4. La divisione ereditaria

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4. La divisione ereditaria
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si acquistano i beni formanti la massa ereditaria, regolata, a norma dell’art. 51,
dalla lex rei sitae.
Per quanto riguarda il legame di parentela richiesto per succedere,
in dottrina si ritiene che esso debba essere determinato, facendo riferimento
alla legge chiamata in via principale a regolare la parentela, secondo le nostre
regole di diritto internazionale privato (Ballarino, Mosconi, Campiglio).
4. La divisione ereditaria
Anche il co. 3 dell’art. 46, che contempla l’istituto della divisione ereditaria,
fa spazio all’autonomia negoziale dei soggetti interessati, riflettendo da un lato
l’esigenza di coerenza nel quadro delle norme regolatrici della successione, e
dall’altro l’esigenza di risolvere dubbi interpretativi sollevati in mancanza di
una specifica disciplina (problemi di contemperamento tra lex rei sitae e lex
successionis).
Prima dell’intervento della legge di riforma, si riteneva che la fattispecie
fosse riconducibile all’ambito di applicazione della norma di conflitto relativa
alle obbligazioni contrattuali (art. 25 disp. prel.), poiché la Convenzione di
Roma del 19 giugno 1980 esclude dal proprio ambito di applicazione le obbligazioni contrattuali relative a testamenti e successioni.
La legge n. 218/1995 ha invece introdotto una norma specifica dedicata
alla divisione ereditaria, l’art. 46 co. 3, volta a determinare la legge regolatrice
di tutte le ipotesi di divisione ereditaria e, dunque, anche di quella amichevole
e contrattuale.
Il primo problema da affrontare, dunque, è quello del rapporto tra tale
disposizione e quella di cui all’art. 57, che estende l’ambito di applicazione della Convenzione di Roma a tutti i tipi di obbligazioni contrattuali,
ossia anche a quelle di cui la Convenzione di per sé non si occupa. Ebbene, la
dottrina maggioritaria (Mosconi, Campiglio, Clerici, Ballarino) propende per
l’applicazione dell’art. 46, co. 3, a tutte le divisioni, anche a quelle contrattuali,
in forza del principio di specialità.
La divisione ereditaria è attualmente regolata dalla lex successionis; tuttavia è
consentito ai condividenti di designare un’altra legge, d’accordo tra
loro, seppur tale libertà di scelta sia circoscritta entro precisi limiti: i condividenti potranno optare per la legge del luogo dell’apertura della successione
o del luogo dove si trovano uno o più beni ereditari.
Il riferimento ad uno o più beni non può essere interpretato nel senso che
beni diversi vengano sottoposti a diverse discipline, ma nel senso che l’intera
eredità verrà regolata dalla legge dello Stato dove si trovano uno o più beni
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ereditari. L’accordo dei condividenti non può, infatti, determinare un frazionamento della legge applicabile e deve essere validamente concluso.
Non è invece richiesto dall’art. 46, co. 3, che la scelta si indirizzi verso la
legge di uno Stato che accolga il principio dell’immediato acquisto dei diritti
successori da parte dell’erede, tradizionale nel diritto italiano (Mosconi, Ballarino), secondo quanto invece suggerisce la Relazione al disegno di legge.
La stretta attinenza dell’istituto al regime della proprietà, fa sì che la lex
successionis o la legge designata dai condividenti non esauriscano la disciplina
della divisione. Occorrerà, infatti, far riferimento alla lex rei sitae quale legge
regolatrice del possesso e dei diritti reali (art. 51) e quale legge regolatrice della
pubblicità degli atti (art. 55). Per quanto concerne infine la divisione giudiziale, dovrà farsi riferimento alla lex fori (art. 12).
Come già chiarito dalla Commissione preparatrice del testo, la disposizione
non troverà applicazione nel caso in cui il diritto richiamato dai condividenti
– così come accade nei paesi di Common law – accolga il principio secondo
cui i diritti successori non sono acquistati direttamente dagli eredi, ma solo
successivamente, allorquando un amministratore (“executor” o “administrator”)
ne effettui il trasferimento agli stessi.
Una volta che si sia stabilito quale sia la legge che regola una determinata
divisione ereditaria, infine, si pone il successivo ulteriore problema di individuare se tutte le norme della disciplina che risulta applicabile debbano essere
utilizzate, o se debba ulteriormente discriminarsi.
Sembra ragionevole affermare come necessaria l’applicazione delle norme che identificano i soggetti che devono intervenire nella divisione, di quelle relative alla formazione dello
stato attivo e passivo dell’eredità, di quelle relative a collazione di liberalità e a imputazione
di debiti nei confronti del defunto, di quelle relative alla formazione delle porzioni e alla
loro assegnazione o attribuzione, di quelle che prevedono in favore dei coeredi diritti di
prelazione, di quelle che regolano gli effetti della divisione e gli obblighi tra coeredi, nonché di quelle relative alla impugnabilità della divisione stessa.
Qualche incertezza può, tuttavia, sorgere con riferimento alle norme che statuiscono un
diritto di prelazione in favore dei coeredi, trattandosi di un diritto tutelato con una azione
dotata di una autonomia propria rispetto al procedimento divisorio.
5. Capacità di testare
Pur contenendo regole generali in materia di capacità, la legge di riforma
in relazione ad alcuni istituti o rapporti torna sulla questione della legge regolatrice della capacità per superare in maniera del tutto esplicita incertezze nate
in relazione alla disciplina previgente, e soprattutto per prevenire l’insorgere
di dubbi.
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Nello specifico, la capacità di testare si acquisisce talvolta prima della maggiore età, ma mai
dopo: in taluni ordinamenti, i minori possono disporre con testamento purché si assolva a
specifici adempimenti formali (il ricorso al testamento pubblico, ed è il caso di Germania
e Spagna) oppure sostanziali (la disposizione di parte del patrimonio, come in Francia,
Belgio e Lussemburgo).
Nella maggior parte dei casi, poi, la capacità di testare (quanto all’età) fa parte dello statuto
ereditario, per cui è regolata dalla stessa legge che regola la successione; fanno eccezione
gli ordinamenti di common law, la Russia, la CSI e la Cina.
A fronte di una omessa previsione in tema di capacità di succedere – che
pertanto ricade nell’ambito di applicazione della legge richiamata dall’art. 46
−, quanto alla capacità di disporre dei propri beni per testamento, che
in taluni ordinamenti si acquista prima del raggiungimento della maggiore
età, l’art. 47 richiama la legge nazionale del disponente al momento
del testamento e precisa che in relazione alla modifica e alla revoca si dovrà
valutare la capacità secondo la legge dello Stato di cui il testatore era cittadino
al momento appunto della modifica o della deroga.
La scelta del legislatore di cristallizzare al momento della confezione del
testamento la legge nazionale del de cuius risponde verosimilmente all’esigenza
di evitare che questi, defunto dopo aver cambiato cittadinanza ma prima di
aver potuto verificare la sussistenza dei requisiti di capacità di testare secondo
la nuova legge nazionale, si trovi nell’impossibilità di sanare le eventuali conseguenze – in tal modo irreparabili – sulla validità delle proprie disposizioni
testamentarie.
Va infine evidenziato che, in mancanza di esplicite indicazioni circa la
legge in base alla quale valutare i vizi del consenso del testatore ed i
loro effetti sulla validità del testamento, sembra ragionevole condurre
anche tali importanti questioni alla legge richiamata dall’art. 46 per regolare
la successione.
6. Requisiti formali del testamento. Il “testamento internazionale”
Il legislatore di diritto internazionale privato ha seguito la ratio del nostro
diritto materiale, improntato ad un notevole grado di liberalità quanto
alla disciplina della forma del testamento, presumibilmente pensando
che l’autonomia dell’individuo nel decidere quale sorte debbano avere i suoi
beni dopo la sua morte, debba e possa sottostare a restrizioni di merito, previste dalla legge, pur tuttavia restando libera da “impacci” quanto alle modalità
di manifestazione.
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Nell’art. 48, evidentemente ed esplicitamente ispirato al favor validitatis, si
ha dunque il richiamo alternativo di ben sette leggi potenzialmente tutte distinte tra loro, mediante il concorso di quattro criteri di collegamento: il
luogo di formazione del testamento, la cittadinanza, il domicilio e la residenza
del testatore, questi ultimi tre riferiti a due momenti distinti, ossia a quello
della formazione del testamento ed a quello della morte del testatore, per superare eventuali diversità tra ordinamenti.
Attraverso tale disposizione, il nostro legislatore ha dettato una disciplina
sostanzialmente omogenea con quella in vigore per gli Stati contraenti della
Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961 sui conflitti di leggi in materia di
forma delle disposizioni testamentarie, non ratificata dall’Italia. L’unica differenza sta nel mancato richiamo della legge del luogo di situazione degli
immobili, la cui omissione è giustificata in nome del principio di universalità
della successione che informa il diritto italiano: il ricorso alla lex rei sitae per gli
immobili potrebbe, infatti, comportare una scissione tra successione mobiliare
e successione immobiliare.
Questione particolarmente dibattuta in dottrina, riguarda la qualificazione del testamento congiuntivo, espressamente vietato dalla legge italiana (art. 589 c.c.) a garanzia
della libertà del testatore. Ed invero, se si ritiene che il carattere congiuntivo rientri tra gli
aspetti sostanziali del testamento, si deve applicare, ai sensi dell’art. 46, la legge nazionale
del de cuius al tempo della morte (Vitta, Ballarino). Se invece la congiuntività è considerata
come elemento formale del testamento si dovrebbe applicare, in via alternativa, una delle
leggi richiamate dall’art. 48 (Mosconi, Campiglio). L’opinione prevalente, suffragata dalla
Convenzione dell’Aja, è a favore di questa seconda soluzione.
Infine, vale la pena ricordare che, come per tutte le altre disposizioni attinenti alla forma degli atti, non trova applicazione il meccanismo del rinvio
(art. 13, co. 2, lett. b). Ciò sta a significare che, ad esempio, un cittadino inglese
alla cui successione fosse applicabile la legge italiana per via del rinvio, potrebbe comunque validamente testare secondo le proprie forme, con un olografo
dinanzi a testimoni, e così via.
In materia di successione testamentaria non può essere trascurato un richiamo all’adesione dell’Italia alla Convenzione di Washington del 26 ottobre 1973
sull’adozione di norme uniformi in materia testamentaria (c.d. testamento internazionale), costituente un caso di diritto internazionale privato convenzionale.
Scopo della Convenzione, secondo la relazione che la correda, è quello di
creare uno strumento che ponga al riparo da ricerche sulla validità formale dei
testamenti provenienti dall’estero.
Si prevede, invero, che il rispetto dei requisiti formali dalla stessa previsti assicura sotto il profilo formale la validità del testamento, indipendentemente dal
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luogo in cui è stato fatto, dalla situazione dei beni, dalla nazionalità, residenza o
domicilio del testatore. In particolare, si è parlato di introduzione convenzionale ed internazionale di norme di applicazione necessaria, in quanto più che
individuare un unico criterio di collegamento riconosciuto da tutti gli Stati
contraenti, la Convenzione ha predisposto direttamente una disciplina
unitaria della forma del testamento.
Nello specifico, i requisiti formali prescritti possono riassumersi (i) nella forma scritta (non necessariamente autografa), (ii) nella sottoscrizione da parte del
testatore, (iii) nella dichiarazione del testatore alla presenza di due testimoni che
l’atto contiene le sue ultime volontà, (iv) nella ricezione di tali atti da parte di
una persona abilitata secondo l’ordinamento di ciascuno degli Stati contraenti.
Ciò sta a significare che chiunque vi può accedere, anche se manchi qualsiasi elemento di estraneità, così costituendo, in ogni caso, uno strumento a
disposizione di tutti, cittadini italiani compresi. La nullità del testamento internazionale non pregiudica, infatti, la sua eventuale validità sotto l’aspetto della
forma in quanto testamento di altra specie.
L’Italia ha emanato la legge 29 novembre 1990, n. 387, di autorizzazione all’adesione alla
Convenzione, la quale è in vigore per il nostro Paese dal 16 novembre 1991. Detta legge
dispone, all’art. 3, che i soggetti abilitati a ricevere gli atti previsti dall’annesso alla convenzione di cui all’art. 1 sono i notai, limitatamente al territorio nazionale, e gli agenti
diplomatici e consolari all’estero, ove la legge dello Stato estero lo consenta.
7. La successione dello Stato
Fra le innovazioni della legge n. 218/1995, va segnalato l’art. 49, che disciplina l’acquisto da parte dello Stato dei c.d. bona vacantia, ossia dei
beni di quanti muoiono senza lasciare eredi, così risolvendo una questione
molto dibattuta in passato. Il problema è quello della sorte dei beni situati in
Italia che rientrano nella successione vacante di uno straniero e, viceversa, dei
beni situati all’estero che rientrano nella successione vacante di un italiano: a
tal proposito il legislatore ha dunque previsto una norma che però risolve la
questione – almeno in apparenza − solo parzialmente.
L’art. 49 si occupa, infatti, soltanto dei beni vacanti situati in Italia, stabilendo che ove la legge che regola la successione non la devolva jure hereditatis allo Stato nazionale del de cuius – così come previsto dall’art. 586
c.c. – i beni ereditari situati in Italia sono devoluti allo Stato italiano.
Per i beni vacanti situati in altri Stati, invece, dall’art. 49 si desume che, se
la legge nazionale del de cuius considera lo Stato nazionale come l’ultimo dei
successibili, esso è tale anche per il giudice italiano.
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In passato, in assenza di una specifica normativa, sorgeva il problema della
qualificazione giuridica da attribuire alle pretese dello Stato, e cioè
se lo Stato ereditasse in base ad un vero e proprio diritto successorio o piuttosto nell’esercizio di una potestà pubblicistica (come nei Paesi di common law).
Questa diversa qualificazione del rapporto creava insolite situazioni. Nell’ipotesi di un cittadino britannico che morendo avesse lasciato beni mobili in
Italia, in mancanza di successibili su tali beni non vantava pretese né lo Stato
britannico, in quanto i beni non si trovavano nel suo territorio, nè lo Stato
italiano, in quanto mancava nel nostro ordinamento qualsiasi indicazione al
riguardo (l’art. 586 c.c. può trovare applicazione solamente nell’ipotesi in cui
il de cuius sia italiano).
La disposizione in esame, così come confermato dalla dottrina, permette di
qualificare l’acquisto dei beni ereditari dello Stato non come acquisto a titolo
derivativo di natura ereditaria, ma come acquisto a titolo originario in
forza di una potestà pubblicistica. In questo senso, come è stato osservato
in dottrina, l’art. 49 rappresenta l’estensione ai beni mobili del principio generale posto per gli immobili dall’art. 827 c.c.
Occorre peraltro tenere presente che, qualora la lex successionis di cui all’art.
46 sia determinata attraverso il meccanismo del rinvio (art. 13), vi potrebbero
essere conseguenze di rilievo in ordine all’individuazione dei successibili e
all’inclusione dello Stato fra di essi.
8. Trust e patti successori
È il caso di segnalare le difficoltà in cui s’incorre allorquando ci si trovi
di fronte ad un trust istituito sul patrimonio del de cuius, o a patti successori
inseriti in un testamento congiuntivo o in un altro atto, sia esso inter vivos o
mortis causa.
Quelli volontariamente istituiti sono l’unica categoria di trusts ammessa nel
nostro ordinamento, nonostante l’esperienza dei Paesi di common law ne rechi
anche altre categorie. Questo istituto, di origine anglosassone, ha acquisito un
diritto di cittadinanza grazie alla Convenzione sulla legge applicabile ai trusts e sul
loro Riconoscimento, adottata all’Aja il 1 luglio 1985, ratificata dall’Italia con la
legge 9 ottobre 1989, n. 364 ed entrata in vigore il 1 gennaio 1992.
Con tale ratifica, si è creata una situazione apparentemente singolare, dal
momento che il nostro Paese (primo tra quelli di civil law) si è impegnato, ai
sensi dell’art. 11 Conv., a riconoscere nel proprio ordinamento gli effetti dei
trust che posseggono i requisiti dell’art. 2 della Convenzione stessa, senza però
avere una disciplina interna generale della materia.
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In linea di massima il trust costituisce un rapporto in virtù del quale un
dato soggetto, denominato trustee, al quale sono attribuiti i diritti e i poteri di
un vero e proprio proprietario, gestisce un patrimonio trasmessogli da un altro
soggetto, denominato disponente (o settlor), per uno scopo prestabilito, purché
lecito e non contrario all’ordine pubblico, nell’interesse di uno o più beneficiari
o per un fine specifico.
Nello specifico, la Convenzione citata, nel delimitare il proprio campo di
applicazione, individua come tratti distintivi del fenomeno cui si applica, le
seguenti caratteristiche:
a) i beni del trust costituiscono una massa distinta e non fanno parte del patrimonio del trustee;
b) i beni del trust sono intestati a nome del trustee o di un’altra persona per
conto del trustee;
c) il trustee è investito del potere ed onerato dell’obbligo, di cui deve render
conto, di amministrare, gestire o disporre beni secondo secondo i termini
del trust e le particolari norme impostegli dalla legge.
Quanto al trust istituito mortis causa, basta ricordare che, in forza del
dettato convenzionale, l’attribuzione dei beni ricompresi nel trust all’asse ereditario va effettuata sulla base della legge indicata da chi ha costituito il trust o
della legge con cui il trust presenta il collegamento più stretto.
Si pensi al caso di un’istituzione di un trust testamentario ove siano attribuiti al trustee
alcuni beni – che compongono l’asse ereditario – situati in Italia. L’interprete sarà tenuto
a contemperare la lex successionis (art. 46) con il disposto della legge regolatrice del trust e
della lex rei sitae (art. 51) che regola i diritti reali (Trib. Brescia, 25 novembre 1999) (Migliazza).
Ciò da cui invece il trust non può prescindere è la tutela dei legittimari. È
vero che il trust che vìoli i diritti dei legittimari non è nullo ma impugnabile
con l’azione di riduzione, ma ciò ne fa venir meno almeno in parte l’utilità
come strumento di pianificazione familiare, e quindi un trust costituito secondo la legge britannica che non conosce la riserva, seppur valido offre il fianco
all’azione di riduzione e rischia di vedersi ridistribuire i beni oggetto della
pianificazione. Qualche osservazione meritano infine i problemi che si presentano allorquando la lex successionis ammetta istituti vietati in Italia. È il caso, ad esempio,
dei patti successori, vietati dall’ordinamento italiano (art. 458 c.c.), ma tuttavia ammessi da un numero sempre crescente di ordinamenti stranieri, nonché dalla Convenzione dell’Aja del 1 agosto 1989 sulla legge applicabile alle
successioni (di cui l’Italia non è parte contraente).
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Verosimilmente proprio in virtù dell’esplicito divieto posto dal nostro ordinamento, la legge di riforma del diritto internazionale privato non contiene alcuna disposizione diretta espressamente alla disciplina dei
patti in esame, ovvero degli atti con i quali taluno s’impegna a disporre della
propria successione (patti successori istitutivi), o dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta (patti successori dispositivi)
o, infine, rinuncia a diritti che gli possono spettare su una successione non
ancora aperta (patti successori rinunziativi).
Tanto premesso, ci si domanda quale sia allora il criterio di collegamento
applicabile ai patti successori, in presenza di due riferimenti che appaiono
logicamente ipotizzabili.
Ed invero, se da un lato il contesto mortis causa dell’atto induce a privilegiare il riferimento alla regola di cui all’art. 46 l. 218/1995 (ovvero alla legge
nazionale del de cuius al momento della morte), ex adverso, accordando maggiore attenzione al profilo negoziale, si farà riferimento agli articolati criteri di
collegamento fissati dall’art. 57 della stessa legge per le obbligazioni contrattuali in genere (infra, cap.VII).
L’orientamento della giurisprudenza è nel senso di ritenere che i patti successori siano regolati dalla legge applicabile ai sensi dell’art. 46 (e non secondo
i criteri dell’art. 57 per le obbligazioni contrattuali), e che essi siano ammissibili qualora nel caso concreto non contrastino con l’ordine pubblico
(Cass. Civ., 5 aprile 1984, n. 2215).
La prima soluzione sembrerebbe in ogni caso preferibile, in quanto senza
dubbio più coerente con la collocazione sistematica che i patti successori ricevono nel nostro ordinamento.
Va da sé che qualora la norma di conflitto, comunque individuata, richiami
come applicabile il diritto italiano, il patto successorio dovrà essere considerato nullo, tale essendo il trattamento ad esso riservato nel sistema giuridico
nazionale.
9. Disciplina comunitaria e certificato successorio europeo
Nell’ottica di garantire la libera circolazione delle persone, l’organizzazione
anticipata da parte dei cittadini europei della loro successione in un contesto
europeo, e la protezione dei diritti degli eredi e dei legatari, e delle persone
vicine al defunto nonché dei creditori della successione, il legislatore dell’Unione europea è intervenuto sul diritto internazionale privato con il Regolamento n. 650/2012 del 4 luglio 2012.
La scelta di apporre numerose ed importanti modifiche alla materia successoria a livello di regolamentazione europea è evidentemente conseguenza del
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fatto che i summenzionati obiettivi non possono essere conseguiti in misura
sufficiente dagli Stati membri, ma necessitano dell’intervento dell’Unione sulla base del principio di sussidiarietà contenuto nell’art. 5 del Trattato sull’UE,
nonché in ottemperanza al principio di proporzionalità sancito dallo stesso
articolo.
A fronte delle 450.000 successioni internazionali che si aprono ogni
anno nell’Unione europea, per un valore complessivo di oltre 120 miliardi
di euro, il legislatore europeo cerca di contribuire al corretto funzionamento del mercato interno rimuovendo gli ostacoli alla libera circolazione di
persone che, attualmente, incontrano difficoltà nell’esercizio dei loro diritti
nell’ambito di una successione con implicazioni transfrontaliere. Difficoltà
dovute alla diversità delle norme di diritto sostanziale e delle norme che
regolano la competenza internazionale o la legge applicabile, alla molteplicità delle autorità che possono essere adite nell’ambito di una successione
internazionale e alla frammentazione delle successioni che il divergere di tali
norme può comportare.
La normativa europea mira, da un lato, a fare chiarezza sulle numerose questioni che possono insorgere in materia di successioni transnazionali a causa
delle differenze normative esistenti tra i vari Paesi europei; dall’altro, a facilitare
l’esecuzione delle volontà testamentarie ed evitare lunghi iter procedurali nel
caso di un cittadino europeo deceduto in un Paese diverso da quello d’origine
il cui testamento coinvolga più di un sistema giuridico nazionale.
Il contenuto del regolamento può essere sintetizzato in quattro
parti fondamentali: la prima che concerne l’ambito di applicazione, la competenza e la legge applicabile a tali successioni; la seconda il riconoscimento,
l’esecutività e le decisioni in materia; la terza concerne gli atti pubblici e le
transazioni giudiziarie; infine la quarta, che costituisce la grande novità, istituisce il certificato successorio europeo.
L’intero sistema si basa sul principio di libera scelta dei cittadini
in materia di successioni.
In realtà, le regole europee introducono due modalità di successione
internazionale:
1) la normativa in materia di successioni è ancorata all’ultimo Paese di residenza abituale del defunto al momento della morte. In pratica, alla
morte di un cittadino in uno Stato membro diverso da quello d’origine, la
sua eredità sarebbe in linea di principio, regolamentata secondo le leggi del
Paese dove ha avuto l’ultima residenza abituale (criterio di collegamento
generale), e quindi anche dai Tribunali e dalle autorità di tale Paese. In tal
modo si dovrebbe evitare l’insorgere di conflitti allorché più Tribunali di
diversi Paesi si dichiarino competenti su uno stesso atto testamentario;
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2) la seconda modalità di regolazione delle successioni s’incardina, invece, sul
principio della libera scelta del defunto (art. 22). In tal caso, il de cuius ha possibilità di scegliere che sia la legge del proprio Paese d’origine a
regolare le ultime volontà (criterio di collegamento manifestatamente più
stretto). Si garantirebbe così la possibilità, per chiunque viva all’estero, di
conservare il legame con il Paese d’origine e di veder le proprie volontà
rispettate secondo le disposizioni nazionali.
La semplificazione arriva, inoltre, dall’utilizzo dello stesso criterio per l’individuazione del Tribunale dello Stato membro competente, che è quello nel quale il de cuius aveva la sua residenza abituale al momento della morte.
Va osservato che se la legge scelta dal defunto per regolare la sua successione
è la legge di uno Stato membro, le parti interessate possono convenire che
un organo giurisdizionale o gli organi giurisdizionali di tale Stato membro
abbiano competenza esclusiva a decidere su qualsiasi questione legata alla successione.
Le decisioni emesse in uno Stato membro sono riconosciute negli
altri Stati membri senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento
particolare. Tuttavia, in caso di contestazione, ogni parte interessata che chieda
il riconoscimento in via principale di una decisione può far accertare che
quest’ultima sia riconosciuta.
Le decisioni non sono riconosciute quando siano, ad es., contrarie all’ordine pubblico
dello Stato membro in cui è richiesto il riconoscimento, o quando siano incompatibili con
una decisione emessa in un procedimento tra le stesse parti nello Stato membro in cui è
richiesto il riconoscimento. In nessun caso, però, la decisione emessa in uno Stato
membro può formare oggetto di un riesame del merito.
C’è ancora da segnalare che, al fine di regolare all’interno dell’Unione in modo rapido, agevole ed efficace una successione con implicazioni
transfrontaliere, il regolamento (UE) 650/2012 ha previsto il certificato
successorio europeo, da rilasciare per essere utilizzato in un altro Stato
membro. È disciplinato nella sua interezza dagli artt. 62 e ss., che ne regolamentano istituzione, scopo, modalità e procedura di rilascio, nonché
contenuto ed effetti.
Il certificato è destinato ad essere utilizzato da tutti coloro i quali abbiano
necessità di far valere la loro qualità o di esercitare i loro diritti di eredi o legatari e/o i loro poteri come esecutori testamentari o amministratori dell’eredità in un altro Stato membro senza dover ricorrere ad alcun procedimento
particolare. Non è obbligatorio e non sostituisce i documenti interni utilizzati
per scopi analoghi negli Stati membri; tuttavia, una volta rilasciato per essere
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utilizzato in un altro Stato membro, il certificato produce i suoi effetti anche
nello Stato membro le cui autorità lo hanno rilasciato.
Una delle novità introdotte dalla legge europea 2013 bis, approvata il 21
ottobre 2014, che aggiunge un tassello importante in vista dell’attuazione del
regolamento (Ue) 650/2012, attiene alla competenza esclusiva dei notai nella
adozione del certificato successorio europeo. Il testo Ue lasciava spazio agli
Stati nell’individuazione dell’organo giurisdizionale competente ad emettere
il certificato che avrà valore anche negli altri Stati membri. L’Italia, con l’art.
38 della legge europea, attribuisce la competenza ai notai, individuati come
unica autorità competente ad emettere il certificato successorio su richiesta
degli interessati.
Per quanto riguarda, infine, l’ambito di applicazione il regolamento
in commento si applica alle successioni mortis causa, mentre non concerne la
materia fiscale, doganale e amministrativa.
Espressamente escluse dall’ambito di applicazione sono, ad es., le questioni attinenti: lo status delle persone fisiche, i rapporti di famiglia e i rapporti che secondo la legge applicabile
a questi ultimi hanno effetti comparabili; le questioni riguardanti la scomparsa, l’assenza o
la morte presunta di una persona fisica; le questioni riguardanti i regimi patrimoniali tra
coniugi e i regimi patrimoniali relativi a rapporti che secondo la legge applicabile a questi
ultimi hanno effetti comparabili al matrimonio; la validità formale delle disposizioni a
causa di morte fatte oralmente.
Ai sensi dell’art. 84, esso si applicherà a decorrere dal 17 agosto 2015,
tranne che per gli artt. 77 e 78 − che troveranno applicazione a decorrere dal
16 gennaio 2014 − e per gli artt. 79, 80 e 81 – già in vigore dal 5 luglio 2012.
Nonostante Danimarca, Regno Unito e Irlanda non abbiano partecipato
all’adozione del regolamento, e non siano dunque vincolati da esso né soggetti
alla sua applicazione, il regolamento (UE) 650/2012 è stato accolto nel suo
complesso favorevolmente, concordandosi sul fatto che esso chiarisce le regole
applicabili alle successioni internazionali, apportando una maggiore sicurezza
giuridica ai cittadini ed alle loro famiglie.