Storia della lingua italiana
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Storia della lingua italiana
sezione sezione Storia della lingua italiana Storia della lingua italiana Le lingue sono interessate da continui mutamenti, prodotti dall’evoluzione della storia culturale, sociale, politica ed economica dei popoli e delle loro relazioni che sono anche di tipo linguistico. L’italiano è perciò, come ogni lingua, un sistema dinamico che ha visto succedersi nel tempo diverse varietà. ... del bel paese là dove ’l sì suona. Dante Alighieri, nel XXXIII canto dell’Inferno Le varietà storiche: la lingua nel tempo Le varietà geografiche: le lingue e i dialetti La lingua è un sistema dinamico, soggetto a continui mutamenti determinati dall’evolversi delle culture, delle società, delle relazioni tra i popoli. Nel corso della storia, anche l’italiano ha vissuto un processo di mutamento e definizione delle proprie regole e dei propri elementi linguistici. Una lingua presenta anche varietà di tipo geografico, talvolta chiamate dialetti: parlate utilizzate in territori più ristretti e in contesti familiari, che sviluppano fonologia, ortografia, morfologia e sintassi proprie. Accanto a questi e alla lingua maggiormente diffusa sul territorio convivono veri e propri sistemi linguistici a sé stanti. al latino all’italiano D Il Trecento e la nobilitazione del volgare toscano Il Quattrocento: il volgare fiorentino diventa lingua Il Cinquecento e la questione della lingua Il Seicento e la prosa scientifica Il Settecento: il rinnovamento della lingua italiana L’Ottocento: la lingua diventa una questione sociale Verso l’italiano comune Dialetti e lingue parlati in Italia sezione Storia della lingua italiana La lingua nel tempo Dal latino all’italiano Obiettivi di apprendimento Sapere che cosa si intende per lingue indoeuropee e lingue neolatine Conoscere le tappe fondamentali del processo di mutamento dal latino al volgare Il latino Per ricostruire le origini della lingua italiana dobbiamo risalire fino ai Latini, il popolo che si stanziò lungo le rive del Tevere nell’VIII secolo a.C. La loro lingua era il latino: la lingua indoeuropea che molto più tardi avrebbe costituito la base dell’italiano e delle altre lingue romanze o neolatine. In origine il latino era parlato in una zona molto limitata e fu con l’affermarsi del potere romano – prima con la repubblica, poi con l’impero – che il latino divenne la lingua ufficiale in tutti i territori sottomessi a Roma, pur conservando nella lingua parlata peculiarità diverse da una regione all’altra. Che cosa sono le lingue indoeuropee Alla fine del XVIII secolo, alcuni studiosi di linguistica furono colpiti dal fatto che molte lingue europee e asiatiche presentassero elementi somiglianti. Confrontando le lingue in questione giunsero alla conclusione che queste avessero un’origine comune e discendessero da un’unica lingua madre, formando un’unica famiglia linguistica che venne definita indoeuropea, con riferimento all’estensione geografica (osserva la carta a lato). Mediterranei Indoeuropei Mar Baltico Oceano Atlantico Indiani Arii Slavi Germani ri Medi Celti ini b i at m Persiani et L o-U Galli Ven c i Sciti Os i es Reti Armeni n r Ittiti i a Ill lb Mar A Caspio Mar Nero Liguri ci i a Etruschi r Caucasici T Lid Britanni Baschi Iberi Sardi Se prendiamo ad esempio la parola “madre” vediamo che in molte lingue presenta un’evidente somiglianza: sanscrito*: màta latino: mater francese: mère tedesco: Mutter slavo: mat spagnolo: madre inglese: mother iranico: màdar * il sanscrito è l’antica lingua indiana con la quale sono scritti tutti gli antichi testi sacri induisti Che cosa sono le lingue neolatine Berberi Punici francese: fair romeno: face Sicani Egizi Sumeri Fenici Aramei Cananei Ebrei Ebrei Caldei Accadi Libici Babilonesi 1 Arabi Fig. 1 – Carta delle migrazioni dei popoli di lingua indoeuropea: le migrazioni, a partire dal II millennio a.C., sono alla base della differenziazione della lingua originaria in numerose lingue diverse. Fig. 2 – La carta mostra i territori in cui oggi si parlano lingue neolatine. Mare del Nord Po rt og he s e Oceano Atlantico portoghese: fazer spagnolo: hacer Assiri Greci Mar Mediterraneo Le lingue neolatine, che derivano cioè direttamente dal latino, sono, oltre all’italiano, il portoghese, lo spagnolo, il catalano, il provenzale, il franco-provenzale, il francese, il sardo, il romeno. Se prendiamo ad esempio la parola “fare” dal latino facěre e la confrontiamo con alcune lingue neolatine, notiamo subito la comune discendenza: Tocari Balti Mar Baltico Francese Francoprovenzale Ladino Provenzale Spagnolo Catalano Territori in cui si parlano le lingue neolatine: portoghese, spagnolo, catalano, provenzale, ladino, italiano, sardo, romeno Mar Caspio Romeno Mar Nero Italiano Sardo 2 Mare Mediterraneo © 2010 RCS Libri S.p.A., Milano - Elisabetta Sergio, Grammatica Pratica edizione mista, La Nuova Italia sezione Storia della lingua italiana Dal latino al volgare Con la caduta dell’Impero romano e l’arrivo in Italia di nuovi popoli (Germani, Bizantini e più tardi Arabi), la situazione economica e politica della penisola mutò profondamente: cessò l’unità politica e con essa quella linguistica. Il latino si frantumò in tante parlate diverse, dando origine ai dialetti italiani detti appunto “volgari” ovvero “lingue di uso comune” per differenziarli dal latino scritto conosciuto ormai solo dai ceti colti. Un processo lungo e graduale In tutto l’Occidente (detto Romània) alla fine dell’VIII secolo si era ormai concluso il processo di mutamento dal latino alle nuove lingue romanze (neolatine). La maggioranza della popolazione parlava ormai i vari volgari che però continuavano ad essere utilizzati unicamente come lingua parlata, ad essi non veniva ancora affidata nessun tipo di scrittura. In Italia i primi documenti scritti in volgare apparvero tra il IX e X secolo: i più antichi sono il cosiddetto Indovinello veronese (VIII-IX sec.) e il Placito di Capua (960). Nel primo caso si tratta di un testo ritrovato in un antico codice della Biblioteca Capitolare di Verona e opera, si pensa, di un amanuense; mentre il secondo, ritrovato nella Biblioteca di Cassino, è un documento giudiziario che riporta una sentenza legale. ■ Indovinello veronese Se pareva boves alba pratalia araba, albo versorio teneba: et negro semen seminaba. Spingeva davanti a sé i buoi arava i campi bianchi, teneva un aratro bianco e seminava un seme nero L’indovinello si riferisce So che quelle terre con quei confini, che qui (cioè sulla carta) si indicano, le possedette per trent’anni la parte di San Benedetto (cioè il monastero benedettino di Montecassino). Si tratta di una formula di all’atto della scrittura, presentato come un’aratura: i buoi sono le dita, i campi bianchi la carta, l’aratro bianco la penna, il seme nero l’inchiostro. ■ Placito di Capua Sao ko kelle terre, per kelle fini qui ki contene trenta anni le possette parte Sancti Benedicti. giuramento di alcuni testimoni che prova l’appartenenza trentennale di certe terre all’abbazia benedettina, che quindi può usufruirne. Il documento è scritto in volgare, anche se contiene ancora qualche traccia di latino: possette, Sancti Benedicti. Bisognerà comunque arrivare al Duecento per vedere lo sviluppo dei volgari letterari, quando cioè in varie parti d’Italia si scriveranno testi nelle diverse lingue locali. Di particolare importanza saranno gli esempi dei poeti siciliani: la loro lingua sarà considerata per quasi mezzo secolo la più importante d’Italia. A dare forte impulso alla diffusione dell’uso del volgare sarà soprattutto lo sviluppo della civiltà comunale con l’aumento delle comunicazioni indispensabili alla nuova vita associativa: accanto ai primi testi letterari inizieranno ad essere scritti in volgare anche contratti commerciali, statuti di corporazioni ecc. Il volgare è però ancora ben lontano dal sostituire il latino che continua ad essere la lingua scritta dominante. 3 Fig. 3 – Miniatura del XIV sec. con scena di commercio. © 2010 RCS Libri S.p.A., Milano - Elisabetta Sergio, Grammatica Pratica edizione mista, La Nuova Italia sezione Storia della lingua italiana La lingua nel tempo Il Trecento e la nobilitazione del volgare toscano Obiettivi di apprendimento Comprendere l’importanza del volgare fiorentino Conoscere le maggiori opere letterarie scritte in volgare fiorentino La Divina Commedia “madre” della lingua italiana In accordo con quanto espresso nel trattato De vulgari eloquentia – dove sostiene la necessità di un volgare comune a tutta la penisola e definisce il ruolo dello scrittore nella formazione della lingua di un popolo – Dante (12651321) sceglie di scrivere la Divina Commedia utilizzando il volgare fiorentino e non la lingua latina. Siamo agli inizi del XIV secolo e i suoi studi portano il fiorentino a un tale livello di elaborazione letteraria che esso può, anche nell’uso più colto, competere con il latino. Nel poema troviamo vocaboli latini, espressioni tecniche tratte dalla filosofia e dalle scienze del tempo, modi di dire popolari accanto ad altri più colti, espressioni di altri dialetti italiani e francesismi (espressioni cioè influenzate dal volgare francese). Dante riuscì ad amalgamare parole, forme, espressioni e costruzioni provenienti dalle più diverse tradizioni con la lingua popolare fiorentina, esprimendo le possibilità offerte dalla diversificata situazione linguistica italiana; e anche per questa ragione la lingua della Commedia divenne la base di una lingua letteraria nazionale. 4 Fig. 4 – Ritratto di Dante Alighieri. Petrarca e Boccaccio Altri due letterati toscani che contribuirono ad imporre il dialetto fiorentino come lingua di tutti gli italiani furono Francesco Petrarca (1304-1374) e Giovanni Boccaccio (1313-1375) che oltre a numerose opere in latino scrissero anche in volgare. Il primo è autore del Canzoniere, una raccolta di liriche scritte in un linguaggio che si discosta intenzionalmente da quello del volgare parlato per tenere un tono più elevato ed elegante; il secondo è autore del Decameron, una raccolta di novelle nelle quali è utilizzato un fiorentino popolare, ma dalla sintassi molto elaborata, strutturata sul modello latino. 5 Fig. 5 – Miniatura da un’edizione francese del Decameron. I vantaggi del volgare fiorentino Il volgare fiorentino si impose come lingua scritta anche nel resto della penisola per due motivi principali: 1. la maggiore vicinanza del toscano al latino, che si può notare con facilità osservando la tabella sotto, gli conferiva una maggiore comprensibilità rispetto ad altri volgari e chi conosceva il latino (notai, giudici, medici, religiosi, scrittori) poteva impararlo facilmente latino volgari toscani (fiorentino) volgari centro-meridionali volgari settentrionali altus alto ald(e), àutu àut, olt càlidus caldo callo, càuro càud, colt 2.l’importanza della civiltà fiorentina sia dal punto di vista economico sia culturale e la fama dei suoi scrittori. © 2010 RCS Libri S.p.A., Milano - Elisabetta Sergio, Grammatica Pratica edizione mista, La Nuova Italia sezione Storia della lingua italiana La lingua nel tempo Il Quattrocento: il volgare fiorentino diventa lingua Obiettivi di apprendimento Conoscere la complessità della realtà linguistica italiana del Quattrocento Comprendere l’importanza dell’invenzione della stampa Verso l’affermazione del volgare letterario La fama dei grandi scrittori trecenteschi non permise tuttavia di raggiungere con l’inizio del nuovo secolo una piena affermazione del volgare. Nel Quattrocento la riscoperta del mondo classico spinse i letterati a riproporre il latino degli antichi come lingua letteraria e a disconoscere il volgare e i poeti che di quella lingua avevano fatto il loro strumento di espressione. Si trattò comunque di un fenomeno di breve durata: già a partire dalla metà del secolo si determinò una decisa riaffermazione dei testi in volgare e con l’inizio del Cinquecento esso ottenne pari dignità con il latino. Sperimentazione linguistica e uso del dialetto in letteratura In realtà, latino e volgare non furono affatto due mondi separati. La vivacità linguistica del Quattrocento e le complesse relazioni che si intrecciarono tra i due idiomi sono testimoniate sia da testi dove compaiono entrambe le lingue (sono frequenti titoli latini a opere in volgare o il ricorso a frasi latine quanto in opere scritte in volgare si citano ad esempio testi religiosi); sia da opere letterarie che spesso con finalità umoristiche o per riferirsi a un preciso contesto regionale fanno uso dei dialetti locali (già Boccaccio nel Decamerone aveva attribuito a certi personaggi espressioni dialettali in relazione alla loro provenienza, talvolta con intento caricaturale). Furono molti inoltre i letterati che produssero sia opere in latino sia in volgare tra questi: Leonardo Bruni, Leon Battista Alberti e Poliziano, tutti attivi a Firenze presso la corte di Lorenzo il Magnifico, uno dei maggiori centri di sperimentazione e produzione culturale dell’Umanesimo. L’invenzione della stampa Un contributo fondamentale all’unificazione linguistica si deve all’invenzione della stampa (1455): la possibilità di riprodurre migliaia di esemplari di uno stesso testo aumentò enormemente la diffusione di opere letterarie e fece sentire la necessità di essere compresi da un pubblico sempre più vasto. Questo processo fu alla base della definizione di una norma linguistica comune e della diffusione del volgare toscano come lingua letteraria. 6 Fig. 6 – Stamperia in un’incisione del XV secolo. La prima grammatica italiana Nel corso del secolo non mancarono le dispute tra sostenitori e oppositori dell’una e dell’altra lingua, in particolare relative all’uso che ne avevano fatto i tre grandi del Trecento: Dante, Petrarca e Boccaccio. Coloro che sostenevano il volgare si impegnarono molto per rivendicare la pari dignità di questo idioma rispetto alla lingua latina e tra loro vi fu Leon Battista Alberti (1404-72), uno dei massimi rappresentati dell’Umanesimo fiorentino. Egli fu autore di una Grammatica della lingua toscana che è di fatto la prima grammatica italiana anche se non circolò né fu stampata. Per la pubblicazione di una grammatica italiana bisognerà aspettare il 1516, quando verrà pubblicata quella di Giovan Francesco Fortunio intitolata “Regole grammaticali della volgar lingua”. © 2010 RCS Libri S.p.A., Milano - Elisabetta Sergio, Grammatica Pratica edizione mista, La Nuova Italia sezione Storia della lingua italiana La lingua nel tempo Il Cinquecento e la questione della lingua Obiettivi di apprendimento Conoscere le differenti posizioni che animano il dibattito sulla lingua Comprendere la differenza tra lingua letteraria e lingua d’uso La questione della lingua Tutto il Cinquecento è animato da un acceso dibattito tra letterati per arrivare a stabilire quale tipo di volgare possa essere più adatto all’espressione letteraria. Le differenti posizioni, estremamente articolate e complesse, si possono semplificare e raggruppare in tre correnti sostenute da vari intellettuali del tempo, come mostra lo schema. propone di imitare il toscano di Boccaccio (per la prosa) e di Petrarca (per la poesia) Pietro Bembo corrente cortigiana propone una lingua più composita frutto della somma delle lingue parlate nella corti italiane Baldassarre Castiglione corrente fiorentina propone un toscano moderno, aperto ai contributi di altre lingue straniere, non solo letterario Niccolò Machiavelli corrente arcaizzante Lingua letteraria e lingua d’uso A prevalere furono le soluzioni proposte da Pietro Bembo. Questo esito determinò la definitiva affermazione del volgare fiorentino come lingua letteraria e sancì la separazione tra lingua scritta e lingua parlata e tra lingua letteraria e lingua d’uso. C’è da dire a questo proposito che la frammentazione politica e culturale dell’Italia non permise di diffondere un’unica varietà linguistica; l’italiano rimase una lingua letteraria conosciuta solo da poche persone colte mentre nella comunicazione quotidiana si continuavano ad utilizzare i dialetti: emergono fra tutti il siciliano, il napoletano, il romano e il veneziano. L’Accademia della Crusca e il primo vocabolario Alla fine del secolo nacque l’Accademia della Crusca, un’istituzione che rivestirà un ruolo di primo piano nello studio della lingua italiana. Sotto l’impulso del filologo Leonardo Salviati, l’Accademia dette il via alla redazione di un grande vocabolario delle lingua italiana, con lo scopo di fissare la norma linguistica che i letterati avrebbero dovuto seguire. Pubblicato nel 1612, è il primo dizionario della lingua italiana. Lessico L’italiano e le altre lingue L’estensione dell’uso dell’italiano a settori diversi come l’architettura, la matematica, la filosofia, l’astronomia determinò un notevole arricchimento del lessico. I nuovi termini vennero in parte recuperati dal latino (es. decoro, scenografia, cateto, simmetria, assioma), in parte dalle lingue straniere: in particolare dallo spagnolo (molti termini di uso marinaresco: flotta, nostromo, rotta, doppiare) e dal francese (molti termini militari: marciare, trincea, massacro). Contemporaneamente l’italiano esercitò una forte influenza in tutta l’Europa facendo affluire parole italiane in altre lingue. I prestiti di maggiore importanza si hanno nei settori musicale, letterario e architettonico: madrigale, fuga, sonetto, balcone, piedistallo, facciata. © 2010 RCS Libri S.p.A., Milano - Elisabetta Sergio, Grammatica Pratica edizione mista, La Nuova Italia sezione Storia della lingua italiana La lingua nel tempo Il Seicento e la prosa scientifica Obiettivi di apprendimento apere della diffusione dello spagnolo e del francese come lingue d’uso nelle corti S italiane Comprendere il contributo della prosa scientifica alla lingua italiana Un panorama linguistico variegato La frammentazione politica e sociale del territorio italiano continuò anche nel Seicento e ciò influì sulla lingua della maggior parte della popolazione che continuava a parlare dialetti locali, mentre il fiorentino – che dopo l’unificazione linguistica del Cinquecento possiamo chiamare italiano – continuava ad essere utilizzato come lingua scritta. In questo secolo si verificarono inoltre due fatti rilevanti: la presenza spagnola in Italia e, dopo la metà del secolo, l’affermazione del francese come lingua internazionale. I due idiomi si imposero quindi come lingue d’uso e di conversazione nelle corti della penisola. La prosa scientifica Le variazioni più importanti che la lingua italiana subì in questo secolo derivano soprattutto dall’uso che ne fecero gli scienziati: in particolare Galileo Galilei seguito da Francesco Redi ed Evangelista Torricelli. I contributi riguardarono principalmente gli aspetti lessicali e sintattici. Per adattarsi alle esigenze della scienza, che più di altri ambiti esige chiarezza ed essenzialità, l’italiano del Seicento acquisì una prosa più asciutta: periodi brevi, frasi essenziali (soggetto, predicato e complementi); e continuò ad arricchirsi dal punto di vista del lessico. Il contributo di Galileo Galilei Sia dal punto di vista di semplificazione della frase sia di arricchimento lessicale, un contributo determinante venne da Galileo Galilei. Egli scriveva nel toscano letterario della tradizione rinascimentale, che però ripulì dalle espressioni retoriche, dalle costruzioni implicite e dalle terminologie troppo colte, ottenendo una lingua asciutta ed esplicita più adatta alle dimostrazioni scientifiche. 7 Dialetti in polemica con la lingua colta Con il progressivo affermarsi dell’italiano letterario, i dialetti diventarono oggetto di curiosità e sperimentazione per molti scrittori colti che rovesciarono in chiave comica i modelli alti della letteratura o rappresentarono la vita caotica e precaria del popolo comune. Non si trattò di una produzione popolaresca, ma anzi di un modo piuttosto ricercato di polemizzare con la posizione dominante della lingua letteraria cinquecentesca. Fanno parte di questo filone opere come i racconti di Bertoldo e Bertoldino di Giulio Cesare Croce in Emilia, il Meo Patacca di Giuseppe Berneri a Roma, Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile a Napoli. Fig. 7 – Ritratto di Galileo e frontespizio di una delle sue maggiori opere: Dialogo sopra i massimi sistemi del mondo, pubblicato nel 1632. Lessico Il lessico italiano si arricchisce di nuovi vocaboli, molti di ambito specialistico, che entrano nell’uso comune: termini giuridici (aggressione, consulente, censire, dirimere...); altri termini (analfabeta, elaborare, indagine, monotono, posticipare, sintassi, tesi...). Notevole diffusione hanno anche i forestierismi: dal francese (moda, coccarda, parrucca, canapè...); dallo spagnolo (baule, posata, cioccolato, recluta, lazzarone). © 2010 RCS Libri S.p.A., Milano - Elisabetta Sergio, Grammatica Pratica edizione mista, La Nuova Italia sezione Storia della lingua italiana La lingua nel tempo Il Settecento: il rinnovamento della lingua italiana Obiettivi di apprendimento Conoscere la situazione linguistica italiana nel Settecento Conoscere le principali richieste di rinnovamento degli illuministi Un secolo di rinnovamento Il Settecento, caratterizzato dall’Illuminismo, è per la cultura e per la lingua italiane un periodo di grande rinnovamento sia per i contatti che alcune regioni e città hanno con importanti nazioni straniere, sia per il nuovo modo di intendere la società e il rapporto Stato-cittadino, sia per la diffusione della cultura dovuta a nuovi mezzi di comunicazione come i giornali e di espressione culturale come il teatro. La lingua e la società Vediamo insieme nello schema sottostante qual era la situazione della lingua italiana nella società settecentesca: ceti più istruiti ceti medi ceti popolari . parlano il dialetto, ma comprendono l’italiano e iniziano ad utilizzarlo in alcune situazioni di parlato . elaborano una mediazione tra dialetto e italiano letterario che costituisce la base dell’italiano regionale . situazioni diverse da regione a regione . parlano il dialetto, ma in alcuni casi sanno utilizzare il francese nelle comunicazioni commerciali . rimangono analfabeti e usano esclusivamente i dialetti L’esigenza del rinnovamento: si riaccende la questione della lingua In sintonia con le istanze dell’Illuminismo si avvertiva come una questione culturale sociale e politica anche l’esigenza di una lingua moderna in grado di contribuire al rinnovamento della società, esigenza che fu causa di un nuovo dibattito tra posizioni tradizionaliste e posizioni più o meno innovative. Da una parte si schierarono coloro che si identificavano con la tesi purista dell’Accademia della Crusca che difendeva il primato degli scrittori trecenteschi, dall’altra chi si poneva in vario modo il problema del rinnovamento della lingua. I temi sul tavolo degli innovatori vertevano su alcune questioni fondamentali: l’esigenza di una pratica comunicativa legata ai vari usi moderni e meno identificata con l’uso Lessico letterario il grado di apertura della lingua italiana nei conIl lessico italiano continua a specializzarsi e fronti della altre lingue europee in particolare il ad arricchirsi di vocaboli soprattutto in amfrancese. bito politico (costituzione, commissione, magIn sostanza veniva rivendicato un ruolo più radicato nella gioranza, onorevole, patria, nazione...), sciensocietà contemporanea e adeguato a esprimere le idee di tifico (citrico, carbonico, solforico...) e filosouna cultura moderna e si decretava l’inevitabilità del camfico (ragione, emozione, analisi, filosofo, filobiamento linguistico, basato sullo stretto rapporto esistensofico...). te tra sviluppo delle lingue e sviluppo storico dei popoli. © 2010 RCS Libri S.p.A., Milano - Elisabetta Sergio, Grammatica Pratica edizione mista, La Nuova Italia sezione Storia della lingua italiana La lingua nel tempo L’Ottocento: la lingua diventa una questione sociale Obiettivi di apprendimento Sapere che con l’unità d’Italia si pone il problema di alfabetizzazione degli italiani Conoscere il contributo di Alessandro Manzoni all’italiano moderno Il problema dell’alfabetizzazione Al momento dell’unità d’Italia (1861) la lingua italiana era ancora patrimonio di pochi: era conosciuta in Toscana e a Roma, mentre nel resto d’Italia la utilizzava un numero ristretto di persone e oltre il 70% della popolazione era analfabeta. Unificare la lingua Il problema della lingua italiana cessa a questo punto di essere una disputa tra intellettuali e diviene un fatto sociale e politico incentrato su due questioni principali: la scuola deve assumersi il compito di insegnare l’italiano agli italiani va ridotta la distanza tra lingua parlata e lingua scritta, poiché costituisce un limite alla produzione letteraria e relega il Paese a posizioni di retroguardia rispetto alle altre nazioni. Nel 1868 venne nominata una commissione per verificare i mezzi di attuazione di questo programma di alfabetizzazione del Paese. Tra i relatori era presente anche Alessandro Manzoni che propose di diffondere il modello del fiorentino parlato dalle persone colte. Questa posizione accese un animato dibattito tra gli studiosi che rivendicavano un ruolo da parte di altre varianti dialettali e rifiutavano un modello imposto dall’alto: tra questi Carducci, Settembrini e Graziadio Isaia Ascoli, iniziatore della linguistica scientifica italiana. Alessandro Manzoni e la lingua degli italiani L’impegno di “mutare la lingua degli italiani” da parte di Manzoni trova rispondenza nelle revisioni linguistiche della sua opera più importante: I Promessi Sposi. Dopo la prima stesura che egli stesso giudica, coerentemente con la propria formazione linguistica, scritta in una lingua che è un po’ lombarda, un po’ toscana, un po’ francese, decide di procedere ad una revisione che farà del romanzo una sorta di laboratorio linguistico nel quale si risolve la questione della lingua italiana. Egli prende a modello il fiorentino parlato dalle persone colte, elimina parole ed espressioni lombarde e milanesi, sostituisce espressioni letterarie con espressioni vicine alla lingua parlata e giunge ad elaborare una lingua moderna (nella quale è scritta l’edizione del romanzo del 1840) an ticipando alcune scelte che nel Novecento saranno proprie dell’italiano parlato. 8 Fig. 8 – Bozza dei Promessi Sposi con correzioni autografe di Manzoni. Lessico L’evolversi della società civile porta a coniare nuovi vocaboli nell’ambito del linguaggio politico-civile; entrano nel lessico comune parole come massa, federalismo, liberale, socialista e le parole destra e sinistra acquisiscono la loro accezione politica. La creazione di nuovi vocaboli avviene inoltre utilizzando il meccanismo di suffissazione (vedi p. 394): -izzare: economizzare, universalizzare… -oide: antropoide, asteroide, metalloide… Notevole è anche l’uso del prefisso -in (inesatto, inoffensivo...). © 2010 RCS Libri S.p.A., Milano - Elisabetta Sergio, Grammatica Pratica edizione mista, La Nuova Italia sezione Storia della lingua italiana La lingua nel tempo Verso l’italiano comune Obiettivi di apprendimento Conoscere i fattori che contribuirono alla diffusione dell’italiano nel Novecento Conoscere le caratteristiche dell’italiano contemporaneo Un rapido cambiamento Tra gli ultimi venti anni dell’Ottocento e i primi del Novecento la situazione linguistica del Paese cambiò radicalmente: la percentuale di coloro che nel primo decennio del Novecento conoscevano la lingua italiana era salita al 50% e circa un 20% della popolazione adulta poteva dirsi “italofona” cioè in grado di parlare la lingua italiana. È un cambiamento assai rapido che oltre ai vantaggi derivanti dalla formazione di un apparato statale unitario che esigeva la presenza di una classe dirigente – a Roma e nei capoluoghi regionali – in grado di esprimersi in un’unica lingua e all’istituzione della scuola elementare obbligatoria (legge Coppino 1859) poté contare su diversi fattori. Fattori che contribuirono alla diffusione dell’italiano nel Novecento Dall’unità italiana in poi, numerosi fattori contribuirono alla penetrazione dell’italiano: il servizio militare obbligatorio e la Prima guerra mondiale misero di fronte per la prima volta italiani provenienti da aree diverse che parlavano dialetti diversi l’emigrazione interna, soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale, causò lo spostamento di migliaia di italiani da una zona all’altra del Paese la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa (giornali, ma particolarmente cinema, radio e televisione) contribuì a diffondere un lingua omogenea in tutto il territorio nazionale svolgendo talvolta anche un’azione alfabetizzatrice e culturale. Un processo ormai concluso La diffusione dell’italiano è un processo da considerarsi ormai concluso. Oggi possiamo parlare di: italiano standard (l’italiano che viene insegnato a scuola e utilizzato nelle situazioni formali) italiano regionale (l’italiano parlato comunemente che risente dell’influenza delle aree di origine) italiano popolare (l’italiano prevalentemente orale parlato dagli strati meno istruiti della popolazione). Lessico Per quanto concerne il lessico, la lingua italiana ha vissuto in tempi recenti una significativa evoluzione: sono nati molti neologismi (“parole di recente ideazione”), sono entrate a far parte dell’italiano molte parole straniere (in particolare inglesi). I neologismi si presentano più di frequente in culture che stanno cambiando rapidamente, e in situazioni dove c’è una rapida diffusione dell’informazione. Spesso sono creati mediante la combinazione di parole già esistenti o aggiungendo nuovi suffissi e prefissi. Un neologismo può essere creato per abbreviazione o da un acronimo, sullo stampo di una parola esistente o semplicemente giocando con dei suoni. Ecco alcuni esempi: messaggiare spedire un messaggio SMS; scannerizzare, scansionare, scansire l’atto di copiare un’immagine con uno scanner; chattare utilizzare un sistema di chat per dialogare in tempo reale con altre persone. Dal dopoguerra ad oggi la lingua da cui l’italiano ha più attinto è senza dubbio l’inglese e tra i motivi principali vi è il fatto che essa è le lingua utilizzata dalla scienza e dalla tecnologia. L’avvento del computer e della globalizzazione ha fatto sì che l’italiano, come del resto altre lingue, facesse proprie espressioni come file, hard-disk, mouse, e-mail, report, meeting, compact-disk (cd). Inoltre, l’esistenza di una società multirazziale basata sull’incontro di lingue e culture diverse ha introdotto nell’uso comune anche termini legati a usanze, tradizioni e fattori sociali e religiosi provenienti da lingue meno conosciute: kebab (turco), ramadan (arabo), chador (persiano), imam (arabo). © 2010 RCS Libri S.p.A., Milano - Elisabetta Sergio, Grammatica Pratica edizione mista, La Nuova Italia