Solo il povero vede il povero: il cammino

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Solo il povero vede il povero: il cammino
Solo il povero vede il povero: il cammino
di frate Francesco. Psicodinamica di un incontro.
Introduzione.
Verso la fine del suo libro, Il cammino dell’uomo, il filosofo ebreo Martin Buber (1878-1965)
riporta la frase di Rabbi Mendel di Kozk, che disse alla comunità riunita: «“Cosa chiedo a ciascuno
di voi? Tre cose soltanto: non sbirciare fuori di sé, non sbirciare dentro agli altri, non pensare a se
stessi”. Il che significa: primo, che ciascuno deve custodire e santificare la propria anima nel modo
e nel luogo a lui propri, senza invidiare il modo e il luogo degli altri; secondo, che ciascuno deve
rispettare il mistero dell’anima del suo simile e astenersi dal penetrarvi con un’indiscrezione
impudente e dall’utilizzarlo per i propri fini; terzo, che ciascuno deve, nella vita con se stesso e
nella vita con il mondo, guardarsi dal prendere se stesso per fine» .
«Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio, ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha
rivelato»1. Nella vita spirituale la strada della immediatezza non funziona. Dio si lascia riconoscere
tramite delle mediazioni. Fra le tante possibili (Sacra scrittura, testimoni, chiesa, valori naturali…)
ci sono anche le occasioni fortuite della vita quotidiana, un po’ come quella dell’incontro dei
Francesco d’Assisi con il lebbroso. «Ma ecco quanto avvenne: nel tempo in cui aveva già
cominciato, per grazia e virtù dell'Altissimo, ad avere pensieri santi e salutari, mentre viveva
ancora nel mondo, un giorno gli si parò innanzi un lebbroso: fece violenza a se stesso, gli si
avvicinò e lo baciò Da quel momento decise di disprezzarsi sempre più, finché per la misericordia
del Redentore ottenne piena vittoria»2. Ma è pur vero che le occasioni si possono anche perdere:
«La vista dei lebbrosi infatti, come egli attesta, gli era prima così insopportabile, che non appena
scorgeva a due miglia di distanza i loro ricoveri, si turava il naso con le mani»3.
In questo breve articolo vorrei evidenziare alcune condizioni affinché gli eventi della cronaca
quotidiana (nei quali sono in gioco i valori naturali) possano essere vissuti come mediazioni
religiose (valori trascendenti). Non ho intenzione di effettuare uno studio psicologico di Francesco,
da un lato perché la letteratura socio-psico-spirituale, in tal senso - abbonda e dall’altro perché
ricostruire l’immagine che Francesco si era fatta di Dio a partire dalla sua vita e dagli scritti è
un’impresa complicata, resa ancor più difficile dalla naturale ritrosia di Francesco a rivelare i
risvolti più intimi della sua esperienza spirituale.
Pertanto, vorrei semplicemente evidenziare che nell’incontro di Francesco con il lebbroso è
possibile scorgere le condizioni perché un semplice fatto della vita quotidiana (esperienza dei sensi)
possa evolversi in esperienza religiosa. Attraverso le acquisizioni della moderna psicodinamica, è
possibile individuare, infatti, tali condizioni nell’oggetto, nel soggetto e nell’esito dell’esperienza
stessa.
Il modo cristiforme di amare nell’uomo: un’icona incompiuta
Una delle possibili definizioni di esperienza spirituale cristiana potrebbe essere la seguente: Dio ci
chiama ad auto-trascenderci in un amore per Lui e per il prossimo simile a quello che ha ispirato la
vita di Cristo, quindi ad un amore che non nasce dal cuore umano, ma che è stato rivelato dal
1
Gv 1,18
1Cel 17, FF 348, cf. 2Test
3
1Cel 17
2
messaggio biblico in genere, dalle parole e dagli esempi di Gesù Cristo4 e un amore infuso nel cuore
umano dalla grazia divina. Questa definizione evidenzia che lo specifico non è nell’amare, ma nel
modo cristiforme di amare, cioè nel “come”5. Quante volte abbiamo letto, per esempio, la pericope
giovannea della lavanda dei piedi6 soltanto one-way, ossia interpretando l’esempio del Maestro
Gesù solo come un esempio di umiltà.
Tuttavia, anche se leggessimo la scena biblica in tal modo, la lavanda dei piedi non perderebbe la
sua associazione con la morte di Gesù. Parallelamente, 15,12-13 – col suo comando di portare
l’amore al punto di offrire la propria vita per gli altri, fino al telos di sè, è un eccellente commento
di ciò che Gesù intende in Gv 13,15 quando dice: «Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi
facciate come io ho fatto a voi» .
Secondo l’insegnamento dei Padri della Chiesa – e soprattutto degli acuti “psicologi”, quali erano i
Padri del deserto – le esperienze dei sensi sono diverse da quelle dello spirito, ma, a certe
condizioni, le prime possono divenire occasioni per le seconde.
Chiedendo a Dio di aiutarci a ricordare la prima volta in cui il Suo sguardo ha incrociato il nostro e
ci ha sedotto7 con il dono susseguente della vocazione, abbiamo sperimentato che la fatidica
“caduta da cavallo” di s. Paolo non sia poi così indispensabile. Di solito se qualcuno si riavvicina
alla fede, non è perché è stato folgorato da un evento miracoloso (la chiamata, a partire dall’evento
princeps che è il battesimo, non è già un miracolo di grazia?!), ma perché lentamente – o talvolta
inconsapevolmente - ha cominciato a vivere il suo vissuto naturale con una predisposizione
interiore sulla quale può innescarsi o innestarsi l’esperienza spirituale cristiana. Sì, è vero, un
evento esterno è capace di determinare una svolta interiore ma, generalmente, non lo fa in modo
miracolistico, bensì in unione con le disposizioni interiori che accompagnano ciò che accade. Ora,
se manca tale apertura interiore all’Altro (altro), posso pure incontrare il carismatico di turno o losforna-libri-quotidiano protagonista dei rotocalchi più visti e sfogliati, ma difficilmente
quell’incontro rappresenterà per me un momento si svolta esistenziale.
Lasciamo che i valori naturali siano aperti a quelli trascendenti
Così s. Bonaventura scrive nella sua Legenda Maior: «Da allora [Francesco] si rivestì dello spirito
di povertà, d'un intimo sentimento d'umiltà e di pietà profonda. Mentre prima aborriva non solo la
compagnia dei lebbrosi, ma perfino il vederli da lontano, ora, a causa di Cristo crocifisso, che,
secondo le parole del profeta, ha assunto l'aspetto spregevole di un lebbroso, li serviva con umiltà e
gentilezza, nell'intento di raggiungere il pieno disprezzo di se stesso. Visitava spesso le case dei
lebbrosi; elargiva loro generosamente l'elemosina e con grande compassione ed affetto baciava
loro le mani e il volto»8.
Baciare una persona dall’aspetto e dall’odore nauseante è un’esperienza sensibile, ma se c’è una
determinata apertura, essa può divenire, al contempo, un’esperienza spirituale. Forse che a
Francesco è bastato guardare il lebbroso da un altro punto di vista e, così, quel poveretto faceva
meno impressione di prima? O improvvisamente il lebbroso cominciò a profumare di violetta
selvatica?! Nulla di tutto questo, almeno dai resoconti del racconto delle Fonti. Il lebbroso era ed è
rimasto lebbroso! Francesco era ed è rimasto uno che sentiva ripugnanza istintiva9 a quel genere di
4
cf. Gv 13,15
kathos, cf. Gv 13,14; Fil 2,5
6
Gv 13,1-20
7
cf. Ger 20,7a
8
LegM I,6
9
2Cel 9
5
persone. I valori naturali (odore, malattia, suscettibilità…), e ancor più quelli sociali , non hanno
subìto un cambiamento, ma anziché intrappolare o zittire i valori trascendenti (amore cristiforme), li
hanno fatti germogliare, tanto che al termine della sua vita (cioè quando tutto assume un carattere di
provvisorietà e caducità), frate Francesco potrà scrivere: «Quando ero nei peccati mi sembrava cosa
troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi
misericordia. E allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di
animo e di corpo»10.
Lo sappiamo bene dalla filosofia Scolastica che l’esperienza spirituale non produce un
cambiamento di natura, ma un perfezionamento di quest’ultima. L’esperienza dei sensi, altresì,
rimane intatta, ma non è il traguardo di arrivo (e meno male!). La repulsione, infatti, può farsi
domanda-ricerca religiosa: il lebbroso rimane lebbroso (valore naturale), ma anche un prossimo da
amare (valore trascendente).
Il cappuccino vietnamita Li Vu così scrive in suo interessante studio: «Un’occasione fortuita della
vita è mediazione spirituale quando il valore naturale che essa immediatamente esprime rimane
aperto ad un possibile rimando ad un valore trascendente […] Francesco cominciò a riflettere e
ponderare che lui non voleva venire meno alla fedeltà promessa, come trasgredendo un ordine
ricevuto. La presenza in noi dei valori trascendenti permette di vivere le esperienze dei sensi come
mediazioni». A questa condizione fanno crescere, altrimenti rimangono esperienze che non dicono
nulla o toccanti per il nostro presente, ma … domani si vedrà!
Ha ragione Martin Buber quando afferma: «La più alta cultura dell’anima resta fondamentalmente
arida e sterile, a meno che da questi piccoli incontri, a cui noi diamo ciò che spetta, non sgorghi,
giorno dopo giorno, un’acqua di vita che irriga l’anima […] Nessun incontro - con una persona o
una cosa - che facciamo nel corso della nostra vita è privo di un significato segreto. Gli uomini con i
quali viviamo o che incrociamo in ogni momento, gli animali che ci aiutano nel lavoro, il terreno
che coltiviamo, i prodotti della natura che trasformiamo, gli attrezzi di cui ci serviamo, tutto
racchiude un’essenza spirituale segreta che ha bisogno di noi per raggiungere la sua forma perfetta,
il suo compimento» .
Accomodamento e assimilazione
Sappiamo – fin dagli studi sull’età evolutiva dello psicologo e pedagogista svizzero J. Piaget (18961980) - che la conoscenza della realtà esterna avviene attraverso due processi: assimilazione e
accomodamento. I due processi, analogamente, valgono anche per l’apprendimento spirituale, con
prevalenza, in esso, del processo di accomodamento, così da renderlo di natura prevalentemente
affettiva.
Con il processo di assimilazione, l’intelletto formula una copia del conosciuto nella mente del
conoscente (per cui il vero ha la sua sede nel soggetto). Con l’accomodamento, invece, l’amore si
addentra nell’oggetto e ne coglie l’interiorità (per cui il vero ha la sua sede nell’oggetto). Quindi,
l’intelletto assume in sé, l’amore s’inchina davanti all’oggetto; l’intelletto procede dal fenomeno
all’essenza, l’amore afferra l’essenza e sa riconoscerla nel fenomeno. Se l’intelletto è anche capace
di amore, si dirige fuori (estasi), si inchina verso l’altro, ne coglie la realtà più profonda e, infine,
della copia interiore se ne serve per apprezzare meglio la realtà .
10
2Test
ESPERIENZA
DEI SENSI
OGGETTO - Totalmente presente alla
percezione
- Conoscibile attraverso il
processo di assimilazione
(attività intellettuale)
- è involontario
SOGGETTO - È totalmente presente a se
stesso fin dall’inizio sa cosa
cerca
- è attivo: cerca
- prima osserva e poi decide:
amore che nasce dalla
conoscenza
ESITO
ESPERIENZA
SPIRITUALE
- Assente alla percezione
- conoscibile attraverso il
processo di accomodamento
(attività dell’affetto)
- è volontario
- Non è totalmente presente a
se stesso e non può sapere fin
dall’inizio a che cosa porta la
ricerca
(sentimento
di
stupore)
- è passivo (è cercato)
- Prima ama e poi osserva:
conoscenza
che
nasce
dall’amore
La ricerca conclude a un La ricerca conclude a un
perfezionamento dello stato cambiamento
di
sé
previo
(conversione)
Dio si lascia conoscere
Voglio conoscere con le mie forze e conosco immediatamente (cioè senza mediazioni)? Voglio
conoscere e conquistare la dimensione spirituale e tutto avviene automaticamente? Questo sarebbe
un intellettualismo gnoseologico di certo ingenuo e per niente realista, frutto di uno sforzo
meramente umano e quindi sterile. Per Francesco non fu così… e neanche per tutti noi. Francesco
incontrò il lebbroso con una memoria atrofizzata dalle sue esperienze passate. Nel suo Testamento
dice espressamente che era terrorizzato dai lebbrosi perché lui era nei peccati e non li avrebbe mai
avvicinati se non fosse stato il Signore stesso a condurlo fra loro e a superare il suo disgusto per
loro. L’invito a baciare il lebbroso fu iniziato da Dio e Francesco, di rimando, rispose liberamente.
Se Dio non permettesse alla persona di conoscere o scoprire ciò che Egli è, la persona non potrebbe
conoscerlo. La conoscenza è possibile se Lui, per primo, ci permette di conoscerlo e in quale misura
conoscerlo. Quante volte ne abbiamo fatto l’esperienza: il nostro ricercare iniziale, quando facciamo
esperienza del suo Amore, era in realtà un venire incontro di Dio verso di noi.
I due dialoganti: continuità e discontinuità dialogica
L’episodio del lebbroso indica chiaramente che l’alleanza dei due dialoganti è particolare. Il Celano
così prosegue nel suo Memoriale nel desiderio dell’anima: «Subito risalì a cavallo, guardò qua e là
- la campagna era aperta e libera tutt'attorno da ostacoli - ma non vide più il lebbroso. Pieno di
gioia e di ammirazione, poco tempo dopo volle ripetere quel gesto: andò al lebbrosario e, dopo
aver dato a ciascun malato del denaro, ne baciò la mano e la bocca. Così preferiva le cose amare
alle dolci, e si preparava virilmente a mantenere gli altri propositi»11. Molti commentatori
ritengono che nel lebbroso c’era il Cristo. In forza della sua memoria bloccata, non sapeva se
fuggire ancora o fermarsi. Inoltre, alcuni studiosi interpretano questa assenza come un segnale per
un’illusione che Francesco doveva abbandonare: «subito gli torna alla mente il proposito di
perfezione, l’impegno a diventare cavaliere di Cristo. Il Cristo deve stringerselo tra le braccia nel
11
2Cel 9, FF 592
realismo crudo di un uomo infetto da lebbra, con il corpo putrido di ulcere sanguinolente: non
soltanto contemplarlo e meditarlo confitto in croce, sull’altare, dipinto. No, egli è lì, per terra, nel
corpo del lebbroso che gli si para dinanzi e che gli sbarra la strada» .
Ora, per entrare nella nuova situazione con il lebbroso, Francesco dovette andare oltre i suoi valori
naturali, le sue fobie, le sue imperfezioni e i suoi schemi (anche socialmente imposti). Si attuò un
vero e proprio processo di kenosis. Dio, in tale esperienza, era celato a Francesco, ma la lotta con se
stesso era già stata avviata, tanto che il Celano annota: «Alla periferia della città c'era una grotta,
in cui [Francesco (…)], già santo per desiderio di esserlo, vi entrava, lasciando fuori il compagno
ad attendere, e, pieno di nuovo insolito fervore, pregava il Padre suo in segreto12. Desiderava che
nessuno sapesse quanto accadeva in lui là dentro e, celando saggiamente a fin di bene il meglio,
solo a Dio affidava i suoi santi propositi. Supplicava devotamente Dio eterno e vero di
manifestargli la sua via e di insegnargli a realizzare il suo volere. Si svolgeva in lui una lotta
tremenda, né poteva darsi pace finché non avesse compiuto ciò che aveva deliberato. Mille pensieri
l'assalivano senza tregua e la loro insistenza lo gettava nel turbamento e nella sofferenza»13.
È possibile individuare una dinamica universale del dialogo spirituale: tra il dialogante-Dio e il
dialogante-uomo. Il dialogante umano è sempre un interlocutore intermittente, confuso, non sempre
pienamente consapevole di ciò che succede e che si accosta e si allontana da Dio. Il dialogate-Dio,
invece, è sempre presente come il dialogante perfetto che non può mai ingannare o contraddirsi. Nel
dialogante, Dio è presente totalmente, l’uomo parzialmente.
Prima si ama e poi si conosce? Due approcci complementari ed inclusivi
Francesco fece violenza a se stesso, gli si avvicinò e lo baciò. Auto-costrizione castrante e
spersonalizzante? Negazione frustrante e volontarista della propria coscienza? Niente di tutto
questo. Francesco fece tutto questo perché era innamorato di Dio. Infatti lo fece con il cuore:
«Pieno di gioia e di ammirazione, poco tempo dopo volle ripetere quel gesto: andò al lebbrosario
e, dopo aver dato a ciascun malato del denaro, ne baciò la mano e la bocca»14.
Nella nota dialettica gnoseologica francescana / tomista si distinguono due tipologie di processi
conoscitivi: vi è una conoscenza che nasce di fatti (di matrice esperienziale) e una che nasce
dall’amore (di matrice agapica). Quella dei fatti, prima conosce e poi ama; quella dell’amore, prima
ama e poi conosce. Quest’ultima è il tipo di processo conoscitivo tipico dell’innamorato, ma
analogamente anche della persona spirituale il cui cuore è inondato dall’amore di Dio. Lonergan è
di questo medesimo parere quando afferma che per dialogare con il tu divino occorre muoversi nel
conoscere che ama, dove conoscenza e dono di sé si compenetrano e il sapere è reso perspicace
dall’Amore. Nell’esperienza spirituale ciò che è determinante non è l’esercizio della conoscenza
(conversione intellettuale), né quello della volontà (conversione morale), bensì l’esercizio
dell’affettività che caratterizza la conversione religiosa che consiste nell’essere presi da ciò che ci
tocca assolutamente. È innamorarsi in modo ultra-mondano. È consegnarsi totalmente e per sempre
senza difese e riserve.
Forse solo così si può comprendere il termine ascesi: essa non è meramente una disposizione di sé,
ma una disponibilità incondizionata, libera e aperta verso Colui che ci ama in modo incondizionato.
12
Mt 6,6
1Cel 6, FF 329
14
2Cel 9, FF 592
13
Conclusione
Al termine di questo breve articolo, ci chiediamo dove sia lo stupefacente dell’incontro tra
Francesco e il lebbroso. Non credo che il prodigio vada ricercato nel bacio al lebbroso, o nel fatto
che l’Assisiate abbia rotto con il passato e abbandonato le vesti del mondo per il saio15.
Il prodigio è nascosto in quell’incontro che ha fatto cambiare il criterio, la visione del mondo in
Francesco, in base al quale valutare chi gli stava davanti. Il lebbroso resta lebbroso, ma Francesco
cambia la sua risposta perché lo valuta secondo un orizzonte totalmente diverso: quello che
dell’innamorato che prima ama e poi, quindi, è in grado di conoscere (gnoseologia agapica).
La mia vita, in sintesi, non può che essere un progredire nella conoscenza del Dio vivo e vero, un
progredire nella sublime scienza di Cristo, un camminare secondo lo Spirito, perché questo è già
vita eterna… la Vita dell’Eterno in noi!
Concludiamo allo stesso modo di come abbiamo cominciato, ossia con una frase di M. Buber: «Noi
crediamo che la grazia di Dio consiste proprio in questo suo volersi lasciar conquistare dall’uomo,
in questo suo consegnarsi, per così dire, a lui. Dio vuole entrare nel mondo che è suo, ma vuole
farlo attraverso l’uomo: ecco il mistero della nostra esistenza, l’opportunità sovrumana del genere
umano! Un giorno in cui riceveva degli ospiti eruditi, Rabbi Mendel di Kozk li stupì chiedendo loro
a bruciapelo: “Dove abita Dio?”. Quelli risero di lui: “Ma che vi prende? Il mondo non è forse
pieno della sua gloria?”. Ma il Rabbi diede lui stesso la risposta alla domanda: “Dio abita dove lo
si lascia entrare”. Ecco ciò che conta in ultima analisi: lasciar entrare Dio. Ma lo si può lasciar
entrare solo là dove ci si trova, e dove ci si trova realmente, dove si vive, e dove si vive una vita
autentica. Se instauriamo un rapporto santo con il piccolo mondo che ci è affidato, se, nell’ambito
della creazione con la quale viviamo, noi aiutiamo la santa essenza spirituale a giungere a
compimento, allora prepariamo a Dio una dimora nel nostro luogo, allora lasciamo entrare Dio» .
15
exivi de saeculo