7IJ2I9-faeefe! - Aiccre Lombardia
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QG-78-07-287-IT-C Rue Belliard, 101 _ B-1040 Bruxelles T +32 (0)2 282 22 11 _ F +32 (0)2 282 23 25 ISBN 978-92-895-0445-4 ,!7IJ2I9-faeefe! Gli enti locali e regionali nel cuore dell’Europa Come ottenere le pubblicazioni dell’UE? Le edizioni in vendita dell’Ufficio delle pubblicazioni si possono ordinare tramite EU Bookshop (http://bookshop.europa.eu) presso gli uffici di vendita di vostra scelta. È possibile anche richiedere un elenco di operatori della nostra rete di vendita mondiale inviando un fax al numero (352) 2929 42758. Gli enti locali e regionali nel cuore dell’Europa Il Comitato delle regioni celebra il 50o anniversario dei Trattati di Roma Europe Direct è un servizio a vostra disposizione per aiutarvi a trovare le risposte ai vostri interrogativi sull’Unione europea Numero verde unico (*): 00 800 6 7 8 9 10 11 (*) Alcuni gestori di telefonia mobile non consentono l’accesso ai numeri 00 800 o non ne accettano la gratuità. Numerose altre informazioni sull’Unione europea sono disponibili su Internet consultando il portale Europa (http://europa.eu). Una scheda bibliografica figura alla fine del volume. Lussemburgo: Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, 2007 ISBN 978-92-895-0445-4 © Comunità europee, 2007 Riproduzione autorizzata con citazione della fonte. Printed in Belgium STAMPATO SU CARTA SBIANCATA SENZA CLORO Sommario Dichiarazione per l’Europa del Comitato delle Regioni .................................... 6 Sessione solenne ..................................................................................................... 9 Prefazione ...................................................................................................................................................................... 9 Hans-Gert POETTERING, presidente del Parlamento europeo ................................................................................ 9 Apertura solenne .................................................................................................................................................... 13 Giorgio NAPOLITANO, presidente della Repubblica italiana .................................................................................. 13 Piero MARRAZZO, presidente della regione Lazio ....................................................................................................... 14 Walter VELTRONI, sindaco di Roma ..................................................................................................................................... 18 Michel DELEBARRE, presidente del Comitato delle regioni .................................................................................... 20 Il rilancio del progetto europeo e gli enti locali e regionali.............................................................. 23 Jean ASSELBORN, vice primo ministro e ministro degli Affari esteri e dell’immigrazione – Lussemburgo ........................................................................................................................................................................................ 23 Massimo D’ALEMA, ministro degli Esteri italiano .......................................................................................................... 26 Günter GLOSER, ministro aggiunto («Staatsminister») per gli Affari europei presso il ministero federale degli Affari esteri – Germania ................................................................................................................................ 29 Alberto NAVARRO, segretario di Stato per l’Unione europea – Spagna .......................................................... 32 José Manuel BARROSO, presidente della Commissione europea ........................................................................ 35 Romano PRODI, presidente del Consiglio dei ministri italiano ................................................................................ 38 L’Europa di domani e il contributo degli enti locali e regionali .................................................... 42 1a tavola rotonda : decentramento ....................................................................................................................................... 42 2a tavola rotonda : coesione ...................................................................................................................................................... 44 3a tavola rotonda : sviluppo sostenibile ............................................................................................................................... 45 Sessione per l’adozione della Dichiarazione per l’Europa da parte dei membri del Comitato delle regioni ........................................................................................................................................................................................... 48 Postfazione ............................................................................................................ 51 Perché una dichiarazione per l’Europa? ............................................................................................................... 51 Dichiarazione di Berlino ............................................................................................................................................... 57 3 Gli enti locali e regionali DICHIARAZIONE PER L’EUROPA DEL COMITATO DELLE REGIONI Noi membri del Comitato delle regioni, rappresentanti eletti dei territori, comuni, città e regioni europee, riconosciamo l’inestimabile contributo dato dall’Unione europea negli ultimi cinquant’anni alla pace, alla democrazia e alla prosperità e siamo !eri di avervi concorso. Grazie alla costruzione europea: - i cittadini dell’Unione bene!ciano tutti i giorni di un ampio spazio di stabilità politica, economica e monetaria privo di frontiere, nel quale possono circolare, studiare, formarsi, lavorare e consumare in condizioni di libertà e di sicurezza, - i progressi della democrazia, la sua estensione e lo sviluppo del modello sociale europeo offrono possibilità incomparabili di realizzazione individuale e collettiva nella vita familiare, professionale e sociale, - l’integrazione europea, basata sui principi di cooperazione e di partnership e sullo Stato di diritto, permette ai cittadini di godere di condizioni di vita sicure e rispettose dell’ambiente, additate come esempio nel mondo intero, - la politica di coesione economica e sociale, moderna espressione della solidarietà europea, ha contribuito a dare ai cittadini gli strumenti per accrescere il loro tenore di vita e accedere progressivamente, in ogni regione e città, a servizi pubblici di qualità nei settori dell’istruzione, della sanità e dei trasporti, - i cittadini bene!ciano del rispetto della diversità culturale e linguistica e del riconoscimento dell’identità locale e regionale. Nell’intento di dare una risposta ambiziosa alle aspettative degli europei, specialmente i più giovani, in relazione alla costruzione europea, indichiamo come prioritari i seguenti obiettivi: 6 - la promozione dei valori europei, fra i quali il rispetto dell’essere umano, delle sue libertà, dei suoi diritti e della sua dignità, i principi di solidarietà e responsabilità, lo Stato di diritto e l’uguaglianza di fronte alla legge, la diversità culturale, il consolidamento del modello sociale europeo, lo sviluppo dell’autonomia locale e regionale, come pure della società civile. Questi valori costituiscono le basi per un patto di !ducia tra l’Unione, i suoi vari livelli di governo e i suoi cittadini e !ssano i punti di riferimento di un’identità collettiva europea, - il completamento del mercato interno in una logica di sviluppo sostenibile, equità e inclusione, attingendo maggiormente alla ricchezza territoriale dell’Europa e alla sua diversità, - l’approfondimento democratico della vita politica dell’Unione, grazie a elezioni europee basate su chiare linee programmatiche e di bilancio e all’intensi!cazione dei rapporti tra le assemblee democraticamente elette di ogni livello, - l’adeguamento delle competenze comunitarie nei settori in cui i cittadini apprezzano e avvertono con chiarezza i vantaggi legati a un approccio europeo, nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, - la coesione dell’Unione europea per rispondere meglio alla s!da della globalizzazione. In qualità di rappresentanti dei luoghi di esercizio della democrazia e della solidarietà di prossimità, nonché spazio di progettualità e base per la formazione di un’identità culturale, siamo convinti che il decentramento e la governance a più livelli costituiscano due dei modi migliori per progredire nell’integrazione europea. Ci impegniamo collettivamente af!nché l’Europa diventi un’entità politica forte alla quale i nostri cittadini siano !eri di appartenere, che ispiri loro !ducia nel futuro e nei rapporti con il resto del mondo. In questa prospettiva abbiamo la ferma intenzione di: 7 - continuare a contribuire alla creazione di un’unione sempre più stretta tra i popoli d’Europa, pur nel rispetto della diversità, dell’identità e dell’autonomia regionale e locale, - mantenere un dialogo diretto con i nostri cittadini sulle conquiste dell’Europa e sulle s!de future, e affermare il ruolo del Comitato delle regioni nel processo decisionale comunitario, - dare il nostro contributo sotto forma di risorse !nanziarie e umane per sostenere le politiche europee su questioni fondamentali per i cittadini e per le generazioni future (ad esempio, la tutela dell’ambiente e il riscaldamento climatico), allo scopo di sviluppare approcci comuni ef!cienti, solidi e sostenibili, - valorizzare e condividere le esperienze già acquisite nelle nuove forme di partecipazione civica, di sfruttamento culturale ed economico del potenziale territoriale, di gestione della diversità e di cooperazione territoriale nell’Unione, alle sue frontiere e nel resto del mondo, - sostenere i capi di Stato e di governo perché si giunga a una rapida conclusione del processo costituzionale e dell’indispensabile riforma dei Trattati, senza rimettere in discussione i risultati positivi ottenuti dagli enti territoriali, soprattutto in relazione al controllo di sussidiarietà e alla coesione territoriale dell’Unione europea. Gli enti locali e regionali Sessione solenne Prefazione Il Comitato delle regioni Sei settimane fa ho avuto modo di visitare Maastricht in occasione di un evento speciale organizzato per celebrare il quindicesimo anniversario della firma del Trattato sull’Unione europea, avvenuta in quella città nel 1992. Molti dei firmatari di allora si sono ritrovati per discutere quella che è stata una vera pietra miliare nella costruzione di un’Europa più democratica, efficiente e capace. Hans-Gert POETTERING, presidente del Parlamento europeo È un grande privilegio, oltre che un piacere, essere vostro ospite per celebrare il 50° anniversario della firma dei Trattati di Roma. La decisione del Comitato delle regioni di riunirsi a Roma in questi giorni è quanto mai opportuna. Domenica prossima l’Unione europea compie mezzo secolo, quindi non vi può essere momento o luogo migliore per fare un bilancio di ciò che abbiamo realizzato insieme e rivolgere lo sguardo al nostro potenziale di azione comune nei prossimi anni. La Dichiarazione di Roma, che discuterete e adotterete domani nel corso della sessione plenaria del Comitato, afferma energicamente non solo l’importanza dell’Unione europea per la costruzione di un futuro migliore per i nostri cittadini, ma anche il ruolo cruciale che le regioni e gli enti locali europei possono svolgere in quel processo. 9 Due elementi del Trattato di Maastricht che presentavano una rilevanza particolare, oltre a costituire due iniziative tra di loro interconnesse, sono state l’istituzione del Comitato delle regioni e l’inclusione del principio di sussidiarietà. Negli anni successivi a Maastricht avete mostrato tutto il vostro valore. Infatti il Comitato, giovane istituzione con l’impegnativo compito di rappresentare una comunità ampia e diversificata, ha già svolto un prezioso lavoro di avvicinamento dell’Europa ai cittadini. Il Parlamento europeo si compiace del vostro concreto contributo - individuale e collettivo - al miglioramento della qualità del processo decisionale europeo e alla riduzione del divario tra i cittadini e le istituzioni europee. Siete un ottimo canale di comunicazione bilaterale che opera a fianco del Parlamento europeo, e non in concorrenza con esso. Gli enti locali e regionali Per esempio, la vostra decisione di creare una rete per il controllo del rispetto della sussidiarietà ha dato vita a un importante strumento per lo scambio di informazioni tra soggetti europei, regionali e locali in merito alle proposte della Commissione. Queste proposte possono avere un impatto enorme su chi, come voi, ha spesso il compito di metterle in atto a livello regionale e locale. Analogamente, la vostra piattaforma di monitoraggio della strategia di Lisbona promuove lo scambio di informazioni in merito alle politiche europee di riforma economica per aiutare a identificare sfide e strozzature e concorrere alla ricerca di soluzioni realistiche. La piattaforma attribuisce alle regioni un ruolo più ampio, quello di parti interessate nella strategia di Lisbona e di soggetti attivi nella realizzazione dei suoi obiettivi. Tanto per fare un esempio, uno dei principali obiettivi di Lisbona è portare dal 62 al 70% il tasso di occupazione della popolazione in età lavorativa. Per conseguire questo obiettivo, soprattutto per quanto riguarda i giovani e le donne, le decisioni che assumete come rappresentanti eletti locali e regionali possono essere determinanti. Che si tratti di istruzione, cure sanitarie oppure orari di apertura dei negozi, molto spesso è al livello di base che viene realizzato il processo di Lisbona. Il Comitato ha un ruolo di primo piano anche nel comunicare ai cittadini i successi conseguiti con l’integrazione europea. State partecipando molto attivamente al programma di comunicazione denominato “Piano D” e dimostrando i benefici apportati dalla politica regionale e dalla politica di coesione, che rappresentano ormai quasi la metà del bilancio dell’UE. La Settimana europea delle 10 regioni e delle città (gli Open Days), che organizzate ogni anno, diffonde questo messaggio in tutta l’Unione. La Costituzione europea Il Parlamento europeo si compiace del pieno sostegno che il Comitato ha sempre fornito nelle fasi di elaborazione e ratifica del Trattato costituzionale. Questo sostegno è iniziato con il vostro contributo alla Convenzione stessa ed è proseguito con il dialogo tra il Comitato e la commissione per gli affari costituzionali del Parlamento europeo. Il sostegno del Comitato alla Costituzione è molto incoraggiante. Diverse parti del suo testo valorizzano ulteriormente i rappresentanti locali e regionali e i territori da loro rappresentati: il riconoscimento della diversità culturale e linguistica, l’inclusione della coesione territoriale tra gli obiettivi dell’Unione, il rafforzamento del principio di sussidiarietà, il processo di consultazione degli enti locali e regionali nelle fasi prelegislative, le nuove disposizioni sulla democrazia partecipativa, il riconoscimento di uno statuto speciale alle regioni periferiche e così via. Il mio auspicio è che la Dichiarazione di Berlino, la cui adozione è prevista questa domenica, dia nuovo slancio al processo costituzionale. Questa Dichiarazione sarà l’occasione per illustrare i nostri successi, i nostri valori e le nostre speranze per il futuro. Spero anche che, al prossimo vertice di giugno, il Consiglio europeo decida di convocare in tempi brevi una Conferenza intergovernativa che apporti i necessari cambiamenti al testo originario. Dobbiamo fare in modo che la sostanza della Costituzione sia mantenuta in un eventuale nuovo documento, magari più sintetico. Il nostro obiettivo dovrebbe essere l’adozione di quel testo in tempo per le prossime elezioni europee del giugno 2009. Lo scopo principale dei cambiamenti istituzionali è accrescere sia la democraticità che l’efficienza del progetto europeo. Guardo già con interesse al proseguimento del nostro lavoro comune verso questo traguardo. Realizzare l’Europa sul territorio Il Comitato delle regioni svolgerà un ruolo sempre più ampio nell’Europa di domani. Nei prossimi anni, nella nuova Europa che stiamo costruendo, gli enti locali e regionali conteranno di più, non di meno. Come i membri del Parlamento europeo, anche voi, in quanto rappresentanti eletti, siete schierati in prima linea in Europa: avete modo di constatare con i vostri occhi in che modo la politica interagisce con i cittadini. Gli organi che rappresentate saranno estremamente importanti nella realizzazione dell’Europa sul territorio. Abbiamo già accennato alla strategia di Lisbona: la situazione che caratterizza questa strategia diventerà sempre più la norma. Nel Parlamento europeo attribuiamo grande importanza all’intero pacchetto “Legiferare meglio”. 11 Per noi il procedimento legislativo è un susseguirsi di interventi, che parte dalla consultazione lanciata dalla Commissione prima di elaborare una proposta e finisce con il recepimento dell’atto approvato e con la sua attuazione e applicazione. I membri del Comitato e quelli del Parlamento europeo, quindi, sono associati in un’impresa comune. Vogliamo infatti legiferare meglio ed elaborare politiche migliori, più rispondenti ai bisogni dei cittadini. È questo che intende José Manuel Barroso quando parla della realizzazione di una “Europa dei risultati”. Se riusciremo a conseguire più risultati, i cittadini guarderanno in modo più positivo all’Europa e, se riusciremo ad apportare gli indispensabili miglioramenti al Trattato costituzionale, il conseguimento di tali risultati sarà più facile per l’Europa. Le due cose vanno di pari passo. Conclusione Helmut Kohl disse un giorno: “I veri idealisti sono i visionari”. Cinquant’anni fa, in questa città, una compagine di visionari ha dato il via a un audace esperimento: superare gli odi del passato e costruire una forma di governo nuova, sovranazionale, in cui la vitalità dello Stato nazionale fosse posta al servizio dei popoli dell’Europa intera. Era un esperimento unico nel suo genere, e lo è ancora. Il successo di quei visionari ha superato le loro previsioni più rosee. Nel guardare ai prossimi cinquant’anni abbiamo quindi ancora motivo di essere fiduciosi e ottimisti. Nel mezzo secolo che Gli enti locali e regionali ci aspetta, la vitalità delle regioni e delle città, in cui vivono i 500 milioni di cittadini europei, svolgerà l’importante funzione di nuovo motore della costruzione europea. 12 Rendo quindi omaggio al vostro lavoro, da partner e da amico, e auguro al Comitato delle regioni grande successo nello svolgimento di questa importante funzione. Apertura solenne alta missione di ricerca e definizione di interessi comuni in un contesto sopranazionale, contribuendo a superare ogni tentazione di ritorno a forme di egoistico particolarismo e di nazionalismo. Giorgio NAPOLITANO, presidente della Repubblica italiana Le celebrazioni del cinquantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma sono state una importante occasione per riaffermare le ragioni di un forte impegno politico ad ogni livello in favore del processo di integrazione europea e dell’indispensabile rinnovamento in senso costituzionale dell’Unione. Le istituzioni democratiche dei nostri paesi devono nel loro insieme saper cogliere la domanda d’Europa che è diffusa tra i cittadini. Un ruolo particolare spetta alle regioni e alle autorità territoriali, che possono essere modelli di partecipazione e soggetti politici attivi in favore di una maggiore unità europea. La prossimità ai cittadini delle istituzioni regionali e locali può essere di particolare stimolo per una politica che non rinneghi la sua 13 Dopo i difficili negoziati per la definizione del mandato della nuova Conferenza Intergovernativa occorre l’impegno di tutte le istituzioni, delle forze politiche e dei cittadini europei, per salvaguardare l’ambizione delle riforme necessarie per fare dell’Unione Europea un soggetto politico autorevole sulla scena internazionale, capace di tutelare e promuovere i propri valori e forte di una rinnovata coesione territoriale e sociale. Il futuro del nostro Continente e dei valori che esso rappresenta dipende dalla capacità di mantenere vivo un progetto di ampio respiro per l’Unione Europea, mai perdendo come fonte di ispirazione la lungimiranza dei Padri fondatori e di quanti avviarono e promossero tenacemente l’ideale di una unità politica europea. Desidero in particolare ricordare la figura di Altiero Spinelli, del quale celebriamo questo anno il centenario della nascita. Con questo spirito e con queste motivazioni ho partecipato alla seduta solenne del Comitato delle Regioni a Roma, in occasione delle celebrazioni del Cinquantesimo Anniversario dei Trattati. Gli enti locali e regionali caratterizzata dalla pace, dalla stabilità e dalla prosperità. Piero MARRAZZO, presidente della regione Lazio Desidero anzitutto dare un benvenuto caloroso ai rappresentanti delle regioni della Bulgaria e della Romania, i due Stati che dal 1o gennaio del 2007 sono entrati a far parte della Comunità europea. Cinquant’anni fa eravamo appena sei paesi. Ora siamo ben 27 paesi, con un’infinita molteplicità di popoli e culture, stretti attorno a un grande progetto. Questo è un anno di ricorrenze importanti, un anno di anniversari per il nostro continente e anche per la nostra regione, dove sono stati compiuti alcuni dei passi decisivi nel percorso verso l’integrazione europea. Non esistono soltanto padri fondatori: esistono, anche, città e territori fondatori. Il Lazio è tra questi: una regione in cui si respira e si parla europeo. Cinquant’anni fa, la nostra capitale è stata teatro della firma dei Trattati di Roma, momento costitutivo della Comunità economica europea alla fine della stagione dilaniante delle guerre, che in un certo senso ha segnato l’inizio di un’epoca 14 Cento anni fa nasceva Altiero Spinelli, uno dei padri fondatori del progetto politico europeo. È da Ventotene, una piccola isola nei dintorni di Napoli, che Spinelli, assieme ad altri intellettuali ispirati dall’ideale della libertà, lasciò in eredità a noi cittadini europei un sogno, una visione dell’Europa che ancor oggi costituisce una delle direttrici del lungo cammino che già abbiamo percorso, e che ancora dobbiamo percorrere. Mi sembra doveroso, oggi, salutare questa assemblea proprio con alcune parole del grande statista che fu Altiero Spinelli: “La battaglia che dobbiamo ingaggiare è una battaglia di impegno perché ci sia un’Europa vera, un’Europa della democrazia, un’Europa del popolo”. Sono certo che in quest’azione l’Europa potrà contare sin d’ora sull’appoggio, sul sostegno della nostra regione e di tutte le regioni, non solo quelle italiane ma anche quelle europee, a partire – beninteso – dal Comitato delle regioni. Credo che una nuova e importante spinta propulsiva per l’Europa unita e un rilancio decisivo del processo costituzionale possa venire proprio dai territori: quindi dalle regioni, dalle città e dai comuni d’Europa. Ossia da tutte quelle istituzioni locali che, sul campo, giorno per giorno, costruiscono processi d’integrazione. Le reti tra i territori già esistono, e diventeranno sempre più l’impalcatura su cui edificare un dialogo stabile all’interno della grande area di stabilità euromediterranea. Il mio invito, da rappresentante di una regione di dialogo e di accoglienza come il Lazio, è di allargare il nostro sguardo. Per crescere ancora, è necessario pensare all’Europa come a un continente aperto, come a una grande comunità che vuole accettare gli altri. Credo che in questi 50 anni ci siamo avvicinati sempre di più al nostro obiettivo fondamentale: l’identità e la cittadinanza europea. Ritengo che senza questo fondamento, che è la condizione sine qua non, tutti gli altri obiettivi, economici e politici, non avrebbero alcun senso. La celebrazione del cinquantesimo anniversario ci mette di fronte a molti interrogativi sul nostro passato. Credo che sia veramente tempo di fare il punto della situazione: è logico chiederci che cosa eravamo, che cosa siamo ora e che cosa vogliamo diventare. Oggi possiamo dire davvero che esiste un popolo europeo. E si tratta di un popolo che cresce molto più rapidamente delle istituzioni. Dalla firma dei Trattati di Roma, l’Europa ha percorso moltissima strada, superando ostacoli che sembravano insormontabili. Questa consapevolezza – la consapevolezza dei risultati raggiunti – deve farci guardare con ottimismo al futuro. È vero, tutti noi europeisti abbiamo attraversato un momento di delusione e scoraggiamento quando abbiamo visto arrestarsi bruscamente il processo costituzionale. Tuttavia, io sono d’accordo con chi ritiene che i “no” alla Costituzione pronunciati nella primavera 2005 ci abbiano dato una sferzata positiva, che ci ha stimolato a proseguire il nostro lavoro di riflessione. Sono convinto che sia ora venuto il momento di rilanciare il processo europeo. Agli euroscettici dobbiamo ricordare che nel frattempo l’Europa – l’Europa unita – ha continuato a crescere e si sviluppa ogni giorno di più. Abbiamo fatto insieme enormi passi avanti. Cerchiamo di non dimenticarlo. 15 Penso all’Europa dei giovani, che viaggiano da una città all’altra del continente. Penso ai giovani europei di 20-25 anni che lasciano il loro paese per studiare nelle università straniere: il popolo dell’Erasmus. Penso a tutti quei giovani europei che si conoscono sempre più frequentemente tra loro, si scambiano libri, foto ed e-mail, idee e musica, si innamorano e hanno figli. È a loro che mi rivolgo oggi. Mi fa estremamente piacere che oggi a Roma si riunisca un forum di giovani europei che festeggia anch’esso l’anniversario del Trattato del 1957, e che anche nelle strade di Berlino oggi e domani dei giovani accompagneranno queste celebrazioni ufficiali. Se i giovani sono coinvolti in prima persona, se essi stessi si riconoscono come europei, significa che le fondamenta su cui ci apprestiamo a costruire il nostro futuro sono ben solide. L’identità dell’Europa è costituita dalla sua ricchezza linguistica, culturale e sociale: una varietà di saperi e memorie che non ha eguali nel mondo. Oggi, di fronte alle sfide della globalizzazione, abbiamo il dovere di pensare a come tramandare questo immenso patrimonio. Gli enti locali e regionali Uno degli obiettivi che ci possiamo dare per i prossimi 50 anni è quello di difendere la molteplicità delle nostre storie. Anzi, dobbiamo metterci in grado di accrescere ancora questa ricchezza: magari con l’apporto prezioso delle culture e dei popoli con cui entriamo in un contatto sempre più stretto. L’Europa unita deve saper parlare al plurale. Noi vogliamo far crescere l’Europa dei popoli e dei territori. Le regioni, in questi primi 50 anni di Europa, sono diventate attori importanti nell’arena comunitaria, mettendo in atto riforme istituzionali che hanno modificato radicalmente l’architettura degli Stati nazionali. Se davvero l’Europa vuole parlare con una sola voce, deve saper intercettare la voce dei territori. Spero quindi che le istituzioni europee sapranno accogliere questa richiesta di ascolto, che è rappresentata oggi, ancora una volta, dal nostro Comitato delle regioni e dal suo Presidente, Michel Delebarre, che qui voglio ringraziare personalmente. È indispensabile che i territori siano messi in grado di dialogare – più e meglio – tra loro, e occorre imprimere maggiore impulso alla cooperazione territoriale in ambito UE. Ma c’è anche una questione di prospettiva, che non dobbiamo mai tralasciare se davvero teniamo 16 al nostro futuro comune. L’Europa unita potrà continuare a crescere solo se saprà guardare oltre i propri confini. Occorre quindi cercare con ostinazione e passione una politica di apertura e di vicinato. C’è davanti a noi un’opportunità senza precedenti. Abbiamo a disposizione un tesoro che aspetta solo di essere accolto: il Mediterraneo sta ridiventando, con una rapidità che fino a poco tempo fa nessuno avrebbe potuto prevedere, quello che è stato in passato: uno snodo fondamentale per gli scambi fra le economie della regione. L’esplosione delle economie asiatiche rimette l’Europa e il Mediterraneo al centro del mondo. Lo sviluppo è il miglior antidoto contro le guerre, i fondamentalismi e le disuguaglianze sociali. Come l’Europa aveva ben visto quando a Lisbona e a Barcellona fissò gli importanti obiettivi che – non possiamo nascondercelo – abbiamo in parte disatteso. È il momento di rilanciare. Se parliamo di opportunità, non posso non pensare al tema sempre più centrale dell’energia. L’Unione europea ha detto un sì storico, proprio pochi giorni fa, allo sviluppo delle energie rinnovabili. L’energia pulita sarà nei prossimi anni un eccezionale motore per lo sviluppo e per l’occupazione. E proprio l’area euromediterranea potrà diventare a breve un grande motore economico, un potente polmone verde, decisivo nell’economia del mondo. Abbiamo la possibilità di investire sulla sostituzione di un sistema energetico basato sugli oligopoli degli idrocarburi, promuovendo un altro sistema, di sviluppo diffuso, fondato sulle energie alternative. Attraverso un adeguato programma di investimenti potremo arrivare a un sistema di energie alternative capace di assicurare sviluppo economico anche – e soprattutto – alle regioni più sfavorite del Mediterraneo meridionale. Il Mediterraneo potrà diventare quello che è stata la Ruhr per il carbone nell’Ottocento, o l’Arabia Saudita per il petrolio nel Novecento. Qui l’Europa può e deve far sentire la propria voce. E qui i territori, le regioni, le province e le città hanno una precisa responsabilità, a cui non vogliono sottrarsi. 17 La nostra voce in seno alle istituzioni europee dimostra che le energie che vengono dal basso sono in grado di rendere le politiche comunitarie più vicine alle esigenze e alle necessità dei cittadini. Dobbiamo spingere sull’acceleratore della sussidiarietà, facendone il motore dello sviluppo delle regioni. Occorre rafforzare il ruolo delle regioni nell’attuazione di molte politiche comunitarie, a partire da quelle ambientali. Dalle riposte che sapremo dare a queste istanze dipende il nostro futuro di europei. Il Lazio, regione aperta d’Europa e del Mediterraneo, è pronto a fare la propria parte. Dobbiamo continuare ad alimentare quel vento di pace e di prosperità che si alzò da Ventotene: piccola isola di grandi uomini e grandi idee. Gli enti locali e regionali È evidentemente accaduto, e dobbiamo esserne consapevoli, che ai cittadini europei la nuova costruzione europea sia spesso apparsa come una realtà burocratica, lontana dai loro problemi quotidiani, attenta soprattutto alle grandi questioni economiche e finanziarie. Sono particolarmente lieto di dare il benvenuto di tutta la città, e mio personale, ai rappresentanti del Comitato delle regioni, riuniti in sessione plenaria in questo auditorium per un’occasione davvero speciale. Il Presidente Napolitano ha ragione quando afferma che l’Europa, e in particolare i suoi meccanismi decisionali, appaiono difficili da comprendere. Ma ha anche ragione di sottolineare che è importante saper andare avanti, e compiere progressi nella costruzione di un’Europa sempre più unita. Le condizioni per uscire dall’attuale fase di stallo ci sono. Guai se la consapevolezza delle difficoltà attuali c’inducesse a un eccessivo pessimismo o alla rassegnazione. Quello di cui abbiamo bisogno è “più”, e non già, “meno” Europa. Stiamo infatti celebrando il cinquantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma, e credo che ad accomunarci siano un desiderio e una volontà: che questa non sia solo una ricorrenza, per quanto storica e prestigiosa, ma sia piuttosto l’occasione per ribadire un impegno comune, per sottolineare il ruolo fondamentale delle diverse realtà territoriali nel processo di costruzione dell’Europa, e per rilanciare, dopo le difficoltà che ha incontrato, questo stesso processo. Abbiamo una strada da percorrere, ed è quella di un’Europa che assuma su di sé più responsabilità, che si pronunci sulle grandi scelte da compiere a livello internazionale, sui temi sociali, sulle questioni legate al lavoro, alla formazione, all’ambiente, all’energia, di cui ci ha appena parlato Pietro Marrazzo, su tutte le questioni legate alla sostenibilità dello sviluppo, all’immigrazione e alla mobilità urbana: in sostanza tutti gli aspetti legati alla vita quotidiana delle persone. Non possiamo negare che da due anni e mezzo l’Europa segna il passo. Dobbiamo riconoscere che si è aperto un solco fra opinione pubblica e istituzioni europee. È diminuita la fiducia dei cittadini nella capacità dell’Europa di rispondere alle loro esigenze e alle loro istanze di sicurezza individuale e sociale. Tutto questo chiama in causa, da protagonisti, proprio gli enti locali, le città, le regioni. I governi di prossimità, e con loro quei principi di identità plurale, di solidarietà e sussidiarietà che possono pienamente concretizzarsi solo valorizzando l’autonomia e potenziando il ruolo delle regioni, degli enti locali e delle grandi aree metropolitane d’Europa. Walter VELTRONI, sindaco di Roma 18 Anche così potremo superare l’impasse in cui si trova oggi l’Europa e potremo procedere sulla via dell’integrazione. Di un’unità che non annulli e non cancelli identità e culture nazionali, bensì riconosca le differenze fra popoli, lingue, usi e tradizioni, dunque valorizzi il pluralismo culturale. Ed è anche la via dell’unità, nella ricerca di valori condivisi e degli elementi unitari necessari a capirsi, a conoscersi e ad apprezzarsi reciprocamente, a parlare con una sola voce e a scegliere una sola politica quando il momento lo richieda. Gli enti locali, in tal senso, possono assolvere una funzione fondamentale per la nuova Europa, per coniugare il principio dell’unità politica con il decentramento della governance, tener conto dei diversi bisogni e delle diverse domande dei cittadini e rappresentarli in istanze politiche più solide. In questo modo gli enti locali potranno nello stesso tempo rendere concrete e comprensibili le decisioni dell’Unione, e far sì che i cittadini europei sentano come propri i principi contenuti nel Trattato costituzionale firmato a Roma due anni e mezzo fa, nella Sala degli Orazi e dei Curiazi. Tutto questo è interesse di noi europei. Ma è anche interesse del mondo, che ha bisogno di un’Europa forte dei valori che le sono propri e che ci hanno condotto fin qui: la libertà, la demo- 19 crazia, l’equità sociale. Un’Europa con un’anima, che non divenga mai una fortezza chiusa, ma resti invece aperta, illuminata e generosa di fronte alle vecchie e nuove domande globali. E insieme forte di fronte alle crisi e alle minacce, in particolare quella del terrorismo internazionale, che riguarda soprattutto chi vive nelle grandi città. Oggi tutto questo può sembrarci ancor più difficile, ma vorrei concludere ricordando quanto disse Robert Schuman nel suo celebre discorso del 1950: “L’Europa non si farà d’un tratto né in una costruzione globale. Essa si farà con realizzazioni concrete, creando innanzitutto solidarietà di fatto”. Quella generazione di padri fondatori della costruzione europea ebbe il coraggio di mettersi in cammino, e la capacità – non sempre frequente in politica – di intravedere nei momenti più bui i piccoli spiragli capaci di illuminare il passo successivo. Da sindaco di una città come Roma, non posso che augurare a tutti noi di avere lo stesso coraggio nel cercare la solidarietà e la stessa capacità di raggiungere risultati concreti. Solo così potremo realizzare quel sogno, che oggi è il nostro, di un’Europa terra di dialogo, di convivenza fraterna e di pace, fra gli uomini e fra i popoli. Gli enti locali e regionali Michel DELEBARRE, presidente del Comitato delle regioni Oggi siamo riuniti qui a Roma per celebrare, in quanto cittadini europei, la nostra storia comune: 50 anni di pace, democrazia e prosperità per i membri fondatori, qualcuno di meno per tutti quei paesi che hanno aderito successivamente all’Unione europea, con gli allargamenti del 1973, 1981, 1986, 1995, 2004 e 2007. Come cittadino francese mi permetto di rammentare a questo proposito i ministri Christian Pinault e Maurice Faure, che sottoscrissero il Trattato di Roma per il mio paese. L’Unione europea è un successo incontestabile, che dobbiamo a un gruppetto di personalità politiche particolarmente ispirate – Jean Monnet, Robert Schuman, Konrad Adenauer, Paul-Henri Spaak e Alcide de Gasperi –, ma che dobbiamo anche a una serie di scelte coraggiose da parte di capi di Stato che, ad ogni tappa decisiva dell’integrazione europea, hanno sfidato gli egoismi nazionali e i calcoli meschini e retrogradi: penso chiaramente a Valéry Giscard d’Estaing e a Hel- 20 mut Schmidt, a François Mitterrand e a Helmut Kohl, ma anche a Edward Heath, Mario Soares, Felipe Gonzalez, all’epoca dell’adesione dei rispettivi paesi alla Comunità europea, a Romano Prodi e a Costas Simitis, al momento dell’ingresso nella zona dell’euro, e a coloro che, dopo il 1989, hanno difeso l’unità della famiglia europea: Vaclav Havel e Bronislaw Geremek. L’elenco è fortunatamente lungo, e spero che nessuno si offenderà se non cito tutti. Se scegliendo l’Europa questi leader politici hanno avuto gradualmente il sostegno di milioni di cittadini europei è proprio perché avevano, semplicemente, ragione. Oggi noi dobbiamo loro ben più che dei semplici ringraziamenti: per saldare il nostro debito nei loro confronti dobbiamo continuare a guardare al futuro e costruire insieme un progetto politico generoso: un progetto che risponda tanto ai bisogni economici e sociali dei nostri concittadini quanto alle loro aspirazioni democratiche, culturali e intellettuali; un progetto di coesione interna, ma anche un progetto aperto e attento al resto del mondo, un progetto che sappia parlare ai giovani. Al tempo stesso, in quanto eletti locali e regionali, oggi celebriamo qui un’altra storia: quella dello straordinario ritorno alla ribalta degli enti territoriali sulla scena europea. Ricordiamoci che la ricchezza e l’influenza dell’Europa nel Medio Evo e nel Rinascimento si fondavano anzitutto su città, principati, ducati e contee. Tuttavia, come ha ricordato il presidente Pietro Marrazzo, ai suoi tempi, nel 1941, Altiero Spinelli, uno degli ispiratori e ideatori della costruzione europea, dal carcere di Ventotene in cui era rinchiuso, vedeva ormai le “province” solo come una fonte di conflitti politici e un retaggio economico del feudalesimo. Nel 1957, alla firma del Trattato di Roma, erano rappresentati solo i governi nazionali e nessuno avrebbe potuto peraltro immaginare che fosse altrimenti. È chiaro che il decentramento e l’autonomia locale non erano tra le preoccupazioni immediate e principali dei padri fondatori. Eppure il loro progetto, fondato sulla sovranità condivisa e sulla solidarietà, ha dato vita a un sistema di governo a più livelli che conosciamo oggi e che, nel 1994, ha portato alla creazione del Comitato delle regioni. Colgo qui l’occasione per rendere omaggio ai miei predecessori alla presidenza di questo Comitato: Jacques Blanc, Pasqual Maragall, Manfred Dammeyer, Jos Chabert, Albert Bore e Peter Straub. Oggi a guidarci è la “sussidiarietà”: prodigiosa invenzione europea, purtroppo con una denominazione ostica, e quindi di difficile presa sui cittadini europei, che è però anche un formidabile motore per riconciliare l’esigenza di unità, da un lato, e quella della diversità, dall’altro, con il riconoscimento delle identità locali e regionali. La sussidiarietà permette di confermare che gli Stati rimangono protagonisti dell’azione europea, ma sono anche garanti del coinvolgimento di tutte le parti del territorio nell’azione europea, e che la comunicazione con i cittadini non deve avvenire unicamente a livello nazionale, ma deve anche combinare le reti e i canali offerti dagli enti locali e regionali. Così, in cinquant’anni, l’integrazione europea è progredita di pari passo con il rafforzamento degli enti territoriali, in nome della democrazia e di 21 una maggiore efficienza socioeconomica. Il riconoscimento dell’autonomia locale ha permesso di consolidare l’esercizio della democrazia di prossimità e di rispondere alla richiesta dei cittadini di partecipare più direttamente al processo politico. Il movimento in direzione del decentramento ha assunto gradualmente un’importanza di tutto rispetto. Negli ultimi anni i paesi in cui il dibattito sul decentramento è stato più intenso sono quelli in cui esso era già più avanzato. Gli altri paesi conoscono un’evoluzione più graduale: quelli dell’Europa centrale e orientale lo introducono progressivamente, mentre quelli con tradizione centralizzatrice tentennano ancora (e questo lo posso dire per esperienza diretta). Ma tutti vanno nella stessa direzione, appunto verso un maggiore decentramento. I progressi del mercato unico e la libertà di circolazione hanno messo in risalto l’importanza economica, sociale e culturale dei territori. La politica di coesione, che dobbiamo essenzialmente alla perseveranza e all’impegno di Jacques Delors, è stata un altro strumento essenziale per consentire alle regioni meno avanzate o in difficoltà di recuperare il loro ritardo, ma anche per l’effettiva attuazione delle moderne strategie di sviluppo regionale. Ma se le autorità locali e regionali devono molto all’Unione europea, bisogna riconoscere che l’UE ha, a sua volta, tratto linfa dalla dinamica di fondo da essa stessa attivata. Sicuramente molti di voi possono oggi testimoniare la nostra comune fierezza di poter contribuire alla prosperità e alla coesione dell’Europa. A questo punto è chiaro che, con la globalizzazione e l’avvento della società dell’informazione, l’Europa deve ormai Gli enti locali e regionali puntare sempre più sulla sua diversità geografica e sul dinamismo dei soggetti attivi sul territorio. Ed è anche chiaro che essa deve far leva sul livello locale e regionale per ristabilire il contatto con i cittadini e ritrovare la propria legittimità. Sono queste le convinzioni di cui aveva voluto farci partecipi, Signor Presidente della Repubblica italiana, quando - vari anni fa - aveva preso la parola dinanzi al Comitato delle regioni in veste di presidente della commissione per gli affari istituzionali del Parlamento europeo. Ricordo ancora l’entusiasmo e l’energia da Lei dimostrati nell’intento di associare gli enti territoriali europei al destino dell’Europa. La Sua presenza qui con noi, oggi, malgrado i Suoi numerosi impegni, è un’ulteriore riprova del Suo interesse al riguardo. Il Comitato delle regioni ritiene che se a volte i cittadini si allontanano, non è perché non amino l’Europa, ma perché vorrebbero un’Europa migliore, più protettrice, più visibile, con competenze meglio definite. È nostro compito ristabilire la verità, dissipare i malintesi, confutare se del caso le menzogne e, forse per taluni, smettere di dire una cosa a Bruxelles e tutt’altro a livello locale o nelle nostre circoscrizioni. Siamo inoltre convinti che occorrano nuove strategie per permettere ai nostri concittadini di riscoprire il senso di appartenenza a una comunità continentale, di proiettarsi nel futuro e di aprirsi verso l’esterno. Una parte della risposta è chiaramente di ordine istituzionale: per questo abbiamo invitato numerose personalità europee e nazionali a condividere 22 con noi le loro riflessioni sul rilancio del progetto europeo di concerto con gli enti locali e regionali. Ma il quadro giuridico non è tutto: occorrono delle politiche per dargli un contenuto e soggetti a tutti i livelli per dargli concretamente vita. Abbiamo quindi voluto aprire un grande dibattito per permettere ora ai rappresentanti degli enti locali e regionali di confrontare i loro punti di vista su ciò che questi ultimi possono apportare alla costruzione europea di domani. Signore e Signori, sono lieto che il numero delle presenze, il livello e la qualità della partecipazione facciano di questa sessione solenne un grande raduno degli esponenti delle realtà territoriali europee, venuti ad esprimere simbolicamente il loro sostegno alla ricerca di un’unione sempre più stretta tra i popoli d’Europa. L’idea di questa celebrazione si è concretizzata grazie all’invito e al concorso della regione Lazio e del suo presidente Pietro Marrazzo, che desidero ringraziare vivamente sin d’ora. Con questo nostro incontro, eccezionale sotto più di un aspetto, e con la dichiarazione che verrà resa pubblica tra poco, desideriamo lanciare un messaggio chiaro, che formulerò come segue: noi rappresentiamo i primi livelli della democrazia, le sedi in cui si esercita la solidarietà di prossimità, e, in quanto tali, siamo pronti a impegnarci concretamente per stabilire un nuovo contratto di fiducia tra l’Unione, i suoi diversi livelli di governo e i suoi cittadini. Oggi, qui a Roma, comincia, per gli enti locali e regionali europei un nuovo capitolo nella storia europea! Il rilancio del progetto europeo e gli enti locali e regionali di un’unica meta. Ecco perché il progresso dell’integrazione europea, la spinta verso “sempre più Europa”, deve andare di pari passo con l’indispensabile allargamento dell’Unione. Il nostro successo degli ultimi 50 anni è il risultato di questo duplice approccio. L’Europa è come una casa, di cui a poco a poco si arredano le diverse stanze e alla quale si aggiunge regolarmente un piano o un annesso. Jean ASSELBORN, vice primo ministro e ministro degli Affari esteri e dell’immigrazione – Lussemburgo Sono lieto di poter celebrare con voi qui a Roma, città testimone della storia dall’antichità ai nostri giorni, l’anniversario del Trattato fondatore che ci unisce da ormai 50 anni. Questo Trattato è, e resta anche dopo le numerose modifiche ed estensioni, il caposaldo della nostra vita e del nostro successo comune. Non vi è dubbio, infatti, che l’integrazione europea sia un successo su tutti i fronti. Essa ha garantito agli Stati membri la pace, la stabilità e la prosperità: che cosa possiamo desiderare di più per i nostri popoli, per i nostri cittadini? Quello che forse si può desiderare di più è allargare ad altri paesi lo strumento di solidarietà rappresentato dall’Unione europea, uno strumento certamente unico nel suo genere, cercando di unire il continente europeo nel perseguimento 23 Per continuare a funzionare e ad ottenere risultati concreti, oggi con 27 Stati membri e domani e dopodomani con 30 e più, dobbiamo continuare ad adattare il nostro Trattato, adeguare il funzionamento delle nostre istituzioni e approfondire dove possibile la nostra integrazione, grazie anche al metodo comunitario. Penso evidentemente al capitolo sociale, ma anche al settore della giustizia e degli affari interni, all’energia, al cambiamento climatico, e ovviamente alla politica estera e di sicurezza. È questo il percorso che abbiamo seguito per giungere ad un nuovo Trattato più coerente, il Trattato costituzionale, firmato qui a Roma, in Campidoglio, nell’ottobre 2004. Gli ultimi sondaggi effettuati dall’Eurobarometro indicano che il sostegno dato al Trattato dall’opinione pubblica di tutti i paesi è in aumento. Questi dati testimoniano anche che in Europa si va delineando un consenso sulla necessità di procedere ad una riforma dei Trattati, ed è proprio quest’esigenza che il Comitato delle regioni ha messo in luce nella sua dichiarazione per l’Europa. Gli enti locali e regionali Lo scorso gennaio a Madrid abbiamo organizzato con i nostri partner spagnoli un incontro di tutti i paesi che hanno ratificato il testo, tra l’altro con l’obiettivo di indicare che la fase di riflessione si è conclusa e che è giunto il momento di un’azione meditata e concertata. E con il mio amico Alberto Navarro qui presente ritengo che questo incontro abbia segnato un momento decisivo per il rilancio dell’Europa. In occasione del Consiglio europeo di giugno dovremo raggiungere un consenso su un metodo, un abbozzo di contenuto e un calendario serrato per elaborare questo nuovo Trattato. Considerando gli impegni chiari e coraggiosi che l’Unione ha assunto nell’ultimo Consiglio europeo in materia di energia e di lotta contro il cambiamento climatico, dobbiamo dare all’Europa, a noi stessi, i mezzi per affrontare con maggiore efficacia le sfide del XXI secolo e per rispondere alle aspettative dei cittadini. Come già ha segnalato il sindaco di Roma Veltroni, il mondo e i cittadini europei hanno bisogno non di meno, ma di più Europa: un’Europa in grado di difendere i propri valori e i propri interessi nel mondo. Personalmente, quindi, ritengo che le disposizioni del trattato costituzionale, frutto di negoziati complessi e difficili, riflettano molto bene gli equilibri che ci servono per costruire un’Europa migliore, ossia più efficace, più trasparente e più democratica. In quest’occasione consentitemi di rammentarvi alcuni progressi fondamentali contenuti nel testo del Trattato, che consacrano giustamente gli enti locali e regionali come soggetti europei a pieno titolo. 24 Riconoscendo la struttura costituzionale propria di ciascuno Stato membro, il Trattato consente agli enti territoriali di partecipare all’integrazione europea, a monte come a valle delle decisioni e della loro attuazione. Gli enti regionali possono così collaborare direttamente con le istituzioni comunitarie nel quadro di un autentico partenariato. Un segno quanto mai tangibile della crescente presenza degli enti territoriali nel processo comunitario può essere individuato nel numero di uffici di rappresentanza aperti da tali enti a Bruxelles per seguire più da vicino la vita politica europea. Questa presenza fa parte ormai a pieno titolo della vita politica europea, cosa di cui sono molto lieto. Gli enti territoriali svolgono oggigiorno un ruolo sempre più importante nell’attuazione delle politiche comunitarie, per quanto riguarda le politiche a carattere sia legislativo che regolamentare o finanziario. Infatti, secondo i calcoli della Commissione europea, una quota considerevole delle dotazioni assegnate ai programmi comunitari viene gestita direttamente dagli enti territoriali degli Stati membri. Anche il successo del processo di Lisbona richiede una partecipazione attiva delle regioni sia a livello europeo, tramite il Comitato delle regioni, sia a livello degli Stati membri. Il Trattato costituzionale riconosce questo stato di cose, ossia la presenza di una dimensione regionale e locale in ogni politica comunitaria, ed estende agli enti regionali e locali il principio di sussidiarietà che governa le relazioni tra le istituzioni dell’Unione europea e gli Stati membri. Infine, mi si consenta di ricordare che, ai sensi del Trattato, il Comitato delle regioni avrebbe la facoltà di adire la Corte di giustizia delle Comunità europee per ogni eventuale violazione del principio di sussidiarietà. Inoltre, la consultazione del Comitato sarebbe resa obbligatoria prima dell’elaborazione e dell’attuazione di qualsiasi politica. Queste conquiste, ma anche tante altre, dovrebbero essere salvaguardate al momento di trasfondere in un altro quadro l’essenza del Trattato costituzionale. Una più intensa partecipazione degli enti territoriali ai processi legislativi europei non risponde soltanto ad una semplice realtà di interdipendenza dei processi legislativi europei e nazionali, ma anche a quella necessità avvertita dai cittadini europei di legittimazione politica della costruzione europea. Per diversi aspetti la regione e la comunità locale rappresentano i livelli più appropriati per lo svolgimento dei dibattiti pubblici. Le analisi condotte dalla Commissione nel quadro del “Piano D” non hanno forse indicato che i cittadini erano più motivati nei dibattiti sull’Europa quando questi ultimi venivano organizzati a livello locale? In un parere del 22 settembre 2006 il Comitato delle regioni ha sottolineato l’importanza e 25 il valore aggiunto delle proprie azioni in questo ambito. Gli enti territoriali sono infatti soggetti indispensabili nella costruzione di uno spazio pubblico europeo. È anche attraverso gli enti territoriali che possiamo garantire al meglio il concetto di coesione e di solidarietà. I cittadini europei sono soprattutto interessati alla crescita economica, e quindi alla situazione del lavoro e alla disoccupazione. La presenza di disparità troppo accentuate rischia di compromettere la coesione territoriale: le nostre politiche di coesione sono dunque strumenti preziosi per consentire a tutte le regioni di sfruttare le opportunità offerte dal mercato interno. La politica di coesione e il mercato interno vanno di pari passo, poiché entrambi devono essere al servizio della prosperità di tutti i cittadini dell’UE. Signore, Signori, l’attuale presidenza tedesca deve poter contare sul nostro pieno sostegno nella ricerca di una soluzione soddisfacente che ci unisca tutti e che serva pienamente gli interessi dell’Unione europea e di tutti i suoi cittadini. L’Europa si può fare, infatti, soltanto con i cittadini e per i cittadini. Gli enti locali e regionali Massimo D’ALEMA, ministro degli Esteri italiano Il fatto che il Comitato delle regioni abbia scelto di riunirsi a Roma alla vigilia del Consiglio straordinario di Berlino, è un evento di portata storica. Questa sessione rientra nel quadro dei festeggiamenti organizzati per celebrare i cinquant’anni dei Trattati di Roma. È volutamente che parlo di feste, perché gli europei celebrano con orgoglio il successo del progetto europeo, di questa entità soprannazionale assolutamente unica, fondata sulla democrazia, sulla libera scelta dei cittadini. Essa ha garantito la pace, portato la stabilità e il progresso, e fatto dell’Europa uno dei protagonisti sulla scena internazionale. Abbiamo tutti i motivi per essere fieri di essere cittadini, membri a pieno titolo di questa Unione. Abbiamo svolto un ruolo molto importante nella costruzione di quella che senza alcun dubbio costituisce la più grande novità sulla scena internazionale dalla Seconda guerra mondiale, un autentico polo d’attrazione per l’intero pianeta. Infatti, i dirigenti più illuminati, in particolare del- 26 l’Asia e dell’America Latina, vedono nell’integrazione europea un modello da imitare. È peraltro per questo motivo che, secondo noi, i dirigenti che 50 anni fa avevano un’autentica visione per il nostro avvenire, e che hanno avuto il coraggio di spianarci la via, ci hanno contemporaneamente lasciato un patrimonio e un’eredità straordinari. Dobbiamo riconoscere la realtà di questa eredità, perché noi europei siamo troppo spesso scettici e preferiamo perderci in lunghe discussioni o in sterili polemiche anziché essere fieri di quanto abbiamo realizzato, e soprattutto fieri di quello che dovremo realizzare in avvenire. Siamo però pienamente consapevoli dei problemi che permangono ancor oggi. Sappiamo che abbiamo oggi l’opportunità insperata d’imprimere nuovo slancio al processo d’integrazione europea. I dirigenti europei devono prendere il coraggio a quattro mani per sormontare queste difficoltà, passo indispensabile per poter schiudere all’Europa un avvenire positivo. Occorre saper metter mano ai fondamenti dell’Europa stessa. Non si può dire che essa pecchi ora di eccessiva integrazione. La verità è che questo edificio che abbiamo eretto insieme deve dotarsi di strutture più flessibili, più trasparenti, che permettano vere possibilità di azione. Altrimenti corriamo il rischio di una paralisi burocratica, di essere impossibilitati ad agire, che questa nostra Europa non sia all’altezza delle rivendicazioni giuste e legittime dei cittadini europei, che vogliono più pace e più progresso economico. Il Trattato costituzionale è stato la vittima, più che la causa, della crisi di fiducia che attraversiamo oggi. Ma c’è stato un malinteso. Infatti, una parte dei cittadini, quelli che hanno votato contro, hanno pensato che, essendo vittime di scarse prospettive di avvenire o di una scarsa sicurezza, la situazione fosse imputabile a un “eccesso di Europa” piuttosto che al processo d’integrazione incompleto. Dobbiamo allora dar prova di un po’ di senso critico e riconoscere che anche i dirigenti nazionali sono responsabili. È sempre troppo facile dire che “se qualcosa da noi non funziona, la colpa è dell’Europa”. Quante volte abbiamo sentito il ritornello “la colpa è dell’Europa: è l’Europa che c’impone questo bilancio rigoroso, che ci accolla una massa di regolamentazioni”? È un’Europa presentata come un mostro distante, cui si punta il dito ogniqualvolta ci si vuole sottrarre alle proprie responsabilità. Come italiano direi piuttosto che è grazie all’Europa che il nostro paese si è impegnato sulla via del rigore di bilancio e del progresso civile. È stata l’Europa a spingerci, a pungolarci e a permetterci di vincere quelle tendenze conservatrici che purtroppo ci affliggono da vari anni. Dobbiamo ora procedere sulla via della riforma. Questa è indispensabile non solo per le ragioni che ci avevano spinto in passato. Allora l’integrazione rispondeva a un vero desiderio di pace fra gli europei, e il mercato unico era considerato come un fattore di crescita e di progresso, al pari dell’armonizzazione legislativa. Ora c’è una nuova posta in gioco a livello mondiale: è assolutamente imperativo che gli europei s’impegnino tutti insieme per raccogliere la sfida della pace, della stabilità, della competitività, per poter far conoscere la loro voce in un mondo che vede apparire o ricomparire nuovi protagonisti, in cui gli equilibri 27 che sembravano consolidati risultano fortemente scossi. Vogliamo contare nel mondo in quanto europei, non solo per poter tramandare ai posteri qualcosa di positivo, di compiuto, ma anche perché “riuscire nel progetto europeo” significa assicurare il successo dei valori in cui crediamo, solidarietà, coesione sociale, valori che affondano le loro radici qui, nel nostro continente. Un’Unione europea che procede, che funziona, che è capace di affrontare le grandi sfide non potrà che dare un contributo costruttivo alla mondializzazione, per assicurare che le istanze dei cittadini contino di più e conferire maggiore importanza ai valori fondamentali di solidarietà fra i singoli. Indubbiamente l’Europa ha saputo più volte essere all’altezza delle sfide da affrontare. Basti pensare a tutto quello che ha fatto in seno alle Nazioni Unite per ottenere l’abolizione definitiva della pena di morte. Durante l’ultimo Consiglio europeo l’Europa si è veramente impegnata svolgendo una funzione di battistrada in materia di cambiamenti climatici per adottare una politica energetica compatibile con la protezione dell’ambiente e la difesa della vita. Basti pensare all’estate 2006, quando l’Europa ha nuovamente svolto un ruolo attivo in Medio Oriente: è stata appunto lei a fungere da capofila della missione delle Nazioni Unite per la pace in Israele e in Libano. Quella cui penso è un’Europa decisa a essere un vero protagonista: che vuole veramente sormontare la crisi manifesta, la crisi innescata dal no francese e olandese, un’Europa determinata a dotarsi d’istituzioni democratiche che le consentano di raccogliere tutte le sfide. Jean Asselborn, che mi ha preceduto, aveva del resto perfettamente ragione. Sento che abbiamo Gli enti locali e regionali una comunanza di vedute, come del resto mi sento vicino a tutti i paesi europei che si battono per difendere il Trattato che abbiamo redatto insieme, e che è stato ratificato dalla maggioranza dei cittadini europei. Perchè ritengo che diciotto paesi siano una maggioranza incontestabile. Se è vero che dobbiamo rispettare la volontà di chi non è d’accordo con noi, dobbiamo anche far prevalere gli argomenti di chi vuol far avanzare l’Europa. A spianare la strada, con prudenza e coraggio, è stata la presidenza tedesca. Una strada che di qui al mese di giugno dovrà permetterci di superare nuove tappe. La presidenza tedesca può contare su tutto il nostro appoggio nella ricerca di un compromesso, che sfoci in qualcosa di concreto. Sappiamo bene che un negoziato si gioca su tempi lunghi, e che si tratta di un processo tortuoso e difficile. Ma se si vuole veramente fare un compromesso occorre anche avere il coraggio di fare delle riforme. I governi devono contare, ma occorre anche dare la parola agli attori sul territorio, che sono gli interlocutori privilegiati del dialogo con i cittadini. Si avvicina il momento delicato della scelta: è imperativo arrivare alle elezioni del 2009 con una riforma delle istituzioni, 28 per riconquistare la credibilità che abbiamo perso. Per questo occorre che nel trattato figurino principi e valori fondamentali. Ci si può chiedere se ora occorra discutere un trattato de minimis, in tono minore. La mia risposta è “no!”. Qualsiasi buon negoziatore avvia le trattative chiedendo il massimo. E noi vogliamo riforme, realizzazioni tangibili. Anzitutto vogliamo ottenere elementi concreti. Ma dobbiamo puntare sul massimo perché è in gioco l’avvenire dell’Europa, che è poi anche l’avvenire dei nostri figli. Durante queste celebrazioni è importante far ben recepire un messaggio, che non è rivolto unicamente ai dirigenti politici bensì anche ai cittadini europei. Quella che noi vogliamo è un’Europa più forte, più democratica, provvista di istituzioni in grado di prendere decisioni: è questa la garanzia del futuro, del progresso, della pace, della stabilità. Dobbiamo considerare i problemi delle persone, e non limitarci alle grandi discussioni astratte. Ci parliamo qui, oggi, di democrazia in un paese che è appunto una delle culle della democrazia, ben consapevoli che istituzioni forti e democratiche costituiscono una garanzia di prosperità per i cittadini. continente, un mercato unico con mezzo miliardo di persone, la libertà di spostamento e la moneta unica sono tutte conquiste dell’unificazione europea che hanno portato ai cittadini vantaggi molto concreti di cui non saprebbero più fare a meno. Il cinquantesimo anniversario dei Trattati di Roma è l’occasione per celebrare lo straordinario successo dell’Unione europea. Günter GLOSER, ministro aggiunto («Staatsminister») per gli Affari europei presso il ministero federale degli Affari esteri – Germania Il 25 marzo 1957, cioè quasi cinquant’anni fa, qui a Roma sono stati firmati i Trattati istitutivi della Comunità europea. A Roma ha avuto inizio un progetto politico, unico nel suo genere, che ha avuto un successo straordinario. I Trattati di Roma sono stati preparati dalla Dichiarazione di Messina del 1955. Questo contributo dell’Italia al processo di integrazione europea non potrà mai essere apprezzato abbastanza. In quanto presidenza tedesca dell’UE siamo certi che anche oggi l’Italia ci aiuterà attivamente ad affrontare i difficili compiti che ci attendono. Alcuni giorni fa, a Varsavia, la Cancelliera tedesca Angela Merkel ha definito “mozzafiato e affascinanti” le attuali dimensioni dell’Unione europea. L’UE ha portato al nostro continente pace e benessere come non era mai accaduto prima. La libertà e la democrazia, la fine della divisione del 29 Eppure, nonostante i risultati positivi dell’Unione europea, molti cittadini europei sono scettici nei suoi confronti e, talvolta, hanno addirittura un atteggiamento di rifiuto. Non basta quindi passare in rassegna tutto quello che è stato realizzato nei cinquant’anni trascorsi dalla firma dei Trattati di Roma: dobbiamo anche dimostrare che l’UE è all’altezza delle sfide del XXI secolo. Sicurezza energetica e cambiamento climatico, crescita e innovazione, lotta al terrorismo e alla proliferazione delle armi di distruzione di massa e competizione economica globale sono sfide a cui possiamo far fronte solo attraverso l’UE, perché è insieme che noi europei abbiamo il peso necessario per far sentire la nostra voce nel mondo. Sono profondamente convinto che saremo in grado di riconquistare il sostegno dei cittadini europei al processo d’integrazione se spiegheremo loro che solo lavorando insieme ci sarà possibile affrontare le sfide internazionali. Una di queste sfide è la politica energetica: dobbiamo concertare e coordinare meglio le risorse e le competenze nazionali e comunitarie nel settore delle energie rinnovabili, dell’efficienza energetica e della sicurezza dell’approvvigionamento, fatte salve le competenze nazionali. Gli enti locali e regionali Il piano d’azione adottato dal Consiglio europeo dell’8 e 9 marzo crea i presupposti per un approvvigionamento energetico sicuro, economico e rispettoso dell’ambiente. Questo risultato decisamente concreto del Consiglio europeo dimostra che l’UE è capace di definire una politica efficace in un settore importante per i cittadini di tutti gli Stati membri. Ma ora abbiamo bisogno di risultati più tangibili e pragmatici in settori che ci riguardano tutti nell’Unione europea. Basti pensare, ad esempio, all’ulteriore rafforzamento della politica estera e di sicurezza comune, necessario perché i conflitti non si fermano ai confini dell’Europa, e anche perché, a causa delle sue dimensioni e della sua potenza economica, l’UE è necessariamente un attore globale. Lo si afferma peraltro anche nella strategia in materia di sicurezza che l’UE ha adottato nel dicembre 2003. Nei colloqui che ho durante le mie visite in qualità di ministro aggiunto per gli Affari europei, ma anche come deputato del Bundestag, sento sempre dire che i cittadini chiedono un impegno comune contro il terrorismo e la criminalità tanto quanto la tutela dei diritti umani e civili: se vogliamo accogliere queste istanze dei cittadini europei, e quindi salvaguardare la nostra concezione europea della vita e della società, allora dobbiamo per forza agire insieme. Quando parlo della concezione europea della società intendo ovviamente la democrazia e lo Stato di diritto, ma anche la molteplicità che caratterizza l’Europa e che ci obbliga continuamente ad ascoltare voci diverse e a conciliare opinioni diverse. Avere un’opinione diversa in Europa è un 30 naturale stimolo a discutere per trovare insieme la strada migliore. La cooperazione nell’Unione europea è caratterizzata dall’uguaglianza dei diritti e dei doveri degli Stati membri, dal principio fondamentale della trasparenza e – vorrei proprio ribadirlo – dal principio della sussidiarietà. In breve, sussidiarietà significa che le decisioni vanno prese al livello più vicino possibile ai cittadini. L’integrazione europea, infatti, non avviene solo nelle capitali o addirittura nell’edificio del Consiglio a Bruxelles. Alla base dell’Europa non ci sono solo Trattati, cerimonie solenni e visite di Stato. Quello che contribuisce a unire maggiormente l’Europa è anche l’impegno delle regioni e dei comuni europei. Non dimentichiamo che ancor oggi è grazie ai gemellaggi tra città che molte persone entrano in contatto per la prima volta con il resto dell’Europa. Nel quadro istituzionale dell’Unione europea il Comitato delle regioni è indispensabile per prendere e attuare le decisioni al livello quanto più vicino possibile ai cittadini. I pareri del Comitato forniscono alle istituzioni di Bruxelles e di Strasburgo - e non solo ad esse - importanti orientamenti per il loro lavoro. Il Comitato delle regioni è un anello di congiunzione fondamentale per garantire che la legislazione comunitaria tenga conto delle realtà locali e regionali, e soprattutto delle aspettative dei cittadini. Se è vero che la politica condotta dai governi può dare degli impulsi per i progetti e le azioni a livello locale, è vero anche che la politica a livello locale offre una piattaforma d’interazione in ambiti in cui la politica dei governi può talvolta avere difficoltà ad intervenire. Le regioni e gli enti territoriali europei cooperano già da tempo a livello transfrontaliero: coordinano i progetti infrastrutturali e la politica tecnologica e dell’innovazione e definiscono strategie comuni per lo sviluppo regionale. In modo molto semplice creano così solidarietà e sicurezza anche oltre i confini dell’Europa. Per questo ed altri motivi la presidenza tedesca del Consiglio sottoscrive il principio della sussidiarietà e del rafforzamento del livello comunale e regionale, come previsto nel Trattato costituzionale europeo. Il CdR ha sempre avuto un atteggiamento positivo nei confronti del processo di riforma dell’UE e del Trattato costituzionale, Trattato che non solo migliorerebbe la capacità di agire dell’UE allargata ma renderebbe l’UE anche più democratica e più trasparente. Per questi motivi vogliamo preservare il contenuto politico della Costituzione. 31 Il compito della presidenza tedesca è però tutt’altro che facile: in quanto presidenza abbiamo un ruolo di mediazione. Per trovare un accordo è necessario però che tutte le parti siano disposte a compromessi. A tal fine intendiamo sfruttare gli impulsi favorevoli offerti dal successo del vertice di primavera e dal cinquantesimo anniversario dei Trattati di Roma. Per il vertice di giugno il nostro obiettivo è che il Consiglio europeo decida di portare avanti il processo di riforma e rinnovamento dell’UE e di definirne un calendario, il metodo e gli orientamenti. Vorrei proprio che il 25 marzo mettessimo in primo piano gli elementi che ci uniscono. Dal 50° anniversario dell’UE deve scaturire un messaggio chiaro, ossia la nostra volontà di affrontare e risolvere insieme i compiti che ci attendono. Abbiamo tutte le buone ragioni per essere fiduciosi. Insieme noi europei siamo in grado di prendere in mano e forgiare il nostro futuro. Abbiamo bisogno però della collaborazione dei comuni e delle regioni, per il bene dei cittadini europei. Gli enti locali e regionali Alberto NAVARRO, segretario di Stato per l’Unione europea – Spagna È un grandissimo privilegio, e fonte di viva soddisfazione, poter rappresentare la Spagna a queste celebrazioni. Durante gli anni della dittatura l’Europa ha rappresentato per gli spagnoli un traguardo di democrazia e di libertà. L’anno scorso la Spagna ha celebrato il ventesimo anniversario della nostra adesione all’Unione europea. Si può dire che questo sia stato il miglior ventennio della storia moderna del nostro paese: mai prima, infatti, gli spagnoli hanno conosciuto un periodo così lungo di prosperità, stabilità e progresso economico. In passato, recandoci in Francia o nel Regno Unito ci capitava di sentire frasi come “L’Africa comincia al di là dei Pirenei” o “La Spagna è un paese povero, chiuso, in ritardo, con tassi di disoccupazione elevati”, frasi che rivelavano una serie di pregiudizi. Ora, però, la Spagna vanta una delle economie più dinamiche, più aperte, più prospere del pianeta, e credo che sia dovuto in larga misura all’Unione europea e all’impegno collettivo dimostrato dalla società spagnola. È dunque la storia di un successo. Oggi dobbiamo però ringraziare i nostri amici europei, perché la Spagna è il primo 32 testimone della solidarietà europea, essendo il paese che ne ha maggiormente beneficiato. Aiuti di tre volte superiori al Piano Marshall, oltre 200 miliardi di euro che hanno profondamente trasformato la nostra economia e la nostra società. Siamo un paese fiero, ma anche orgoglioso del proprio contributo all’Europa. Perché, se abbiamo ricevuto molto, è però vero che molto abbiamo anche dato: la dimensione latino-americana, il processo euromediterraneo di Barcellona, la politica di coesione economica e sociale, la cittadinanza europea e il Comitato delle regioni, nato grazie al Trattato di Maastricht, ma in parte anche alla Spagna. Uno dei motivi del successo spagnolo sta proprio nelle politiche decentrate, condotte sul territorio, a contatto con i cittadini, attraverso le “comunità autonome” (le nostre regioni) e gli enti locali, che ci hanno permesso di sfruttare al massimo le energie del nostro paese. Ciò malgrado assistiamo ora a un momento difficile per l’Europa. Numerosi europei si lamentano che ci sia “troppa Europa” e chiedono che talune politiche comuni vengano rinazionalizzate. Vogliono rafforzare le identità nazionali, anche se questo significherebbe tornare indietro, verso il passato, imboccare una strada senza prospettive di avvenire. Molti altri europei ritengono invece che, dinanzi ai grandi problemi, oggi a Roma e a Berlino dobbiamo piuttosto chiederci che tipo di Europa vogliamo per il XXI secolo. Conosciamo sì l’Europa che ci hanno lasciato in eredità i nostri padri spirituali, cui rendiamo omaggio in questa occasione, ma qual è l’Europa che vogliamo lasciare alla discendenza? Qual è il nostro progetto collettivo nell’epoca della mondializzazione? Ritengo che il modello di Europa cui aspirano gli spagnoli possa essere sintetizzata in 4 idee. 1. Un’Europa politica e dotata di politiche comuni. Non possiamo rassegnarci all’idea di un’Europa che non sia altro che un enorme mercato, un’area di libero scambio o una moneta unica. Abbiamo bisogno di un’Europa che sia protagonista e non semplice spettatrice, di un’Europa che promuova i nostri valori e difenda i nostri interessi, di un’Europa che protegga i suoi cittadini garantendo loro una maggiore sicurezza all’interno e all’esterno delle sue frontiere. Vogliamo una Europa politica che parli con un’unica voce, con un suo ministro degli Esteri e con una politica estera comune. Vogliamo un’Europa che disponga di politiche comuni, quelle che apportano un autentico «valore aggiunto» ai cittadini, in ambiti come la coesione economica e sociale, la concorrenza, la pesca, i trasporti, l’ambiente, o come la politica agricola e la politica commerciale, solo per citare alcuni esempi. Occorre però anche promuovere politiche nuove, ad esempio in materia d’immigrazione, energia e cambiamento climatico, nell’ambito della politica estera o della difesa. 2. Un’Europa dei valori e della solidarietà. Sono i principi e i valori che ci uniscono: il rispetto della dignità umana e dei diritti umani, la libertà, la democrazia, l’uguaglianza, lo Stato di diritto, l’abolizione della pena di morte, la non discriminazione, il rispetto del prossimo. Questi valori sono la base della nostra identità. Le nostre società sono caratterizzate dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dall’uguaglianza e dalla solidarietà. Se dovessi scegliere fra questi principi e valori opterei per la solidarietà: sia interna, tramite i meccanismi di coesione comunitaria, sia esterna, perché sulla scena internazionale l’Unione europea è il principale donatore, e perché siamo consapevoli 33 che bisogna dare un volto umano alla mondializzazione. 3. Un’Europa al servizio dei cittadini. Grazie a Jacques Delors e a Felipe Gonzalez la Spagna ha aderito sin dall’inizio all’idea di un’Europa dei cittadini. Ora milioni di europei possono vivere, lavorare, circolare liberamente fra gli Stati membri. Hanno il diritto di utilizzare l’euro, di votare alle elezioni municipali e alle elezioni europee. Questo diritto ci è conferito non dalle costituzioni nazionali, bensì dall’Unione europea. Ne consegue che molto spesso, senza rendersene conto, i cittadini europei sono cittadini del mondo, che al mondo godono del maggior numero di diritti. Noi aspiriamo alla Carta dei diritti fondamentali e al riconoscimento dell’iniziativa popolare in campo legislativo. E auspichiamo il rafforzamento della cittadinanza europea per i benefici che potrà darci in avvenire. L’Europa si costruirà con i suoi cittadini o non si costruirà affatto. 4. Un’Europa più efficace, più trasparente e democratica. L’Europa deve i successi finora conseguiti all’efficacia della sua azione. Le istituzioni devono essere forti, democratiche ed efficienti, e consentire la presa di decisioni, l’effettiva applicazione delle politiche comuni già esistenti e la promozione di politiche nuove. In una UE a 15 Stati membri era già difficile prendere decisioni all’unanimità; ora quello stesso principio dell’unanimità che è previsto dai Trattati può addirittura condurre alla paralisi. Come accennato poco fa, per molti di noi il modello europeo cui aspiriamo è quello che era Gli enti locali e regionali previsto dal Trattato costituzionale, ma siamo disposti a prendere in considerazione altre possibilità per poter realizzare quest’Europa migliore. Credo ad ogni modo che oggi, qui a Roma, nel quadro di queste celebrazioni, e dopodomani a Berlino, il tema è quell’Europa di cui abbiamo 34 bisogno, che auspichiamo per il XXI secolo. Tutti insieme abbiamo cercato di aiutare la presidenza tedesca a sormontare le difficoltà che attualmente affliggono l’Unione europea. Dopotutto parliamo della grande sfida costituita dal nostro avvenire collettivo in quanto europei. dell’Unione europea va ben al di là dei sogni dei padri fondatori. Partendo da un mercato comune di sei paesi, abbiamo coinvolto nel nostro impegno a favore della democrazia, della libertà e della solidarietà un intero continente. José Manuel BARROSO, presidente della Commissione europea Come diceva la Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950, “l’Europa non potrà farsi in una sola volta”. A posteriori, questa frase appare come un invito alla pazienza rispetto al lungo cammino da percorrere! Neanche Roma, del resto, è stata fatta in un solo giorno! Ce n’è voluta tanta, in effetti, di determinazione; ci sono voluti tanti negoziati, sedie vuote, gesti sensazionali, crisi, passi avanti e grandi ambizioni per arrivare a questo 50° anniversario dei Trattati di Roma! Ma questa frase di Robert Schuman può anche essere vista come una definizione dell’Europa: una realtà dinamica, per sua natura in costante divenire e quindi protesa verso il futuro. Credo che, se mettiamo in prospettiva la nostra avventura europea, non abbiamo motivo di essere pessimisti. Ricordiamoci del trauma della guerra, del collasso economico, della cortina di ferro, delle dittature: di strada ne abbiamo fatta. E possiamo guardare al passato con orgoglio per tutto quello che abbiamo realizzato in questi 50 anni, e questo ci permette anche di guardare con fiducia all’avvenire. Senza dubbio la realtà attuale 35 All’inizio l’Europa era una comunità economica, un mercato. Ora siamo diventati una comunità politica. All’inizio la CEE si componeva di soli sei paesi, oggi l’Unione europea conta 27 Stati membri. Siamo diventati uno dei più grandi insiemi di popoli sul nostro continente, il più grande mercato interno del mondo, la maggiore fonte di assistenza e di aiuti allo sviluppo. Anche se dobbiamo riconoscere le attuali difficoltà, credo che non ci sia alcuna ragione per diventare pessimisti, negativi o cinici, tendenza che talvolta è di moda. Tutti quelli che, come noi, hanno responsabilità politiche, a livello sia europeo che nazionale, devono comprendere che i popoli, i cittadini, potranno aver fiducia in noi solo se con la nostra determinazione e la forza delle nostre convinzioni sapremo dare l’esempio. È questione di convinzione, ma anche di responsabilità: per questo ho apprezzato molto gli interventi di vari oratori che mi hanno preceduto, e in modo particolare quello di Massimo D’Alema, quando ha affermato, con grande onestà intellettuale, che occorre ricordare agli Stati membri quelle che sono le loro responsabilità, perché non possiamo sempre imputare tutte le responsabilità alle istituzioni europee. Queste devono assolvere la loro parte per i compiti che loro incombono, ma siamo noi, tutti insieme, e anzitutto gli Stati membri, a dover contribuire a questo progetto comune. È questo che ci occorre. Gli enti locali e regionali In questi ultimi cinquant’anni abbiamo conquistato la pace e la libertà, e abbiamo affermato i nostri valori comuni. Dobbiamo però ricordare che l’altro grande valore cui abbiamo sempre guardato è la solidarietà. E dobbiamo buona parte della prosperità economica europea a due principi fondamentali della costruzione europea: la coesione economica e sociale e la solidarietà regionale. Sotto questo duplice punto di vista il meccanismo dei fondi strutturali ha svolto, e continua a svolgere un ruolo essenziale. Alberto Navarro, Segretario di Stato spagnolo per l’Unione europea, ce lo ha appena ricordato in maniera molto eloquente. Dobbiamo continuare a ribadire quanto sia essenziale questo principio della solidarietà, non solo nei confronti delle regioni dei nuovi Stati membri ma anche di tutti coloro che hanno bisogno di questa politica decisa di coesione economica e sociale. Ce lo dimostra in maniera lampante il nostro passato: il successo di questa politica di solidarietà regionale è tornato utile non solo ai paesi cui la politica era destinata direttamente, ma anche alla crescita economica dell’Europa tutta intera. ossia riconquistare la fiducia dei cittadini realizzando progressi in iniziative concrete (quella che abbiamo definito “l’Europa dei risultati”). Rendo peraltro omaggio alle regioni europee per il valido sostegno e il contributo entusiasta che ci danno in questo lavoro di riconquista. Abbiamo anche vinto un’altra sfida: far sì che la nostra diversità culturale e linguistica dia impulso al nostro progetto di vita comune. L’Europa dei risultati si farà ora carico della nostra sicurezza energetica e della salvaguardia del clima del pianeta. Questa scelta, fondamentale per il nostro futuro, proietta la società europea in una prospettiva di sviluppo a lungo termine. Ma la storia non è un lungo fiume tranquillo: essa conosce anche fratture e rovesci di fortuna. Lo è stato il “no” al Trattato costituzionale: non possiamo infatti negare che sia stato un duro colpo per l’Unione europea e abbia fatto pesare un’incognita sul suo avvenire. Per questo abbiamo deciso di dargli una risposta su due livelli. Anzitutto, il livello definito dai padri fondatori: vogliamo ottenere dei risultati concreti in maniera graduale, 36 Nella sua Dichiarazione per l’Europa, il Comitato delle regioni esorta a porre le basi di un “patto di fiducia tra l’Unione, i suoi vari livelli di governo e i suoi cittadini”. A mio avviso, questa è una delle chiavi essenziali per la realizzazione del nostro progetto collettivo. Ai cittadini che talvolta dubitano della validità e dell’efficacia dell’Europa dimostriamo che affrontando insieme le sfide comuni e dispiegando la nostra forza d’urto coordinata possiamo influenzare veramente il corso degli eventi. Vogliamo dare agli europei gli strumenti per realizzarsi e affermarsi in un mondo nuovo più competitivo. I risultati ottenuti dimostrano che abbiamo adottato le scelte e le vie giuste. E l’ultimo Consiglio europeo ne è la riprova. Credo che, dando un esempio di lotta decisa contro il cambiamento climatico e impugnando le redini di un progetto molto ambizioso, l’Europa possa anche essere fiera di proporre alla comunità mondiale una nuova frontiera da conquistare. Dobbiamo essere però pienamente consapevoli di una cosa. Non vi è alcun dubbio che quello che facciamo in materia di crescita economica per ridurre la disoccupazione è importante, al pari di quello che facciamo nel quadro della nuova strategia di Lisbona per rilanciare le iniziative indispensabili per il sapere, la ricerca e l’innovazione. Compiere progressi in tutti questi progetti concreti è senz’altro importante, ma non sufficiente. Quello che è indispensabile per l’Europa del XXI secolo sono istituzioni europee più efficaci, più democratiche e più trasparenti. Abbiamo bisogno di una maggiore coerenza sul piano istituzionale. Lo ripeto: il Trattato di Nizza non è sufficiente ed è indispensabile risolvere la questione istituzionale in Europa. Dobbiamo disporre degli strumenti per agire, dobbiamo darci la capacità di agire. Occorre sostenere quella che è la chiave di volta, l’essenza del Trattato costituzionale, non perché le istituzioni siano fine a se stesse, ma perché - se veramente vogliamo dare agli europei i mezzi per agire nell’epoca della mondializzazione - dobbiamo farlo a livello europeo. La globalizzazione non aspetta. Dobbiamo misurarci quotidianamente nella lotta per una maggiore competitività. È vero che abbiamo fatto progressi, ma gli altri sono più rapidi, e sul piano istituzionale sanno trovare risposte più tempestive ed efficaci. Dobbiamo dunque chiedere a tutti gli Stati membri di fare 37 uno sforzo di compromesso per riunirsi e trovare una soluzione alla questione istituzionale. È quello che rammento loro oggi, e quello che dirò loro domani e dopodomani a Berlino appoggiando la presidenza tedesca nella ricerca di un consenso. Questo è importante perché ne dipende il nostro avvenire. Le istituzioni sono al servizio di un progetto che poggia su valori di cui siamo fieri, valori di libertà e di solidarietà. Ma non dobbiamo nemmeno dimenticare che queste non possono essere considerate come acquisite in maniera definitiva. Infatti, quella pace che crediamo garantita oggi come oggi va sostenuta giorno dopo giorno, anche al di fuori dell’Europa. Se vogliamo essere arbitri del nostro avvenire dobbiamo saper dimostrare ai cittadini che siamo in grado di definire il quadro istituzionale e politico della nostra vita in comune. L’Europa è indubbiamente un mercato, ma in realtà anche molto di più: perché questo “mercato” poggia su un’idea di coerenza politica e anche sull’idea della solidarietà economica e sociale. È qui l’originalità dell’Europa, e penso che nel 50° anniversario del nostro progetto comune dobbiamo farla presente, e lottare per ulteriori progressi in questa direzione, ricordandola qui a Roma e restando fedeli alle nostre convinzioni e ambizioni anche per i prossimi 50 anni. Per riuscirci dobbiamo impegnarci tutti quanti insieme. Lo ripeto: noi tutti, in quanto individui, istituzioni europee, governi europei e regioni d’Europa. Gli enti locali e regionali cizio del potere. A mio avviso il principio della sussidiarietà e l’integrazione sono due concetti fondamentali per l’Europa. Stiamo lavorando tutti al rilancio dell’Europa, e spero che queste celebrazioni ci rendano tutti consapevoli del fatto che dobbiamo rimetterci in cammino con determinazione e con più salde convinzioni. Romano PRODI, presidente del Consiglio dei ministri italiano L’Europa è unione di Stati e di popoli, ma anche “unione di comunità locali”: ho sempre ritenuto che questa dimensione locale e regionale abbia contribuito a conferire un carattere concreto all’idea di cittadinanza europea. E che avrà un ruolo ancora più cruciale in futuro. Regioni e collettività locali sono del resto sempre più protagoniste delle politiche europee; e allo stesso tempo, attraverso l’Unione, diventano loro stesse attori nella globalizzazione. L’Unione europea deve dunque aiutare le collettività territoriali e, al contempo, queste stesse collettività territoriali devono aiutare l’Europa a diventare un attore influente a livello mondiale. Oggi festeggiamo i 50 anni dall’inizio dell’integrazione; tra le grandi realizzazioni di questo mezzo secolo metterei la straordinaria capacità degli europei di dar vita ad un’unione continentale, anche se riconosco che si sarebbe potuto fare di più e di meglio. Al tempo stesso siamo riusciti a valorizzare le realtà territoriali più vicine ai cittadini, il che ci ha consentito di riequilibrare l’eser- 38 Dopo questa pausa, per me un po’ troppo lunga, non dobbiamo assolutamente cedere sull’acquis comunitario. Sono mesi che oramai lo ripeto: non ci sono alternative a quella di rilanciare il processo d’integrazione ripartendo dal Trattato costituzionale di Roma firmato nell’ottobre 2004. Il governo italiano è fortemente impegnato in questo senso: per prima cosa intende attivarsi al massimo affinché il Trattato costituzionale vada in porto prima delle prossime elezioni europee del 2009. Le innovazioni introdotte per rafforzare l’azione esterna dell’Unione sono una delle parti “essenziali” del testo del 2004. Perché se in questi primi 50 anni abbiamo avuto la possibilità di lavorare al nostro interno (mercato unico, euro, abbattimento delle frontiere nazionali, ecc.), nei prossimi 50 sopravviveremo solo se sapremo agire e proiettarci verso l’esterno. Questa realtà non deve farci dimenticare altre disposizioni essenziali legate all’importantissimo contributo che gli enti regionali e locali hanno dato al processo d’integrazione europea. Vedo per le regioni europee tre missioni principali, attraverso le quali possono contribuire alla costruzione di un’Unione sempre più forte. La prima missione, e probabilmente la più importante, sta nel comunicare con i nostri concittadini, perché per riuscire a mobilitare l’opinione pubblica è assolutamente indispensabile avvicinarsi a loro. Il negoziato per il rilancio dell’Unione europea sarà un negoziato interistituzionale e intergovernativo, ma le esperienze anche recenti ci insegnano che occorre sempre ascoltare la voce dei cittadini. Ritengo che nessuno meglio di voi sa quanto sia importante persuadere i concittadini dell’assoluta necessità di rafforzare l’Europa. Faccio affidamento su di voi affinché raddoppiate il vostro impegno per renderli ben consapevoli di ciò che l’Europa significa per loro. La seconda missione è presso Stati e governi. La nozione di “Europa forte” può avere un valore concreto solo se i suoi progetti godono contemporaneamente del sostegno degli enti regionali e locali. E peraltro le regioni e gli enti locali più lungimiranti hanno capito da tempo, dal canto loro, che una collaborazione più stretta con i governi non può che rafforzare le loro iniziative. In passato “più Europa” significava solo più finanziamenti; oggi, “più Europa” significa anche più possibilità per le regioni di dotarsi del quadro giu- 39 ridico e degli strumenti per affrontare e vincere le sfide istituzionali. Per ciascuna delle regioni europee l’Europa rappresenta oggi un progetto per l’avvenire, un progetto promettente, ma anche una realtà che deve avere le sue radici nelle realtà regionali e locali. Questa riflessione mi porta alla terza missione, che riguarda la vostra coesione istituzionale. Una coesione che va assolutamente rafforzata. Sono convinto che sia a livello locale che dobbiamo impegnarci, compiendo uno sforzo simile a quello che cerchiamo di realizzare a livello nazionale. Ma cosa intendo con “rafforzamento”? Credo che ciò significhi rinsaldare i legami tra amministrazioni locali e regionali. Occorre intensificare lo scambio d’idee e di risorse (incluse quelle umane), definire insieme politiche pubbliche locali di successo, ispirandosi all’eccellenza dei partner dell’Unione europea. Questa terza missione, quindi, consiste nel creare delle reti. Non deve però restare confinata al livello più alto, bensì deve saper investire tutti i livelli amministrativi e di governo, e in particolare quello operativo, quel livello “sul campo” che realizza i progetti. L’Unione europea somiglia a un gioco, ma la globalizzazione è un gioco ancora più grande. A perdere non sarà chi deciderà di giocare ma chi ne resterà fuori, chi non saprà portare a termine questa terza missione consistente nell’instaurare questa rete di collegamenti. Gli enti locali e regionali L’Europa di domani e il contributo degli enti locali e regionali 1a tavola rotonda: Fino a dove dovrebbe spingersi il decentramento nell’Europa di domani? La cooperazione territoriale svolge infatti un ruolo chiave per valorizzare la diversità linguistica e culturale e per cementare il tessuto economico-sociale dell’Europa. Il regolamento sui GECT (gruppi europei di cooperazione territoriale) rappresenta in proposito un’opportunità per l’Unione europea. Ernest URTASUN, relatore del Vertice della gioventù (Spagna) Bronislaw GEREMEK, deputato europeo (Polonia) Oggi i giovani commemorano sì il successo dell’Europa, ma guardano anche verso il futuro: perciò desiderano un’Unione sensibile alle loro preoccupazioni, che sono la disoccupazione, l’istruzione e la partecipazione dei cittadini. In tutti questi campi gli enti locali e regionali possono svolgere un ruolo fondamentale in quanto incarnano delle amministrazioni e delle politiche vicine ai cittadini. In tutto ciò le città e le regioni europee possono imprimere un nuovo impulso all’Unione. Fra le condizioni cui devono soddisfare le democrazie forti c’è il decentramento del potere esecutivo, giuridico e legislativo. Trasferendo una parte importante del potere in prossimità dei cittadini, il decentramento consentirebbe loro di partecipare all’esercizio effettivo del potere, di seguire da vicino l’attuazione delle decisioni e di aumentare le possibilità di realizzazione dei progetti collettivi e individuali. Le nozioni di “territorialità” e di “livello locale” sono ben vive all’Est come all’Ovest. Tuttavia, mentre in Europa occidentale il decentramento costituiva una risposta alla domanda “come gestire con efficacia un territorio in continua espansione”, in Europa centrale ed orientale lo sviluppo locale è stato innanzitutto pensato come sistema per superare l’eredità lasciata dal comunismo, ossia un sistema fortemente burocratico e centralizzato. L’Unione europea, prevedendo la condizione delle riforme amministrative nel suo acquis comunitario, come anche nelle sue politiche strutturali e di distribuzione dei fondi, ha svolto un ruolo centrale nell’ammodernamento dello Stato a partire dal 1989. Le tre tavole rotonde erano animate da Giuliano Giubilei e Quentin Dickinson. Riccardo ILLY, presidente della regione Friuli Venezia Giulia e presidente dell’ARE (Associazione delle regioni d’Europa) In 50 anni l’Europa ha ottenuto enormi risultati, di cui i più importanti sono stati conseguiti in questi ultimi 14 anni. Ora l’Europa si affaccia al suo futuro e ha bisogno di un nuovo trattato, di una costituzione che dovrebbe essere decisa nel 2009 e che offrirebbe un ruolo preciso al Comitato delle regioni. 42 José MONTILLA AGUILERA, presidente del Governo autonomo della Catalogna (Spagna) Le regioni sono fondamentali per il futuro dell’Unione. E quindi gli obiettivi della strategia di Lisbona non potrebbero essere raggiunti senza il loro contributo. Inoltre grazie al processo di decentramento, pur con differenze da uno Stato all’altro, esse ottengono maggior autonomia locale, tanto più che i principi di sussidiarietà e proporzionalità sono definiti nei Trattati e che esse hanno il compito di attuare le politiche che interessano direttamente i cittadini. È quindi legittimo che gli enti locali e regionali, attuando un numero crescente di politiche e fungendo da collegamento concreto con i cittadini, abbiano un impatto sul processo decisionale europeo, in particolare attraverso il Comitato delle regioni, il cui ruolo non potrà che crescere in futuro. Geerd LEERS, sindaco di Maastricht (Paesi Bassi) L’Unione europea dovrebbe trovare una soluzione migliore ai problemi politico-amministrativi legati all’apertura delle frontiere attraverso un lavoro approfondito con le regioni. Le legislazioni nazionali divergenti, spesso espressione di autocompiacimento degli Stati, creano, soprattutto nelle regioni transfrontaliere, impacci amministrativi a scapito dei diritti dei cittadini europei. Per risolvere questi problemi sarebbe necessaria una Carta delle regioni europee, che permetta di definirne diritti e doveri in funzione della loro situa- 43 zione e che crei un quadro di lavoro diretto fra l’Unione e le sue regioni. Nicole Jung, rappresentante dei giovani eletti a livello regionale o locale (Germania) Il legame che unisce gli enti locali e regionali ai cittadini, e ai giovani in particolare, è fondamentale per il futuro dell’Unione. Gli enti locali e regionali sono infatti gli organi che meglio si prestano a informare i giovani sulle competenze dell’Unione e sul reale impatto che essa ha sulla loro vita quotidiana, il che consente di migliorare la comprensione, o addirittura di far avvertire maggiormente ai giovani l’esigenza di trasferire competenze dagli Stati verso i livelli locale ed europeo. Alain ROUSSET, presidente della regione dell’Aquitania (Francia) Il processo di decentramento deve essere guidato dall’azione pubblica. Esso non minaccia l’unità degli Stati, anzi, la sua assenza minaccerebbe l’unità dell’Europa e la sua capacità di rispondere alle grandi sfide. Occorre, da un lato, adottare una Carta delle regioni europee che dia più contenuti alle Euroregioni e, dall’altro, moltiplicare gli scambi di buone pratiche. Per parte loro, gli Stati devono dimenticare gli egoismi nazionali e consentire alle regioni di sviluppare maggiormente le cooperazioni transfrontaliere. Gli enti regionali e locali hanno anche il compito di associare meglio i concittadini alla presa di decisioni e alla partecipazione politica. Gli enti locali e regionali 2a tavola rotonda: Che ruolo devono svolgere gli enti territoriali per conseguire una maggiore coesione in Europa? Dimitris DIMITRIADIS, Presidente del Comitato economico e sociale europeo (Grecia) 50 anni fa tutto è iniziato dopo un incubo, che oggi si è invece trasformato in un sogno. Da un lato, il sogno di offrire ai nostri cittadini attuali la vita che veramente meritano e, dall’altro, quello di preparare il “terreno” e “costruire” le giuste fondamenta per accogliere le prossime generazioni europee. L’Europa deve essere celebrata non come appartenenza a una “nazionalità”, bensì come modo di vedere, stile di vita e mentalità. Deve essere presentata con un volto umano, che rispecchi le preoccupazioni e le aspettative quotidiane dei cittadini. L’Europa non si riduce a Bruxelles, bensì è costituita da ogni capitale, città, regione e perfino piccolo borgo. Salvatore CUFFARO, presidente della regione Sicilia All’atto della firma dei Trattati nel 1957 vi era una sedia vuota: quella delle regioni. Da allora l’Europa si è sviluppata, ma per affermarsi maggiormente, e soprattutto per essere una realtà che abbia un significato profondo per i cittadini, deve affermarsi a livello locale, operare delle scelte decise e assumersi le proprie responsabilità. Uno degli aspetti più importanti riguarda la solidarietà: l’Unione europea deve impegnarsi con decisione per sostenerla, soprattutto a livello locale. 44 Dubrovka SUICA, sindaco di Dubrovnik (Croazia) L’Unione europea deve oggi svolgere compiti importanti e far fronte a enormi sfide. In un contesto di pressioni rappresentate dalla globalizzazione e dalla minaccia del cambiamento climatico, essa continua a cercare il benessere economico e sociale dei suoi cittadini, accompagnato da pace e stabilità. Ma, dal livello europeo a quello locale i cittadini europei devono formare un fronte unito al fine di apportare un contributo positivo alla nozione di solidarietà, che è uno dei capisaldi dell’unità europea. Per conseguire questo scopo è importante promuovere il dialogo interculturale. L’oratrice ricorda che la città di Dubrovnik è anche coinvolta attivamente in vari progetti, chiaro esempio dell’efficacia dell’approccio “morbido” adottato dall’UE per raggiungere gli obiettivi previsti per le regioni in transizione d’Europa. L’Europa simbolizza la democrazia e la libertà, e storicamente la Repubblica di Croazia è, ed è sempre stata, parte integrante dell’Europa. Concludendo, l’oratrice dichiara di non aver dubbi che l’Europa presto accoglierà la Croazia come membro a pieno titolo dell’Unione. Rafal DUTKIEWICZ, sindaco di Breslavia (Polonia) L’esempio di Breslavia, e della sua gestione dei fondi strutturali, con 3 miliardi di investimenti che hanno creato 150.000 posti di lavoro nell’agglomerazione, dimostra che una buona preparazione a monte, attraverso più autonomia per le città e le regioni, facilita la riduzione delle disparità e consente di raggiungere gli obiettivi di coesione. L’obiettivo “coesione” può dunque ridurre le disparità esistenti fra regioni europee, ma prima bisogna che venga attuata una buona organizzazione e che sia data la priorità all’innovazione. Ciò è possibile grazie alle regioni. L’oratore conclude auspicando che in avvenire l’Europa si sviluppi attraverso i livelli locali e regionali. Dorte LIEBETRUTH, rappresentante del Vertice dei giovani (Germania) L’Europa offre ai giovani immense possibilità, ma solo una minoranza ne approfitta. Bisogna quindi che i cittadini, soprattutto i giovani, possano “vivere” l’Europa e in tal modo, appropriandosi di questa nozione, siano anche in grado di costruire l’Unione europea. Questa è la condizione indispensabile affinché scompaiano le esitazioni e le riserve dei cittadini e dei giovani riguardo all’Europa. Claudio MARTINI, presidente della regione Toscana e presidente della CRPM (Conferenza delle regioni periferiche e marittime) Le regioni, occupandosi dei grandi progetti europei e lavorando in comune, possono arrivare a risultati importanti. Possono inoltre assicurare il legame con i cittadini che già conoscono l’Europa ma anche con quelli che non la conoscono. Se la “regionalizzazione” dell’Europa non si fa, è comunque auspicabile una “europeizzazione” delle regioni affinché possano apportare il loro contributo alla costruzione europea: è infatti innegabile che l’Unione europea non potrà progredire senza l’apporto inestimabile delle sue regioni. 45 Paul HELMINGER, sindaco di Lussemburgo Le città sono i principali motori delle economie regionali, ma non tutte raggiungono la dimensione critica per diventare grandi metropoli. A tal fine è necessario che cooperino fra di loro. La dimensione transfrontaliera può risultare talora problematica, poiché gli enti locali hanno responsabilità differenti da un paese all’altro. Queste responsabilità devono quindi poter essere armonizzate per rendere le cooperazioni transfrontaliere effettive e far funzionare la coesione sociale. 3a tavola rotonda: Quale ruolo dovrebbero svolgere gli enti territoriali nello sviluppo sostenibile futuro in Europa? Gérard COLLOMB, sindaco di Lione (Francia) e presidente di Eurocities Il 50° anniversario dell’Unione europea è l’occasione per constatare il ruolo svolto dalle città nella costruzione europea: gli enti locali, infatti, sono non solo partner essenziali per l’attuazione delle politiche comunitarie, ma possono anche, grazie alla loro esperienza molto concreta e alle loro politiche innovatrici, contribuire all’elaborazione di queste politiche territoriali. Sono inoltre un elemento chiave per migliorare il dialogo fra i cittadini e le istituzioni europee. Per parte sua la metropoli di Lione ribadisce il proprio attaccamento alla nozione di “città europea” e considera sua missione incarnare un modello di responsabilità urbana, nella società del Gli enti locali e regionali XXI secolo, per far fronte alla globalizzazione e alle sfide economica, ambientale e demografica, nonché sul fronte della parità e della coesione sociale. Come presidente di Eurocities l’oratore prevede una collaborazione fra i sindaci europei e i sindaci americani firmatari della campagna sul cambiamento climatico, e aggiunge che tale collaborazione potrebbe estendersi alle città asiatiche, attraverso la rete Citynet. Kadir TOPBAS, sindaco di Istanbul (Turchia) La protezione dell’ambiente e lo sviluppo sostenibile vanno gestiti innanzitutto a livello locale, perché ciò che è più vicino può essere controllato meglio. D’altro canto, il partenariato e gli scambi di buone pratiche fra gli enti locali sono importanti per confrontare e migliorare i metodi. Per garantire l’avvenire delle città lo sviluppo urbano deve essere pianificato in modo da evitare i costi ecologici ed economici eccessivi degli interventi ex post. L’oratore presenta infine i progetti di Istanbul in materia di energia e di trattamento dei rifiuti e spera che i buoni risultati ottenuti servano di esempio per altre città turche. Bo BLADHOLM, sindaco di Stoccolma (Svezia) Sotto molti aspetti Stoccolma è all’avanguardia rispetto alle altre città europee in quanto è fra le più competitive in termini di crescita economica, ricerca e sviluppo e protezione ambientale. È inoltre molto attiva nell’affrontare uno dei grandi problemi che l’Europa di oggi deve risolvere, ossia utilizzare e produrre l’energia in maniera efficiente. La città vanta anche un elevato livello di sicurezza sociale e 46 di qualità della vita. Dato che tutti, in Europa, dobbiamo cimentarci con problemi analoghi, è utile lavorare insieme per sormontarli. Perciò la città di Stoccolma desidera partecipare allo scambio di conoscenze e di buone pratiche fra città e paesi europei per trarre insegnamenti dalle esperienze passate e per affrontare le sfide future. Laura RUUSUNOKSA, rappresentante dei giovani eletti a livello regionale e locale (Finlandia) Lo sviluppo sostenibile è una nozione difficile da delimitare. Di conseguenza, gli enti locali sono chiamati a definirne con esattezza il concetto nel quadro dei loro territori, in particolare predisponendo programmi di azione. Inoltre, il livello locale è quello meglio situato per far vivere la democrazia, che deve ora integrare meglio i giovani e le donne. Un maggior coinvolgimento dei giovani in politica richiede che venga stabilito un nesso importante fra le problematiche locali e le sfide europee. Hanna GRONKIEWICZ-WALTZ, sindaco di Varsavia (Polonia) I principi che hanno presieduto alla creazione dell’Unione europea, all’indomani della Seconda guerra mondiale, s’ispirano anzitutto ai valori di solidarietà e di protezione della dignità umana. Questi valori sono sempre di attualità, al pari delle grandi sfide che i popoli europei devono affrontare. Come in passato queste problematiche si pongono essenzialmente nel quadro delle agglomerazioni urbane. D’altro canto, la crescente urbanizzazione ha fatto delle città i centri propulsivi dello sviluppo locale ed europeo. A Varsavia, grazie alle sue stesse risorse ma anche ai finanzia- menti europei, è stato possibile realizzare progetti di ampio respiro in materia di sviluppo sostenibile. Va sottolineato che senza una partecipazione attiva dei cittadini, nessun progresso si consolida veramente in maniera stabile: è quindi indispensabile sviluppare degli organi democratici nel cui ambito i rappresentanti eletti locali possano ascoltare le istanze dei cittadini e della società civile. Inoltre, gli scambi di buone pratiche sono diventati necessari: Varsavia ha, ad esempio, sviluppato dei partenariati non solo con altre città, polacche ed europee, ma anche con le imprese, le università e i centri di ricerca. Alberto JARDIM, presidente della regione di Madeira (Portogallo) Le politiche di sviluppo sostenibile riguardano sia i grandi che i piccoli territori, come Madeira, che per assicurarsi lo sviluppo deve poter contare sulle proprie risorse, e in primo luogo sulla qualità del proprio ambiente. Essa ha, ad esempio, realizzato numerosi programmi volti a proteggere le proprie risorse naturali. Lo sviluppo sostenibile non riguarda solo l’aspetto ambientale, ma anche le dimensioni economiche, sociali e culturali. In un mondo globalizzato l’identità dei territori è infatti un elemento chiave che consente di far fronte alla concorrenza. Inoltre, gli enti locali devono tener conto della crescente domanda di partecipazione al dibattito pubblico dei cittadini: e sono proprio i cittadini a insistere sempre più sulla necessità di attuare politiche ambiziose in materia di sviluppo sostenibile. 47 Vicente ÁLVAREZ ARECES, presidente del Principato delle Asturie (Spagna) I cittadini nutrono crescente preoccupazione di fronte alle minacce che gravano sul nostro ambiente. La sola risposta è quella di mobilitarsi a livello europeo. E a tal fine è necessario appoggiarsi su un’Unione europea forte, un Parlamento europeo attivo e dei governi nazionali che agiscano in tempo reale. L’UE è infatti chiamata a coordinare le politiche degli Stati membri e a definire un nuovo modello di crescita, perché da soli i meccanismi di mercato e il progresso tecnologico non possono garantire il raggiungimento degli obiettivi fissati dal Consiglio europeo del marzo 2007. Anche gli enti territoriali hanno un ruolo chiave da svolgere in questo campo. Una delle sfide importanti è quella di poter coinvolgere tutti gli attori pubblici, ai livelli locale, nazionale ed europeo attorno a politiche di sviluppo sostenibili, come quella attuata nella regione delle Asturie, o attraverso l’Associazione dell’Arco atlantico. Luc VAN DEN BRANDE, primo vicepresidente del Comitato delle regioni (Belgio) L’oratore desidera concludere il dibattito chiedendo di evitare quella che definisce “la schizofrenia istituzionale”. Ricorda di aver militato da molto tempo per un’Europa “con” le città e le regioni, e non per un’Europa “per” le città e le regioni. Fino ad oggi, le istituzioni politiche poggiavano su un modello di società industriale Gli enti locali e regionali Sessione per l’adozione della Dichiarazione per l’Europa da parte dei membri del Comitato delle regioni getto condiviso basato sul rispetto delle competenze di ogni livello, dove i cittadini rappresentino il centro dell’attività e dove le collettività regionali e locali possano rafforzarsi attraverso le necessarie strutture di governance volte a garantire che la loro voce sia effettivamente ascoltata in Europa come nei paesi membri rispettivi. Per essere vincente, questo progetto per il futuro deve essere condiviso dai cittadini. Isidoro GOTTARDO, presidente del gruppo PPE (Italia) Mercedes BRESSO, presidente del gruppo PSE (Italia) Il Partito popolare europeo manda alla presidenza tedesca un chiaro segnale: nessuno può permettersi un passo indietro; il cammino europeo è tracciato e nostra è la responsabilità di rilanciare questo processo. Il gruppo PSE del Comitato delle regioni appoggia il rilancio del processo di integrazione europeo e l’adozione di un Trattato costituzionale come suo pilastro centrale, al fine di dare all’Europa un solido punto di partenza per una nuova era politica dopo l’allargamento e per far fronte alle sfide globali. Il futuro dell’Unione deve essere costruito con il contributo degli enti locali e regionali al fine di trovare nuovi modi per affrontare i più gravi problemi all’ordine del giorno, come il cambiamento climatico, la lotta contro le disparità, i cambiamenti demografici e la sfida della globalizzazione economica. Ne consegue che, per sfruttare al massimo il potenziale dell’Unione europea in questo contesto, sono necessarie strutture più efficienti, più democratiche e più trasparenti, e il Trattato costituzionale può offrire tutto ciò. Con i Trattati esistenti l’Unione europea non è invece all’altezza delle sfide che ci aspettano. caratterizzato dalla piena occupazione, ma è un’epoca decisamente superata. Non si deve inoltre dimenticare che l’Europa è un progetto di soppressione delle frontiere ed un progetto di emancipazione. Un processo che deve essere rilanciato proprio a partire dal vertice di Berlino, affinché sia solo parzialmente dedicato alla memoria di questi 50 anni – di cui celebriamo coraggio e lungimiranza – per dar spazio piuttosto ad un nuovo impeto che è necessario far affiorare per affrontare le nuove sfide del XXI secolo: ambiente e cambiamento climatico, sicurezza ed energia, rilancio economico per l’occupazione, globalizzazione, immigrazione. Per far fronte a queste sfide un mero mercato comune non basta. E per vincere queste sfide, l’Europa delle autonomie regionali e locali è pronta a dare il suo contributo, partecipando al rilancio di un’Europa più politica e pertanto in grado di agire. Da Berlino, e da questa presidenza, ci attendiamo quel rilancio che non porti alla creazione di un super Stato con la sua superburocrazia, ma piuttosto ad un pro- 48 Ivo OPSTELTEN, presidente del gruppo ALDE (Paesi Bassi) Per assicurare il successo dell’Unione europea nei prossimi 50 anni dobbiamo rafforzare la parteci- pazione degli enti locali e regionali nel progetto europeo, e naturalmente quella dei cittadini europei. L’oratore richiama l’attenzione su un’iniziativa presentata dal gruppo ALDE, trasmessa ai leader europei nel 2006 e lanciata ufficialmente a Roma il 22 marzo. L’ALDE propone che l’Unione europea si doti di una sorta di “manifesto” (mission statement) per spiegare ai cittadini e alle future generazioni i compiti dell’UE adesso e nel XXI secolo: esso consiste in 10 punti, e sottolinea che l’obiettivo dell’UE è, fra l’altro, promuovere e proteggere la democrazia e i diritti universali in Europa e nel mondo, promuovere la parità e la tolleranza della diversità in Europa, proteggere l’ambiente europeo e combattere il cambiamento climatico, nonché ascoltare i suoi cittadini, essere responsabile nei loro confronti e lavorare per loro in maniera trasparente e decentrata. Conclude augurandosi che i governi nazionali includano questi concetti nella road map che la presidenza tedesca intende presentare in giugno. Giancarlo GABBIANELLI, vicepresidente del gruppo UEN (Italia) L’Europa ha un grande compito: quello del recupero di un patrimonio storico e culturale 49 che di gran lunga supera quello di tutto il resto del mondo. Ma ci sono delle priorità: l’Europa deve occuparsi di un problema importante, quello dell’energia. Infatti, se l’Europa non raggiungerà l’autosufficienza energetica, i cittadini europei saranno meno liberi e soprattutto non saranno in grado di svolgere il ruolo che storicamente hanno sempre svolto. Sottolinea inoltre l’importanza dell’acqua - vero tesoro mondiale per i prossimi decenni -, delle energie rinnovabili, delle modalità con cui saranno affrontate la violenza, la povertà, i conflitti geopolitici e sociali, le problematiche dell’integrazione e dell’immigrazione, ed evidenzia in modo particolare la questione ambientale. Il cammino fatto dall’ideale europeo ha avuto una grossa accelerazione a partire dal 1989 quando, con il crollo del muro di Berlino, i nostri fratelli dell’Est si sono potuti liberare da una feroce dittatura e hanno potuto riappropriarsi della loro storia, rendendola patrimonio comune della nuova edificazione europea. L’Europa ha il suo ruolo principale nella civiltà, nella sua storia, nelle sue tradizioni, nelle sue radici cristiane, e quindi ha un grande compito da svolgere nel mondo intero, soprattutto nei difficili momenti che questo sta attraversando. Gli enti locali e regionali Postfazione Perché una dichiarazione per l’Europa? Gli Stati nazionali si costituirono principalmente per superare i particolarismi locali e offrire una cornice politica adeguata all’evoluzione dell’economia e della società dopo la rivoluzione industriale. Centocinquant’anni dopo i padri fondatori delle Comunità europee hanno avuto l’ambizione di porre fine al susseguirsi delle guerre e alle derive totalitarie prodotte da questi stessi Stati instaurando pacifiche relazioni di cooperazione economica e politica. Si trattava di creare un vasto insieme geografico, retto da un quadro giuridico, e nuove solidarietà di fatto per risolvere i problemi che si ponevano alla metà del XX secolo. L’epoca era nettamente dominata, da un lato, dalla logica della lotta di classe e, dall’altro, dalla preoccupazione di garantire la sicurezza dell’approvvigionamento agricolo ed energetico in un clima di guerra fredda. Anche se, negli ultimi vent’anni, per permettere all’Unione europea di funzionare dopo le tornate di allargamento e proseguire sulla via dell’integrazione, sono stati accettati adattamenti sempre più frequenti del suo assetto istituzionale, oggi la crescente difficoltà con cui si ottiene il sostegno delle opinioni pubbliche rivela l’esistenza di un problema più strutturale. Benché l’Unione europea abbia permesso agli Stati membri di raggiungere un livello di prosperità e benessere senza precedenti, infatti, alcuni iniziano a metterne in dubbio il carattere permanente. 51 Probabilmente, perciò, è giunto il momento di concepire una forma di organizzazione collettiva adatta al XXI secolo. Quest’ultima dovrebbe tener conto non solo degli sviluppi economici e politici intervenuti negli ultimi cinquant’anni (globalizzazione, economia della conoscenza, crollo dei regimi comunisti), ma anche della trasformazione delle società e dei cambiamenti avvenuti nei comportamenti e nei valori. Si consentirà così agli europei di ritrovare un senso di comune appartenenza continentale, di proiettarsi nel futuro e di aprirsi verso l’esterno. Il Trattato costituzionale europeo rappresenta un significativo passo in avanti nella giusta direzione. In particolare, permette alle istituzioni europee di funzionare con 27 e più Stati membri migliorando il processo decisionale. Contribuisce a democratizzare l’Unione europea grazie alla Carta dei diritti fondamentali, all’istituzione del diritto d’iniziativa popolare e all’ampliamento dei poteri del Parlamento europeo. Risponde all’istanza di una più chiara ripartizione delle competenze tra i diversi poteri introducendo un controllo di sussidiarietà più operativo, cosa che accrescerà il ruolo degli enti territoriali nel processo decisionale europeo. Autorizza l’approfondimento dell’integrazione europea in alcuni settori, attinenti alla giustizia e alla sicurezza nonché alla coesione territoriale. Il Trattato costituzionale, però, rimane nell’ambito del mandato impartito con la Dichiarazione di Gli enti locali e regionali Laeken e rappresenta solo una risposta a medio termine. La Dichiarazione delle città e delle regioni, invece, si pone in una prospettiva più ampia e soprattutto in un orizzonte temporale più lontano. Pur badando a ricordare i benefici ricavati da cinquant’anni di costruzione europea, mostra anche che sono possibili nuove modalità di progresso e che gli enti territoriali sono pronti ad impegnarsi in questo senso. Deve distinguersi chiaramente dal “gergo europeo” per brevità e stile e trasmettere una visione positiva. Cosa possono aspettarsi dall’Europa le città e le regioni? Cinquant’anni fa le città e le regioni erano considerate vestigia anacronistiche dell’epoca medievale oppure, in quanto fonte di guerre civili o tra gli Stati, minacce all’integrità degli Stati nazionali, come attesta il Manifesto di Ventotene del 1941. In seguito, il ritorno delle città e delle regioni al centro della scena istituzionale europea è stato mosso soprattutto da una logica economica, poiché le grandi imprese hanno fatto giocare la concorrenza tra i territori e le piccole imprese si sono appoggiate agli stessi territori per fondare il proprio sviluppo e tessere reti di cooperazione. Il loro ritorno è stato mosso anche da una logica politica, poiché il decentramento ha progressivamente dotato i livelli di governo meno elevati di una certa autonomia per consolidare l’esercizio della democrazia di prossimità e rispondere alla domanda di partecipazione più diretta dei cittadini. I progressi dell’integrazione europea 52 sono andati di pari passo con il rafforzamento degli enti territoriali, in nome del progresso della democrazia e di una maggiore efficacia socioeconomica. Lo slogan “Europa delle regioni”, lanciato all’inizio degli anni ‘90, non ha ottenuto l’effetto voluto perché è sembrato voler rimettere in causa l’estensione dei poteri del Parlamento europeo, non essendo riuscito a scardinare la resistenza dei governi nazionali né a riscuotere un forte sostegno popolare. Oggi il decentramento e la regionalizzazione seguono percorsi e ritmi diversi a seconda dei paesi. Questa evoluzione convergente, tuttavia, non genera una vera e propria dinamica europea e non ha comportato quel forte effetto di trascinamento che si sarebbe potuto immaginare. È indiscutibile che le regioni e le città abbiano tratto grande profitto dallo stabile inquadramento giuridico fornito dal mercato unico e dalla dinamica derivante dalla politica di coesione. Sono però entrate in un gioco concorrenziale sempre più impegnativo, mentre il coordinamento macroeconomico europeo non avanza e le risorse pubbliche si rarefanno. La situazione attuale, quindi, ha i connotati di una fase intermedia. Gli enti territoriali non possono accontentarsi dello statu quo attuale, bensì devono ricercare una nuova forma d’alleanza con l’Unione europea. Va rilevato che, nonostante le minacce secessionistiche presunte o reali, nell’Unione europea l’evoluzione delle regioni verso una crescente autonomia finora non è mai arrivata al punto di rimettere in causa l’integrità di uno Stato membro. Questo è tanto più notevole in quanto, nell’Europa centrale e orientale, il crollo dei regimi comunisti ha liberato forze centrifughe e, per determinate frontiere, aperto un periodo d’instabilità. Negli ultimi quindici anni hanno avuto luogo la scissione pacifica della Cecoslovacchia ma anche la disgregazione cruenta della Iugoslavia. La pace nei Balcani è tuttora fragile. Una proliferazione delle rivendicazioni separatiste modificherebbe indubbiamente l’equilibrio interno dell’Unione europea, e in tal caso è lecito chiedersi quale sarebbe allora il ruolo dell’Unione europea nella gestione di questi sviluppi. All’orizzonte 2020-2025, supponendo che proseguano le tendenze che si stanno delineando, è possibile tracciare almeno cinque scenari evolutivi: – l’Unione potrebbe spegnersi lentamente, paralizzata dall’incapacità decisionale, mentre gli Stati nazionali riacquisterebbero progressivamente le proprie competenze sovrane, – potrebbe diventare un semplice mercato regionale, di dimensioni significative, all’interno del mercato mondiale; a seconda della posta in gioco assumerebbe allora contorni fluttuanti, che potrebbero includere nuovi paesi a Sud del Mediterraneo e in Europa orientale, – potrebbe anche conoscere una riduzione del numero di Stati membri o raggruppamenti su base tematica, se alcuni paesi decidessero di impegnarsi in un’integrazione economica e politica più spinta e altri non accettassero, – potrebbe vedere incrementare il numero di Stati membri fino a una cinquantina, non per estensione geografica ma per frammentazione degli Stati membri attuali; diventerebbe allora il solo fattore unificante continentale, 53 – infine, potrebbe trasformarsi in un vero e proprio spazio pubblico europeo, forte della sua ritrovata capacità di integrare e riunire le differenze culturali e istituzionali di tutti i suoi territori; sarebbe allora in grado di affermarsi come entità responsabile e generosa nei confronti del resto del mondo, – a seconda dello scenario che si realizzerà, la cittadinanza europea avrà componenti diverse. Non saranno le stesse neanche l’estensione delle politiche comunitarie e la ripartizione delle competenze tra i diversi livelli di governo. Cosa possono chiedere all’Europa le città e le regioni per conto dei loro cittadini? L’esperienza storica europea fa temere che l’Unione sia destinata a scomparire se non riuscirà ad adattarsi e a individuare gli strumenti per fondare stabilmente la propria legittimità nella mente e nel cuore dei cittadini europei. In quanto «politici di prossimità», i rappresentanti eletti locali e regionali sono in ottima posizione per interpretare i segnali del divario crescente che separa i cittadini dalla realtà europea. L’evoluzione negativa in corso è riconoscibile in sei linee di divisione: 1) La dimensione del «mercato unico europeo» non è più considerata garanzia di efficacia economica: – la globalizzazione costringe le grandi imprese ad adottare strategie mondiali, Gli enti locali e regionali – l’armonizzazione e la standardizzazione sono percepite come vincoli, – l’acquis comunitario è pesante da gestire e difficile da far rispettare, tenuto conto delle capacità istituzionali variabili delle amministrazioni nazionali e infranazionali, – la competitività delle nostre economie postindustriali dipende da strategie incentrate sulla qualità e sulla diversità (e non necessariamente sulle economie di scala), – la comparsa di nuovi concorrenti mondiali rende inadatte le politiche settoriali europee finalizzate alla quantità, – in alcuni settori nuovi e strategici l’integrazione europea è ferma e risente della debolezza del coordinamento macroeconomico, – gli effetti di agglomerazione dei nuovi settori produttivi stimolano la concorrenza tra microterritori (soprattutto in materia fiscale). 2) Il funzionamento delle istituzioni europee entra in conflitto con il fatto che la domanda di democrazia dei cittadini si è rivolta sempre più verso la trasparenza e la partecipazione diretta: – il metodo comunitario, basato in primo luogo sul monopolio d’iniziativa affidato alla Commissione europea, è fortemente contestato, – la pesantezza (Consigli dei ministri a 27 Stati membri e Commissione a 27 membri), la lentezza e la scarsa trasparenza del processo decisionale del 54 «triangolo istituzionale» sono fonte di insoddisfazione, – le procedure di consultazione parallela (Libri verdi, Libri bianchi, lobbying, ecc.) sono percepite come fonti di ulteriore complessità o addirittura stratagemmi per aggirare gli ostacoli giuridici o ampliare implicitamente le competenze europee, – la politicizzazione della democrazia europea avanza molto lentamente e incontra ostacoli creati dagli stessi soggetti coinvolti, – le norme sul riparto delle competenze tra i diversi livelli di potere confermano l’idea che le decisioni europee siano lontane e poco trasparenti. 3) L’offerta normativa europea stenta ad adeguarsi alle nuove aspettative: – le competenze dell’Unione europea e l’acquis comunitario possono sembrare troppo incentrati sulle quattro libertà e sul mercato unico e, di conseguenza, non in linea con le aspettative espresse dai cittadini europei in materia di ambiente, protezione civile, giustizia, mantenimento dei servizi pubblici, evoluzione demografica, ecc., – è difficile raggiungere una posizione comune in settori socialmente molto sensibili come le conseguenze della globalizzazione, la ricerca in vivo, l’immigrazione, ecc., – poiché il rispetto dello Stato di diritto è dato per scontato, le rivendicazioni vertono sullo snellimento delle normative, soprattutto in nome della libertà d’impresa. 4) L’appartenenza a un «destino comune» è fortemente rimessa in questione: – lo sviluppo delle tecnologie di comunicazione ha modificato il rapporto con il tempo e con lo spazio, indebolendo nettamente i legami di appartenenza e superando la pura prossimità geografica: spesso ci si sente tanto cittadini del mondo quanto cittadini europei, – vantaggi come le possibilità e la facilità della mobilità geografica offerte dallo spazio europeo (programma Erasmus, snellimento o soppressione dei controlli alle frontiere, introduzione dell’euro) non sono attribuiti automaticamente all’UE, bensì considerati frutto di un generale fenomeno di modernizzazione, – l’attaccamento all’Europa non ha sostituito il senso d’appartenenza a una nazione o a un territorio. È piuttosto venuto a completarli e non si è ancora consolidato. 5) L’Europa deve ancora rispondere a una serie di richieste di sviluppo: – se nei paesi candidati l’accesso a un tenore di vita più elevato continua a essere associato all’adesione, nei vecchi Stati membri talvolta si mettono in dubbio i benefici ricavati dall’appartenenza all’Unione, – le rivendicazioni rivolte all’Europa si concentrano sul consolidamento delle 55 conquiste materiali, sull’estensione dell’accesso a questi benefici, in nome della coesione, a tutte le fasce di popolazione e a tutti i territori e sull’adattamento dell’offerta all’evoluzione della popolazione, che si tratti di cambiamento demografico o d’immigrazione, – all’Europa è assegnato il compito di individuare soluzioni idonee a ridurre o eliminare gli effetti nocivi del suo modello di sviluppo (inquinamento) senza modificarne sostanzialmente la traiettoria (sicurezza dell’approvvigionamento energetico, trasporti ecologici, commercio equo, sviluppo sostenibile), – le forme tradizionali di solidarietà, come sono state sviluppate dagli Stati assistenziali, suscitano aspettative variabili da parte degli europei. In base a una sussidiarietà correttamente intesa, coloro che ritengono il proprio governo nazionale o regionale in grado di assumersi questo incarico preferiscono che sia svolto a quel livello, mentre altri preferiscono fare appello a un intervento europeo. 6) L’Europa ha un atteggiamento molto timido nei confronti del mondo esterno: – la capacità d’espressione dei «valori» europei nel resto del mondo (rispetto dei diritti dell’uomo, interventi umanitari, ecc.) non è all’altezza delle ambizioni iniziali ed è considerata strutturalmente ostacolata dal prevalere delle prerogative nazionali, – consapevoli dell’attuale situazione d’interdipendenza mondiale, gli europei Gli enti locali e regionali vogliono che l’Europa svolga una funzione protettiva nei confronti dei rischi esterni, che si tratti del riscaldamento del clima, dell’inquinamento ambientale, delle calamità naturali o industriali, del terrorismo, delle epidemie, delle migrazioni, della sicurezza alimentare ecc., – in molti ambiti l’Unione fa fatica a operare una scelta tra aspirazioni talvolta contraddittorie, da un lato verso l’apertura all’esterno e la tolleranza e dall’altro verso la protezione e la coesione interna. In ciascuno di questi ambiti possono essere prospettate risposte istituzionali e/o politiche, ma per metterle in atto ci vorrà tempo. Occorre quindi identificare i temi prioritari dal punto di vista delle città e delle regioni, nonché le scelte auspicabili o inevitabili. Che contributo sono pronte a dare all’Europa le città e le regioni? In Europa gli enti territoriali sono inseriti in reti di concorrenza/dipendenza/cooperazione, che sono sia verticali (con livelli geografici superiori e inferiori), sia orizzontali (con enti di pari livello e altri soggetti collettivi, specialmente organizzazioni della società civile e parti sociali). Per evitare di banalizzarsi e perdere i loro specifici vantaggi in quel sistema di governance a più livelli che è diventata l’Unione europea, gli enti territoriali dovrebbero distinguersi più chiaramente e valorizzare 56 adeguatamente il proprio specifico contributo alla costruzione europea. La specificità delle città e delle regioni sta proprio nel binomio «popolazione-territorio». Di qui il loro contributo in quanto primi livelli di apprendimento della democrazia, luoghi d’esercizio della solidarietà di prossimità, spazi rivelatori di problemi sociali e di società, interfacce nella comunicazione con i cittadini, spazi di mobilitazione e progettualità, nonché basi per la formazione di un’identità culturale. Di qui anche il loro ruolo di inquadramento giuridico collettivo nell’organizzazione dei servizi pubblici, della solidarietà, dell’assetto del territorio e dell’urbanistica, nonché delle attività produttive. Di qui, infine, la loro capacità di proiettare l’esperienza democratica europea nel resto del mondo, segnatamente attraverso i gemellaggi e le iniziative per la cooperazione transfrontaliera esterna. Nei sei grandi settori sopra identificati gli enti territoriali possono far valere il loro contributo in modo «classico», come anelli di una catena verticale che porta dall’Europa al cittadino e viceversa. Però possono anche porsi, in modo più innovativo, come protagonisti della governance del XXI secolo, per esempio facendo valere la propria esperienza in materia di nuove forme di democrazia partecipativa, radicamento territoriale come fonte d’identità collettiva contemporanea e fattore di sviluppo economico, gestione della diversità come forza che consente di adattarsi ma anche di innovare. Dichiarazione di Berlino L’Europa è stata per secoli un’idea, una speranza di pace e comprensione. Oggi questa speranza si è avverata. L’unificazione europea ci ha permesso di raggiungere pace e benessere. È stata fondamento di condivisione e superamento di contrasti. Ogni membro ha contribuito ad unificare l’Europa, a consolidare la democrazia e lo Stato di diritto. Se oggi l’Europa ha superato definitivamente un’innaturale divisione, lo dobbiamo all’amore per la libertà dei popoli dell’Europa centrale e orientale. L’integrazione europea è l’insegnamento tratto da conflitti sanguinosi e da una storia di sofferenze. Oggi viviamo assieme come mai è stato possibile in passato. stenza democratica di Stati membri e istituzioni europee. L’Unione europea si fonda sulla parità e sull’unione solidale. Rendiamo così possibile un giusto equilibrio di interessi tra gli Stati membri. Noi cittadini dell’Unione europea siamo, per nostra felicità, uniti. II. Siamo di fronte a grandi sfide che non si arrestano ai confini nazionali. L’Unione europea è la nostra risposta a queste sfide. Soltanto assieme potremo salvaguardare anche in futuro il nostro ideale europeo di società a beneficio di tutti i cittadini dell’Unione europea. Questo modello europeo coniuga successo economico e responsabilità sociale. Il mercato comune e l’euro ci rendono forti. Potremo così modellare secondo i nostri valori la crescente interconnessione delle economie a livello mondiale e la sempre maggiore concorrenza sui mercati internazionali. La ricchezza dell’Europa è racchiusa nelle conoscenze e nelle competenze dei suoi cittadini: è questa la chiave per la crescita, l’occupazione e la coesione sociale. I. L’Unione europea ci consente di realizzare i nostri ideali comuni: per noi l’essere umano è al centro. La sua dignità è inviolabile. I suoi diritti inalienabili. Donne e uomini hanno pari diritti. Aspiriamo alla pace e alla libertà, alla democrazia e allo Stato di diritto, al rispetto reciproco e all’assunzione di responsabilità, al benessere e alla sicurezza, alla tolleranza e alla partecipazione, alla giustizia e alla solidarietà. L’Unione europea concreta un’unicità di vita e di azione comune. Ciò si esprime nella coesi- 57 L’Unione europea è salvaguardia dell’autonomia e delle diversità delle tradizioni dei suoi membri. L’apertura delle frontiere, la vivace molteplicità di lingue, culture e regioni sono per noi un arricchimento. Molti obiettivi non possono essere conseguiti con un’azione individuale: la loro realizzazione ci impone un’azione collettiva. L’Unione europea, gli Stati membri e le loro regioni e comuni si dividono i compiti. Gli enti locali e regionali Lotteremo assieme contro il terrorismo, la criminalità organizzata e l’immigrazione illegale. Anche nella lotta contro i loro oppositori difenderemo il diritto alla libertà e i diritti civili. Razzismo e xenofobia non devono trovare mai più terreno fertile. Ci impegniamo affinché si trovino soluzioni pacifiche ai conflitti nel mondo e gli esseri umani non divengano vittime di guerre, terrorismo o violenze. L’Unione europea vuole promuovere la libertà e lo sviluppo nel mondo. Vogliamo far arretrare la povertà, la fame e le malattie. In tale contesto vogliamo continuare a svolgere un ruolo trainante. Vogliamo portare avanti assieme la politica energetica e la protezione del clima e contribuire a sconfiggere la minaccia globale rappresentata dal cambiamento climatico. 58 III. L’Unione europea dipenderà anche in futuro dalla sua apertura e, nel contempo, dalla volontà dei suoi membri di consolidare assieme lo sviluppo interno dell’Unione stessa. L’Unione europea continuerà a promuovere la democrazia, la stabilità e il benessere anche al di là dei suoi confini. Con l’unificazione europea si è realizzato un sogno delle generazioni che ci hanno preceduto. La nostra storia ci ammonisce a difendere questo patrimonio per le generazioni future. Dobbiamo a tal fine continuare a rinnovare tempestivamente l’impostazione politica dell’Europa. È in questo spirito che oggi, a 50 anni dalla firma dei Trattati di Roma, siamo uniti nell’obiettivo di dare all’Unione europea entro le elezioni del Parlamento europeo del 2009 una base comune rinnovata. Perché l’Europa è il nostro futuro comune. Comitato delle regioni Gli enti locali e regionali nel cuore dell’europa Lussemburgo: Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee 2007 — 58 pagg. — 14,8 x 21 cm ISBN 978-92-895-0445-4 Come ottenere le pubblicazioni dell’UE? Le edizioni in vendita dell’Ufficio delle pubblicazioni si possono ordinare tramite EU Bookshop (http://bookshop.europa.eu) presso gli uffici di vendita di vostra scelta. È possibile anche richiedere un elenco di operatori della nostra rete di vendita mondiale inviando un fax al numero (352) 2929 42758. QG-78-07-287-IT-C Rue Belliard, 101 _ B-1040 Bruxelles T +32 (0)2 282 22 11 _ F +32 (0)2 282 23 25 ISBN 978-92-895-0445-4 ,!7IJ2I9-faeefe! Gli enti locali e regionali nel cuore dell’Europa