Iran, un giro nella valle degli assassini

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Iran, un giro nella valle degli assassini
12 racconti per 12 viaggi
IRAN
E gli saracini di quella contrada
credevano veramente
che quello fosse lo paradiso;
e in questo giardino non entrava
se non colui che egli voleva
fare assassino
Marco Polo, Milione, capitolo 31
Un giro nella Valle
degli Assassini
S
ono andato a fare un giro nella Valle degli Assassini. “Bravo, e
non avevi nient’altro di meglio da fare?” obietterebbe opportunamente l’onnipresente benpensante cultore della sicurezza.
Certamente no, rispondo io, e con fierezza, e non solo a lui,
ma a tutta una immaginaria giuria, e rilancio: giusto il posto, perfetto
il momento. E se volete un colpevole, o signori della corte, prendete
Marco Polo, per cominciare. Da ragazzo, come hanno fatto innumerevoli ragazzi - e non solo - per generazioni, divoravo le pagine del
suo Milione, finché trovai colui che non doveva più lasciarmi, che non
mi ha permesso mai che lo dimenticassi: il Vecchio della Montagna.
Conoscete la storia?
Perché di storia si tratta, e nei due sensi: nel primo, con la “esse”
maiuscola, vale a dire verità, cose realmente accadute, e nel secondo, esagerazioni, abbellimenti, frottole addirittura, se volete, ma tanto
belle. Perché c’è tutto questo, in Marco Polo, e non per mala fede o
voglia di esibirsi abbindolando il prossimo. Marco racconta di tutto,
sapete: quello che vede con i suoi occhi, quello che trova, ma anche
quello che gli narrano, quello che si dice, e tante altre cose. Ve lo immaginate alla sera, nel caravanserraglio, mentre si stringe insieme
agli altri intorno al fuoco, e fuori c’è la notte, il deserto, e la strada ancora da fare, l’ignoto del tempo che verrà...? Quando, attraversando la
Persia, passa vicino alle montagne dell’Elburz, a sud del Mar Caspio,
non uno, ma “più uomini”, gli raccontano di un gran signore dei tempi
che furono, il “vecchio della montagna” , che in quella regione aveva
un castello imprendibile che difendeva l’ingresso di un meraviglioso
giardino che lui stesso aveva creato, con all’interno alberi con ogni
tipo di frutta, e ruscelli artificiali, alcuni con acqua, altri con miele,
altri ancora con vino.
Castello di Shahrak
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cede con il primo Vecchio, e ce ne sono otto, di Vecchi, una
dinastia vera e propria, che dura 166 anni, dal 1090 al 1256.
Beghe interne tra feudatari locali, regolamenti di conti fra
sette religiose? No, signori della giuria, bensì politica internazionale e, naturalmente, risvolti economici: siamo su una
delle grandi rotte carovaniere, una delle arterie attraverso
le quali l’Asia ha comunicato e commerciato per secoli, e i
Vecchi si sono dedicati a fortificarsi sulle montagne non solo
in Iran, ma anche in Siria, e senza il loro permesso, da quelle
parti non si passa. Ma chi sono?
Ve lo racconto, ma mentre entro nella valle dove è iniziato
tutto, per poi salire, toccare, andare a vedere con i miei occhi. Parto da Qazvin, alle 8 del mattino, con l’autista Amin
e il suo furgoncino, la strada è ottima ma tutta curve, si va
in montagna: dopo neanche un’ora l’altimetro segna 2300
metri, e sotto di noi la valle dello Shah Ruud è infagottata
da nuvole come nelle fiabe avviene per le terre misteriose,
e magari cattive. Ma presto se ne vanno, e quando scendiamo per attraversare il fiume la luce è abbagliante, e forte è
il profumo dell’erba e dei fiori, ed ecco che a una svolta la
vedo, e posso pure dar ragione ad Ala-ad-Din Juvaini, persiano del XIII secolo, di professione letterato: “Alamut è una
montagna che assomiglia a un cammello inginocchiato, con
il collo appoggiato al suolo.” C’è un sentiero erto, e ancora
ampio, e quello l’ho già superato di slancio, con gli occhi fissi
su questa rupe favolosa, da lontano sembrava liscia come
una lavagna, e anche il colore ci assomiglia un po’, ma ecco
che cominciano i gradini, a allora mi do una calmata. Tanto
Alamut non scappa, è qui, finalmente! Se ad ovest la parete è liscia, un baluardo di 180 metri, a est la conformazione
del terreno permette di salire, ma in un passaggio sempre
più stretto ed obbligato, intagliato nella roccia che ora vedo
bene: è puddinga, o più modernamente, conglomerato, una
miscellanea detritica molto discontinua e friabile, qui arrampicarsi è puro suicidio.
Oasi di Alamut
E poi, le donne. Sì, fanciulle bellissime e dai modi incantevoli, e che sapevano cantare, suonare, ballare. Insomma, il
paradiso, il paradiso islamico realizzato sulla terra.
Anzi, se andate a leggere il Corano, o signori della giuria,
troverete che in molti capitoli del Sacro Libro dell’Islam si
parla del paradiso, ma in forma molto poetica e incline al misticismo, in punta di penna, poco concedendo alla descrizione:
il nostro Marco, invece, ci racconta di giovani vigorosi rapiti
per ordine del Vecchio, drogati con l’oppio, portati nel giardino
dove, al risveglio, sono circondati da tutti i piaceri del paradiso. Tutto quello che può lusingare i sensi è per loro, anche
il tempo sembra essere al servizio della bellezza e di tutti
i godimenti immaginabili. Ma viene il giorno in cui il Vecchio presenta il conto: uno dei giovanotti si riveglia - sempre
complice l’oppio - fuori dal giardino, e c’è lui, il padrone del
paradiso, che si presenta come un gran capo religioso dal
potere di far assaggiare il paradiso e di farvi anche ritornare
i suoi obbedienti fedeli.
Il prezzo per il definitivo ritorno in paradiso è una missione e, come si può immaginare, di quelle di sola andata: l’omicidio di una persona eccellente, di quelle potenti e sotto
scorta. Dal suo inaccessibile castello, il Vecchio commina
sentenze di morte a distanza, che il più delle volte vengono
eseguite. Non ci credete? Certo, il paradiso era tarocco, ma
le morti proprio no, ce lo conferma la Storia, quella con la
“esse” maiuscola: il 14 Ottobre 1092, mentre sta viaggiando
sulla sua portantina da Isfahan a Baghdad, viene pugnalato
a morte Nizam al-Mulk, primo ministro del re selgiuchide
Malik Shah I. L’assassino ha ingannato la scorta travestendosi da derviscio, cioé da sant’uomo islamico dedito all’ascesi, alla preghiera, alla poesia.
Una cinquantina di altri personaggi ci lasciano la pelle negli
anni seguenti, ma attenzione: questo è solo quello che suc-
Come doveva essere salire al castello di Alamut senza essere
invitati: un gioco al bersaglio molto facile anche per arcieri mediocri, e non pare proprio, leggendo le testimonianze
storiche, che i Vecchi della Montagna fossero di bocca buona nella scelta dei loro uomini. Quando sono a metà altezza
della rupe, ecco i resti di una porta fortificata e, se guardo
a destra e alle mie spalle, vedo da dove gli arcieri potevano ancora prendermi di mira. Continuo a salire, un gradino
dopo l’altro - saranno trecento ma, chiedo scusa, o signori
della giuria, non li ho contati, sapete, l’emozione - e adesso, proprio di fronte a me, la montagna è bucata. No, non
è un espediente letterario, e potete anche chiudere il libro
di Marco Polo, ora non serve più. Hanno bucato la rupe da
parte a parte, da est a ovest, per vedere meglio la valle, e
creare una postazione in più per le sentinelle. E non siamo
ancora in cima: poco oltre gli archeologi hanno appoggiato
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alla vetta della rupe una scala per superare l’ultimo tratto, e
mentre salgo vedo che la montagna di roccia traditrice diventa muratura, e poi palazzo, e poi colonne di una moschea che
emerge dalla penombra di una cavità, ed ecco, siamo alle
soglie del palazzo del terribile Vecchio. Per meglio dire, di ciò
che ne rimane. Nel 1256 i Mongoli di Hulagu passarono di qui
come un rullo compressore, e nel Dicembre 1256 Alamut e il
potere dei Vecchi cessarono di esistere, per opera di “uomini
che consideravano l’avversità una piacevole bevanda, e che
non si curavano della sofferenza”, scrive al-Juvaini.
Ora sono sulla cima, che è come una terrazza intorno alla
quale gli occhi incontrano solo il vuoto. E capisco il nome.
“Alamut” significherebbe “il nido dell’aquila” o anche “l’insegnamento dell’aquila”. Immagino l’intelligenza acutissima,
e la forza carismatica che dovevano essere possedute dal
primo Vecchio, Hassan al-Sabbah, un capo religioso Ismailita – una branca nata dagli Sciiti che i Sunniti considerano
eretica - che, da ricercato in fuga e senza mezzi, in pochi
anni fa tanti proseliti con la sua predicazione, capisce il valore
di questo nido d’aquila, e concepisce un piano audace quanto
crudele, ma vincente per più di un secolo e mezzo.
Chi è perseguitato perché in minoranza, e ribelle, ha un’arma efficacissima che fa dimenticare la sua presunta debolezza: la paura. Gli Ismaeliti erano pochi, non potevano
mettere un esercito in campo, sarebbero stati spazzati via;
ma castelli su queste montagne sì, li potevano difendere,
e i potenti della terra , da allora, seppero che la morte li
poteva raggiungere persino nel loro letto, con una lama
comandata da quassù. Da qui venne ordinata la morte di
Raimondo II, Conte di Tripoli, valoroso combattente Crociato e primo cristiano a soccombere ai sicari del Vecchio,
era l’anno 1152; poi troviamo un altro cadavere ancor più
famoso, Corrado del Monferrato: il 22 Aprile 1192 gli comunicano che sarà incoronato Re di Gerusalemme, il 28
dello stesso mese viene massacrato nel cortile del suo
castello a Tiro, e mentre si trova in mezzo ai suoi uomini.
Chi non conosce Saladino ? Quello che nel 1187 butta fuori
i Crociati da Gerusalemme, avete presente, o giurati ? Ebbene, nel 1176 va ad assediare il castello siriano di Masyaf,
dove risiede Rashid ad-Din Sinan, un luogotenente del
quarto Vecchio, al quale evidentemente, in fondo, Saladino
deve riuscire simpatico. Nella notte del 22 Maggio, Saladino
si sveglia nella sua tenda, al centro del campo, e trova due
focacce ancora calde, non certo portate dal suo scudiero,
e conficcato in esse con un pugnale c’è un messaggio, che
lo invita cortesemente - per il suo stesso bene - a togliere l’assedio. E Saladino, capita l’antifona, se ne va. E fa
bene, perché addirittura anche due califfi di Baghdad ci
hanno già lasciato la pelle: Al-Mustarshid nel 1135, e il
suo successore Al-Rashid nel 1138. Insomma: se non vai
d’accordo con il Vecchio della Montagna, non pagano i tuoi
soldati e i suoi morendo sul campo di battaglia, ma paghi
tu con la tua vita, non importa chi sei o quanto sei protetto.
“E il paradiso? Insomma, l’hai trovato il giardino del paradiso?” mi chiede un sospettoso.
No, quassù non c’è di sicuro lo spazio per quello che racconta Marco Polo, che cosa crescerebbe su questa roccia
scabra? Ma c’è qualcosa di ben più vitale per una fortezza:
quattro vasche piene d’acqua, perfettamente coibentate.
Affacciandomi dallo spigolo nord della rupe, che qui sembra
la prua di una nave, vedo sotto di me, a lato di un villaggio,
un’oasi, sì: è una macchia di verde denso e rigoglioso.
A proposito, Hassan al-Sabbah promosse la costruzione di
canali per aumentare la produzione agricola in queste terre, che diventarono tutte
suoi feudi; e più terra produttiva, non vuol
forse dire più cibo e non solo per gli abitanti, ma anche per chi doveva difendere i
castelli durante gli assedi? Sappiamo che
era versato in varie branche del sapere, e
che nutriva un amore viscerale per i libri,
che faceva ricercare, copiare, acquistare
anche da molto lontano, e senza badare
a spese. Un intellettuale, insomma, come
furono tutti i Vecchi, e la biblioteca di Alamut, una generazione dopo l’altra, divenne uno scrigno di sapere inestimabile.
Questo si sa per testimonianze oculari di
quei tempi, rese anche da detrattori degli
Ismaeliti.
“Ma se drogavano la gente! E l’oppio, dove
lo mettiamo?”
No, severi signori della giuria, aspettate:
nemmeno i nemici del Vecchio di turno parlano mai di droga, e la cosa pare
sia nata grazie a uno storico arabo, Abu
Shams, che raccolse la battuta detta nel
1122 dal Califfo Fatimide al-Amir a proposito degli Ismaeliti Siriani, che lui disprezzava: li chiamò “hashishi”, vale a
dire marmaglia di invasati, fanatici. Non
li accusò apertamente di drogarsi, e del
resto, ve li immaginate voi degli allucinati,
in preda a qualche sostanza stupefacente,
concepire e realizzare piani audacissimi quanto ingegnosi? Ci vuole gente fredda, addestrata, il coraggio sino alla follìa non basta quando bisogna superare una scorta, e penetrare nei luoghi più difesi senza suscitare il minimo sospetto. Il nome sì, quello appiccicato
con disinvoltura dal Califfo, è rimasto: e “assassini” da allora, si dice ancora.
Scendo a fatica da Alamut, e non parlo del caldo o dei gradini, ma della sua bellezza, di
questa visione aerea che mi risucchia e mi invita a restare. C’è il resto della valle da vedere,
e alla fine corro a cercare il furgoncino, ma dov’è Amin? Sento che mi chiama, è all’ombra dell’oasi, e mi fa grandi cenni con aria allegra. Ai suoi piedi, oscilla dolcemente nella
corrente di un piccolo canale di irrigazione un giallo melone cantalupo, che ora mangiamo
insieme, e mai, vi assicuro, ne ho assaggiati di così buoni.
La giornata è diventata caldissima, ma l’acqua è molto fredda, perfetta per il melone che...
ma come, è già finito? Amin ne ha preso metà, e vedo che lo sta offrendo a un apicoltore
che, poco più in là, sta smielando alcuni alveari. Una bella contrattazione con sfoggio di
eloquenza, nel più puro stile persiano, ed ecco che il melone aiuta Amin a spuntare un
buon prezzo per un tipo di miele del quale si dicono meraviglie, e lui mi strizza l’occhio con
complicità.
Bene, non ci sarà il paradiso, ma il miele e la frutta sì, ed eccellenti! Forza Amin, metti in
moto, andiamo a cercare Maymundiz, un altro castello!
Risaie lungo il corso del fiume Shah Ruud
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Maymundiz sembra però protetto dal mistero, e dopo molto
domandare e girovagare, alla fine Amin mi lascia all’inizio di
una mulattiera impossibile per il suo furgoncino, e salgo a
piedi, accelerando via via perché il tempo incalza, di ore di
luce ne sono rimaste poche. Un corridoio di ciliegi fitti fitti,
carichi di frutti acerbi, e siamo in Giugno, mi regala un’ombra – questa sì – da paradiso, ma dopo duecento passi finisce, e mi trovo al cospetto di una montagna spettacolare
anzi, impossibile, una allucinazione: perché quello che vedo
è un frammento di Dolomiti, stesso colore, stesse spavalde,
bellissime pareti. E il sentiero che continua a salire, spietato, sotto il sole. “Maymundiz ? Maymundiz, eh!!” mi dice un
pastore, e poi scrolla la testa, mi guarda come fossi matto,
gesticola come a dire che è irraggiungibile, che non ce la farò
mai, che peccato non parlare persiano! E alla fine, prendo
una decisione: se insisto qui, non arriverò mai all’eroico castello di Lambsar prima del tramonto, e anche lassù bisogna
salire una montagna, e non voglio assolutamente perderlo.
Via, indietro, rotolo a valle, e ritrovo Amin che banchetta con
un cesto di ciliegie, queste però belle grandi, e mature, e
dolcissime. Sotto Lambsar la valle è molto ampia, lungo lo
Shah Ruud – e mi stropiccio gli occhi, sì, è vero quello che
vedo – stanno coltivando risaie, ce ne sono tante, e uomini
al lavoro, sembra un pezzetto di Vietnam. Ma basta salire un
poco di quota, oltre i canali fatti dall’uomo, che questa roccia
arcigna fa la steppa, e poi il deserto. Lambsar ha resistito
un anno all’assedio dei Mongoli, che non erano certo di passaggio per fare un pic-nic, qui ci si erano incattiviti proprio.
Perché a Lambsar, signori miei, se eri il nemico, crepavi
prima ancora di arrivare a vederlo, il castello. Il lato ovest
è come abbracciato, protetto dalla montagna, il lato est
confina con un baratro franoso, l’unico accesso era una
collezione di rupi, pendii, svolte a gomito nella roccia viva,
un labirinto della morte su cui le macchine d’assedio nulla
potevano perché non puoi fare la guerra a un intero monte,
Un viaggio in Armenia e Iran
con Paolo Ghirelli
nemmeno se sei Mongolo. Anche qui, un paradiso, ma per
gli arcieri difensori. Il castello lo vedi all’ultimo momento, a
una svolta: sarà perché sono solo, il sole tramonta, l’unica
voce è quella del vento, ma trovo che assomigli a un teschio
che mi fissa, con quelle cavità tenebrose che un tempo furono finestre, e porta. Dentro, signori della giuria, non c’è
niente, a parte il silenzio protetto da mura spesse più di un
metro. In questo castello, che era la montagna intera, gli
Assassini respinsero, fieri, ogni offerta di aver la vita salva,
ogni ordine dell’ultimo Vecchio, già in balìa dei Mongoli, ogni
minaccia di massacri: furono vinti, però, da un nemico che
la loro montagna non fermò, il colera.
Nel 1257, un anno dopo la resa di Maymundiz e di Alamut, i
Mongoli riuscirono a penetrare all’interno, dove già regnava
la morte. E anche Lambsar diventò un deserto di rovine.
Il sole tramonta, e saluto gli Assassini mentre, ai lati del
sentiero e fra i ruderi, appaiono frammenti di vecchissime
ceramiche color cielo, quasi un sussurro dall’aldilà di quella
potenza, di quella bellezza che furono le padrone della valle
e di queste montagne. Ormai resta solo la luce riflessa dal
cielo quando sbuco di nuovo sulla strada, e cerco Amin.. ma
dove sarà finito ? Poi vedo un focherello, giusto dietro a una
roccia, al riparo del vento: e lui è lì, seduto a gambe incrociate su un tappeto, e davanti a lui c’è la teiera, un piattino con
datteri e pistacchi, mi sorride e con gesto quasi sacerdotale
mi invita a sedermi, e mi dice “Agha”.
Ah, i Persiani... che bello quando ti dicono Agha, è come
quando in Argentina ti dicono “caballero”, ed è la stessa
cosa, ti senti un signore dei bei tempi andati, quando un saluto era già un rapporto, una cultura, una storia. Come ai
tempi di Marco Polo...
Allora, signori della giuria, ritornerete con me nella Valle
degli Assassini?
Paolo Ghirelli
PASSAGGIO DA OCCIDENTE
A ORIENTE
Partenze 16 luglio
e 26 settembre 2014
1° giorno - Partenza da Milano per Yerevan con scalo a Vienna. Arrivo nelle prime ore del mattino.
2° giorno - Yerevan, la “città rosa”. Giornata dedicata alla
visita della capitale.
3° giorno - I dintorni di Yerevan: il tempio di Garni e il monastero di Geghard, la cattedrale e le chiese di Etchmiadzin, il tempio di Zvartnots.
4° giorno - Il sud del paese: il monastero di Khor Virap e
la regione vinicola di Areni, il monastero di Noravank e il
monastero di Tatev.
5° giorno - Passaggio del confine con l’Iran. Il monastero armeno di Santo Stefano nella regione dell’Azerbaijan
iraniano.
6° giorno - Visita di Tabriz, capolugo della regione e capitale durante il periodo mongolo. Proseguimento per Zanjan.
7° giorno - Escursione a Sultanieh e visita del mausoleo di
Uljetu. Proseguimento per Qazvin.
8° giorno - Verso Alamut, la culla della Setta degli Assassini. Pernottamento in campo mobile.
9° giorno - Esplorazione della Valle degli Assassini e proseguimento per Teheran.
10° giorno - I musei della capitale. In serata volo per Shiraz.
11° giorno - Persepolis, la capitale dei re achemenidi, e i
bassorilievi sassanidi di Naqhsh-e-Rostam.
12° giorno - Pasargade e la tomba di Ciro il Grande. Proseguimento per Isfahan.
13° giorno - Isfahan, la “Metà del Mondo”, la città-sogno dell’Islam, capitale dello Scià Abbas.
14° giorno - Continuazione delle visite di Isfahan e dei suoi gioielli architettonici e volo per Teheran.
15° giorno - Partenza da Teheran per Milano via Francoforte.
Per viaggiare ancora con PAOLO
NEPAL - In Nepal quando è verde: la valle, il lago e la foresta - 28 ottobre 2013
Nato a Sanremo (Imperia) il 3 maggio 1957 e laureato in filosofia. Come rappresentante
del Museo “G. Cortesi” è stato membro delle spedizioni scientifico-alpinistiche che hanno
raggiunto aree himalayane in Ladakh (India) nel 1987, il Tibet nel 1990 e ancora in Ladakh Zanskar nel 1998, e la catena dei Monti Urali nella Siberia occidentale nel 1992. è co-autore
nella stesura dei volumi “Alla ricerca di un oceano scomparso”, “Tethys”, “Ural” e “Sulle
tracce di Cesare Calciati”, editi a Piacenza con i risultati delle spedizioni. Socio fondatore dell’Associazione Archeologica “Malena” a Piacenza nel 1996, ha partecipato ad alcuni
scavi archeologici e paleontologici nel territorio piacentino. Ha frequentato il corso di archeologia subacquea ad
Ustica organizzato da “Archeologia Viva” nel Settembre 1997: “Tecnica di scavo subacqueo”. Specializzato in viaggi
culturali, dal 2004 con Kel 12 come accompagnatore.
INDIA - Le vie d’acqua del Gange, l’India buddhista e la
fiera di Sonepur - 10 novembre 2013
GIORDANIA E ISRAELE - Petra e Gerusalemme, antiche
sacre meraviglie; Tel Aviv, bellezza e modernità on the beach! - 26 dicembre 2013
COLOMBIA - Riscopriamo la terra di Colombo - 25 gennaio 2014
EGITTO - La valle delle balene e la grotta di Rohlfs - 14
febbraio 2014
NICARAGUA, HONDURAS, EL SALVADOR, GUATEMALA Mosaico centroamericano - 19 aprile 2014
BOLIVIA E CILE - Toccando il cielo - 10 maggio 2014
PERù - Perù in occasione dell’Inti Raymi - 13 giugno 2014
INDIA - Il Kashmir, la valle dello Zanskar in occasione del
festival di Naros Nasjal e il Ladakh - 3 agosto 2014
CINA - Tesori nascosti - 1 settembre 2014
Per saperne di più www.kel12.com