la terza rivoluzione industriale
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la terza rivoluzione industriale
GIOVEDÌ 23 GENNAIO 2014 LA TERZA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE CON UN CLIC LA MACCHINA DELLE MACCHINE FABBRICA CIÒ CHE VUOI DAVIDE GOMBA FabLab Torino Torinese, video maker, nasce dalla sperimentazione audiovisiva e il suo primo progetto Arduino è stato un controller audio/video open-source. Comunicatore, blogger su Arduino.cc, tiene workshop in giro per l'Italia e promuove la cultura dell'open design e della fabbricazione digitale. Ha partecipato alla realizzazione del primo Fablab in Italia presso la mostra “Stazione futuro”, poi si è battuto per promuovere e prolungare l'esperienza del FabLab a Torino. Nel 2012 ha dato vita alle Officine Arduino, azienda che promuove Arduino in Italia e segue vari progetti legati allo sviluppo della scheda. Le Officine Arduino - ospitate presso il coworking torinese Toolbox - sono anche sede del FabLab, e rappresentano una vivace realtà di condivisione e scambio tra diverse identità lavorative, creative, produttive. Nel tempo libero stampa giocattoli e inventa storie con suo figlio Djibril. RICCARDO LUNA Giornalista e scrittore 48 anni, ne ha trascorsi dieci a “La Repubblica” (il quotidiano per il quale scrive tuttora). Ha fondato e diretto tre giornali: “Campus”, “Il Romanista” e “Wired”. Ha scritto per primo di Calciopoli, ha candidato Internet al premio Nobel per la Pace ed è presidente di Wikitalia, associazione che si occupa di trasparenza e partecipazione politica attraverso la rete. Sul web ha diversi progetti in corso: un blog su “Il Post”, la direzione del sito “CheFuturo! Il lunario della innovazione” e la guida di “StartupItalia!”. Ha curato e condotto le conferenze internazionali “Happy Birthday Web”, “Makers” e “iSchool”. ANGELO RAFFAELE MEO Politecnico di Torino, Presidente CentroScienza Onlus Professore emerito del Politecnico di Torino, già Presidente dellʼAccademia delle Scienze torinese, è un pioniere dell'informatica italiana, noto per le sue posizioni a favore del software libero open source. Autore di alcuni libri divulgativi sullʼopen source, responsabile del Progetto Informatica del CNR, si è occupato di applicazioni informatiche in vari settori dʼavanguardia, a cominciare dalla sintesi vocale. Fa parte del centro Nexa su Internet e società per il dibattito sulla libertà nell'ambito digitale, in particolare in rete. web Il FabLab di Torino fablabtorino.org La piattaforma di prototipazione open-source Arduino www.arduino.cc Stampante 3d di case: www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=JdbJP8Gxqog#t=404 PER SAPERNE DI PIÙ Mariella Berra, Angelo Raffaele Meo, "Libertà di hardware, software e conoscenza", Bollati e Boringhieri, 2006 Riccardo Luna “Cambiamo tutto! La rivoluzione degli innovatori” Editori Laterza, disponibile su carta ed eBook. Vorrei trovare le parole giuste per dirvi che cambiare il mondo si può. Mai come adesso. Raccontarvi le storie degli italiani che lo stanno già facendo. E presentarvi quelli che stanno compiendo unʼimpresa che oggi appare ancora più difficile e incerta: provare a cambiare lʼItalia, portarci in un futuro migliore. Non parlo di un singolo genio, della sua invenzione brillante o della sua impresa di successo. Quelli ci sono oggi come ci sono sempre stati, anche nei nostri momenti più neri. Parlo di una rivoluzione in corso: non un lampo, insomma, ma un temporale. Un nuovo sistema economico, un nuovo modo di studiare e di lavorare, un modo nuovo di stare con gli altri. Parlo della rete e di come ci sta cambiando. Non solo perché prenotiamo e paghiamo qualcosa online o perché vediamo i gol del campionato sul telefonino. La rete ci sta cambiando nel profondo, sta cambiando il nostro modo di pensare e guardare la vita. Lo sta facendo ovunque, per la verità, ma qui in Italia, se possibile, lo sta facendo ancora di più. Anche se non sembra. Proprio perché non sembra. Del resto fa più luce un falò sulla spiaggia di un vulcano che sta per eruttare, ma è il secondo che devi guardare con più attenzione se non vuoi essere spazzato via. Ecco, noi siamo sul vulcano. E quei bagliori che ci sembra di intravedere nel buio di questi tempi così bui, non sono lucciole. È lava. Sì, sta per cambiare tutto. Se Internet fosse soltanto una rete di computer questo libro potrebbe finire qui. In Italia abbiamo poca banda larga. La metà del paese non si connette anche quando potrebbe farlo perché pensa che sia troppo complicato: sono italiani che non si sentono in grado di diventare digitali e nessuno li aiuta. I politici che decidono i nostri destini, generalmente, dettano ancora le mail alle segretarie e a volte fanno finta di stare su Twitter tramite i rispettivi addetti stampa per sentirsi moderni. Il problema naturalmente non sono le segretarie e gli addetti stampa: il problema è che le decisioni politiche su questo terreno, quando non sono state palesemente ostili (penso allʼassurdo divieto del wifi per esempio, durato fino alla fine del 2010), sono state carenti di prospettiva. Non cʼera una visione. Non cʼera nessuna nuova frontiera da raggiungere, ma al massimo qualche appalto di cavi e computer da dare a unʼazienda di telecomunicazioni. Il fatto, anzi il problema, è che parlano e legiferano di un mondo che non gli appartiene. E si vede purtroppo. Insomma, se ci fosse una classifica dellʼinnovazione in base a questi parametri noi saremmo a meno di zero. Un paese così è spacciato, non ha futuro. Non perché le tecnologie della comunicazione siano tutto. Ma perché questo paese, così facendo, dimostra di non avere nessuna voglia di futuro. E quindi in un certo senso non se lo merita. Del resto, come fa ad arrivare il futuro se il passato non passa mai? Ma questa è soltanto lʼapparenza e, come al solito, lʼapparenza inganna. Internet, infatti, non è soltanto una rete di computer. È soprattutto una rete di persone. Anzi, una rete di reti di persone. Che si scambiano informazioni ed emozioni, idee e progetti, beni e servizi. Internet è la più grande piattaforma di comunicazione che lʼumanità abbia mai avuto. È lʼapoteosi della condivisione della conoscenza, lʼincubatore del mondo che verrà. Qualcuno lo ha definito «il luogo dove le idee si incontrano e fanno sesso». Altri preferiscono pensarlo come una fabbrica di innovazione che non si ferma mai. Quel che appare indiscutibile è che per il solo fatto che la rete esista e che in ogni istante nel mondo si verifichi questa incessante, brulicante attività, Internet non sta soltanto modificando interi settori della economia e demolendo posizioni di privilegio che sembravano eterne. Sta ribaltando il nostro sistema di valori. E se i valori sono i pilastri della convivenza civile, allora siamo allʼalba di una nuova società. Chiamiamolo pure: un mondo migliore. Chi sta in rete, chi ha capito il senso vero della rete, crede profondamente in tre valori che sembrano venire dallʼepoca dei romanzi cavallereschi: la trasparenza, la partecipazione e la collaborazione. Non a caso il World Wide Web, che di Internet è il linguaggio universale, è stato inventato per mettere in comunicazione i documenti degli scienziati e consentire loro di collaborare meglio. Era il 1992 più o meno (non cʼè una vera data di nascita del www: è stato piuttosto un processo che non è ancora finito). Sono passati ventʼanni e credere oggi in quei valori non è un fatto ideologico: è una scelta pratica. Conviene. Infatti la segretezza, lʼesclusività e la competizione, su cui si sono fondati per secoli imperi politici, economici e persino culturali, sono semplicemente meno convenienti nellʼera del web, dove le “intelligenze collettive”, lavorando in maniera aperta, sono in grado di fare cose inimmaginabili. Altrimenti non raggiungibili. Questo della intelligenza collettiva non è più solo un mito per tecno-utopisti: è un fatto. È il vero motore ad energia pulita della nostra epoca. Recentemente è stato calcolato che se per un incantesimo qualcuno potesse far scomparire tutti quei prodotti e servizi sviluppati grazie a reti di persone che hanno collaborato senza segreti, «sparirebbero ogni singolo Mac, gli iPad, gli iPhone, lʼintera rete Internet, il web, Wikipedia, il mercato azionario, gran parte della infrastruttura energetica e il sistema di controllo dellʼaviazione. Insomma, sarebbe una catastrofe pari ad una guerra mondiale». Questo per dire che pensarla in questo modo, agire con trasparenza, essere aperti alla partecipazione, invitare gli altri alla collaborazione, sono - in fondo - scelte di convenienza: per tutti, anche per chi non sa nemmeno cosa sia la rete. Che tu debba far partire unʼimpresa commerciale, compiere una ricerca scientifica o amministrare un comune, la storia non cambia: la trasparenza e lʼaccessibilità di tutte le informazioni, la collaborazione dei migliori e la partecipazione alle decisioni finali delle rispettive comunità sono le ali del futuro. Quelli che si ostinano a dire «io non prendo lezioni da nessuno» non peccano più solo di arroganza: sono fuori dal tempo che viviamo; e magari inizialmente possono avere qualche vantaggio ma nel lungo periodo sono destinati a perdere. Perché Internet non è fatto per monadi: perché Internet è la prima arma di costruzione di massa. Oltre al sistema dei valori, cʼè poi un cambiamento più sottile che la rete sta portando. Una modifica che chiamerei “caratteriale”. E che in Italia potrà avere i suoi effetti più dirompenti se si considera da dove partiamo. Provo a spiegarla partendo da una frase. Una delle frasi più comuni rispetto a Internet è questa: «the Internet empowers people», dà il potere alle persone. Vuol dire molte cose e può avere anche un significato molto politico, come si è visto nei recenti movimenti sociali nati negli Stati Uniti, in Europa e nei paesi arabi. Ma adesso qui interessa evidenziare un senso più generale e personale al tempo stesso: Internet “empowers people” vuol dire che se io voglio fare una cosa, praticamente qualunque cosa, con Internet - di solito - è più facile. Non è un concetto scontato né immediato, eppure se ci pensate un istante è così. Noi siamo già portati a pensare che in rete sia sicuramente più facile comunicare con gli altri grazie a mail, chat e social network. E per quelli avvezzi al commercio elettronico (in Italia non sono tantissimi) non cʼè dubbio che sul web sia più facile anche consumare beni e servizi senza muoversi da casa. In realtà quello che sfugge a molti è un terzo livello: ovvero il fatto che grazie a Internet è più facile anche produrre quei beni e quei servizi. È più facile creare conoscenza e quindi valore. Mi spiego. Non solo fare un sito web, che pure è indispensabile per qualsiasi azienda, ma persino produrre un oggetto fisico: lo disegni sul tuo pc, invii via mail il documento in un laboratorio e in un paio di giorni ti arriva a casa il prototipo e se per caso ti piace puoi metterlo in vendita su un altro sito web. Sei diventato una “fabbrica”, senza muoverti dal pc di casa. Lo vedremo meglio dopo questo processo che alcuni considerano “la terza rivoluzione industriale”. Qui interessa capire come questa presunta onnipotenza della rete modifichi qualcosa di più intimo: il nostro atteggiamento verso la vita. Dunque, con Internet provare a fare qualcosa costa meno. Meno tempo, meno fatica, meno soldi. Vuol dire che è più facile provarci e che nessuno è escluso: la campana sta suonando per tutti. Vuol dire non rassegnarsi. Vuol dire non aspettare che gli altri facciano il primo passo per muoversi. Vuol dire alzarsi e camminare. Vuol dire, da noi, in Italia, cancellare per sempre una delle frasi più radicate nella nostra cultura e che ha fatto più danni. Questa: piove, governo ladro. «Piove, governo ladro» non è una constatazione meteorologica o una accusa scontata, seppure spesso veritiera, alla classe politica. È la madre di tutti gli alibi, il salvacondotto dei nostri fallimenti. Non è colpa mia se le cose mi sono andate male: pio- veva perché il governo è ladro, che altro potevo fare? Nulla, e infatti non ho fatto nulla. Invece si poteva fare moltissimo. Lo dice tutta la cultura digitale su cui si basa Internet. Se è vero che provarci è più facile con la rete, allora è un peccato mortale non farlo. «Stop talking, start doing», è uno dei mantra di questo nuovo mondo. In italiano potremmo tradurlo con «smettila di lamentarti, datti da fare». E quindi, se piove, non prendertela col governo: apri lʼombrello e vai a fare quello che volevi fare. Ti bagnerai un poʼ al massimo, ma oggi ce la puoi fare lo stesso a raggiungere il tuo obiettivo. Perché quelli che vogliono davvero cambiare il mondo non aspettano niente e nessuno. Lo fanno. Da questo punto di vista Internet non è un mondo a parte ma è un grande laboratorio dove sperimentare infiniti modi per realizzare i propri sogni o dare una risposta ai propri bisogni. Molto reali, molto concreti. Provarci e riprovarci è la prima regola. Ma da ciò discende un altro principio che può avere un impatto notevole sulla nostra cultura. Lʼadozione della teoria del fallimento quale motore indispensabile dellʼinnovazione. Erro Ergo Innovo, se si potesse dire così. Per il nostro paese il giorno in cui questo concetto dovesse passare sarebbe un ribaltamento di secoli di condanne sociali esemplari dal sapore vagamente religioso. Hai sbagliato? Sei un fallito, anzi sei un peccatore, meriti una punizione della tua comunità. E porterai per sempre un marchio di cui vergognarti. Ecco, in rete non funziona così. Come hanno raccontato in tanti, lʼunico vero fallimento di cui puoi essere accusato è non averci provato fino in fondo. Un prodotto sbagliato, se saprai far tesoro dei tuoi errori, è soltanto un esperimento che ti avvicina al risultato finale. (Del resto, molto prima della nascita del web, lo diceva anche un inventore del calibro di Thomas Edison: «Non ho sbagliato 700 volte, anzi per la verità non ho sbagliato mai. Ho dimostrato per 700 volte quale non fosse la strada giusta». E così ha scoperto il modo di commercializzare la lampadina a incandescenza.) Per chi accetta questa impostazione, prima fallisci e meglio è, perché così troverai prima la soluzione e avrai successo presto. «Fail fast, succeed sooner», disse per primo, a Palo Alto, nel 1997, il designer David Kelley, che è stato il fondatore di IDEO; e questa intuizione così efficace gli ha dato molta più gloria di quella ottenuta per aver inventato decine di cose, a partire dal segnale “Lavatory Occupied” (bagno occupato) sugli aerei Boeing 747. Per questo tanti prodotti digitali vengono rilasciati con lʼavvertenza che si tratta di una “beta”, cioè di una versione ancora con errori e che sarà migliorata con il tempo, anche facendo tesoro delle critiche che verranno dagli utenti. Persino Facebook, che pure ha superato il miliardo di “clienti”, si dichiara in beta per ogni nuova applicazione che lancia: potrebbe avere dei difetti, è il messaggio sottinteso, li correggeremo. E il fondatore di Amazon, Jeff Bezos, che sta lì dagli albori del web, nella sua lettera annuale ai dipendenti ogni volta dice loro di ricordarsi che sono sempre al giorno numero uno. In “beta permanente”. Ma lʼesempio più convincente viene dalla Finlandia. Qui i soci di Rovio, una società di videogame per telefonino, erano alla ricerca del gioco perfetto. Nel giro di qualche anno ne rilasciarono 52 ma nessuno ebbe successo. Poi hanno inventato “Angry Birds” e centinaia di milioni di persone sui rispettivi telefonini hanno iniziato a giocare con i loro uccelli arrabbiati. In Italia quale investitore, ma anche quale genitore, avrebbe atteso che i propri figli sbagliassero 52 volte? La teoria del fallimento fatica a passare da noi anche perché si scontra con un altro tratto distintivo del paese: una certa innata predisposizione a correre in soccorso dei vincitori e a lapidare gli sconfitti. Quando il matematico Massimo Marchiori, uno che con i suoi studi ha ispirato la nascita di Google e che ha scelto di passare la vita ad insegnare in unʼuniversità italiana invece di arricchirsi in Silicon Valley, lʼ8 giugno 2012 ha annunciato il fallimento della sua impresa per fare un nuovo motore di ricerca, in tanti lo hanno insultato paragonandolo addirittura al comandante Francesco Schettino, quello del naufragio della Costa Concordia. Ma per fortuna qualcosa sta cambiando: Internet, incoraggiando tutti a provarci, a mettersi in gioco senza timori, sta cambiando anche questo difetto che ci portiamo dietro da troppo tempo. Sbagliare ci aiuta a innovare. Ci sono altri due aspetti della cultura della rete che in Italia stanno avendo effetti che considero rivoluzionari, non perché siano novità in sé ma perché si tratta di concetti che si scontrano con antichi difetti nazionali e ataviche cattive abitudini: il primo riguarda il merito, il secondo il tempo. Quanto abbiamo detto finora, e cioè che tutti ma proprio tutti possono e debbono provare a fare qualcosa, non PREMIO RICERCATORI UNDER 35 i d E 3 e n o i z a vuol dire affatto che in rete siamo tutti uguali. Tutti ci possono provare, spesso collaborando con altri, ma poi solo i più bravi ce la fanno. Quelli che davvero sono i più bravi. In rete non vince il più raccomandato, quello che ha le conoscenze giuste, il figlio di papà. Quando usi un sito web o scarichi una app non ti interessa chi lʼha fatta: ti interessa che funzioni meglio delle altre. Una ricerca, una startup o un progetto riescono ad imporsi solo perché rispondono ad un bisogno collettivo (per quanto possa apparire paradossale, che sia un videogioco per distrarsi o la formula di un nuovo farmaco, il ragionamento non cambia). Vince chi ha più talento, più determinazione e chi sa indovinare il tempo giusto. La meritocrazia innata alla cultura digitale non si ferma ai confini del web, ma diventa la bussola anche per tutto quello che facciamo fuori. Vinca il migliore non è più solo un augurio di routine: è un ordine. Resta la questione del tempo. Anche se da quel che abbiamo visto finora è già chiaro il nuovo senso del tempo che molti si portano dentro. Non è un futuro lontano, o un passato da rimpiangere, e naturalmente non è un presente di privilegi da conservare. È un presente in continua evoluzione: è il futuro imminente, quello che possiamo costruire anche noi. Del resto pensateci un istante: se ci sono gli strumenti, se ci sono tutte le informazioni, se ci sono reti di persone pronte a collaborare, o a finanziarci o anche solo a sostenerci, allora non cʼè tempo da perdere. Parafrasando un antico proverbio africano, il momento migliore per cambiare lʼItalia era tanto tempo fa. Ma se non lo abbiamo ancora fatto, il momento migliore è adesso. La strada è una sola. Si chiama innovazione senza permesso. a cura di Riccardo Luna “Cambiamo tutto! La rivoluzione degli innovatori” Editori Laterza Il Bando e il Regolamento del Premio sono disponibili sul sito www.giovediscienza.it