7IJ2I9-faeefe! - Aiccre Lombardia

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Rue Belliard, 101 _ B-1040 Bruxelles
T +32 (0)2 282 22 11 _ F +32 (0)2 282 23 25
ISBN 978-92-895-0445-4
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Gli enti
locali e regionali
nel cuore dell’Europa
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Gli enti
locali e regionali
nel cuore dell’Europa
Il Comitato delle regioni celebra
il 50o anniversario dei Trattati di Roma
Europe Direct è un servizio a vostra disposizione per aiutarvi
a trovare le risposte ai vostri interrogativi sull’Unione europea
Numero verde unico (*):
00 800 6 7 8 9 10 11
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Una scheda bibliografica figura alla fine del volume.
Lussemburgo: Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, 2007
ISBN 978-92-895-0445-4
© Comunità europee, 2007
Riproduzione autorizzata con citazione della fonte.
Printed in Belgium
STAMPATO SU CARTA SBIANCATA SENZA CLORO
Sommario
Dichiarazione per l’Europa del Comitato delle Regioni .................................... 6
Sessione solenne ..................................................................................................... 9
Prefazione ...................................................................................................................................................................... 9
Hans-Gert POETTERING, presidente del Parlamento europeo ................................................................................ 9
Apertura solenne .................................................................................................................................................... 13
Giorgio NAPOLITANO, presidente della Repubblica italiana .................................................................................. 13
Piero MARRAZZO, presidente della regione Lazio ....................................................................................................... 14
Walter VELTRONI, sindaco di Roma ..................................................................................................................................... 18
Michel DELEBARRE, presidente del Comitato delle regioni .................................................................................... 20
Il rilancio del progetto europeo e gli enti locali e regionali.............................................................. 23
Jean ASSELBORN, vice primo ministro e ministro degli Affari esteri e dell’immigrazione –
Lussemburgo ........................................................................................................................................................................................ 23
Massimo D’ALEMA, ministro degli Esteri italiano .......................................................................................................... 26
Günter GLOSER, ministro aggiunto («Staatsminister») per gli Affari europei presso il ministero
federale degli Affari esteri – Germania ................................................................................................................................ 29
Alberto NAVARRO, segretario di Stato per l’Unione europea – Spagna .......................................................... 32
José Manuel BARROSO, presidente della Commissione europea ........................................................................ 35
Romano PRODI, presidente del Consiglio dei ministri italiano ................................................................................ 38
L’Europa di domani e il contributo degli enti locali e regionali .................................................... 42
1a tavola rotonda : decentramento ....................................................................................................................................... 42
2a tavola rotonda : coesione ...................................................................................................................................................... 44
3a tavola rotonda : sviluppo sostenibile ............................................................................................................................... 45
Sessione per l’adozione della Dichiarazione per l’Europa da parte dei membri del Comitato
delle regioni ........................................................................................................................................................................................... 48
Postfazione ............................................................................................................ 51
Perché una dichiarazione per l’Europa? ............................................................................................................... 51
Dichiarazione di Berlino ............................................................................................................................................... 57
3
Gli enti locali e regionali
DICHIARAZIONE PER L’EUROPA DEL COMITATO DELLE REGIONI
Noi membri del Comitato delle regioni, rappresentanti eletti dei territori, comuni, città e
regioni europee, riconosciamo l’inestimabile contributo dato dall’Unione europea negli ultimi
cinquant’anni alla pace, alla democrazia e alla prosperità e siamo !eri di avervi concorso.
Grazie alla costruzione europea:
-
i cittadini dell’Unione bene!ciano tutti i giorni di un ampio spazio di stabilità politica,
economica e monetaria privo di frontiere, nel quale possono circolare, studiare, formarsi, lavorare e consumare in condizioni di libertà e di sicurezza,
-
i progressi della democrazia, la sua estensione e lo sviluppo del modello sociale
europeo offrono possibilità incomparabili di realizzazione individuale e collettiva
nella vita familiare, professionale e sociale,
-
l’integrazione europea, basata sui principi di cooperazione e di partnership e sullo
Stato di diritto, permette ai cittadini di godere di condizioni di vita sicure e rispettose
dell’ambiente, additate come esempio nel mondo intero,
-
la politica di coesione economica e sociale, moderna espressione della solidarietà
europea, ha contribuito a dare ai cittadini gli strumenti per accrescere il loro tenore di
vita e accedere progressivamente, in ogni regione e città, a servizi pubblici di qualità
nei settori dell’istruzione, della sanità e dei trasporti,
-
i cittadini bene!ciano del rispetto della diversità culturale e linguistica e del riconoscimento dell’identità locale e regionale.
Nell’intento di dare una risposta ambiziosa alle aspettative degli europei, specialmente i più
giovani, in relazione alla costruzione europea, indichiamo come prioritari i seguenti obiettivi:
6
-
la promozione dei valori europei, fra i quali il rispetto dell’essere umano, delle sue libertà, dei suoi diritti e della sua dignità, i principi di solidarietà e responsabilità, lo Stato
di diritto e l’uguaglianza di fronte alla legge, la diversità culturale, il consolidamento
del modello sociale europeo, lo sviluppo dell’autonomia locale e regionale, come
pure della società civile. Questi valori costituiscono le basi per un patto di !ducia tra
l’Unione, i suoi vari livelli di governo e i suoi cittadini e !ssano i punti di riferimento
di un’identità collettiva europea,
-
il completamento del mercato interno in una logica di sviluppo sostenibile, equità e
inclusione, attingendo maggiormente alla ricchezza territoriale dell’Europa e alla sua
diversità,
-
l’approfondimento democratico della vita politica dell’Unione, grazie a elezioni
europee basate su chiare linee programmatiche e di bilancio e all’intensi!cazione dei
rapporti tra le assemblee democraticamente elette di ogni livello,
-
l’adeguamento delle competenze comunitarie nei settori in cui i cittadini apprezzano
e avvertono con chiarezza i vantaggi legati a un approccio europeo, nel rispetto dei
principi di sussidiarietà e di proporzionalità,
-
la coesione dell’Unione europea per rispondere meglio alla s!da della globalizzazione.
In qualità di rappresentanti dei luoghi di esercizio della democrazia e della solidarietà di prossimità, nonché spazio di progettualità e base per la formazione di un’identità culturale, siamo
convinti che il decentramento e la governance a più livelli costituiscano due dei modi migliori
per progredire nell’integrazione europea. Ci impegniamo collettivamente af!nché l’Europa
diventi un’entità politica forte alla quale i nostri cittadini siano !eri di appartenere, che ispiri
loro !ducia nel futuro e nei rapporti con il resto del mondo.
In questa prospettiva abbiamo la ferma intenzione di:
7
-
continuare a contribuire alla creazione di un’unione sempre più stretta tra i popoli d’Europa,
pur nel rispetto della diversità, dell’identità e dell’autonomia regionale e locale,
-
mantenere un dialogo diretto con i nostri cittadini sulle conquiste dell’Europa e sulle
s!de future, e affermare il ruolo del Comitato delle regioni nel processo decisionale
comunitario,
-
dare il nostro contributo sotto forma di risorse !nanziarie e umane per sostenere le
politiche europee su questioni fondamentali per i cittadini e per le generazioni future
(ad esempio, la tutela dell’ambiente e il riscaldamento climatico), allo scopo di sviluppare approcci comuni ef!cienti, solidi e sostenibili,
-
valorizzare e condividere le esperienze già acquisite nelle nuove forme di partecipazione civica, di sfruttamento culturale ed economico del potenziale territoriale, di
gestione della diversità e di cooperazione territoriale nell’Unione, alle sue frontiere e
nel resto del mondo,
-
sostenere i capi di Stato e di governo perché si giunga a una rapida conclusione del
processo costituzionale e dell’indispensabile riforma dei Trattati, senza rimettere in
discussione i risultati positivi ottenuti dagli enti territoriali, soprattutto in relazione al
controllo di sussidiarietà e alla coesione territoriale dell’Unione europea.
Gli enti locali e regionali
Sessione solenne
Prefazione
Il Comitato delle regioni
Sei settimane fa ho avuto modo di visitare
Maastricht in occasione di un evento speciale organizzato per celebrare il quindicesimo anniversario
della firma del Trattato sull’Unione europea, avvenuta in quella città nel 1992. Molti dei firmatari di
allora si sono ritrovati per discutere quella che è
stata una vera pietra miliare nella costruzione di
un’Europa più democratica, efficiente e capace.
Hans-Gert POETTERING,
presidente del Parlamento europeo
È un grande privilegio, oltre che un piacere, essere
vostro ospite per celebrare il 50° anniversario
della firma dei Trattati di Roma.
La decisione del Comitato delle regioni di riunirsi
a Roma in questi giorni è quanto mai opportuna.
Domenica prossima l’Unione europea compie mezzo
secolo, quindi non vi può essere momento o luogo
migliore per fare un bilancio di ciò che abbiamo
realizzato insieme e rivolgere lo sguardo al nostro
potenziale di azione comune nei prossimi anni.
La Dichiarazione di Roma, che discuterete e adotterete domani nel corso della sessione plenaria
del Comitato, afferma energicamente non solo
l’importanza dell’Unione europea per la costruzione di un futuro migliore per i nostri cittadini,
ma anche il ruolo cruciale che le regioni e gli enti
locali europei possono svolgere in quel processo.
9
Due elementi del Trattato di Maastricht che presentavano una rilevanza particolare, oltre a costituire due iniziative tra di loro interconnesse, sono
state l’istituzione del Comitato delle regioni e l’inclusione del principio di sussidiarietà.
Negli anni successivi a Maastricht avete mostrato
tutto il vostro valore. Infatti il Comitato, giovane
istituzione con l’impegnativo compito di rappresentare una comunità ampia e diversificata, ha già
svolto un prezioso lavoro di avvicinamento dell’Europa ai cittadini.
Il Parlamento europeo si compiace del vostro
concreto contributo - individuale e collettivo - al
miglioramento della qualità del processo decisionale europeo e alla riduzione del divario tra i cittadini e le istituzioni europee.
Siete un ottimo canale di comunicazione bilaterale che opera a fianco del Parlamento europeo,
e non in concorrenza con esso.
Gli enti locali e regionali
Per esempio, la vostra decisione di creare una rete
per il controllo del rispetto della sussidiarietà ha
dato vita a un importante strumento per lo scambio di informazioni tra soggetti europei, regionali e
locali in merito alle proposte della Commissione.
Queste proposte possono avere un impatto
enorme su chi, come voi, ha spesso il compito di
metterle in atto a livello regionale e locale.
Analogamente, la vostra piattaforma di monitoraggio della strategia di Lisbona promuove lo scambio
di informazioni in merito alle politiche europee di
riforma economica per aiutare a identificare sfide
e strozzature e concorrere alla ricerca di soluzioni
realistiche. La piattaforma attribuisce alle regioni
un ruolo più ampio, quello di parti interessate
nella strategia di Lisbona e di soggetti attivi nella
realizzazione dei suoi obiettivi.
Tanto per fare un esempio, uno dei principali
obiettivi di Lisbona è portare dal 62 al 70% il tasso
di occupazione della popolazione in età lavorativa.
Per conseguire questo obiettivo, soprattutto per
quanto riguarda i giovani e le donne, le decisioni
che assumete come rappresentanti eletti locali
e regionali possono essere determinanti. Che si
tratti di istruzione, cure sanitarie oppure orari di
apertura dei negozi, molto spesso è al livello di
base che viene realizzato il processo di Lisbona.
Il Comitato ha un ruolo di primo piano anche nel
comunicare ai cittadini i successi conseguiti con
l’integrazione europea. State partecipando molto
attivamente al programma di comunicazione
denominato “Piano D” e dimostrando i benefici
apportati dalla politica regionale e dalla politica di
coesione, che rappresentano ormai quasi la metà
del bilancio dell’UE. La Settimana europea delle
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regioni e delle città (gli Open Days), che organizzate ogni anno, diffonde questo messaggio in tutta
l’Unione.
La Costituzione europea
Il Parlamento europeo si compiace del pieno
sostegno che il Comitato ha sempre fornito nelle
fasi di elaborazione e ratifica del Trattato costituzionale. Questo sostegno è iniziato con il vostro
contributo alla Convenzione stessa ed è proseguito con il dialogo tra il Comitato e la commissione per gli affari costituzionali del Parlamento
europeo.
Il sostegno del Comitato alla Costituzione è
molto incoraggiante. Diverse parti del suo testo
valorizzano ulteriormente i rappresentanti locali e
regionali e i territori da loro rappresentati: il riconoscimento della diversità culturale e linguistica,
l’inclusione della coesione territoriale tra gli obiettivi dell’Unione, il rafforzamento del principio di
sussidiarietà, il processo di consultazione degli enti
locali e regionali nelle fasi prelegislative, le nuove
disposizioni sulla democrazia partecipativa, il riconoscimento di uno statuto speciale alle regioni
periferiche e così via.
Il mio auspicio è che la Dichiarazione di Berlino,
la cui adozione è prevista questa domenica, dia
nuovo slancio al processo costituzionale. Questa Dichiarazione sarà l’occasione per illustrare i
nostri successi, i nostri valori e le nostre speranze
per il futuro.
Spero anche che, al prossimo vertice di giugno, il Consiglio europeo decida di convocare
in tempi brevi una Conferenza intergovernativa
che apporti i necessari cambiamenti al testo originario. Dobbiamo fare in modo che la sostanza
della Costituzione sia mantenuta in un eventuale
nuovo documento, magari più sintetico. Il nostro
obiettivo dovrebbe essere l’adozione di quel
testo in tempo per le prossime elezioni europee
del giugno 2009.
Lo scopo principale dei cambiamenti istituzionali è
accrescere sia la democraticità che l’efficienza del
progetto europeo. Guardo già con interesse al
proseguimento del nostro lavoro comune verso
questo traguardo.
Realizzare l’Europa
sul territorio
Il Comitato delle regioni svolgerà un ruolo sempre più ampio nell’Europa di domani. Nei prossimi
anni, nella nuova Europa che stiamo costruendo,
gli enti locali e regionali conteranno di più, non
di meno.
Come i membri del Parlamento europeo, anche
voi, in quanto rappresentanti eletti, siete schierati
in prima linea in Europa: avete modo di constatare con i vostri occhi in che modo la politica
interagisce con i cittadini. Gli organi che rappresentate saranno estremamente importanti nella
realizzazione dell’Europa sul territorio. Abbiamo
già accennato alla strategia di Lisbona: la situazione che caratterizza questa strategia diventerà
sempre più la norma.
Nel Parlamento europeo attribuiamo grande
importanza all’intero pacchetto “Legiferare meglio”.
11
Per noi il procedimento legislativo è un susseguirsi
di interventi, che parte dalla consultazione lanciata
dalla Commissione prima di elaborare una proposta e finisce con il recepimento dell’atto approvato
e con la sua attuazione e applicazione.
I membri del Comitato e quelli del Parlamento
europeo, quindi, sono associati in un’impresa
comune. Vogliamo infatti legiferare meglio ed elaborare politiche migliori, più rispondenti ai bisogni
dei cittadini. È questo che intende José Manuel
Barroso quando parla della realizzazione di una
“Europa dei risultati”.
Se riusciremo a conseguire più risultati, i cittadini
guarderanno in modo più positivo all’Europa e, se
riusciremo ad apportare gli indispensabili miglioramenti al Trattato costituzionale, il conseguimento
di tali risultati sarà più facile per l’Europa. Le due
cose vanno di pari passo.
Conclusione
Helmut Kohl disse un giorno: “I veri idealisti sono
i visionari”. Cinquant’anni fa, in questa città, una
compagine di visionari ha dato il via a un audace
esperimento: superare gli odi del passato e
costruire una forma di governo nuova, sovranazionale, in cui la vitalità dello Stato nazionale fosse
posta al servizio dei popoli dell’Europa intera.
Era un esperimento unico nel suo genere, e lo
è ancora.
Il successo di quei visionari ha superato le loro
previsioni più rosee. Nel guardare ai prossimi
cinquant’anni abbiamo quindi ancora motivo di
essere fiduciosi e ottimisti. Nel mezzo secolo che
Gli enti locali e regionali
ci aspetta, la vitalità delle regioni e delle città, in
cui vivono i 500 milioni di cittadini europei, svolgerà l’importante funzione di nuovo motore della
costruzione europea.
12
Rendo quindi omaggio al vostro lavoro, da partner e da amico, e auguro al Comitato delle regioni
grande successo nello svolgimento di questa
importante funzione.
Apertura solenne
alta missione di ricerca e definizione di interessi
comuni in un contesto sopranazionale, contribuendo a superare ogni tentazione di ritorno a
forme di egoistico particolarismo e di nazionalismo.
Giorgio NAPOLITANO,
presidente della Repubblica italiana
Le celebrazioni del cinquantesimo anniversario
della firma dei Trattati di Roma sono state una
importante occasione per riaffermare le ragioni di
un forte impegno politico ad ogni livello in favore
del processo di integrazione europea e dell’indispensabile rinnovamento in senso costituzionale
dell’Unione.
Le istituzioni democratiche dei nostri paesi devono
nel loro insieme saper cogliere la domanda d’Europa che è diffusa tra i cittadini. Un ruolo particolare spetta alle regioni e alle autorità territoriali,
che possono essere modelli di partecipazione e
soggetti politici attivi in favore di una maggiore
unità europea. La prossimità ai cittadini delle istituzioni regionali e locali può essere di particolare
stimolo per una politica che non rinneghi la sua
13
Dopo i difficili negoziati per la definizione del
mandato della nuova Conferenza Intergovernativa occorre l’impegno di tutte le istituzioni, delle
forze politiche e dei cittadini europei, per salvaguardare l’ambizione delle riforme necessarie per
fare dell’Unione Europea un soggetto politico
autorevole sulla scena internazionale, capace di
tutelare e promuovere i propri valori e forte di
una rinnovata coesione territoriale e sociale.
Il futuro del nostro Continente e dei valori che
esso rappresenta dipende dalla capacità di mantenere vivo un progetto di ampio respiro per
l’Unione Europea, mai perdendo come fonte di
ispirazione la lungimiranza dei Padri fondatori e
di quanti avviarono e promossero tenacemente
l’ideale di una unità politica europea. Desidero in
particolare ricordare la figura di Altiero Spinelli,
del quale celebriamo questo anno il centenario
della nascita.
Con questo spirito e con queste motivazioni ho
partecipato alla seduta solenne del Comitato delle
Regioni a Roma, in occasione delle celebrazioni
del Cinquantesimo Anniversario dei Trattati.
Gli enti locali e regionali
caratterizzata dalla pace, dalla stabilità e dalla prosperità.
Piero MARRAZZO,
presidente della regione Lazio
Desidero anzitutto dare un benvenuto caloroso ai
rappresentanti delle regioni della Bulgaria e della
Romania, i due Stati che dal 1o gennaio del 2007
sono entrati a far parte della Comunità europea.
Cinquant’anni fa eravamo appena sei paesi. Ora
siamo ben 27 paesi, con un’infinita molteplicità
di popoli e culture, stretti attorno a un grande
progetto.
Questo è un anno di ricorrenze importanti, un
anno di anniversari per il nostro continente e
anche per la nostra regione, dove sono stati compiuti alcuni dei passi decisivi nel percorso verso
l’integrazione europea.
Non esistono soltanto padri fondatori: esistono,
anche, città e territori fondatori. Il Lazio è tra questi: una regione in cui si respira e si parla europeo.
Cinquant’anni fa, la nostra capitale è stata teatro
della firma dei Trattati di Roma, momento costitutivo della Comunità economica europea alla
fine della stagione dilaniante delle guerre, che
in un certo senso ha segnato l’inizio di un’epoca
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Cento anni fa nasceva Altiero Spinelli, uno dei
padri fondatori del progetto politico europeo.
È da Ventotene, una piccola isola nei dintorni di
Napoli, che Spinelli, assieme ad altri intellettuali
ispirati dall’ideale della libertà, lasciò in eredità a
noi cittadini europei un sogno, una visione dell’Europa che ancor oggi costituisce una delle direttrici
del lungo cammino che già abbiamo percorso, e
che ancora dobbiamo percorrere.
Mi sembra doveroso, oggi, salutare questa assemblea proprio con alcune parole del grande statista
che fu Altiero Spinelli: “La battaglia che dobbiamo
ingaggiare è una battaglia di impegno perché ci
sia un’Europa vera, un’Europa della democrazia,
un’Europa del popolo”.
Sono certo che in quest’azione l’Europa potrà
contare sin d’ora sull’appoggio, sul sostegno della
nostra regione e di tutte le regioni, non solo quelle
italiane ma anche quelle europee, a partire –
beninteso – dal Comitato delle regioni.
Credo che una nuova e importante spinta propulsiva per l’Europa unita e un rilancio decisivo
del processo costituzionale possa venire proprio
dai territori: quindi dalle regioni, dalle città e dai
comuni d’Europa. Ossia da tutte quelle istituzioni
locali che, sul campo, giorno per giorno, costruiscono processi d’integrazione.
Le reti tra i territori già esistono, e diventeranno
sempre più l’impalcatura su cui edificare un dialogo stabile all’interno della grande area di stabilità
euromediterranea.
Il mio invito, da rappresentante di una regione
di dialogo e di accoglienza come il Lazio, è di
allargare il nostro sguardo. Per crescere ancora,
è necessario pensare all’Europa come a un continente aperto, come a una grande comunità che
vuole accettare gli altri.
Credo che in questi 50 anni ci siamo avvicinati
sempre di più al nostro obiettivo fondamentale:
l’identità e la cittadinanza europea. Ritengo che
senza questo fondamento, che è la condizione
sine qua non, tutti gli altri obiettivi, economici e
politici, non avrebbero alcun senso.
La celebrazione del cinquantesimo anniversario
ci mette di fronte a molti interrogativi sul nostro
passato. Credo che sia veramente tempo di fare il
punto della situazione: è logico chiederci che cosa
eravamo, che cosa siamo ora e che cosa vogliamo
diventare.
Oggi possiamo dire davvero che esiste un popolo
europeo. E si tratta di un popolo che cresce molto
più rapidamente delle istituzioni.
Dalla firma dei Trattati di Roma, l’Europa ha percorso moltissima strada, superando ostacoli che
sembravano insormontabili. Questa consapevolezza – la consapevolezza dei risultati raggiunti –
deve farci guardare con ottimismo al futuro.
È vero, tutti noi europeisti abbiamo attraversato
un momento di delusione e scoraggiamento
quando abbiamo visto arrestarsi bruscamente il
processo costituzionale. Tuttavia, io sono d’accordo con chi ritiene che i “no” alla Costituzione
pronunciati nella primavera 2005 ci abbiano dato
una sferzata positiva, che ci ha stimolato a proseguire il nostro lavoro di riflessione.
Sono convinto che sia ora venuto il momento di
rilanciare il processo europeo.
Agli euroscettici dobbiamo ricordare che nel frattempo l’Europa – l’Europa unita – ha continuato a
crescere e si sviluppa ogni giorno di più. Abbiamo
fatto insieme enormi passi avanti. Cerchiamo di
non dimenticarlo.
15
Penso all’Europa dei giovani, che viaggiano da una
città all’altra del continente. Penso ai giovani europei di 20-25 anni che lasciano il loro paese per
studiare nelle università straniere: il popolo dell’Erasmus. Penso a tutti quei giovani europei che si
conoscono sempre più frequentemente tra loro,
si scambiano libri, foto ed e-mail, idee e musica, si
innamorano e hanno figli.
È a loro che mi rivolgo oggi. Mi fa estremamente
piacere che oggi a Roma si riunisca un forum
di giovani europei che festeggia anch’esso l’anniversario del Trattato del 1957, e che anche
nelle strade di Berlino oggi e domani dei giovani
accompagneranno queste celebrazioni ufficiali. Se
i giovani sono coinvolti in prima persona, se essi
stessi si riconoscono come europei, significa che
le fondamenta su cui ci apprestiamo a costruire il
nostro futuro sono ben solide.
L’identità dell’Europa è costituita dalla sua ricchezza linguistica, culturale e sociale: una varietà
di saperi e memorie che non ha eguali nel mondo.
Oggi, di fronte alle sfide della globalizzazione,
abbiamo il dovere di pensare a come tramandare
questo immenso patrimonio.
Gli enti locali e regionali
Uno degli obiettivi che ci possiamo dare per i
prossimi 50 anni è quello di difendere la molteplicità delle nostre storie. Anzi, dobbiamo metterci
in grado di accrescere ancora questa ricchezza:
magari con l’apporto prezioso delle culture e dei
popoli con cui entriamo in un contatto sempre
più stretto.
L’Europa unita deve saper parlare al plurale.
Noi vogliamo far crescere l’Europa dei popoli e
dei territori.
Le regioni, in questi primi 50 anni di Europa, sono
diventate attori importanti nell’arena comunitaria,
mettendo in atto riforme istituzionali che hanno
modificato radicalmente l’architettura degli Stati
nazionali.
Se davvero l’Europa vuole parlare con una sola
voce, deve saper intercettare la voce dei territori.
Spero quindi che le istituzioni europee sapranno
accogliere questa richiesta di ascolto, che è rappresentata oggi, ancora una volta, dal nostro
Comitato delle regioni e dal suo Presidente,
Michel Delebarre, che qui voglio ringraziare personalmente.
È indispensabile che i territori siano messi in grado
di dialogare – più e meglio – tra loro, e occorre
imprimere maggiore impulso alla cooperazione
territoriale in ambito UE.
Ma c’è anche una questione di prospettiva, che
non dobbiamo mai tralasciare se davvero teniamo
16
al nostro futuro comune. L’Europa unita potrà
continuare a crescere solo se saprà guardare
oltre i propri confini. Occorre quindi cercare con
ostinazione e passione una politica di apertura e
di vicinato.
C’è davanti a noi un’opportunità senza precedenti.
Abbiamo a disposizione un tesoro che aspetta
solo di essere accolto: il Mediterraneo sta ridiventando, con una rapidità che fino a poco tempo fa
nessuno avrebbe potuto prevedere, quello che è
stato in passato: uno snodo fondamentale per gli
scambi fra le economie della regione.
L’esplosione delle economie asiatiche rimette
l’Europa e il Mediterraneo al centro del mondo.
Lo sviluppo è il miglior antidoto contro le guerre, i
fondamentalismi e le disuguaglianze sociali. Come
l’Europa aveva ben visto quando a Lisbona e a
Barcellona fissò gli importanti obiettivi che – non
possiamo nascondercelo – abbiamo in parte
disatteso. È il momento di rilanciare.
Se parliamo di opportunità, non posso non pensare al tema sempre più centrale dell’energia.
L’Unione europea ha detto un sì storico, proprio
pochi giorni fa, allo sviluppo delle energie rinnovabili.
L’energia pulita sarà nei prossimi anni un eccezionale motore per lo sviluppo e per l’occupazione.
E proprio l’area euromediterranea potrà diventare a breve un grande motore economico, un
potente polmone verde, decisivo nell’economia
del mondo.
Abbiamo la possibilità di investire sulla sostituzione di un sistema energetico basato sugli oligopoli degli idrocarburi, promuovendo un altro
sistema, di sviluppo diffuso, fondato sulle energie
alternative.
Attraverso un adeguato programma di investimenti potremo arrivare a un sistema di energie
alternative capace di assicurare sviluppo economico anche – e soprattutto – alle regioni più sfavorite del Mediterraneo meridionale. Il Mediterraneo potrà diventare quello che è stata la Ruhr per
il carbone nell’Ottocento, o l’Arabia Saudita per il
petrolio nel Novecento.
Qui l’Europa può e deve far sentire la propria
voce. E qui i territori, le regioni, le province e le
città hanno una precisa responsabilità, a cui non
vogliono sottrarsi.
17
La nostra voce in seno alle istituzioni europee
dimostra che le energie che vengono dal basso
sono in grado di rendere le politiche comunitarie
più vicine alle esigenze e alle necessità dei cittadini.
Dobbiamo spingere sull’acceleratore della sussidiarietà, facendone il motore dello sviluppo delle
regioni. Occorre rafforzare il ruolo delle regioni
nell’attuazione di molte politiche comunitarie, a
partire da quelle ambientali.
Dalle riposte che sapremo dare a queste istanze
dipende il nostro futuro di europei.
Il Lazio, regione aperta d’Europa e del Mediterraneo, è pronto a fare la propria parte.
Dobbiamo continuare ad alimentare quel vento
di pace e di prosperità che si alzò da Ventotene:
piccola isola di grandi uomini e grandi idee.
Gli enti locali e regionali
È evidentemente accaduto, e dobbiamo esserne
consapevoli, che ai cittadini europei la nuova
costruzione europea sia spesso apparsa come
una realtà burocratica, lontana dai loro problemi
quotidiani, attenta soprattutto alle grandi questioni economiche e finanziarie.
Sono particolarmente lieto di dare il benvenuto
di tutta la città, e mio personale, ai rappresentanti del Comitato delle regioni, riuniti in sessione
plenaria in questo auditorium per un’occasione
davvero speciale.
Il Presidente Napolitano ha ragione quando
afferma che l’Europa, e in particolare i suoi meccanismi decisionali, appaiono difficili da comprendere. Ma ha anche ragione di sottolineare che è
importante saper andare avanti, e compiere progressi nella costruzione di un’Europa sempre più
unita. Le condizioni per uscire dall’attuale fase di
stallo ci sono. Guai se la consapevolezza delle difficoltà attuali c’inducesse a un eccessivo pessimismo o alla rassegnazione. Quello di cui abbiamo
bisogno è “più”, e non già, “meno” Europa.
Stiamo infatti celebrando il cinquantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma, e credo
che ad accomunarci siano un desiderio e una
volontà: che questa non sia solo una ricorrenza,
per quanto storica e prestigiosa, ma sia piuttosto
l’occasione per ribadire un impegno comune, per
sottolineare il ruolo fondamentale delle diverse
realtà territoriali nel processo di costruzione dell’Europa, e per rilanciare, dopo le difficoltà che ha
incontrato, questo stesso processo.
Abbiamo una strada da percorrere, ed è quella
di un’Europa che assuma su di sé più responsabilità, che si pronunci sulle grandi scelte da compiere a livello internazionale, sui temi sociali, sulle
questioni legate al lavoro, alla formazione, all’ambiente, all’energia, di cui ci ha appena parlato
Pietro Marrazzo, su tutte le questioni legate alla
sostenibilità dello sviluppo, all’immigrazione e alla
mobilità urbana: in sostanza tutti gli aspetti legati
alla vita quotidiana delle persone.
Non possiamo negare che da due anni e mezzo
l’Europa segna il passo. Dobbiamo riconoscere
che si è aperto un solco fra opinione pubblica e
istituzioni europee. È diminuita la fiducia dei cittadini nella capacità dell’Europa di rispondere alle
loro esigenze e alle loro istanze di sicurezza individuale e sociale.
Tutto questo chiama in causa, da protagonisti, proprio gli enti locali, le città, le regioni. I governi di
prossimità, e con loro quei principi di identità plurale, di solidarietà e sussidiarietà che possono pienamente concretizzarsi solo valorizzando l’autonomia e potenziando il ruolo delle regioni, degli enti
locali e delle grandi aree metropolitane d’Europa.
Walter VELTRONI,
sindaco di Roma
18
Anche così potremo superare l’impasse in cui si
trova oggi l’Europa e potremo procedere sulla
via dell’integrazione. Di un’unità che non annulli
e non cancelli identità e culture nazionali, bensì
riconosca le differenze fra popoli, lingue, usi e tradizioni, dunque valorizzi il pluralismo culturale.
Ed è anche la via dell’unità, nella ricerca di valori
condivisi e degli elementi unitari necessari a capirsi,
a conoscersi e ad apprezzarsi reciprocamente, a
parlare con una sola voce e a scegliere una sola
politica quando il momento lo richieda.
Gli enti locali, in tal senso, possono assolvere
una funzione fondamentale per la nuova Europa,
per coniugare il principio dell’unità politica con il
decentramento della governance, tener conto dei
diversi bisogni e delle diverse domande dei cittadini e rappresentarli in istanze politiche più solide.
In questo modo gli enti locali potranno nello
stesso tempo rendere concrete e comprensibili le
decisioni dell’Unione, e far sì che i cittadini europei sentano come propri i principi contenuti nel
Trattato costituzionale firmato a Roma due anni e
mezzo fa, nella Sala degli Orazi e dei Curiazi.
Tutto questo è interesse di noi europei. Ma è
anche interesse del mondo, che ha bisogno di
un’Europa forte dei valori che le sono propri e
che ci hanno condotto fin qui: la libertà, la demo-
19
crazia, l’equità sociale. Un’Europa con un’anima,
che non divenga mai una fortezza chiusa, ma resti
invece aperta, illuminata e generosa di fronte alle
vecchie e nuove domande globali. E insieme forte
di fronte alle crisi e alle minacce, in particolare
quella del terrorismo internazionale, che riguarda
soprattutto chi vive nelle grandi città.
Oggi tutto questo può sembrarci ancor più difficile, ma vorrei concludere ricordando quanto
disse Robert Schuman nel suo celebre discorso
del 1950: “L’Europa non si farà d’un tratto né in
una costruzione globale. Essa si farà con realizzazioni concrete, creando innanzitutto solidarietà
di fatto”.
Quella generazione di padri fondatori della
costruzione europea ebbe il coraggio di mettersi
in cammino, e la capacità – non sempre frequente
in politica – di intravedere nei momenti più bui
i piccoli spiragli capaci di illuminare il passo successivo.
Da sindaco di una città come Roma, non posso
che augurare a tutti noi di avere lo stesso coraggio
nel cercare la solidarietà e la stessa capacità di
raggiungere risultati concreti. Solo così potremo
realizzare quel sogno, che oggi è il nostro, di
un’Europa terra di dialogo, di convivenza fraterna
e di pace, fra gli uomini e fra i popoli.
Gli enti locali e regionali
Michel DELEBARRE,
presidente del Comitato delle regioni
Oggi siamo riuniti qui a Roma per celebrare, in
quanto cittadini europei, la nostra storia comune:
50 anni di pace, democrazia e prosperità per
i membri fondatori, qualcuno di meno per tutti
quei paesi che hanno aderito successivamente
all’Unione europea, con gli allargamenti del 1973,
1981, 1986, 1995, 2004 e 2007.
Come cittadino francese mi permetto di rammentare a questo proposito i ministri Christian Pinault
e Maurice Faure, che sottoscrissero il Trattato di
Roma per il mio paese.
L’Unione europea è un successo incontestabile,
che dobbiamo a un gruppetto di personalità
politiche particolarmente ispirate – Jean Monnet,
Robert Schuman, Konrad Adenauer, Paul-Henri
Spaak e Alcide de Gasperi –, ma che dobbiamo
anche a una serie di scelte coraggiose da parte
di capi di Stato che, ad ogni tappa decisiva dell’integrazione europea, hanno sfidato gli egoismi
nazionali e i calcoli meschini e retrogradi: penso
chiaramente a Valéry Giscard d’Estaing e a Hel-
20
mut Schmidt, a François Mitterrand e a Helmut
Kohl, ma anche a Edward Heath, Mario Soares,
Felipe Gonzalez, all’epoca dell’adesione dei rispettivi paesi alla Comunità europea, a Romano Prodi
e a Costas Simitis, al momento dell’ingresso nella
zona dell’euro, e a coloro che, dopo il 1989,
hanno difeso l’unità della famiglia europea: Vaclav
Havel e Bronislaw Geremek. L’elenco è fortunatamente lungo, e spero che nessuno si offenderà se
non cito tutti. Se scegliendo l’Europa questi leader
politici hanno avuto gradualmente il sostegno di
milioni di cittadini europei è proprio perché avevano, semplicemente, ragione.
Oggi noi dobbiamo loro ben più che dei semplici
ringraziamenti: per saldare il nostro debito nei
loro confronti dobbiamo continuare a guardare
al futuro e costruire insieme un progetto politico generoso: un progetto che risponda tanto ai
bisogni economici e sociali dei nostri concittadini
quanto alle loro aspirazioni democratiche, culturali e intellettuali; un progetto di coesione interna,
ma anche un progetto aperto e attento al resto
del mondo, un progetto che sappia parlare ai giovani.
Al tempo stesso, in quanto eletti locali e regionali, oggi celebriamo qui un’altra storia: quella
dello straordinario ritorno alla ribalta degli enti
territoriali sulla scena europea. Ricordiamoci che
la ricchezza e l’influenza dell’Europa nel Medio
Evo e nel Rinascimento si fondavano anzitutto su
città, principati, ducati e contee. Tuttavia, come
ha ricordato il presidente Pietro Marrazzo, ai
suoi tempi, nel 1941, Altiero Spinelli, uno degli
ispiratori e ideatori della costruzione europea,
dal carcere di Ventotene in cui era rinchiuso,
vedeva ormai le “province” solo come una fonte
di conflitti politici e un retaggio economico del
feudalesimo. Nel 1957, alla firma del Trattato di
Roma, erano rappresentati solo i governi nazionali
e nessuno avrebbe potuto peraltro immaginare
che fosse altrimenti.
È chiaro che il decentramento e l’autonomia
locale non erano tra le preoccupazioni immediate e principali dei padri fondatori. Eppure il
loro progetto, fondato sulla sovranità condivisa
e sulla solidarietà, ha dato vita a un sistema di
governo a più livelli che conosciamo oggi e che,
nel 1994, ha portato alla creazione del Comitato
delle regioni. Colgo qui l’occasione per rendere
omaggio ai miei predecessori alla presidenza di
questo Comitato: Jacques Blanc, Pasqual Maragall,
Manfred Dammeyer, Jos Chabert, Albert Bore e
Peter Straub.
Oggi a guidarci è la “sussidiarietà”: prodigiosa
invenzione europea, purtroppo con una denominazione ostica, e quindi di difficile presa sui
cittadini europei, che è però anche un formidabile motore per riconciliare l’esigenza di unità, da
un lato, e quella della diversità, dall’altro, con il
riconoscimento delle identità locali e regionali. La
sussidiarietà permette di confermare che gli Stati
rimangono protagonisti dell’azione europea, ma
sono anche garanti del coinvolgimento di tutte le
parti del territorio nell’azione europea, e che la
comunicazione con i cittadini non deve avvenire
unicamente a livello nazionale, ma deve anche
combinare le reti e i canali offerti dagli enti locali
e regionali.
Così, in cinquant’anni, l’integrazione europea è
progredita di pari passo con il rafforzamento degli
enti territoriali, in nome della democrazia e di
21
una maggiore efficienza socioeconomica. Il riconoscimento dell’autonomia locale ha permesso di
consolidare l’esercizio della democrazia di prossimità e di rispondere alla richiesta dei cittadini di
partecipare più direttamente al processo politico.
Il movimento in direzione del decentramento
ha assunto gradualmente un’importanza di tutto
rispetto. Negli ultimi anni i paesi in cui il dibattito
sul decentramento è stato più intenso sono quelli
in cui esso era già più avanzato. Gli altri paesi
conoscono un’evoluzione più graduale: quelli
dell’Europa centrale e orientale lo introducono
progressivamente, mentre quelli con tradizione
centralizzatrice tentennano ancora (e questo lo
posso dire per esperienza diretta). Ma tutti vanno
nella stessa direzione, appunto verso un maggiore
decentramento.
I progressi del mercato unico e la libertà di circolazione hanno messo in risalto l’importanza economica, sociale e culturale dei territori. La politica
di coesione, che dobbiamo essenzialmente alla
perseveranza e all’impegno di Jacques Delors, è
stata un altro strumento essenziale per consentire alle regioni meno avanzate o in difficoltà di
recuperare il loro ritardo, ma anche per l’effettiva
attuazione delle moderne strategie di sviluppo
regionale.
Ma se le autorità locali e regionali devono molto
all’Unione europea, bisogna riconoscere che l’UE
ha, a sua volta, tratto linfa dalla dinamica di fondo
da essa stessa attivata. Sicuramente molti di voi
possono oggi testimoniare la nostra comune fierezza di poter contribuire alla prosperità e alla
coesione dell’Europa. A questo punto è chiaro
che, con la globalizzazione e l’avvento della
società dell’informazione, l’Europa deve ormai
Gli enti locali e regionali
puntare sempre più sulla sua diversità geografica
e sul dinamismo dei soggetti attivi sul territorio.
Ed è anche chiaro che essa deve far leva sul livello
locale e regionale per ristabilire il contatto con i
cittadini e ritrovare la propria legittimità.
Sono queste le convinzioni di cui aveva voluto
farci partecipi, Signor Presidente della Repubblica
italiana, quando - vari anni fa - aveva preso la
parola dinanzi al Comitato delle regioni in veste
di presidente della commissione per gli affari istituzionali del Parlamento europeo. Ricordo ancora
l’entusiasmo e l’energia da Lei dimostrati nell’intento di associare gli enti territoriali europei al
destino dell’Europa. La Sua presenza qui con noi,
oggi, malgrado i Suoi numerosi impegni, è un’ulteriore riprova del Suo interesse al riguardo.
Il Comitato delle regioni ritiene che se a volte i
cittadini si allontanano, non è perché non amino
l’Europa, ma perché vorrebbero un’Europa
migliore, più protettrice, più visibile, con competenze meglio definite. È nostro compito ristabilire
la verità, dissipare i malintesi, confutare se del caso
le menzogne e, forse per taluni, smettere di dire
una cosa a Bruxelles e tutt’altro a livello locale o
nelle nostre circoscrizioni.
Siamo inoltre convinti che occorrano nuove
strategie per permettere ai nostri concittadini di
riscoprire il senso di appartenenza a una comunità
continentale, di proiettarsi nel futuro e di aprirsi
verso l’esterno.
Una parte della risposta è chiaramente di ordine
istituzionale: per questo abbiamo invitato numerose personalità europee e nazionali a condividere
22
con noi le loro riflessioni sul rilancio del progetto
europeo di concerto con gli enti locali e regionali.
Ma il quadro giuridico non è tutto: occorrono
delle politiche per dargli un contenuto e soggetti a tutti i livelli per dargli concretamente vita.
Abbiamo quindi voluto aprire un grande dibattito
per permettere ora ai rappresentanti degli enti
locali e regionali di confrontare i loro punti di vista
su ciò che questi ultimi possono apportare alla
costruzione europea di domani.
Signore e Signori,
sono lieto che il numero delle presenze, il livello
e la qualità della partecipazione facciano di questa sessione solenne un grande raduno degli
esponenti delle realtà territoriali europee, venuti
ad esprimere simbolicamente il loro sostegno
alla ricerca di un’unione sempre più stretta tra
i popoli d’Europa. L’idea di questa celebrazione
si è concretizzata grazie all’invito e al concorso
della regione Lazio e del suo presidente Pietro
Marrazzo, che desidero ringraziare vivamente sin
d’ora.
Con questo nostro incontro, eccezionale sotto
più di un aspetto, e con la dichiarazione che verrà
resa pubblica tra poco, desideriamo lanciare un
messaggio chiaro, che formulerò come segue: noi
rappresentiamo i primi livelli della democrazia, le
sedi in cui si esercita la solidarietà di prossimità, e,
in quanto tali, siamo pronti a impegnarci concretamente per stabilire un nuovo contratto di fiducia tra l’Unione, i suoi diversi livelli di governo e i
suoi cittadini. Oggi, qui a Roma, comincia, per gli
enti locali e regionali europei un nuovo capitolo
nella storia europea!
Il rilancio del progetto europeo
e gli enti locali e regionali
di un’unica meta. Ecco perché il progresso dell’integrazione europea, la spinta verso “sempre
più Europa”, deve andare di pari passo con l’indispensabile allargamento dell’Unione. Il nostro successo degli ultimi 50 anni è il risultato di questo
duplice approccio. L’Europa è come una casa, di
cui a poco a poco si arredano le diverse stanze
e alla quale si aggiunge regolarmente un piano o
un annesso.
Jean ASSELBORN,
vice primo ministro e ministro
degli Affari esteri e dell’immigrazione –
Lussemburgo
Sono lieto di poter celebrare con voi qui a Roma,
città testimone della storia dall’antichità ai nostri
giorni, l’anniversario del Trattato fondatore che ci
unisce da ormai 50 anni. Questo Trattato è, e resta
anche dopo le numerose modifiche ed estensioni,
il caposaldo della nostra vita e del nostro successo
comune. Non vi è dubbio, infatti, che l’integrazione europea sia un successo su tutti i fronti. Essa
ha garantito agli Stati membri la pace, la stabilità e
la prosperità: che cosa possiamo desiderare di più
per i nostri popoli, per i nostri cittadini?
Quello che forse si può desiderare di più è allargare ad altri paesi lo strumento di solidarietà rappresentato dall’Unione europea, uno strumento
certamente unico nel suo genere, cercando di
unire il continente europeo nel perseguimento
23
Per continuare a funzionare e ad ottenere risultati
concreti, oggi con 27 Stati membri e domani e
dopodomani con 30 e più, dobbiamo continuare
ad adattare il nostro Trattato, adeguare il funzionamento delle nostre istituzioni e approfondire
dove possibile la nostra integrazione, grazie anche
al metodo comunitario. Penso evidentemente al
capitolo sociale, ma anche al settore della giustizia e degli affari interni, all’energia, al cambiamento climatico, e ovviamente alla politica estera
e di sicurezza. È questo il percorso che abbiamo
seguito per giungere ad un nuovo Trattato più
coerente, il Trattato costituzionale, firmato qui a
Roma, in Campidoglio, nell’ottobre 2004.
Gli ultimi sondaggi effettuati dall’Eurobarometro
indicano che il sostegno dato al Trattato dall’opinione pubblica di tutti i paesi è in aumento. Questi
dati testimoniano anche che in Europa si va delineando un consenso sulla necessità di procedere
ad una riforma dei Trattati, ed è proprio quest’esigenza che il Comitato delle regioni ha messo in
luce nella sua dichiarazione per l’Europa.
Gli enti locali e regionali
Lo scorso gennaio a Madrid abbiamo organizzato
con i nostri partner spagnoli un incontro di tutti
i paesi che hanno ratificato il testo, tra l’altro con
l’obiettivo di indicare che la fase di riflessione si è
conclusa e che è giunto il momento di un’azione
meditata e concertata. E con il mio amico Alberto
Navarro qui presente ritengo che questo incontro abbia segnato un momento decisivo per il
rilancio dell’Europa.
In occasione del Consiglio europeo di giugno
dovremo raggiungere un consenso su un metodo,
un abbozzo di contenuto e un calendario serrato
per elaborare questo nuovo Trattato.
Considerando gli impegni chiari e coraggiosi che
l’Unione ha assunto nell’ultimo Consiglio europeo
in materia di energia e di lotta contro il cambiamento climatico, dobbiamo dare all’Europa, a noi
stessi, i mezzi per affrontare con maggiore efficacia le sfide del XXI secolo e per rispondere alle
aspettative dei cittadini. Come già ha segnalato il
sindaco di Roma Veltroni, il mondo e i cittadini
europei hanno bisogno non di meno, ma di più
Europa: un’Europa in grado di difendere i propri
valori e i propri interessi nel mondo.
Personalmente, quindi, ritengo che le disposizioni del trattato costituzionale, frutto di negoziati complessi e difficili, riflettano molto bene gli
equilibri che ci servono per costruire un’Europa
migliore, ossia più efficace, più trasparente e più
democratica.
In quest’occasione consentitemi di rammentarvi
alcuni progressi fondamentali contenuti nel testo del
Trattato, che consacrano giustamente gli enti locali e
regionali come soggetti europei a pieno titolo.
24
Riconoscendo la struttura costituzionale propria di
ciascuno Stato membro, il Trattato consente agli
enti territoriali di partecipare all’integrazione europea, a monte come a valle delle decisioni e della
loro attuazione. Gli enti regionali possono così collaborare direttamente con le istituzioni comunitarie
nel quadro di un autentico partenariato.
Un segno quanto mai tangibile della crescente
presenza degli enti territoriali nel processo comunitario può essere individuato nel numero di uffici
di rappresentanza aperti da tali enti a Bruxelles
per seguire più da vicino la vita politica europea.
Questa presenza fa parte ormai a pieno titolo
della vita politica europea, cosa di cui sono molto
lieto. Gli enti territoriali svolgono oggigiorno un
ruolo sempre più importante nell’attuazione delle
politiche comunitarie, per quanto riguarda le politiche a carattere sia legislativo che regolamentare o finanziario. Infatti, secondo i calcoli della
Commissione europea, una quota considerevole
delle dotazioni assegnate ai programmi comunitari viene gestita direttamente dagli enti territoriali
degli Stati membri. Anche il successo del processo
di Lisbona richiede una partecipazione attiva delle
regioni sia a livello europeo, tramite il Comitato
delle regioni, sia a livello degli Stati membri.
Il Trattato costituzionale riconosce questo stato
di cose, ossia la presenza di una dimensione
regionale e locale in ogni politica comunitaria, ed
estende agli enti regionali e locali il principio di
sussidiarietà che governa le relazioni tra le istituzioni dell’Unione europea e gli Stati membri.
Infine, mi si consenta di ricordare che, ai sensi
del Trattato, il Comitato delle regioni avrebbe la
facoltà di adire la Corte di giustizia delle Comunità europee per ogni eventuale violazione del
principio di sussidiarietà. Inoltre, la consultazione
del Comitato sarebbe resa obbligatoria prima
dell’elaborazione e dell’attuazione di qualsiasi
politica.
Queste conquiste, ma anche tante altre, dovrebbero essere salvaguardate al momento di trasfondere in un altro quadro l’essenza del Trattato
costituzionale.
Una più intensa partecipazione degli enti territoriali ai processi legislativi europei non risponde
soltanto ad una semplice realtà di interdipendenza dei processi legislativi europei e nazionali,
ma anche a quella necessità avvertita dai cittadini
europei di legittimazione politica della costruzione
europea. Per diversi aspetti la regione e la comunità locale rappresentano i livelli più appropriati
per lo svolgimento dei dibattiti pubblici. Le analisi condotte dalla Commissione nel quadro del
“Piano D” non hanno forse indicato che i cittadini
erano più motivati nei dibattiti sull’Europa quando
questi ultimi venivano organizzati a livello locale?
In un parere del 22 settembre 2006 il Comitato delle regioni ha sottolineato l’importanza e
25
il valore aggiunto delle proprie azioni in questo
ambito. Gli enti territoriali sono infatti soggetti
indispensabili nella costruzione di uno spazio pubblico europeo.
È anche attraverso gli enti territoriali che possiamo garantire al meglio il concetto di coesione
e di solidarietà. I cittadini europei sono soprattutto interessati alla crescita economica, e quindi
alla situazione del lavoro e alla disoccupazione. La
presenza di disparità troppo accentuate rischia di
compromettere la coesione territoriale: le nostre
politiche di coesione sono dunque strumenti preziosi per consentire a tutte le regioni di sfruttare
le opportunità offerte dal mercato interno. La
politica di coesione e il mercato interno vanno
di pari passo, poiché entrambi devono essere al
servizio della prosperità di tutti i cittadini dell’UE.
Signore, Signori,
l’attuale presidenza tedesca deve poter contare
sul nostro pieno sostegno nella ricerca di una
soluzione soddisfacente che ci unisca tutti e che
serva pienamente gli interessi dell’Unione europea e di tutti i suoi cittadini. L’Europa si può fare,
infatti, soltanto con i cittadini e per i cittadini.
Gli enti locali e regionali
Massimo D’ALEMA,
ministro degli Esteri italiano
Il fatto che il Comitato delle regioni abbia scelto di
riunirsi a Roma alla vigilia del Consiglio straordinario di Berlino, è un evento di portata storica.
Questa sessione rientra nel quadro dei festeggiamenti organizzati per celebrare i cinquant’anni
dei Trattati di Roma. È volutamente che parlo di
feste, perché gli europei celebrano con orgoglio il
successo del progetto europeo, di questa entità
soprannazionale assolutamente unica, fondata
sulla democrazia, sulla libera scelta dei cittadini.
Essa ha garantito la pace, portato la stabilità e il
progresso, e fatto dell’Europa uno dei protagonisti sulla scena internazionale.
Abbiamo tutti i motivi per essere fieri di essere
cittadini, membri a pieno titolo di questa Unione.
Abbiamo svolto un ruolo molto importante
nella costruzione di quella che senza alcun dubbio costituisce la più grande novità sulla scena
internazionale dalla Seconda guerra mondiale, un
autentico polo d’attrazione per l’intero pianeta.
Infatti, i dirigenti più illuminati, in particolare del-
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l’Asia e dell’America Latina, vedono nell’integrazione europea un modello da imitare. È peraltro
per questo motivo che, secondo noi, i dirigenti
che 50 anni fa avevano un’autentica visione per
il nostro avvenire, e che hanno avuto il coraggio
di spianarci la via, ci hanno contemporaneamente
lasciato un patrimonio e un’eredità straordinari.
Dobbiamo riconoscere la realtà di questa eredità,
perché noi europei siamo troppo spesso scettici
e preferiamo perderci in lunghe discussioni o in
sterili polemiche anziché essere fieri di quanto
abbiamo realizzato, e soprattutto fieri di quello
che dovremo realizzare in avvenire.
Siamo però pienamente consapevoli dei problemi che permangono ancor oggi. Sappiamo che
abbiamo oggi l’opportunità insperata d’imprimere
nuovo slancio al processo d’integrazione europea.
I dirigenti europei devono prendere il coraggio a
quattro mani per sormontare queste difficoltà,
passo indispensabile per poter schiudere all’Europa un avvenire positivo. Occorre saper metter
mano ai fondamenti dell’Europa stessa. Non si
può dire che essa pecchi ora di eccessiva integrazione. La verità è che questo edificio che abbiamo
eretto insieme deve dotarsi di strutture più flessibili, più trasparenti, che permettano vere possibilità di azione. Altrimenti corriamo il rischio di
una paralisi burocratica, di essere impossibilitati ad
agire, che questa nostra Europa non sia all’altezza
delle rivendicazioni giuste e legittime dei cittadini
europei, che vogliono più pace e più progresso
economico.
Il Trattato costituzionale è stato la vittima, più che
la causa, della crisi di fiducia che attraversiamo
oggi.
Ma c’è stato un malinteso. Infatti, una parte dei
cittadini, quelli che hanno votato contro, hanno
pensato che, essendo vittime di scarse prospettive
di avvenire o di una scarsa sicurezza, la situazione
fosse imputabile a un “eccesso di Europa” piuttosto che al processo d’integrazione incompleto.
Dobbiamo allora dar prova di un po’ di senso critico e riconoscere che anche i dirigenti nazionali
sono responsabili. È sempre troppo facile dire
che “se qualcosa da noi non funziona, la colpa
è dell’Europa”. Quante volte abbiamo sentito il
ritornello “la colpa è dell’Europa: è l’Europa che
c’impone questo bilancio rigoroso, che ci accolla
una massa di regolamentazioni”? È un’Europa presentata come un mostro distante, cui si punta il
dito ogniqualvolta ci si vuole sottrarre alle proprie
responsabilità.
Come italiano direi piuttosto che è grazie all’Europa che il nostro paese si è impegnato sulla via
del rigore di bilancio e del progresso civile. È stata
l’Europa a spingerci, a pungolarci e a permetterci
di vincere quelle tendenze conservatrici che purtroppo ci affliggono da vari anni.
Dobbiamo ora procedere sulla via della riforma.
Questa è indispensabile non solo per le ragioni
che ci avevano spinto in passato. Allora l’integrazione rispondeva a un vero desiderio di pace fra
gli europei, e il mercato unico era considerato
come un fattore di crescita e di progresso, al pari
dell’armonizzazione legislativa. Ora c’è una nuova
posta in gioco a livello mondiale: è assolutamente
imperativo che gli europei s’impegnino tutti
insieme per raccogliere la sfida della pace, della
stabilità, della competitività, per poter far conoscere la loro voce in un mondo che vede apparire
o ricomparire nuovi protagonisti, in cui gli equilibri
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che sembravano consolidati risultano fortemente
scossi. Vogliamo contare nel mondo in quanto
europei, non solo per poter tramandare ai posteri
qualcosa di positivo, di compiuto, ma anche perché “riuscire nel progetto europeo” significa assicurare il successo dei valori in cui crediamo, solidarietà, coesione sociale, valori che affondano le
loro radici qui, nel nostro continente.
Un’Unione europea che procede, che funziona,
che è capace di affrontare le grandi sfide non
potrà che dare un contributo costruttivo alla
mondializzazione, per assicurare che le istanze
dei cittadini contino di più e conferire maggiore
importanza ai valori fondamentali di solidarietà
fra i singoli. Indubbiamente l’Europa ha saputo più
volte essere all’altezza delle sfide da affrontare.
Basti pensare a tutto quello che ha fatto in seno
alle Nazioni Unite per ottenere l’abolizione definitiva della pena di morte. Durante l’ultimo Consiglio europeo l’Europa si è veramente impegnata
svolgendo una funzione di battistrada in materia
di cambiamenti climatici per adottare una politica
energetica compatibile con la protezione dell’ambiente e la difesa della vita. Basti pensare all’estate
2006, quando l’Europa ha nuovamente svolto un
ruolo attivo in Medio Oriente: è stata appunto lei
a fungere da capofila della missione delle Nazioni
Unite per la pace in Israele e in Libano. Quella
cui penso è un’Europa decisa a essere un vero
protagonista: che vuole veramente sormontare la
crisi manifesta, la crisi innescata dal no francese e
olandese, un’Europa determinata a dotarsi d’istituzioni democratiche che le consentano di raccogliere tutte le sfide.
Jean Asselborn, che mi ha preceduto, aveva del
resto perfettamente ragione. Sento che abbiamo
Gli enti locali e regionali
una comunanza di vedute, come del resto mi sento
vicino a tutti i paesi europei che si battono per
difendere il Trattato che abbiamo redatto insieme,
e che è stato ratificato dalla maggioranza dei cittadini europei. Perchè ritengo che diciotto paesi
siano una maggioranza incontestabile. Se è vero
che dobbiamo rispettare la volontà di chi non è
d’accordo con noi, dobbiamo anche far prevalere
gli argomenti di chi vuol far avanzare l’Europa.
A spianare la strada, con prudenza e coraggio, è
stata la presidenza tedesca. Una strada che di qui
al mese di giugno dovrà permetterci di superare
nuove tappe. La presidenza tedesca può contare su tutto il nostro appoggio nella ricerca di
un compromesso, che sfoci in qualcosa di concreto. Sappiamo bene che un negoziato si gioca
su tempi lunghi, e che si tratta di un processo tortuoso e difficile. Ma se si vuole veramente fare
un compromesso occorre anche avere il coraggio
di fare delle riforme. I governi devono contare,
ma occorre anche dare la parola agli attori sul
territorio, che sono gli interlocutori privilegiati
del dialogo con i cittadini. Si avvicina il momento
delicato della scelta: è imperativo arrivare alle elezioni del 2009 con una riforma delle istituzioni,
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per riconquistare la credibilità che abbiamo perso.
Per questo occorre che nel trattato figurino principi e valori fondamentali. Ci si può chiedere se
ora occorra discutere un trattato de minimis, in
tono minore. La mia risposta è “no!”. Qualsiasi
buon negoziatore avvia le trattative chiedendo
il massimo. E noi vogliamo riforme, realizzazioni
tangibili. Anzitutto vogliamo ottenere elementi
concreti. Ma dobbiamo puntare sul massimo perché è in gioco l’avvenire dell’Europa, che è poi
anche l’avvenire dei nostri figli.
Durante queste celebrazioni è importante far ben
recepire un messaggio, che non è rivolto unicamente ai dirigenti politici bensì anche ai cittadini
europei. Quella che noi vogliamo è un’Europa più
forte, più democratica, provvista di istituzioni in
grado di prendere decisioni: è questa la garanzia
del futuro, del progresso, della pace, della stabilità.
Dobbiamo considerare i problemi delle persone,
e non limitarci alle grandi discussioni astratte. Ci
parliamo qui, oggi, di democrazia in un paese che
è appunto una delle culle della democrazia, ben
consapevoli che istituzioni forti e democratiche
costituiscono una garanzia di prosperità per i cittadini.
continente, un mercato unico con mezzo miliardo
di persone, la libertà di spostamento e la moneta
unica sono tutte conquiste dell’unificazione europea che hanno portato ai cittadini vantaggi molto
concreti di cui non saprebbero più fare a meno.
Il cinquantesimo anniversario dei Trattati di Roma
è l’occasione per celebrare lo straordinario successo dell’Unione europea.
Günter GLOSER,
ministro aggiunto («Staatsminister»)
per gli Affari europei presso il ministero
federale degli Affari esteri – Germania
Il 25 marzo 1957, cioè quasi cinquant’anni fa, qui
a Roma sono stati firmati i Trattati istitutivi della
Comunità europea. A Roma ha avuto inizio un
progetto politico, unico nel suo genere, che ha
avuto un successo straordinario.
I Trattati di Roma sono stati preparati dalla
Dichiarazione di Messina del 1955. Questo contributo dell’Italia al processo di integrazione europea non potrà mai essere apprezzato abbastanza.
In quanto presidenza tedesca dell’UE siamo certi
che anche oggi l’Italia ci aiuterà attivamente ad
affrontare i difficili compiti che ci attendono.
Alcuni giorni fa, a Varsavia, la Cancelliera tedesca
Angela Merkel ha definito “mozzafiato e affascinanti” le attuali dimensioni dell’Unione europea.
L’UE ha portato al nostro continente pace e
benessere come non era mai accaduto prima. La
libertà e la democrazia, la fine della divisione del
29
Eppure, nonostante i risultati positivi dell’Unione
europea, molti cittadini europei sono scettici nei
suoi confronti e, talvolta, hanno addirittura un
atteggiamento di rifiuto. Non basta quindi passare
in rassegna tutto quello che è stato realizzato nei
cinquant’anni trascorsi dalla firma dei Trattati di
Roma: dobbiamo anche dimostrare che l’UE è
all’altezza delle sfide del XXI secolo.
Sicurezza energetica e cambiamento climatico,
crescita e innovazione, lotta al terrorismo e alla
proliferazione delle armi di distruzione di massa e
competizione economica globale sono sfide a cui
possiamo far fronte solo attraverso l’UE, perché è
insieme che noi europei abbiamo il peso necessario per far sentire la nostra voce nel mondo.
Sono profondamente convinto che saremo in
grado di riconquistare il sostegno dei cittadini
europei al processo d’integrazione se spiegheremo loro che solo lavorando insieme ci sarà
possibile affrontare le sfide internazionali.
Una di queste sfide è la politica energetica: dobbiamo concertare e coordinare meglio le risorse e
le competenze nazionali e comunitarie nel settore
delle energie rinnovabili, dell’efficienza energetica
e della sicurezza dell’approvvigionamento, fatte
salve le competenze nazionali.
Gli enti locali e regionali
Il piano d’azione adottato dal Consiglio europeo
dell’8 e 9 marzo crea i presupposti per un approvvigionamento energetico sicuro, economico e rispettoso dell’ambiente. Questo risultato decisamente
concreto del Consiglio europeo dimostra che l’UE è
capace di definire una politica efficace in un settore
importante per i cittadini di tutti gli Stati membri.
Ma ora abbiamo bisogno di risultati più tangibili
e pragmatici in settori che ci riguardano tutti nell’Unione europea.
Basti pensare, ad esempio, all’ulteriore rafforzamento della politica estera e di sicurezza comune,
necessario perché i conflitti non si fermano ai confini dell’Europa, e anche perché, a causa delle sue
dimensioni e della sua potenza economica, l’UE è
necessariamente un attore globale. Lo si afferma
peraltro anche nella strategia in materia di sicurezza
che l’UE ha adottato nel dicembre 2003.
Nei colloqui che ho durante le mie visite in qualità di ministro aggiunto per gli Affari europei,
ma anche come deputato del Bundestag, sento
sempre dire che i cittadini chiedono un impegno comune contro il terrorismo e la criminalità
tanto quanto la tutela dei diritti umani e civili: se
vogliamo accogliere queste istanze dei cittadini
europei, e quindi salvaguardare la nostra concezione europea della vita e della società, allora
dobbiamo per forza agire insieme.
Quando parlo della concezione europea della
società intendo ovviamente la democrazia e lo
Stato di diritto, ma anche la molteplicità che caratterizza l’Europa e che ci obbliga continuamente
ad ascoltare voci diverse e a conciliare opinioni
diverse. Avere un’opinione diversa in Europa è un
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naturale stimolo a discutere per trovare insieme
la strada migliore.
La cooperazione nell’Unione europea è caratterizzata dall’uguaglianza dei diritti e dei doveri degli
Stati membri, dal principio fondamentale della
trasparenza e – vorrei proprio ribadirlo – dal principio della sussidiarietà.
In breve, sussidiarietà significa che le decisioni vanno
prese al livello più vicino possibile ai cittadini. L’integrazione europea, infatti, non avviene solo nelle
capitali o addirittura nell’edificio del Consiglio a
Bruxelles. Alla base dell’Europa non ci sono solo
Trattati, cerimonie solenni e visite di Stato. Quello
che contribuisce a unire maggiormente l’Europa è
anche l’impegno delle regioni e dei comuni europei. Non dimentichiamo che ancor oggi è grazie ai
gemellaggi tra città che molte persone entrano in
contatto per la prima volta con il resto dell’Europa.
Nel quadro istituzionale dell’Unione europea il
Comitato delle regioni è indispensabile per prendere e attuare le decisioni al livello quanto più
vicino possibile ai cittadini. I pareri del Comitato
forniscono alle istituzioni di Bruxelles e di Strasburgo - e non solo ad esse - importanti orientamenti per il loro lavoro.
Il Comitato delle regioni è un anello di congiunzione fondamentale per garantire che la legislazione
comunitaria tenga conto delle realtà locali e regionali, e soprattutto delle aspettative dei cittadini.
Se è vero che la politica condotta dai governi può
dare degli impulsi per i progetti e le azioni a livello
locale, è vero anche che la politica a livello locale
offre una piattaforma d’interazione in ambiti in cui
la politica dei governi può talvolta avere difficoltà
ad intervenire.
Le regioni e gli enti territoriali europei cooperano
già da tempo a livello transfrontaliero: coordinano
i progetti infrastrutturali e la politica tecnologica
e dell’innovazione e definiscono strategie comuni
per lo sviluppo regionale. In modo molto semplice creano così solidarietà e sicurezza anche
oltre i confini dell’Europa.
Per questo ed altri motivi la presidenza tedesca
del Consiglio sottoscrive il principio della sussidiarietà e del rafforzamento del livello comunale e
regionale, come previsto nel Trattato costituzionale europeo.
Il CdR ha sempre avuto un atteggiamento positivo
nei confronti del processo di riforma dell’UE e del
Trattato costituzionale, Trattato che non solo
migliorerebbe la capacità di agire dell’UE allargata
ma renderebbe l’UE anche più democratica e più
trasparente. Per questi motivi vogliamo preservare il contenuto politico della Costituzione.
31
Il compito della presidenza tedesca è però tutt’altro che facile: in quanto presidenza abbiamo un
ruolo di mediazione. Per trovare un accordo è
necessario però che tutte le parti siano disposte
a compromessi. A tal fine intendiamo sfruttare gli
impulsi favorevoli offerti dal successo del vertice
di primavera e dal cinquantesimo anniversario dei
Trattati di Roma.
Per il vertice di giugno il nostro obiettivo è che il
Consiglio europeo decida di portare avanti il processo di riforma e rinnovamento dell’UE e di definirne un calendario, il metodo e gli orientamenti.
Vorrei proprio che il 25 marzo mettessimo in
primo piano gli elementi che ci uniscono. Dal
50° anniversario dell’UE deve scaturire un messaggio chiaro, ossia la nostra volontà di affrontare
e risolvere insieme i compiti che ci attendono.
Abbiamo tutte le buone ragioni per essere fiduciosi. Insieme noi europei siamo in grado di prendere in mano e forgiare il nostro futuro. Abbiamo
bisogno però della collaborazione dei comuni e
delle regioni, per il bene dei cittadini europei.
Gli enti locali e regionali
Alberto NAVARRO,
segretario di Stato per l’Unione europea –
Spagna
È un grandissimo privilegio, e fonte di viva soddisfazione, poter rappresentare la Spagna a queste celebrazioni. Durante gli anni della dittatura
l’Europa ha rappresentato per gli spagnoli un traguardo di democrazia e di libertà. L’anno scorso
la Spagna ha celebrato il ventesimo anniversario
della nostra adesione all’Unione europea. Si può
dire che questo sia stato il miglior ventennio della
storia moderna del nostro paese: mai prima, infatti,
gli spagnoli hanno conosciuto un periodo così
lungo di prosperità, stabilità e progresso economico. In passato, recandoci in Francia o nel Regno
Unito ci capitava di sentire frasi come “L’Africa
comincia al di là dei Pirenei” o “La Spagna è un
paese povero, chiuso, in ritardo, con tassi di disoccupazione elevati”, frasi che rivelavano una serie
di pregiudizi. Ora, però, la Spagna vanta una delle
economie più dinamiche, più aperte, più prospere
del pianeta, e credo che sia dovuto in larga misura
all’Unione europea e all’impegno collettivo dimostrato dalla società spagnola. È dunque la storia
di un successo. Oggi dobbiamo però ringraziare i
nostri amici europei, perché la Spagna è il primo
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testimone della solidarietà europea, essendo il
paese che ne ha maggiormente beneficiato. Aiuti
di tre volte superiori al Piano Marshall, oltre 200
miliardi di euro che hanno profondamente trasformato la nostra economia e la nostra società.
Siamo un paese fiero, ma anche orgoglioso del
proprio contributo all’Europa. Perché, se abbiamo
ricevuto molto, è però vero che molto abbiamo
anche dato: la dimensione latino-americana, il
processo euromediterraneo di Barcellona, la politica di coesione economica e sociale, la cittadinanza europea e il Comitato delle regioni, nato
grazie al Trattato di Maastricht, ma in parte anche
alla Spagna. Uno dei motivi del successo spagnolo
sta proprio nelle politiche decentrate, condotte
sul territorio, a contatto con i cittadini, attraverso
le “comunità autonome” (le nostre regioni) e gli
enti locali, che ci hanno permesso di sfruttare al
massimo le energie del nostro paese.
Ciò malgrado assistiamo ora a un momento difficile per l’Europa. Numerosi europei si lamentano che ci sia “troppa Europa” e chiedono che
talune politiche comuni vengano rinazionalizzate.
Vogliono rafforzare le identità nazionali, anche se
questo significherebbe tornare indietro, verso il
passato, imboccare una strada senza prospettive
di avvenire. Molti altri europei ritengono invece
che, dinanzi ai grandi problemi, oggi a Roma e a
Berlino dobbiamo piuttosto chiederci che tipo di
Europa vogliamo per il XXI secolo. Conosciamo
sì l’Europa che ci hanno lasciato in eredità i nostri
padri spirituali, cui rendiamo omaggio in questa occasione, ma qual è l’Europa che vogliamo
lasciare alla discendenza? Qual è il nostro progetto collettivo nell’epoca della mondializzazione?
Ritengo che il modello di Europa cui aspirano gli
spagnoli possa essere sintetizzata in 4 idee.
1. Un’Europa politica e dotata di politiche comuni.
Non possiamo rassegnarci all’idea di un’Europa
che non sia altro che un enorme mercato, un’area
di libero scambio o una moneta unica. Abbiamo
bisogno di un’Europa che sia protagonista e non
semplice spettatrice, di un’Europa che promuova
i nostri valori e difenda i nostri interessi, di un’Europa che protegga i suoi cittadini garantendo loro
una maggiore sicurezza all’interno e all’esterno
delle sue frontiere. Vogliamo una Europa politica
che parli con un’unica voce, con un suo ministro
degli Esteri e con una politica estera comune.
Vogliamo un’Europa che disponga di politiche
comuni, quelle che apportano un autentico
«valore aggiunto» ai cittadini, in ambiti come la
coesione economica e sociale, la concorrenza, la
pesca, i trasporti, l’ambiente, o come la politica
agricola e la politica commerciale, solo per citare
alcuni esempi. Occorre però anche promuovere
politiche nuove, ad esempio in materia d’immigrazione, energia e cambiamento climatico, nell’ambito della politica estera o della difesa.
2. Un’Europa dei valori e della solidarietà. Sono
i principi e i valori che ci uniscono: il rispetto
della dignità umana e dei diritti umani, la libertà,
la democrazia, l’uguaglianza, lo Stato di diritto,
l’abolizione della pena di morte, la non discriminazione, il rispetto del prossimo. Questi valori
sono la base della nostra identità. Le nostre
società sono caratterizzate dal pluralismo, dalla
non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dall’uguaglianza e dalla solidarietà. Se dovessi
scegliere fra questi principi e valori opterei per
la solidarietà: sia interna, tramite i meccanismi di
coesione comunitaria, sia esterna, perché sulla
scena internazionale l’Unione europea è il principale donatore, e perché siamo consapevoli
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che bisogna dare un volto umano alla mondializzazione.
3. Un’Europa al servizio dei cittadini. Grazie a
Jacques Delors e a Felipe Gonzalez la Spagna
ha aderito sin dall’inizio all’idea di un’Europa
dei cittadini. Ora milioni di europei possono
vivere, lavorare, circolare liberamente fra gli
Stati membri. Hanno il diritto di utilizzare
l’euro, di votare alle elezioni municipali e alle
elezioni europee. Questo diritto ci è conferito non dalle costituzioni nazionali, bensì dall’Unione europea. Ne consegue che molto
spesso, senza rendersene conto, i cittadini
europei sono cittadini del mondo, che al
mondo godono del maggior numero di diritti.
Noi aspiriamo alla Carta dei diritti fondamentali e al riconoscimento dell’iniziativa popolare
in campo legislativo. E auspichiamo il rafforzamento della cittadinanza europea per i benefici che potrà darci in avvenire. L’Europa si
costruirà con i suoi cittadini o non si costruirà
affatto.
4. Un’Europa più efficace, più trasparente e
democratica. L’Europa deve i successi finora
conseguiti all’efficacia della sua azione. Le istituzioni devono essere forti, democratiche ed
efficienti, e consentire la presa di decisioni, l’effettiva applicazione delle politiche comuni già
esistenti e la promozione di politiche nuove. In
una UE a 15 Stati membri era già difficile prendere decisioni all’unanimità; ora quello stesso
principio dell’unanimità che è previsto dai Trattati può addirittura condurre alla paralisi.
Come accennato poco fa, per molti di noi il
modello europeo cui aspiriamo è quello che era
Gli enti locali e regionali
previsto dal Trattato costituzionale, ma siamo
disposti a prendere in considerazione altre possibilità per poter realizzare quest’Europa migliore.
Credo ad ogni modo che oggi, qui a Roma, nel
quadro di queste celebrazioni, e dopodomani
a Berlino, il tema è quell’Europa di cui abbiamo
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bisogno, che auspichiamo per il XXI secolo. Tutti
insieme abbiamo cercato di aiutare la presidenza
tedesca a sormontare le difficoltà che attualmente
affliggono l’Unione europea. Dopotutto parliamo
della grande sfida costituita dal nostro avvenire
collettivo in quanto europei.
dell’Unione europea va ben al di là dei sogni dei
padri fondatori.
Partendo da un mercato comune di sei paesi,
abbiamo coinvolto nel nostro impegno a favore
della democrazia, della libertà e della solidarietà
un intero continente.
José Manuel BARROSO,
presidente della Commissione europea
Come diceva la Dichiarazione Schuman del
9 maggio 1950, “l’Europa non potrà farsi in una
sola volta”. A posteriori, questa frase appare
come un invito alla pazienza rispetto al lungo
cammino da percorrere! Neanche Roma, del
resto, è stata fatta in un solo giorno! Ce n’è voluta
tanta, in effetti, di determinazione; ci sono voluti
tanti negoziati, sedie vuote, gesti sensazionali, crisi,
passi avanti e grandi ambizioni per arrivare a questo 50° anniversario dei Trattati di Roma!
Ma questa frase di Robert Schuman può anche
essere vista come una definizione dell’Europa: una
realtà dinamica, per sua natura in costante divenire e quindi protesa verso il futuro.
Credo che, se mettiamo in prospettiva la nostra
avventura europea, non abbiamo motivo di
essere pessimisti. Ricordiamoci del trauma della
guerra, del collasso economico, della cortina di
ferro, delle dittature: di strada ne abbiamo fatta.
E possiamo guardare al passato con orgoglio per
tutto quello che abbiamo realizzato in questi 50
anni, e questo ci permette anche di guardare con
fiducia all’avvenire. Senza dubbio la realtà attuale
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All’inizio l’Europa era una comunità economica,
un mercato. Ora siamo diventati una comunità
politica. All’inizio la CEE si componeva di soli sei
paesi, oggi l’Unione europea conta 27 Stati membri. Siamo diventati uno dei più grandi insiemi di
popoli sul nostro continente, il più grande mercato interno del mondo, la maggiore fonte di
assistenza e di aiuti allo sviluppo. Anche se dobbiamo riconoscere le attuali difficoltà, credo che
non ci sia alcuna ragione per diventare pessimisti,
negativi o cinici, tendenza che talvolta è di moda.
Tutti quelli che, come noi, hanno responsabilità
politiche, a livello sia europeo che nazionale,
devono comprendere che i popoli, i cittadini,
potranno aver fiducia in noi solo se con la nostra
determinazione e la forza delle nostre convinzioni
sapremo dare l’esempio. È questione di convinzione, ma anche di responsabilità: per questo ho
apprezzato molto gli interventi di vari oratori che
mi hanno preceduto, e in modo particolare quello
di Massimo D’Alema, quando ha affermato, con
grande onestà intellettuale, che occorre ricordare
agli Stati membri quelle che sono le loro responsabilità, perché non possiamo sempre imputare
tutte le responsabilità alle istituzioni europee.
Queste devono assolvere la loro parte per i
compiti che loro incombono, ma siamo noi, tutti
insieme, e anzitutto gli Stati membri, a dover contribuire a questo progetto comune. È questo che
ci occorre.
Gli enti locali e regionali
In questi ultimi cinquant’anni abbiamo conquistato
la pace e la libertà, e abbiamo affermato i nostri
valori comuni. Dobbiamo però ricordare che l’altro grande valore cui abbiamo sempre guardato
è la solidarietà. E dobbiamo buona parte della
prosperità economica europea a due principi fondamentali della costruzione europea: la coesione
economica e sociale e la solidarietà regionale.
Sotto questo duplice punto di vista il meccanismo dei fondi strutturali ha svolto, e continua a
svolgere un ruolo essenziale. Alberto Navarro,
Segretario di Stato spagnolo per l’Unione europea, ce lo ha appena ricordato in maniera molto
eloquente. Dobbiamo continuare a ribadire
quanto sia essenziale questo principio della solidarietà, non solo nei confronti delle regioni dei
nuovi Stati membri ma anche di tutti coloro che
hanno bisogno di questa politica decisa di coesione economica e sociale. Ce lo dimostra in
maniera lampante il nostro passato: il successo di
questa politica di solidarietà regionale è tornato
utile non solo ai paesi cui la politica era destinata
direttamente, ma anche alla crescita economica
dell’Europa tutta intera.
ossia riconquistare la fiducia dei cittadini realizzando progressi in iniziative concrete (quella che
abbiamo definito “l’Europa dei risultati”). Rendo
peraltro omaggio alle regioni europee per il valido
sostegno e il contributo entusiasta che ci danno in
questo lavoro di riconquista.
Abbiamo anche vinto un’altra sfida: far sì che la
nostra diversità culturale e linguistica dia impulso
al nostro progetto di vita comune.
L’Europa dei risultati si farà ora carico della nostra
sicurezza energetica e della salvaguardia del clima
del pianeta. Questa scelta, fondamentale per il
nostro futuro, proietta la società europea in una
prospettiva di sviluppo a lungo termine.
Ma la storia non è un lungo fiume tranquillo: essa
conosce anche fratture e rovesci di fortuna. Lo è
stato il “no” al Trattato costituzionale: non possiamo infatti negare che sia stato un duro colpo
per l’Unione europea e abbia fatto pesare un’incognita sul suo avvenire. Per questo abbiamo deciso
di dargli una risposta su due livelli. Anzitutto, il
livello definito dai padri fondatori: vogliamo ottenere dei risultati concreti in maniera graduale,
36
Nella sua Dichiarazione per l’Europa, il Comitato
delle regioni esorta a porre le basi di un “patto di
fiducia tra l’Unione, i suoi vari livelli di governo e
i suoi cittadini”. A mio avviso, questa è una delle
chiavi essenziali per la realizzazione del nostro
progetto collettivo.
Ai cittadini che talvolta dubitano della validità e
dell’efficacia dell’Europa dimostriamo che affrontando insieme le sfide comuni e dispiegando la
nostra forza d’urto coordinata possiamo influenzare veramente il corso degli eventi. Vogliamo
dare agli europei gli strumenti per realizzarsi e
affermarsi in un mondo nuovo più competitivo.
I risultati ottenuti dimostrano che abbiamo adottato le scelte e le vie giuste. E l’ultimo Consiglio
europeo ne è la riprova.
Credo che, dando un esempio di lotta decisa
contro il cambiamento climatico e impugnando
le redini di un progetto molto ambizioso, l’Europa
possa anche essere fiera di proporre alla comunità mondiale una nuova frontiera da conquistare.
Dobbiamo essere però pienamente consapevoli
di una cosa. Non vi è alcun dubbio che quello
che facciamo in materia di crescita economica per
ridurre la disoccupazione è importante, al pari di
quello che facciamo nel quadro della nuova strategia di Lisbona per rilanciare le iniziative indispensabili per il sapere, la ricerca e l’innovazione.
Compiere progressi in tutti questi progetti concreti è senz’altro importante, ma non sufficiente.
Quello che è indispensabile per l’Europa del XXI
secolo sono istituzioni europee più efficaci, più
democratiche e più trasparenti. Abbiamo bisogno
di una maggiore coerenza sul piano istituzionale.
Lo ripeto: il Trattato di Nizza non è sufficiente ed
è indispensabile risolvere la questione istituzionale
in Europa.
Dobbiamo disporre degli strumenti per agire,
dobbiamo darci la capacità di agire. Occorre
sostenere quella che è la chiave di volta, l’essenza
del Trattato costituzionale, non perché le istituzioni siano fine a se stesse, ma perché - se veramente vogliamo dare agli europei i mezzi per agire
nell’epoca della mondializzazione - dobbiamo
farlo a livello europeo. La globalizzazione non
aspetta. Dobbiamo misurarci quotidianamente
nella lotta per una maggiore competitività. È vero
che abbiamo fatto progressi, ma gli altri sono
più rapidi, e sul piano istituzionale sanno trovare
risposte più tempestive ed efficaci. Dobbiamo
dunque chiedere a tutti gli Stati membri di fare
37
uno sforzo di compromesso per riunirsi e trovare
una soluzione alla questione istituzionale. È quello
che rammento loro oggi, e quello che dirò loro
domani e dopodomani a Berlino appoggiando la
presidenza tedesca nella ricerca di un consenso.
Questo è importante perché ne dipende il nostro
avvenire. Le istituzioni sono al servizio di un
progetto che poggia su valori di cui siamo fieri,
valori di libertà e di solidarietà. Ma non dobbiamo
nemmeno dimenticare che queste non possono
essere considerate come acquisite in maniera definitiva. Infatti, quella pace che crediamo garantita
oggi come oggi va sostenuta giorno dopo giorno,
anche al di fuori dell’Europa. Se vogliamo essere
arbitri del nostro avvenire dobbiamo saper dimostrare ai cittadini che siamo in grado di definire il
quadro istituzionale e politico della nostra vita in
comune. L’Europa è indubbiamente un mercato,
ma in realtà anche molto di più: perché questo
“mercato” poggia su un’idea di coerenza politica
e anche sull’idea della solidarietà economica e
sociale. È qui l’originalità dell’Europa, e penso che
nel 50° anniversario del nostro progetto comune
dobbiamo farla presente, e lottare per ulteriori
progressi in questa direzione, ricordandola qui a
Roma e restando fedeli alle nostre convinzioni e
ambizioni anche per i prossimi 50 anni. Per riuscirci dobbiamo impegnarci tutti quanti insieme.
Lo ripeto: noi tutti, in quanto individui, istituzioni
europee, governi europei e regioni d’Europa.
Gli enti locali e regionali
cizio del potere. A mio avviso il principio della
sussidiarietà e l’integrazione sono due concetti
fondamentali per l’Europa.
Stiamo lavorando tutti al rilancio dell’Europa, e
spero che queste celebrazioni ci rendano tutti
consapevoli del fatto che dobbiamo rimetterci
in cammino con determinazione e con più salde
convinzioni.
Romano PRODI,
presidente del Consiglio dei ministri italiano
L’Europa è unione di Stati e di popoli, ma anche
“unione di comunità locali”: ho sempre ritenuto
che questa dimensione locale e regionale abbia
contribuito a conferire un carattere concreto
all’idea di cittadinanza europea. E che avrà un
ruolo ancora più cruciale in futuro.
Regioni e collettività locali sono del resto sempre
più protagoniste delle politiche europee; e allo
stesso tempo, attraverso l’Unione, diventano loro
stesse attori nella globalizzazione.
L’Unione europea deve dunque aiutare le collettività territoriali e, al contempo, queste stesse
collettività territoriali devono aiutare l’Europa a
diventare un attore influente a livello mondiale.
Oggi festeggiamo i 50 anni dall’inizio dell’integrazione; tra le grandi realizzazioni di questo mezzo
secolo metterei la straordinaria capacità degli
europei di dar vita ad un’unione continentale,
anche se riconosco che si sarebbe potuto fare di
più e di meglio. Al tempo stesso siamo riusciti a
valorizzare le realtà territoriali più vicine ai cittadini, il che ci ha consentito di riequilibrare l’eser-
38
Dopo questa pausa, per me un po’ troppo lunga,
non dobbiamo assolutamente cedere sull’acquis
comunitario.
Sono mesi che oramai lo ripeto: non ci sono alternative a quella di rilanciare il processo d’integrazione ripartendo dal Trattato costituzionale di
Roma firmato nell’ottobre 2004.
Il governo italiano è fortemente impegnato in
questo senso: per prima cosa intende attivarsi al
massimo affinché il Trattato costituzionale vada
in porto prima delle prossime elezioni europee
del 2009.
Le innovazioni introdotte per rafforzare l’azione
esterna dell’Unione sono una delle parti “essenziali” del testo del 2004. Perché se in questi primi
50 anni abbiamo avuto la possibilità di lavorare
al nostro interno (mercato unico, euro, abbattimento delle frontiere nazionali, ecc.), nei prossimi 50 sopravviveremo solo se sapremo agire e
proiettarci verso l’esterno.
Questa realtà non deve farci dimenticare altre
disposizioni essenziali legate all’importantissimo
contributo che gli enti regionali e locali hanno dato
al processo d’integrazione europea. Vedo per le
regioni europee tre missioni principali, attraverso
le quali possono contribuire alla costruzione di
un’Unione sempre più forte.
La prima missione, e probabilmente la più importante, sta nel comunicare con i nostri concittadini,
perché per riuscire a mobilitare l’opinione pubblica è assolutamente indispensabile avvicinarsi a
loro.
Il negoziato per il rilancio dell’Unione europea sarà
un negoziato interistituzionale e intergovernativo,
ma le esperienze anche recenti ci insegnano che
occorre sempre ascoltare la voce dei cittadini.
Ritengo che nessuno meglio di voi sa quanto sia
importante persuadere i concittadini dell’assoluta
necessità di rafforzare l’Europa. Faccio affidamento
su di voi affinché raddoppiate il vostro impegno
per renderli ben consapevoli di ciò che l’Europa
significa per loro.
La seconda missione è presso Stati e governi. La
nozione di “Europa forte” può avere un valore
concreto solo se i suoi progetti godono contemporaneamente del sostegno degli enti regionali e
locali.
E peraltro le regioni e gli enti locali più lungimiranti
hanno capito da tempo, dal canto loro, che una
collaborazione più stretta con i governi non può
che rafforzare le loro iniziative.
In passato “più Europa” significava solo più finanziamenti; oggi, “più Europa” significa anche più
possibilità per le regioni di dotarsi del quadro giu-
39
ridico e degli strumenti per affrontare e vincere le
sfide istituzionali. Per ciascuna delle regioni europee l’Europa rappresenta oggi un progetto per
l’avvenire, un progetto promettente, ma anche
una realtà che deve avere le sue radici nelle realtà
regionali e locali.
Questa riflessione mi porta alla terza missione,
che riguarda la vostra coesione istituzionale. Una
coesione che va assolutamente rafforzata.
Sono convinto che sia a livello locale che dobbiamo impegnarci, compiendo uno sforzo simile a
quello che cerchiamo di realizzare a livello nazionale. Ma cosa intendo con “rafforzamento”?
Credo che ciò significhi rinsaldare i legami tra
amministrazioni locali e regionali. Occorre intensificare lo scambio d’idee e di risorse (incluse quelle
umane), definire insieme politiche pubbliche locali
di successo, ispirandosi all’eccellenza dei partner
dell’Unione europea.
Questa terza missione, quindi, consiste nel creare
delle reti. Non deve però restare confinata al
livello più alto, bensì deve saper investire tutti i
livelli amministrativi e di governo, e in particolare
quello operativo, quel livello “sul campo” che realizza i progetti.
L’Unione europea somiglia a un gioco, ma la
globalizzazione è un gioco ancora più grande. A
perdere non sarà chi deciderà di giocare ma chi
ne resterà fuori, chi non saprà portare a termine
questa terza missione consistente nell’instaurare
questa rete di collegamenti.
Gli enti locali e regionali
L’Europa di domani e il contributo
degli enti locali e regionali
1a tavola rotonda: Fino a dove dovrebbe
spingersi il decentramento nell’Europa
di domani?
La cooperazione territoriale svolge infatti un ruolo
chiave per valorizzare la diversità linguistica e culturale e per cementare il tessuto economico-sociale
dell’Europa. Il regolamento sui GECT (gruppi europei di cooperazione territoriale) rappresenta in
proposito un’opportunità per l’Unione europea.
Ernest URTASUN,
relatore del Vertice della gioventù (Spagna)
Bronislaw GEREMEK,
deputato europeo (Polonia)
Oggi i giovani commemorano sì il successo dell’Europa, ma guardano anche verso il futuro: perciò
desiderano un’Unione sensibile alle loro preoccupazioni, che sono la disoccupazione, l’istruzione
e la partecipazione dei cittadini. In tutti questi
campi gli enti locali e regionali possono svolgere
un ruolo fondamentale in quanto incarnano delle
amministrazioni e delle politiche vicine ai cittadini.
In tutto ciò le città e le regioni europee possono
imprimere un nuovo impulso all’Unione.
Fra le condizioni cui devono soddisfare le democrazie forti c’è il decentramento del potere esecutivo, giuridico e legislativo. Trasferendo una parte
importante del potere in prossimità dei cittadini,
il decentramento consentirebbe loro di partecipare all’esercizio effettivo del potere, di seguire da
vicino l’attuazione delle decisioni e di aumentare le
possibilità di realizzazione dei progetti collettivi e
individuali. Le nozioni di “territorialità” e di “livello
locale” sono ben vive all’Est come all’Ovest. Tuttavia, mentre in Europa occidentale il decentramento
costituiva una risposta alla domanda “come gestire
con efficacia un territorio in continua espansione”,
in Europa centrale ed orientale lo sviluppo locale
è stato innanzitutto pensato come sistema per
superare l’eredità lasciata dal comunismo, ossia un
sistema fortemente burocratico e centralizzato.
L’Unione europea, prevedendo la condizione delle
riforme amministrative nel suo acquis comunitario,
come anche nelle sue politiche strutturali e di distribuzione dei fondi, ha svolto un ruolo centrale nell’ammodernamento dello Stato a partire dal 1989.
Le tre tavole rotonde erano animate da Giuliano
Giubilei e Quentin Dickinson.
Riccardo ILLY,
presidente della regione Friuli Venezia Giulia e
presidente dell’ARE (Associazione delle regioni
d’Europa)
In 50 anni l’Europa ha ottenuto enormi risultati, di
cui i più importanti sono stati conseguiti in questi
ultimi 14 anni. Ora l’Europa si affaccia al suo futuro e
ha bisogno di un nuovo trattato, di una costituzione
che dovrebbe essere decisa nel 2009 e che offrirebbe un ruolo preciso al Comitato delle regioni.
42
José MONTILLA AGUILERA,
presidente del Governo autonomo della
Catalogna (Spagna)
Le regioni sono fondamentali per il futuro dell’Unione.
E quindi gli obiettivi della strategia di Lisbona non
potrebbero essere raggiunti senza il loro contributo.
Inoltre grazie al processo di decentramento, pur con
differenze da uno Stato all’altro, esse ottengono maggior autonomia locale, tanto più che i principi di sussidiarietà e proporzionalità sono definiti nei Trattati e
che esse hanno il compito di attuare le politiche che
interessano direttamente i cittadini. È quindi legittimo
che gli enti locali e regionali, attuando un numero
crescente di politiche e fungendo da collegamento
concreto con i cittadini, abbiano un impatto sul processo decisionale europeo, in particolare attraverso
il Comitato delle regioni, il cui ruolo non potrà che
crescere in futuro.
Geerd LEERS,
sindaco di Maastricht (Paesi Bassi)
L’Unione europea dovrebbe trovare una soluzione migliore ai problemi politico-amministrativi
legati all’apertura delle frontiere attraverso un
lavoro approfondito con le regioni. Le legislazioni
nazionali divergenti, spesso espressione di autocompiacimento degli Stati, creano, soprattutto
nelle regioni transfrontaliere, impacci amministrativi a scapito dei diritti dei cittadini europei. Per
risolvere questi problemi sarebbe necessaria una
Carta delle regioni europee, che permetta di definirne diritti e doveri in funzione della loro situa-
43
zione e che crei un quadro di lavoro diretto fra
l’Unione e le sue regioni.
Nicole Jung, rappresentante dei giovani eletti a
livello regionale o locale (Germania)
Il legame che unisce gli enti locali e regionali ai cittadini, e ai giovani in particolare, è fondamentale
per il futuro dell’Unione. Gli enti locali e regionali
sono infatti gli organi che meglio si prestano a
informare i giovani sulle competenze dell’Unione
e sul reale impatto che essa ha sulla loro vita quotidiana, il che consente di migliorare la comprensione, o addirittura di far avvertire maggiormente
ai giovani l’esigenza di trasferire competenze dagli
Stati verso i livelli locale ed europeo.
Alain ROUSSET,
presidente della regione dell’Aquitania (Francia)
Il processo di decentramento deve essere guidato
dall’azione pubblica. Esso non minaccia l’unità
degli Stati, anzi, la sua assenza minaccerebbe
l’unità dell’Europa e la sua capacità di rispondere
alle grandi sfide. Occorre, da un lato, adottare una
Carta delle regioni europee che dia più contenuti alle Euroregioni e, dall’altro, moltiplicare gli
scambi di buone pratiche. Per parte loro, gli Stati
devono dimenticare gli egoismi nazionali e consentire alle regioni di sviluppare maggiormente le
cooperazioni transfrontaliere. Gli enti regionali e
locali hanno anche il compito di associare meglio
i concittadini alla presa di decisioni e alla partecipazione politica.
Gli enti locali e regionali
2a tavola rotonda: Che ruolo devono
svolgere gli enti territoriali per conseguire
una maggiore coesione in Europa?
Dimitris DIMITRIADIS,
Presidente del Comitato economico e sociale
europeo (Grecia)
50 anni fa tutto è iniziato dopo un incubo, che
oggi si è invece trasformato in un sogno. Da un
lato, il sogno di offrire ai nostri cittadini attuali
la vita che veramente meritano e, dall’altro,
quello di preparare il “terreno” e “costruire” le
giuste fondamenta per accogliere le prossime
generazioni europee. L’Europa deve essere
celebrata non come appartenenza a una “nazionalità”, bensì come modo di vedere, stile di vita
e mentalità. Deve essere presentata con un
volto umano, che rispecchi le preoccupazioni e
le aspettative quotidiane dei cittadini. L’Europa
non si riduce a Bruxelles, bensì è costituita da
ogni capitale, città, regione e perfino piccolo
borgo.
Salvatore CUFFARO,
presidente della regione Sicilia
All’atto della firma dei Trattati nel 1957 vi era
una sedia vuota: quella delle regioni. Da allora
l’Europa si è sviluppata, ma per affermarsi maggiormente, e soprattutto per essere una realtà
che abbia un significato profondo per i cittadini,
deve affermarsi a livello locale, operare delle
scelte decise e assumersi le proprie responsabilità. Uno degli aspetti più importanti riguarda
la solidarietà: l’Unione europea deve impegnarsi
con decisione per sostenerla, soprattutto a
livello locale.
44
Dubrovka SUICA,
sindaco di Dubrovnik (Croazia)
L’Unione europea deve oggi svolgere compiti
importanti e far fronte a enormi sfide. In un contesto di pressioni rappresentate dalla globalizzazione e dalla minaccia del cambiamento climatico,
essa continua a cercare il benessere economico e
sociale dei suoi cittadini, accompagnato da pace
e stabilità. Ma, dal livello europeo a quello locale
i cittadini europei devono formare un fronte
unito al fine di apportare un contributo positivo
alla nozione di solidarietà, che è uno dei capisaldi
dell’unità europea. Per conseguire questo scopo
è importante promuovere il dialogo interculturale. L’oratrice ricorda che la città di Dubrovnik
è anche coinvolta attivamente in vari progetti,
chiaro esempio dell’efficacia dell’approccio “morbido” adottato dall’UE per raggiungere gli obiettivi previsti per le regioni in transizione d’Europa.
L’Europa simbolizza la democrazia e la libertà,
e storicamente la Repubblica di Croazia è, ed è
sempre stata, parte integrante dell’Europa. Concludendo, l’oratrice dichiara di non aver dubbi che
l’Europa presto accoglierà la Croazia come membro a pieno titolo dell’Unione.
Rafal DUTKIEWICZ,
sindaco di Breslavia (Polonia)
L’esempio di Breslavia, e della sua gestione dei
fondi strutturali, con 3 miliardi di investimenti che
hanno creato 150.000 posti di lavoro nell’agglomerazione, dimostra che una buona preparazione
a monte, attraverso più autonomia per le città
e le regioni, facilita la riduzione delle disparità e
consente di raggiungere gli obiettivi di coesione.
L’obiettivo “coesione” può dunque ridurre le
disparità esistenti fra regioni europee, ma prima
bisogna che venga attuata una buona organizzazione e che sia data la priorità all’innovazione. Ciò
è possibile grazie alle regioni. L’oratore conclude
auspicando che in avvenire l’Europa si sviluppi
attraverso i livelli locali e regionali.
Dorte LIEBETRUTH,
rappresentante del Vertice dei giovani (Germania)
L’Europa offre ai giovani immense possibilità, ma
solo una minoranza ne approfitta. Bisogna quindi
che i cittadini, soprattutto i giovani, possano
“vivere” l’Europa e in tal modo, appropriandosi di
questa nozione, siano anche in grado di costruire
l’Unione europea. Questa è la condizione indispensabile affinché scompaiano le esitazioni e le
riserve dei cittadini e dei giovani riguardo all’Europa.
Claudio MARTINI,
presidente della regione Toscana e presidente
della CRPM (Conferenza delle regioni periferiche
e marittime)
Le regioni, occupandosi dei grandi progetti europei e lavorando in comune, possono arrivare a
risultati importanti. Possono inoltre assicurare il
legame con i cittadini che già conoscono l’Europa ma anche con quelli che non la conoscono.
Se la “regionalizzazione” dell’Europa non si fa,
è comunque auspicabile una “europeizzazione”
delle regioni affinché possano apportare il loro
contributo alla costruzione europea: è infatti
innegabile che l’Unione europea non potrà progredire senza l’apporto inestimabile delle sue
regioni.
45
Paul HELMINGER,
sindaco di Lussemburgo
Le città sono i principali motori delle economie
regionali, ma non tutte raggiungono la dimensione
critica per diventare grandi metropoli. A tal fine è
necessario che cooperino fra di loro. La dimensione transfrontaliera può risultare talora problematica, poiché gli enti locali hanno responsabilità
differenti da un paese all’altro. Queste responsabilità devono quindi poter essere armonizzate per
rendere le cooperazioni transfrontaliere effettive
e far funzionare la coesione sociale.
3a tavola rotonda: Quale ruolo dovrebbero
svolgere gli enti territoriali nello sviluppo
sostenibile futuro in Europa?
Gérard COLLOMB,
sindaco di Lione (Francia) e presidente di
Eurocities
Il 50° anniversario dell’Unione europea è l’occasione per constatare il ruolo svolto dalle città
nella costruzione europea: gli enti locali, infatti,
sono non solo partner essenziali per l’attuazione
delle politiche comunitarie, ma possono anche,
grazie alla loro esperienza molto concreta e alle
loro politiche innovatrici, contribuire all’elaborazione di queste politiche territoriali. Sono inoltre
un elemento chiave per migliorare il dialogo fra i
cittadini e le istituzioni europee.
Per parte sua la metropoli di Lione ribadisce il
proprio attaccamento alla nozione di “città
europea” e considera sua missione incarnare un
modello di responsabilità urbana, nella società del
Gli enti locali e regionali
XXI secolo, per far fronte alla globalizzazione e
alle sfide economica, ambientale e demografica,
nonché sul fronte della parità e della coesione
sociale. Come presidente di Eurocities l’oratore
prevede una collaborazione fra i sindaci europei
e i sindaci americani firmatari della campagna sul
cambiamento climatico, e aggiunge che tale collaborazione potrebbe estendersi alle città asiatiche,
attraverso la rete Citynet.
Kadir TOPBAS,
sindaco di Istanbul (Turchia)
La protezione dell’ambiente e lo sviluppo sostenibile vanno gestiti innanzitutto a livello locale, perché ciò che è più vicino può essere controllato
meglio. D’altro canto, il partenariato e gli scambi
di buone pratiche fra gli enti locali sono importanti per confrontare e migliorare i metodi. Per
garantire l’avvenire delle città lo sviluppo urbano
deve essere pianificato in modo da evitare i costi
ecologici ed economici eccessivi degli interventi
ex post. L’oratore presenta infine i progetti di
Istanbul in materia di energia e di trattamento dei
rifiuti e spera che i buoni risultati ottenuti servano
di esempio per altre città turche.
Bo BLADHOLM,
sindaco di Stoccolma (Svezia)
Sotto molti aspetti Stoccolma è all’avanguardia
rispetto alle altre città europee in quanto è fra le
più competitive in termini di crescita economica,
ricerca e sviluppo e protezione ambientale. È inoltre
molto attiva nell’affrontare uno dei grandi problemi
che l’Europa di oggi deve risolvere, ossia utilizzare
e produrre l’energia in maniera efficiente. La città
vanta anche un elevato livello di sicurezza sociale e
46
di qualità della vita. Dato che tutti, in Europa, dobbiamo cimentarci con problemi analoghi, è utile
lavorare insieme per sormontarli. Perciò la città
di Stoccolma desidera partecipare allo scambio di
conoscenze e di buone pratiche fra città e paesi
europei per trarre insegnamenti dalle esperienze
passate e per affrontare le sfide future.
Laura RUUSUNOKSA,
rappresentante dei giovani eletti a livello
regionale e locale (Finlandia)
Lo sviluppo sostenibile è una nozione difficile da
delimitare. Di conseguenza, gli enti locali sono
chiamati a definirne con esattezza il concetto nel
quadro dei loro territori, in particolare predisponendo programmi di azione. Inoltre, il livello locale
è quello meglio situato per far vivere la democrazia,
che deve ora integrare meglio i giovani e le donne.
Un maggior coinvolgimento dei giovani in politica
richiede che venga stabilito un nesso importante
fra le problematiche locali e le sfide europee.
Hanna GRONKIEWICZ-WALTZ,
sindaco di Varsavia (Polonia)
I principi che hanno presieduto alla creazione
dell’Unione europea, all’indomani della Seconda
guerra mondiale, s’ispirano anzitutto ai valori di
solidarietà e di protezione della dignità umana.
Questi valori sono sempre di attualità, al pari
delle grandi sfide che i popoli europei devono
affrontare. Come in passato queste problematiche si pongono essenzialmente nel quadro delle
agglomerazioni urbane. D’altro canto, la crescente
urbanizzazione ha fatto delle città i centri propulsivi dello sviluppo locale ed europeo. A Varsavia,
grazie alle sue stesse risorse ma anche ai finanzia-
menti europei, è stato possibile realizzare progetti
di ampio respiro in materia di sviluppo sostenibile. Va sottolineato che senza una partecipazione
attiva dei cittadini, nessun progresso si consolida
veramente in maniera stabile: è quindi indispensabile sviluppare degli organi democratici nel cui
ambito i rappresentanti eletti locali possano ascoltare le istanze dei cittadini e della società civile.
Inoltre, gli scambi di buone pratiche sono diventati necessari: Varsavia ha, ad esempio, sviluppato
dei partenariati non solo con altre città, polacche
ed europee, ma anche con le imprese, le università e i centri di ricerca.
Alberto JARDIM,
presidente della regione di Madeira (Portogallo)
Le politiche di sviluppo sostenibile riguardano sia
i grandi che i piccoli territori, come Madeira, che
per assicurarsi lo sviluppo deve poter contare
sulle proprie risorse, e in primo luogo sulla qualità del proprio ambiente. Essa ha, ad esempio,
realizzato numerosi programmi volti a proteggere
le proprie risorse naturali. Lo sviluppo sostenibile
non riguarda solo l’aspetto ambientale, ma anche
le dimensioni economiche, sociali e culturali. In un
mondo globalizzato l’identità dei territori è infatti
un elemento chiave che consente di far fronte alla
concorrenza. Inoltre, gli enti locali devono tener
conto della crescente domanda di partecipazione
al dibattito pubblico dei cittadini: e sono proprio
i cittadini a insistere sempre più sulla necessità di
attuare politiche ambiziose in materia di sviluppo
sostenibile.
47
Vicente ÁLVAREZ ARECES,
presidente del Principato delle Asturie (Spagna)
I cittadini nutrono crescente preoccupazione
di fronte alle minacce che gravano sul nostro
ambiente. La sola risposta è quella di mobilitarsi
a livello europeo. E a tal fine è necessario appoggiarsi su un’Unione europea forte, un Parlamento
europeo attivo e dei governi nazionali che agiscano in tempo reale. L’UE è infatti chiamata a
coordinare le politiche degli Stati membri e a definire un nuovo modello di crescita, perché da soli i
meccanismi di mercato e il progresso tecnologico
non possono garantire il raggiungimento degli
obiettivi fissati dal Consiglio europeo del marzo
2007. Anche gli enti territoriali hanno un ruolo
chiave da svolgere in questo campo. Una delle
sfide importanti è quella di poter coinvolgere
tutti gli attori pubblici, ai livelli locale, nazionale ed
europeo attorno a politiche di sviluppo sostenibili,
come quella attuata nella regione delle Asturie, o
attraverso l’Associazione dell’Arco atlantico.
Luc VAN DEN BRANDE,
primo vicepresidente del Comitato delle regioni
(Belgio)
L’oratore desidera concludere il dibattito chiedendo di evitare quella che definisce “la schizofrenia istituzionale”. Ricorda di aver militato
da molto tempo per un’Europa “con” le città
e le regioni, e non per un’Europa “per” le città
e le regioni. Fino ad oggi, le istituzioni politiche
poggiavano su un modello di società industriale
Gli enti locali e regionali
Sessione per l’adozione della Dichiarazione
per l’Europa da parte dei membri del
Comitato delle regioni
getto condiviso basato sul rispetto delle competenze di ogni livello, dove i cittadini rappresentino
il centro dell’attività e dove le collettività regionali
e locali possano rafforzarsi attraverso le necessarie strutture di governance volte a garantire che la
loro voce sia effettivamente ascoltata in Europa
come nei paesi membri rispettivi. Per essere vincente, questo progetto per il futuro deve essere
condiviso dai cittadini.
Isidoro GOTTARDO,
presidente del gruppo PPE (Italia)
Mercedes BRESSO,
presidente del gruppo PSE (Italia)
Il Partito popolare europeo manda alla presidenza
tedesca un chiaro segnale: nessuno può permettersi un passo indietro; il cammino europeo è
tracciato e nostra è la responsabilità di rilanciare
questo processo.
Il gruppo PSE del Comitato delle regioni appoggia
il rilancio del processo di integrazione europeo
e l’adozione di un Trattato costituzionale come
suo pilastro centrale, al fine di dare all’Europa un
solido punto di partenza per una nuova era politica dopo l’allargamento e per far fronte alle sfide
globali. Il futuro dell’Unione deve essere costruito
con il contributo degli enti locali e regionali al fine
di trovare nuovi modi per affrontare i più gravi
problemi all’ordine del giorno, come il cambiamento climatico, la lotta contro le disparità, i
cambiamenti demografici e la sfida della globalizzazione economica. Ne consegue che, per sfruttare al massimo il potenziale dell’Unione europea
in questo contesto, sono necessarie strutture più
efficienti, più democratiche e più trasparenti, e il
Trattato costituzionale può offrire tutto ciò. Con
i Trattati esistenti l’Unione europea non è invece
all’altezza delle sfide che ci aspettano.
caratterizzato dalla piena occupazione, ma è
un’epoca decisamente superata. Non si deve
inoltre dimenticare che l’Europa è un progetto
di soppressione delle frontiere ed un progetto
di emancipazione.
Un processo che deve essere rilanciato proprio
a partire dal vertice di Berlino, affinché sia solo
parzialmente dedicato alla memoria di questi
50 anni – di cui celebriamo coraggio e lungimiranza – per dar spazio piuttosto ad un nuovo
impeto che è necessario far affiorare per affrontare le nuove sfide del XXI secolo: ambiente e
cambiamento climatico, sicurezza ed energia,
rilancio economico per l’occupazione, globalizzazione, immigrazione. Per far fronte a queste sfide
un mero mercato comune non basta.
E per vincere queste sfide, l’Europa delle autonomie regionali e locali è pronta a dare il suo contributo, partecipando al rilancio di un’Europa più
politica e pertanto in grado di agire. Da Berlino, e
da questa presidenza, ci attendiamo quel rilancio
che non porti alla creazione di un super Stato con
la sua superburocrazia, ma piuttosto ad un pro-
48
Ivo OPSTELTEN,
presidente del gruppo ALDE (Paesi Bassi)
Per assicurare il successo dell’Unione europea nei
prossimi 50 anni dobbiamo rafforzare la parteci-
pazione degli enti locali e regionali nel progetto
europeo, e naturalmente quella dei cittadini europei. L’oratore richiama l’attenzione su un’iniziativa
presentata dal gruppo ALDE, trasmessa ai leader
europei nel 2006 e lanciata ufficialmente a Roma
il 22 marzo. L’ALDE propone che l’Unione europea si doti di una sorta di “manifesto” (mission
statement) per spiegare ai cittadini e alle future
generazioni i compiti dell’UE adesso e nel XXI
secolo: esso consiste in 10 punti, e sottolinea
che l’obiettivo dell’UE è, fra l’altro, promuovere
e proteggere la democrazia e i diritti universali in
Europa e nel mondo, promuovere la parità e la
tolleranza della diversità in Europa, proteggere
l’ambiente europeo e combattere il cambiamento
climatico, nonché ascoltare i suoi cittadini, essere
responsabile nei loro confronti e lavorare per loro
in maniera trasparente e decentrata. Conclude
augurandosi che i governi nazionali includano
questi concetti nella road map che la presidenza
tedesca intende presentare in giugno.
Giancarlo GABBIANELLI,
vicepresidente del gruppo UEN (Italia)
L’Europa ha un grande compito: quello del
recupero di un patrimonio storico e culturale
49
che di gran lunga supera quello di tutto il resto
del mondo. Ma ci sono delle priorità: l’Europa
deve occuparsi di un problema importante,
quello dell’energia. Infatti, se l’Europa non raggiungerà l’autosufficienza energetica, i cittadini
europei saranno meno liberi e soprattutto non
saranno in grado di svolgere il ruolo che storicamente hanno sempre svolto. Sottolinea inoltre
l’importanza dell’acqua - vero tesoro mondiale
per i prossimi decenni -, delle energie rinnovabili, delle modalità con cui saranno affrontate
la violenza, la povertà, i conflitti geopolitici e
sociali, le problematiche dell’integrazione e dell’immigrazione, ed evidenzia in modo particolare la questione ambientale. Il cammino fatto
dall’ideale europeo ha avuto una grossa accelerazione a partire dal 1989 quando, con il crollo
del muro di Berlino, i nostri fratelli dell’Est si
sono potuti liberare da una feroce dittatura e
hanno potuto riappropriarsi della loro storia,
rendendola patrimonio comune della nuova
edificazione europea. L’Europa ha il suo ruolo
principale nella civiltà, nella sua storia, nelle sue
tradizioni, nelle sue radici cristiane, e quindi
ha un grande compito da svolgere nel mondo
intero, soprattutto nei difficili momenti che
questo sta attraversando.
Gli enti locali e regionali
Postfazione
Perché una dichiarazione per l’Europa?
Gli Stati nazionali si costituirono principalmente
per superare i particolarismi locali e offrire una
cornice politica adeguata all’evoluzione dell’economia e della società dopo la rivoluzione industriale. Centocinquant’anni dopo i padri fondatori
delle Comunità europee hanno avuto l’ambizione
di porre fine al susseguirsi delle guerre e alle
derive totalitarie prodotte da questi stessi Stati
instaurando pacifiche relazioni di cooperazione
economica e politica. Si trattava di creare un vasto
insieme geografico, retto da un quadro giuridico,
e nuove solidarietà di fatto per risolvere i problemi che si ponevano alla metà del XX secolo.
L’epoca era nettamente dominata, da un lato,
dalla logica della lotta di classe e, dall’altro, dalla
preoccupazione di garantire la sicurezza dell’approvvigionamento agricolo ed energetico in un
clima di guerra fredda.
Anche se, negli ultimi vent’anni, per permettere
all’Unione europea di funzionare dopo le tornate
di allargamento e proseguire sulla via dell’integrazione, sono stati accettati adattamenti sempre più
frequenti del suo assetto istituzionale, oggi la crescente difficoltà con cui si ottiene il sostegno delle
opinioni pubbliche rivela l’esistenza di un problema più strutturale. Benché l’Unione europea
abbia permesso agli Stati membri di raggiungere
un livello di prosperità e benessere senza precedenti, infatti, alcuni iniziano a metterne in dubbio
il carattere permanente.
51
Probabilmente, perciò, è giunto il momento di
concepire una forma di organizzazione collettiva adatta al XXI secolo. Quest’ultima dovrebbe
tener conto non solo degli sviluppi economici e
politici intervenuti negli ultimi cinquant’anni (globalizzazione, economia della conoscenza, crollo
dei regimi comunisti), ma anche della trasformazione delle società e dei cambiamenti avvenuti nei
comportamenti e nei valori. Si consentirà così agli
europei di ritrovare un senso di comune appartenenza continentale, di proiettarsi nel futuro e
di aprirsi verso l’esterno.
Il Trattato costituzionale europeo rappresenta un
significativo passo in avanti nella giusta direzione.
In particolare, permette alle istituzioni europee di
funzionare con 27 e più Stati membri migliorando
il processo decisionale. Contribuisce a democratizzare l’Unione europea grazie alla Carta dei diritti
fondamentali, all’istituzione del diritto d’iniziativa
popolare e all’ampliamento dei poteri del Parlamento europeo. Risponde all’istanza di una più
chiara ripartizione delle competenze tra i diversi
poteri introducendo un controllo di sussidiarietà
più operativo, cosa che accrescerà il ruolo degli
enti territoriali nel processo decisionale europeo.
Autorizza l’approfondimento dell’integrazione
europea in alcuni settori, attinenti alla giustizia e
alla sicurezza nonché alla coesione territoriale. Il
Trattato costituzionale, però, rimane nell’ambito
del mandato impartito con la Dichiarazione di
Gli enti locali e regionali
Laeken e rappresenta solo una risposta a medio
termine.
La Dichiarazione delle città e delle regioni, invece,
si pone in una prospettiva più ampia e soprattutto in un orizzonte temporale più lontano. Pur
badando a ricordare i benefici ricavati da cinquant’anni di costruzione europea, mostra anche
che sono possibili nuove modalità di progresso e
che gli enti territoriali sono pronti ad impegnarsi
in questo senso. Deve distinguersi chiaramente
dal “gergo europeo” per brevità e stile e trasmettere una visione positiva.
Cosa possono aspettarsi
dall’Europa le città e le regioni?
Cinquant’anni fa le città e le regioni erano considerate vestigia anacronistiche dell’epoca medievale oppure, in quanto fonte di guerre civili o tra
gli Stati, minacce all’integrità degli Stati nazionali,
come attesta il Manifesto di Ventotene del 1941.
In seguito, il ritorno delle città e delle regioni al
centro della scena istituzionale europea è stato
mosso soprattutto da una logica economica,
poiché le grandi imprese hanno fatto giocare la
concorrenza tra i territori e le piccole imprese si
sono appoggiate agli stessi territori per fondare il
proprio sviluppo e tessere reti di cooperazione.
Il loro ritorno è stato mosso anche da una logica
politica, poiché il decentramento ha progressivamente dotato i livelli di governo meno elevati
di una certa autonomia per consolidare l’esercizio della democrazia di prossimità e rispondere
alla domanda di partecipazione più diretta dei
cittadini. I progressi dell’integrazione europea
52
sono andati di pari passo con il rafforzamento
degli enti territoriali, in nome del progresso della
democrazia e di una maggiore efficacia socioeconomica.
Lo slogan “Europa delle regioni”, lanciato all’inizio degli anni ‘90, non ha ottenuto l’effetto voluto
perché è sembrato voler rimettere in causa
l’estensione dei poteri del Parlamento europeo,
non essendo riuscito a scardinare la resistenza dei
governi nazionali né a riscuotere un forte sostegno
popolare. Oggi il decentramento e la regionalizzazione seguono percorsi e ritmi diversi a seconda
dei paesi. Questa evoluzione convergente, tuttavia, non genera una vera e propria dinamica europea e non ha comportato quel forte effetto di trascinamento che si sarebbe potuto immaginare. È
indiscutibile che le regioni e le città abbiano tratto
grande profitto dallo stabile inquadramento giuridico fornito dal mercato unico e dalla dinamica
derivante dalla politica di coesione. Sono però
entrate in un gioco concorrenziale sempre più
impegnativo, mentre il coordinamento macroeconomico europeo non avanza e le risorse pubbliche si rarefanno. La situazione attuale, quindi, ha
i connotati di una fase intermedia. Gli enti territoriali non possono accontentarsi dello statu quo
attuale, bensì devono ricercare una nuova forma
d’alleanza con l’Unione europea.
Va rilevato che, nonostante le minacce secessionistiche presunte o reali, nell’Unione europea l’evoluzione delle regioni verso una crescente autonomia finora non è mai arrivata al punto di rimettere
in causa l’integrità di uno Stato membro. Questo è tanto più notevole in quanto, nell’Europa
centrale e orientale, il crollo dei regimi comunisti
ha liberato forze centrifughe e, per determinate
frontiere, aperto un periodo d’instabilità. Negli
ultimi quindici anni hanno avuto luogo la scissione pacifica della Cecoslovacchia ma anche la
disgregazione cruenta della Iugoslavia. La pace nei
Balcani è tuttora fragile. Una proliferazione delle
rivendicazioni separatiste modificherebbe indubbiamente l’equilibrio interno dell’Unione europea,
e in tal caso è lecito chiedersi quale sarebbe allora
il ruolo dell’Unione europea nella gestione di questi sviluppi.
All’orizzonte 2020-2025, supponendo che proseguano le tendenze che si stanno delineando, è possibile tracciare almeno cinque scenari evolutivi:
– l’Unione potrebbe spegnersi lentamente,
paralizzata dall’incapacità decisionale, mentre
gli Stati nazionali riacquisterebbero progressivamente le proprie competenze sovrane,
– potrebbe diventare un semplice mercato
regionale, di dimensioni significative, all’interno
del mercato mondiale; a seconda della posta
in gioco assumerebbe allora contorni fluttuanti, che potrebbero includere nuovi paesi
a Sud del Mediterraneo e in Europa orientale,
– potrebbe anche conoscere una riduzione del
numero di Stati membri o raggruppamenti su
base tematica, se alcuni paesi decidessero di
impegnarsi in un’integrazione economica e
politica più spinta e altri non accettassero,
– potrebbe vedere incrementare il numero di
Stati membri fino a una cinquantina, non per
estensione geografica ma per frammentazione
degli Stati membri attuali; diventerebbe allora
il solo fattore unificante continentale,
53
– infine, potrebbe trasformarsi in un vero e
proprio spazio pubblico europeo, forte della
sua ritrovata capacità di integrare e riunire le
differenze culturali e istituzionali di tutti i suoi
territori; sarebbe allora in grado di affermarsi
come entità responsabile e generosa nei confronti del resto del mondo,
– a seconda dello scenario che si realizzerà, la
cittadinanza europea avrà componenti diverse.
Non saranno le stesse neanche l’estensione delle politiche comunitarie e la ripartizione delle competenze tra i diversi livelli di
governo.
Cosa possono chiedere
all’Europa le città e le regioni
per conto dei loro cittadini?
L’esperienza storica europea fa temere che
l’Unione sia destinata a scomparire se non riuscirà
ad adattarsi e a individuare gli strumenti per fondare stabilmente la propria legittimità nella mente
e nel cuore dei cittadini europei. In quanto «politici di prossimità», i rappresentanti eletti locali e
regionali sono in ottima posizione per interpretare i segnali del divario crescente che separa i cittadini dalla realtà europea. L’evoluzione negativa
in corso è riconoscibile in sei linee di divisione:
1) La dimensione del «mercato unico europeo» non è più considerata garanzia di efficacia economica:
– la globalizzazione costringe le grandi
imprese ad adottare strategie mondiali,
Gli enti locali e regionali
– l’armonizzazione e la standardizzazione
sono percepite come vincoli,
– l’acquis comunitario è pesante da gestire
e difficile da far rispettare, tenuto conto
delle capacità istituzionali variabili delle
amministrazioni nazionali e infranazionali,
– la competitività delle nostre economie postindustriali dipende da strategie
incentrate sulla qualità e sulla diversità (e
non necessariamente sulle economie di
scala),
– la comparsa di nuovi concorrenti mondiali rende inadatte le politiche settoriali
europee finalizzate alla quantità,
– in alcuni settori nuovi e strategici l’integrazione europea è ferma e risente
della debolezza del coordinamento
macroeconomico,
– gli effetti di agglomerazione dei nuovi
settori produttivi stimolano la concorrenza tra microterritori (soprattutto in
materia fiscale).
2) Il funzionamento delle istituzioni europee
entra in conflitto con il fatto che la domanda
di democrazia dei cittadini si è rivolta sempre più verso la trasparenza e la partecipazione diretta:
– il metodo comunitario, basato in primo
luogo sul monopolio d’iniziativa affidato
alla Commissione europea, è fortemente
contestato,
– la pesantezza (Consigli dei ministri a
27 Stati membri e Commissione a
27 membri), la lentezza e la scarsa trasparenza del processo decisionale del
54
«triangolo istituzionale» sono fonte di
insoddisfazione,
– le procedure di consultazione parallela
(Libri verdi, Libri bianchi, lobbying, ecc.)
sono percepite come fonti di ulteriore
complessità o addirittura stratagemmi
per aggirare gli ostacoli giuridici o
ampliare implicitamente le competenze
europee,
– la politicizzazione della democrazia europea avanza molto lentamente e incontra
ostacoli creati dagli stessi soggetti coinvolti,
– le norme sul riparto delle competenze
tra i diversi livelli di potere confermano
l’idea che le decisioni europee siano lontane e poco trasparenti.
3) L’offerta normativa europea stenta ad adeguarsi alle nuove aspettative:
– le competenze dell’Unione europea e
l’acquis comunitario possono sembrare
troppo incentrati sulle quattro libertà e sul
mercato unico e, di conseguenza, non in
linea con le aspettative espresse dai cittadini europei in materia di ambiente, protezione civile, giustizia, mantenimento dei
servizi pubblici, evoluzione demografica,
ecc.,
– è difficile raggiungere una posizione
comune in settori socialmente molto sensibili come le conseguenze della globalizzazione, la ricerca in vivo, l’immigrazione,
ecc.,
– poiché il rispetto dello Stato di diritto è
dato per scontato, le rivendicazioni vertono sullo snellimento delle normative,
soprattutto in nome della libertà d’impresa.
4) L’appartenenza a un «destino comune» è
fortemente rimessa in questione:
– lo sviluppo delle tecnologie di comunicazione ha modificato il rapporto con
il tempo e con lo spazio, indebolendo
nettamente i legami di appartenenza e
superando la pura prossimità geografica: spesso ci si sente tanto cittadini del
mondo quanto cittadini europei,
– vantaggi come le possibilità e la facilità
della mobilità geografica offerte dallo
spazio europeo (programma Erasmus,
snellimento o soppressione dei controlli
alle frontiere, introduzione dell’euro)
non sono attribuiti automaticamente
all’UE, bensì considerati frutto di un
generale fenomeno di modernizzazione,
– l’attaccamento all’Europa non ha sostituito il senso d’appartenenza a una
nazione o a un territorio. È piuttosto
venuto a completarli e non si è ancora
consolidato.
5) L’Europa deve ancora rispondere a una serie
di richieste di sviluppo:
– se nei paesi candidati l’accesso a un
tenore di vita più elevato continua a
essere associato all’adesione, nei vecchi
Stati membri talvolta si mettono in dubbio i benefici ricavati dall’appartenenza
all’Unione,
– le rivendicazioni rivolte all’Europa si
concentrano sul consolidamento delle
55
conquiste materiali, sull’estensione dell’accesso a questi benefici, in nome della
coesione, a tutte le fasce di popolazione
e a tutti i territori e sull’adattamento dell’offerta all’evoluzione della popolazione,
che si tratti di cambiamento demografico o d’immigrazione,
– all’Europa è assegnato il compito di individuare soluzioni idonee a ridurre o eliminare gli effetti nocivi del suo modello
di sviluppo (inquinamento) senza modificarne sostanzialmente la traiettoria
(sicurezza
dell’approvvigionamento
energetico, trasporti ecologici, commercio equo, sviluppo sostenibile),
– le forme tradizionali di solidarietà, come
sono state sviluppate dagli Stati assistenziali, suscitano aspettative variabili da
parte degli europei. In base a una sussidiarietà correttamente intesa, coloro che
ritengono il proprio governo nazionale
o regionale in grado di assumersi questo incarico preferiscono che sia svolto
a quel livello, mentre altri preferiscono
fare appello a un intervento europeo.
6) L’Europa ha un atteggiamento molto timido
nei confronti del mondo esterno:
– la capacità d’espressione dei «valori»
europei nel resto del mondo (rispetto
dei diritti dell’uomo, interventi umanitari,
ecc.) non è all’altezza delle ambizioni
iniziali ed è considerata strutturalmente
ostacolata dal prevalere delle prerogative nazionali,
– consapevoli dell’attuale situazione d’interdipendenza mondiale, gli europei
Gli enti locali e regionali
vogliono che l’Europa svolga una funzione protettiva nei confronti dei rischi
esterni, che si tratti del riscaldamento
del clima, dell’inquinamento ambientale,
delle calamità naturali o industriali, del
terrorismo, delle epidemie, delle migrazioni, della sicurezza alimentare ecc.,
– in molti ambiti l’Unione fa fatica a operare una scelta tra aspirazioni talvolta
contraddittorie, da un lato verso l’apertura all’esterno e la tolleranza e dall’altro verso la protezione e la coesione
interna.
In ciascuno di questi ambiti possono essere prospettate risposte istituzionali e/o politiche, ma per
metterle in atto ci vorrà tempo. Occorre quindi
identificare i temi prioritari dal punto di vista delle
città e delle regioni, nonché le scelte auspicabili
o inevitabili.
Che contributo sono pronte a
dare all’Europa le città
e le regioni?
In Europa gli enti territoriali sono inseriti in reti
di concorrenza/dipendenza/cooperazione, che
sono sia verticali (con livelli geografici superiori e
inferiori), sia orizzontali (con enti di pari livello e
altri soggetti collettivi, specialmente organizzazioni
della società civile e parti sociali). Per evitare di
banalizzarsi e perdere i loro specifici vantaggi in
quel sistema di governance a più livelli che è diventata l’Unione europea, gli enti territoriali dovrebbero distinguersi più chiaramente e valorizzare
56
adeguatamente il proprio specifico contributo alla
costruzione europea.
La specificità delle città e delle regioni sta proprio
nel binomio «popolazione-territorio». Di qui il
loro contributo in quanto primi livelli di apprendimento della democrazia, luoghi d’esercizio della
solidarietà di prossimità, spazi rivelatori di problemi sociali e di società, interfacce nella comunicazione con i cittadini, spazi di mobilitazione e
progettualità, nonché basi per la formazione di
un’identità culturale.
Di qui anche il loro ruolo di inquadramento giuridico collettivo nell’organizzazione dei servizi
pubblici, della solidarietà, dell’assetto del territorio e dell’urbanistica, nonché delle attività produttive.
Di qui, infine, la loro capacità di proiettare l’esperienza democratica europea nel resto del mondo,
segnatamente attraverso i gemellaggi e le iniziative
per la cooperazione transfrontaliera esterna.
Nei sei grandi settori sopra identificati gli enti
territoriali possono far valere il loro contributo
in modo «classico», come anelli di una catena
verticale che porta dall’Europa al cittadino e viceversa. Però possono anche porsi, in modo più
innovativo, come protagonisti della governance
del XXI secolo, per esempio facendo valere la
propria esperienza in materia di nuove forme di
democrazia partecipativa, radicamento territoriale
come fonte d’identità collettiva contemporanea
e fattore di sviluppo economico, gestione della
diversità come forza che consente di adattarsi ma
anche di innovare.
Dichiarazione di Berlino
L’Europa è stata per secoli un’idea, una speranza
di pace e comprensione. Oggi questa speranza
si è avverata. L’unificazione europea ci ha permesso di raggiungere pace e benessere. È stata
fondamento di condivisione e superamento di
contrasti. Ogni membro ha contribuito ad unificare l’Europa, a consolidare la democrazia e lo
Stato di diritto. Se oggi l’Europa ha superato definitivamente un’innaturale divisione, lo dobbiamo
all’amore per la libertà dei popoli dell’Europa centrale e orientale. L’integrazione europea è l’insegnamento tratto da conflitti sanguinosi e da una
storia di sofferenze. Oggi viviamo assieme come
mai è stato possibile in passato.
stenza democratica di Stati membri e istituzioni
europee. L’Unione europea si fonda sulla parità
e sull’unione solidale. Rendiamo così possibile un
giusto equilibrio di interessi tra gli Stati membri.
Noi cittadini dell’Unione europea siamo, per
nostra felicità, uniti.
II. Siamo di fronte a grandi sfide che non si
arrestano ai confini nazionali. L’Unione europea è
la nostra risposta a queste sfide. Soltanto assieme
potremo salvaguardare anche in futuro il nostro
ideale europeo di società a beneficio di tutti i
cittadini dell’Unione europea. Questo modello
europeo coniuga successo economico e responsabilità sociale. Il mercato comune e l’euro ci
rendono forti. Potremo così modellare secondo
i nostri valori la crescente interconnessione delle
economie a livello mondiale e la sempre maggiore
concorrenza sui mercati internazionali. La ricchezza dell’Europa è racchiusa nelle conoscenze
e nelle competenze dei suoi cittadini: è questa la
chiave per la crescita, l’occupazione e la coesione
sociale.
I. L’Unione europea ci consente di realizzare
i nostri ideali comuni: per noi l’essere umano è
al centro. La sua dignità è inviolabile. I suoi diritti
inalienabili. Donne e uomini hanno pari diritti.
Aspiriamo alla pace e alla libertà, alla democrazia e allo Stato di diritto, al rispetto reciproco e
all’assunzione di responsabilità, al benessere e alla
sicurezza, alla tolleranza e alla partecipazione, alla
giustizia e alla solidarietà.
L’Unione europea concreta un’unicità di vita e
di azione comune. Ciò si esprime nella coesi-
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L’Unione europea è salvaguardia dell’autonomia
e delle diversità delle tradizioni dei suoi membri.
L’apertura delle frontiere, la vivace molteplicità di
lingue, culture e regioni sono per noi un arricchimento. Molti obiettivi non possono essere conseguiti con un’azione individuale: la loro realizzazione
ci impone un’azione collettiva. L’Unione europea,
gli Stati membri e le loro regioni e comuni si dividono i compiti.
Gli enti locali e regionali
Lotteremo assieme contro il terrorismo, la criminalità organizzata e l’immigrazione illegale. Anche
nella lotta contro i loro oppositori difenderemo il
diritto alla libertà e i diritti civili. Razzismo e xenofobia non devono trovare mai più terreno fertile.
Ci impegniamo affinché si trovino soluzioni pacifiche ai conflitti nel mondo e gli esseri umani
non divengano vittime di guerre, terrorismo o
violenze. L’Unione europea vuole promuovere
la libertà e lo sviluppo nel mondo. Vogliamo far
arretrare la povertà, la fame e le malattie. In tale
contesto vogliamo continuare a svolgere un ruolo
trainante.
Vogliamo portare avanti assieme la politica energetica e la protezione del clima e contribuire a
sconfiggere la minaccia globale rappresentata dal
cambiamento climatico.
58
III. L’Unione europea dipenderà anche in futuro
dalla sua apertura e, nel contempo, dalla volontà
dei suoi membri di consolidare assieme lo sviluppo
interno dell’Unione stessa. L’Unione europea continuerà a promuovere la democrazia, la stabilità e il
benessere anche al di là dei suoi confini.
Con l’unificazione europea si è realizzato un
sogno delle generazioni che ci hanno preceduto.
La nostra storia ci ammonisce a difendere questo
patrimonio per le generazioni future. Dobbiamo
a tal fine continuare a rinnovare tempestivamente
l’impostazione politica dell’Europa. È in questo
spirito che oggi, a 50 anni dalla firma dei Trattati di
Roma, siamo uniti nell’obiettivo di dare all’Unione
europea entro le elezioni del Parlamento europeo del 2009 una base comune rinnovata.
Perché l’Europa è il nostro futuro comune.
Comitato delle regioni
Gli enti locali e regionali nel cuore dell’europa
Lussemburgo: Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee
2007 — 58 pagg. — 14,8 x 21 cm
ISBN 978-92-895-0445-4
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ISBN 978-92-895-0445-4
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Gli enti
locali e regionali
nel cuore dell’Europa