critiche al filosofo torneranno su Lacerba con l’articolo "Abbasso la
critica!" (a. III, n. 18, 1° maggio 1915), ma nei mesi che precedono la
dichiarazione di guerra all’Austria gli interventi di Papini saranno più che
altro protesi in favore dell’interventismo. Nel '16 uscirà invece Stroncature.
Seconda serie dei 24 cervelli che raccoglie articoli su Croce già pubblicati tra
il ’5 e il ’14 sul Leonardo, La Stampa, Lacerba e Les Soirées de Paris.
Come noto, la rottura tra lacerbiani e futuristi, anticipata dall’uscita dal
movimento di Palazzeschi, avviene dopo un dibattito tra Papini e Boccioni ed
è ufficializzata con l’articolo di Papini "Futurismo e Marinettismo" (Lacerba,
n. 7, 14 febbraio 1915).
38
Datato 29 novembre 1914, lo si può leggere in Teoria e invenzione
futurista, cit., pp. 328-336.
331
37
MARINETTI E I FUTURISTI: PRATICHE ANTIFILOSOFICHE
NELL'ITALIA GIOLITTIANA E OLTRE
sue certezze, ormai infrante da Max Planck con la teoria dei quanti e da Albert
Einstein con la teoria della relatività.
Prima di diventare futurista Settimelli ha fondato nel 1909 La difesa
dell'arte, che si distingue per una accesa campagna contro le tendenze
artistiche improntate al classicismo e al tradizionalismo, e dove il fiorentino
pubblica una serie di articoli dal sapore scapigliato contro i capisaldi della
cultura nazionale D'Annunzio e Croce39. Conclusa l'attività della rivista,
nell'aprile del '12 Settimelli dà alle stampe La critica di B. Croce40, un saggio
in cui, tenendosi lontano dal campo della filosofia, attacca il "Croce letterario"
per demolirne il metodo di giudizio. Così come è stata condotta sinora, scrive
Settimelli, la critica non ha ragione d'essere: Croce basa la conoscenza sulla
pretesa dell'uguaglianza del "gusto estetico", che è invece cosa discordante
negli uomini, così come varia, incerta e indefinibile, e condannata al più
grande soggettivismo, è l'idea del bello; sbagliata è, secondo Settimelli, anche
la pretesa di considerare l'arte come pensiero e intuizione (semmai è l'artista
che ha l'intuizione), mentre è fenomeno esclusivamente cerebrale che non ha
niente a che vedere con il sentimento. A non cambiare mai nell'arte – aggiunge
Settimelli – è piuttosto l'idea del valore, ed è per questo che si deve fondare un
metodo di giudizio basato sul ragionamento e non sulla sensibilità del critico:
la critica deve cioè diventare scienza, trovare dei criteri di verità e di
assolutezza che liberino l'intelletto e impediscano alle passioni di influenzare
colui che si trova a giudicare.
Sviluppando le sue idee nel periodo in cui dirige con Carli e Corra il
settimanale liberista di arte e critica Il Centauro, Settimelli mette a fuoco la
necessità di trovare un metro in grado di valutare l'opera in modo certo e
inequivocabile41 e inizia a sostenere una personale teoria della misurazione.
Partendo dal concetto che la critica non può essere una opinione, egli
stabilisce che ci debba essere un controllo esatto dell'opera da parte di un
39
La rivista, pubblicata con scadenza decadale e poi settimanale, è diretta da
Virgilio Scattolini ed ospita anche interventi di Mario Carli e Remo Chiti. La
pubblicità sui primi numeri recita: "La Difesa dell’Arte è il solo giornale
letterario d’Italia che tratti unicamente di Critica e scritto per intero da giovani
e oscuri. Giovani d’Italia! Volete che prosperi un organo di battaglia che
tuteli il vostro avvenire contro gli arrivati che vi chiudono la via?
Abbonatevi alla Difesa dell’Arte". Di Settimelli si vedano in particolare
"Contro la 'poesia' di G. D'Annunzio", a. I, n. 1, 1° novembre 1909 e l’articolo
firmato insieme a Scattolini, "Il nuovo sistema di critica", n. 2, 11 novembre
1909.
40
Bologna: Beltrami, 1912.
41
Cfr. in particolare l’articolo "Superare D'Annunzio e Croce", Il Centauro,
a. II, n. 4, 2 febbraio 1913.
332
FERNANDO MARAMAI
soggetto imparziale, indipendente dalle influenze e dalle condizioni di spirito.
L'esito teorico più importante in questa direzione è il manifesto scritto a
quattro mani con Corra Pesi, misure e prezzi del genio artistico42, dove viene
demolita l'estetica crociana: anziché affidarsi al gusto o a posizioni
pregiudiziali, l'opera d'arte deve essere valutata, "pesata" e scomposta nei suoi
elementi, per trovare quale ingegno e quanta abilità siano contenuti nella sua
creazione. Allontanando ogni "sentimentalismo intellettuale", il critico deve
farsi "macchina" per poter dare una "misurazione" meccanica e scientifica,
matematica e geometrica, abolendo una volta per tutte i concetti di "bello",
"piacevole", "commovente", "forte", "raffinato".
Se sul piano della valutazione critica dell'opera d'arte Settimelli si sforza di
rintracciare criteri scientifici, oggettivi e universali, su quello creativo si trova
a coltivare insieme al gruppo de L'Italia futurista una prospettiva fondata
sull'illogico e sull'idea che l'arte è "secrezione cerebrale", frutto del genio e
dell'invenzione a piacimento. È contro il "filosofismo" e i sistemi di "pensiero
astratto" attribuiti a Croce che Settimelli scrive con Corra la sintesi teatrale
Davanti all'infinito, che vede protagonista un giovane filosofo "tipo berlinese"
che passeggia con un revolver nella mano destra e il giornale nella sinistra,
incerto su come risolvere le proprie turbe esistenziali, sino ad una scelta
definitiva dettata da un libero arbitrio ridotto a gesto insignificante:
È inutile!... di fronte all'Infinito tutte le cose sono uguali... tutte le cose
sono sullo stesso piano... Mistero la loro nascita, il loro corso, la loro
morte!... E allora che cosa scegliere?... Ah! il dubbio, l'incertezza!... Io
proprio non so oggi... 1915 se dopo la mia consueta colazione debba
mettermi a leggere il Corriere della sera o debba invece tirarmi un
colpo di revolver... (Guarda la destra e poi la sinistra alzando
rivoltella e giornale, però con noncuranza, annoiato). Beh! tiriamoci
una revolverata! (Spara e cade fulminato)43.
Contro il razionalismo scientifico e la cultura positivista Corra pone le linee
guida del manifesto La scienza futurista (antitedesca – avventurosa –
capricciosa – sicurezzofoba – ebbra d'ignoto), firmato insieme a Settimelli,
Oscar Mara, Ginna, Chiti, Carli e Nannetti44. Partendo dal fatto che l'unica
cosa certa per l'uomo è l'insicurezza e che la realtà resta inspiegabile, Corra
concentra l'attenzione sui fenomeni paranormali, che al contrario delle
42
Datato 11 marzo 1914. Ripubblicato in Emilio Settimelli e il suo teatro, a
cura di M. Verdone, Roma: Bulzoni, 1992, pp. 291-297.
43
Edita nella prima raccolta del Teatro futurista sintetico, Milano: Istituto
editoriale italiano, 1915, la sintesi è stata ripubblicata da M. Verdone in ivi, p.
142.
44
Ne L’Italia futurista, a. I, n. 2, 15 giugno 1916.
333
MARINETTI E I FUTURISTI: PRATICHE ANTIFILOSOFICHE
NELL'ITALIA GIOLITTIANA E OLTRE
categorie appartenenti al razionale consentirebbero di indagare le zone meno
scandagliate della realtà. Ancora con Settimelli scrive la sintesi La scienza e
l'ignoto. In questa brevissima pièce si trovano a discutere due barbuti
professori, l'uno assalito da un dubbio atroce scaturito da un fenomeno
inaspettato, l'altro arrogantemente impegnato a riportarlo nel sicuro alveo del
dogma della logica scientifica:
2° SAGGIO. Sono andato a letto ieri sera tutto trionfante, pieno del più
schietto ottimismo... eh, sì! la vostra meravigliosa scoperta sulle nuove
onde magnetiche, mi aveva fatto sperar tanto... ma stamani! Ah! non so
neppure riconoscermi [...] l'Ignoto, lo stesso concetto dell'Ignoto è
sufficiente a scombussolare qualsiasi nostra teoria di conquista [...]
spieghiamo un fenomeno il quale per essere spiegato ha bisogno di
mille verità non spiegate e se ci accingiamo a spiegarle... mille altre
premesse non risolte ci balzano davanti... non c'è scienza, non c'è
sicurezza finché esiste l'Ignoto... basta ammettere la sua esistenza per
non credere più nella scienza... e l'Ignoto esiste...
1° SAGGIO. Ah! che pessimismo ingiustificato! [...] Ma la scienza è
tutto, la logica è tutto! L'uomo si è impadronito per esse della terra, e
del mare, e del cielo! [...] per esse ha trasformato questo vecchio
universo ed ha letto le leggi che lo incatenano [...]. Voi vaneggiate!
Tutto si spiega e tutto si spiegherà, l'Ignoto non esiste!
2° SAGGIO. (al colmo della rabbia, levandosi il cappello e lasciando
scorgere infisso sulla sua testa calva un prepotente sigaro "Virginia").
Ah! sì? e spiegatemi allora la nascita di questo sigaro dal mio cranio
calvo!.. qui è spuntato e cresciuto mentre dormivo; è stata la grata
sorpresa di stamani... avanti! spiegatemi!45
Ciò che sembra un semplice scherzo ai danni delle certezze scientifiche è in
realtà per Corra e Settimelli un tentativo artistico di articolare il concetto
dell'assurdità dell'esistenza nel rifiuto di un approccio logico-consequenziale.
L'aneddoto del sigaro spuntato in testa sarà ripreso anche da Malaparte nel
romanzo La pelle, in questo caso per "spiegare" come sia stata possibile
l'affermazione del nazismo nella umanistica Europa. La scienza e l'ignoto
anticipa inoltre molte situazioni del "teatro dell'assurdo" di Ionesco; si pensi in
particolare alla commedia Rhinocéros, dove un filosofo intento ad esercizi di
logica spiega a un vecchio signore cos'è il sillogismo con uno dei tanti
possibili esempi: "I gatti sono mortali. Ma anche Socrate è mortale. Dunque,
45
Pubblicata nella seconda raccolta Teatro futurista sintetico, Milano:
Istituto editoriale italiano, 1916, p. 8. La si può leggere in Emilio Settimelli e
il suo teatro, cit., pp. 150-151.
334
FERNANDO MARAMAI
Socrate è un gatto", finché il concetto enunciato e posto a sistema a priori
viene messo in ridicolo dalla manifestazione del reale: la comparsa inaspettata
e terrorizzante di un rinoceronte che uccide il gatto di una casalinga46.
4. Rudimenti antistoricistici e sogni infranti
Nel novembre del 1918, quando il futurismo sembra aver abbandonato gli
attacchi a Croce, il filosofo pubblica su La Critica l'articolo Il futurismo come
cosa estranea all'arte47 con cui prova a regolare i conti con l'avanguardia
artistico-letteraria italiana. Definito come un documento penoso delle
condizioni spirituali dei tempi, il futurismo secondo Croce non è né poesia né
arte, sebbene i suoi cultori siano sovente in buonissima fede nel riprodurre con
precisione icastica ciò che arriva del mondo ai loro sensi. I futuristi – spiega
Croce – "credono che in quella precisione consista la poesia, immaginano di
far poesia", due ne sarebbero le prove: il fatto che essi formano una sterminata
scuola senza figure che emergano dalla moltitudine ("una folla di genii, che
non può essere se non una folla di povera gente, perché il genio è l'opposto
della folla") e che "fra tante migliaia di pagine che i futuristi imbrattano ogni
anno" nessuna opera è stata espressa a livello di "capolavoro", entrando nella
fantasia, nella memoria e nell'orecchio del pubblico.
Marinetti non risponde direttamente all'articolo, che d'altra parte non
aggiunge niente di nuovo ad una situazione già delineata da posizioni
estetiche diametralmente opposte. Al di là delle questioni strettamente
artistiche (mai peraltro considerate dai futuristi come separate da tutti gli
aspetti della vita), nel primo dopoguerra il capo del futurismo sente che è
giunto il momento per un cambiamento radicale della società italiana e
impegna le sue forze principalmente sul piano politico. La fine della guerra ha
dato il via alla liberazione di energie conflittuali, lotte sociali, scioperi e
agitazioni senza precedenti, e alla disgregazione dello stato liberale, attaccato
su più fronti politici. Nel dicembre del '18 nascono i primi fasci politici
futuristi, anticipatori di quelli mussoliniani di combattimento. Pur diffidando
di Mussolini48, nel gennaio del '19 Marinetti è con lui a Milano per contestare
46
Cfr. Rinoceronte, in E. Ionesco, Tutto il teatro, a cura di E. Jacquart,
Torino: Einaudi-Gallimard, 1993, Vol. I, pp. 563-572.
47
Nella sezione "Postille", La Critica, Vol. XVI, n. 6, pp. 383-384.
48
Alla fine del '18 Marinetti annota nei suoi Taccuini: "Sento il reazionario
che nasce in questo violento temperamento agitato pieno di autoritarismi
napoleonici e di nascente disprezzo aristocratico per le masse. Viene dal
popolo e non lo ama più. Tende all’aristocrazia del pensiero e della volontà
eroica. Non è un gran cervello. Non ha visto la necessità della guerra. Fu
antimilitarista demagogo senza patria. Ora dalla necessaria conflagrazione
contro gl’imperi autocratici sta traendo un bisogno e una volontà di disciplina
335
MARINETTI E I FUTURISTI: PRATICHE ANTIFILOSOFICHE
NELL'ITALIA GIOLITTIANA E OLTRE
Bissolati e rimane coinvolto negli scontri con i socialisti; in marzo, pur
deprecando le tendenze reazionarie e poliziesche dei fasci di combattimento,
entra nel comitato centrale appena costituitosi, convinto di preparare una
rivoluzione contro il governo e l'assetto monarchico del paese. Così nel
manifesto del marzo del '19 Crollo di filosofi e storici, sibille a rovescio il
capo del futurismo torna a parlare di Croce, affermando che la conflagrazione
da poco conclusa è la prova della sconfitta dei filosofi e degli storici, che non
avevano previsto la possibilità della guerra e che hanno creduto per molto
tempo nella invincibilità della Germania. L'inizio del manifesto è fulminante:
Quando ho del tempo da perdere mi diverto a guardare attentamente
dentro le filosofie, a smontarle e ricomporle, come i bambini guardano
dentro a un orologio, lo smontano e lo ricompongono, senza guardare
l'ora segnata dalla freccia, poiché so che certamente quella non è l'ora
vera49.
Nel proseguo Marinetti torna a dichiarare la sostanziale differenza tra
pragmatismo e teorie aprioristiche. Riprendendo una polemica vecchia quanto
la filosofia stessa contro l'astrattezza e il distacco dalla realtà di un certo tipo
di pensiero, parla di filosofi e storici che "data la pendenza del terreno hanno
la testa bassa e i piedi in alto". I bersagli di questo attacco sono Kant, Hegel
ed Émile Boutroux, posti per un grossolano principio di antigermanismo sullo
stesso piano dei generali tedeschi Hindenburg e Ludendorff. Poi, affermando
la posizione futurista di "guerra o rivoluzione", Marinetti ribadisce il credo
dell'inscindibilità tra arte e vita, tra arte e azione:
Giorgio Sorel dice: "l'arte, la religione, la filosofia sono inseparabili".
Non è vero. La filosofia e la religione sono per noi futuristi due
questure create dalla paura dell'al di qua – guerra o rivoluzione – e
dalla paura dell'al di là – inferno.
L'arte è per noi inseparabile dalla vita. Diventa arte-azione e come tale
è sola capace di forza profetica e divinatrice.
ad ogni costo d’ordine reazionario e di militarismo scopo a se stesso. Non
vede chiaro. È trascinato dal suo temperamento di lotta eroica e dall’ideale
napoleonico e aspira credo anche alla ricchezza" (F.T. Marinetti, Taccuini.
1915-1921, a cura di A. Bertoni, Bologna: il Mulino, 1987, p. 392).
49
F.T. Marinetti, "Crollo di filosofi e storici, sibille a rovescio", pubblicato ne
L’Ardito nel marzo 1919; in seguito in Democrazia futurista (Dinamismo
politico), Milano: Facchi, 1919; ora in Teoria e invenzione futurista, cit., pp.
363-367. La citazione si riferisce a p. 363.
336
FERNANDO MARAMAI
Il filosofo De Ruggiero ed altri filosofi parlano oggi del trionfo del
liberalismo (concretato nella Intesa) sullo Stato organizzatore
(concretato nella Mitteleuropa). Oppongono il liberalismo dell'Intesa,
figlio dell'individualismo calvinistico della Riforma, all'ordine
accentratore della Germania, figlio dell'universalismo tecnologico del
medioevo.
Accusano il liberalismo di essersi sciupato nella ideologia democratica
della rivoluzione e nello sparpagliamento nazionalistico della
restaurazione.
Si vede nettamente che prevedevano la sconfitta del liberalismo e si
affannano ora a legittimare e a dimostrare naturale il suo trionfo
inaspettato con mille cavilli inconcludenti.
Trovano, per esempio, che il liberalismo non era così disgregato come
sembrava e che d'altra parte ha manifestato una forza di simpatia e
d'attenzione coll'attirare altre identità liberali e conquistare così un
numero sempre crescente di alleati alla Intesa.
Benedetto Croce annaspando anche lui per conciliare la sua
germanofilia di ieri col suo terrore della rivoluzione d'oggi, parla
tremando della vittoria del liberalismo sul tipo di civiltà a base di
organizzazione e di centralizzazione.
Spettacolo miserevole di questi poveri ciechi, mutilati dal Passatismo.
È assurdo parlare di liberalismo e di Mitteleuropa organizzatrice.
La conflagrazione segna la vittoria delle razze coalizzate più geniali,
più elastiche, più dotate di immaginazione improvvisazione [...]. Fa la
sconfitta del filosofumo, del culturalismo, del criticismo teorico. I
filosofi e storici passatisti sono stati sconfitti dagli scugnizzi
rivoluzionari e poeti futuristi50.
Preoccupato per la decadenza del sentimento storico e irridente ai miti
palingenetici affidati alla guerra, alle soglie dell'entrata in guerra Croce aveva
attaccato gli intellettuali interventisti sia di destra che di sinistra (nazionalisti,
massoneria, futuristi e lacerbiani), insistendo su un atteggiamento fortemente
difensivo di fronte alla vitalità e all'irrazionalismo, intuendo che attraverso
essi erano messi in crisi tutti i criteri del mondo di cui era considerato e si
considerava maggiore interprete, criteri non solo filosofici ma anche letterari,
politici e ideologici.
Come molti altri intellettuali Marinetti aveva invece sostenuto l'idea della
guerra come lotta per la vita, e ispirandosi esplicitamente o implicitamente a
Darwin, Nietzsche, Marx e Sorel aveva visto in essa una necessità
imprescindibile, una lotta di selezione e liberazione, manifestazione biologica
dell'uomo e diritto dei popoli che al di là delle vittime sacrificali avrebbe
50
Ivi, p. 365-366.
337
MARINETTI E I FUTURISTI: PRATICHE ANTIFILOSOFICHE
NELL'ITALIA GIOLITTIANA E OLTRE
spazzato via tutti i modelli imposti dalla grande cultura borghese51. Ma
all'indomani del conflitto, in uno scenario che appare in frantumi, con i miti
idealistici in decadimento e i principi universali e totalizzanti che si sono
ormai disintegrati, gli eventi si evolveranno in maniera assai diversa rispetto
alle aspettazioni messianiche di Marinetti. L'Italia, anche se è tra i paesi
vincitori, nel primo dopoguerra è in una posizione intermedia tra la relativa
stabilità della Francia e della Gran Bretagna e la disgregazione degli imperi
centrali, ed è la nazione più provata tra quelle dell'Intesa, uscita dal conflitto
fortemente indebolita sul piano economico e politico. Nel paese ci sono
agitazioni sociali interne che fanno pensare ad un periodo prerivoluzionario,
con una erosione dal basso dei capisaldi dello stato liberale e una
delegittimazione della vecchia classe politica, messa alle strette dall'azione
delle masse proletarie e dall'agitazione nazionalista dei ceti medi e degli ex
combattenti. Anche se affascinato dalle lotte operaie e dall'anarchismo,
nell'aprile del '19 Marinetti partecipa ai tumulti milanesi che si concludono
con l'incendio dell'Avanti! In settembre è a Fiume al fianco degli irregolari
politici giunti da tutta Italia, in ottobre partecipa al I Congresso Fascista in cui
chiede lo "svaticanamento" dell'Italia e l'istituzione di un governo tecnico.
Pubblica le sue idee in Democrazia futurista, dove propone l'emancipazione
51
Si potrebbe qui aprire un’ampia parentesi su quali fossero le reali
convinzioni di Marinetti, dando voce a diverse interpretazioni critiche sul suo
interventismo. Mi limiterò a citare due diversi giudizi. Partendo da posizioni
benjaminiane in un suo polemico articolo Edoardo Sanguineti ha sostenuto
come elemento caratterizzante e ineludibile dal futurismo il “bellicismo
imperialista”, scrivendo che "La guerra, la 'sola igiene del mondo', diede in
effetti al futurismo una puntuale cristallizzazione sociologica, e un preciso
quadro dottrinale […] per Marinetti, la guerra industriale non è soltanto
l’igiene, ma è la verità del mondo: la verità ultima della natura e della storia"
(cfr. E. Sanguineti, "La guerra futurista", Quindici, n. 14, dicembre 1968). Più
lucidamente Luciano De Maria confutando l’opinione di Sanguineti ha fornito
una interpretazione scevra da pregiudizi ideologici e più attenta a quelli che
erano i temi del futurismo: "Il futurismo marinettiano, erede della cultura
romantica […] si riallaccia, implicitamente, a uno dei grandi temi della
filosofia occidentale: la nozione di 'follia del divenire' […]. È
l’irrazionalizzazione dell’idea rivoluzionaria, di cui parla Del Noce, il
dinamismo per il dinamismo, l’ipostatizzazione del divenire, della guerra e
della lotta come fenomeni naturali dell’esistenza" (cfr. L. De Maria, "A
proposito del futurismo", Quindici, n. 15, gennaio 1969). Ma sugli aspetti del
pensiero marinettiano e degli intellettuali italiani favorevoli all’interventismo
si veda soprattutto lo studio di Mario Isnenghi Il mito della grande guerra.
Da Marinetti a Malaparte, Bari: Laterza, 1970 (Bologna: il Mulino, 1989).
338
FERNANDO MARAMAI
della donna e il divorzio, l'abolizione dell'obbligo di leva, l'abbattimento delle
carceri e degli eserciti; suggerisce la nazionalizzazione delle terre e delle
acque, lo sviluppo di cooperative, il decentramento regionale e la riforma
tributaria, fondiaria e della burocrazia, sempre seguendo la concezione di uno
Stato impegnato nella difesa degli strati più deboli e nella giusta distribuzione
delle proprietà. In novembre si candida alle elezioni politiche con i fascisti,
ma i risultati elettorali sono pessimi per l'intero "blocco fascista". A questo
punto le cose cambiano rapidamente: Mussolini comprende che per allargare i
consensi deve passare a posizioni politiche più opportunistiche, isolando le
posizioni più radicali all'interno dei fasci. Il sogno di rivoluzione di Marinetti
si infrange nel maggio del '20 al II Congresso Fascista, a seguito del quale dà
le dimissioni dal comitato centrale dei fasci per forti divergenze politiche sugli
scioperi, sul Vaticano e sulla monarchia. Deluso per la svolta che Mussolini ha
dato al partito, il capo del futurismo scrive l'articolo Al di là del comunismo52
e incassa le severe critiche di Giuseppe Bottai, che giudica confuso
l'anarchismo di Marinetti e intollerabile la proposta degli "artisti al potere".
Con la conclusione dell'avventura fiumana, repressa nel "Natale di sangue", si
consuma l'allontanamento da Mussolini, che non si oppone all'azione
governativa, e Marinetti rinuncia all'idea di un movimento artistico che sia
anche movimento politico in grado di incidere concretamente nella realtà del
paese per cambiarne lo status sociale oltre che culturale e abbandona la
militanza.
Quando si riavvicina a Mussolini, nel '23, definendo il fascismo come
attuazione del "programma minimo futurista", Marinetti spera in un
riconoscimento del proprio movimento, ma Mussolini, sapendo di dover
scendere a compromessi, ha già intrapreso le sue scelte culturali,
appoggiandosi all'idealismo di Gentile, che negli anni avrebbe dato al
fascismo delle solide e durevoli basi filosofiche e ideologiche.
Deluso perché nel '22 alla Biennale di Venezia è stata negata a Boccioni la
mostra postuma, mentre sono state date due sale ad Archipenko, Marinetti
protesta contro la riforma scolastica di Gentile, che giudica profondamente
"passatista e antifascista" e innesca una polemica per l'esclusione dei futuristi
alla Biennale del '24, dove sono invece invitati gli artisti dell'avanguardia
cubofuturista russa. L'inaugurazione della mostra avviene nel salone della
Biennale alla presenza del re e di numerose autorità politiche. Vi si reca anche
Marinetti in veste di contestatore, che in mezzo al pubblico, dopo il lungo
discorso del ministro Gentile, che introduce la manifestazione, grida a piena
voce contro Vittorio Emanule III accusandolo di aver "inaugurato
un'esposizione di camorristi", finché intervengono i carabinieri che,
52
La Testa di ferro, a. I, n. 23, 15 agosto 1920.
339
MARINETTI E I FUTURISTI: PRATICHE ANTIFILOSOFICHE
NELL'ITALIA GIOLITTIANA E OLTRE
credendolo un anarchico, lo bloccano e portano in questura per i dovuti
accertamenti53.
Sulla riforma gentiliana si esprime criticamente anche Benedetto Croce, che
in un articolo apparso sul quotidiano La Stampa del 15 maggio 1924 parte
però da considerazioni completamente diverse da quelle di Marinetti54.
Ignorando l'esistenza di un "fascismo di sinistra" e il fatto che il futurismo si è
in passato schierato per le forze del proletariato e della piccola borghesia, di
cui aveva sin dall'inizio ammirato le grandi potenzialità rivoluzionarie, il
filosofo torna sui giudizi espressi nel '18 e sostiene che è dal futurismo che
l'ideologia fascista trae la sua ispirazione e i suoi modelli: "Io negavo – scrive
Croce – che col futurismo, movimento collettivo e volitivo e gridatorio e
piazzaiuolo, si potesse generare poesia, che è cosa che nasce in rari spiriti
solitarii e contemplanti, nel silenzio e all'ombra; ma non negavo, e anzi
riconoscevo, il carattere pratico o praticistico del movimento futuristico. Fare
poesia è un conto, e fare a pugni è un altro, mi sembra; e chi non riesce nel
primo mestiere, non è detto che non possa riuscire benissimo nel secondo"55.
Marinetti cerca di cogliere a suo favore le dichiarazioni di Croce e diffonde
prontamente il volantino Il futurismo e il fascismo giudicati da B. Croce e
risponde con un articolo sul numero di settembre di Giornalismo in cui
definisce scontate le considerazioni di Croce. Ma nonostante i tentativi di far
superare la diffidenza del fascismo nei confronti del futurismo, il suo
movimento stenta a trovare un collocazione ufficiale all'interno della cultura
53
L’episodio è ricordato dallo stesso Marinetti nell’articolo "Il re disse: che ha
Marinetti?", Originalità, a. I, n. 1, 10 agosto 1924.
54
Giova ricordare che lo stesso Croce è stato ministro della Pubblica
istruzione nel governo Giolitti reinsediatosi nel '20, per il quale ha lavorato ad
un progetto di riforma scolastica che si rifaceva a molte idee dei gentiliani, e
che è stata respinto nel '21 dalla Commissione Istruzione della Camera. Se
dunque in un primo momento Croce ha accolto positivamente la nomina di
Gentile, comprende presto che la riforma gentiliana, pur trovandolo d’accordo
su necessità anche a lui care (una scuola secondaria rinnovata e potenziata per
combattere l’analfabetismo ancora altissimo rispetto ai maggiori paesi
europei, apertura all’iniziativa privata e sfoltimento delle scuole statali, in
particolare le medie, università accessibile solo ad un numero relativamente
esiguo di studenti), rafforza a livello politico il legame tra liberalismo
conservatore e fascismo, con Mussolini che – con azioni come quella
dell’incarico a Gentile – ottiene inoltre l’appoggio del Partito popolare e una
maggioranza parlamentare.
55
B. Croce, "Fatti politici e interpretazioni storiche", La Stampa, 15 maggio
1924; pubblicato in seguito nella sezione "Postille" in La Critica, Vol. XXII,
n. 2, 20 maggio 1924, pp. 189-192.
340
FERNANDO MARAMAI
italiana. Ne resta prova l'esito del Congresso degli intellettuali fascisti,
presieduto ed egemonizzato da Gentile, che si svolge a Bologna il 29 e 30
marzo del '25. Il convegno, organizzato per rispondere alle accuse di
anticulturalismo che vengono mosse dall'opposizione, desta le speranze dei
futuristi e del gruppo de L'Impero; Marinetti vi partecipa insieme ad un
piccolo gruppo di avanguardisti, ma si trova a rappresentare una esigua
minoranza rispetto agli oltre duecentocinquanta professori e intellettuali
filofascisti. Nel suo intervento solleva la necessità di un'arte nazionale e la
nascita di un istituto di credito destinato appositamente agli artisti, che
dovrebbe incaricarsi di prestare soldi per la loro attività e di vendere le opere.
Ha già dato la sua piena disponibilità al progetto anche Mussolini56, ma la
proposta è accolta con ilarità, tanto che non ne resta traccia nel verbalemanifesto che conclude i lavori.
Amareggiati, Settimelli e Carli criticano duramente il predominio di Gentile
e il Manifesto degli intellettuali fascisti agli intellettuali di tutte le Nazioni, e
portano avanti su L'Impero una polemica che non si attenua neppure quando
Croce pubblica il suo Manifesto degli intellettuali antifascisti. Per i fondatori
de L'Impero, infatti, Croce e Gentile, seppure su posizioni politiche diverse,
sono entrambi "equidistanti dall'intelligenza e dal Fascismo"57 e rappresentano
le due facce della stessa medaglia: Gentile ha aderito al fascismo, ma è tra gli
ultimi intellettuali ad averlo fatto, ed essendosi formato in un contesto
culturale completamente diverso è considerato incapace di espletare il ruolo
che gli è stato affidato; mentre Croce continua ad essere "il filosofo
dell'Italietta", "antitesi perfetta della mentalità fascista", critico che "non ha
capito niente del grandissimo poeta Giovanni Pascoli" né del futurismo, e
politico un tempo "neutralista e germanofilo", adesso "ermeticamente chiuso
alla potenza meravigliosa del Fascismo"58.
56
"Mio caro Marinetti, approvo cordialmente la tua iniziativa per la
costituzione di una Banca di Credito specialmente per gli artisti. Credo che
saprai sormontare gli eventuali ostacoli dei soliti misoneisti. Ad ogni modo
questa lettera può servirti di 'viatico'. Ciao, con amicizia Mussolini". Lettera
scritta su carta intesta del Ministero degli Esteri, pubblicata da G.E. Viola in
Gli anni del futurismo. La poesia italiana nell’età delle avanguardie,
Roma: Edizioni Studium, 1990, pp. 207-208. Nata da un’idea di Prampolini,
la proposta di Marinetti di creare un istituto di credito per artisti era stata
anticipata nel "manifesto al governo fascista" "I diritti artistici propugnati dai
futuristi italiani", pubblicato in Noi (serie II, a. I, n. 1, aprile 1923) e
introdotto dalle stesse parole di Mussolini tratte dalla lettera di cui sopra.
57
Cfr. M. Carli, Fascismo intransigente, Firenze: Bemporad, 1926, pp. 43 e
ss.
58
Cfr. E. Settimelli, Sassate, Roma-Firenze: Casa Editrice Italiana, 1926, pp.
125 e ss.
341
MARINETTI E I FUTURISTI: PRATICHE ANTIFILOSOFICHE
NELL'ITALIA GIOLITTIANA E OLTRE
5. Fatti politici e interpretazioni storiche
Dopo aver attraversato una prima fase di incertezza, Croce si è dichiarato
esplicitamente contro Mussolini ed ha accusato Gentile di aver messo la
filosofia al servizio di un partito. Nei suoi confronti il fascismo mantiene però
sempre una linea di tolleranza, a costo di creare lo scontento di alcuni
intransigenti che, come Settimelli, vorrebbero ridurre il filosofo al silenzio.
Eventuali ritorsioni contro Croce, che gode di una discreta fama
internazionale, provocherebbero cattiva pubblicità a Mussolini nell'opinione
pubblica estera, così il filosofo può permettersi di criticare il regime
pubblicamente. Se però a Croce è concesso di pubblicare opere ed esprimere il
proprio pensiero, così come ad altri intellettuali antifascisti come Corrado
Alvaro, lo stesso non avviene per i suoi allievi e amici, come nel caso di
Vittorio Enzo Alfieri.
Professore di Storia della filosofia all'Università di Pavia e autore del saggio
Il futurismo è morto59, Alfieri viene arrestato nell'aprile del '28 insieme agli
altri collaboratori della rivista genovese Pietre con l'accusa di cospirazione.
Attraverso questo episodio Croce e Marinetti tornano di nuovo in contatto,
questa volta abbandonando polemiche e critiche avverse. Preoccupato per il
destino dei suoi amici intellettuali, Croce chiede a Marinetti di intercedere nei
confronti di Mussolini. La richiesta arriva al capo del futurismo attraverso il
cognato Alberto Cappa, storico e saggista liberale, antifascista in contatto con
i giovani prima del loro arresto e frequentatore di Croce. Marinetti si dichiara
disponibile e dopo otto giorni di attesa è ricevuto dal Duce dal quale ottiene
un concreto interessamento: dopo tre mesi di carcere Alfieri e gli altri sono
liberati senza processo60. Croce scrive allora a Marinetti, dimostrandogli, pur
nella diversità delle convinzioni artistiche e politiche, stima e gratitudine:
Caro S.r. Marinetti,
L'amico Cappa mi dà notizia di quanto ella ha fatto per quei giovani
perseguitati, e l'effetto ha comprovato l'utilità del suo intervento. Lasci
che io ora La ringrazi di tutto cuore. Una delle cose più penose in
questi tempi penosi è osservare come sia spento, nella generale paura,
ogni senso di generosità, ogni abito cavalleresco, che non mancava in
passato pure in mezzo alle lotte più vivaci o più feroci. Lei, oltre a fare
oggettivamente un'opera buona, mi ha dato questo conforto di
mostrarmi che vi sono ancora animi che pensano diversamente da quel
che l'uso comporti. Ed io provo un singolare compiacimento nell'essere
59
Parma: Accomandita Editoriale Invalidi, 1923.
L’episodio oltre che in alcuni saggi sul futurismo è stato riportato in
occasione della scomparsa di Alfieri (cfr. "Morto il professor Alfieri, ultimo
allievo di Croce", Corriere della Sera, 28 luglio 1997).
342
60
FERNANDO MARAMAI
grato a Lei, come non dovrò esser mai a uomini mal convertiti, che
considero traditori delle idee a me sacre. Ella è stato sempre in un altro
campo o in un altro indirizzo, ed è coerente e sincero come non sono
quelli. Quanto a me, Ella sa che sono a mio modo coerente, e mi ha
trovato sempre tra i non-futuristi. È vero che non sono neppure
"passatista", ma piuttosto "eternista" (tanto per continuare a comporre
nuovi vocaboli), cioè credo che la poesia è sempre intrinsecamente la
stessa in tutti i campi in cui cala da cielo in terra a potenziare i cuori
umani; e che perciò non ci sono in questo nuove formule da inventare,
simili a quelle che s'inventano nella tecnica e nell'industria. Ma sia quel
che sia di ciò: ci sono cose, non dirò più importanti, ma diverse dalle
cose artistiche nelle quali si gode di consentire pur nel dissenso di
quelle. [...]
Mi abbia con cordiali saluti
Suo
B. Croce61
Con il gesto di generosità di Marinetti e l'apprezzamento di Croce si
affievoliscono i toni di una lunga polemica. Pur ribadendo le sue posizioni,
sempre nel '28 nella sua Storia d'Italia dal 1871 al 1915 Croce riconosce
infine al futurismo di aver avuto il carattere di "una concezione o
interpretazione della vita, e perciò, a suo modo una filosofia"62. Negli anni a
venire, su alcune riviste futuriste continueranno ad arrivare attacchi al
filosofo, soprattutto ad opera di giovani futuristi, ma in maniera saltuaria e
solamente per ripetere quanto già detto da Marinetti tra gli anni Dieci e la
prima metà degli anni Venti. Tornando alla lettera, viene da chiedersi a quali
"mal convertiti" alluda Croce. Si riferisce forse a Gentile, sapendo che anche
Marinetti ne detestava l'operato? Sicuramente Croce parla in modo che
Marinetti capisca, ed è quindi assai probabile che dietro quel "traditori delle
idee a me sacre" il filosofo intenda manifestare il proprio disprezzo proprio
per colui che aveva saputo adattarsi al fascismo occupando funzioni chiave
nella cultura per dettarne le linee essenziali, linee che avevano portato a
riconsiderare l'opera svolta da Croce attraverso La Critica e la casa editrice
Laterza. Nei confronti di Gentile Marinetti era sempre stato meno pungente
che rispetto a Croce, ma dal '23, l'anno della riforma scolastica, il filosofo
pedagogista di Castelvetrano è per lui come una "bestia nera" che ha insediato
il passatismo nel fascismo. Marinetti deve sopportare il suo ruolo di grande
61
La lettera autografa, scritta a Meana di Susa il 12 luglio 1928 su carta
intestata della rivista La Critica, è stata pubblicata da Matteo D’Ambrosio in
Marinetti e il futurismo a Napoli, cit., pp. 30-31 e da Claudia Salaris in
Marinetti. Arte e vita futurista, cit., pp. 252-253.
62
B. Croce, Storia d’Italia dal 1871 al 1915, Bari: Laterza, 1928; cito dalla
riedizione a cura di G. Galasso, Milano: Adelphi, 1991, p. 314.
343
MARINETTI E I FUTURISTI: PRATICHE ANTIFILOSOFICHE
NELL'ITALIA GIOLITTIANA E OLTRE
potere, un ruolo che sente essergli stato usurpato, sia per il rapporto che ha
avuto con Mussolini nella fase della nascita del fascismo, sia perché sente
legittima una maggiore valorizzazione culturale del futurismo. Nel '24,
commentando le scelte del regime da una prospettiva antifascista, anche Piero
Gobetti aveva considerato Marinetti come candidato ideale per il Ministero
della Pubblica istruzione. Vale la pena ripercorrere i passi salienti del
ragionamento di Gobetti:
Ha detto Marinetti:
"Il mio amore devoto per il fascismo e la mia amicizia per il grande e
caro Mussolini mi impongono di dichiarare francamente che la
Riforma Gentile è assurda, passatista, antifascista".
Marinetti ha ragione e Mussolini ha torto quando lo contraddice. La
riforma Gentile è reazionaria più che fascista. […] Gentile ha imposto
un abito lugubre, clericale, bigotto, un dottrinarismo saraceno.
Anche tra gli uomini c'è una bella differenza e Marinetti africano
internazionale potrà sempre vantare diritti ben più seri di precursore e
di interprete autorizzato che un ex-professore, se non altro perché fu
compagno al Duce nell'ora della sventura. […] Mussolini è riuscito
perché l'esperienza di Marinetti gli ha aperto la via: fu Marinetti il
primo a dare il tipo di un movimento milanese, a mostrare come si
crea, come si improvvisa. Marinetti preparò l'élite dell'Italia
ministeriale di oggi: Carli, Settimelli, Bottai, Bolzon, ecc. [...]
Precursore dell'uomo del dopoguerra, dell'uomo della spedizione
punitiva […] Tutti hanno in mente le incarnazioni più solenni e terribili
di queste classiche figure del fascismo. Ma a Marinetti bisognerà
sempre tornare per trovarne la genesi. Gentile non è abbastanza
dinamico, non è abbastanza sovversivo. [...] Nessuno saprebbe dare
torto a Marinetti. La storia è stata ingiusta e ingrata. E Gentile è un
usurpatore. Il ministero della P.I. non spettava a lui63.
Sul giudizio negativo nei confronti di Gentile da parte di Gobetti grava la
critica al fascismo e all'uso dei pieni poteri di cui ha usufruito il governo per
la riforma finanziaria e amministrativa, pieni poteri di cui si è avvalso
eccezionalmente anche Gentile, sottraendosi al controllo parlamentare e
rifiutando il dialogo con i rappresentanti delle organizzazioni sindacali
scolastiche, ma è vero soprattutto che Gentile ha collocato nei posti chiave
amici e collaboratori già sperimentati coi quali lavora ad una riforma
d'impronta classista, antiproletaria e antipiccoloborghese, distante anni luce da
quello spirito "diciannovista" al quale Marinetti aveva dato il suo contributo.
63
P.G. [Piero Gobetti], "Gentile usurpatore", La rivoluzione liberale (Torino),
a. III, n. 9, 26 febbraio 1924.
344
FERNANDO MARAMAI
Gentile, che vede nel fascismo una via di rinnovamento del liberalismo della
destra storica e che da tempo sostiene l'idea di uno stato forte, capace di
unificare politica e filosofia, formalizza rapidamente i suoi rapporti,
esercitando la sua autorità per chiamare a raccolta intorno al fascismo gli
intellettuali fiancheggiatori insieme agli incerti e diffidenti dopo il delitto
Matteotti. Ma, come scrive giustamente Gabriele Turi, la sua non è una
iniziativa esclusivamente personale, perché essa rientra nell'idea del fascismo
di abbinare al momento della violenza, rappresentato dall'estremismo di
Farinacci, quello del consenso, "facendo appello ai rappresentanti di quella
cultura dalla quale soltanto poteva ormai venire, in assenza di alternative
politiche organizzate e legali, un pericolo per il regime in costruzione"64. E
Gentile, fedele alla sua visione gerarchica dello Stato, in questa ottica si
rivolge agli intellettuali perché aderiscano al fascismo, aiutato dal partito, che
individua in lui l'uomo di cultura più adatto a svolgere quest'opera di dialogoannessione con le incerte forze liberali, "in quanto capace di combatterne i
fondamenti teorici sottolineando la continuità tra liberalismo e fascismo"65.
Una volta divenuto ministro della Pubblica istruzione, Gentile non incontra
particolari ostacoli, inizia a trarre benefici dalla propria carica e acquista
sempre più importanza, avviandosi a divenire la più grande autorità ufficiale
della cultura umanistica italiana. Nel '25, l'anno in cui Mussolini dà inizio alla
dittatura, è promotore della nascita dell'Istituto Nazionale di Cultura Fascista,
di cui sarà presidente sino al '37, ma molte altre saranno le sue cariche
istituzionali, universitarie ed editoriali, come il ruolo di regio commissario
della Scuola Normale Superiore di Pisa, la direzione scientifica dell'Istituto
Treccani, la presidenza dell'Istituto italiano per il Medio e l'Estremo Oriente e
dell'Istituto italiano di studi germanici, proprietario della casa editrice
Sansoni, nonché azionista e presidente della Le Monnier, in grado di
controllare, attraverso i contatti con i suoi allievi, amici e collaboratori,
diverse altre case editrici.
Marinetti, che nel '24 lo aveva definito sinteticamente "risultato di
un'esitazione artistica di Dio tra un punto idropico e un elefante da salotto.
Parlare colare sudare (400 anni di agonia)"66, quando anche il futurismo
64
G. Turi, Giovanni Gentile. Una biografia, Firenze: Giunti, 1995, p. 354.
Ibidem. A Bottai, che aveva accolto con particolare calore la sua adesione al
fascismo, Gentile risponde: "Io ho grande fede nel fascismo, e non dubito che
i suoi nemici esterni ed interni saranno debellati, se i migliori italiani non si
contenteranno di stare a guardare. Perciò, da parte mia, ho sentito l’urgente
bisogno di questo atto di chiarezza. E sono contento ora di vedere che ho dato
ai nervi a tanta gente. Segno che ho colpito giusto" (la lettera, datata 4 giugno
1923 e conservata nell’Archivio della Fondazione Giovanni Gentile, è
riproposta da Turi in ivi., p. 315).
66
F.T. Marinetti, "Il re disse: che ha Marinetti?", cit.
345
65
MARINETTI E I FUTURISTI: PRATICHE ANTIFILOSOFICHE
NELL'ITALIA GIOLITTIANA E OLTRE
acquisterà un suo ruolo ufficiale nel regime, non potrà più esprimersi con tale
durezza, perché troppo è saldo il rapporto tra Gentile e Mussolini. Per tutto il
ventennio non ci saranno scontri con Gentile, ma i rapporti non andranno mai
oltre la fredda cordialità, senza particolari scambi di cortesie. Nel marzo del
'29, tre giorni dopo l'uscita del primo volume dell'Enciclopedia italiana per
l'Istituto Treccani, Marinetti è nominato Accademico d'Italia e ottiene
finalmente da parte del fascismo quel riconoscimento istituzionale che sinora
era tardato ad arrivare. Negli anni successivi consoliderà la sua posizione
all'interno della cultura del regime, ma sempre con un ruolo minoritario.
Dovrà essere lui stesso, in qualità di accademico e segretario nazionale del
Sindacato Autori e Scrittori, a chiedere a Gentile di partecipare
all'Enciclopedia per far aggiungere all'opera le voci Futurismo, Boccioni e
Sant'Elia.
È abbastanza singolare, quanto inevitabile, vedere a questo punto quanto
Marinetti e Croce si trovino a incontrarsi: entrambi avevano partecipato alla
vita culturale, sino ad essere, chi prima e chi dopo, i migliori interpreti del
loro tempo, sforzandosi di cogliere i lineamenti del domani. Seppure
all'opposto e per vie diverse avevano auspicato per l'Italia una nuova classe di
artisti e intellettuali. L'avanguardista Marinetti rompendo con il passato aveva
creduto utopisticamente nell'affermazione del "proletariato degli artisti", e pur
nel suo antisocialismo aveva sognato, secondo una prospettiva anarchica, la
partecipazione delle masse alla vita democratica in uno Stato libero da
autoritarismi e forti poteri condizionanti, come quello della Chiesa;
l'"eternista" Croce, come egli amava definirsi, sperava nella formazione
umanistica di una nuova élite borghese, una classe dirigente colta e laica, che
operasse nel solco della tradizione storicistica e liberale. Nella trasformazione
dall'Italia giolittiana a quella fascista, rapidamente avviata alla restaurazione
autoritaria dello Stato, entrambe le loro idee erano state drasticamente
sconfitte e accantonate; l'aveva invece spuntata il "classicista" Gentile, abile
nel sapersi districare nel compromesso e nel riuscire a cavalcare la necessità
di una "rifondazione culturale" dell'Italia degli anni Venti e Trenta. Almeno su
questo, il tanto bistrattato dai futuristi Croce aveva capito tutto in largo
anticipo nel '24, nel suo articolo Fatti politici e interpretazioni storiche, in cui
aveva avvertito Marinetti che, nella sua avversione per la riforma Gentile,
preparata da studiosi e professori né futuristi né fascisti, avrebbe infine dovuto
accettare che nella lotta tra 'puri' e 'impuri' la vittoria non sarebbe stata dei
primi: "ogni moto – scriveva Croce – ha i suoi 'puri', coloro che vorrebbero
serbargli l'andamento conforme al suo primo prorompere, che considerano
corruttele o inquinamenti i contributi apportativi da altre forze, e che lo
richiamano alle origini", e "a chi domandasse se la vittoria sarà dei 'puri' o
degli 'impuri' potrei, senza uscire dal campo meramente teorico, rispondere
che certamente non sarà dei 'puri', perché niente può ripetersi, e ciò che è stato
346
FERNANDO MARAMAI
una volta spontaneo non si rifà artifiziosamente, e anche le ripetizioni (o come
le chiamano) le 'seconde ondate' non sono le stesse delle prime, e, come che
riescano o a qualunque cosa riescano (quando non siano addirittura
fallimenti), recano anch'esse la macchia dell''impurità', cioè delle condizioni e
delle ragioni nuove tra cui e da cui sono sorte"67.
Nel 1930 viene inserita la voce Attualismo nell'Enciclopedia italiana. A
redigerla è il filosofo di scuola gentiliana Ugo Spirito, che in poche frasi
roboanti annichilisce in un colpo solo sia l'idealismo crociano che il vitalismo
di Marinetti. L'attualismo, scrive Spirito, è la filosofia del fascismo, perché
"ha condotto alla definitiva negazione della filosofia come metafisica e alla
sua identificazione con la storia e con la vita. Questo spiega come l'attualismo
non sia rimasto un puro sistema filosofico, ma sia penetrato in tutti i campi
della cultura e della vita politica, e abbia condotto a un profondo
rinnovamento della coscienza nazionale".
__________
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67
Luti,
1906
Luti,
di L.
B. Croce, "Fatti politici e interpretazioni storiche", cit., p. 192. Di "seconde
ondate" aveva parlato Farinacci tra il '22 e il '23, definendo l’attività degli
intransigenti del fascismo come “seconda ondata rivoluzionaria”, attività che è
in effetti isolata e posta in minoranza al momento in cui Mussolini avvia la
sua opera di normalizzazione politica. Accostando Marinetti allo squadrismo
Croce non fa altro che ribadire i suoi preconcetti sul futurismo, cui negava
ogni status culturale; in questo suo articolo del maggio del '24 egli coglie
tuttavia chiaramente che Mussolini rispetto all’intransigenza sansepolcrista e
al nazionalismo ha già scelto la strada della tessitura politica e degli accordi
con i poteri finanziari, perseguendo un compromesso che è difatti premiato
dal successo della Lista Nazionale alle elezioni politiche nell’aprile di
quell’anno.
347
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