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r - INRiM
Con l'ausilio della teoria cinetica dei gas e con riferimento all'elemento di superficie immaginaria, la
pressione si può far risalire al trasferimento della quantità di moto tra "porzioni" contigue di gas.
Tabella 1.1
Sviluppo di concetti fisici
Ricercatore ed epoca
Primi studi sul concetto e sulla
misura di pressione
Scuola Galileiana,
XVI secolo (Torricelli, Viviani)
p=f(h) Esperimento del
Puy de Dome
Pascal, 1648
pV=cost
Boyle, 1660
Pressione di un gas è
risultante degli urti
degli atomi e delle molecole
sulle pareti del recipiente
Hooke, fine 1600
primi anni del 1700
Teoria dell’urto delle
particelle che costituiscono
il gas
Bernoulli, prima metà
del 1700
Studi intorno a differenti
“tipi di aria”
Priestley, 1774
Studi sull’aria e sul fuoco
Scheele, 1777
Ipotesi su alcuni componenti
dell’aria
Lavoisier, seconda metà
del 1700
p = ! i pi
Dalton, fine 1700
primi anni del 1800
Volumi uguali di gas,
contengono lo stesso numero
di particelle
Avogadro, prima decade
del 1800
Gli atomi e le molecole che
costituiscono un gas sono in
continuo movimento
Brown, intorno al 1827
Teoria cinetica del gas
(pV=NRT)
Joule, Clausius, Maxwell,
intorno al 1850
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La pressione è una grandezza misurabile in unità coerenti con il Sistema Internazionale di unità di
misura: in newton al metro quadrato, ossia in pascal (simbolo Pa).
Come si vede dalla tabella 1.1 gli studi sulla pressione atmosferica sono piuttosto recenti perché
possono essere fatti risalire alla scuola galileiana, in modo particolare a V.Viviani e a E.Torricelli che
ne fecero le prime determinazioni, intorno al 1643.
Dal punto di vista fisico essa va considerata come un gas ideale1, che ubbidisce quindi alle leggi della
teoria cinetica.
Tale teoria si basa sui due postulati fondamentali:
- le particelle sono in movimento continuo
- la temperatura è una manifestazione di questo movimento.
Per un gas ideale, quindi anche per la nostra atmosfera, valgono i seguenti presupposti:
- il gas consiste di minutissime particelle, atomi e molecole, così piccole e distanziate che il loro
volume è trascurabile in confronto con lo spazio vuoto da cui sono circondate;
- non esistono forze attrattive tra molecole, e quindi queste sono indipendenti le une dalle altre;
- le molecole di un gas sono in continuo movimento rettilineo, rapido e casuale, che le porta a
collidere continuamente tra di loro e contro le pareti del recipiente che le contiene (moto
browniano, da Brown che lo ipotizzò). In ciascun urto non vi è perdita, ma trasferimento di
energia cinetica da una particella all'altra (urto elastico);
- in un dato istante particelle (molecole o atomi) diverse possiedono la stessa energia cinetica;
- l'energia cinetica media di tutte le molecole dipende dalla temperatura assoluta ed è direttamente
proporzionale a questa.
La miglior definizione di gas ideale è quella che afferma esser tale un gas nel quale volume, pressione
e temperatura sono legati dall’equazione di staton pV=NRT (p=pressione, V=volume, R=costante dei
gas, n numero di moli, T=temperatura termodinamica)
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2. Caratteristiche chimiche e fisiche dell'atmosfera
2.1 Composizione chimica
L'atmosfera terrestre, come si è detto, è un inviluppo gassoso tenuto in loco dal campo
gravitazionale terrestre e si estende fino ad altezze difficilmente definibili.
L'atmosfera originaria è andata quasi totalmente perduta e lo strato attuale di gas è generato da un
fenomeno secondario che presenta variazioni continue dovute a vari fenomeni naturali e all'intervento
dell'uomo.
L'aria è una miscela di ossigeno, vapor d'acqua, anidride carbonica, vari altri gas, particelle liquide e
solide sospese; pertanto è un aerosol in cui il miscuglio gassoso è la fase disperdente e le particelle
liquide e solide costituiscono la fase dispersa.
I primi studi sperimentali sulla composizione chimica dell'aria risalgono, in occidente, alla fine del
1700 con le esperienze di Pristley ("Esperimenti e osservazioni su differenti generi di aria"
pubblicato nel 1774), di Scheele ("Trattato sull'aria e sul fuoco" pubblicato nel 1777), e di Lavoisier
che nel 1776 affermò che l'ossigeno è uno dei "principi" dell'aria.
Tuttavia solo verso la fine del XIX secolo si giunse a stabilire che la composizione chimica dell'aria
poteva essere considerata costante su tutta la superficie terrestre e si scoprirono alcuni composti
minori come ossidi di azoto (NOx), ammoniaca (NH3), metano (CH4), perossido di idrogeno
(H2O2), ozono (O3), argo e altri gas inerti. Parallelamente si svolsero le ricerche sulla composizione
dell'atmosfera a diverse altezze, dato che appariva logico prevedere una certa separazione dei vari
componenti sotto l'azione del campo di gravità della Terra.
Non è del tutto definito a quale livello la separazione gravitazionale dei gas dovrebbe prevalere
sull'effetto di mescolanza per turbolenza e convezione.
Si sa comunque che fino a circa 100 km dalla superficie terrestre il rapporto O2/N2 rimane costante.
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Al di sotto di questa altezza l'ozono, il vapor d'acqua ed altri costituenti minori presentano
variazioni di concentrazione che dipendono dai cambiamenti delle condizioni meteorologiche tra cui
temperatura, pressione, intensità della radiazione solare ecc.
Attualmente i gas che compongono gli strati bassi dell'atmosfera, fino ad un'altezza di (10-15) km,
vengono classificati o come permanenti (a concentrazione praticamente costante) o come variabili. Se
si considera come indice della variabilità di un gas il suo tempo di residenza medio nell'atmosfera si
possono distinguere quattro categorie di gas: molto variabili, variabili, lievemente variabili, costanti.
Nella tabella 2.1 sono riportati i vari componenti della bassa atmosfera e le loro caratteristiche di
permanenza.
Tabella 2.1 Composizione chimica dell’atmosfera
Elemento
Volume (%)
Residenza
azoto
78,10
costante
ossigeno
20,95
costante
argo
9,2x10-1
costante
acqua
2,34x10-3
molto variabile
anidride carbonica
3,3x10-2
variabile
neon
2x10-3
costante
elio
2x10-3
costante
metano
1x10-4
costante
cripto
1x10-4
costante
idrogeno
5x10-4
costante
ozono
5x10-5
molto variabile
ossido di carbonio
1x10-5
variabile
Come si vede dalla tabella 2.1, l'azoto, che è un elemento quasi inerte perché partecipa raramente alle
reazioni, è il maggior costituente dell'atmosfera terrestre.
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Questo elemento subisce continue variazioni regolate dal cosiddetto ciclo dell'azoto: infatti esso
diminuirebbe perché fissato, per esempio, da alcuni microrganismi previa ossidazione o riduzione,
ma viene anche reimmesso nell'atmosfera ad opera di batteri che trasformano i nitrati organici in
azoto gassoso.
L'uomo ha sensibilmente alterato il ciclo dell'azoto privilegiando alcune colture, concimando vaste
zone con fertilizzanti a base di azoto fissato industrialmente, immettendo nell'atmosfera ossidi
derivati dagli scarichi degli autoveicoli, ecc.
L'ossigeno presente per il 21% nell'atmosfera terrestre sotto forma di molecola biatomica (O2) non
era tra i costituenti dell'atmosfera terrestre primordiale, ma è stato originato dalle emissioni
vulcaniche.
Alle elevate altitudini si trova l'ozono (O3), al di sopra di 100 km l'ossigeno atomico, e, ad altitudini
ancora maggiori, si trovano le forme ioniche O+ ,O2+ e O3+ .
Il ciclo della fotosintesi clorofilliana e della respirazione degli organismi viventi provvede a
mantenere nell'atmosfera una concentrazione di ossigeno praticamente costante.
L’uomo, da alcune decine di anni, sta condizionando anche il ciclo dell'ossigeno perché riduce il
manto vegetale per soddisfare i suoi elevati fabbisogni energetici; tuttavia non sembra sia stata ancora
accertata sperimentalmente nessuna variazione significativa del contenuto di ossigeno, forse perché i
meccanismi naturali di compensazione ostacolano un eccessivo allontanamento dalle condizioni di
equilibrio.
Come si è detto, l'ozono si trova ad elevate altitudini; esso si forma ad altezze superiori a 50 km per
azione della luce solare sulle molecole di ossigeno che vengono spezzate.
Gli atomi di ossigeno così formati si combinano con le molecole biatomiche rimaste dando origine
all'ozono. L'ozono è spinto in basso nell'atmosfera per diffusione turbolenta che accompagna il
passaggio di cicloni.
Nella bassa atmosfera l'ozono, anche se presente in piccole quantità, costituisce uno schermo alle
radiazioni solari con lunghezza d'onda inferiore a 0,3 µm (ultravioletto).
Altro costituente fondamentale dell'atmosfera è l'anidride carbonica (CO2). La sua presenza è
essenziale per la sintesi clorofilliana e per il controllo del bilancio termico della Terra, poiché assorbe
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le radiazioni infrarosse emesse dalla superficie terrestre, ed è, in pratica, l'unica sorgente di carbonio
organico.
L'uomo ha spezzato l'equilibrio naturale tra produzione e consumo di anidride carbonica; infatti il
contenuto di CO2 nell'atmosfera è in aumento. Questo incremento provoca di conseguenza un
aumento della temperatura della Terra con il cosiddetto effetto serra.
L'acqua è un componente molto variabile dell'atmosfera, è responsabile dei più importanti fenomeni
meteorologici, distribuisce e regola il calore solare influenzando il clima di molte regioni.
L'acqua lascia l'atmosfera sotto forma di pioggia o di neve e vi ritorna per effetto dell'evaporazione
dei mari e dei fiumi.
Il vapor d'acqua ha un ruolo importante nel bilancio termico tra terra e atmosfera, sia attraverso il
ciclo idrologico (cioè la circolazione di acqua dall'atmosfera agli oceani e viceversa), sia attraverso
l'assorbimento della radiazione infrarossa emessa dalla terra.
L'aria atmosferica non è mai del tutto secca, cioè l'umidità (termine che indica la quantità di vapor
acqueo presente), sebbene sia variabile nel tempo e da luogo a luogo, non è mai nulla. L'umidità viene
misurata in modo assoluto ed in modo relativo.
L'umidità assoluta è la massa di vapore acqueo contenuto nell'unità di volume, mentre l'umidità
relativa esprime il rapporto percentuale tra la quantità di vapore acqueo presente e quello che vi
sarebbe nell'aria satura nelle medesime condizioni di temperatura e pressione.
Già Leonardo, che a sua volta si era ispirato agli studi del Cusano (Nicolò da Cues) e dell'Alberti,
dedicò molti studi alla realizzazione di igroscopi e con la scuola galileiana si costruirono parecchi
strumenti per la misurazione dell'umidità dell'aria; infatti proprio in quell'epoca si cominciò a porre
molta attenzione alla misura, cioè alla quantificazione, di parametri atmosferici atti anche a
consentire studi e previsioni meteorologiche.
Da misurazioni della quantità di vapor d'acqua in funzione della distanza dal suolo si è riscontrata
l'esistenza di uno strato molto secco a circa 15 km.
Questa condizione sembra causata dall'azione delle basse temperature dello strato sottostante
(tropopausa) e dalle correnti di aria. Al di sopra di quel livello si verifica un certo aumento fino a
circa 30 km.
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Oltre tale quota i dati sono piuttosto incerti, ma si sa che una certa quantità di vapor d'acqua è
presente ad una distanza di circa 80 km dalla superficie terrestre.
Si pensa che questo vapor d'acqua sia di origine terrestre e che i processi di scambio verticale siano i
responsabili del trasporto di aria umida verso l'alto.
Altri costituenti dell'atmosfera presenti come tracce sono i gas nobili (elio, neon, argo, cripto e xeno)
e i composti dello zolfo e dell'azoto.
Questi ultimi non sono costituenti normali dell'atmosfera bensì inquinanti prodotti dalle attività
dell'uomo.
Di queste tracce si considerano brevemente solo le più importanti soprattutto dal punto di vista
della contaminazione. Tra i numerosi inquinanti che contengono zolfo si possono citare: anidride
solforosa (SO2), anidride solforica (SO3), idrogeno solforato (H2S) che vengono riversati
nell'atmosfera nei vari processi di combustione usati dall'uomo per produrre energia.
Nell'atmosfera sono presenti anche vari composti dell'azoto tra cui più frequentemente ossidi, quali
il monossido (NO), biossido (NO2), anidride nitrica (N2O5). Essi si formano nella combustione di
sostanze organiche e sono per esempio presenti nei gas di scarico degli autoveicoli.
Anche l'ammoniaca (NH3) si trova nell'atmosfera e proviene da processi di putrefazione o
scomposizione di sostanze organiche.
Il suo carattere inquinante deriva dalla sua capacità di rendere basica l'atmosfera e quindi di interagire
con le sostanze acide formando dei sali (come ad esempio dei nitrati ).
Come fase dispersa nell'aria si trovano particelle solide e liquide che hanno dimensioni (diametri
compresi tra 0,2 e 4 m) e morfologia varia.
Queste particelle solide sono polveri, provenienti dallo spazio o di origine terrestre (sollevate dal
vento); le particelle liquide sono invece generalmente costituite da acqua o da soluzioni acquose.
Oltre a queste particelle di origine naturale vi sono quelle dovute all'inquinamento, la cui
concentrazione dipende dalle fonti di emissione e dalle condizione meteorologiche locali.
Negli agglomerati urbani gli inquinanti atmosferici più comuni sono: piombo metallico e ossidi di
piombo provenienti dagli scarichi degli autoveicoli, particelle di carbone provenienti dagli impianti di
riscaldamento, ossidi di ferro prodotti dalle industrie siderurgiche, silicati vari provenienti ad
esempio dai cementifici, ecc.
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Le particelle di diametro maggiore sedimentano facilmente e così abbandonano l'atmosfera mentre le
più piccole rimangono anche indefinitamente sospese nell'aria dalla quale possono essere asportate
dalla pioggia.
Oggi l’uso delle cosiddette benzine verdi tende a ridurre il piombo presente nei gas di scarico
delle
automobili, ma, purtroppo, introduce altri inquinanti come il benzene, non certo innocui.
2.2 Caratteristiche fisiche
Le conoscenze sull'atmosfera si sono sviluppate in questi ultimi anni grazie all'esplorazione per
mezzo di palloni sonda e di satelliti.
L'insieme dei dati attualmente disponibili ha permesso di distinguere nell'atmosfera un certo numero
di regioni stratiformi concentriche, caratterizzate da un diverso stato termico ed elettrico e da una
diversa composizione chimica (figura 2.1).
In base alla composizione chimica l'atmosfera si divide in due grosse fasce: la omosfera, avente
composizione chimica quasi costante, e la eterosfera che presenta variazioni dovute a dissociazione e
ricombinazione molecolare, a diffusione, a fotodissociazione e a fotoionizzazione.
All'interno di queste due grosse zone si può operare un'ulteriore suddivisione in base all'andamento
della temperatura con l'altezza.
Si possono così distinguere nella omosfera le seguenti regioni: troposfera, stratosfera e mesosfera e
gli strati di separazione detti tropopausa, stratopausa e mesopausa.
La troposfera, sede di tutti i fenomeni meteorologici importanti, è stata studiata più di ogni altra
regione dell'atmosfera. Essa si estende dal livello del suolo fino a circa 11 km e la sua temperatura
decresce regolarmente fino a circa –60 °C (figura 2.1).
La troposfera è separata dallo strato seguente (stratosfera) da una regione intermedia a temperatura
costante (tropopausa).
Nella stratosfera, il cui limite superiore non è ancora ben definito, la temperatura ha tendenza ad
aumentare fino a circa 0 oC intorno ai 50 km di altezza.
In corrispondenza di questo massimo di temperatura, soggetto a variazioni diurne e stagionali, si
colloca la stratopausa che, come si è detto, separa la stratosfera dalla mesosfera.
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Figura 2.1 Atmosfera terrestre
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Nella mesosfera si genera l'ozono ed ha luogo la trasformazione della maggior parte delle radiazioni
cosmiche con conseguente formazione di gas eccitato.
La temperatura, che in questa fascia decresce fino a circa 90 °C nella zona chiamata mesopausa, ha
un nuovo rapido aumento che raggiunge (1000-2000) °C.
La mesopausa costituisce la separazione tra la mesosfera e la termosfera che insieme con la esosfera,
da cui è separata da una zona detta termopausa, costituisce la eterosfera.
La termosfera, che si estende fino a oltre 500 km, è caratterizzata da elevate concentrazioni di ioni
prodotti dall'azione delle radiazioni ultraviolette, dei raggi X e delle radiazioni cosmiche.
La termosfera presenta bassissima densità ed è suddivisibile in più strati aventi diverso potere
riflettente per le onde elettromagnetiche: lo strato E che riflette le onde medie, lo strato F1 che
riflette le onde corte, lo strato F2 che riflette le onde cortissime.
Questa fascia dell'atmosfera è dunque essenziale per le comunicazioni radio con portate superiori al
limite imposto alla propagazione rettilinea dalla curvatura terrestre.
Al di sopra di 500 km si trova la esosfera in cui il gas è ulteriormente rarefatto e le probabilità di urto
tra le particelle sono molto ridotte, cosicché ciascuna di esse può allontanarsi con la velocità
acquisita negli ultimi urti: se le particelle posseggono velocità inferiore a quella critica (11000 m/s),
descrivono orbite ellittiche rientrando nell'atmosfera; per velocità superiori le orbite sono iperboliche
e così le singole particelle possono abbandonare il campo gravitazionale terrestre sfuggendo
all'atmosfera.
La fascia di maggior interesse per la vita sulla Terra è contenuta entro 32 km di altezza ed è costituita
dalla troposfera e dalla stratosfera. Si è constatato sperimentalmente che in questa zona la
temperatura varia sensibilmente nel tempo e da luogo a luogo.
Da ciò deriva la necessità di registrare in continuazione i valori della temperatura (oltre a quelli della
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pressione, altro parametro molto importante) a varie altezze, costruendo le cosiddette curve di stato
momentaneo dell'atmosfera nella località considerata.
A causa della variabilità delle caratteristiche fisiche dell'atmosfera è stata introdotta "l'atmosfera tipo
internazionale", ottenuta assumendo una curva rappresentativa delle curve di stato sperimentali
rilevate in un numero grandissimo di osservazioni (figura 2.1).
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La pressione varia con l'altezza da circa 10 Pa in corrispondenza della tropopausa a circa 5 Pa in
2
corrispondenza della stratopausa, fino a circa 10- Pa in corrispondenza della mesopausa. I dati
convenzionali assunti per l'atmosfera tipo internazionale sono
pressione a quota zero
p = 105 Pa
temperatura a quota zero
t o= 15oC To = 288,16 K
gradiente di temperatura
- dT/dz = -0.0065 K/m
nella troposfera
altezza della tropopausa
z=11000 m
temperatura della stratosfera
t =-56oC T = 216,66 K
Partendo da questi dati è possibile determinare le leggi di variazione della pressione in funzione
dell'altezza nella troposfera e nella stratosfera rispettivamente.
Nella troposfera valgono le seguenti leggi:
- legge di Stevino 2
dp = -! g dz
(2.1)
- equazione di stato
pV = NRT
(2.2)
dei gas perfetti
- variazione della temperatura
dT/dz = -c
(2.3)
con l'altezza
2
La legge di Stevino dice che le differenze di pressione atmosferica, riferite all'unità di superficie, tra
punti a quote differenti sono misurate dal peso di una colonna di aria avente per base l'unità di
superficie e per altezza il dislivello tra i due punti considerati.
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dove:
! è la massa volumica dell'aria (kg/m3)
V è il volume (m3)
N è la quantità di sostanza (mol)
T è la temperatura (K)
R è la costante dei gas (J/K mol)
Dividendo membro a membro la (2.1) e la (2.2) e sostituendo il valore di T ottenuto dalla (2.3) si ha:
dp " )gV % "$ 1 d (T0 ! cz )%'
= $!
' ! (
p # NR & $# c To ! cz '&
la cui integrazione dà:
p ' T0 ( cz $
"
=%
p0 %& T0 "#
!g
V
NRc
che fornisce la legge di variazione della pressione con l'altezza nella troposfera.
Figura 2.2
Andamento della temperatura in
funzione dell’altezza
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Figura 2.3
Andamento della temperatura in
funzione dell’altezza per definire
l’atmosfera tipo
Nella stratosfera, che è una fascia dell'atmosfera in condizioni isoterme, valgono le seguenti leggi:
- legge di Stevino
dp = -!1 g dz
- legge di Boyle
p1/!1= p/!
- equazione di stato
pV = NRT
(2.4)
(2.5)
p=(!/M)RT
(2.6)
dove p1 è il valore della pressione nella tropopausa e p è il valore della pressione nella stratosfera ed
M è la massa molare (kg/mol).
Sostituendo nella (2.4) il valore di ! ricavato dalla (2.5) si ha:
dp/p = - !1 g dz/p1
la cui integrazione porta a:
p / p1 = exp [(- !1 g (z-z1)) / p1]
Esprimendo p1 in funzione di ! e di M si ottiene la formula:
p = p1 exp [( - M g (z-z1)) / RT1 ]
La figura 2.4 rappresenta queste variazioni. Sulla superficie terrestre, la pressione varia in media da
circa 100 kPa al livello del mare a 40 kPa sulla vetta dell'Everest. Inoltre, in un medesimo luogo, la
pressione atmosferica presenta regolari variazioni diurne e annue.
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Figura 2.4
Pressione in funzione dell’altezza sul livello del mare
Nelle ventiquattro ore si hanno due minimi e due massimi, (figura 2.5) cioè la pressione è in aumento
dalle quattro fino alle dieci circa e in diminuzione dalle dieci alle sedici; mentre dalle sedici alle
ventidue si ha un nuovo aumento seguito da un minimo tra le ventidue e le quattro.
Il massimo del mattino è più elevato di quello della sera, mentre il minimo del pomeriggio è più
accentuato di quello del mattino.
Le variazioni giornaliere di pressione vanno attribuite alle maree atmosferiche e all'espansione
dell'aria che accompagna l'aumento di temperatura causato dalla radiazione solare.
Figura 2.5
Andamento della pressione
atmosferica in 24 ore
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L'andamento della pressione atmosferica durante l'anno non è il medesimo nelle varie aree
geografiche: nelle regioni temperate essa raggiunge d'estate un massimo sugli oceani e un minimo al
centro dei grandi continenti; d'inverno il massimo si verifica sui continenti ed il minimo sugli oceani.
Oltre alle variazioni regolari la pressione subisce variazioni irregolari, collegate alle condizioni
atmosferiche, talvolta così elevate da mascherare le variazioni diurne.
Il luogo dei punti dell'atmosfera in cui la pressione è, in un dato istante, costante costituisce una
superficie isobara. Le superfici isobare non coincidono con quelle di livello e non sono concentriche
con la terra, ma presentano forme e inclinazioni variabili nel tempo e nello spazio.
Una qualsiasi superficie di livello viene intersecata, ad un dato istante, dalle diverse superfici isobare
secondo linee a pressione costante dette isobare (figura 2.6).
Le isobare assumono le forme più svariate; fra esse si possono individuare linee chiuse che
delimitano zone particolari: se i valori di pressione sono decrescenti dalla periferia verso il centro la
zona si dice ciclonica; si dice invece anticiclonica la zona in cui la pressione cresce dalla periferia
verso il centro.
Figura 2.6 Linee Isobare
La misura continua della pressione atmosferica e lo studio dell'andamento delle isobare è molto
importante in meteorologia.
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In generale si associa al concetto di alta pressione una situazione meteorologica favorevole, mentre
alla bassa pressione sono collegate condizioni di maltempo.
Pochi però sanno che le indicazioni più utili per una previsione meteorologica si ottengono non dal
valore assoluto della pressione, quanto dalla sua variazione nelle ultime ore.
In generale un aumento della pressione indica un miglioramento delle condizioni del tempo, mentre
un calo anticipa un peggioramento.
Questa regola va presa con cautela: possono accadere situazioni nelle quali a una diminuzione della
pressione segue un miglioramento delle condizioni del tempo o viceversa.
Un esempio può essere dato dall’arrivo del Föhn in Val Padana: la pressione atmosferica poco prima
dell’arrivo del vento diminuisce sensibilmente, ma tale calo preannuncia ore di tempo bello su
Piemonte e Lombardia, con cielo terso, aria secca e con uno splendido panorama dell’arco alpino.
Non è quindi solo la pressione atmosferica o la sua variazione a determinare l’andamento del tempo;
il meteorologo necessita di informazioni su molte grandezze fisiche per poter realizzare una
previsione.
Molti fattori, quali l’altezza, la latitudine, la temperatura dell’aria, il grado d’umidità, influiscono sul
valore della pressione.
a) Altitudine: Poiché il valore della pressione atmosferica in un punto è legato al peso della colonna
d’aria sovrastante, salendo di quota tale valore deve diminuire. Essendo la troposfera alle nostre
latitudini spessa circa 12 km, già a 2000 metri di quota si è tagliata una buona fetta della bassa
atmosfera, diminuendo consistentemente lo strato d’aria superiore. La dimostrazione è data dal
fastidio che si prova alle orecchie durante il cambio di altitudine: la variazione della pressione
atmosferica non è bilanciata da un’uguale variazione della pressione che agisce sulla parte interna del
timpano. Sbadigliando o deglutendo si ripristina l’equilibrio.
Non esiste una relazione precisa tra la quota e la pressione, poiché altri fattori come la temperatura e
l’umidità possono influenzare i risultati. Approssimativamente, si può assumere alle basse quote un
gradiente verticale della pressione (cioè una variazione della pressione con la quota) pari a 1 hPa ogni
8-10 metri.
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b) Temperatura: all’aumentare della temperatura l’aria si dilata, diminuisce la sua densità e si
alleggerisce: in generale una colonna d’aria calda pesa meno di una uguale colonna d’aria fredda. L’aria
fredda è “più pesante” dell’aria calda, e quindi una variazione nella temperatura dell’aria porta a una
variazione della pressione. Questo giustifica anche le variazioni diurne della pressione nell’ipotesi di
bel tempo: solitamente nel pomeriggio, intorno alle 16:00, si registra un lieve calo della pressione
legato al riscaldamento solare. L’entità delle oscillazioni diurne della pressione è comunque molto
bassa e non supera mai i 2 hPa.
c) Umidità: La pressione esercitata da una massa d’aria umida è inferiore a quella esercitata da un
uguale volume di aria secca. La spiegazione può essere ricercata a livello molecolare, pensando che le
molecole di vapore acqueo presenti nella massa umida hanno preso il posto di molecole di azoto o
ossigeno più pesanti
La corretta conoscenza della pressione atmosferica è comunque molto importante anche in altri
settori oltre a quello meteorologico perché costituisce un riferimento per altri fenomeni e parametri
fisici.
3. Misura della pressione atmosferica
3.1 Cenni storici
Le prime misure di pressione atmosferica risalgono alla scuola galileiana. Galileo nei "Discorsi e
dimostrazioni intorno a due nuove scienze" affronta il problema del "peso" dell'aria nei dialoghi tra
gli interlocutori Salviati, Sagredo e Simplicio. Infatti Sagredo dice: "....vorrei per intera e assoluta
istruzione della presente materia non solo restare assicurato che l'aria sia (come io tengo per fermo)
grave, ma vorrei, se possibile sapere quanta sia la sua gravità...." e Salviati informa, dopo aver
descritto esperimenti per misurare il peso dell’aria: "....quanto risolutamente e determinatamente
pesi l’aria rispetto all'acqua o ad altra materia grave non per ancora so io, né posso sapere, se io non
misuro la quantità di aria compressa e da questa investigazione bisogna trovare la regola...."; segue
poi la descrizione di vari metodi che a Galileo sembrano più adatti per "pesare" l'aria.
E’ ancora incerto chi fu il costruttore del primo barometro; probabilmente il primo esperimento fu
quello condotto da Gasparo Berti che costruì ed utilizzò un barometro ad acqua.
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Ma le prime vere e proprie misurazioni barometriche furono condotte, nel 1644, dai due allievi di
Galileo, Viviani e Torricelli, che dimostrarono sperimentalmente l’esistenza della pressione
atmosferica e del vuoto.
Le premesse erano già state poste da tempo e tutti gli ingegneri che si occupavano del trasporto
dell’acqua (per esempio sulle colline di Genova) o della sua eliminazione dalle miniere avevano a che
fare con l’altezza massima della colonna d’acqua in tubature verticali.
Molti scienziati ne avevano tentato la spiegazione preparando così il terreno per l’esperimento di
Evangelista Torricelli che succedette a Galileo, quand’egli morì l’8 gennaio 1642, come professore di
matematica al servizio del Granduca di Toscana.
Probabilmente Evangelista Torricelli non fu l’inventore del barometro, ma aveva idee chiare sul
concetto di pressione dell’aria.
Egli progettò un esperimento nel 1644, in grado di evidenziare variazioni della pressione dell’aria e di
produrre il vuoto.
Prima di lui V. Viviani aveva evidenziato variazioni della pressione atmosferica tra la base e il
culmine della Torre di Pisa, utilizzando un tubo a U da lui realizzato.
Si trattava del primo tubo a U di cui si è a conoscenza.
L’esperimento torricelliano dimostrò l'esistenza del cosiddetto effetto barometrico: quando un tubo
di vetro avente un'estremità saldata (figura 3.1) viene riempito di mercurio e quindi capovolto e
immerso, con l'estremo aperto, nel mercurio contenuto in una vaschetta, il liquido nel tubo scende ma
non completamente perché in esso la pressione della colonna di mercurio controbilancia la pressione
atmosferica che si esercita sulla superficie libera del liquido. Il riferimento per la misura del dislivello
h è rappresentato, in questo barometro e in tutti i barometri di questo genere realizzati in seguito,
dalla superficie libera del mercurio nel pozzetto; questo riferimento è ovviamente soggetto a
variazioni.
L'aria nel tubo al di sopra del mercurio risulta rarefatta a valori di pressione che possono in genere
essere trascurati.
19
figura 3.1
Principio del barometro di Torricelli
Questa condizione fisica fu definita "vuoto torricelliano"; in esso sono presenti vapori di mercurio,
data la volatilità di questo liquido a temperatura ambiente.
Il valore della pressione atmosferica è data da:
p =! g h
dove:
! rappresenta la densità del mercurio (kg/m3)
g rappresenta l'accelerazione di gravità locale (m/s2)
h rappresenta il livello del mercurio (m).
Questo esperimento dimostrava chiaramente che lo spazio al di sopra del mercurio, quando la
colonna veniva capovolta all’interno di un recipiente contenente anch’esso mercurio, era vuoto.
Il livello del mercurio era indipendente dal volume sopra di esso. Nonostante l’evidenza molti
"aristotelici" non volevano credere che vi fosse il vuoto.
Blaise Pascal, nel 1646, venuto a conoscenza di questi esperimenti, si convinse che se realmente la
colonna di mercurio "era sostenuta" solo dalla pressione dell'aria la sua altezza avrebbe dovuto essere
minore ad altitudini più elevate.
Dapprima, per verificare questa ipotesi, fece portare uno strumento analogo a quello del Torricelli in
cima ad un campanile di Parigi e poi, volendo risultati più significativi, pregò suo cognato, non
potendo di persona a causa della sua infermità, affinché ripetesse l'esperimento sul Puy de Dome
(montagna che si eleva a 1465 m, vicino a Clermont Ferrand, nel Massif Central). Infatti in data 15
20
Novembre 1647 così Pascal scrive a suo cognato Florin Perier:
"....Si tratta di fare l'ordinaria esperienza del vuoto parecchie volte nello stesso giorno, in uno stesso
tubo, con lo stesso argento vivo, sia in basso, sia sulla cima di una montagna,...., per provare se
l'altezza dell'argento vivo contenuto nel tubo si troverà uguale o differente in queste due situazioni.
Sicuramente Voi vedete già che questa esperienza è conclusiva per la questione e se capita che
l'altezza dell'argento vivo è minore alla cima della montagna che alla base (come io ho ragione di
ritenere, sebbene tutti quelli che hanno meditato su questo problema siano contrari a questa idea) ne
seguirà necessariamente che il peso e la pressione dell'aria sono la sola causa della sospensione
dell'argento vivo.... poiché è ben certo che c'è molta più aria alla base della montagna che non in cima
...."
Si trattò quindi dei primi esperimenti volti a stabilire la dipendenza del valore della pressione
atmosferica dall'altezza.
Fu constatata così una differenza di circa otto centimetri nell'altezza della colonna di mercurio. Il fine
di tali ricerche era, oltre che ottenere uno strumento che indicasse i "mutamenti dell'aria, ora più
pesante e densa, ora più leggera e sottile", anche dimostrare che si poteva produrre il vuoto cioè la
condizione fisica di rarefazione dell'aria.
figura 3.2
Emisferi di Magdeburgo
Fu Otto Von Guericke, che, con il famoso esperimento del 1654 sulla piazza di Magdeburgo,
dimostrò che la forza di otto cavalli non era sufficiente a separare due emisferi cavi accostati a
formare una sfera completa (figura 3.2) nella quale era stata eliminata l'aria.
Con questo esperimento spettacolare egli dimostrò, in modo inequivocabile, da un lato l'esistenza
della pressione atmosferica e dall'altra la possibilità di generare condizioni di vuoto.
21
figura 3.3
Barometro di Sir Samuel Morland
Da questa data in poi furono realizzati molti altri strumenti per misurare la pressione atmosferica.
Ad esempio nel 1670 Sir Samuel Morland realizzò un barometro a cisterna con il tubo inclinato in
modo da aumentare la sensibilità (figura 3.3). Egli infatti riuscì a evidenziare variazioni di pressione
di una trentina di pascal (pari circa a 0,2 mm di altezza di colonna di mercurio).
Nel 1758 Zaiker realizzò il primo barometro senza liquido (aneroide3) che consisteva in un cilindro
le cui basi erano distanziate da una molla. Nel cilindro era stato fatto il vuoto, cosicché al variare
della pressione variava la distanza misurata tra le due basi. Si trattava di un'idea di base che in seguito
portò ai barometri molto diffusi basati su deformazioni di elementi elastici sensibili.
Nel 1810 Fortin realizzò il barometro che porta il suo nome (figura3.4) e che è ancora oggi usato
nelle determinazioni di pressione atmosferica in laboratorio e in meteorologia. Si tratta di una colonna
barometrica in cui la differenza più saliente rispetto alla colonna torricelliana è rappresentata dalla
possibilità di regolare il livello del mercurio nel pozzetto.
3
Aneroide = an(privativo) neros (liquido)= senza liquido
22
figura 3.4
Barometro di Fortin
Egli rese infatti regolabile il fondo del pozzetto realizzandolo in pelle di camoscio e con una vite
micrometrica riuscì a spostare il fondo del serbatoio fino a portare il mercurio a contatto con una
punta di avorio che costiuisce lo zero. Così ridusse le imprecisioni di lettura dei barometri a mercurio
legate alle variazioni del livello del liquido nel pozzetto, a loro volta dovute a variazioni dell'altezza
del mercurio contenuto nella canna di vetro.
L'altezza del mercurio nel tubo di vetro, misurata su un opportuno regolo graduato, dà il valore della
pressione. Con questo sistema di lettura la pressione veniva data in mm di mercurio (o torr in
omaggio a Torricelli); questa unità rimase in uso fino all'entrata in vigore del Sistema Internazionale
di unità di misura che impose l'uso del pascal.
Intorno al 1837 apparve un barometro aneroide costituito da un pistone di cuoio. La pressione che si
esercitava sul pistone agiva contro una molla muovendo un indice su una scala graduata.
Nello stesso periodo Raulin (e in seguito Schaffer) realizzò delle capsule metalliche formate, in un
primo tempo, da diaframmi semplici, poi corrugati per aumentarne la sensibilità.
La deformazione del diaframma risulta proporzionale alla pressione.
Eugène Bourdon riprese l'idea di utilizzare deformazioni di elementi metallici ed ideò nel 1849 un
barometro costituito da un tubo di ottone a sezione ellittica e ricurvo circolarmente a forma di C nel
cui interno fece il vuoto.
23
Si tratta del ben noto e tuttora utilizzato manometro4 di Bourdon. Una delle estremità del tubo era
fissa, l'altra libera e collegata ad un indice. Le variazioni di pressione determinano dei movimenti
proporzionali nell'estremità libera.
Nel 1858 padre Secchi progettò un barometro al quale aggiunse poi strumenti registratori di vento,
temperatura e pioggia (figura 3.5). A tale complesso venne dato il nome di meteorografo e fu
presentato all'esposizione universale di Parigi nel 1867 dove ebbe un grande successo.
figura 3.5
Barometro di Padre Secchi
Esso fu il primo di un'importante serie di registratori di parametri atmosferici che, in realizzazioni
miniaturizzate, sono ancora oggi usati e lanciati ad alte quote per lo studio delle condizioni
meteorologiche.
Verso la fine del diciannovesimo secolo venne realizzato l'ipsometro che consente di determinare la
pressione atmosferica mediante la misura della temperatura di ebollizione di un liquido.
Un liquido entra in ebollizione quando la sua tensione di vapore eguaglia la pressione atmosferica;
poiché la tensione di vapore dipende esclusivamente dalla temperatura, dalla misura di questa si
risale alla pressione atmosferica.
A differenza dei barometri a mercurio, l'ipsometro dà la misura della pressione atmosferica
indipendentemente dal valore dell'accelerazione di gravità.
4
dal greco manos = rarefatto e metron = misura perciò si tratta di uno strumento utilizzato per misurare la pressione dei
fluidi
24
Dall'inizio del 1900, sotto la spinta di forti esigenze industriali, si realizzarono molti trasduttori
meccanici di varie forme con elementi sensibili costituiti da membrane piatte o corrugate, soffietti,
eliche, ecc. e verso il 1930 si incominciò a pensare a sistemi di lettura dello spostamento
dell'elemento elastico di tipo elettrico.
3.2 Barometri in uso oggi
I principi su cui si basano i barometri odierni sono in parte immutati: si tratta di colonne di liquido
(tubi a U), o delle cosiddette bilance di pressione o di elementi elastici che sotto l'azione della
pressione cambiano forma o posizione.
Sono stati inoltre sviluppati altri tipi di sensori (a bilanciamento di forza, ad elica di quarzo, a
struttura risonante di silicio). Molti di essi inoltre non servono solo per la misurazione della
pressione atmosferica, ma anche di pressioni inferiori.
Oggi si richiedono abitualmente incertezze relative, soprattutto nella taratura di trasduttori
-4
secondari, dell'ordine di 10 , ma per speciali applicazioni o in relazione a particolari ricerche
-5
anche le incertezze inferiori a 10 .
Ciò può essere raggiunto solo utilizzando speciali metodi di misura, essenzialmente basati
sull'interferometria ottica o a ultrasuoni, e speciali ambienti di lavoro in cui sia possibile il controllo
rigoroso dei parametri ambientali e delle vibrazioni.
3.2.1 Barometri primari
a) A liquido
Si tratta di misuratori in cui la pressione viene determinata in base alla sua definizione come forza
che agisce sull'unità di superficie, infatti si dicono primari quei misuratori in cui il valore del
misurando è ricondotto o direttamente o mediante adeguate formule a misure di una o più delle sette
grandezze fondamentali del Sistema Internazionale di unità di misura (SI).
Uno dei più semplici misuratori è costituito da un tubo a U contenente del liquido, in genere
mercurio. Si possono usare anche altri liquidi come acqua e oli, ma avendo questi una densità molto
più bassa di quella del mercurio (13545,868 kg/m3), ne risulterebbero colonne troppo alte.
Così ad esempio se si usasse un olio al silicone con bassa tensione di vapore e densità di 1072,2
kg/m3 a 20 oC si dovrebbe usare una colonna alta circa 9,5 m per equilibrare una pressione di 105
Pa, con notevoli problemi di ingombro, di lettura, di stabilità termica e quindi di costanza della
densità stessa. Lo schema di un tubo a U è riportato in figura 3.7.
Un ramo del tubo è comunicante con l'atmosfera o con l'ambiente in cui si ha la pressione incognita,
mentre l'altro ramo viene collegato ad un sistema ausiliario che realizza il vuoto di riferimento, in cui
si ha quindi una pressione di riferimento pr.
Se h è il dislivello tra i due rami del tubo a U la pressione nel ramo di misura sarà data da:
p = pr + ! g h
dove i simboli hanno lo stesso significato visto in precedenza.
25
Va notato che la pressione viene ad essere dipendente dalla temperatura, dato che densità e livello del
liquido dipendono da questo parametro attraverso i coefficienti di dilatazione termica dei materiali
(liquido manometrico e materiale del regolo graduato e dei contenitori). Si deve inoltre aggiungere il
valore della pressione di riferimento qualora non fosse sufficientemente bassa da poter essere
trascurata.
Le principali sorgenti di errori di questi manometri risiedono:
a) nella forma non piana del menisco dovuta all'azione di capillarità, che provoca difficoltà di
localizzazione;
b) nella differenza di temperatura e quindi di densità del liquido nei due rami, o gradienti di
temperatura lungo la colonna stessa;
c) nella irregolarità di rifrazione della luce nel vetro.
Capillarità ed irregolarità di rifrazione possono essere ridotte ad un valore trascurabile utilizzando
tubi di elevato diametro (non inferiore ai 10 mm) e di piccolo spessore. Per la valutazione del livello
del liquido possono essere usati vari metodi aventi risoluzioni diverse, dal semplice regolo graduato,
al catetometro, a sistemi interferometrici.
Figura 3.7 a) Tubo a U tradizionale
Figura 3.7 b) Tubo a U con interferometro
26
Gli Istituti metrologici primari si sono dotati nel tempo di campioni primari per la misura della
pressione atmosferica , da quello ad ultrasuoni del NIST statunitense alle differenti realizzazioni di
manometri a mercurio che utilizzano metodi diversi per la riflessione diretta o indiretta del segnale
luminoso sulla superficie del mercurio.
Recentemente sono stati costruiti manobarometri a mercurio dotati di sistema interferometrico
costituito da un galleggiante su cui è saldamente inserito uno spigolo di cubo che costituisce un ramo
di un interferometro di Michelson.
Lo schema di un tale sistema interferometrico è riportato nella figura 3.8, che si riferisce alla
realizzazione dell’Istituto di Metrologia "G.Colonnetti" di Torino, il barometro HG5 .
E’ il campione primario dell’IMGC nel campo della pressione atmosferica (100 Pa – 120 kPa) per
misure assolute e relative, progettato e costruito presso l’Istituto dopo lunga sperimentazione.
HG5 è costituito da un tubo ad U in vetro riempito di mercurio fino a metà altezza ed immerso in un
bagno di acqua termostatata, nel quale la temperatura viene mantenuta costante a 20°C.
Le due colonne del tubo ad U hanno lunghezza di 1 metro, diametro interno di 60 mm; lo
spostamento differenziale del mercurio, cioè l’altezza di colonna desiderata, dalla sua posizione
iniziale di equilibrio (che rappresenta lo “zero dello strumento”, con identica pressione in entrambi i
rami), viene rilevata con un metodo interferometrico mediante un interferometro differenziale a
singolo fascio.
L’apparecchiatura ottica è posta sulla piattaforma sovrastante i tubi in vetro; essa si compone di una
sorgente He-Ne , un separatore di fascio, uno specchio a 45°, un ricevitore: il fascio emesso dalla
sorgente viene prima separato in due porzioni , la prima entra nella prima colonna, la seconda
27
prosegue ed entra nella seconda colonna. Proprio nei metodi di riflessione sta la caratteristica
innovativa del barometro: all’ interno delle colonne i fasci laser incidono su retroriflettori a spigolo di
cubo (diametro 6 mm), montati su opportuni galleggianti. I segnali riflessi dal vertice del triedro in
direzione parallela alla direzione di incidenza si vanno a ricomporre sul ricevitore, per ottenere
l’indicazione del dislivello tra i menischi del mercurio.
Questo metodo di misura si utilizza nel campo (10 - 120 ) kPa; nel campo più basso HG5 adotta
galleggianti tradizionali equipaggiati con lenti focalizzanti (occhi di gatto) , per riflettere la luce
direttamente sulla superficie del mercurio.
Il gas utilizzato è azoto di estrema purezza e si richiede una correzione per l’indice di rifrazione,
crescente con la pressione fino ad un massimo di circa 40 Pa. L’incertezza estesa della misura di
pressione nel campo considerato va da 0,3 Pa a circa 0,6 Pa utilizzando i retroriflettori, mentre
scende di quasi un ordine di grandezza se si usano gli occhi di gatto fino a 10 kPa.
Le principali sorgenti di incertezza risiedono nell’individuazione del posizione dei riflettori sul
mercurio, nella misura e stabilità della temperatura, nella conoscenza della densità del mercurio alla
temperatura di lavoro, nella rifrattività del gas.
Fig. 3.8 Schema del barometro HG5 del’Istituto Colonnetti
28
Fig 3.9 Vista del Laboratorio IMGC dove risiede il barometro HG5
Anche l'interferometria ad ultrasuoni è utilizzata nei manometri a mercurio per determinare il
dislivello tra i rami del tubo a U. Questo sistema è stato studiato e realizzato presso (NIST, USA)
dapprima da P.L.M. Heydemann e quindi Da C. Tilford del gruppo "Pressure and Vacuum".
In questo manometro a ultrasuoni le misure dell'altezza delle colonne di liquido sono fatte
automaticamente in termini della lunghezza d'onda del segnale ultrasonoro, con l'ausilio di un sistema
per il conteggio delle frange.
Questo sistema quindi richiede la conoscenza della velocità del suono nel mezzo considerato
(mercurio). Un breve impulso (20 µs) con una frequenza portante di 10 MHz viene inviato al
trasduttore montato nella base del tubo che chiude la colonna di liquido. Il trasduttore trasforma il
segnale elettrico nell'analogo meccanico e un breve treno d'onda ultrasonico viene lanciato
verticalmente nel mercurio.
Il segnale viene riflesso alla superficie della colonna del liquido e torna indietro verso il trasduttore.
La fase del segnale di ritorno viene misurata in riferimento a quella dell’onda trasmessa. Un cambio di
lunghezza nella colonna di mercurio produce quindi un proporzionale cambiamento di fase nel
segnale di ritorno ultrasonico.
29
Questo strumento primario avente elevate sensibilità e risoluzione richiede anche cure particolari,
come tutti gli altri tubi ad U di elevata precisione, sia nella pulizia di tutte le superficie coinvolte
nella misura sia nel trattamento del mercurio.
b) Bilance di pressione
Misuratori primari molto diffusi, sia per pressioni barometriche sia per pressioni più elevate, sono le
cosiddette bilance di pressione: anche in essi la pressione viene definita come la forza che agisce
sull'unità di superficie. Infatti la pressione incognita è controbilanciata dalla forza peso che un certo
numero di masse ("Mi) esercita su una determinata area (Ao).
Fig 3.10
Schema di un sistema pistonecilindro
Lo strumento è costituito in genere da un insieme pistone-cilindro (figura 3.10) e da un certo numero
di masse calibrate. Il pistone , munito di uno speciale cestello porta masse, scorre all'interno di un
cilindro fisso e cavo.
Nel cestello del cilindro possono essere collocate varie masse il cui numero e valore è legato al valore
della pressione che si vuole misurare. In generale ai livelli di pressione barometrici sia l'insieme
pistone-cilindro sia le masse sono di acciaio; per pressioni molto più elevate si deve far ricorso,
almeno per il pistone a dei materiali speciali, come per esempio il carburo di tungsteno. La pressione
è data dalla seguente formula:
p=
" i M i g l (1 ! $ a / $ r )
A0 (1 + (# p + # c )(T ! Tr ))
in cui Mi (kg) è la massa del peso iesimo, gl(m/s2) è l'accelerazione di gravità locale, !a (kg/m3) è la
densità dell'aria, !r (kg/m3) è la densità delle masse di riferimento, Ao(m2) è la superficie effettiva
sulla quale si esercita la forza peso, #p ed #c sono i coefficienti di dilatazione termica del pistone e
30
del cilindro, T e Tr la temperatura di lavoro e quella di riferimento.
In modo particolare si richiama l'attenzione sulla necessità di misurare l'area effettiva
dell'accoppiamento pistone/cilindro su cui si esercita il peso delle masse. Questa grandezza infatti
non è data dalla semplice area geometrica, ma occorre caratterizzare geometricamente sia il pistone
sia il cilindro, e cioè occorre potere attribuire ad essi un valore medio del diametro che tenga conto di
tutte le reali asperità della superficie e della non rotondità.
Questo, nei casi degli strumenti di buon livello metrologico, si può fare con delle speciali macchine
dotate di rivelazione interferometrica in grado di fornire il profilo di ciascuno dei componenti lungo le
direttrici scelte.
Con questo strumento si raggiungono buoni livelli di incertezza relativa, anche migliori di 1x10-4;
talvolta si raggiungono incertezze oggi molto prossime a quelle delle colonne a liquido a lettura
interferometrica rispetto alle quali le bilance di pressione hanno il limite di consentire solo valori
discreti di pressioni, legati ovviamente al valore ed al numero delle masse usate, tuttavia presentano
il vantaggio di una maggiore semplicità di impiego e anche la possibilità di essere trasportate.
Come le colonne possono essere utilizzate sia come misuratori assoluti sia come misuratori
differenziali; (infatti nella camera di riferimento vi può essere la pressione atmosferica od il vuoto)
per tarare trasduttori di tipo secondario che a loro volta verranno usati sul campo, o per misurare la
pressione dell'atmosfera o pressioni di lavoro nei più svariati settori applicativi.
Fig. 3.11 Banco di lavoro con bilance di pressione in uso presso l’IMGC
31
3.2.2 Trasduttori secondari
Esiste una vasta gamma di misuratori secondari della pressione atmosferica che trovano applicazione
sia nei laboratori di misura e prova , sia nelle applicazioni metereologiche ed altimetriche, sia nella
pratica quotidiana (chi non possiede un barometro/altimetro da polso?)
Alcuni tipi di trasduttori sono misuratori meccanici diretti costituiti da elementi elastici di varia
forma (figura 3.12), che per effetto della pressione subiscono deformazioni che vengono rivelate con
vari sistemi. La misura della pressione atmosferica è riferita ad una pressione molto bassa come nel
caso dei tubi a U e dei barometri Fortin.
Con riferimento ad un elemento sensibile del tipo rappresentato in figura 3.12c (barometro aneroide),
quando sia internamente sia esternamente all'elemento sensibile si ha la pressione atmosferica, si avrà
una condizione di equilibrio (figura 3.13a). Se all'esterno, nella capsula che contiene detto elemento,
si ha il vuoto e all'interno la pressione atmosferica, la membrana metallica avrà tendenza a deformarsi
(figura 3.13b), e sarà necessario disporre di una robusta molla (figura 3.13c) di richiamo (m) che
equilibri l'azione della pressione atmosferica.
figura 3.12
Vari tipi di
misuratori meccanici
32
figura 3.13
Schema di lavoro di un barometro aneroide
Il perno (P) fissa la parte inferiore dell'elemento elastico alla parete del contenitore; ogni variazione
della pressione si traduce in una variazione della distanza del punto (P) da (O).
Un sistema di leve amplifica gli spostamenti di (P) che vengono trasmessi ad un indice che, su una
scala appositamente costruita, indica il valore della pressione.
Scegliendo opportunamente il materiale dell’elemento sensibile (ad esempio acciaio o leghe di nichel)
si possono minimizzare i fenomeni di isteresi che sono sempre presenti.
Molto diffusi sono i manometri di Bourdon; il più diffuso è quello indicato nella figura 3.12 f.
L’elemento sensibile può avere varie forme: da quella semplice precedentemente indicata a quella ad
elica (figura 3.12 h) o a tubo piatto avvitato (figura 3.12 g).
L’elemento elastico si deforma proporzionalmente al valore della pressione da misurare e l’angolo di
apertura varia di conseguenza.
Se un indice è fissato solidamente all’elemento elastico si ottiene un’indicazione visiva dell’entità
della deformazione.
In genere i tubi di Bourdon sono metallici, per esempio in acciaio o leghe al nichel, come inconel o
monel, ma sono state anche realizzate spirali di Bourdon in quarzo che sono chiuse in genere in
contenitori cilindrici di vetro o metallo a seconda del livello di pressione per cui vengono scelti.
Con questi trasduttori si hanno sensibilità dell'ordine di una decina di pascal ed incertezze relative
non migliori di 10-3.
Oggi sono disponibili misuratori con incertezze relative migliori, come ad esempio trasduttori a
bilanciamento di forza (figura 3.14) in cui l'azione della pressione sull'elemento sensibile (1) è
controbilanciata da una forza di reazione di tipo elettromagnetico generata da una corrente continua
che attraversa la bobina (2) posta tra i poli di un magnete permanente (3).
33
figura 3.14 Trasduttore a bilanciamento di forza:
1 - elemento sensibile (soffietto metallico)
2 - bobina, 3 - magnete, 4 - asta mobile
L'effetto della pressione si manifesta nello spostamento dell'asta (4) dalla sua posizione di equilibrio
ed è questo spostamento che viene rilevato all'esterno mediante un opportuno sistema elettronico di
misura.
Con questo trasduttore si raggiungono risoluzioni di un pascal ed incertezze relative di 1x10-4.
Un altro misuratore di pressione molto sensibile è del tipo rappresentato in figura 3.13 h, ma con
l'elica di quarzo. Questo elemento sensibile è contenuto in un bulbo in cui viene fatto il vuoto di
riferimento (3.15).
Se in un gas in pressione, o l'aria atmosferica, viene inviata all'interno del tubo che costituisce l'elica
(1), si verifica una flessione dell'estremità libera e quindi la rotazione di uno specchio ad essa
collegata (2). Un raggio luminoso (3), che incide sullo specchio, viene da questo riflesso e quindi
rivelato da una fotocellula (4). Nel circuito esterno pertanto si avrà un segnale in tensione
proporzionale alla pressione da misurare.
figura 3.15
Trasduttore ad elica di quarzo:
1 - elemento sensibile elicoidale
2 - specchio, 3 - sorgente luminosa,
4 - rivelatore (fotocellula)
34
In altri misuratori, che operano in un vasto campo di pressioni dal vuoto fino alla pressione
atmosferica, l'elemento sensibile è una membrana metallica che si deforma per effetto della pressione.
Lo schema è rappresentato in figura 3.16: inizialmente si genera il vuoto in entrambe le camere poste
ai lati della membrana, quindi dopo avere chiuso la valvola vb si applica la pressione incognita p x ,
mentre il ramo di riferimento resta in pompaggio attraverso vc .
Figura 3.16
Lo spostamento della membrana può essere rivelato attraverso metodi induttivi e capacitivi (figura
3.17). Infatti, nei casi oggi più diffusi, la membrana costituisce l'armatura di un condensatore,
costituendo così una capacità variabile al variare della pressione. La capacità è poi parte integrante di
un circuito risonante e la misura della variazione di capacità si riconduce ad una misura di frequenza.
Inoltre, in alcuni casi, per rendere minimi gli effetti delle variazioni di temperatura, si fa ricorso a
sistemi che lavorano in modo differenziale, nei quali cioè la membrana mobile è posta tra le armature
di due condensatori. Una variazione della pressione deforma la membrana provocando, ad esempio,
l'aumento della capacità C1 e la diminuzione della capacità C2.
Le variazioni della temperatura, provocando in prima approssimazione una deformazione dello
stesso segno sulle due capacità, saranno autocompensate.
Anche questi tipi di misuratori consentono incertezze relative di circa 1x10-3 e possono arrivare fino
a 1x10-4.
Fig 3.17
Trasduttore a membrana
capacitivo
35