Quando il microcredito incontra le corporation

Transcript

Quando il microcredito incontra le corporation
Quando il microcredito incontra le
corporation
Quando il microcredito incontra le corporation
Guglielmo Ragozzino
Dalla microfinanza per includere i poveri al business sociale. Il premio Nobel Yunus spiega come
"si può fare". Alleandosi con le multinazionali
Articolo pubblicato su "il manifesto" del 13 ottobre 2010
Da vent’anni Muhammad Yunus è noto in Occidente per il suo tentativo di sviluppare una banca
per i poveri. Gli elementi erano una comunità poverissima ma affiatata e la possibilità individuale
di ricevere una piccola somma di denaro, il microcredito, senza disporre di garanzie, pagando
invece un buon interesse, sotto il controllo della comunità; e poi di utilizzare la somma per un
acquisto (mucca da latte, macchina da cucire, sementi) o una riparazione (tetto di casa, barca da
pesca) consentendo a una famiglia, molto spesso alla madre, di lavorare, di guadagnare, di
sopravvivere, di entrare in un sistema di mercato. I tentativi di riproporre la banca dei poveri in
altri contesti, diversi dal subcontinente indiano, per esempio nel Kosovo, non hanno avuto
particolare fortuna, anche se ogni tanto corre in Italia l’informazione che è stato concluso un
accordo con prestigiose università o grandissime banche. Il fatto è che Yunus, premio nobel per
la pace del 2006, attira molto l’attenzione e si presenta come il portatore di un’alternativa
innocente al rapace capitalismo di tutti i giorni. E così si mostra nei libri e nelle tournée di
conferenze in tutto il mondo.
L’ultimo libro di Yunus, “Si può fare!” spiega come il “business sociale” possa creare un
“capitalismo più umano”. Se l’obiettivo di creare un capitalismo più umano non sembra
irraggiungibile, dato che è sotto gli occhi di tutti che quello abituale vada assai per le spicce, e
dunque sia facilmente perfettibile, è il punto del business sociale a incuriosire di più. Anche senza
prendere la posizione estremistica di un altro premio nobel, Milton Friedman, che ne negava
in toto la possibilità, spiegando che l’unica responsabilità sociale di una impresa capitalistica è
quella di massimizzare il profitto per gli azionisti, la possibilità che una società scelga di fare
profitti fino a un certo punto e di lì in poi distribuisca in beneficenza il resto, lascia molti, molto
perplessi. I motivi elencati da Yunus sono richiami morali abituali. Il solito Friedman ne
capovolgeva però i termini, sostenendo che è morale dare il più possibile agli azionisti, immorale
sottrargli qualcosa, a meno che non sia una forma di pubblicità e quindi ancora una –
appropriata o meno, aperta o meno – strategia industriale.
Yunus nel nuovo libro affronta la questione offrendo alcuni esempi di associazione tra alcune
grandi imprese multinazionali e la sua Grameen bank: Danone, Veolia, Intel, Basf, Adidas. Nomi
onorati, nelle borse mondiali. Il banchiere dei poveri è talmente sicuro di quanto il suo obiettivo
sia giusto e importante che non è sfiorato dal dubbio di una strumentalizzazione, o forse la
considera come un inevitabile e trascurabile aspetto. A Danone e Veolia sono dedicati il secondo
e il sesto capitolo del libro e si può quindi riferirne qualcosa di più. L’accordo con Danone è
l’avvenimento al centro di un libro precedente (“Un mondo senza povertà”, Feltrinelli 2009) e
qui si descrive il seguito, l’alternarsi di successi industriali e di crisi. “La Grameen Danone è
nata da un incontro fra me e Franck Riboud, presidente e amministratore delegato del gruppo
Documento esportato da www.sbilanciamoci.info
1 di 2
Danone. Sono stato io, nel corso di un pranzo di lavoro a Parigi, a proporre a monsieur Riboud :
‘Perché non fondiamo un’impresa con finalità sociali, una Grameen Danone in
Bangladesh?’”(pag. 65-66). Il tentativo industriale mette insieme un piccolo stabilimento, una
distribuzione di vasetti di yogurt per bambini malnutriti, affidata in parte a donne povere. Poi
aumenta il prezzo internazionale del latte: che fare? Se il prodotto costa di più, è rifiutato; se non
si aumenta il prezzo, Danone chiude la mini fabbrica. La soluzione è di ridurre da 80 a 70 cl il
contenuto del vasetto e di concentrarvi ugualmente i principi salutari attivi in esso contenuti…
Nell’altro caso, a proporre l’alleanza con Grameen per la vendita di acqua potabile in
Bangladesh è invece il capo di Veolia, il nuovo nome di una compagnia delle acque (Générale
des Eaux, poi Vivendi) potente nel mondo e considerata anche un temibile avversario da tutti i
sostenitori dell’acqua bene comune. All’inizio Yunus si tirò indietro – era contrario all’acqua in
bottiglia – poi sparò una richiesta di un taka per 10 litri che ammutolì il capo di Veolia (Un taka
vale un centesimo di euro). Ben presto questi rifece i conti e la
joint venture ebbe inizio, al prezzo stabilito di un euro per mille litri di acqua. Il problema da
risolvere era quello dell’arsenico presente nell’acqua attinta da una popolazione di 100.000
individui. Non era il caso di dare loro acqua in bottiglia, troppo costosa. Un semplice impianto di
purificazione di Veolia Water per l’acqua di superficie, metteva in sicurezza un quantitativo
sufficiente per bere e per cucinare, trascurando l’igiene personale e le fognature. Il quantitativo
necessario era perciò di ridotta entità e a conti fatti poco costoso, con un benefico effetto
d’immagine su Veolia Water, compagnia capace di risolvere i problemi, e sui suoi vantaggiosi
contratti nei cinque continenti. E così fu.
Yunus ammette volentieri che accordandosi con Grameen le multinazionali ricaveranno dei
vantaggi, ma ne seguirà anche un effetto benefico per i poveri. La sua morale pratica è riassunta
in un passo del libro: “Quando gli uomini d’affari mi chiedono quali profitti possano ricavare
offrendo servizi ai poveri di tutto il mondo, mi piace qualche volta rispondere: ‘io non voglio fare
polemiche sulla ricerca del profitto, ma prima di pensare al profitto, cerchiamo di dare al povero
l’aiuto che gli serve per sollevarsi dalla sua condizione. Una volta che sarà entrato nella classe
media, allora potrete cercare di vendergli, con la mia benedizione, tutte le merci e i servizi di cui
sarete capaci e potete lucrare un bel profitto sull’operazione! Ma aspettate che possa dire di non
essere più povero prima di cominciare a sfruttarlo. Questa mi sembra l’unica regola da
seguire’”.(pag 45-46)
Muhammad Yunus “Si può fare!” Serie bianca Feltrinelli, settembre 2010, pag. 253 16 euro
Sì
Documento esportato da www.sbilanciamoci.info
2 di 2