Qui - Colle per la famiglia
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L’ATTENZIONE ALLE PERSONE SEPARATE O DIVORZIATE E L’ESPERIENZA DEI PERCORSI DI CONDIVISIONE Un lavoro in collaborazione con Centro Diocesano di Pastorale Familiare di Verona Colle per la Famiglia – Opera don Calabria, Verona Consultorio Familiare Verona Sud Consultorio Familiare La Rete di Cerea, Verona Novembre 2012 1 Indice 1. INTRODUZIONE 2. UNA CHIESA CHE SA ACCOGLIERE 3. LE SITUAZIONI DIFFICILI E IRREGOLARI a. I separati b. I divorziati non risposati c. I divorziati risposati d. Gli sposati solo civilmente e. I conviventi 4. I CAMMINI DI ACCOMPAGNAMENTO a. Accoglienza, ascolto e accompagnamento b. Formazione degli operatori 5. L’ESPERIENZA DEI GRUPPI DI CONDIVISIONE A VERONA a. Premessa b. Obiettivi L’ESPERIENZA DEL CENTRO DI PASTORALE FAMILIARE, OPERA DON CALABRIA, CONSULTORIO FAMILIARE VERONA SUD 5.1 a. Metodologia b. Modalità di partecipazione c. L’esperienza d. Aspetti teorici e metodologici 5.2 L’ESPERIENZA DEL CONSULTORIO FAMILIARE LA RETE DI CEREA 6. DALLA VIVA VOCE DEI PARTECIPANTI 7. ALTRI PERCORSI DI CONDIVISIONE a. La Mediazione Familiare b. I Gruppi Di Parola 8. CONCLUSIONI 2 9. BIBLIOGRAFIA Autori Hanno contribuito alla realizzazione di questo fascicolo: Suor Maria Bottura, Piccole Suore Sacra Famiglia, Consultorio Familiare La Rete di Cerea, psicologa psicoterapeuta Dott. Piero Dalle Vedove, Centro di Pastorale Familiare, Verona Mons. Franco Fiorio, Diocesi di Verona Padre Mario Giusti, Padri Carmelitani, Verona Dott.ssa Maria Grazia Rodella, Colle per la Famiglia, Opera don Calabria, mediatrice familiare, psicopedagogista e counsellor Dott.ssa Michela Soardo, Consultorio Familiare Verona Sud, mediatrice familiare e pedagogista 3 1. INTRODUZIONE La situazione delle famiglie divise in seguito a separazione, divorzio o nuova unione, è oggi una delle problematiche umane, sociali e pastorali più evidenti dal momento che incidono fortemente sulla vita di un numero di persone in continuo aumento. La situazione è così diffusa, complessa e problematica che né la Società, nelle sue varie espressioni, né la Chiesa possono assumere un atteggiamento di rassegnazione a tale riguardo, ma, al contrario, sono chiamate a mettere in atto tutta una serie di attenzioni e di interventi specifici, che non possono che essere multidisciplinari (scienze umane e azioni pastorali) e multisettoriali (rete tra enti promotori). Buone prassi, sia nell’ambito “pubblico” che “privato” non mancano. Questa pubblicazione, dopo una breve presentazione delle principali indicazioni teologiche e pastorali, riporta alcune linee di intervento “pratiche” basate su esperienze concretamente vissute con chi vive in queste situazioni, nella speranza che possano essere utili per il “lavoro” di tanti operatori di pastorale, e non solo, che nelle comunità parrocchiali o associative si trovano con sempre maggior frequenza a incontrare persone che vivono in situazioni di crisi familiari, di separazione, di divorzio o nelle cosidette “famiglie ricostituite”. Questo contributo è il frutto delle esperienze nate dalla collaborazione tra il Centro di Pastorale Familiare di Verona, l’Opera Don Calabria, il Consultorio Familiare di Verona Sud e il Consultorio Familiare La Rete di Cerea. 2. UNA CHIESA CHE SA ACCOGLIERE La situazione delle persone separate, divorziate o che vivono nuova unione sta a cuore, e non da ora, alla Chiesa. Numerosi sono, infatti, i documenti e le citazioni che si possono riportare al riguardo, partendo, ad esempio, dal Documento della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) del 1979 (La pastorale dei divorziati risposati e di chi vive in situazioni matrimoniali irregolari o difficili), passando per la Familiaris Consortio del 1981, il Direttorio di Pastorale Familiare del 1993, l’altro documento CEI Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia del 2004, fino ad arrivare ai nostri giorni con la lettera del Cardinale Tettamanzi Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito e alcuni interventi di Papa Benedetto XVI, l’ultimo dei quali durante il VII Incontro Mondiale delle Famiglie di Milano 2012. Per maggiori approfondimenti al termine di questa pubblicazione è indicata un’ampia bibliografia. Qui sono riportati solo dei brevi passaggi di alcuni dei testi citati. 4 “La Chiesa istituita per condurre a salvezza tutti gli uomini, e soprattutto i battezzati, non può abbandonare a se stessi coloro che – già congiunti col vincolo matrimoniale sacramentale – hanno cercato di passare a nuove nozze. Perciò si sforzerà, senza stancarsi, di mettere a loro disposizione i suoi mezzi di salvezza. Insieme col sinodo, esorto caldamente i pastori e l’intera comunità dei fedeli affinché aiutino i divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita […]. La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza" (Familiaris Consortio, n. 84). “Sono situazioni che pongono un problema grave e indilazionabile alla pastorale della Chiesa, la quale deve professare la propria fedeltà a Cristo e alla sua verità come condizione e misura di un autentico amore materno anche verso i divorziati risposati [...]. Ogni comunità cristiana eviti qualsiasi forma di disinteresse o di abbandono e non riduca la sua azione pastorale verso i divorziati risposati alla sola questione della loro ammissione o meno ai sacramenti […]. Nella certezza che i divorziati risposati sono e rimangono cristiani e membri del popolo di Dio e come tali non sono del tutto esclusi dalla comunione con la Chiesa, anche se non sono nella “pienezza” della stessa comunione ecclesiale, si mettano in atto forme di attenzione e di vicinanza pastorale" (Direttore di Pastorale Familiare, n. 213). “La comunità esprima vicinanza e si prenda cura anche dei matrimoni in difficoltà e delle situazioni irregolari, aiutando a trovare percorsi di chiarificazione e sostegno per il cammino di fede. Nessuno si senta escluso dalla vita della parrocchia: spazi di attiva partecipazione possono essere individuati tra le varie forme del servizio della carità anche per coloro che, in ragione della loro condizione familiare, non possono accedere all’Eucaristia o assumere ruoli connessi con la vita sacramentale e con il servizio della Parola” (Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, n. 9). “La Chiesa non vi ha dimenticati! Tanto meno vi rifiuta o vi considera indegni […]. Per la Chiesa e per me Vescovo, siete sorelle e fratelli amati e desiderati” […]. Essa “non vi guarda come estranei che hanno mancato a un patto, ma si sente partecipe delle domande che vi toccano intimamente” […], consapevole che la scelta di interrompere la vita matrimoniale, quindi, “non può mai essere considerata una decisione facile e indolore”, che “è anche per la Chiesa motivo di sofferenza e fonte di interrogativi pesanti: perché il Signore permette che abbia a spezzarsi quel vincolo che è il 'grande segno' del suo amore totale, 5 fedele e indistruttibile?” (Card. D. Tettamanzi, Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito). “[…] In realtà, questo problema dei divorziati risposati è una delle grandi sofferenze della Chiesa di oggi. E non abbiamo semplici ricette. La sofferenza è grande e possiamo solo aiutare le parrocchie, i singoli ad aiutare queste persone a sopportare la sofferenza di questo divorzio. Io direi che molto importante sarebbe, naturalmente, la prevenzione, cioè approfondire fin dall’inizio l’innamoramento in una decisione profonda, maturata; inoltre, l’accompagnamento durante il matrimonio, affinché le famiglie non siano mai sole ma siano realmente accompagnate nel loro cammino. E poi, quanto a queste persone, dobbiamo dire che la Chiesa le ama, ma esse devono vedere e sentire questo amore. Mi sembra un grande compito di una parrocchia, di una comunità cattolica, di fare realmente il possibile perché esse sentano di essere amate, accettate, che non sono «fuori» anche se non possono ricevere l’assoluzione e l’Eucaristia: devono vedere che anche così vivono pienamente nella Chiesa. Forse, se non è possibile l’assoluzione nella Confessione, tuttavia un contatto permanente con un sacerdote, con una guida dell’anima, è molto importante perché possano vedere che sono accompagnati, guidati. Poi è anche molto importante che sentano che l’Eucaristia è vera e partecipata se realmente entrano in comunione con il Corpo di Cristo. Anche senza la ricezione «corporale» del Sacramento, possiamo essere spiritualmente uniti a Cristo nel suo Corpo. E far capire questo è importante. Che realmente trovino la possibilità di vivere una vita di fede, con la Parola di Dio, con la comunione della Chiesa e possano vedere che la loro sofferenza è un dono per la Chiesa, perché servono così a tutti anche per difendere la stabilità dell’amore, del Matrimonio; e che questa sofferenza non è solo un tormento fisico e psichico, ma è anche un soffrire nella comunità della Chiesa per i grandi valori della nostra fede. Penso che la loro sofferenza, se realmente interiormente accettata, sia un dono per la Chiesa. Devono saperlo, che proprio così servono la Chiesa, sono nel cuore della Chiesa. Grazie per il vostro impegno. (Benedetto XVI, Festa delle testimonianze, Incontro Mondiale delle Famiglie, Milano, 2012). L’aumento del numero dei fallimenti matrimoniali sta cambiando progressivamente la mentalità della nostra società, creando anche negli stessi cristiani una sorta di assuefazione e di impotenza nei confronti di queste situazioni, tanto che alla fine esso finisce per essere accettato come un’evoluzione sociale ineluttabile e un segno dei tempi. Tale atteggiamento può indurre ad abbassare l’obiettivo e ad annacquare il progetto cristiano sul matrimonio e sulla famiglia. E’ necessario, invece, riconfermare anche oggi che la stabilità della famiglia è un valore imprescindibile per un reale “ben-essere” delle persone e della società nel suo insieme. 6 L’attenzione alla famiglia non deve, tuttavia, diventare un’ideologia, un mito che ignora la realtà, perciò è indispensabile che questa attenzione sia concretizzata nella stima e nella fiducia rivolta a ogni famiglia concreta. Dietro ogni matrimonio che è in crisi o che fallisce c’è sempre un percorso di grande sofferenza; quando una persona arriva alla separazione e al divorzio vi arriva sempre logorata da dolore e da tentativi falliti. E di fronte alla sofferenza non ci si deve mai porre in una posizione di giudizio ma anzitutto di ascolto e di condivisione. Ogni situazione è complessa e non può essere capita immediatamente: chi ci sta davanti ha bisogno di ascolto e di comprensione prima ancora che di consigli. È necessario pertanto accostarsi a tutte le situazioni di sofferenza coniugale o familiare "in punta di piedi": con una grande disponibilità ad ascoltare, con il desiderio di capire. Ogni situazione non va presa genericamente come "un caso", ma va letta come "la storia di una persona". Il principio ispiratore generale affermato dal Direttorio è quello della "carità nella verità": "carità" dice attenzione alla persona, "verità" dice attenzione al valore e al significato di una scelta fondamentale che quella persona ha compiuto consapevolmente. Questo deve essere il binario su cui impostare ogni tipo di cammino pastorale. E’ necessario, pertanto, evitare un duplice errore, quello del rigorismo, puntando solo sulla verità senza carità che esprime solo un giudizio severo e di condanna, e, dal lato opposto, quello del lassismo, cioè parlando solo di carità senza verità, che giustifica la persona lasciandola nella sua situazione. L’attenzione alle persone non può essere praticata non tenendo conto della verità, in quanto la verità del messaggio cristiano non è tanto una verità dottrinale, ma una verità esistenziale. 3. LE SITUAZIONI DIFFICILI E IRREGOLARI Il Direttorio di Pastorale Familiare descrive le varie situazioni di crisi familiari, raggruppandole in cinque tipologie: le prime due si caratterizzano come ‘difficili’, in quanto esse, di per sé, non sono in contrasto con la realtà del matrimonio cristiano, ma mettono le persone in una seria difficoltà a mantenere gli impegni del loro matrimonio. Si tratta dei separati e dei divorziati non risposati che vogliono comunque mantenere fede al loro precedente legame. Le altre tre situazioni sono definite come ‘irregolari’ perché in contrasto con i valori del matrimonio cristiano. Si tratta dei divorziati risposati, degli sposati solo civilmente e dei conviventi. La definizione di irregolarità va usata con cautela e non va in alcun modo equivocata; essa non esprime un giudizio morale sulle persone soggettivamente considerate, ma solo per definire, da un punto di vista 7 oggettivo, lo stato di vita in cui le persone vivono che è in contrasto con l’ideale cristiano del sacramento del matrimonio, i cui cardini sono l’unità, la fedeltà, l’indissolubilità, la fecondità (Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2397 . 2398). La irregolarità, quindi, non è definita in rapporto alle persone, ma in relazione alla loro situazione di vita. a) I separati (Direttorio di Pastorale Familiare, 207-209). Di fronte a gravi difficoltà di convivenza la Chiesa ammette, come estremo rimedio, la separazione fisica e la fine della coabitazione. La condizione di separati non compromette, di per sé, la testimonianza del valore dell’indissolubilità matrimoniale. La loro situazione, quindi, non preclude la piena comunione con la Chiesa e l’ammissione ai sacramenti. b) I divorziati non risposati (Direttorio di Pastorale Familiare, 210-212). Dal punto di vista cristiano, il divorzio non può essere ammesso, tuttavia esso è tollerato, senza che costituisca una colpa morale, quando «rimane l’unico modo possibile di assicurare certi diritti legittimi, quali la cura dei figli o la tutela del patrimonio» (n. 212). Essendo equiparabile alla separazione, l’accesso ai sacramenti dei divorziati non risposati non è escluso, ma ammesso alle condizioni di coscienza richieste. c) I divorziati risposati (Direttorio di Pastorale Familiare, 213-220). La situazione dei divorziati che sono passati a seconde nozze (famiglie ricostituite), è certamente la più complessa dal punto di vista pastorale, e purtroppo spesso si pone tutta l’attenzione soltanto o unilateralmente a questa situazione trascurando le altre. Queste persone anche se vivono in una oggettiva situazione di irregolarità «sono e rimangono cristiani e membri del popolo di Dio e come tali non sono del tutto esclusi dalla comunione con la Chiesa, anche se non sono nella “pienezza” della stessa comunione ecclesiale» (n. 215). La posizione ecclesiale di queste persone è certamente complessa per quanto riguarda l’assunzione di ruoli nella comunità e soprattutto per una loro ammissione alla riconciliazione sacramentale e alla comunione eucaristica che la Chiesa ritiene tuttora preclusa. Da parte loro, però, queste persone, «pur sapendo di essere in contrasto con il Vangelo, continuano a loro modo la vita cristiana, a volte manifestando il desiderio di una maggior partecipazione alla vita della Chiesa e ai suoi mezzi di grazia. Sono situazioni che pongono un problema grave e indilazionabile alla pastorale della Chiesa» (DPF n. 216). d) Gli sposati solo civilmente (Direttorio di Pastorale Familiare, 221-226). La Chiesa riconosce al matrimonio civile celebrato da cattolici, che da essa si sono temporaneamente o definitivamente allontanati, la positività di alcuni valori che esso contiene. Per la Chiesa, però, si tratta di «una situazione 8 inaccettabile». Pastoralmente si tratta di attivare, per coloro che intendono riallacciare una rapporto con la Chiesa un dialogo che miri a far riscoprire il significato del matrimonio e la necessità di scelte e comportamenti in coerenza con il Battesimo, e di conseguenza a ‘regolarizzare’ la propria situazione mediante la celebrazione sacramentale del matrimonio. È necessario procedere però con prudenza pastorale, evitando soluzioni sbrigative e burocratiche ma sollecite a rispondere in profondità al cammino di conversione. Di fatto, il matrimonio civile, anche se dotato di pubblico riconoscimento e impegno, per la Chiesa, è equiparabile alla convivenza e, finché permane questa situazione, è precluso l’accesso ai sacramenti. e) I conviventi (Direttorio di Pastorale Familiare, 227-230). Per tanti la convivenza ha il carattere di un matrimonio ‘ad esperimento’. Molte di essi, infatti, dopo qualche anno di prova, confluiscono nella celebrazione del matrimonio religioso. Non è raro oggi trovare, tra coloro che partecipano ai corsi di preparazione alla celebrazione religiosa del matrimonio, un numero consistente di conviventi. Il fatto della convivenza sollecita, dal punto di vista pastorale, l’attivazione di una specifica pastorale del fidanzamento che accompagni i futuri sposi dall’inizio della loro relazione d’amore, e non soltanto alla fine, quando già tutto è stato deciso. 4) I CAMMINI DI ACCOMPAGNAMENTO Il Cardinale Dionigi Tettamanzi nella sua Lettera “Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito” si rivolge agli sposi in situazione di separazione, divorzio e nuova unione, dichiarando «Vorrei con tutti voi aprire un dialogo per condividere un poco le gioie e le fatiche del nostro comune cammino; per provare ad ascoltare qualcosa del vostro vissuto quotidiano; per lasciarmi interpellare da qualcuna delle vostre domande; per confidare i sentimenti e i desideri che nutro nel mio cuore nei vostri confronti». Questo è un evidente invito a costruire per e con queste persone delle comunità cristiane accoglienti, capaci di ascoltare, accogliere e affrontare con delicatezza i problemi che derivano dalle diverse situazioni, predisponendo veri cammini di condivisione, fatti di accoglienza, ascolto, accompagnamento e di formazione degli operatori di pastorale familiare. a. Accoglienza, ascolto e accompagnamento Il compito dell’accoglienza e dell’ascolto è importante perché riguarda il primo contatto con la persona e la continuazione dei rapporti di confidenza e di sostegno. E’ un ruolo che non disconosce la verità, ma dà il primato alla carità, 9 atteggiamento, questo, che ispira e accompagna ogni fase del servizio di accoglienza. In questo atteggiamento si possono distinguere due fasi: Prima fase – come ascoltare a) evitare ogni atteggiamento di superiorità (per presunta competenza), di insegnamento, consiglio, curiosità, studio, giudizio o pregiudizio; b) assumere atteggiamenti incoraggianti quali: fare il vuoto in sé, dimenticare i propri problemi, le persone che ci stanno a cuore, concentrare l’attenzione unicamente verso la persona che ci sta dinanzi, interpretare in bene, lasciar parlare senza interrompere, comprendere, mettersi nei panni dell’altro. Le domande vanno poste con la massima discrezione e prudenza. Seconda fase – come rispondere a) farsi uno con la persona che abbiamo davanti, cioè immedesimarci nel suo dolore, rilevare quanto di vero e di buono ha detto l’altro, anche se non possiamo approvare tutto quanto ci viene detto; b) servire, cioè mettersi a disposizione concretamente per i problemi dell’altro, sia quelli spirituali che quelli pratici (alloggio, economia, burocrazia, assistenza legale, psicologica, pedagogica, mediazione familiare); fare il possibile per un “pronto soccorso” in prima persona e poi, se è il caso, suggerire un servizio specialistico e professionale, c) accompagnare in un cammino di crescita, cercando di non aggravare, ma sanare le ferite. Questi atteggiamenti nel loro insieme permettono, con molta delicatezza, di fare domande e di dare suggerimenti per un cammino di: 1) rasserenamento, cioè non vedere solo le colpe del partner ma riconoscere anche le proprie; non guardare al passato, di chiunque sia la colpa, ma attivarsi per affrontare il presente nel migliore dei modi; sentire che la propria sofferenza e solitudine sono un invito ad appoggiarsi a Dio e a confidare in Lui; sentire che, qualunque sia la situazione dopo la separazione, si fa sempre parte della Chiesa, che ci ama e accoglie; 2) perdono per il partner, se sussiste rancore; 3) riconciliazione col partner, se c’è possibilità e opportunità; 4) fedeltà al sacramento del matrimonio, vivendo nella solitudine, anche se controcorrente. b) Formazione degli operatori L’atteggiamento fondamentale che dovrebbe caratterizzare tutti gli operatori pastorali (sacerdoti, consacrati/e, laici) è quello dell’ascolto. Non bisogna mai dimenticare che l’accoglienza inizia sempre con l’ascolto: ascoltare con il cuore 10 per mettersi in relazione con la persona e per capire cosa c’è nel suo cuore, dove ha radice la sua sofferenza, il suo bisogno di comprensione e di simpatia. Nei confronti delle crisi di coppia è indispensabile, poi, lavorare per una conversione di mentalità in modo che esse non siano viste necessariamente solo come un evento fallimentare, ma piuttosto un passaggio spesso naturale del cammino di coppia e una possibile occasione di crescita. Per questo motivo è importante la formazione degli operatori pastorali e la messa in atto di strutture e servizi capaci di accogliere e accompagnare le coppie in difficoltà; un intervento tempestivo quando la crisi è nelle fasi iniziali può avere il risultato di consolidare la relazione di coppia. È indispensabile assicurare una formazione adeguata dei sacerdoti, sia nella fase della preparazione in seminario che lungo il cammino della vita sacerdotale: una formazione umana che li renda capaci di relazioni autentiche e di amicizia, in grado di capire i bisogni; è importante però anche una formazione specifica che li prepari a capire i problemi della relazione di coppia e della vita familiare. Una attenzione maggiore va posta su molte situazioni coniugali per capire dove ci possono essere le condizioni per un riconoscimento di nullità del matrimonio. Spesso infatti la fragilità della relazione ha le sue radici nella mancanza, fin dall’inizio, di uno dei requisiti essenziali del matrimonio (ad esempio la libertà, la maturità necessaria, la disponibilità alla procreazione, ecc.). Gli operatori pastorali devono conoscere quali sono le condizioni più comuni che possono rendere nullo alla radice il matrimonio. Più a monte, va operata, sul piano pastorale generale, una "conversione alla comunione". In una comunità che vive relazioni intense, le difficoltà di coppia o le situazioni particolari possono meglio venire assorbite e trovare risposte di solidarietà, di sostegno e di aiuto. In questi ultimi anni molto utili sono risultati i gruppi di condivisione a sostegno delle persone separate o divorziate. Alcune di queste persone sentono il bisogno di un accompagnamento specifico che le motivi e le sostenga nel loro percorso di riconciliazione, con sé stesse, con il coniuge, con la Chiesa. E’ importante che le persone separate, divorziate o che hanno contratto una nuova unione si sentano di far pare della comunità cristiana, facendo sentire anche in modo concreto che la “Chiesa non li ha dimenticati” (Card. D. Tettamanzi, Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito). Esse, se desiderano vivere l’impegno cristiano personale e comunitario, vanno invitate a far parte dei gruppi operativi della comunità, quali Caritas, Giustizia e Pace, commissione economica, gruppi di preghiera, di animazione 11 del tempo libero e altre iniziative, come quelle di formazione (es. gruppi familiari parrocchiali o percorsi in parallelo alla catechesi dei figli, etc.). Esse vanno aiutate a capire che la loro esclusione dalla comunione sacramentale, anche se può essere vissuta dolorosamente specialmente dalle persone più sensibili, non è motivo per escludersi dalla ricchezza delle relazioni e delle attività comunitarie. 5. L’ESPERIENZA DEI GRUPPI DI CONDIVISIONE A VERONA a) Premessa Come la Chiesa universale e italiana, anche quella veronese è da molti anni impegnata sul fronte della vicinanza, accoglienza e accompagnamento delle persone separate o divorziate. Questa attenzione è stata ampiamente raccolta, approfondita e condivisa durante l’ultimo Sinodo Diocesano, da cui sono emerse conferme e precise indicazioni. Nel Libro Sinodale si afferma, ad esempio, che la famiglia è “un tema che chiede oggi alla comunità cristiana una particolare capacità di ascolto per acquisire metodi e modi in grado di annunciare la buona novella…” (n. 60), con un atteggiamento che non ci porti a “prendere la scorciatoia del giudizio impaziente, ma piuttosto di lasciarci coinvolgere nell’urgenza di rielaborare la comprensione dei valori di fondo della famiglia…” (n. 70). L’invito a dar vita o ampliare iniziative riguardo le persone che vivono in situazioni difficili o irregolari è contenuta nel Progetto Pastorale postsinodale, dove esplicitamente si chiede “ad ogni comunità, attraverso la programmazione del proprio Consiglio Pastorale Parrocchiale, di attivare concreti servizi di attenzione alle coppie in difficoltà. Potrà essere un collegamento maggiore con i consultori, o l’avvio di gruppi di mutuo aiuto per coppie di separati/divorziati/risposati o altre forme di aiuto da studiarsi in collaborazione con il Centro di Pastorale Familiare che potrà fornire tutte le indicazioni necessarie per questo aspetto, come per gli altri che riguardano la pastorale familiare” (PPS, PAG. 21). Da queste indicazioni, continuando e ampliando iniziative già in atto, cercando collaborazioni e di favorire un lavoro in rete ,all’interno della commissione situazioni irregolari, sono scaturite le recenti proposte per le esperienze dei Gruppi di condivisione che sono il principale oggetto di questa pubblicazione. b) Obiettivi 12 L’esperienza si è posta come obiettivo generale l’accompagnamento umano e cristiano delle persone separate e divorziate al fine di creare uno spazio di confronto libero dal giudizio, rompere il silenzio e farle uscire dall’isolamento nel quale queste persone si vengono spesso a trovare. Gli obiettivi più specifici hanno riguardato la possibilità per ogni partecipante di condividere la propria storia, di prendere coscienza dei motivi della separazione, di condividere emozioni e stati d’animo vissuti, di affrontare il dolore, di togliere dal cuore risentimenti e astiosità, di perdonare e accettare la propria situazione per farne occasione di un cammino umano e spirituale, dialogando anche su alcune problematiche comuni (come restare genitori, come crescere i figli, come affrontare i problemi economici, la relazione con i parenti, le questioni legali, etc.). 5.1 L’ESPERIENZA DEL CENTRO DI PASTORALE, DON CALABRIA, CONSULTORIO FAMILIARE VERONA SUD a) Metodologia La metodologia ha previsto che la partecipazione al gruppo fosse aperta a tutti (separati, divorziati, anche risposati o conviventi), compreso coloro che mantenevano la fedeltà al sacramento del matrimonio cristiano, ma anche ai non praticanti. I gruppi di condivisione si basano sulle regole dell’auto mutuo aiuto e non sono gruppi di psicoterapia, per cui se qualche partecipante era già in un cammino di psicoterapia poteva continuarlo. Per favorire il clima di dialogo e di condivisione il numero massimo di partecipanti al gruppo è stato previsto di 14 persone. Il gruppo è stato condotto da due facilitatori, una mediatrice familiare laica e un religioso, esperti nelle tematiche della famiglia. Il loro ruolo non era direttivo, ma rassicurante, facilitante la comunicazione e la dinamica della partecipazione. La cadenza degli incontri è stata, a seconda delle situazioni, una volta ogni due o tre settimane, la sera dalle 20.30 alle 22.00 o dalle 18 alle 20. La sede degli incontri era accogliente e prevedeva la possibilità di un facile scambio di opinioni, di “guardarsi in faccia”, di utilizzare, quando necessario, una lavagna a fogli su cui i facilitatori fissavano idee, pareri, sentimenti espressi, sintesi del confronto. Ad ogni partecipante è stato chiesto un modesto contributo economico per il sostegno delle spese. 13 b) Modalità di partecipazione Per la partecipazione agli incontri è stato previsto un primo colloquio d’entrata del partecipante con i due facilitatori per capire le aspettative e le motivazioni del richiedente, per conoscere almeno a grandi linee la sua storia familiare, l’eventuale presenza di figli, la situazione al momento presente (rapporto con il coniuge e con i figli, rapporto con la fede, eventuali difficoltà legali, economiche, relazionali…), per presentare l’attività e il senso del gruppo di condivisione, gli obiettivi e le modalità del percorso. Nel corso del colloquio sono state presentate le regole: puntualità, impegno per la presenza, premura di avvertire per eventuali assenze, riservatezza, rispetto reciproco della privacy sui contenuti espressi, raccontarsi quando lo si desidera, partire da sé, parlare in prima persona, avere un atteggiamento non valutativo, in situazione di disagio affrontare il problema in gruppo e con le persone direttamente coinvolte, quando si decide di terminare la propria esperienza in gruppo comunicarlo alle altre spiegando il motivo della propria scelta, possibilità per i partecipanti di incontrarsi al di fuori del gruppo. Si presentavano anche altre attività possibili da condividere nel corso dell’esperienza, quali, ad esempio: visione di film, lettura di libri e articoli, partecipazione ad eventi esterni organizzati in proprio (es. cene) o da altri (es. convegni sul tema). c) L’esperienza Il primo colloquio è risultato fondamentale per la buona riuscita del gruppo. Esso ha permesso di dare indicazioni a persone che avevano altri obiettivi, di chiarire a coppie in crisi o in fase di separazione che la proposta non andava confusa con altre esperienze (es. mediazione familiare o terapia di gruppo), di individuare in alcuni casi situazioni di persone con problematiche psichiatriche o forte depressione, per cui il gruppo non poteva rappresentare, almeno in questa fase della loro situazione, una risposta adeguata. Per quanto riguarda l’andamento del gruppo, ogni incontro è stato impostato sulla durata di un’ora e mezza. I primi incontri hanno avuto l’obiettivo di costituire il gruppo, con la presentazione dei partecipanti, la condivisione delle loro storie e i contenuti da affrontare. Progressivamente, grazie all’atmosfera che si è venuta a creare tra i partecipanti, l’esperienza del gruppo ha via via assunto un tono sempre più 14 amichevole, tanto da desiderare di condividere una cena insieme all’ultimo incontro. La disposizione in cerchio ha favorito una partecipazione attiva. All’inizio di ogni incontro si riassumevano i contenuti dell’incontro precedente in modo da riprendere il filo del discorso, offrendo una cornice che fungeva da contenitore ma che si sviluppa sempre con modalità creative, lasciando spazio agli stessi membri del gruppo di condividere un episodio, un avvenimento, un problema che si era posto loro in settimana. Questo approccio ha permesso un largo coinvolgimento e una forte immedesimazione nel problema, con affermazioni spontanee del tipo “anche a me è capitata una cosa simile e in quel momento ho fatto così, poi però ho capito che …”. Questa metodologia ha permesso ai partecipanti al gruppo di sostenersi a vicenda spontaneamente, di incoraggiarsi, di contribuire a ridimensionare le sensazioni di solitudine e di inefficacia. Il gruppo, perciò, è da intendersi semistrutturato, con alcune tematiche di base che sono state messe in programma dai facilitatori (la comunicazione funzionale, il punto di vista maschile e femminile sulla relazione di coppia, l’autostima, il ruolo genitoriale, il rapporto con il passato e l’ex coniuge, la solitudine, la posizione della Chiesa, i pregiudizi e le opportunità di crescita) non in modo predeterminato e fisso, ma proponendo ad hoc degli spunti di riflessione a partire dai vissuti personali riferiti spontaneamente. Molto utile ed efficace è stato l’utilizzo della lavagna a fogli mobili, visibile a tutti, che ha permesso di annotare sul momento le riflessioni del gruppo sui vari argomenti discussi, oppure rappresentare graficamente alcuni esempi o fissare alcune frasi, concetti, emozioni: è stato come ritrovare, ogni volta, gli appunti di viaggio, un’agenda che permette di costruire un sapere comune, grazie alla quale nulla va perduto e l’esperienza individuale viene valorizzata. L’esperienza della conduzione a due è stata senz’altro positiva, sia per i facilitatori che per il gruppo stesso. La mediatrice familiare si focalizzava maggiormente sugli aspetti psico-socio-educativi dei contenuti espressi, occupandosi inoltre anche degli aspetti più prettamente organizzativi e di collegamento; l’attenzione del sacerdote si è soffermata soprattutto sulle tematiche inerenti la fede, il rapporto con la Chiesa, la dottrina sul matrimonio cristiano. I due facilitatori, comunque, sono stati “sullo stesso piano”, per cui nella pratica i due ruoli sono stati molto sfumati, flessibili e complementari. 15 Verso la conclusione del primo anno è stato somministrato ai partecipanti un questionario che verificava com’era stata l’esperienza del gruppo e la possibilità di proseguire per un secondo anno. Analogamente, ai partecipanti del secondo anno è stato proposto un questionario specifico di valutazione dell’esperienza, di considerazione dei punti di forza e di debolezza di quanto vissuto, di corrispondenza con le aspettative, di richieste per il futuro. Dall’esame dei questionari è emerso con evidenza la positività dell’esperienza nel suo complesso, dell’aiuto che la partecipazione al gruppo di condivisione ha rappresentato per la loro vita, sia sotto l’aspetto umano che spirituale. Da molti è stata avanzata la richiesta di proseguire un’esperienza di condivisione che in forme diverse dalla formula del gruppo permetta comunque a loro di continuare a fare un cammino di crescita. d) aspetti teorici e metodologici Iniziare a parlare dell’esperienza del gruppo di condivisione per persone separate e/o divorziate sottintende parlare di famiglia come luogo e tempo di mediazioni: la famiglia è il tessuto primordiale dell’esperienza umana in cui si realizzano relazioni di mediazione fra l’individuo e la comunità, fra la natura e la cultura, fra sfera pubblica e sfera privata. Perciò, l’esperienza della separazione fa emergere rilevanti criticità in questi tre fondamentali ambiti, con conseguenze a livello personale e dei legami. Affrontare l’evento della separazione, pur nelle accezioni speciali di ciascuna storia, significa mettere in discussione questi livelli di interazione, spostando l’attenzione ora su un versante, ora sull’altro e richiede alle persone coinvolte di occuparsi (spesso di pre-occuparsi) di trovare nuovi equilibri in tempi ragionevoli, poiché i vissuti più ricorrenti sono di disordine, delusione, rabbia, frustrazione. La ricerca delle persone è frequentemente rivolta ad una situazione di maggior serenità, di tranquillità, di chiarezza di sapere cosa fare e cosa dire: sono questi i bisogni ricorrenti delle persone incontrate in colloqui informali e in contesti di consulenza e mediazione familiare. Considerando questi aspetti, si è ipotizzato che proprio l’esperienza del gruppo, con le sue potenzialità del confronto e della condivisione, potesse costituire una valida e funzionale risposta alla richiesta sempre crescente di aiuto da parte di chi si separa: da una parte, per il corrispondente numero crescente di separazioni, dall’altra per una aumentata consapevolezza rispetto al riconoscimento della validità di poter usufruire di servizi e professionisti che si adoperano per offrire contenimento e sostegno in questa delicata transizione della propria storia personale e famigliare. Individuo e comunità 16 Come la famiglia rappresenta la fondamentale relazione di mediazione tra la persona e la dimensione sociale, poiché l’individuo non può esistere se non legato ad altri individui, in una rete fittissima di relazioni (si parla infatti di socializzazione, identità, ruoli…concetti che presumono legami), così la separazione dal coniuge enfatizza l’esistenza e la vitalità di queste dinamiche. Il tema della solitudine è riapparso in molteplici momenti del gruppo. L’esclusione o l’autoesclusione da situazioni di vita sociale, accompagnato, talvolta, da un transitorio stato depressivo, di ansia, di preoccupazioni per il futuro, di rabbia, tanto da scatenare reazioni di difesa e manifestazioni di chiusura e scarsa fiducia (nel proprio modo di sentire e negli altri). Spesso il livello dell’autostima personale, prima commisurato dal ruolo, dall’approvazione sociale, dal benessere sperimentato all’interno delle mura domestiche, viene messo a dura prova. Il gruppo, da questo punto di vista, rappresenta una vera ancora di salvezza, dal momento che si ha la certezza che le persone del cerchio hanno percorso, con modalità analoghe, le medesime tappe e, si presume, possano capire meglio di altri lo stato d’animo, i pensieri, i bisogni, nel continuo confronto di somiglianze e differenze. Gradualmente, si percepisce meno l’essere semplicemente “individuo”, si aumenta la consapevolezza di essere persone in relazione, che vivono in una rete di relazioni, con tutte le conseguenze che ne derivano. Si tocca con mano che gli altri sono una risorsa e si può finalmente percepire se stessi come una risorsa per gli altri: abbiamo utilizzato spesso la metafora del viaggio, pensando agli altri partecipanti del gruppo come a dei compagni di viaggio, ciascuno portatore di un bagaglio, disposto a condividere con gli altri qualcosa che porta con sé (anche paure, solitudine, sensazione di non farcela, senso di colpa, di inadeguatezza) ma anche la capacità di sdrammatizzare, l’incisività, l’ascolto empatico e così via... La metafora del viaggio è stata utilizzata anche in piccole parentesi di esercitazioni individuali dove i partecipanti sono stati invitati ad acquisire coscienza rispetto ai pesi, ai bagagli, alle zavorre che talvolta si portano (o si trascinano in modo ignaro) da una situazione all’altra, da una relazione all’altra, dalla famiglia al lavoro e viceversa: a volte tutti questi “bagagli” non sono indispensabili, anzi, talvolta altre persone o situazioni ci caricano di pesi che non spettano oppure non sappiamo delegare laddove è la scelta più adeguata. In questa esperienza del “viaggio”, di un percorso intrapreso insieme, fatto di tappe intermedie (spesso l’incoraggiamento è di compiere un passo alla volta, mettere in discussione qualche aspetto della propria vita e della propria fede, senza estremizzare, senza annullare, annullarsi) occorre attrezzarsi di una bussola, un orientamento valoriale che permette, finalmente, di recuperare la direzione chiara da seguire, attraverso l’essenziale. Sempre ragionando in questi termini, del rapporto tra individuo e comunità, è stata utilizzata l’analogia con il puzzle; ogni membro del gruppo ha trovato il proprio 17 nome all’interno di una porzione di puzzle colorato ed è chiaro il messaggio di unione e condivisione di ciascuno rispetto agli altri: cosa succede se il tuo posto viene meno? O se viene occupato da altri? Si è cercato di rendere “visibile” l’interdipendenza di una parte con il tutto e viceversa, così è nel gruppo, così è in ogni famiglia. E’ emerso più volte durante gli incontri il tema del tempo, una dimensione che sembra irreale, percepito spesso in modo negativo, come un avversario da temere, piuttosto che un prezioso alleato che aiuta a relativizzare e a funzionare come un balsamo per tante ferite, dato che esistono innegabili analogie tra la separazione ed altre esperienze di lutto. Il gruppo, anche in questo caso, attraverso 20 incontri distribuiti su due anni, ha ammesso, a conclusione del percorso, che il tempo aiuta ad elaborare la sofferenza, rendendola meno acuta, meno ingombrante, meno immobilizzante, restituendo maggior fiducia nelle scelte fatte, maggior distensione nella gestione dei figli, anche permettendo di avere aspettative realistiche nei confronti dell’altro genitore. Raccontare all’interno del gruppo pezzi di storia personale, riferire, dal punto di vista personale, le motivazioni che hanno condotto la propria coppia alla separazione, decifrare insieme con gli altri elementi ridondanti tra passato e presente, consente di creare una cornice più definita del quadro della propria vita: tutti questi passaggi non potrebbero essere elaborati nella solitudine, senza il confronto. La presenza dei figli (si precisa che non tutti i partecipanti del gruppo hanno figli, ma tutti hanno partecipato alle discussioni con grande coinvolgimento) e tutti gli aspetti educativi a loro legati, comprese le difficoltà di gestione della quotidianità nelle situazioni di conflitto più acceso, ha condotto le discussioni del gruppo a momenti di riflessione profonda. I dilemmi più importanti ed urgenti riguardano spesso i figli che, siano piccoli o adolescenti e a volte già adulti, portano nella loro storia personale questo distacco tra i genitori. All’interno del gruppo ci siamo soffermati a lungo a riflettere sui possibili bisogni dei figli (di tranquillità, di non essere coinvolti nelle discussioni dei genitori e, a maggior ragione, nelle faccende legali, di mantenere legami significativi con il genitore non convivente e le famiglie d’origine, devono essere spesso rassicurati, incoraggiati) e di come sia possibile andare incontro a questi bisogni, al senso di inadeguatezza che pervade talvolta le iniziative dei genitori, il dilemma tra quantità e qualità del tempo trascorsa con i figli, le divergenze educative rese ancor più complicate da una comunicazione spesso difficoltosa. Di nuovo, le persone del gruppo anche attraverso un ascolto empatico, hanno mostrato comprensione, immedesimazione, incoraggiamento, vicinanza, dando, soprattutto, preziosi consigli pratici. Per situazioni un po’ più specifiche e delicate, si invitano le persone a trattare il problema in un contesto 18 di consulenza individuale o, ancora meglio, in un percorso di mediazione familiare con l’altro genitore. L’accompagnamento delle persone in situazione di separazione all’interno della Chiesa era tra gli obiettivi ipotizzati nella proposta del gruppo. A partire dai colloqui individuali preliminari si è riscontrato un interesse e, allo stesso tempo, molti interrogativi sui temi inerenti il matrimonio cristiano, la separazione e le sue conseguenze, alcuni dubbi di fede. Con alcune fatiche, anche il tema della fede è stato affrontato nel contesto degli incontri di gruppo, soprattutto il problema della sacralità del vincolo matrimoniale, l’accostamento all’Eucarestia, il ruolo della coscienza personale, i tentativi di capire come la Chiesa si pone di fronte alle persone separate, con o senza nuove convivenze (le cosiddette situazioni “irregolari”), con la guida del sacerdote, il confronto con la Parola e altri testi scritti. Ci sono stati stimoli provenienti dalla vita quotidiana che hanno aperto il confronto su tali aspetti: la somministrazione dei Sacramenti dei figli, che ha significato per i genitori separati accompagnare nella preparazione, nel catechismo, nel tentativo o meno del coinvolgimento dell’altro genitore, facendo emergere le difficoltà di fede, che non hanno ricevuto risposte esaustive o definitive, ma hanno permesso comunque una ricerca più fiduciosa e un’apertura al confronto con la Parola, che è già momento profondo di Comunione. Una porzione importante della vita delle persone è il rapporto con la famiglia d’origine, vissuto talvolta in modo contradditorio, talora come risorsa, talora come peso. Le persone riferiscono, all’indomani della separazione, di aver sperimentato la propria famiglia come risorsa preziosissima di supporto psicologico, materiale, economico, organizzativo, soprattutto se in presenza di figli piccoli; talvolta, invece, hanno sofferto notevolmente per aver sperimentato la famiglia in posizione di giudice severo, negando la crisi, perciò la separazione, accentuando i sensi di colpa, di debito affettivo, di aspettative deluse, di vergogna. In alcuni casi le famiglie d’origine sono state uno tra i più rilevanti motivi che hanno portato alla separazione dei coniugi, sia per storie familiari difficili, complesse e problematiche, sia per l’evidente attaccamento che spesso molti genitori hanno nei confronti dei figli adulti, a loro volta genitori, impedendo loro di crescere come persone autonome e responsabili. Il gruppo, da questo punto di vista, ha accolto con interesse ed entusiasmo i contenuti proposti ed è valsa la pena soffermarsi con il gruppo ad elaborare, all’indomani della separazione, i vissuti emotivi e i valori trasmessi a livello generazionale, le dinamiche osservate nel proprio nucleo famigliare originario. Ci siamo serviti del genogramma e dello stemma famigliare (utilizzati abitualmente all’inizio del percorso di mediazione familiare secondo 19 l’approccio transizionale simbolico), rappresentando un’ipotetica famiglia, ma con caratteristiche con cui ci si immedesima facilmente, arricchita di descrizioni, caratteristiche personali, di valori, di scelte ecc. E’ stato uno spunto che ha aperto un’ampia discussione ricca di considerazioni, domande, critiche e autocritiche che hanno permesso di rivedere, seppur in modo lieve (occorre far attenzione di non toccare livelli intimi e vulnerabili che rimangono “scoperti”, per cui il contesto del gruppo non è idoneo), le proprie radici, la dote valoriale, i modelli ereditati. Più di un partecipante ha esternato che sono aspetti molto importanti, di cui ci deve essere consapevolezza prima del matrimonio, verso cui vanno educate le giovani generazioni, non come garanzia assoluta della riuscita di un buon matrimonio, ma per avere strumenti idonei nell’approccio umano alla cura della relazione. Natura e cultura Affrontare ai giorni d’oggi, nel contesto italiano e, nello specifico, in terra veronese la separazione significa riflettere su una situazione culturale incoraggiante all’individualismo, all’apparire, al soddisfacimento immediato dei bisogni con politiche poco lungimiranti sul fare famiglia, l’essere famiglia, vivere i tempi in famiglia. Le persone del gruppo hanno tentato di sdrammatizzare, con un alone di amarezza, sui numeri impietosi: “i pregiudizi della gente sono meno influenti di un tempo”, “i figli sembrano risentirne meno”, “in classe non è l’unico”, ecc. Il gruppo è stato invitato a riflettere sui pregiudizi, sulle aspettative e sulla categoria dell’ovvio. Che cosa è ovvio debba fare una buona madre, un buon padre? Una buona madre separata e un buon padre separato? Le sorprese non sono mancate. Ci siamo accorti dopo una serie di esempi e discussioni che, l’ovvietà del chi fa cosa, è soggettiva, personale, circoscrivibile al proprio sentire e alla cultura del nostro tempo. Tra l’eredità che ciascuno riceve dalla propria famiglia e ogni esperienza culturale esterna, il linguaggio e la comunicazione hanno un ruolo costitutivamente insostituibile: padroneggiare uno strumento così prezioso dev’essere un impegno condiviso, a partire dalla coppia e dalla famiglia nell’esercizio dei compiti educativi. Comunicare porta in sé il significato di “mettere in comune” e se, a chiunque, una coppia in salute richiama quella in cui ci si parla, ci si ascolta, si condivide un progetto, degli interessi (quante volte si fa riferimento alla condivisione, alla complicità, alla comprensione!), quanto poi come elemento spesso onnipresente delle crisi coniugali si fa riferimento alla “mancanza di dialogo” o ai silenzi assordanti, ai litigi fini a se stessi. Questo scarto va colmato, con un’attenta e costante educazione al dialogo. 20 Con il gruppo abbiamo sperimentato alcune esercitazioni e metodologie per comprendere il proprio modo di ascoltare e comunicare, apprendere alcune metodologie di comunicazione più funzionale. A volte le parole hanno un peso enorme, nel costruire e coltivare o, al contrario, ostacolare e distruggere i rapporti umani. Abbiamo perciò sempre utilizzato la lavagna a fogli mobili, per fissare concetti, frasi, parole, schemi, esercizi di gruppo: quando, a distanza di due o tre settimane le persone del gruppo ritrovano le parole dette in precedenza, non è possibile ignorarle! Permette di vedere i passi fatti, le riflessioni, ridimensionare, completare, espandere un concetto espresso precedentemente. Ad ogni incontro veniva dato a ciascun partecipante un foglio di collegamento con una sintesi dei contenuti dell’incontro precedente (molto utile anche per coloro che fossero stati assenti) e alcune indicazioni e spunti di riflessione per iniziare la serata. Anche lo scambio degli indirizzi email è stato utile: rimane un veicolo di scambi comunicativi immediati, anche per creare un collegamento tra un incontro ed il successivo. L’insostituibile potenzialità di una comunicazione efficace è stata a lungo oggetto dei nostri incontri, con risvolti anche comici, quando abbiamo analizzato lo stile maschile e femminile, le modalità dell’uomo e della donna di vivere le relazioni, la coppia, l’essere genitore e la gestione dei conflitti, in primis (oltre ad altri risvolti della femminilità e della mascolinità). Sfera pubblica e privata Il matrimonio, così come è concepito e vissuto, nella normalità, contempla diverse fasi di preparazione e celebrazione, in cui è vistoso l’elemento “pubblico”, ovvero la partecipazione corale di famiglia, parenti, amici e, così pure, è pubblica l’assunzione di diritti e oneri di fronte alla società e alla comunità cristiana. La famiglia stessa è soggetto di mediazioni sociali continue (scuola, mass media, servizi, mondo del lavoro…). Al contempo, è molto intima la vita che si snoda, dal momento della celebrazione del rito, all’interno delle mura domestiche, dove si cerca in continuazione il senso di appartenenza alla propria famiglia. Quando avviene una separazione, cosa accade in questa duplice dimensione di pubblico e privato? La ritualità dell’evento separazione è spesso limitata a documenti e carte bollate, con altri segnali legati alla casa, agli arredi, al trasloco di almeno uno dei due membri della coppia. Eppure, anche se con risvolti talvolta drammatici, è un passaggio cruciale della vita di una persona e di una famiglia. Il gruppo consente una ritualità dell’evento critico della separazione (riconducibile, di nuovo, al tema della solitudine) ed un contenimento degli aspetti emotivi più distruttivi. Proprio in quanto gruppo, svolge una funzione simbolica dell’elemento “pubblico” e, al contempo, con un graduale senso di 21 appartenenza, si struttura un clima di fiducia “famigliare” in cui si ha la sicurezza della riservatezza dei contenuti espressi. Le persone del gruppo che hanno vissuto il momento del distacco anni prima, esprimono, attraverso la narrazione e un distacco maggiore, comprensione e accoglienza verso chi si trova in piena tempesta emotiva, vi è una trasmissione consapevole dell’esperienza vissuta. Con queste modalità, grazie alle differenti esperienze degli appartenenti al gruppo, è possibile intravedere un passaggio dai sensi di colpa diffusi all’assunzione di responsabilità nei confronti delle scelte fatte e, a maggior ragione, verso un impegno costante per i figli. 5.2 L’ESPERIENZA DEL CONSULTORIO FAMILIARE LA BUSSOLA DI CEREA L’esperienza del Consultorio familiare di Cerea nei confronti dell’accompagnamento delle persone separate è nata alcuni anni fa, quando abbiamo cominciato ad offrire percorsi di gruppo per i figli di separati, accanto ai quali sono stati programmati momenti di scambio e confronto per le mamme e per i papà, che si incontravano naturalmente in due momenti diversi. L’obiettivo di questi momenti era quello di un confronto sugli aspetti della relazione con i figli, ma i partecipanti hanno ben presto messo in campo anche i loro personali vissuti riguardo la separazione. Successivamente abbiamo accolto l’invito del Centro di Pastorale Familiare e abbiamo organizzato un gruppo di condivisione per persone che vivono situazioni matrimoniali “difficili”, indipendentemente dalla presenza e dall’età dei figli. In entrambi i casi abbiamo dovuto fare i conti con la fatica e la riluttanza delle persone a partecipare ad incontri di gruppo, a fronte invece di una forte richiesta di dialogo “a tu per tu” che rappresentasse un aiuto e un sostegno nell’affrontare il disagio personale da parte di chi vive situazioni di separazione, in particolare da parte di chi è stato lasciato. Al gruppo hanno infatti partecipato con costanza solo persone che avevano già affrontato un percorso personale con uno degli psicologi del Consultorio, maturando in quel contesto la possibilità di condividere la propria esperienza con altri. Potremmo sintetizzare la richiesta di chi arriva al Consultorio con l’espressione: “Aiutatemi a reagire, a trovare il modo di sopravvivere al fallimento del mio matrimonio, a ritrovare una progettualità, un senso per la mia vita”. Ciò che immediatamente si percepisce è infatti la sensazione di fallimento e di perdita di senso che blocca la persona, spesso alle prese con sentimenti contrastanti. Questa domanda non sempre è però esplicita, e renderla tale è spesso il primo obiettivo con cui ci poniamo accanto a queste persone. Dietro ad ogni matrimonio che fallisce c’è sempre un percorso di grande sofferenza: l’amore per definizione fin dal suo nascere domanda stabilità, e il percorso della separazione è sempre faticoso e carico di dolore, un vero e 22 proprio lutto da elaborare. Quello che ci viene chiesto è di non banalizzare questo percorso, questa sofferenza, magari in nome di un generico “buonismo” che finisce per non prendere sul serio la persona con il suo sentire più profondo, ma di metterci a servizio della ricerca di senso per la vita. Riflettendo sulla nostra esperienza, quindi su tutte le persone che in questi anni si sono presentate in consultorio con una storia di separazione, abbiamo individuato alcune situazioni ricorrenti, che potremmo condensare in tre “fotografie”. La prima è quella di persone che non si rassegnano alla separazione, persone logorate dalla fatica dei tentativi falliti di ricomporre la coppia, e che talvolta stanno ancora lottando, seppure in modo ambiguo e ambivalente, per cercare di riconquistare il coniuge, nonostante i passi fatti anche sul piano legale esprimano chiaramente l’irreversibilità della separazione. Dialoghiamo con persone che ci dicono di non voler più rivedere il coniuge, ma che poi ci chiedono l’appuntamento possibilmente quando lui è nei paraggi, o che ci rivelano di continuare a cercarlo e ad incontrarlo. Prendere coscienza dell’ambivalenza dei propri sentimenti è spesso il primo passo che ci sembra necessario, per aiutare la persona ad accettare la realtà e ad investire le energie in modo costruttivo, a ridefinire la propria identità trovando una stabilità nel modo di porsi di fronte all’altro; tutte condizioni senza le quali è impossibile aprirsi alla prospettiva di una vita comunque positiva e guardare a sé come a persone che hanno un futuro, e che possono decidere che futuro avere. Rompere un matrimonio è sempre un lutto, che comporta sentimenti di perdita, soprattutto quando la separazione è subita: si perde il compagno di vita, si perdono i sogni, i progetti, gli obiettivi della vita; si perde una parte di sé. Ci siamo trovati di fronte a persone che, ancora immerse nel “caos di sentimenti” di lutto, si sono lanciate in nuove storie, con l’illusione che il nuovo investimento affettivo potesse placare il dolore della perdita, riempire il vuoto, ma che poi si sono ritrovate in situazioni fallimentari simili alle precedenti, perché non si erano date il tempo e il modo di imparare nulla dall’esperienza vissuta. Questo vale in particolare quando ci sono di mezzo i figli, cosa che impone la ridefinizione di un rapporto in cui non si è più coniugi ma si continua a essere genitori. La seconda fotografia è quella di persone fortemente risentite, “arrabbiate” con il coniuge, frustrate di fronte a tutte le difficoltà che la vita da separati presenta. Il bersaglio su cui si concentra la loro collera può essere molto vario: il terreno della lotta è rappresentato talvolta dall’affidamento dei figli, dal rapporto con i figli stessi di cui si cerca l’alleanza, dalla dimensione economica, dall’assegnazione della casa e dei beni, dal rapporto con i suoceri o con gli amici (ci siamo trovati ad es. di fronte a persone in difficoltà perché quotidianamente incontravano l’ex marito/moglie sul lavoro, dovendo 23 condividere il mondo dei colleghi), ma in sintesi si riconosce sempre la stessa dinamica in cui la persona cerca “vendetta”, o rivendica ad oltranza i propri diritti, cercando di svalutare il coniuge. Anche qui c’è un primo passo da fare: aiutare la persona a prendere coscienza della propria rabbia, e talvolta del proprio contributo personale, per quanto involontario, al fallimento dell’unione, perché la rabbia possa essere ridimensionata, perché vengano abbandonati i sentimenti di vendetta, e l’aggressività sia trasformata in impegno per costruire un nuovo equilibrio. In genere all’avvio dell’esperienza dell’incontro di gruppo premettiamo almeno un incontro personale con il conduttore, allo scopo di chiarire la motivazione reale e profonda che ha spinto la persona a partecipare al gruppo. E’ in questo colloquio che ci si trova talvolta di fronte a questa rabbia non risolta: abbiamo incontrato persone che venivano per dimostrare al coniuge la loro superiorità, oppure persone che cercavano primariamente uno sfogo alla propria rabbia, o la possibilità di raccontare la loro versione dei fatti e i soprusi di cui erano state vittime, soprusi talvolta molto reali e dolorosi, ma raccontati in un modo ancora piuttosto lontano da una rappacificazione interiore e con l’altro, che lasciava trasparire conflitti ancora aperti e ferite non rimarginate. Pur comprendendo e accogliendo il dolore e la sofferenza di queste persone, abbiamo ritenuto che non fosse opportuno farle partecipare al gruppo, perché facilmente lo avrebbero trasformato in campo di battaglia, cercando alleanze o monopolizzando la situazione. A loro abbiamo offerto piuttosto la possibilità di incontri personali che potessero rappresentare un aiuto ad elaborare il vissuto, attualmente bloccato sulla dimensione della rabbia, in prospettiva di un eventuale futuro inserimento nel gruppo. Una terza fotografia delle persone che incontriamo dopo la separazione è quella di chi è triste, depresso, si colpevolizza per l’accaduto ed è incapace di reagire. In realtà si tratta di persone ancora arrabbiate, sebbene le modalità e la direzione dell'arrabbiarsi siano decisamente diverse dalla fotografia precedente. La situazione di solitudine pesa molto, a volte si trasforma anche in sofferenza fisica, ma capita che venga riconosciuta solo quando si tratta di far fronte alle difficoltà dei o con i figli. Queste persone spesso ci contattano proprio a partire dalle difficoltà di relazione o di gestione dei figli. Sappiamo che uno dei compiti più ardui, ma imprescindibili, di due persone che si separano è quello di ridefinire il legame di coppia, per continuare ad essere buoni genitori, ma questo richiede una notevole maturità della persona, capacità di mantenere una buona stima di sé nonostante l’accaduto, e di considerare primariamente i bisogni dei figli anziché i propri. Senza una sufficiente consapevolezza e stima delle proprie capacità genitoriali, le normali e comprensibili difficoltà educative si trasformano in problemi insormontabili. A questo proposito abbiamo l’esperienza di persone che, dopo aver partecipato agli incontri della “scuola 24 per genitori”, hanno chiesto un confronto personale ed un aiuto a ritrovare le risorse dopo una separazione. In sintesi ci pare di poter rileggere l’esperienza fin qui fatta all’interno del Consultorio come l’incontro con il bisogno delle persone di trovare prima di tutto un posto accogliente. La prima richiesta che raccogliamo è quella di non essere giudicati, ma piuttosto capiti, ascoltati, sostenuti. Forse per questo sperimentiamo la fatica ad accettare il percorso di gruppo: le situazioni sono complesse, le persone sentono di aver bisogno di capire loro stesse cosa sia accaduto, prima di raccontarlo ad altri, e questo ha bisogno di tempo e di uno spazio di ascolto che non può essere condiviso con nessuno. Citando Emery, possiamo affermare che bisogna che le persone “si sentano tristi perché hanno perduto il loro matrimonio, si sentano in collera per tutto quello che è successo, e tuttavia conservino ancora qualche tenero ricordo del passato e qualche rimpianto per quello che avrebbe potuto essere e non è stato”1. Tenere insieme questi sentimenti contrastanti non è impresa semplice, e il percorso non può essere affrettato. Solo quando il vissuto legato all’esperienza della separazione è stato elaborato, quando si è in parte sbloccato il mondo emotivo più profondo e trovato un certo equilibrio, solo allora la persona è pronta a porsi domande che non riguardano più tanto il passato, che non sono più tentativi di colmare il vuoto della perdita, di trovare appoggio per le difficoltà contingenti o risarcimento per i torti subiti, ma domande che aprono al futuro, alla speranza di una vita “piena”, piena di senso e di possibilità. Ed è nel dare voce a queste domande di futuro che assume un ruolo fondamentale il gruppo, come condivisione delle stesse fatiche, incertezze e speranze, come luogo dove far emergere anche la domanda di salvezza. Per molti cristiani i sacramenti sono intesi come le uniche ed esclusive mediazioni del rapporto con Dio e con la Chiesa. Di conseguenza l’esclusione è vissuta come esclusione dalla Chiesa e dalla salvezza, e quindi sperimentata come una forma di condanna senza appello ad un “non futuro”; nel gruppo e nel dialogo è possibile invece guardare a se stessi come persone in ricerca e aprirsi alle numerose possibilità di comunione e di partecipazione che la Chiesa offre. Il gruppo è quindi un punto di arrivo e una nuova partenza: arrivo dopo avere chiuso alcuni conti con il passato, e partenza verso la possibilità di un futuro. Nel gruppo, dove sono presenti sia lo psicologo che aiuta a rivedere certe dinamiche e ad immaginarne di nuove, sia il sacerdote, “esperto” della relazione con Dio, è possibile fare esperienza di una Chiesa che si prende cura dell’uomo e che propone percorsi di speranza che sappiano “contenere” anche l’esperienza dolorosa del fallimento, che può così trasformarsi in occasione di crescita. 1 R.E. EMERY, Il divorzio. Rinegoziare le relazioni familiari, trad. it. Franco Angeli, Milano, 1998, pag. 54-55. 25 6. DALLA VIVA VOCE DI ALCUNI PARTECIPANTI Dai questionari raccolti durante il percorso di uno dei gruppi, abbiamo scelto alcune testimonianze: “ Ho scelto di sposarmi perché credo nella famiglia Cristiana e desideravo mettere al mondo dei figli. Lui si presentava molto bene e sembrava più motivato di me. In realtà era la sua maschera per farsi solo servire e riverire, con l’atteggiamento di colui che è sempre a posto e ha la capacità di farmi sentire sempre inadeguata senza farmi mai capire il perché. E’ un gioco psicologico terribile; continuavo a darmi da fare di più, ma non bastava mai. Lavorava fuori casa tutto il giorno, mangiava al ristorante, tornava sempre tardi la sera con la scusa che era sempre per il lavoro. In realtà non ero io che non andavo bene, era lui che non voleva l’impegno della famiglia e voleva solo essere libero di divertirsi. Questo gioco lo ha portato a bere sempre di più, anche se ingenuamente io non me ne accorgevo ( sempre per la mia stupida buona fede, sottomissione, paura della chiesa, di mia madre, ecc.). Sempre più usava forme cattive di espressioni volgari nei confronti di tutta la mia famiglia. Ho fatto di tutto per avvicinarlo a specialisti e luoghi adatti per aiutare lui e tutta la mia famiglia, ma secondo lui l’unica matta ero io. Ho lasciato anche un posto di lavoro molto buono e dopo gli ultimi terribili tre/quattro anni, ho trovato uno psicologo che mi ha rimesso in sesto, così sono riuscita a fare il passo per la separazione. Purtroppo ho trovato aiuto nella chiesa solo dopo che io ho deciso con un medico psicologo. Prima i preti mi dicevano di portare pazienza. Adesso ho trovato sacerdoti che sanno guardare la realtà della vita soprattutto guardando il rispetto e la dignità della persona. Per il mio futuro mi impegno innanzitutto a crescere meglio possibile i miei figli, dando loro la possibilità di studiare fino all’Università secondo le loro aspirazioni; hanno già sofferto molto e spero di non vederli più soffrire. Adesso sono sereni e questo fa stare bene anche me, almeno fino a quando non cammineranno da soli nella loro vita. Un giorno spero di incontrare un compagno con il quale condividere tranquillamente le mie giornate, mi piacerebbe moltissimo viaggiare. Chissà! Ringrazio con tutta me stessa i conduttori del gruppo... ! avete dato una mano a Dio a manifestarsi come realmente E’! Un grande abbraccio” Ag. “La mia partecipazione a questo gruppo si è rivelata molto positiva. Ho trovato giovamento sia per un fattore psicologico sia nel comportamento mio con i miei figli e la mia ex moglie. Positivo anche il rapporto avuto con gli altri del gruppo, che con le loro esperienze mi hanno fatto maturare e non chiudermi nel mio stato depressivo. Ringrazio tutti specialmente i facilitatori ... Grazie a tutti, un altro anno con il gruppo mi darà ancora più sicurezza “ 26 R. “E’ un incontro di persone che stanno attraversando un periodo “buio” della propria vita, dove si possono trovare delle risposte e trovare un aiuto per vivere o vedere la propria situazione sotto un’altra prospettiva. Condividere insieme questo momento vuol dire non sentirsi soli ma compresi senza giudizi, e magari leggere tra le righe che puoi farcela usando la propria forza che sembra mancare ma che è già dentro in ognuno di noi “ At. “Al termine di questa esperienza voglio ringraziare tutti. In primis i nostri due straordinari promotori e guide. Grazie per averci donato il vostro tempo e la vostra fatica, non solo fisica, che un simile impegno ha richiesto Vi sono grato per la delicatezza e l’umiltà con cui avete guidato i nostri incontri. Ho fatto tesoro della vostra esperienza professionale e umana, ma quello che sicuramente mi porterò nel cuore è il vostro amore per dei fratelli in difficoltà e l’amore per quella culla della pace che è la famiglia. E infine, grazie a tutti voi, anime altrettanto belle e ricche di vera umanità. Non ci ha fatto incontrare la passione per il golf o il tifo per una squadra, ma il desiderio di capire, di capire cosa stiamo vivendo capire come possiamo amare ed essere amati. E’ il desiderio che, spesso inconsapevolmente, ha tutta l’umanità ma noi se siamo qui è perché siamo chiamati a un amore più grande e questa stanza è il posto giusto per ricominciare. Appeso qui c’è un Gesù crocifisso al quale abbiamo aperto il cuore, offriamo a Lui le nostre difficoltà, le nostre quotidiane contrarietà, le nostre lacrime. Si muteranno in gioia quando avremmo fatto l’esperienza dell’immenso Amore che lui ha per noi e per tutti i fratelli. Spero di poter continuare questo cammino insieme a tutti voi e al Signore e Lui che è l’Amore ci doni la sua pace. Vi abbraccio tutti ciao”. 7. ALTRI PERCORSI DI CONDIVISIONE a) La mediazione familiare La mediazione familiare è un percorso di aiuto alla famiglia prima, durante e dopo la separazione o il divorzio, che ha come obiettivo quello di offrire agli ex coniugi un contesto strutturato e protetto, in autonomia dall’ambiente giudiziario, dove poter raggiungere accordi concreti e duraturi su alcune decisioni, come l’affidamento e l’educazione dei minori, i periodi di visita del genitore non convivente, la gestione del tempo libero, la divisione dei beni. L’intervento viene effettuato con entrambi i partner e, quando il mediatore lo ritenga necessario, anche con i figli, riconoscendo il ruolo attivo che essi svolgono all’interno della dinamica familiare. Il fulcro di ogni processo di mediazione è lo spostamento delle persone da una contrapposizione di posizioni a una collaborazione per generare risposte efficaci per la soluzione di un problema. Per effettuare questo spostamento occorre superare le posizioni iniziali e iniziare un percorso di analisi degli interessi. È solo dall’identificazione delle esigenze, dei bisogni che sono sottesi 27 alle posizioni che si può identificare un problema a cui cercare una risposta. E’ un percorso che si struttura in varie tappe e il tutto deve essere svolto in un tempo definito (10 -14 incontri, in un lavoro che dura circa tre-sei mesi). Il mediatore familiare lavora per favorire la riorganizzazione delle relazioni familiari: la famiglia è in un momento di crisi in cui effettivamente alcuni legami si rompono, altri si creano, ma il legame genitoriale durerà sempre. Proprio per conservare integro questo legame bisogna aiutare i membri della coppia ad affrontare la faticosa impresa di scindere il ruolo di coniuge da quello genitoriale, trovando delle modalità e degli accordi affinché questo ruolo venga esercitato nel miglior modo possibile. Per far questo occorre che il mediatore sia capace di mantenere sempre al centro dell’interesse i figli con i loro bisogni, anche se questi ultimi non possono essere disgiunti da quelli dei loro genitori. Per compiere un percorso di mediazione è necessario che la coppia abbia già preso la decisione di separarsi e che si siano mossi in tal senso. I colloqui prevedono la costante presenza di entrambi i membri della coppia e del mediatore. Il mediatore si pone in una posizione di neutralità o, meglio, di equidistanza da entrambi i genitori, deve essere capace di empatia con l’uno e con l’altro in modo da riportare equilibrio ogni volta che una parte tenta di sovrastare l’altra, scardinando il clima di contrapposizione e di disputa. La mediazione familiare non può essere coatta, può essere suggerita, consigliata e le persone devono potersi rivolgere liberamente alla mediazione. Il mediatore familiare è tenuto al segreto professionale. Egli non può testimoniare in tribunale rispetto alle informazioni ottenute dall’uno o dall’altro membro della coppia Non è tenuto a dare informazioni sull’esito della mediazione né agli avvocati né tantomeno al giudice. Egli opera affinché i partner elaborino in prima persona una soddisfacente soluzione per sé e per i propri figli, partendo dal presupposto che nessuno meglio dei genitori può sapere quel che è bene per i propri figli. Tuttavia, quando si è travolti da sentimenti di rabbia, disperazione, impotenza, è difficile vedere una soluzione positiva. Il mediatore deve allora far emergere, dietro la corazza delle posizioni, la dimensione di bisogno e di desiderio, che permetta ai genitori di confrontarsi sul futuro dei loro figli permettendo di giungere a delle concrete soluzioni. Quali sono, allora, i vantaggi della mediazione? Aiuta a superare la logica di un vincente e di un perdente; fa riscoprire le proprie risorse e acquisire stima di sé; procura un’atmosfera positiva di discussione di cui beneficiano i figli; riduce i rischi di vedere i genitori utilizzare i figli come moneta di scambio nel corso della negoziazione a seguito della 28 separazione; riduce l’ansia di fronte all’ignoto assicurando alla coppia il controllo del proprio avvenire; permette di restituire ai genitori le decisioni riguardanti i loro figli e il loro avvenire. Procura, infine, un’intesa adatta ai bisogni specifici di ogni famiglia e mette basi positive se nel futuro gli accordi dovessero essere rivisti. Il valore della mediazione familiare sta quindi nel fatto che dà fiducia ai genitori, riconoscendoli capaci di occuparsi in prima persona dei loro figli, restando protagonisti e responsabili delle scelte relative alla loro famiglia. Permette di mantenere vivi i legami dopo la separazione in un clima di reciproco rispetto e, infine, rappresenta un’occasione positiva di diffusione di una cultura della responsabilizzazione della famiglia anche nei momenti di crisi. Per concludere. si può affermare che la mediazione familiare e’ utile in tutte le fasi del processo di separazione, anche se è opportuno che venga utilizzata il più precocemente possibile. Essa non ha lo scopo di eliminare il conflitto e di negare i motivi di rabbia o le cause della sofferenza, ma di accompagnare le persone in un difficile passaggio fornendo loro un luogo ed un tempo dove sia possibile preservare quello che di positivo è stato distribuito nel legame tra i membri della famiglia e valorizzare le competenze genitoriali. E’ quindi un percorso di prevenzione per il presente e futuro benessere dei figli. b) I gruppi di parola La mediazione familiare è un percorso focalizzato, prima di tutto, sulla coppia genitoriale, in una delicata fase di transizione della vita famigliare, oltre che sui legami e i rapporti intergenerazionali. Accade, sovente, che i genitori che intraprendono un percorso di mediazione familiare, chiedano aiuto su come e quando parlare ai figli della separazione, quali parole usare, quanto addentrarsi nelle spiegazioni, come proteggerli dalle sofferenze, come affrontare con loro i cambiamenti. Chi accompagna le persone in situazione di separazione e divorzio è messo spesso a confronto con queste richieste, più o meno esplicite: ci si interroga di continuo sull’opportunità che il mediatore possa incontrare i figli (bambini o adolescenti) all’interno del percorso di mediazione e su come sia appropriato realizzare questo incontro e questo tipo di ascolto. Il mediatore pondera, a seconda delle circostanze e degli obiettivi (oltre che del proprio modello di formazione), l’opportunità o meno di coinvolgere i figli in tale percorso, con tutte le attenzioni del caso. Vi sono situazioni particolarmente “a rischio” per i figli, laddove rimangono “incastrati” nei conflitti degli adulti, nei loro silenzi carichi di tristezza, rabbia, confusione; non riescono spesso a decifrare i comportamenti dei genitori che costituiscono, per i figli (e dovrebbero continuare a costituire), la fonte primaria di sicurezza, attaccamento e amore, indispensabili per una crescita serena ed 29 equilibrata. Ci sono, ancora, situazioni in cui gli stessi adulti sono in una condizione di grande sofferenza emotiva e psicologica, oppure vivono in uno stato depressivo o ansioso, tanto da non riuscire, in questa fase, a trasmettere la calma sufficiente per affrontare i mutamenti in atto, caricando i figli, seppur involontariamente, di sofferenze e frustrazioni. E’ proprio in tutti questi contesti che si profila l’importanza di proporre un “contenitore” sufficientemente sicuro che permetta di incontrare, accogliere ed ascoltare bambini e ragazzi che stanno, a loro volta, vivendo la separazione dei genitori. Tali “contenitori” sono chiamati Gruppi di Parola. Cos’è un Gruppo di Parola? È un luogo con caratteristiche idonee per lo scambio e il sostegno di bambini e ragazzi i cui genitori sono separati o divorziati. Si offre uno spazio ed un tempo definito in cui possono esprimere la loro rabbia e il loro dolore, mettere parola a sentimenti, inquietudini, paure, confrontandosi con altri coetanei cui è capitata una vicenda simile e rendersi conto che la divisione di mamma e papà è un percorso lungo e complesso, che fa soffrire ma del quale si può parlare e che soprattutto può essere superato riconquistando la serenità. In questo spazio i bambini raccontano liberamente cosa sanno della separazione, come si difendono e come affrontano le conseguenze. Escono dall’isolamento e trovano una rete di scambio e sostegno tra pari. All’interno del gruppo, attraverso stimoli opportunamente predisposti dai conduttori del gruppo (uno oppure due), i bambini possono esprimere emozioni, difficoltà, ragionamenti, timori che stanno vivendo, con la parola, il disegno, la scrittura, la lettura e i giochi di ruolo; possono porre delle domande e ricevere risposte, conferme, informazioni. Innanzitutto il conduttore (o i conduttori, che sono professionisti esperti di famiglie separate e/o ricostituite opportunamente formati) organizza la composizione del gruppo, non senza prima aver ricevuto il consenso da entrambi i genitori. Ogni gruppo è costituito da un minimo di 4 ad un massimo di 8 o 10 bambini (a seconda del numero dei conduttori). I bambini devono essere in età scolare, poiché devono saper leggere e scrivere, per poter partecipare alle attività proposte. Non ci possono essere più di due fratelli in ogni gruppo. La suddivisione dei bambini e ragazzi partecipanti al gruppo avviene per fascia di età, dai 6 agli 11 anni oppure dagli 11 ai 14 anni. Gli incontri sono quattro, a cadenza settimanale, di due ore ciascuno. Il percorso coinvolge direttamente anche i genitori, ai quali è dedicato un tempo nell’ultimo incontro per uno scambio tra genitori e figli e alla fine del percorso, se lo desiderano possono avere un colloquio individuale con il conduttore/i del Gruppo di Parola. Gli incontri avvengono in una stanza accogliente che disponga di sedie, tavoli, tappeti, cuscini, materiale vario di cancelleria, libri per bambini. Gli obiettivi e le finalità più importanti di questi gruppi sono: 30 abbattere il muro dell’isolamento, favorendo un contatto con altri bambini che vivono o che hanno vissuto la separazione dei loro genitori; permettere al bambino di avere uno spazio per imparare a riconoscere le proprie sensazioni e ad esprimere le proprie emozioni per poterle affrontare più adeguatamente; permettere al bambino di informarsi per capire meglio quanto accade e di imparare a liberarsi dalle conflittualità in cui si può venire a trovare; diminuire i propri timori di fronte ai sensi di colpa e di responsabilità correlati alla separazione; sostenere il bambino nelle tappe del cambiamento; favorire quei meccanismi che consentono al bambino una maggior adattabilità al suo vissuto aiutandolo a trovare delle risorse e invitandolo ad un maggiore dialogo con i genitori e con gli adulti che lo circondano. La diffusione e l’adesione sempre maggiore ai Gruppi di Parola è motivo costante di riflessione. La Parola ci fonda come soggetti fin dalla nascita. Dare un nome a un bambino è consegnargli un’identità. Perciò, riconoscere, comprendere e nominare ciò che avviene intorno a sé, a partire dall’ambiente famiglia, è un passaggio cruciale per la sua crescita, diventa un modello per il suo progettarsi come persona ed il suo modo di vivere le relazioni. Nel Gruppo di Parola i bambini vivono un’esperienza comune, una storia unica. Alcuni non hanno voglia di parlare di separazione, ma ascoltano bambini che raccontano la propria storia. Hanno la possibilità, in gruppo, di trovare insieme le parole che mancavano, di elaborare insieme strategie per sentirsi meno soli, meno tristi; si sostengono a vicenda, ridimensionando i sensi di colpa e le paure legate alla quotidianità. Possono parlare a ruota libera di argomenti su cui spesso vengono tacciati (la speranza che i genitori tornino insieme, i dubbi che i genitori pensino più ai nuovi fidanzati che a loro, il timore di non essere abbastanza leali con il genitore non convivente ecc.) E’ importante che i bambini possano parlare. Il bambino ascoltato è riconosciuto: gli permette di scaricare il peso che porta sulle spalle, ridurre gli ambiti di preoccupazione, gestire meglio emozioni ed eventuali ansie. La “confidenzialità” è una regola all’interno del gruppo; i bambini sanno che non devono svelare i segreti degli altri bambini, non devono ridere delle parole dette dagli altri, si ascolta quando gli altri parlano. I Gruppi di Parola sono gruppi di sostegno e scambio e non di psicoterapia; essi possono essere annoverati negli interventi di prevenzione: sono strumenti di prevenzione al disagio psicosociale, in un lavoro di riorganizzazione dei legami, poiché fanno leva, prima di tutto, sulle potenzialità insite nella socializzazione e nel senso di appartenenza al gruppo di pari. 31 Nel gruppo, infatti, i bambini possono vivere un’esperienza emotiva che modifica, consolida e rafforza funzioni del sè: il controllo delle emozioni e le capacità di adattamento migliorano. Il Gruppo permette, infine, di sviluppare un’azione comune per agire sulla realtà piuttosto che subirla, ogni membro del gruppo sente di aver bisogno dell’altro per raggiungere gli obiettivi. Queste dinamiche sono analoghe, con le dovute proporzioni, a quanto si è già detto del gruppo di condivisione per gli adulti: il gruppo, infatti, diventa “terzo” e permette di mettere della distanza con la propria storia. L’operatore, oltre a condurre gli incontri, cerca di stimolare i bambini ed i ragazzi con spunti semplici e chiari, utilizzando metafore e giochi che attirino l’interesse dei partecipanti (l’uso della scatola dei segreti, il racconto da finire, il disegno da completare, la lettera ai genitori…) garantendo la riservatezza, talvolta l’anonimato, in modo che davvero i ragazzi possano esprimere ciò che provano e che vorrebbero dire riguardo un evento difficile da accettare, da capire, da elaborare; deve incoraggiare le competenze dei bambini, quelle dei genitori e delle persone del loro ambiente di riferimento; deve ricercare le risorse interne ed esterne sulle quali il bambino può contare, può appoggiarsi, capire con chi sono in relazione, avere un ruolo di facilitatore o di protezione, senza scivolare su livelli interpretativi o giudicanti. 8. CONCLUSIONI Le esperienze dei gruppi di condivisione condotte in questi anni a Verona, supportate da un ampia bibliografia, hanno dimostrato che i gruppi possono essere luoghi dove le battaglie, le guerre e le ferite vengono condivise. Questo attenua la rabbia, l’aggressività, fa sentire meno soli, dà un senso e un significato al dolore e aiuta a ricostruire, a progettare. Per tutti ma, soprattutto, per i credenti il fallimento del proprio matrimonio, con conseguente separazione o divorzio, è un dramma in quanto all’aspetto umano si aggiunge quello spirituale, con il forte rischio di venirsi a trovare davanti ad una Chiesa e ad una società che rischiano di essere “più giudicanti” che “accoglienti”. I Gruppi di condivisione, insieme ad altre esperienze di accoglienza e ascolto, come la mediazione familiare e i gruppi di parola possono essere una “buona prassi” per dare alle persone coinvolte in questi situazioni motivi di speranza. Queste tecniche fanno entrare in una filosofia di vita che aiuta ad affrontare la conflittualità quotidiana non in un’ottica di prevaricazione sull’altro (“ho ragione io!”), ma in un’ottica di comprensione e accoglienza dell’altro come persona con la sua storia e le sue motivazioni. È, in definitiva, un pensiero che aiuta a guardare al mondo non come “campo di battaglia” ma come un possibile “campo di pace”. 32 Certo, le tecniche si possono migliorare, ci sono senz’altro spazi che ancora devono essere sviluppati, approfonditi, ampliati, ma il punto di partenza, ovvero la mano accogliente con cui sono state aperte le porte agli amici del gruppo, può diventare contagioso: come le chiusure generano altre chiusure, così le aperture creano passaggi, ponti, spazi aperti che, a loro volta, suscitano calore, fiducia, speranza! Qualsiasi percorso, compreso quello di fede, se intrapreso con profondità e impegno è faticoso: se fatto insieme, in una Chiesa che cammina insieme, ogni persona riesce a trovare il senso e la forza per raggiungere mete importanti, anche quella di “trasmettere il valore famiglia” alle giovani generazioni, nonostante tutto. 9. BIBLIOGRAFIA a) Separazione e divorzio Andolfi M., Manuale di psicologia relazionale. La dimensione familiare,ed. Accademia di Psicoterapia della famiglia, 2003 Atti Convegno Nazionale, Separazioni difficili. Professionalità a confronto nel lavoro con genitori e figli, Verona 5 e 6 novembre 2004 Attili Grazia, Attaccamento e amore, Cosa si nasconde dietro la scelta del partner?, ed. Il Mulino, 2004 Bernardini De Pace A., Simeone A., Figli condivisi. Le nuove regole per conviventi, separati e divorziati: storie futuribili di affidamenti contesi, Sperling & Kupfer Editori, 2006 Berto F., Scalari P., Fili spezzati. 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