1 APPUNTI DI ORTOPEDIA E TRUMATOLOGIA

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1 APPUNTI DI ORTOPEDIA E TRUMATOLOGIA
Azienda V. Monaldi – Napoli
Unità Operativa di Ortopedia – Direttore: Dott. R. Magri
APPUNTI DI ORTOPEDIA E TRUMATOLOGIA (Fascicolo 2)
Generalità
L’Ortopedia e Traumatologia è una branca della chirurgia che studia, previene e cura le deformità
anatomiche e funzionali, sia congenite sia acquisite, che interessano l’apparato locomotore.
Compito di questa chirurgia è non solo ricostruire l’anatomia e la morfologia ma anche di ridare la
funzionalità con metodi compensativi e sostitutivi quando non è possibile ottenere una riparazione
anatomica.
Già i medici dell’antichità Ippocrate, Celso e Galeno si interessarono della cura delle lussazioni,
delle fratture e delle deformità scheletriche ovviamente con metodi non chirurgici.
La moderna chirurgia ortopedica viene ricondotta ad un medico francese Ambroise Paré che in
epoca più recente (1500) iniziò ad effettuare interventi chirurgici. Si trattava però di una chirurgia
che rientrava nella chirurgia generale.
Oggi la chirurgia ortopedica è una branca a sé, ben definita nei suoi presupposti e nei suoi sviluppi
ed è certamente quella che più di tutte ha risentito degli sviluppi della moderna tecnologia.
Concetto di deformità
Per deformità si deve intendere qualsiasi alterazione morfologica e funzionale di un organo o
apparato. Le deformità possono essere congenite se presenti alla nascita, acquisite se intervengono
dopo la nascita (conseguenza di fratture, malattie).
Le deformità congenite sono dovute ad un alterato sviluppo fetale e possono riconoscere la loro
patogenesi in un’alterazione cromosomica (ereditarie) o in patologie che si presentano nella vita
fetale. Pertanto congenito non è sinonimo di ereditarietà.
Alcune deformità congenite sono dette ostetriche perché legate ad eventi traumatici legati al
momento del parto (frattura di clavicola, paralisi del plesso brachiale etc.).
Da un punto di vista della terapia va ricordato che le deformità congenite, soprattutto quelle
embrionarie, che si formano nelle prime fasi dello sviluppo intrauterino, sono le più temibili e
difficili da trattare; molto spesso i risultati clinici non sono buoni e ci si deve accontentare soltanto
di migliorare uno stato funzionale.
Va precisato inoltre che nelle deformità congenite in genere il trattamento deve iniziare
precocemente e che il trattamento varia ovviamente a seconda delle fasi dello sviluppo
dell’individuo. Ad es. un piede torto riconosciuto alla nascita impone un trattamento modellante
immediato del piedino del neonato; nei primi anni di vita sono indicati trattamenti chirurgici sui
tendini; in età più adulta (post-puberale) interventi sulle ossa.
Le deformità acquisite sono a volte il risultato di un mancato trattamento o di un trattamento non
corretto di un trauma o di una malattia primitivi. Ad es. una frattura di femore potrà portare ad un
arto più corto o deviato, una artrite di ginocchio potrà portare a un blocco in flessione dello stesso.
Anche in questi casi il trattamento della deformità dovrà seguire regole ben precise ed essere
fondato sul concetto che se è vero che la morfologia è importante è pur vero che deve essere il
ripristino della funzionalità l’obiettivo finale del chirurgo ortopedico.
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Traumatologia
In questi ultimi decenni la traumatologia della strada è diventata una delle cause principali non
solo di mortalità ma di lesioni dell’apparato locomotore. Misure di protezione e di sorveglianza
continua in ambito lavorativo ha ridotto invece i casi di infortuni in ambiente di lavoro.
L’esperienza di un Pronto Soccorso generale è fondamentale per lo sviluppo professionale di un
infermiere, ma quello traumatologico è sul piano emotivo e umano unico. Spesso si tratta di persone
molto giovani che in pieno benessere vedono la propria esistenza mutare a volte per banali
distrazioni.
In traumatologia va distinta l’emergenza (richiede un trattamento immediato), l’urgenza (il
trattamento deve essere programmato nelle prime ore dall’incidente), urgenza differita (il
trattamento può essere differito anche dopo le 24 h, ma non oltre le 48h). Le lesioni che minacciano
la vita dell’infortunato sono quelle che richiedono un trattamento in emergenza e tra queste una
lesione vascolare di un importante vaso arterioso ha la precedenza assoluta; ma un trattamento in
emergenza lo richiede anche l’intervento di reimpianto di arto.
Molto spesso si tratta di politraumatizzati che non presentano soltanto una lesione dell’apparato
locomotore ma anche di altri organi cranio, addome, torace etc.. L’ammalato può presentarsi presso
il Pronto Soccorso in stato di shock con i parametri vitali completamente alterati, occorrerà fare
immediatamente un bilancio delle lesioni e programmare la preminenza e successione dei
trattamenti.
È molto importante il trasferimento del paziente dal mezzo di trasporto con il quale è giunto in
ospedale (ambulanza o auto) alla barella dell’ospedale. In linea di massima un arto fratturato dovrà
essere mantenuto in trazione manuale, si dovranno evitare movimenti irregolari di lateralità e
rotatori, in caso di ferite aperte si dovrà procedere ad accurata pulizia con lavaggio e detersione di
sostanze estranee e disinfezione opportuna.
In generale una lesione ossea (frattura) comporta una immediata impotenza funzionale, una lesione
delle parti molli cioè dei legamenti, ad es. una distorsione del collo piede o del ginocchio, può
comportare una sintomatologia in due tempi: il paziente dopo l’incidente continua la sua attività ma
dopo qualche ora si renderà conto dell’importanza del trauma per il danno funzionale.
Per frattura deve intendere una lesione dell’osso, completa o incompleta che sia; l’infrazione è una
frattura non completa; nei bambini in cui vi è uno spesso tessuto periostale si possono avere fratture
cos. a legno verde, cioè non complete. La frattura può essere chiusa o esposta a seconda se vi sia
lesione delle parti molli sovrastanti l’osso: anche una lesione semplice puntiforme fa considerare
aperta o esposta una frattura. Una frattura d’arma da fuoco va considerata frattura aperta e pertanto
potenzialmente infetta. La frattura può essere semplice a due frammenti o pluriframmentaria, con o
senza spostamento dei frammenti: a volte in caso di frattura esposta si ha perdita di alcuni
frammenti di osso.
Le fratture possono essere complicate ad altre lesioni che possono accompagnarla ed avere priorità
di trattamento: lesioni vascolari, nervose, capsulo-legamentose.
Ovviamente il trattamento varierà a seconda del tipo di frattura. Una frattura può interessare
l’articolazione e quindi presentarsi con un grave emartro e una notevole impotenza funzionale.
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In generale queste fratture sono le più gravi da curare in quanto il presupposto del trattamento dovrà
tener conto di ripristinare la funzionalità articolare perduta.
Una frattura guarisce per formazione di callo osseo che inglobando i frammenti ossei li ristruttura e
li salda tra loro. Tale processo è permesso dal fatto che il tessuto osseo è molto attivo da un punto di
vista metabolico; anche in questo processo entrano in gioco alcune cellule (osteoblasti e osteoclasti)
specifiche del tessuto. Si tratta di un processo che avviene per fasi successive a partire
dall’ematoma presente nel focolaio di frattura e che vede la formazione di un tessuto prima osteoide
e quindi osseo per precipitazione di sali di calcio. La guarigione di una frattura avviene in tempi
diversi a seconda dell’osso interessato, a parità di efficace trattamento adottato: ad es. una frattura
di gamba impiegherà 4-5 mesi, lo stesso una frattura di femore, una frattura di clavicola 40gg2mesi, una frattura di collo piede 2-3 mesi e così via. Ma nel processo di guarigione intervengono
numerosi fattori.
In questi ultimi decenni si stanno adottando sempre più tecniche chirurgiche per la terapia delle
fratture. A favore di un trattamento chirurgico sono le seguenti considerazioni: 1) Riduzione
anatomica della frattura 2)Stabilizzazione della frattura sicura (osteosintesi: sintesi dell’osso) 3) Il
trattamento riabilitativo può iniziare precocemente 4) Guarigione più precoce (il trattamento
riabilitativo può iniziare precocemente) e reinserimento sociale più rapido.
A favore di un trattamento incruento sono le seguenti considerazioni: 1) Assenza di rischio di
infezione (una frattura chiusa rimane chiusa) 2) Assenza di rischio anestesiologico.
In realtà oggi prevale ovunque il trattamento chirurgico in considerazione anche del fatto che le
tecniche anestesiologiche hanno raggiunto un livello tale da garantire una buona sicurezza, molte
tecniche chirurgiche sono miniinvasive, a volte le complicanze di un trattamento non chirurgico (ad
es. immobilizzazione in apparecchio gessato) non sono da sottovalutare.
Una frattura scomposta va ridotta e quindi immobilizzata per ottenerne la guarigione. La guarigione
(consolidazione per formazione di callo osseo) sarà tanto più rapida quanto migliore è la riduzione
dei frammenti. La riduzione di questi può essere ottenuta con manovre particolari, ponendo il
paziente su appositi lettini ortopedici. Una riduzione di una lussazione o di una frattura è ottenuta
agevolmente nelle prime ore dall’evento traumatico, perché a mano a mano che le ore passano si
stabiliscono contratture muscolari e atteggiamenti tali da essere controllati sono con anestesia locale
o generale.
Esistono manovre tipiche particolari per ottenere la riduzione di una lussazione o la riduzione di una
frattura: è preferibile non cimentarsi in una riduzione se non si sa quali manovre effettuare in quanto
il danno che si potrebbe arrecare può risultare maggiore della lesione stessa.
L’amplificatore di brillanza che consente una scopia continua della frattura è un ausilio
fondamentale per la riduzione.
Una volta ottenuta la riduzione occorre immobilizzare i frammenti nella posizione di riduzione.
Questa è ottenuta mediante confezione di apparecchio gessato (modernamente si possono utilizzare
bende o strutture in materiale sintetico simil-plastico che possono sostituire anche egregiamente le
vecchie e tradizionali bende gessate). Una regola generale da tenere presente è che pedr ottenere
una immobilizzazione efficace di una frattura occorre immobilizzare essa e l’articolazione a monte
e a valle di essa.
Una cattiva riduzione di una frattura e/o una non efficace immobilizzazione possono prolungare
notevolmente i tempi di guarigione (ritardo di consolidazione) ovvero non portare a guarigione: si
parla allora di “pseudoartrosi” della frattura. In tali casi saranno richiesti interventi particolari e
strategie opportune.
Una frattura guarita con callo vizioso, con alterazione dell’asse, con limitazione funzionale
articolare può comportare un impegno sanitario a volte notevole. A volte esiti a distanza di fratture
articolari delle grandi articolazioni possono richiedere ulteriori interventi chirurgici che prevedono
l’impianto di protesi articolari (protesi di anca, ginocchio, spalla, collo piede, gomito).
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Un tempo venivano effettuati frequentemente interventi di artrodesi (cioè si procedeva
chirurgicamente al blocco dell’articolazione interessata) che permetteva per lo meno di stabilizzare
in buona posizione l’arto interessato dalla lesione, realizzando una funzionalità discreta.
Modernamente le protesi articolari sono preferite alle artrodesi.
COMPITI DELL’INFERMIERE
Di fronte ad un paziente traumatizzato sarà opportuno rilevare lo stato generale, fare un primo
bilancio delle lesioni, valutare le condizioni degli arti (se vi sono posizioni anomale), se il malato è
cosciente sarà lui a guidare sulla zona interessata da trauma, altrimenti una accurata ispezione e
palpazione dovranno farci capire dove concentrare l’attenzione.
In caso di lesione di un arto, sia superiore che inferiore, bisognerà ricercare i polsi periferici e,
soprattutto in caso di incidente della strada, valutare le condizioni dei tegumenti: una temibile
complicanza da tenere presente a seguito di un traumatismo è la gangrena gassosa che può
verificarsi anche quando non è presente frattura ovvero anche quando l’entità del traumatismo non è
notevole. Questa temibile complicanza è dovuta ad infezione da particolari germi anaerobi
(clostridi) presenti nelle polveri delle strade, soprattutto di periferia: in ambiente anaerobico (e ciò
può verificarsi in una ferita non detersa) le spore contaminanti si riproducono e liberano tossine
capaci di condurre a morte il paziente in poche ore. Il gonfiore, l’edema, la presenza di macchie
ecchimotiche sottocutanee, ma soprattutto il crepitio sottocutaneo dovuto a presenza di aria
dovranno far sospettare che si è di fronte ad una infezione da germi della gangrena gassosa e far
porre un trattamento in emergenza (che a volte è rappresentato dalla amputazione o disarticolazione
di un intero arto).
L’infermiere dovrà conoscere come trasferire il paziente fratturato da una barella ad un'altra o da
essa ad un tavolo di lavoro (lettino di radiologia, ortopedico etc.); in caso di sospetta lesione del
rachide è opportuno sapere che i movimenti di flessione sia del tronco, sia del collo sono
controindicati perché possono causare complicanze neurologiche (fino a vere paralisi degli arti
inferiori o superiori).
L’applicazione di flebo con soluzioni opportune avrà lo scopo di mantenere adeguatamente il tono
dell’apparato cardiocircolatorio e combattere un eventuale stato di shock concomitante.
Va ricordato che sempre in caso di incidente della strada o del lavoro il rilievo dell’infortunio va
segnalato all’autorità giudiziaria per le eventuali responsabilità civili e/o penali corrispondenti.
Il compito dell’infermiere è anche quello di aiutare il medico in alcune prestazioni urgenti:
detersione delle ferite, sutura, riduzione della frattura o della lussazione, confezionamento di
apparecchi gessati, confezionamento di fasciature particolari etc..
Solo la pratica diretta può insegnare ad essere competenti e bravi in tali attività. Vi sono infermieri
che svolgendo il loro compito in sala gessi o nei pronto soccorso ortopedici per anni assurgono a
preparazioni professionali davvero eccelse.
TRAUMATOLOGIA SPECIALE
La distorsione o trauma distorsivo interessa le parti molli di una articolazione: tendini, capsula,
muscoli. Questi possono essere stirati (distorsione di 1° grado), sfibrillati (distorsione di 2° grado),
rotti (distorsione di 3° grado). Nella distorsione non si ha perdita di contatto tra i capi articolari, in
tal caso si parla di lussazione. Ovviamente trattandosi di un’articolazione il sangue arterioso o
venoso che fuoriesce dalla lesione dei vasi si raccoglierà nel sottocute o nella cavità articolare
dando luogo ad emartri più o meno cospicui.
Il ginocchio essendo costituito da una grossa cavità articolare può presentare a seguito di evento
distorsivo cospicui emartri, e poiché essi sono dannosi per i tessuti articolari e per la funzione vanno
svuotati. Lo svuotamento di un emartro viene effettuato con aghi opportuni e mediante aspirazione
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con siringa. Per il ginocchio il ballottamento della rotula più o meno notevole indica la presenza di
un versamento intraarticolare che dovrà essere svuotato. La presenza di sangue fa parlare di emartro
(versamento intraarticolare ematico: colore rosso scuro); a distanza di tempo parte del sangue viene
riassorbito e si rileverà un idrartro (liquido sinoviale e siero: colore giallo citrino). Il rilievo di
goccioline di grasso nel liquido prelevato testimonierà che vi è anche una frattura a carico di un
componente articolare.
In caso di emartro è opportuno procedere ad una efficace immobilizzazione del ginocchio anche con
apparecchio gessato (a ginocchiera o femoro-pedidio) in modo da mettere a riposo l’arto. Una
semplice ma opportuna fasciatura (strapping) può mettere a riposo anche efficacemente
l’articolazione del ginocchio o del collo piede in caso di trauma distorsivo di lieve entità.
In tutti gli eventi traumatici distorsivi, anche in quelli gravi che poi richiederanno il trattamento
chirurgico, per limitare il danno è utile ricordarsi di: 1) porre l’arto in posizione acclive o elevata su
apposito supporto, 2) utilizzare il ghiaccio per limitare il versamento ematico, 3) procedere a
fasciatura relativamente compressiva, 4) far riposare l’arto interessato. Queste operazioni si possono
ricordare con la sigla: GRECO (Ghiaccio-Riposo-Elevazione-Compressione).
Il ginocchio e il collo del piede sono le articolazioni che più frequentemente in assoluto vanno
incontro a traumatismi distorsivi: la pratica dello sport sia a livello dilettantistico sia agonistico è la
causa più frequente di tali lesioni.
A carico del ginocchio la lesione del menisco interno (o mediale) è quella che più frequentemente si
rileva; il menisco si può disinserire dalla capsula a livello del corno posteriore o perifericamente o
rompersi nel contesto fibrocartilagineo. Il meccanismo traumatico più frequentemente rilevato è
legato ad un movimento complesso di rotazione esterna del corpo mentre la gamba e il piede sono
bloccati al suolo. Ciò può avvenire ad es. nel corso di una partita di pallone a seguito di un contrasto
tra due giocatori, ma anche a seguito di sbilanciamento nella esecuzione di un tiro.
A volte le lesioni sono complesse in quanto interessano oltre al menisco anche un legamento
crociato (nella maggioranza dei casi il Legamento Crociato Anteriore o LCA) e parte della capsula
articolare (triade di O’Donoghue).
A seguito di un evento distorsivo sarà opportuno programmare l’esame radiografico nelle due
proiezioni normali: esso è utile pere escludere eventuali patologie ossee. Nei primi giorni
dall’evento traumatico, tranne in alcuni casi di particolare gravità, non vi è indicazione alla
esecuzione di una TAC (tomografia Assiale Computerizzata) del ginocchio, in quanto la presenza di
sangue e lo scompaginamento tessutale locale possono dare un quadro catastrofico non
corrispondente alla realtà. Inoltre, tranne in casi particolarmente gravi o con lussazione
dell’articolazione, si tende oggi, contrariamente al passato, a non intervenire chirurgicamente
precocemente, ma a distanza di tempo (anche più mesi), perché molte lesioni guariscono e
l’intervento chirurgico è più limitato o non più necessario.
Le tecniche di riparazione o ricostruzione capsulo-legamentosa a seguito di lesione legamentosa del
ginocchio sono molto progredite; l’artroscopia chirurgica è una tecnica miniinvasiva che permette
di effettuare una riparazione delle lesioni con un recupero funzionale più rapido rispetto alle
tecniche convenzionali; va però rilevato che anche per queste l’affinamento delle tecniche è molto
progredito in questi ultimi anni.
Il collo piede è l’altra articolazione che in assoluto è interessata da eventi distorsivi. Va ricordato
che il trattamento trascurato non chirurgico di una distorsione del collo piede può predisporre a
distorsioni recidivanti che poi richiederanno un trattamento chirurgico di stabilizzazione. Anche per
questi traumatismi distorsivi (il compartimento caspulo-legamnentoso esterno è più interessato di
quello interno) il trattamento terapeutico iniziale deve essere impostato seguendo lo schema
GRECO.
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Per quanto riguarda la spalla, va ricordato il principio che, trattandosi di un’articolazione con ampia
libertà di movimento ma con poca contenzione tra capi ossei, un evento traumatico può determinare
una lussazione con perdita dei rapporti articolari tra testa omerale e cavità glenoidea scapolare. In
assoluto la lussazione anteriore nella varietà sottoacromiale è la più frequente.
Nelle primissime ore di una lussazione con opportune manovre si riesce sempre a ridurre la
lussazione anche senza anestesia (esiste il cos. stupore dei tessuti che si presentano rilasciati), ma
dopo alcune ore la contrattura muscolare e il dolore impediranno la riduzione della lussazione senza
anestesia e rilassamento muscolare del paziente.
Una lussazione di spalla si può verificare come episodio unico nella vita di un malato a seguito di
un evento traumatico consistente (ad es. caduta dall’alto, tuffo etc.); spesso, soprattutto se il
trattamento non è adeguato, permane una lesione capsulare, che potrà esporre al recidivare della
lussazione, soprattutto a seguito di particolari movimenti.
Una lussazione di spalla che recidiva qualche volta in un arco lungo di tempo occasionalmente
viene definita recidivante (due-tre volte in 1-2 anni). Una lussazione di spalla che recidiva
frequentemente, soprattutto nella esecuzione di particolari gesti del paziente, viene definita abituale
e richiede un trattamento chirurgico di stabilizzazione (capsulo-plastica).
La trazione transcheletrica rappresenta un momento importante nella pratica ortopedicatraumatologica. Essa è utile non solo per ottenere la riduzione di una frattura o una lussazione, ma
anche per mantenere il discarico l’articolazione o allineare i frammenti di una frattura scomposta.
Le forze muscolari sono la causa fondamentale degli spostamenti di una frattura o una lussazione,
l’applicazione di una trazione lungo l’asse dell’arto rappresenta una forza che si oppone a tali
spostamenti. Una trazione transcheletrica permette di esercitare una trazione con opportuni pesi ed
essa può essere impiegata come momento iniziale in una riduzione immediata seguita da
immobilizzazione in apparecchio gessato, ovvero come tempo preparatorio in attesa dell’intervento
chirurgico.
Il telaio di Zuppinger è un supporto particolare in cui viene adagiato l’arto inferiore quando si vuole
applicare una trazione.
Tecnicamente la trazione viene viene applicata non in anestesia (in alcuni casi si può ricorrere ad
un’anestesia locale) a livello delle regioni epifisarie-metafisarie. Si introduce con una adatta pistola
spara-fili un cos. filo metallico di Kierschner attraverso la regione epifisaria. Esso viene poi fissato
ad una staffa metallica la quale è agganciata con un filo che termina con un gancio cui vengono
sospesi dei pesi opportuni. La infissione del filo metallico di K. Deve essere effettuata con arte e in
modo da non ledere vasi e nervi decorrenti nelle zone vicine.
La trazione-sospensione di un arto su telaio di Zuppinger è abbastanza ben tollerato. Occorrerà
controllare giornalmente la trazione, il paziente sarà invitato ad effettuare piccoli movimenti delle
dita, si procederà ad una sorveglianza continua dei polsi arteriosi periferici.
La trazione transcheletrica (o trans-ossea) è necessaria soprattutto quando si voglia realizzare una
efficace efficace riduzione ed un allineamento dell’asse; essa può precedere un intervento
chirurgico o la esecuzione di un apparecchio gessato. A seconda della regione immobilizzata con
apparecchio gessato si utilizzerà la terminologia sottodescritta.
1) Arto inferiore:
scarpetta gessata: piede e collo piede; stivaletto o gambaletto gessato: piede collo-piede e gamba;
apparecchio gessato femoro-pedidio: piede collo piede ginocchio coscia; ginocchiera gessata:
ginocchio con parte della coscia e della gamba; app. gessato pelvi-pedidio: piede collo-piede
ginocchio coscia e bacino (nel toraco-pedidio viene inclusa parte del torace).
2) Arto superiore:
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guanto gessato: mano e polso; app. gessato antibrachiale: mano polso e avambraccio; bracciometacarpale: mano polso avambraccio e braccio; toraco-brachiale: mano polso avambraccio braccio
e torace.
Ovviamente ogni ingessatura segue le sue regole e la immobilizzazione dovrà essere effettuata in
posizione opportuna dell’arto, in modo da consentire oltre la guarigione della lesione per cui essa è
richiesta, ma anche un recupero fisioterapico rapido. Va però notato che a volte i tempi di recupero
funzionale (tono e trofismo muscolari, articolarità) sono più lunghi della guarigione stessa della
lesione e pertanto modernamente vengono realizzate ingessature particolari cos. “funzionali”
ovvero alla ingessatura sono preferiti interventi chirurgici che permettono di evitare i lunghi periodi
di immobilizzazione.
FRATTURE PATOLOGICHE
Sono fratture particolari dovute non ad eventi traumatici veri e propri (ovvero a traumi di poco
conto che in soggetti normali non producono danni), ma si possono presentare in modo spontaneo o
a seguito di un movimento normale.
Riconoscono alla base una patologia preesistente ossea. Tralasciando alcune patologie ereditarie (ad
es. malattia delle ossa di vetro o osteogenesi imperfetta) le cause in assoluto più frequenti di fratture
patologiche sono le metastasi e le neoplasie ossee, l’osteopatia osteoporotica (o osteoporosi).
1) Le metastasi ossee sono la riproduzione in un segmento osseo a distanza dalla sede
primitiva della neoplasia. Un tumore primitivo osseo (o una cisti ossea) può nel suo
decorso alterare la resistenza della sede di insorgenza ossea e determinare una fratture. La
relativa scarsa incidenza dei tumori primitivi dello scheletro (che interessano soprattutto
l’età giovanile: osteosarcoma, osteoma osteoblastico, sarcoma di Ewing etc.) fa ricadere
sulle metastasi ossee la causa maggiore di fratture patologiche. Tutti i segmenti scheletrici
possono essere interessati, ma lo sono prevalentemente: i corpi vertebrali, il bacino, il
femore e l’anca, l’omero e la testa omerale. Tra i tumori primitivi che più frequentemente
danno metastasi vanno ricordati: tumore del polmo, della mammella, del rene, della prostata,
della tiroide. Molto spesso si tratta di più localizzazioni che possono essere studiate e
scoperte con esame scintigrafico o con TAC total body (cranio, rachide, torace, bacino).
Non sempre gli indici ematologici sono indicativi (fosfatasi, ipercalcemia etc). Ma il
sintomo dolore, che si presenta cupo, penetrante, resistente in parte o in toto agli analgesici
può richiamare l’attenzione e far proseguire nelle indagini.
2) L’osteopatia osteoporotica post-menopausale è una entità clinica oggi ben definita che a
volte sconfina nella osteoporosi di tipo senile. Il depauperamento dei depositi di calcio a
livello dello scheletro che inizia con la menopausa (riduzione del tasso di ormoni estrogeni)
e con la riduzione dell’attività fisica che si verifica in età anziana contribuisce a realizzare in
alcune sedi ossee dei punti di particolare fragilità. Le sedi in assoluto più interessate sono: il
collo del femore, il polso, la testa e il collo dell’omero, i corpi vertebrali. Una banale caduta
o un evento traumatico non molto importante possono determinare la frattura nelle sedi
elencate. Il costo sociale del trattamento di queste patologie (oltre alle conseguenze
invalidanti che esse producono) è rilevante e pertanto da diversi anni da parte degli
ortopedici si sta intraprendendo una prevenzione farmacologia sistemica della osteoporosi
post-menopausale e senile.
Il trattamento delle fratture patologiche non differisce da quello delle corrispondenti fratture
normali se non per alcuni aspetti legati alla malattia di base. Il trattamento delle fratture
metastatiche dovrà tener conto del periodo di sopravvivenza che si prospetta per l’ammalato e a
volte ci si dovrà accontentare di obiettivi soltanto palliativi: ad es. lenire il dolore, migliorare il
nursing etc. Il trattamento di queste fratture patologiche tumorali non può prescindere da una
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collaborazione multidisciplinare che impegna oltre che il chirurgo ortopedico anche l’oncologo
e il radioterapista.
FRATTURE DEL COLLO DEL FEMORE
Sono in assoluto la patologia più frequente e più impegnativa di un reparto di Ortopedia e
Traumatologia. Sono più frequenti nelle donne (rapporto 2:1) e rappresentano la complicanza più
grave dell’osteopatia osteoporotica post-menopausale e senile. Il sesso più colpito è quello
femminile perché la drastica riduzione del tasso di ormoni estrogeni che si verifica dopo la
menopausa nella donna indebolisce notevolmente la struttura ossea in generale, ma soprattutto
alcune sedi elettive: collo del femore, polso, rachide, epifisi prossimale dell’omero.
Queste fratture un tempo erano considerate la causa più frequente di mortalità delle persone anziane
in quanto o non guarivano ovvero costringevano a lunghi periodi di immobilizzazione a letto con le
conseguenze che ne derivano: piaghe da decubito, broncopolmoniti, decadimento organistico,
insufficienza cardiorespiratoria.
La regione prossimale del femore è costituita dalla testa femorale, dal collo propriamente detto,
dalla regione trocanterica (piccolo e grande trocantere).
Lo studio anatomico della zona riveste notevole importanza in quanto la rima di frattura di queste
lesioni può interessare una regione di osso femorale intracapsulare o extracapsulare e ciò ha
conseguenze notevoli per la guarigione di queste fratture.
L’irrorazione della regione della testa femorale avviene attraverso l’arteria del legamento rotondo,
che proviene dalla zona centrocotiloidea e raggiunge il centro della testa femorale (fovea capitis), e
attraverso le arterie capsulari (anteriore e posteriore) che raggiungono la base del collo femorale.
Una lesione frattura la cui rima cadrà in una regione del collo femorale prima della inserzione
caspulare priverà del contingente ematico nutritizio delle arterie caspulari la testa femorale; questa
pertanto riceverà sangue e quindi nutrimento solo dall’arteria centrale del legamento rotondo; se
questa arteria è preda di processi aterosclerotici ovvero è trombizzata (come frequentemente si
osserva nell’anziano) il sangue nutritizio alla testa femorale sarà scarso o nullo e pertanto la regola
sarà la necrosi della testa del femore.
Pertanto queste considerazioni hanno indotto a distinguere le fratture del collo del femore in fratture
mediali, quelle che capitano all’interno dell’inserzione capsulare sul collo (fratture cos.
transcervicali, sottocapitate, basicervicali), e in fratture laterali, quelle la cui rima cade in
corrispondenza dell’inserzione capsulare o subito all’esterno (fratture basi-trocanteriche, fratture
pertrocanteriche, sottotrocanteriche). Le fratture laterali, o in generale le fratture trocanteriche,
erano definite benigne in quanto la consolidazione era la regola, quelle mediali, o in generale le
fratture transcervicali, erano definite maligne in quanto la necrosi della testa femorale è la regola.
Il trattamento di queste fratture del collo del femore dovrà pertanto tenere conto di questi
presupposti. Un trattamento conservativo non chirurgico ovvero un trattamento chirurgico che
prevede un’osteosintesi sarà destinato al fallimento nel caso delle fratture mediali, mentre sarà
coronato da successo nelle fratture laterali trocanteriche.
Le fratture mediali in soggetti giovani, nei quali si può presumere che la testa possa ricevere sangue
nutritizio dall’arteria centrale non obliterata del legamento rotondo, e che non si presentano molto
scomposte, possono richiedere un trattamento chirurgico che prevede l’osteosintesi. In tutti gli altri
casi di fratture mediali (trancervicali p.d., sottocapitate etc.) il trattamento dovrà essere chiurgico e
consisterà in una artroplastica sostitutiva con protesi parziale o totale di anca.
Le fratture laterali prevedono un trattamento chirurgico di osteosintesi (chiodo gamma, chiodo
placca, vite-placca, etc.) l’unico che permette di mobilizzare questi ammalati per lo più anziani,
migliorarne le possibilità di nursing e consentire una rapida deambulazione.
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