Angelino la guerra del delfino

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Angelino la guerra del delfino
GIOVEDÌ 3 OT TOBRE 2013
LA SICILIA
la POLITICA
L’EX MINISTRO MANNINO:
«L’ultima generazione sta vendicando la Dc»
I destini incrociati
di Enrico e Angelino
figli della Dc
Alfano diventa «diversamente berlusconiano»
composizione di un partito che si ricollocasse nel seno del partito popolare.
Lui è anche fortunato per via delle circostanze che non hanno trovato altri,
non c’è riuscito Casini, non c’è riuscito
Buttiglione, personaggi che alla fine si
sono rivelati inferiori. Paradosso dei
paradossi, riesce perché il Pd ha Letta,
il quale simmetricamente ha lo stesso
potere di ricatto. Hanno fatto fare il
governo a Letta per tappare un buco,
alcuni pensando di portare Renzi, altri
pensando di portare il vecchio personale politico. Adesso Letta dice agli uni
e agli altri, agli amici di Bersani e D’Alema e agli amici di Renzi: cari miei,
non mi consegnate il Pd? E io faccio il
partito popolare insieme ad Alfano.
mai Berlusconi il problema della identità politica del suo partito, prima o poi
questo nodo sarebbe arrivato. Angelino è stato sempre orientato ad evitare
questo approfondimento».
Però ora ha affrontato Berlusconi in
scontro aperto.
«Vorrei dire che si è trovato in uno stato di necessità, non nel fare una ribellione, ma così come ha detto di essere
diversamente berlusconiano. Tenga
conto che nella testa di Angelino Alfano è sempre passata l’idea non che
Berlusconi fosse un usurpatore, ma
che avesse colmato il vuoto del ‘94 e
che prima o poi sarebbe stato possibile fare una nuova Democrazia cristiana. E’ su questo traguardo che lui si è
sempre sentito richiamato».
Cioè il suo traguardo sarebbe quello
di rifare la Dc, visto anche che fin da
ragazzo era rimasto colpito da De Mita?
«Lui è solidale con Berlusconi per quel
che riguarda le sue vicende giudiziarie.
E al di là del destino del Cavaliere, le
sue vicende sottintendono un tema
ben preciso. Cioè nel ‘92 le sinistre, le
tante sinistre che vanno da “Repubblica” al “Fatto quotidiano” di oggi hanno
fatto saltare un equilibrio costituzionale. Oggi si presentano come i paladini
della Costituzione. Ma la Costituzione
in tanto si reggeva in quanto conteneva l’articolo che disciplinava l’immunità parlamentare. Non perché l’immunità fosse un beneficio da accordare ai deputati, ma era un modo di neutralizzare lo scontro tra la politica e
l’amministrazione della Giustizia.
Ha capito? Cioè stia attento, l’ultima
generazione democristiana sta vendicando la Democrazia cristiana».
Quindi, secondo lei, Letta e Alfano potrebbero resuscitare la Democrazia
cristiana?
«Se il Pd non regge Letta, Letta esce e fa
il partito con Alfano. Se il Pd regge Letta, Alfano fa il partito popolare per
conto suo».
Alfano e Letta, Letta e Alfano, entrambi con incarichi di governo da giovanissini, entrambi amici di stoffa democristiana. Il Cavaliere a 77 anni non fa
parte del loro futuro.
TONY ZERMO
Le firme dei 23
senatori “dissidenti”
del Pdl nella mozione
per il voto favorevole
alla fiducia al
governo
IL PROCESSO A BARI
Escort, i pm vagliano bonifici sospetti del Cav
con 600mila euro comprò casa all’Ape regina
BARI. Un appartamento ricevuto in regalo per «atto d’amore», come sostiene
l’interessata, Sabina Began, oppure un modo per tentare di edulcorare la
versione della donna nel processo barese sulle escort? Riguarderebbero
questo gli accertamenti dei pm baresi ai quali la Procura di Roma ha trasmesso
la segnalazione di Bankitalia su quattro bonifici “sospetti” per complessivi 1,5
milioni di euro fatti da conti intestati a Silvio Berlusconi alla società “Moon &
Stars”, poi messa in liquidazione. Parte della somma, circa 600mila euro,
sarebbe stata utilizzata per acquistare l’appartamento romano in via Baccina,
al rione Monti, intestato a Sabina Began, l’«ape regina» delle feste organizzate
nelle residenze romane del Cavaliere. E alla donna, il 10 novembre 2012,
sarebbero andati altri 40mila euro. Began (al secolo Beganovic) è imputata a
Bari assieme ai fratelli Claudio e Gianpaolo Tarantini, e ad altre cinque
persone, nel procedimento escort, ora in fase di udienza preliminare, con le
accuse di induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione
delle 26 ragazze portate dall’imprenditore barese nelle residenze del premier
tra il 2008 e il 2009.
PRO E CONTRO.
Angelino Alfano ha finito di essere il
segretario senza il «quid». Ha tirato
fuori dai pantaloni il «quid» e l’ha sbattuto sul tavolo. Tutti ora capiscono che
se c’è un successore del Cavaliere quel
successore sarà lui. E sarebbe anche un
ribaltamento della politica che passerebbe da un leader milanese a un leader siculo. Agrigentino di 43 anni (li
compie il 31 di questo mese), sposato
con una bella ragazza della città dei
Templi, due figli, era destinato alla politica fin da piccolo, perché il padre
Angelo è stato vicesindaco della corrente del dc Trincanato. Dopo avere
concluso gli studi al liceo «Leonardo»,
la sua nuova destinazione era stata la
Cattolica di Milano dopo un consulto
tra papà e mamma.
Dice di lui l’ex ministro Calogero
Mannino che è stato un suo mentore,
dc entrambi, agrigentini entrambi: «Intanto è molto intelligente con una
spiccata visione politica che ha coltivato da ragazzino. Ha dentro i cromosomi della politica».
Si è arrabbiato quando Berlusconi ha
detto che non aveva il «quid»?
«No. Secondo me tutte quelle cose che
riguardano il passato le ha digerite.
Parlo per testimonianza: lui si è sempre preoccupato di evitare occasioni di
dissapori, di divergenze. Ha anche rifiutato in passato qualche ragionamento con amici, me compreso, essendo che inevitabilmente nella sua
posizione bisognava porsi il problema
del dopo Berlusconi. Non affrontando
Dal rivale Miccichè all’amico Castiglione
Storia del delfino predestinato
costretto alla guerra perenne
ANDREA LODATO
CATANIA. E’ sempre stato il predestinato.
Talmente delfino e così intensamente
dedicato al culto del capo e del partito,
che negli anni in cui faceva ancora la
spola Agrigento-Palermo-Roma, lavorava sino a tarda notte a Palazzo Grazioli e,
quasi sempre, restava a dormire lì. Silvio
era rimasto favorevolmente impressionato quando Alfano era diventato deputato e sentendolo parlare aveva notato
che non aveva l’accento siciliano ed era
pure vivace e brillante. Perfetto, insomma, da preparare per un futuro lancio.
Predestinato sì, ma nato nella terra in
cui la storia aveva iscritto già un altro nome nel libro d’oro di Forza Italia e nel
cuore del Cavaliere. Quello di Gianfranco Micciché, l’uomo di Publitalia, quello
del 61 a 0 del 2001. Due uomini, due
storie, due percorsi paralleli. Una sola
guerra, eterna. Perché tra i due non è
mai corso buon sangue, tipi diversi, diverse le storie e le provenienze. Anche se,
il 29 gennaio del 2005, toccò proprio a
Micciché incoronare al suo posto Angelino coordinatore regionale del partito.
Non l’avrebbe mai fatto, si disse. Non
l’avesse mai fatto, qualcuno ripensa ora.
Ma andò così, come imponeva, in fondo,
il percorso che Forza Italia aveva preso e
come Berlusconi desiderava. C’entra con
quel che sta accadendo in questi giorni?
C’entra, pure questo, perché dietro la
guerra tra falchi e colombe che ha visto
Angelino guidare i moderati contro gli
assatanati, c’è soprattutto il conflitto interno, la lotta per impossessarsi della rinascente Forza Italia. E gran parte della
guerra si gioca in Sicilia o tra siciliani.
Infatti la sintesi di questa guerra, in
fondo, sta in quel che Alfano ha vissuto in
questi anni qui dove il suo più agguerri-
GLI APPUNTI DI ALFANO IERI AL SENATO
to avversario è stato sempre Micciché.
Una guerra in cui si inseriscono anche
amici, sodali, fazioni vicine e fazioni lontane, pezzi di partito progressivamente
fatto a pezzi per queste guerre, sino ad
arrivare dalla stagione dei trionfi a quello delle sconfitte. Non è tutti contro tutti, ma parecchi contro tanti. Accanto ad
Angelino c’è sempre e da sempre Giuseppe Castiglione. Scherzando i due si
definiscono quasi “cugini”, per un legame cominciato vent’anni fa e mai interrotto. Dietro Castiglione c’è il senatore Pino Firrarello, che dall’inizio guarda con
attenzione a quel giovane rampante, ma
non gli risparmia qualche battuta al veleno, talvolta. Capita quando Alfano, per
tenere sempre compatto il partito, pensa di avviare un dialogo per nominare un
nuovo coordinatore regionale del partito, in quel momento in mano a Castiglione, sgradito a Miccichè. Firrarello, che
guarda e vede lontano, critica Alfano,
ma il 6 gennaio del 2006 a Bronte arriva
per una scampagnata il presidente del
.5
Senato in persona, Renato Schifani, che a
casa Firrarello-Castiglione ammonisce
tutti: guai a toccare Angelino.
Tutti d’accordo, è un rinnovato patto
di ferro intorno al delfino che allontana,
nel frattempo, l’ombra di Miccichè. Al
punto che, sette anni dopo quel giorno
della befana in campagna, Castiglione è
sottosegretario del governo Letta ed ancora coordinatore regionale del Pdl.
Guerra, dunque, Micciché-Alfano, in
Sicilia. Clima avvelenato come quello cui
deve abituarsi Alfano a Roma, dove il
ruolo del delfino predestinato non piace
per niente a chi deve sgomitare, urlare,
sbraitare, fare carte false magari, per ritagliarsi uno spazio accanto al Cavaliere.
Sono quelli che, par di capire oggi sentendo quel che raccontano i dissidenti
tifosi della fiducia al governo Letta, diventano i cattivi consiglieri di Berlusconi, quelli che ripetono al grande capo
che Angelino non sfonda il video, che
Angelino è troppo morbido, che Angelino...
«Non ha il quid». Ecco, il 1° marzo del
2102 Berlusconi sembra liquidare il delfino con questa battuta. Poi smentisce.
Alfano tira avanti, ma non l’avrebbe mai
digerita. Come la storia delle Primarie
del Pdl: lui si candida, parte la campagna ma Silvio frena e in conferenza
stampa, accanto al capo, Angelino sbotta: non è che possiamo raccontare barzellette. Finisce senza primarie, si sa.
Ma finisce pure con Angelino che va a
fare il vicepremier e si siede al Viminale, Castiglione che, mettendoci la faccia,
predica calma e avverte sulla necessità
di salvare il governo. Qualcuno grida,
qualcuna sbraita. Poi il finale che trasforma gli eretici in santi. Che sia questo
quel benedetto quid di cui parlava il Cavaliere. Si vedrà presto.
LA STRETTA DI MANO TRA ALFANO E LETTA DOPO IL DISCORSO DEL PREMIER
Hanno fatto saltare quell’articolo per
preseguitare Andreotti, Craxi, Forlani e
tanti altri: Berlusconi ha beneficiato
di questa situazione perché se non fosse saltato via il personale della prima
repubblica non sarebbe mai nato politicamente. Oggi per paradosso Berlusconi cade su quella stessa trappola».
Ma secondo lei Alfano ce la farà a guidare un suo partito?
«E’ inevitabile. E’ inevitabile anche per
un’altra ragione. Io credo che dalla sede democristiana del partito popolare
siano arrivati incoraggiamenti come
mai in passato nella direzione della ri-