Storia della lingua italiana

Transcript

Storia della lingua italiana
sezione
sezione Storia della lingua italiana
Storia della lingua
italiana
Le lingue sono interessate da
continui mutamenti, prodotti
dall’evoluzione della storia
culturale, sociale, politica ed
economica dei popoli e delle loro
relazioni che sono anche di tipo
linguistico. L’italiano è perciò, come
ogni lingua, un sistema dinamico
che ha visto succedersi nel tempo
diverse varietà.
... del bel paese là dove ’l sì suona.
Dante Alighieri, nel XXXIII canto dell’Inferno
Le varietà storiche: la lingua nel tempo
Le varietà geografiche: le lingue e i dialetti
La lingua è un sistema dinamico, soggetto a
continui mutamenti determinati dall’evolversi
delle culture, delle società, delle relazioni tra i
popoli. Nel corso della storia, anche l’italiano
ha vissuto un processo di mutamento e
definizione delle proprie regole e dei propri
elementi linguistici.
Una lingua presenta anche varietà di tipo
geografico, talvolta chiamate dialetti: parlate
utilizzate in territori più ristretti e in contesti
familiari, che sviluppano fonologia, ortografia,
morfologia e sintassi proprie. Accanto a questi
e alla lingua maggiormente diffusa sul
territorio convivono veri e propri sistemi
linguistici a sé stanti.
al latino all’italiano
D
Il Trecento e la nobilitazione
del volgare toscano
Il Quattrocento: il volgare fiorentino
diventa lingua
Il Cinquecento e la questione
della lingua
Il Seicento e la prosa scientifica
Il Settecento: il rinnovamento
della lingua italiana
L’Ottocento: la lingua diventa
una questione sociale
Verso l’italiano comune
Dialetti e lingue parlati in Italia
sezione Storia della lingua italiana
La lingua nel tempo
Dal latino all’italiano
Obiettivi di apprendimento
Sapere che cosa si intende per lingue indoeuropee e lingue neolatine
Conoscere le tappe fondamentali del processo di mutamento dal latino al volgare
Il latino
Per ricostruire le origini della lingua italiana dobbiamo risalire fino ai Latini, il popolo che si stanziò lungo
le rive del Tevere nell’VIII secolo a.C. La loro lingua era il latino: la lingua indoeuropea che molto più
tardi avrebbe costituito la base dell’italiano e delle altre lingue romanze o neolatine.
In origine il latino era parlato in una zona molto limitata e fu con l’affermarsi del potere romano – prima con
la repubblica, poi con l’impero – che il latino divenne la lingua ufficiale in tutti i territori sottomessi a
Roma, pur conservando nella lingua parlata peculiarità diverse da una regione all’altra.
Che cosa sono le lingue indoeuropee
Alla fine del XVIII secolo, alcuni studiosi di linguistica furono colpiti dal fatto che molte lingue europee
e asiatiche presentassero elementi somiglianti. Confrontando le lingue in questione giunsero alla conclusione che queste avessero un’origine comune e discendessero da un’unica lingua madre, formando
un’unica famiglia linguistica che venne definita indoeuropea, con riferimento all’estensione geografica
(osserva la carta a lato).
Mediterranei
Indoeuropei
Mar
Baltico
Oceano
Atlantico
Indiani
Arii
Slavi
Germani
ri
Medi
Celti
ini b
i at m
Persiani
et L o-U
Galli Ven
c
i
Sciti
Os i
es
Reti
Armeni
n
r
Ittiti
i
a
Ill lb
Mar
A
Caspio
Mar Nero
Liguri
ci
i
a
Etruschi
r
Caucasici
T
Lid
Britanni
Baschi
Iberi
Sardi
Se prendiamo ad esempio la parola “madre” vediamo che in molte lingue presenta un’evidente somiglianza:
sanscrito*: màta
latino: mater
francese: mère
tedesco: Mutter
slavo: mat
spagnolo: madre
inglese: mother
iranico: màdar
* il sanscrito è l’antica lingua indiana con la quale
sono scritti tutti gli antichi testi sacri induisti
Che cosa sono le lingue neolatine
Berberi
Punici
francese: fair
romeno: face
Sicani
Egizi
Sumeri
Fenici
Aramei
Cananei
Ebrei
Ebrei
Caldei
Accadi
Libici
Babilonesi
1
Arabi
Fig. 1 – Carta delle migrazioni dei popoli di lingua indoeuropea:
le migrazioni, a partire dal II millennio a.C., sono alla base
della differenziazione della lingua originaria in numerose lingue diverse.
Fig. 2 – La carta mostra i territori in cui oggi si parlano lingue
neolatine.
Mare
del
Nord
Po
rt
og
he
s
e
Oceano
Atlantico
portoghese: fazer
spagnolo: hacer
Assiri
Greci
Mar Mediterraneo
Le lingue neolatine, che derivano cioè direttamente
dal latino, sono, oltre all’italiano, il portoghese, lo
spagnolo, il catalano, il provenzale, il franco-provenzale, il francese, il sardo, il romeno.
Se prendiamo ad esempio la parola “fare” dal latino
facěre e la confrontiamo con alcune lingue neolatine, notiamo subito la comune discendenza:
Tocari
Balti
Mar
Baltico
Francese
Francoprovenzale
Ladino
Provenzale
Spagnolo
Catalano
Territori in cui si parlano le
lingue neolatine: portoghese,
spagnolo, catalano,
provenzale, ladino, italiano,
sardo, romeno
Mar
Caspio
Romeno
Mar Nero
Italiano
Sardo
2
Mare Mediterraneo
© 2010 RCS Libri S.p.A., Milano - Elisabetta Sergio, Grammatica Pratica edizione mista, La Nuova Italia
sezione Storia della lingua italiana
Dal latino al volgare
Con la caduta dell’Impero romano e l’arrivo in Italia di nuovi popoli (Germani, Bizantini e più tardi Arabi),
la situazione economica e politica della penisola mutò profondamente: cessò l’unità politica e con essa
quella linguistica.
Il latino si frantumò in tante parlate diverse, dando origine ai dialetti italiani detti appunto “volgari” ovvero “lingue di uso comune” per differenziarli dal latino scritto conosciuto ormai solo dai ceti colti.
Un processo lungo e graduale
In tutto l’Occidente (detto Romània) alla fine dell’VIII secolo si era ormai concluso il processo di mutamento dal latino alle nuove lingue romanze (neolatine). La maggioranza della popolazione parlava ormai i
vari volgari che però continuavano ad essere utilizzati unicamente come lingua parlata, ad essi non veniva
ancora affidata nessun tipo di scrittura.
In Italia i primi documenti scritti in volgare apparvero tra il IX e X secolo: i più antichi sono il cosiddetto
Indovinello veronese (VIII-IX sec.) e il Placito di Capua (960). Nel primo caso si tratta di un testo ritrovato in
un antico codice della Biblioteca Capitolare di Verona e opera, si pensa, di un amanuense; mentre il secondo, ritrovato nella Biblioteca di Cassino, è un documento giudiziario che riporta una sentenza legale.
■ Indovinello veronese
Se pareva boves
alba pratalia araba,
albo versorio teneba:
et negro semen seminaba.
Spingeva davanti a sé i buoi
arava i campi bianchi,
teneva un aratro bianco
e seminava un seme nero
 L’indovinello si riferisce
So che quelle terre con quei
confini, che qui (cioè sulla carta)
si indicano, le possedette per
trent’anni la parte di San
Benedetto (cioè il monastero
benedettino di Montecassino).
 Si tratta di una formula di
all’atto della scrittura, presentato
come un’aratura: i buoi sono le
dita, i campi bianchi la carta,
l’aratro bianco la penna, il seme
nero l’inchiostro.
■ Placito di Capua
Sao ko kelle terre, per kelle fini
qui ki contene trenta anni le
possette parte Sancti Benedicti.
giuramento di alcuni testimoni
che prova l’appartenenza
trentennale di certe terre
all’abbazia benedettina, che
quindi può usufruirne. Il
documento è scritto in volgare,
anche se contiene ancora
qualche traccia di latino:
possette, Sancti Benedicti.
Bisognerà comunque arrivare al Duecento per vedere lo
sviluppo dei volgari letterari, quando cioè in varie parti
d’Italia si scriveranno testi nelle diverse lingue locali.
Di particolare importanza saranno gli esempi dei poeti siciliani: la loro lingua sarà considerata per
quasi mezzo secolo la più importante d’Italia.
A dare forte impulso alla diffusione dell’uso del
volgare sarà soprattutto lo sviluppo della civiltà
comunale con l’aumento delle comunicazioni
indispensabili alla nuova vita associativa: accanto ai primi testi letterari inizieranno ad essere
scritti in volgare anche contratti commerciali,
statuti di corporazioni ecc.
Il volgare è però ancora ben lontano dal sostituire il latino che continua ad essere la lingua scritta dominante.
3
Fig. 3 – Miniatura del XIV sec. con scena di commercio.
© 2010 RCS Libri S.p.A., Milano - Elisabetta Sergio, Grammatica Pratica edizione mista, La Nuova Italia
sezione Storia della lingua italiana
La lingua nel tempo
Il Trecento e la nobilitazione
del volgare toscano
Obiettivi di apprendimento
Comprendere l’importanza del volgare fiorentino
Conoscere le maggiori opere letterarie scritte in volgare fiorentino
La Divina Commedia “madre” della lingua italiana
In accordo con quanto espresso nel trattato De vulgari eloquentia – dove sostiene la necessità di un volgare comune a tutta la penisola e definisce il
ruolo dello scrittore nella formazione della lingua di un popolo – Dante (12651321) sceglie di scrivere la Divina Commedia utilizzando il volgare fiorentino
e non la lingua latina. Siamo agli inizi del XIV secolo e i suoi studi portano il
fiorentino a un tale livello di elaborazione letteraria che esso può, anche
nell’uso più colto, competere con il latino.
Nel poema troviamo vocaboli latini, espressioni tecniche tratte dalla filosofia
e dalle scienze del tempo, modi di dire popolari accanto ad altri più colti,
espressioni di altri dialetti italiani e francesismi (espressioni cioè influenzate
dal volgare francese). Dante riuscì ad amalgamare parole, forme, espressioni
e costruzioni provenienti dalle più diverse tradizioni con la lingua popolare
fiorentina, esprimendo le possibilità offerte dalla diversificata situazione linguistica italiana; e anche per questa ragione la lingua della Commedia divenne
la base di una lingua letteraria nazionale.
4
Fig. 4 – Ritratto di Dante Alighieri.
Petrarca e Boccaccio
Altri due letterati toscani che contribuirono ad imporre il dialetto
fiorentino come lingua di tutti gli italiani furono Francesco Petrarca (1304-1374) e Giovanni Boccaccio (1313-1375) che oltre
a numerose opere in latino scrissero anche in volgare. Il primo è
autore del Canzoniere, una raccolta di liriche scritte in un linguaggio che si discosta intenzionalmente da quello del volgare parlato
per tenere un tono più elevato ed elegante; il secondo è autore del
Decameron, una raccolta di novelle nelle quali è utilizzato un fiorentino popolare, ma dalla sintassi molto elaborata, strutturata sul
modello latino.
5
Fig. 5 – Miniatura da un’edizione francese del
Decameron.
I vantaggi del volgare fiorentino
Il volgare fiorentino si impose come lingua scritta anche nel resto della penisola per due motivi principali:
1. la maggiore vicinanza del toscano al latino, che si può notare con facilità osservando la tabella sotto, gli
conferiva una maggiore comprensibilità rispetto ad altri volgari e chi conosceva il latino (notai, giudici,
medici, religiosi, scrittori) poteva impararlo facilmente
latino
volgari toscani (fiorentino)
volgari centro-meridionali
volgari
settentrionali
altus
alto
ald(e), àutu
àut, olt
càlidus
caldo
callo, càuro
càud, colt
2.l’importanza della civiltà fiorentina sia dal punto di vista economico sia culturale e la fama dei suoi scrittori.
© 2010 RCS Libri S.p.A., Milano - Elisabetta Sergio, Grammatica Pratica edizione mista, La Nuova Italia
sezione Storia della lingua italiana
La lingua nel tempo
Il Quattrocento: il volgare
fiorentino diventa lingua
Obiettivi di apprendimento
Conoscere la complessità della realtà linguistica italiana del Quattrocento
Comprendere l’importanza dell’invenzione della stampa
Verso l’affermazione del volgare letterario
La fama dei grandi scrittori trecenteschi non permise tuttavia di raggiungere con l’inizio del nuovo secolo
una piena affermazione del volgare. Nel Quattrocento la riscoperta del mondo classico spinse i letterati a
riproporre il latino degli antichi come lingua letteraria e a disconoscere il volgare e i poeti che di quella
lingua avevano fatto il loro strumento di espressione. Si trattò comunque di un fenomeno di breve durata:
già a partire dalla metà del secolo si determinò una decisa riaffermazione dei testi in volgare e con l’inizio
del Cinquecento esso ottenne pari dignità con il latino.
Sperimentazione linguistica e uso del dialetto in letteratura
In realtà, latino e volgare non furono affatto due mondi separati. La vivacità linguistica del Quattrocento e
le complesse relazioni che si intrecciarono tra i due idiomi sono testimoniate sia da testi dove compaiono
entrambe le lingue (sono frequenti titoli latini a opere in volgare o il ricorso a frasi latine quanto in opere
scritte in volgare si citano ad esempio testi religiosi); sia da opere letterarie che spesso con finalità umoristiche o per riferirsi a un preciso contesto regionale fanno uso dei dialetti locali (già Boccaccio nel Decamerone aveva attribuito a certi personaggi espressioni dialettali in relazione alla loro provenienza, talvolta con
intento caricaturale). Furono molti inoltre i letterati che produssero sia opere in latino sia in volgare tra
questi: Leonardo Bruni, Leon Battista Alberti e Poliziano, tutti attivi a Firenze presso la corte di Lorenzo il
Magnifico, uno dei maggiori centri di sperimentazione e produzione culturale dell’Umanesimo.
L’invenzione della stampa
Un contributo fondamentale all’unificazione linguistica si deve all’invenzione della stampa (1455): la
possibilità di riprodurre migliaia di esemplari di uno
stesso testo aumentò enormemente la diffusione di
opere letterarie e fece sentire la necessità di essere
compresi da un pubblico sempre più vasto. Questo
processo fu alla base della definizione di una norma
linguistica comune e della diffusione del volgare toscano come lingua letteraria.
6
Fig. 6 – Stamperia in un’incisione del XV secolo.
La prima grammatica italiana
Nel corso del secolo non mancarono le dispute tra sostenitori e oppositori dell’una e dell’altra lingua,
in particolare relative all’uso che ne avevano fatto i tre grandi del Trecento: Dante, Petrarca e Boccaccio. Coloro che sostenevano il volgare si impegnarono molto per rivendicare la pari dignità di
questo idioma rispetto alla lingua latina e tra loro vi fu Leon Battista Alberti (1404-72), uno dei
massimi rappresentati dell’Umanesimo fiorentino.
Egli fu autore di una Grammatica della lingua toscana che è di fatto la prima grammatica italiana anche
se non circolò né fu stampata. Per la pubblicazione di una grammatica italiana bisognerà aspettare il
1516, quando verrà pubblicata quella di Giovan Francesco Fortunio intitolata “Regole grammaticali della volgar lingua”.
© 2010 RCS Libri S.p.A., Milano - Elisabetta Sergio, Grammatica Pratica edizione mista, La Nuova Italia
sezione Storia della lingua italiana
La lingua nel tempo
Il Cinquecento e la questione
della lingua
Obiettivi di apprendimento
Conoscere le differenti posizioni che animano il dibattito sulla lingua
Comprendere la differenza tra lingua letteraria e lingua d’uso
La questione della lingua
Tutto il Cinquecento è animato da un acceso dibattito tra letterati per arrivare a stabilire quale tipo di volgare possa essere più adatto all’espressione letteraria. Le differenti posizioni, estremamente articolate e complesse, si possono semplificare e raggruppare in tre correnti sostenute da vari intellettuali del tempo, come
mostra lo schema.
propone di imitare il toscano di Boccaccio
(per la prosa) e di Petrarca (per la poesia)
Pietro Bembo
corrente cortigiana
propone una lingua più composita frutto della
somma delle lingue parlate nella corti italiane
Baldassarre
Castiglione
corrente fiorentina
propone un toscano moderno, aperto ai contributi
di altre lingue straniere, non solo letterario
Niccolò
Machiavelli
corrente arcaizzante
Lingua letteraria e lingua d’uso
A prevalere furono le soluzioni proposte da Pietro Bembo. Questo esito determinò la definitiva affermazione del volgare fiorentino come lingua letteraria e sancì la separazione tra lingua scritta e lingua parlata e tra
lingua letteraria e lingua d’uso. C’è da dire a questo proposito che la frammentazione politica e culturale
dell’Italia non permise di diffondere un’unica varietà linguistica; l’italiano rimase una lingua letteraria conosciuta solo da poche persone colte mentre nella comunicazione quotidiana si continuavano ad utilizzare i
dialetti: emergono fra tutti il siciliano, il napoletano, il romano e il veneziano.
L’Accademia della Crusca e il primo vocabolario
Alla fine del secolo nacque l’Accademia della Crusca, un’istituzione che rivestirà un ruolo di primo piano
nello studio della lingua italiana. Sotto l’impulso del filologo Leonardo Salviati, l’Accademia dette il via
alla redazione di un grande vocabolario delle lingua italiana, con lo scopo di fissare la norma linguistica che
i letterati avrebbero dovuto seguire. Pubblicato nel 1612, è il primo dizionario della lingua italiana.
Lessico
L’italiano e le altre lingue
L’estensione dell’uso dell’italiano a settori diversi come l’architettura, la matematica, la filosofia, l’astronomia determinò un notevole arricchimento del lessico. I nuovi termini vennero in parte recuperati dal
latino (es. decoro, scenografia, cateto, simmetria, assioma), in parte dalle lingue straniere: in particolare
dallo spagnolo (molti termini di uso marinaresco: flotta, nostromo, rotta, doppiare) e dal francese (molti
termini militari: marciare, trincea, massacro).
Contemporaneamente l’italiano esercitò una forte influenza in tutta l’Europa facendo affluire parole
italiane in altre lingue. I prestiti di maggiore importanza si hanno nei settori musicale, letterario e architettonico: madrigale, fuga, sonetto, balcone, piedistallo, facciata.
© 2010 RCS Libri S.p.A., Milano - Elisabetta Sergio, Grammatica Pratica edizione mista, La Nuova Italia
sezione Storia della lingua italiana
La lingua nel tempo
Il Seicento e la prosa scientifica
Obiettivi di apprendimento
apere della diffusione dello spagnolo e del francese come lingue d’uso nelle corti
S
italiane
Comprendere il contributo della prosa scientifica alla lingua italiana
Un panorama linguistico variegato
La frammentazione politica e sociale del territorio italiano continuò anche nel Seicento e ciò influì sulla
lingua della maggior parte della popolazione che continuava a parlare dialetti locali, mentre il fiorentino –
che dopo l’unificazione linguistica del Cinquecento possiamo chiamare italiano – continuava ad essere utilizzato come lingua scritta.
In questo secolo si verificarono inoltre due fatti rilevanti: la presenza spagnola in Italia e, dopo la metà del
secolo, l’affermazione del francese come lingua internazionale. I due idiomi si imposero quindi come lingue
d’uso e di conversazione nelle corti della penisola.
La prosa scientifica
Le variazioni più importanti che la lingua italiana subì in questo secolo derivano soprattutto dall’uso che ne
fecero gli scienziati: in particolare Galileo Galilei seguito da Francesco Redi ed Evangelista Torricelli. I
contributi riguardarono principalmente gli aspetti lessicali e sintattici. Per adattarsi alle esigenze della scienza, che più di altri ambiti esige chiarezza ed essenzialità, l’italiano del Seicento acquisì una prosa più asciutta:
periodi brevi, frasi essenziali (soggetto, predicato e complementi); e continuò ad arricchirsi dal punto di
vista del lessico.
Il contributo di Galileo Galilei
Sia dal punto di vista di semplificazione della frase sia di
arricchimento lessicale, un contributo determinante venne da Galileo Galilei. Egli scriveva nel toscano letterario
della tradizione rinascimentale, che però ripulì dalle
espressioni retoriche, dalle costruzioni implicite e dalle
terminologie troppo colte, ottenendo una lingua asciutta
ed esplicita più adatta alle dimostrazioni scientifiche.
7
Dialetti in polemica con la lingua colta
Con il progressivo affermarsi dell’italiano letterario,
i dialetti diventarono oggetto di curiosità e sperimentazione per molti scrittori colti che rovesciarono in chiave comica i modelli alti della letteratura
o rappresentarono la vita caotica e precaria del popolo comune. Non si trattò di una produzione popolaresca, ma anzi di un modo piuttosto ricercato
di polemizzare con la posizione dominante della
lingua letteraria cinquecentesca. Fanno parte di
questo filone opere come i racconti di Bertoldo e
Bertoldino di Giulio Cesare Croce in Emilia, il Meo
Patacca di Giuseppe Berneri a Roma, Lo cunto de li
cunti di Giambattista Basile a Napoli.
Fig. 7 – Ritratto di Galileo e frontespizio di una delle sue
maggiori opere: Dialogo sopra i massimi sistemi del
mondo, pubblicato nel 1632.
Lessico
Il lessico italiano si arricchisce di nuovi vocaboli, molti di ambito specialistico, che entrano
nell’uso comune:
termini giuridici (aggressione, consulente, censire, dirimere...);
altri termini (analfabeta, elaborare, indagine,
monotono, posticipare, sintassi, tesi...).
Notevole diffusione hanno anche i forestierismi:
dal francese (moda, coccarda, parrucca, canapè...);
dallo spagnolo (baule, posata, cioccolato, recluta, lazzarone).
© 2010 RCS Libri S.p.A., Milano - Elisabetta Sergio, Grammatica Pratica edizione mista, La Nuova Italia
sezione Storia della lingua italiana
La lingua nel tempo
Il Settecento: il rinnovamento
della lingua italiana
Obiettivi di apprendimento
Conoscere la situazione linguistica italiana nel Settecento
Conoscere le principali richieste di rinnovamento degli illuministi
Un secolo di rinnovamento
Il Settecento, caratterizzato dall’Illuminismo, è per la cultura e per la lingua italiane un periodo di grande
rinnovamento sia per i contatti che alcune regioni e città hanno con importanti nazioni straniere, sia per il
nuovo modo di intendere la società e il rapporto Stato-cittadino, sia per la diffusione della cultura dovuta a
nuovi mezzi di comunicazione come i giornali e di espressione culturale come il teatro.
La lingua e la società
Vediamo insieme nello schema sottostante qual era la situazione della lingua italiana nella società settecentesca:
ceti più istruiti
ceti medi
ceti popolari
. parlano il dialetto, ma comprendono l’italiano e iniziano ad utilizzarlo in
alcune situazioni di parlato
. elaborano una mediazione tra dialetto e italiano letterario che
costituisce la base dell’italiano regionale
. situazioni diverse da regione a regione
. parlano il dialetto, ma in alcuni casi sanno utilizzare il francese nelle
comunicazioni commerciali
. rimangono analfabeti e usano esclusivamente i dialetti
L’esigenza del rinnovamento: si riaccende la questione della lingua
In sintonia con le istanze dell’Illuminismo si avvertiva come una questione culturale sociale e politica anche
l’esigenza di una lingua moderna in grado di contribuire al rinnovamento della società, esigenza che fu
causa di un nuovo dibattito tra posizioni tradizionaliste e posizioni più o meno innovative. Da una parte si
schierarono coloro che si identificavano con la tesi purista dell’Accademia della Crusca che difendeva il
primato degli scrittori trecenteschi, dall’altra chi si poneva in vario modo il problema del rinnovamento
della lingua.
I temi sul tavolo degli innovatori vertevano su alcune questioni fondamentali:
l’esigenza di una pratica comunicativa legata ai
vari usi moderni e meno identificata con l’uso
Lessico
letterario
il grado di apertura della lingua italiana nei conIl lessico italiano continua a specializzarsi e
fronti della altre lingue europee in particolare il
ad arricchirsi di vocaboli soprattutto in amfrancese.
bito politico (costituzione, commissione, magIn sostanza veniva rivendicato un ruolo più radicato nella
gioranza, onorevole, patria, nazione...), sciensocietà contemporanea e adeguato a esprimere le idee di
tifico (citrico, carbonico, solforico...) e filosouna cultura moderna e si decretava l’inevitabilità del camfico (ragione, emozione, analisi, filosofo, filobiamento linguistico, basato sullo stretto rapporto esistensofico...).
te tra sviluppo delle lingue e sviluppo storico dei popoli.
© 2010 RCS Libri S.p.A., Milano - Elisabetta Sergio, Grammatica Pratica edizione mista, La Nuova Italia
sezione Storia della lingua italiana
La lingua nel tempo
L’Ottocento: la lingua diventa una
questione sociale
Obiettivi di apprendimento
Sapere che con l’unità d’Italia si pone il problema di alfabetizzazione degli italiani
Conoscere il contributo di Alessandro Manzoni all’italiano moderno
Il problema dell’alfabetizzazione
Al momento dell’unità d’Italia (1861) la lingua italiana era ancora patrimonio di pochi: era conosciuta in
Toscana e a Roma, mentre nel resto d’Italia la utilizzava un numero ristretto di persone e oltre il 70% della
popolazione era analfabeta.
Unificare la lingua
Il problema della lingua italiana cessa a questo punto di essere una disputa tra intellettuali e diviene un
fatto sociale e politico incentrato su due questioni principali:
la scuola deve assumersi il compito di insegnare l’italiano agli italiani
va ridotta la distanza tra lingua parlata e lingua scritta, poiché costituisce un limite alla produzione
letteraria e relega il Paese a posizioni di retroguardia rispetto alle altre nazioni.
Nel 1868 venne nominata una commissione per verificare i mezzi di attuazione di questo programma di
alfabetizzazione del Paese. Tra i relatori era presente anche Alessandro Manzoni che propose di diffondere
il modello del fiorentino parlato dalle persone colte. Questa posizione accese un animato dibattito tra gli
studiosi che rivendicavano un ruolo da parte di altre varianti dialettali e rifiutavano un modello imposto
dall’alto: tra questi Carducci, Settembrini e Graziadio Isaia Ascoli, iniziatore della linguistica scientifica
italiana.
Alessandro Manzoni e la lingua degli italiani
L’impegno di “mutare la lingua degli italiani” da parte di Manzoni trova
rispondenza nelle revisioni linguistiche della sua opera più importante:
I Promessi Sposi.
Dopo la prima stesura che egli stesso giudica, coerentemente con la propria
formazione linguistica, scritta in una lingua che è un po’ lombarda, un po’
toscana, un po’ francese, decide di procedere ad una revisione che farà del
romanzo una sorta di laboratorio linguistico nel quale si risolve la questione della lingua italiana.
Egli prende a modello il fiorentino parlato dalle persone colte, elimina
parole ed espressioni lombarde e milanesi, sostituisce espressioni letterarie
con espressioni vicine alla lingua parlata e giunge ad elaborare una lingua
moderna (nella quale è scritta l’edizione del romanzo del 1840) an­
ticipando alcune scelte che nel Novecento saranno proprie dell’italiano
parlato.
8
Fig. 8 – Bozza dei Promessi Sposi
con correzioni autografe di Manzoni.
Lessico
L’evolversi della società civile porta a coniare nuovi vocaboli nell’ambito del linguaggio politico-civile;
entrano nel lessico comune parole come massa, federalismo, liberale, socialista e le parole destra e sinistra
acquisiscono la loro accezione politica.
La creazione di nuovi vocaboli avviene inoltre utilizzando il meccanismo di suffissazione (vedi p. 394):
-izzare: economizzare, universalizzare…
-oide: antropoide, asteroide, metalloide…
Notevole è anche l’uso del prefisso -in (inesatto, inoffensivo...).
© 2010 RCS Libri S.p.A., Milano - Elisabetta Sergio, Grammatica Pratica edizione mista, La Nuova Italia
sezione Storia della lingua italiana
La lingua nel tempo
Verso l’italiano comune
Obiettivi di apprendimento
Conoscere i fattori che contribuirono alla diffusione dell’italiano nel Novecento
Conoscere le caratteristiche dell’italiano contemporaneo
Un rapido cambiamento
Tra gli ultimi venti anni dell’Ottocento e i primi del Novecento la situazione linguistica del Paese cambiò
radicalmente: la percentuale di coloro che nel primo decennio del Novecento conoscevano la lingua italiana era salita al 50% e circa un 20% della popolazione adulta poteva dirsi “italofona” cioè in grado di parlare
la lingua italiana. È un cambiamento assai rapido che oltre ai vantaggi derivanti dalla formazione di un apparato statale unitario che esigeva la presenza di una classe dirigente – a Roma e nei capoluoghi regionali
– in grado di esprimersi in un’unica lingua e all’istituzione della scuola elementare obbligatoria (legge Coppino 1859) poté contare su diversi fattori.
Fattori che contribuirono alla diffusione dell’italiano nel Novecento
Dall’unità italiana in poi, numerosi fattori contribuirono alla penetrazione dell’italiano:
il servizio militare obbligatorio e la Prima guerra mondiale misero di fronte per la prima volta italiani provenienti da aree diverse che parlavano dialetti diversi
l’emigrazione interna, soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale, causò lo spostamento di migliaia di italiani da una zona all’altra del Paese
la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa (giornali, ma particolarmente cinema, radio e
televisione) contribuì a diffondere un lingua omogenea in tutto il territorio nazionale svolgendo talvolta anche un’azione alfabetizzatrice e culturale.
Un processo ormai concluso
La diffusione dell’italiano è un processo da considerarsi ormai concluso. Oggi possiamo parlare di:
italiano standard (l’italiano che viene insegnato a scuola e utilizzato nelle situazioni formali)
italiano regionale (l’italiano parlato comunemente che risente dell’influenza delle aree di origine)
italiano popolare (l’italiano prevalentemente orale parlato dagli strati meno istruiti della popolazione).
Lessico
Per quanto concerne il lessico, la lingua italiana ha vissuto in tempi recenti una significativa evoluzione:
sono nati molti neologismi (“parole di recente ideazione”), sono entrate a far parte dell’italiano molte
parole straniere (in particolare inglesi).
I neologismi si presentano più di frequente in culture che stanno cambiando rapidamente, e in situazioni
dove c’è una rapida diffusione dell’informazione. Spesso sono creati mediante la combinazione di parole
già esistenti o aggiungendo nuovi suffissi e prefissi. Un neologismo può essere creato per abbreviazione o
da un acronimo, sullo stampo di una parola esistente o semplicemente giocando con dei suoni. Ecco alcuni esempi: messaggiare  spedire un messaggio SMS; scannerizzare, scansionare, scansire  l’atto
di copiare un’immagine con uno scanner; chattare  utilizzare un sistema di chat per dialogare in tempo
reale con altre persone.
Dal dopoguerra ad oggi la lingua da cui l’italiano ha più attinto è senza dubbio l’inglese e tra i motivi
principali vi è il fatto che essa è le lingua utilizzata dalla scienza e dalla tecnologia.
L’avvento del computer e della globalizzazione ha fatto sì che l’italiano, come del resto altre lingue, facesse proprie espressioni come file, hard-disk, mouse, e-mail, report, meeting, compact-disk (cd). Inoltre, l’esistenza di una società multirazziale basata sull’incontro di lingue e culture diverse ha introdotto nell’uso
comune anche termini legati a usanze, tradizioni e fattori sociali e religiosi provenienti da lingue meno
conosciute: kebab (turco), ramadan (arabo), chador (persiano), imam (arabo).
© 2010 RCS Libri S.p.A., Milano - Elisabetta Sergio, Grammatica Pratica edizione mista, La Nuova Italia